Pino Blasone - ALICE CIBERNETICA - Romanzo


SETTE

 

Certo, nessuno di voi ignora dove è ubicato e come è strutturato il quartier generale dei "riversati": dal momento che tutti ormai - che ci piaccia o meno - facciamo parte di tale categoria già esclusiva. Al centro della vasta distesa erbosa, che rievoca i Campi Elisi dell'antica mitologìa, sorge una ampia area cinta da mura merlate, simili a quelle dei borghi medievali. Può darsi che la fervida inventiva dell'architetto informatico si sia qui ispirata al quarto canto dell'"Inferno" dantesco. Ivi, in effetti, viene descritto il Limbo. A proposito del castello degli spiriti eletti, così recita il poeta:

Venimmo al pie' d'un nobile castello,
sette volte cerchiato d'alte mura,
difeso intorno d'un bel fiumicello.
Questo passammo come terra dura;

per sette porte intrai con questi savi:
giugnemmo in prato di fresca verdura.

Tornando alla nostra prosa, una volta varcato il portone dell'unica ma imponente cerchia muraria, ci si trova davanti a uno spettacolo ben noto e non perciò meno impressionante: almeno per chi abbia viaggiato a suo tempo nel Bel Paese, o sia in possesso di una infarinatura di storia dell'arte. Nessun luogo potrebbe essere più indovinato e meglio adatto alla riproduzione nella realtà virtuale. La torre campanaria pendente, la cattedrale, il battistero e il camposanto monumentale, disposti su un verde prato secondo una simmetria arcana, sono elementi inconfondibili di una scenografia unica al mondo, nonché di una sacra simbologìa allusiva a quelle che erano considerate le principali tappe dell'esistenza umana.

Retrospettivamente, può apparire un paradosso che proprio lì, in una copia fedele del Campo dei Miracoli di Pisa, i pionieri tra i "riversati" avessero deciso di fissare la loro sede appartata e inaccessibile; che là stesso avessero stabilito di trascorrere una perenne quanto invariata primavera. Benché fossi riuscito a ritrovare la proiezione transreale della mia Alice e a ricongiungermi forzosamente a lei, il mio primo periodo recluso fra quelle mura fu di comprensibile angoscia e di claustrofobia, oltre che di rabbia crescente verso la stessa Alice, corresponsabile della situazione. Né giovava molto il ripetermi che il suo comportamento contraddittorio nei miei confronti era stato determinato da uno stato evidente di esaltazione, ma anche di costrizione se non di plagio.

D'altronde, la nostra condizione era eccezionale e anomala, rispetto a quella degli altri "riversati". Presumibilmente, i nostri corpi in terra erano ancora vivi. Essi versavano in uno stato comatoso o di catatonia, quale avevo constatato assistendo Alice, tale da trarre in inganno circa le vere cause. Prima o poi, sarei giunto giocoforza ad adattarmi alla straordinaria sensazione di vuoto e di nausea, nel non avvertire più il supporto familiare del mio involucro fisico, o perfino a superarla. Ma era soprattutto il fatto di supporre quel corpo abbandonato altrove, fuori dalla mia portata e dalla mia disponibilità, a non lasciarmi pace.

* * *

Nessuna meraviglia, che il mio pensiero fisso fosse una improbabile via di scampo e occasione di fuga, nonostante che venissi trattato con ogni riguardo e che facessi attenzione a mostrarmi rassegnato. In effetti, una esile speranza era costituita dall'unico accorgimento che avevo adottato, senza un calcolo preciso. Prima della partenza per i livelli nascosti della Città Virtuale, avevo programmato il mio computer in modo che registrasse una copia di quanto mi fosse accaduto nella dimensione cosiddetta - nel nostro gergo - del ciberspazio.

Naturalmente, mi guardai bene dal rivelare tale circostanza ai miei attuali ospiti e guardiani. Chiunque mi avesse soccorso dopo il mio riversamento, laggiù nella mia stanza, era augurabile che avesse estratto con cura il disco e che lo avesse affidato a una persona competente e amica, o semplicemente interessata a conoscere l'ambito segreto che mi era occorso di scoprire.

Ma esisteva una persona del genere? Forse, avevo in mente il tipo giusto. Un funzionario di polizia informatica, che avevo conosciuto non proprio casualmente per via telematica tempo prima. Costei - poiché di una donna si tratta - rispondeva al suggestivo, tutt'altro che severo, nome in codice di Arianna. Tanto vale copiare qui di seguito un file di un mio vecchio diario, che avevo appuntato in coincidenza con il nostro primo incontro: nella improbabile prospettiva di una futura, più organica narrazione. Mai avrei potuto immaginare che tale eventualità si sarebbe realizzata in un mondo, in cui il normale rapporto fra realtà e narrazione si sarebbe bruscamente invertito. Per giunta, a senso unico e irreversibile.

Ma può esserci un altro risvolto e motivo di interesse, sia pure occasionale, in queste note estemporanee. Ai nostri tempi, sono sicuro che più d'uno fra noi "riversati" si va ponendo un curioso quesito. Sempre ammesso che esista, chi sia veramente il personaggio che si fa chiamare Baby Hacker. Non mancherà occasione di accennarvi più avanti. Rileggendo intanto quanto segue, io stesso mi sono sorpreso di qualche divertita premonizione, in merito alla possibile e ormai remota origine di tale soprannome.

* * *

Trentuno agosto. Mi trovo qui in vacanza, come di frequente l'estate, da quando una memorabile edizione dei Convegni Cibernautici Internazionali è stata ambientata proprio da queste parti, nella vicina zona archeologica. Quest'anno la festa popolare della cittadina di mare si tiene in uno spazio nuovo, rispetto alle edizioni precedenti. E' un ampio prato recintato, situato all'incirca fra la antica via Ostiense e l'area occupata - da molto ormai in pianta stabile - da un colorato e chiassoso Luna-Park.

Da uno dei tavolini del caffè all'aperto, è possibile godere una prospettiva non facile da abbracciare con lo sguardo, da qualsiasi punto di vista esterno nell'abitato. Al di là della rete di recinzione e al di sopra della doppia fila di alberi che fiancheggia il viale di fronte, l'alta cupola scura della parrocchia e la grande ruota illuminata del Luna-Park. Esse si presentano affiancate, quasi rivali nel contendersi il campo altrimenti sgombro e stellato del cielo notturno. Con la gravità matriarcale della prima, fa da curioso contrasto il leggero, volubile, verginale moto rotatorio della seconda.

Dimenticavo una terza presenza nient'affatto trascurabile, tradizionale almeno quanto le altre. Con queste, del resto, mostra di spartire da tempo immemorabile l'aspirazione - nel suo caso, mai stabilmente appagata - a una rotondità e a una pienezza tutte femminili. Sul lato sinistro della cupola con riferimento a chi guarda, una luna pressoché piena e lattiscente, in una fase per così dire televisiva, eppure ancora discreta e decentrata: non più disposta ad accettare un ruolo di comparsa, ma nemmeno restìa a condividere il primo piano nel video del monitor del cosmo.

* * *

Arianna è qui di passaggio, per frequentare un corso di perfezionamento nella vicina capitale. E' impiegata in un nucleo di polizia informatica, di recente costituito su in una città del Nord. Preparata e brillante, ha già partecipato - a quanto pare, portandole a segno - a varie operazioni investigative di alto livello: indagini su fondi neri in depositi bancari coperti, identificazione di abili e inafferrabili hackers ovvero "pirati del computer", individuazione e neutralizzazione di dannosi virus nelle reti telematiche dei servizi di pubblica utilità.

Ci siamo conosciuti, ovviamente, per via telematica. E' comparsa all'improvviso nella schermata del mio personal, sotto l'aspetto poco attraente di una stringa di riconoscimento lampeggiante in codice. Non mi ci è voluto molto a capire che da tempo si era infiltrata e che era in grado di spiare ogni mia attività, la quale si esplicasse tramite la tastiera e con l'utilizzo di un modem. Silenziosa e invisibile, entrava e usciva nei miei files, frugando e controllando a suo piacere.

Ciononostante, una volta accantonato il sospetto di qualche illecito, lei stessa ha deciso di "appalesarsi" e ha chiesto di stabilire un contatto reciproco. Da parte mia, dopo un momento di intuibile stizza, mi sono arreso davanti a tanta bravura e disarmante candore.

Tuttavia, non appena ho inteso di chi e di che cosa si trattava, per precauzione ho ritenuto bene mettere le mani avanti. "Niente collaborazioni confidenziali o simili", ho digitato in un messaggio a lei indirizzato, "Il mio interesse attuale è puramente letterario". La verità è che non vorrei alienarmi le simpatie dei miei amici hackers, compromettendo un vecchio rapporto e interrompendo una innocua frequentazione. D'altronde, devo ammettere che la mia assidua corrispondente ha mantenuto finora i patti, non senza qualche piccolo presumibile rischio per la sua carriera.

Adesso poi, quando ho avuto finalmente l'occasione di conoscerla direttamente, sono tutt'altro che pentito. Arianna è una persona graziosa e di spirito, secondo le migliori aspettative. Con una certa mia sorpresa, insieme a lei c'è anche un bambino biondo e visibilmente agitato (dire "vivace" sarebbe un eufemismo), che le scorrazza sempre attorno.

- In effetti, è un po' irrequieto - commenta la madre, come per scusarsi - Ma è comprensibile. Non ho molto tempo da dedicargli, presa come sono dal mio lavoro e dal computer. In compenso, dovresti vedere come è serio e concentrato nei video-giochi. E' sconcertante: un vero hacker in erba...

Francamente, non ne avrei dubitato. Come futuro hacker, promette davvero per il meglio.

* * *

Arianna indossa un gilet maschile su un paio di jeans stretti, più mocassini ai piedi. La figura è snella. I capelli castani chiari, lunghi e sciolti. Gli occhi dalle iridi grige traspaiono lievemente ingranditi attraverso gli occhiali da vista.

- Non sono mai riuscita a sopportare le lenti a contatto - specifica lei, sorridendo - Non sempre si riesce a imporre la tecnica moderna alla natura, neppure a suo esclusivo vantaggio.

La serata di tarda estate è ventilata ma calda. I primi bottoncini superiori del gilet sono sbottonati, lasciando intravedere il solco fra i seni. La giovane ispettrice si accorge del mio sguardo indiscreto. Bevendo l'ultimo sorso dal bicchiere, non si lascia sfuggire una battuta maliziosa, su un argomento di moda:

- Che cosa ne pensi, del "sesso virtuale"?

- Sinceramente, non ne so abbastanza. E' un settore applicativo che non mi entusiasma. Forse, non lo trovo abbastanza stimolante e trasgressivo. Per giunta, per ora mi sa piuttosto di montatura pubblicitaria.

- Sono d'accordo. Meglio riparlarne, magari, quando saranno state messe a punto le tute sensoriali. Ammesso che ci si riesca e che siano efficienti. Intanto, fin da adesso ci tocca fronteggiare truffe di gente che va spacciando chissà cosa, per via telematica e a pagamento, ai danni di solitari o dei soliti ingenui. E' un compito avvilente...

Arianna apparentemente si distrae e lascia cadere l'argomento. Il suo sguardo slitta prima verso il bambino. Questo nel frattempo caracolla in mezzo allo spiazzo erboso, assestando mosse di karate e cercando di abbattere tutto quanto di inanimato gli capita a tiro, con la fantasia assorbita da qualche cartone animato giapponese. Poi, lei guarda verso la ruota del Luna-Park, eccezionalmente ferma in attesa di nuovi passeggeri.

- Non ti andrebbe di fare un giro, con il mio baby-hacker?

Non ho il coraggio di confessare che l'invito estemporaneo mi terrifica alquanto. La mia faccia si distende in un sorriso stirato.

- Vuoi dire tutti insieme, vero?

- Ma sì, certo. Non avrai mica supposto che voglio scaricarvi e andarmene a spasso per conto mio.

Naturalmente, l'idea non mi ha sfiorato il cervello nemmeno per scherzo. Tra l'altro, io soffro di una lieve ma fastidiosa e inconfessabile forma di vertigini. A fianco della cupola severa davanti ai nostri occhi, la ruota oscilla piano avanti e indietro, come se temporeggiasse esercitando il suo seducente dispettoso richiamo. Quanto alla luna semipiena da una parte, probabilmente se la ride in sordina. Per il momento, un colpo di fortuna imprevisto interviene a sbloccare la situazione. Ecco che il piccolo importuno si avvicina al centro dell'area della festa, affascinato da una video-installazione che lo occupa.

Nel guscio svuotato di una vecchia auto, diversi schermi accesi e un impianto di telecamere occhieggiano attraverso i finestrini. La scultura - se così si può chiamare - si propone come una trovata da fine-millennio, o da vigilia del secolo imminente, escogitata e realizzata da un volenteroso gruppo di video-artisti in vena di riflessioni malinconiche. Essa intende comunicare - recita, un po' pedante, la didascalìa critica allegata - l'impressione dell'incognito, o, meglio, dell'indefinito, che affiora facendosi strada a oltranza tra le scorie della modernità arcaica e consumistica. Tardivo sussulto dell'estetica Cyberpunk, o inquietante premonizione di un prossimo futuro?

Va da sé che di nulla di ciò si cura il principale interessato. Quello che lo attrae è il giochetto informatico trasmesso nei visori, con monotona ripetivitità. Nell'ambito di un programma multimediale, viene assunta e introdotta la sagoma speculare degli occasionali visitatori, inquadrati dagli obiettivi delle telecamere appena dissimulati. L'effetto è che la nostra immagine sdoppiata entri ed esca a volontà nel campo visivo replicato dai monitor; che si muova e, volendo, interagisca con l'ambiente via via rappresentato. Il tutto, evidentemente, coordinato da una centralina elettronica. Insomma, una realtà virtuale in versione ridimensionata, e ridotta a fenomeno da baraccone.

Ripreso dalle telecamere, il bambino balla riflesso nei visori, al ritmo della musica Rap di una band che suona alle sue spalle, sul palco della festa. Presto, la madre si unisce a lui nella danza. Entrambi ridono e sembrano divertirsi un mondo. Le loro sagome si agitano concitate su uno sfondo colorato e psichedelico erogato dall'apposito software, cercando di afferrare oggetti immateriali proiettati nello spazio informatico. A un tratto, l'instancabile ballerino accosta il bel visetto a uno dei finestrini della utilitaria salvata dallo sfasciacarrozze, centrando il campo visivo di un obiettivo. Su tutti i monitor compare, in primo piano, il suo volto spensierato e incredibilmente felice. Così simile a un ritratto di Dioniso fanciullo, eseguito dal pennello immaginifico di un pittore rinascimentale.

* * *

Il resto della serata, o - se preferite - l'inizio della nottata, è trascorso fra altri modesti e ameni diversivi. Mi ero illuso che la ruota del Luna-Park fosse stata dimenticata. Durante gli inesorabili e ripetuti giri, per tenerlo buono e per distrarmi mi è venuto da rispolverare e da narrare al terzo incomodo - non so bene perché - la favola di Teseo e del Minotauro, di Bacco e di Arianna. Lui mi ha seguito per la verità non troppo convinto, ma con un'aria furbesca e alquanto sospettosa. Almeno, è servito a evitare che si spenzolasse eccessivamente, sporgendosi dal balconcino del ciondolante gabbiotto e rischiando di precipitare a capofitto nel vuoto. Non me lo sarei mai perdonato. Quanto alla vera Arianna, se ne è stata seduta ad ascoltarmi mostrandosi letteralmente estasiata, più carina che mai.

Ha fatto seguito una ben più esigua ruota della fortuna. L'aggeggio rudimentale è montato in un baracchino traballante, fra gli stands che fanno da corona all'area della festa. Un piccolo uomo dalla grossa voce imbonisce i clienti un po'annoiati, strillando nonsense e facezie. Dopo la vendita dei biglietti numerati, la ruota fissata in verticale gira sospinta da una ragazza mongoloide: attendibile garante, con la sua persona disponibile e innocente, della regolarità dell'operazione. Quando la ruota si arresta, un indice di metallo flessibile punta una casella con il numero vincente. In palio, rustici ma sostanziosi salumi e caciotte.

Abbiamo speso un minuscolo patrimonio in biglietti, finché l'impaziente baby-hacker non avesse vinto qualcosa. Ora se la dorme soddisfatto e beato, con una espressione angelica, sdraiato su una panca del ristorante deserto e abbracciato a un immane prosciutto. La luna in cielo illumina da vicino e di riflesso la cupola della chiesa, finalmente esposta alle luci della ribalta, in un effimero trionfo. La mano stretta nella mia, l'attenzione di Arianna è tuttavia ancora una volta concentrata sulla ruota del Luna-Park, ormai spenta e inerte.

- La ruota in movimento - sussurra improvvisamente seria, nel silenzio della festa che langue - mi ha sempre ricordato una antica leggenda dell'India. Che sia la ruota delle esistenze, con il suo perenne travaglio, a tenere in piedi l'illusione di questo nostro mondo. Che cosa accadrebbe, però, se quella ruota un giorno si arrestasse davvero; se non ci fosse più nessuno a darle una spinta? Per i tuoi compagni hackers, la risposta sarebbe forse facile e quasi ovvia. Nella migliore delle ipotesi, non ci resterebbe che riversarci tutti, almeno quelli che sanno e che possono, nella memoria di un grande computer. Ma, per quanto profonda possa essere tale memoria, lo sarebbe infinitamente meno di quella della natura, con tutte le sue imperfezioni e ingiustizie. Non credo che io ci starei, a una soluzione del genere...

- Credo di capire che cosa intendi. E' un po' la stessa faccenda che per il sesso virtuale. Sarebbe senz'altro più sicuro e igienico, anzi asettico. Forse, addirittura più gratificante. Ma irrimediabilmente e disperatamente sterile. Non è così?

Lei annuisce, mentre sottrae la sua mano alla mia, senza un motivo preciso. L'altra scivola lentamente fra i capelli arruffati del bambino, a impartire una carezza furtiva. Quando torna a voltarsi verso di me, il suo sguardo è inspiegabilmente freddo, più che indifferente.

Dal canto mio, mi dolgo mentalmente di averle mentito, Infatti, non è proprio vero che i miei contatti con i vecchi del giro siano così innocui e disinteressati, come le ho lasciato credere. Occorre altro, che l'indagine di una novellina - brava quanto si vuole -, per farla a un hacker navigato. O, magari, ha fatto invece solo finta di credermi. Allora, il senso del suo ultimo discorso suonerebbe assai meno impersonale e svagato. In ogni caso, questa storia idilliaca non potrebbe durare. Mi correggo: non può neppure iniziare. Anche se, in fondo, mi dispiace da morire. Se non altro, per i codici interpretativi ovvero per le passwords che io e Arianna abbiamo in comune. Per un attimo, mi sono perfino figurato che lei potesse farmi da guida: quasi come programmato e tramandato nel famoso mito.

Purtroppo, noi hackers della prima ora siamo fatti così. Un po' utopistici, un po' esoterici, un po' ostinati e ribelli. Ma, soprattutto, inguaribili solitari e superstiti esploratori di fine-millennio, al margine di ogni legge e convenzione sociale. E' come se i ponti con la realtà "normale" del mondo si fossero virtualmente incrinati alle nostre spalle. E' tardi, a questo punto, per rimpianti e ripensamenti o per tornare indietro. Fuori dai paths tortuosi e ciechi del labirinto informatico. Lontano dal suo irraggiungibile e abbagliante, fosse pure fatale, centro.