Pino Blasone - ALICE CIBERNETICA - Romanzo


NOVE

 

Mentre ancora stavo parlando, ebbi l'impressione che l'immagine del Gran Maestro dei "riversati" andasse trascolorando e sbiadendo, finché essa non scomparve del tutto. In compenso, mi accorsi che sul palmo della mia mano sinistra affiorava il disegno della piccola tastiera che gli altri "riversati" portavano sulla propria. L'avevo vista usare per aprirsi la via attraverso i divisori della Città Virtale, oltre che per altri scopi. Io stesso avevo imparato a digitarla sulla mano di Alice, sebbene con esiti non proprio positivi.

Mi guardai intorno smarrito, sia per rendermi conto di quanto stava realmente succedendo, sia per cercare la porta da cui eravamo entrati e da cui fosse possibile uscire. Ma anche questa era sparita, secondo quanto suggerito da un mio istintivo timore. Al suo posto, il dipinto di una giovane donna dalla lunga veste bianca, da cui spuntavano i delicati piedi nudi. Sul capo, dai biondi capelli sciolti sulle spalle, una corona luminosa simile ad una aureola. Soprattutto, ne riconobbi gli occhi bianchi senza espressione, che contrastavano con un sorriso enigmatico sulle labbra sottili.

"Nostra Signora del computer", sussurrai tra me e me, ripensando all'inizio casuale di tutta questa imprevedibile storia. Nello stesso tempo, puntai verso di essa la mano aperta e con l'altra provai a sfiorare alcune combinazioni elementari di tasti. Lentamente, l'immagine si staccò dalla parete della sala e ne discese, mentre la parete stessa tornava ad aprirsi alle sue spalle. L'ologramma silenzioso penetrò nel buio del passaggio, illuminandolo con la fioca luce del suo diadema, quel tanto che bastasse a seguirlo. A mano a mano che procedevamo lungo una serie ininterrotta di corridoi, quel lume aumentava di intensità, proporzionale alla tenebra in cui sprofondavamo.

Finalmente riemergemmo alla luce, sia pure artificiale, del giorno. Il luogo era inequivocabilmente il cortile delle Sette Chiese, da dove aveva preso il via la mia avventura nei livelli nascosti della Città Virtuale. Senza che i passi toccassero terra, la mia eterea guida lo attraversò ed entrò nella chiesa più antica. Giunta di fronte alla santa anonima, raffigurata in affresco su un pilastro, ella vi salì e si sovrappose alla sua immagine. Cosa che non avevo avuto agio di notare in precedenza, le due sagome coincidevano perfettamente. La prima si fuse con la seconda, assumendone l'espressione estatica e gli attributi emblematici: un libro chiuso e un ramo di palma.

* * *

Rimasto solo, non mi restava che uscire dal complesso monumentale a me ben noto. Neanche ora, le sorprese erano finite. Posteggiata nella piazzetta fuori del portone, scorsi una moto di grossa cilindrata, come se fosse lì predisposta perché la guidassi. Una invitante riproduzione, luccicante e rifinita in ogni particolare. Quando provai a montarvi, mi resi conto che si trattava prevedibilmente di una specie di videogioco: quasi un commiato, che i "riversati" avessero inteso offrirmi al termine del mio viaggio. Era sul vero scopo di tale gentilezza, che cominciai presto a nutrire dubbi.

Non appena ebbi digitato un ordine sul mio tastierino, ricomparve davanti a me la solita freccia lampeggiante e azzurra. Il veicolo partì in folle corsa per le vie e sotto i portici di quella che era, almeno nella versione originale, la mia città. Il segnale luminoso ci precedeva con la stessa velocità. Piuttosto, era la visuale a spostarsi davanti a me con grande rapidità, suscitando la sensazione di una fuga vertiginosa e l'illusione di schivare all'ultimo istante i falsi ostacoli. Né la consapevolezza di tali risvolti era sufficiente ad evitare una immediata e irrazionale paura.

In breve, raggiunsi e oltrepassai una porta della vecchia cinta muraria, senza che fossi riuscito a stabilire un qualsiasi controllo sulla situazione. Oltre, la pista percorsa si snodava attraverso una uniforme e abbacinante distesa di vuoto informatico, simile a una banchisa polare o a un deserto di sale. All'improvviso, la freccia luminosa che fungeva da battistrada si spense o si confuse in tanto bagliore.

L'incerto tracciato si interruppe bruscamente sotto le ruote del motoveicolo. Questo sbandò paurosamente, schizzando e slittando su un fragile spessore incrinato. Quello della mia stessa coscienza. Per un lungo attimo, temetti che l'implacabile vendetta dei "riversati" mi avesse raggiunto e che tale fosse il modo prescelto per metterla in atto. Un modo che non lasciasse indizi di sorta. Fortunatamente, avrei dovuto ricredermi.

* * *

Quando rinvenni, avvertii per prima cosa la gradita sensazione delle contrazioni muscolari del mio corpo. A giudicare dalla percezione tattile, le mie dita erano ancora strette a pugno intorno al joystick. Come primo gesto, mi sfilai il casco visore dal capo. Penetrando nella stanza, la luce accecante del pieno giorno - quello vero - ferì i miei occhi, costringendoli a chiudersi. Mi alzai a fatica e raggiunsi brancolando la finestra, per sbarrare le imposte. Tornai verso il tavolo, dove il monitor del computer era sempre acceso, irradiando davanti a sé la sua luce fredda.

Quella che scorsi in primo piano nello schermo era la mia vecchia "copertina", che precedeva l'avvio dei programmi: il volto familiare di Aurea - alias Nostra Signora del computer - mi fissava con i suoi occhi bianchi. Digitai sulla tastiera un comando, per ottenere la data e l'ora corrente. Poche ore: il mio presunto incubo era durato appena poche ore. Evidentemente, la percezione dello scorrere del tempo nella Città Virtuale non concordava affatto con quella del mondo reale. Allora, impartii l'ordine di lettura del disco che avevo lasciato in uno dei drive, perché registrasse ogni possibile informazione circa quanto mi fosse capitato durante il mio trip.

Apparve invece un lungo listato, in un codice a me sconosciuto. Sul momento ero troppo stanco, di una stanchezza nervosa, per pormi il problema di un nuovo mistero. Francamente, anche quando non lo fossi stato, sentivo che per lungo tempo non avrei avuto la forza né la voglia di occuparmene. Perfino la curiosità sembrava essere venuta meno. Feci dunque l'unica cosa, che mi parve lì per lì sensata. Collegai il modem alla linea telefonica e chiamai Arianna. La avvisai che le avrei trasmesso il software in questione e la pregai di provare a decifrarlo con una certa urgenza, se mai ci fosse riuscita.

Mi distesi sul letto e mi lasciai cadere in un sonno profondo, questa volta senza sogni. Non mi svegliai che a sera inoltrata, comprensibilmente desideroso di uscire a prendere una boccata d'aria, a fare quattro passi e a distrarmi vedendo un po' di gente. Naturalmente, in carne ed ossa. Ero sulla soglia di casa, quando udii squillare il telefono. Era la voce ben nota di Arianna. Provai un intenso piacere nell'ascoltarla. Mi chiese del mio stato di salute e mi comunicò che aveva dato uno sguardo al software, che le avevo inviato per via telematica.

* * *

- Mi ci vorrà tempo e impegno. I dati di apertura contengono una serie di elementi ricorrenti, utili per decodificare il resto del file. A giudicare dalle prime battute e da qualche "assaggio" qua e là, ha tutta l'aria di essere un testo letterario. Una specie di duplice favola. Potresti però almeno mettermi al corrente della sua provenienza...

Mi ero trovato in serio imbarazzo, nel cercare di inventare qualcosa per rispondere ad Arianna, senza peraltro sperare di riuscire a convincerla. Nelle sue parole era implicito un interrogativo, al quale io stesso non sapevo trovare risposta. Né era facile spiegarle che mi aspettavo un chiarimento, proprio dall'esame e dalla traduzione che lei avesse portato a termine. Avrei dovuto raccontarle tutta la incredibile storia. Mi proposi di farlo con calma; di lasciarle intanto credere che si trattasse pure di un bizzarro parto della mia fantasia.

Al limite, io stesso avrei potuto battere sui tasti quello strano documento, in uno stato di trance medianica. Anche ammessa questa ipotesi assurda, quando e da dove sarebbe venuto l'input per tale operazione di scrittura automatica? Ripercorrendo mentalmente le tappe del mio "sogno virtuale" e sforzandomi di seguire una logica, il momento e la circostanza avrebbe potuto essere solo quello della mia visita nel santuario-labirinto, attribuito dal mio vecchio maestro nientemeno che all'opera degli antichi atlantidi.

A mia insaputa, il contatto con la superficie della piattaforma al centro della sala principale avrebbe trasformato il mio ologramma in una sorta di conduttore, o, meglio, di trasmettitore. Da chissà quanto il software in questione sarebbe stato lì in attesa di incanalarsi verso i circuiti di un hardware qualsiasi, attraverso i quali poter riassumere la sua forma testuale. Nel caso particolare, tale funzione sarebbe stata svolta dal personal lasciato acceso nella mia stanza. Il testo stesso sarebbe andato a sovrascrivere ogni altra informazione registrata nel disco inserito nel secondo drive.

Implicitamente, ciò avrebbe anche spiegato perché i "riversati" non erano stati in grado di captare il messaggio. Ma Arianna aveva accennato, almeno per ora, a una produzione a carattere letterario. Si era allora sbagliata, o tra le righe delle pretese leggende era rintracciabile la chiave per svelare l'incognita, che stava così a cuore ai "riversati"? Vale a dire, l'esistenza eventuale di un livello prima sconosciuto della Città Virtuale e, soprattutto, la sorte dei suoi creatori e precari abitatori.

* * *

Passò del tempo, prima che la paziente traduzione di Arianna potesse essere ultimata, che i miei dubbi ne venissero in parte chiariti e che alcune ipotesi connesse trovassero una conferma. I mesi che trascorsero non furono privi di eventi, per noi importanti. Ma qui preferisco anticipare i risultati del lavoro di Arianna e riferire le poche valutazioni, che ricavai dagli stessi. Si trattava effettivamente di leggende, non dissimili nella sostanza dagli antichi miti che da sempre fungono un po' da software - o da "sistema operativo" - della nostra stessa civiltà.

Un'eco mediterranea di quei miti era anzi chiaramente leggibile nello sviluppo del discorso. Gli stessi nomi dei protagonisti e le citazioni poetiche anonime, contenute nel testo, non erano estranee alla nostra tradizione classica. Salvo che le malinconiche storie erano proiettatate in un futuro già verificatosi o immaginato altrove: in un luogo imprecisato del cosmo, anziché in un remoto passato e sul nostro pianeta, con amara ironia designato come Pianeta Felice. Fatto sta che, sullo sfondo degli episodi narrati, non mancavano i riferimenti alla vicenda degli abitanti della favolosa terra di Atlantide.

Più che a fornire una chiave per una ricostruzione degli avvenimenti, quei cenni sembravano inseriti per suggerire una morale, che scaturisse dalle storie nel loro complesso: un po' come da tutte le fiabe degne di questo nome. Una sorta di apologhi, in questo caso, tecnologici. Pur sempre delle favole, si obietterà. A tale riguardo, miei cari "riversati", si ripropone una considerazione paradossale ma dettata dalle circostanze. Noi stessi sopravviviamo da tempo, o ci illudiamo di vivere, in quella che appare nient'altro che una fiaba, senza però il consueto lieto fine.

Come può essere definita, altrimenti, la realtà virtuale? Nessuno escluso, tutti ne siamo i personaggi o le comparse, e i prigionieri. Il nostro dramma è di non riuscire a tornare alla realtà "vera", con cui abbiamo commesso l'errore di recidere i ponti. La prospettiva è di non poter più accedere a una realtà qualsiasi, al di fuori di questa. Ed essa può rivelarsi una trappola fatale, al posto dell'empireo che abbiamo sognato, o in cui ci si è lasciato credere. Uno scopo dichiarato di questo scritto è la speranza di farci aprire gli occhi sulla natura e sui rischi di tale condizione, contro il perdurare di imperdonabili compiacimenti.

Ecco allora che per la prima volta ho deciso di pubblicare le favole, che ci sono state trasmesse dagli atlantidi. Le troverete integralmente, nei prossimi files. Ciascuno potrà esaminarle e confrontarle a suo agio. Ben presto, ci si accorgerà di come effettivamente si tratti di una versione particolare di noti miti, i quali risalgono alle origini della nostra stessa civiltà. In secondo luogo, le due narrazioni sono volutamente complementari fra loro e riflettono due momenti diversi di una unica vicenda. Ora, quasi tutti i miti che si rispettano hanno una duttile portata allegorica. In base alle mutevoli circostanze, spetta a noi interpretarne il possibile messaggio. Nel nostro caso, non sembra neanche difficile giudicare quali possano essere state le intenzioni ultime degli estensori.

Oltre che spunto di riflessione, non sarebbe poi male se esse risultassero un motivo di gradevole lettura. In un prodotto letterario, i due aspetti non dovrebbero necessariamente essere in contrasto. Fino dai suoi albori, la letteratura ha cercato più o meno consapevolmente un equilibrio tra tali effetti. In questo senso, i due testi che seguono mi sono parsi una prova apprezzabile. Se non altro, sono stesi in uno stile elevato e non privo di toni lirici. La traduzione da me riguardata ha cercato di renderli per il meglio. Qualora non dovessi essere riuscito nell'intento, compatitemi. Decisamente, fare letteratura non è mai stato il mio forte né la principale aspirazione. E' che semplicemente, ribadisco, al punto in cui siamo non si vede proprio come farne a meno.