Pino Blasone - ALICE CIBERNETICA - Romanzo

DODICI

 

In un primo momento dopo gli eventi personali più sopra narrati, avevo cercato di tornare al mio lavoro, come se nulla di particolare fosse avvenuto. Ma il solo avere a che fare di nuovo con dei computer generava in me un senso di ansia e di claustrofobia. Dopo un periodo di riposo, finii giocoforza per riadattarmi. Il mio piccolo laboratorio di software sotto i portici della mia città ricominciò a funzionare a pieno ritmo. Proprio in quel periodo, le commesse da parte delle ditte interessate non mancavano. Il tipo di lavoro richiesto era un po' noioso. In compenso, mi prendeva completamente, impedendomi di distrarmi con vane elucubrazioni.

Già stavo per convincermi di aver sofferto di una serie di allucinazioni, quando un fatto imprevisto fu causa di agitazione, questa volta positiva. Subito dopo il mio trip nella realtà virtuale, secondo una vecchia abitudine ero andato a visitare Alice, nella clinica per malati di mente in cui era ricoverata da tempo. Nessun miglioramento apparente mi era stato segnalato, né io stesso avevo potuto constatarlo. Ben diversa da come l'avevo sognata e da come la ricordavo in tempi migliori, il suo stato catatonico permaneva invariato. I suoi occhi erano inespressivi. Il suo sguardo, irrimediabilmente perso nel vuoto.

L'idea fu di Arianna. Solo più tardi mi avrebbe confidato di aver creduto così di interpretare misteriose istruzioni in codice, ripetutamente apparse nel monitor del suo computer. Ella agì in effetti di sua iniziativa, ritenendo non a torto di operare per il meglio. Grazie alla sua qualifica professionale, convinse i medici curanti a tentare un singolare trattamento. Sottoporre Alice all'esperienza del viaggio nella realtà virtuale, utilizzando lo stesso software che io avevo impiegato. Di esso, già in precedenza avevo rivelato l'esistenza alla intraprendente ispettrice di polizia informatica. Dietro sua insistenza, acconsentii a fornirgliene una copia, non senza una punta di scetticismo.

Lì per lì, gli sperati effetti stimolanti furono effettivamente nulli o deludenti. Nei giorni successivi, alcune telefonate avrebbero avvisato Arianna di repentini mutamenti nell'atteggiamento di Alice, tali da far temere il sopraggiungere di una crisi: fenomeno di per sé insolito in uno stadio avanzato, e giudicato irreversibile, della sua malattia. Date le notizie allarmanti e incerte sulla salute della paziente, Arianna per un suo scrupolo preferì non avvertirmi subito. Si recò invece a verificare la situazione di persona e per suo conto. Anche di queste circostanze, sarei stato informato in seguito.

* * *

Una mattina sul presto, ricevetti la visita inattesa di Arianna. Pensai che volesse parlarmi del testo da decifrare che le avevo affidato di recente. Mi sembrò però strano che, abitando e provenendo da un'altra città, non avesse prima avvisato del suo arrivo. Si sedette su un divano del soggiorno, insolitamente silenziosa, mentre preparavo il caffè nell'angolo da cottura. La luce attraverso la finestra la illuminava da un lato, mettendone in risalto il profilo deciso, in modo che io potevo scorgere il lato in ombra della sua persona. Non so bene perché, non potei fare a meno di osservare mentalmente quanto lei fosse diversa da Alice. E non solo fisicamente.

- Il materiale che ti preme è interessante, ma te lo invierò al più presto - disse, lasciando capire che non era lì per quel motivo - C'è una questione più urgente, che riguarda noi. Negli ultimi tempi ho trascurato le mie faccende personali, e specialmente mio figlio. D'ora in poi, ho intenzione di occuparmene di più. Ci sentiremo o vedremo meno spesso. C'è già il mio lavoro, che mi impegna abbastanza. Anzi, penso che sia meglio che per un periodo non ci sentiamo affatto. Io ho bisogno di riordinare le mie idee. Del resto, credo di aver esaurito il mio compito. Come si dice nel mio ambiente, il caso è risolto. Quanto a te, avrai altri a cui badare...

Una goccia di caffè schizzò fuori dalla caffettiera in ebollizione e cadde sulla mia mano. Trattenni a stento una imprecazione di dolore. Nonostante il suo linguaggio forzosamente militaresco e che il suo viso fosse girato verso la finestra, mi ero accorto che Arianna piangeva. Come se stesse scaricando una tensione nervosa lungamente repressa, o pagando il prezzo di una sottile violenza esercitata su se stessa.

- Alice - esclamai dopo un attimo, senza riflettere oltre - Tu, in realtà, stai parlando di Alice! Ma dov'è? Che cosa le è successo?

Arianna si voltò verso di me. Non piangeva già più. Ma qualche lacrima luccicava sul suo viso nella penombra.

- Non ti preoccupare - rispose, con un tono di voce disciplinato e responsabile - E' sana e salva. A quanto pare, più sana che mai, anche se ha ancora bisogno delle tue cure. Non è lontana da qui, e ti aspetta. Io stessa l'ho accompagnata. E' stata lei a volere che vi incontraste altrove. Sostiene, pure, che tu sai dove. Spero che non sia stato un azzardo lasciarla sola. Ma ha insistito molto, né ho ritenuto che fosse il caso di contraddirla. Fai presto, e attento a usare la massima delicatezza. Io, è davvero meglio che non venga.

Abbracciai e baciai Arianna sulla soglia, mentre cominciavo a rendermi meglio conto del suo ruolo nell'intera faccenda. Ciò che non potevo prevedere è che effettivamente non l'avrei mai rivista di persona in seguito. La cosa più incredibile e preoccupante è che anccora oggi lei manchi all'appello fra noi, per quante ricerche abbia potuto compiere sul suo conto.

Ma, allora, i miei pensieri tendevano irresistibilmente in un'altra direzione. Ero incredulo e impaziente di verificare se Alice fosse sul serio guarita o convalescente, come Arianna aveva fatto capire. Inoltre, speravo in fondo di ricevere da lei qualche possibile lume sulle mie stesse ossessioni.

* * *

Circa il luogo in cui avrei potuto trovare Alice, non ebbi dubbi. Non poteva che trattarsi dello stesso dei nostri frequenti appuntamenti giovanili. Coprii in fretta se non di corsa la distanza, che separava la mia abitazione dalle Sette Chiese. Cercai affannosamente nel dedalo del complesso, ma invano. Gli edifici e i locali erano deserti. Non era quello il posto designato? Si era trattato di uno scherzo di pessimo gusto, da parte di Arianna? Alice si era di nuovo persa nel labirinto, che funge da interfaccia tra immaginario e reale? O, piuttosto, ero io ormai ad altalenare fra razionalità e follìa?

Dominai le mie angosce e tornai sui miei passi, sforzandomi di ripercorrere con calma il sacro itinerario. Quanto alla santa anonima, lei era sempre lì, impressa nel suo affresco e sul suo pilastro, superstite alle distruzioni, ai rifacimenti e agli occultamenti secolari. "Nostra Signora del computer", come l'avevo tra me e me soprannominata, così per gioco e quasi per scherzo. Adesso che lo scherzo rischiava di farsi pesante e il gioco drammatico, fui tentato di appellarmi confidenzialmente a lei: pur di riuscire a restituire un senso alla mia esistenza. Non necessariamente un senso logico. Un senso qualunque, purché fosse.

Una lunga ombra sottile si disegnò sul pavimento, proiettata dalla luce che entrava dall'ingresso alle mie spalle, spingendosi fino a lambire il pilastro di fronte. Non mi voltai subito, poiché temetti di restare deluso. Un flash infantile attraversò la mia mente. L'arcaica favola di Orfeo e Euridice, ascoltata per la prima volta tanti anni addietro. Quando lui si gira verso di lei, che riemerge dalla tenebra mortale, prima che entrambi raggiungano la soglia di questo mondo. Il poeta viola così la condizione posta dagli dei degli inferi, e la ninfa si dissolve sotto i suoi occhi. Questa volta, per sempre.

Attesi che la presenza appena sopraggiunta fosse al mio fianco. Solo allora la guardai a lungo, e le sfiorai il viso con una mano. Era proprio Alice, in carne ed ossa. Assolutamente nulla di "virtuale". Lo sguardo mobile e espressivo. Qualche filo grigio tra i capelli. L'aria un po' sciupata e stanca, unico segno evidente lasciato dalla presunta malattia. L'accompagnai in silenzio fuori, nel chiostro medievale. La sua andatura era ancora incerta. Inforcò un paio di lenti scure, come per difendersi dai raggi spioventi del sole. Sedette sul muretto che delimitava lo spazio centrale aperto, con le spalle poggiate a una doppia colonnina.

Sul capitello romanico sovrastante, un grottesco mostro in pietra si protendeva verso di noi, quasi a volerci ghermire con i suoi minuscoli artigli. Nelle aiole del piccolo giardino curato dai frati, i cespugli di rose bianche o rosse erano in piena fioritura. Tolsi delicatamente ad Alice le sue lenti, per poterla osservare meglio alla luce del giorno. I suoi occhi erano socchiusi. Dopo anni che non ascoltavo la sua viva voce, le sue labbra cominciarono ad articolare suoni naturali e a parlare lentamente.

- Non farmi domande - fu la prima cosa che bisbigliò - Il patto è che noi non riferiamo a nessuno le esperienze che abbiamo in comune. Sono qui anche per questo. Per ricordartelo. Ciò non toglie che mi fa piacere esserci. Tutt'altro, e assai più di quanto tu possa aver immaginato.

Gli occhi di lei tornarono a spalancarsi, illuminandosi, e le labbra a sorridere, come non ricordavo da un tempo pressoché illimitato.

- Pensiamo a vivere, invece - aggiunse semplicemente, nel suo stile di una volta - Magari, proviamo a recuperare un po' del tempo perduto...

* * *

A somiglianza dell'omonima eroina del noto racconto "Attraverso lo specchio" di Lewis Carroll, anche Alice era dunque tornata ad attraversarlo, verso la realtà del mondo. Sola e non trascurabile differenza, nel nostro caso si era trattato dello schermo del monitor di un computer, specchio emblematico dei nostri tempi.

Io e lei mantenemmo l'impegno assunto con i "riversati" e custodimmo gelosamente il nostro segreto. Da allora in poi, fino all'ultimo e definitivo riversamento delle nostre personalità, l'altro impegno fu con noi stessi: quello che Alice stessa aveva preannunciato. Pensare, cioè, a recuperare il tempo perso. Ci provammo insieme e ci riuscimmo in buona misura, senza per questo disinteressarci completamente degli altri. Intendo dire quelli all'epoca viventi, amici o estranei che fossero.

Uno dei pochi vantaggi della nostra condizione attuale è quello di ridurre il rischio di avervi annoiato con questa storia. Prima però di concluderla, voglio accennare a un'altra storia, che può presentare un nesso - sia pure indiretto - con la precedente. Da qualche tempo, sono venuto a sapere che circolano fra noi strane e insistenti voci, tutte da verificare. Esse riguardano una pretesa sopravvivenza di un esiguo gruppo di mortali, sul nostro vecchio e desolato pianeta. Nascosti da qualche parte nel sottosuolo, questi sarebbero così riusciti a resistere e a sottrarsi all'applicazione del famigerato editto sui riversamenti forzati.

Si dice anche che gli stessi siano guidati da un giovane avventuriero, che risponde - guarda caso - all'accattivante nome di battaglia di Baby Hacker. Se davvero la persona in questione esiste ed è quella vecchia conoscenza che io penso, avrei finalmente fondati motivi per supporre che Arianna sia ancora viva e che sia con loro. Come potete vedere, che ci piaccia o meno la storia si ripete, sebbene sempre su nuovi livelli.

In merito, vorrei rivolgervi un appello accorato, che è anche il senso generale dell'intera narrazione. Qualora le cose dovessero stare come non è affatto da escludere, certo la latitanza di pochi ribelli superstiti non rappresenterebbe un pericolo immediato per la nostra sicurezza e sussistenza. Anzi, un domani essi potrebbero costituire per noi l'unica ancora di salvezza e comunque l'ultimo legame con le radici della vita cosciente. Sapete: sempre più spesso, mi capita di pormi una domanda paradossale. E' mai esistita una realtà parallela e precedente a quella virtuale? O è stato tutto un sogno assurdo?

Aboliamo perciò l'anacronistico e inumano decreto sui riversamenti forzati. Procediamo a un tentativo di pacificazione, reciprocamente conveniente e dignitoso. Mortali e "riversati" hanno la stessa origine e natura. Essi sono complementari, non antagonisti. Per giunta, non c'è altra ragionevole via di uscita. Quale traspare dai miti e dal mistero in parte svelato dell'ultimo livello della Città Virtuale, la sorte subita dagli antichi atlantidi può servire da esempio e da ammonimento. Non rimane infatti che riportare, qui di seguito, la seconda leggenda da loro tramandata. Se ne possono ricavare un ulteriore chiarimento e una suggestione utile. Prima che sia troppo tardi, non lasciamoci dunque sfuggire la chance, che forse ancora rimane davanti sul nostro incerto cammino.