Pino Blasone - ALICE CIBERNETICA - Romanzo


OTTO

 

Nonostante le differenze di carattere e qualche divergenza di punti di vista, altri incontri erano seguiti a quello sopra descritto in maniera abbastanza spensierata, finché con Arianna non era maturata una duratura amicizia. Per dire l'intera verità, erano stati soprattutto il sentimento tenace nei riguardi di Alice e l'interferenza della sua ombra a impedire che la semplice affinità elettiva lasciasse il posto a una relazione più profonda o a un legame più solido.

Date le circostanze presenti, era ora probabile che il software, da cui poteva dipendere la mia liberazione, sarebbe finito proprio nelle sue mani per essere esaminato. Era anche possibile che ella avrebbe associato il mio caso a quello precedente di Alice, al quale si era interessata dietro mio invito e con la mia collaborazione, sebbene con esiti non decisivi. Sia pure a mie spese, dovevo anzi riconoscere che i suoi consigli mi erano stati di prezioso aiuto.

Dal confronto attuale, la brava investigatrice informatica avrebbe potuto sicuramente ricavare più di qualche vago indizio. Ma era necessario che sollecitassi e agevolassi al più presto un suo intervento. Come mettermi in contatto con lei, prima che eventuali danni irreparabili al mio "hardware corporeo" rendessero vano il mio piano di evasione? Per la verità, stava qui il punto più dubbio e incerto della delicata faccenda. Io avevo davvero un piano, o si trattava solo di impotenti e frustranti fantasie?

Ammesso che fossi riuscito a superare i problemi accennati, una operazione di backup così complessa come quella di riversamento della personalità avrebbe in pratica funzionato? Dovevo studiare ogni dettaglio e concentrarmi sull'aspetto tecnico. La mia esperienza di vecchio hacker rappresentava un relativo vantaggio. Ma era indispensabile assicurarmi la complicità di Alice, nella quale non riponevo ormai alcuna fiducia. Non avevo, tuttavia, altra scelta.

* * *

Una delle maggiori difficoltà di azione, in un ambiente interamente virtuale, è il non potersi basare o fare riferimento a nessun hardware evidente. Gli altri "riversati" portavano perciò iscritto e integrato sul palmo della mano un tastierino, che consentiva loro una certa autonomia decisionale. Osservando attentamente, non mi ci volle molto ad accorgermi che ogni comando impartito attraverso tale strumento faceva capo, veniva smistato e messo in esecuzione da una centralina.

Già allora, il controllo ne era affidato a una Intelligenza Artificiale. Essa era inoltre incaricata del reperimento delle fonti di energìa al fine di assicurare un rifornimento costante, di disporre - in caso di emergenza - la disattivazione provvisoria o parziale del software fondante, di razionalizzare le configurazioni di memoria utili. Insomma, il cuore della Città Virtuale funzionava e funziona press'a poco come il sistema operativo di un potente computer. Conseguenza indiretta di ciò era che qualunque S.O.S. poteva essere intercettato e bloccato, anche nel caso che fossi arrivato a convincere Alice a farmi utilizzare il suo tastierino allo scopo.

Intuibilmente, non è affatto una impresa facile ingannare una Intelligenza Artificiale, sia pure del modello non perfezionato allora in uso. Dovevano comunque esistere canali diretti verso l'esterno e un tipo di messaggi che avessero priorità e via libera, a causa della loro importanza e impellenza. Di sicuro, quelli riguardanti ricerche di dati, input o indicazioni, circa gli approvvigionamenti di energìa. Non mi restava che sforzarmi di imitare mentalmente una formula di tale natura, in un codice a suo tempo convenuto e decifrabile da parte del destinatario. E augurarmi che transitasse, e che venisse recepita.

A tal fine, il messaggio avrebbe dovuto essere trasmesso ripetutamente, con una certa frequenza automatica. In assenza di un numero di modem certo con cui sintonizzarsi, l'emissione avrebbe altresì dovuto essere contrassegnata da precisi riscontri presenti nel software, da me involontariamente lasciato nel drive del mio personal. Solo la fortuna avrebbe potuto far sì che si verificasse l'ultima condizione: vale a dire che il momento dell'inoltro coincidesse con una fase di attivazione del software in questione da parte dell'attuale depositario, o che lo stesso fosse stato da lui copiato per comodità di lettura nella memoria fissa del proprio computer.

Va da sé che il reale contenuto del messaggio, oltre a pochi cenni sulla mia condizione, avrebbe incluso tutte le istruzioni residue necessarie, per integrare o per interpretare quelle già esaurienti presenti nel disco. Infine, il mio del tutto ipotetico salvatore o salvatrice avrebbe potuto scegliere o meno di gestirle con auspicabile e generosa determinazione.

* * *

Se i miei rapporti con gli altri "riversati" erano limitati a una prudente cortesia - nonostante che fra essi avessi perfino individuato vecchie conoscenze -, quelli recenti con Alice erano improntati a una decisa freddezza. Fu pertanto con notevole imbarazzo e con una buona dose di affettazione che mi sforzai di fingere un riavvicinamento nei suoi confronti: fino al momento in cui ritenni opportuno rivolgerle la mia delicata richiesta.

Contrariamente a ciò che avevo temuto e con mia sospresa, lei cedette in pratica immediatamente: quasi che si fosse resa finalmente conto della mia irrimediabile infelicità e delle ragioni del mio risentimento nei suoi confronti, al punto da contravvenire alle rigide norme dettate dall'istinto di conservazione del suo gruppo. Oggi, posso non senza sollievo affermare che la sua volontà non fu del tutto estranea a quel poco che si sarebbe verificato a mio favore.

All'epoca, confesso, sospettai che il suo nuovo atteggiamento fosse suggerito dalla mera consapevolezza che il mio tentativo fosse irrisorio e destinato in ogni caso al fallimento. Quando poi vidi, con il passare di lunghi giorni, che nessun risultato era scaturito dal "dispaccio in bottiglia" da me lanciato nel mare dell'etere, fui colto da una ulteriore crisi depressiva. Le ipotesi a me più verosimili parvero infatti che l'Intelligenza Artificiale centrale avesse riconosciuto la vera natura della comunicazione e che l'avesse bloccata, o che la stessa Alice mi avesse tradito.

Fu allora che misi in atto un gesto disperato e insensato, che avevo congegnato nella mia mente con lucida determinazione. L'intento iconoclasta era di seminare confusione e panico nella grigia impassibilità dei "riversati", più ancora che la speranza di mandare in tilt la centralina e l'obiettivo connesso di approfittare in qualche modo della situazione a mio vantaggio. Come se niente fosse, pregai Alice di farmi inoltrare un nuovo messaggio tramite la sua minuscola tastiera. Anche ora, ella acconsentì senza apparenti problemi, esasperando così inconsapevolmente la mia irritazione.

Prima che lei potesse accorgersene, quella che avevo rapidamente digitato era una lunga e complessa sequenza in codice. Il contenuto era un comando diretto alla centralina elettronica. Paradossalmente, questa volta l'Intelligenza Artificiale non dovette intravedere nulla di anomalo o di pazzesco nella sua applicazione. In breve, un centinaio di duplicati del mio ologramma, sorti dal nulla e del tutto svincolati dalla mia personalità, cominciarono a circolare automaticamente e disordinatamente per i livelli nascosti della Città Virtuale. Essi si muovevano in ogni direzione e compivano gesti casuali, destituiti di ogni logica.

Di fronte alla scena caotica e assurda e allo sconcerto sia di Alice sia dei suoi compari, non riuscii a trattenermi da una risata nervosa, senza neanche riflettere che ciò sarebbe potuto servire a identificare il mio ologramma originario, rispetto ai suoi virtuali sosia. Non ebbi il tempo di ravvedermene, né di improvvisare eventuali altre mosse. Presto sprofondai in un sonno profondo e senza sogni, tipico di uno stato di interruzione dei flussi di energìa e della conseguente disattivazione di ogni circuito: simile se non identico a una morte totale.

* * *

Quando mi svegliai, non avrei potuto "resuscitare" in un luogo più consono alle circostanze. Ero stato trasferito nell'ampio cortile rettangolare a cielo aperto del Camposanto monumentale, che nella realtà "vera" faceva parte del complesso del Campo dei Miracoli di Pisa. Il giardino centrale era circondato tutt'intorno da un largo portico traforato da splendidi finestroni gotici, e da alte mura interamente coperte da affreschi medievali e rinascimentali, raffiguranti il trionfo della morte e il giudizio universale, i santi eremiti della Tebaide o giù di lì.

Come se ce ne fosse stato il bisogno, fu quest'ultimo particolare a rammentare con rinnovato sconforto e a farmi rendere inequivocabilmente conto di non trovarmi nell'originale, bensì ancora nella dimensione della realtà virtuale. Infatti, notoriamente i dipinti in questione erano stati distrutti da un incendio conseguente a un bombardamento aereo durante la seconda guerra mondiale. Le misere parti superstiti erano state restaurate e ricomposte nei locali di un museo. Poco a che vedere con queste riproduzioni in loco, complete e pressoché perfette.

- Ammirevoli, non è vero? -: era stata una voce grave e maschile, a pronunciare tali parole alle mie spalle.

- Direi proprio di sì, se non fossero falsi e ingannevoli - risposi seccato, voltandomi verso il personaggio sconosciuto e importuno.

- Non meno dei tuoi ologrammi - ribattè l'altro, con una intonazione garbata ma ironica.

- Il mio intendeva essere solo uno scherzo, sia pure di cattivo gusto. Invece, voi fate sul serio. Un po' troppo, per le mie abitudini.

- Se volessimo sottilizzare, il tuo scherzo potremmo definirlo sabotaggio. Colpa dei tempi che corrono e delle cause di forza maggiore. Non nego, però, di essermi divertito. Era tanto che non succedeva nulla del genere da queste parti. Tu, piuttosto, non sei affatto cambiato. Siamo stati perfino costretti a disattivarti per un po'. Spero che non te la sia presa troppo a male. Un vecchio hacker, dietro una facciata rispettabile: ecco quello che sei rimasto.

"Non ho mai nutrito certe pretese, ma nemmeno adottato, come voi, altre maschere", stavo per polemizzare per le rime. Ma mi interruppi interdetto, e non per timore o per soggezione. Era che avevo riconosciuto dall'espressione, adesso che lo vedevo sorridere in maniera distesa, il mio vecchio amico e maestro. Lo stesso, con il quale ci eravamo detti addio anni addietro e lasciati sulla spiaggia - sempre virtuale - di Ostia Antica. Ricordate, ormai anche voi, quella fatidica edizione dei Convegni Cibernautici Internazionali? Era dunque lui quello che dagli stessi "riversati" avevo udito chiamare, con aria di rispetto, Grande Maestro. Avrei dovuto immaginarmelo.

* * *

Nubi bianche e voli di rondini trascorrevano nell'azzurro sopra le nostre teste. In quel luogo cantato da famosi poeti, già nella concezione dei primi ideatori dedicato all'elevazione dello spirito, non era stato trascurato nessun particolare che favorisse la meditazione o la contemplazione. Del resto, noi stessi non eravamo ridotti a puri spiriti? Eppure, il concetto virtuale di purezza non mi sembrava esattamente quello vagheggiato dagli artisti e dai poeti di ogni tempo.

Il maestro era appoggiato di spalle al bordo di un capace sarcofago romano scolpito a bassorilievo. Il suo originale era stato trasportato chissà quando nel cimitero e forse riutilizzato. Sul frontale, due pagani geni alati, in tutto simili agli angeli della tradizione biblica, affiancavano una porta socchiusa. Essi tenevano per mano rispettivamente un uomo e una donna dalle lunghe vesti, probabilmente due coniugi defunti, e li guidavano verso lo spiraglio.

Anziché rispondere ai miei interrogativi metafisici tendenziosi, l'anziano cibernauta dall'aspetto giovanile si scostò e si voltò. Distendendo la mano aperta verso il sarcofago, usò il suo tastierino come un telecomando, ciò che avevo già visto fare ad Alice in altre occasioni. La porta di falso marmo si ingrandì e si spalancò lentamente, mostrando un varco. Lui mi fece cenno di seguirlo lungo il cunicolo. Questo conduceva a una stretta balconata di roccia.

Affacciandosi, era possibile scorgere una voragine che si restringeva in forma di un gigantesco imbuto. Essa riceveva la luce di un sole immaginario, attraverso una bocca di cratere nel soffitto della caverna. Come se ci trovassimo nel ventre di un vulcano spento. Una serie di scale tortuose conduceva in basso, collegando fra loro terrazzamenti circolari degradanti, su cui affacciavano gli ingressi di presunte abitazioni scavate nel sasso.

L'intero sito appariva però deserto. Sul fondo, un grosso parallelepipedo scuro: presumibilmente un edificio, ma senza finestre né altre aperture visibili, eccetto un foro tondo nella parte superiore.

- E' l'ultimo livello scoperto della realtà virtuale. Sarai tra i pochi ad averlo visitato - spiegò la mia guida, prevenendo le mie domande.

- Scoperto? Che cosa intendi dire, con "scoperto"?

- Significa precisamente quello che ho pensato. Non ci crederai, ma questo che ora vedi non è opera nostra, né recente dell'uomo. Qualcuno ci ha preceduto. Né si comprende che fine abbia mai fatto. Sparito, senza lasciare tracce, tranne queste vuote forme e l'eco di qualche leggenda.

- Si possono certo avanzare delle ipotesi - aggiunse il mio interlocutore, dopo un istante sovrappensiero - Che una improvvisa carenza di energìa abbia estinto i "riversati" qui annidati, risparmiando stranamente il loro guscio, da noi riattivato. O che essi siano emigrati verso una migliore sede, riuscendo magari a reincarnarsi altrove nell'universo. O, addirittura, che siano stati assorbiti in una ulteriore dimensione del reale, a noi ignota e impensabile...

- Specialmente con le mie ultime esperienze, mi riesce francamente difficile meravigliarmi di qualcosa. Però, non è neanche facile credere che quanto sostieni sia potuto avvenire così, sia pure in un remoto passato: senza che ne sia rimasta una documentazione esplicita, o una testimonianza cifrata. Se non sbaglio, accennavi a delle leggende.

- Le ragioni di tanto silenzio possono essere più d'una. Paura di qualcosa o di qualcuno in particolare. Sfiducia nel resto dell'umanità. Una sottile forma di gelosia o di egoismo. Più meno le stesse, che motivano la nostra riservatezza. Purtroppo, non sempre a torto: non credi? Quanto a eventuali documenti, non escludo che esistano. Solo che li stiamo cercando, finora inutilmente. Circa gli indizi leggendari, capirai forse meglio quando saremo scesi laggiù, dentro il bunker centrale.

* * *

L'accesso a quello, che effettivamente presentava l'aspetto di un enorme bunker, era un corridoio sotterraneo. Al termine di questo se ne aprivano altri e poi ancora numerosi altri, tutti oscuri e alcuni senza uscita. Per orientarsi, la mia stessa guida fu costretta ad usare la sua tastiera manuale come un mouse, o come un piccolo joystick. Una freccia lampeggiante e azzurra, apparsa davanti a noi, ci fece gentilmente strada.

Alla fine, sboccammo in una sala circolare e sfolgorante. Un foro nel soffitto coincideva con quello più ampio nel tetto e con l'altro, ben più largo, al culmine dell'intera caverna. Già lungo il percorso all'esterno, tra le case abbandonate intorno all'edificio, ero rimasto colpito dalla strana architettura: un misto di avveniristico e di arcaico. Né quest'ultimo aspetto era del tutto nuovo ai miei occhi.

Adesso, non ebbi più dubbi. Lo stile del locale era prossimo a quello degli antichi palazzi dell'isola di Creta, riportati alla luce da scavi archeologici. Un giro di colonne colorate, strette in basso e più larghe in alto, delimitava nel mezzo una piattaforma sopraelevata. Sulle pareti era più volte rappresentato un simbolo inconfondibile. Un'ascia bipenne.

- E' una riproduzione del Labirinto! - esclamai.

- Qualcosa del genere. Ma non sono stati certo i cretesi a realizzarlo. Né ci troviamo di fronte, attendibilmente, a una riproduzione, bensì all'originale che ha ispirato leggende assai più tarde. Doveva essere una sorta di santuario virtuale, meta di pellegrinaggi transreali. Solo in un secondo tempo, si presume che coloro i quali l'avevano concepito vi abbiano trovato stabile, anche se non definitivo, rifugio. Probabilmente, spinti da un cataclisma verificatosi nella loro terra di origine.

Fissai a lungo il mio vecchio maestro negli occhi con aria perplessa, prima di azzardarmi a pronunciare il nome che mi era venuto subito in mente. La sua conferma non si fece, però, attendere:

- Ritengo anch'io che possa essersi trattato dei mitici atlantidi. I pochi indizi concorrono in tal senso. Tuttavia, ciò non solo non elimina il mistero. Semmai, lo complica. Eppure, la soluzione del mistero può rivelarsi di capitale importanza, per noi. Come vedi, interessi inediti e forti emozioni non mancano nemmeno nella dimensione della realtà virtuale. E tu potresti esserci di valido aiuto, se solo accettassi di essere dei nostri, come ho fino ad oggi sperato.

Pronunciando queste ultime parole, lo sguardo del Grande Maestro aveva acquistato una intensità magnetica, che conoscevo e ricordavo bene. A un tratto, mi divenne tutto chiaro: fin dall'inizio della mia vicenda; non escluso il ruolo che Alice vi aveva rivestito. Mi avvicinai alla piattaforma vuota e accarezzai la liscia superficie, nonostante che non ne ricavassi alcuna sensazione.

- Lasciami provare a completare la tua tesi di fondo - dissi, per tutta risposta - E correggimi se sbaglio. Proprio qui dovevano poggiare, se così si può dire, i circuiti virtuali di una Intelligenza Artificiale di inaudita potenza. Tale, da essere in grado di materializzare daccapo i suoi immateriali fruitori: anche a distanza e in un pianeta remoto, le cui condizioni fossero ospitali. Forse, un giorno, sapremo se l'intera operazione sia riuscita o se sia invece fallita durante la sua esecuzione, con conseguenze intuibilmenta tragiche. Ma ciò che più interessa, a questo punto, è se un tentativo del genere sia ripetibile anche in parte, e con quali probabilità di successo...

Sotto quella superficie refrattaria, poteva effettivamente celarsi quel centro abbagliante, quella sorgente immemoriale e anonima che aveva affascinato le nostre esistenze. Ma poteva semplicemente trattarsi di un livello sconosciuto, e poi di un altro, e di un altro ancora. Insomma, di un nuovo giro della grande ruota, in un circolo vizioso o in una illusione senza fine. E io, che stavo lì lì per cascarci di nuovo. Tornai allora a rivolgermi al primo fra i "riversati": almeno, tra quelli dell'ultima leva.

- Mi spiace molto, - conclusi, con sincera amarezza - ma io proprio non me la sento. E, poi, c'è sempre il mio corpo laggiù che mi aspetta. Senza contare che ce ne sono molti altri, non disgiunti dai loro spiriti, i quali nemmeno sospettano che tutto ciò sia praticabile. Se solo fosse possibile tornare, cercherei anzi di dimenticare l'intera faccenda, o di far finta che sia stato soltanto un sogno. Nient'altro che un lungo sogno: per reciproca sicurezza, e con buona tranquillità di noi tutti.