Pino Blasone - ALICE CIBERNETICA - Romanzo

TREDICI

 

 

Laodamia era stata una bambina introversa e fantasiosa, oltre che di indubbio genio. Quando i maschietti preferivano i giochi all'aperto, o all'interno di una stanza le bambine giocavano con le bambole - sia pure sofisticate -, ella addirittura le costruiva e le faceva muovere in uno spazio artificiale. Aggraziati emblematici ologrammi, evocati dal programma di un computer, che lei stessa aveva imparato a impostare e a governare con maestrìa.

A volte allestiva veri e propri spettacoli in miniatura, per la gioia di un pubblico di pochi ammessi: coetanei o adulti, questi ultimi accondiscendenti e compiaciuti. Di rado qualcuno di loro avvertiva e dissimulava un'ombra di preoccupazione, per tale innaturale precocità d'ingegno. Ma si trattava pur sempre di un gioco, innocuo e divertente: frutto di un'indole riflessiva e di uno spiccato spirito di imitazione, di cui non pochi bambini sono dotati in misura più o meno sorprendente.

Sulla scena di un teatrino in forma di emiciclo, colorate marionette cibernetiche rappresentavano e recitavano i semplici racconti ascoltati nell'infanzia, dalle labbra di qualche fantesca o nutrice. I miti si tramandavano di bocca in bocca, per lo più femminile, fino dai tempi della prima colonizzazione della galassia. Qualche sapiente sosteneva che essi fossero superstiti della cultura del misterioso pianeta di origine, capaci di sormontare secoli di decadenza e di barbarie. Certo, i lontani progenitori non dovevano essere stati del tutto dissimili dai contemporanei di Laodamia: così pensava anche la piccola principessa, divenuta ormai adolescente.

Era stata comunque la forza della loro vergine fantasia, a dare sicuramente vita agli eroi e agli dei. Questi popolavano ancora la mitologìa ed erano stati a lungo oggetto di ingenuo culto, ovvero modelli ai quali ispirarsi proposti alle giovani menti. Nell'animo della ragazza, che aveva ricevuto una scelta educazione tradizionale, essi si erano tuttavia andati trasformando in prodotti eminenti della poesia e dell'arte.

Di conseguenza, gli ologrammi attori delle sue favole si erano venuti raffinando e atteggiando in pose di aulica grazia e audacia. Non più semplici bambole o animate marionette, ma olimpiche statue dalle conturbanti nudità, tenute gelosamente celate a sguardi indiscreti o morbosi, nella segreta cifra di una memoria informatica.

* * *

Quando Laodamia si innamorò di Protesilao, altro giovane principe del pianeta Atlantis, quei pochi intimi, che si erano preoccupati a causa della sua eccentricità, finirono per rassicurarsi. Crescendo, era diventata una ragazza proprio come le altre. Anzi, di queste più carina e fortunata, assorta a volte in pensieri d'amore, e non rapita - come si sarebbe potuto sospettare, osservandola - da una estemporanea immotivata malinconia.

Ma proprio in quei tempi nubi di guerra si andavano addensando all'orizzonte. La contesa per il controllo dello spazio della galassia, con quello che veniva ormai comunemente definito il Pianeta Ostile, era degenerata da crescente competizione in aperta ostilità. In base all'imperativo di tale presunta minaccia, i regni autonomi, in cui era politicamente frazionato il territorio di Atlantis, si riunirono in una federazione dalle finalità espressamente militari.

I capi della coalizione stabilirono a maggioranza che occorreva passare da un atteggiamento offensivo a uno preventivo e offensivo, neanche dissimulando troppo - da parte di alcuni - mire espansionistiche. Ciò equivaleva, in pratica, a organizzare una spedizione congiunta contro il nemico, sotto un comando unificato. In nome dei rispettivi popoli affratellati da comuni cultura, origine, interessi, i vari sovrani avrebbero partecipato all'impresa in misura proporzionale alle proprie potenza e risorse. Come accade in certi casi, non appena fu trovato un immediato pretesto per tradurre in atto il progetto, neppure i meno convinti o bellicosi poterono sottrarsi al solenne impegno assunto.

Quaranta astronavi. Era la modesta ma agguerrita flotta che il padre di Laodamia e quello di Protesilao erano riusciti a mettere insieme, unendo le forze dei loro piccoli regni confinanti. Una mattina, il re ormai anziano fece chiamare la figlia. Le spiegò senza mezzi termini:

- Tu conosci l'antica tradizione. I nostri remoti antenati migrarono da un pianeta al confine della galassia, che i poeti hanno chiamato Pianeta Felice. La verità è che le condizioni di vita vi erano diventate impossibili. Qui abbiamo rifondato la nostra civiltà e costruito liberamente il nostro benessere. Non permetteremo che tutto sia messo nuovamente in pericolo, non per cause naturali bensì dall'aggressività di popoli alieni. Per questo, io e il tuo futuro suocero abbiamo deciso di unire le nostre esigue forze. Perché il nostro contributo alla salvezza di Atlantis sia efficace e rispettabile.

Dopo questa premessa di prammatica, il seguito del discorso coinvolgeva più da vicino la persona di Laodamia:

- Nessun altro, se non il giovane Protesilao, può assumere il comando. Affiancato, beninteso, da esperti capitani e da valorosi guerrieri di entrambi i regni. Domani è il giorno convenuto per la partenza, finora opportunamente tenuto segreto. La guerra non si preannuncia né facile né breve. Tu ami Protesilao e ne sei ricambiata. E' necessario che oggi stesso siano celebrate le nozze. Al suo ritorno, che ci auguriamo vittorioso per il suo e per il nostro bene, io e il re alleato o ambedue potremmo non essere più in vita. Allora, e comunque un giorno non troppo lontano, tu e il tuo principe regnerete su un unico prospero regno, per un numero indefinito di anni, in pace e in sicurezza e con il favore degli dei.

* * *

Una sola notte d'amore: tanto più intensa e struggente nel ricordo, quanto unica e breve. All'alba, Laodamia aveva accompagnato Protesilao sulla piattaforma del decollo. Questa si trovava su un altopiano, celata e protetta da alti monti circostanti. Dopo un ultimo bacio e un abbraccio, aveva assistito alla partenza della flotta. Emerse una dopo l'altra dal sottosuolo, le astronavi avevano spiccato il volo in rapida successione: verso lo spazio silenzioso e soffuso di luce rosata, che agli occhi della principessa nascondeva una prossima insidia, al di là di ogni più nero presentimento.

Il suolo aveva tremato a lungo. Per ultima si era sollevata la nave ammiraglia, quasi indugiando e cullandosi per un estremo saluto, prima di prendere quota e di scomparire in breve nel cielo, fatta un punto appena visibile a occhio nudo. Distolto lo sguardo dalla cupola trasparente della sala di controllo, Laodamia aveva seguito ancora per un po' la traccia della traiettoria, sullo schermo gigante di un elaboratore elettronico. Poi, era tornata nelle sue stanze della reggia, rassegnata all'impotenza di una vuota attesa.

Certo, ella non avrebbe potuto immaginare che questa si sarebbe conclusa tanto presto, nel peggiore dei modi. Infatti, l'atterraggio sul Pianeta Ostile non era stato una totale sorpresa per i suoi difensori. Lo sbarco era sì riuscito, a prezzo però di gravi perdite da parte degli atlantidi. Valorosamente, essi erano stati guidati sul campo dallo stesso Protesilao, dimentico o noncurante delle raccomandazioni della novella sposa. L'intervento e l'esempio del principe erano valsi a rovesciare l'esito dello scontro, determinando il successo dell'intera operazione, messa a repentaglio da un tradimento o da un errore di valutazione. Sfidata e respinta, la sorte avversa aveva preteso in cambio la vita del giovane: fra i primi caduti, nella prima battaglia di una guerra lunga, luttuosa e dalle alterne vicende. Recitano, in merito, i versi di un famoso poeta:

Per questo dunque, bellissima Laodamia,
a te fu strappato il tuo coniuge caro
più della tua vita e più della tua anima:
dall'alto di tanto amore fosti rapita,
d'ìmpeto spinta verso un ripido abisso.

 

* * *

La notizia era stata veloce e immediata. Sormontando le pietose protezioni messe in atto dalle persone a lei più vicine e affezionate, essa era penetrata e affiorata attraverso i circuiti elettronici di un terminale, che la vigile e esperta Laodamia era riuscita a mantenere collegato con l'esterno della reggia, e con il resto della galassia. La sua reazione iniziale fu di apparente indifferenza, unita a un atteggiamento di sconcertante sfrontatezza. Come se avesse sempre sospettato più ancora che temuto, nel suo intimo, il fatale evento. O, forse, non aveva avuto neanche il tempo di affezionarsi a Protesilao come a un marito. Il suo sentimento verso di lui aveva serbato le caratteristiche di una impulsiva ma labile passione adolescenziale.

Fatto sta che questo solo discorso uscì dalle sue labbra, diretto al padre Acasto, e formulato con accenti di tardiva risposta o di implicito rimprovero:

- Padre, la tradizione di cui sono venuta a conoscenza, sull'abbandono dell'antico pianeta Gheos, si discosta dalla vostra. Vale a dire, dalla versione ufficiale. Pare che quel pianeta fosse meno felice, di quanto lo abbia descritto la nostalgìa dei vecchi poeti. E non per colpa di cause naturali, come si continua a ripetere nelle nostre scuole. Bensì per l'avventatezza e per l'avidità degli uomini che lo abitavano. In ciò, i nostri progenitori non dovevano essere molto diversi da noi.

- Ora, non mi sembra che abbiamo imparato gran che dal loro cattivo esempio - seguitò la giovane donna - Anzi, ne abbiamo ereditato immutata la natura di fondo. Furono infatti le conseguenze letali di un conflitto fra i popoli del pianeta, a determinarne la decadenza e l'abbandono da parte dei vincitori. Quanto ai vinti, essi per la maggior parte perirono nella catastrofe che seguì, dopo una agonìa prolungata e sofferente. Questa, almeno, è la verità che oggi faccio mia. Può darsi che sia stata esagerata ad arte, dagli spiriti ribelli che l'hanno tramandata. Ma, ormai, non ho motivi sufficienti per dubitare che valga meno della vostra.

Acasto avrebbe voluto dal canto suo replicare che quella guerra, né più né meno dell'attuale, era stata in realtà imposta dall'imperativo della sopravvivenza, in una situazione di emergenza. Interpretando con brutale buon senso, si era trattato di decidere chi avrebbe potuto mettersi in salvo e chi invece no. Tuttavia, non ritenne la spiegazione dignitosa. Né adeguata a placare quello, che giudicò un comprensibile anche se non giustificabile stato di alterazione, auspicabilmente transitorio, della sua unica figlia.

* * *

Laodamia sembrò regredire ai giochi della sua infanzia e ai passatempi dell'adolescenza. Ritiratasi nelle sue stanze e rifiutata ogni compagnia femminile o maschile, tornò a dedicarsi alle sue sculture semoventi. Sempre più perfezionati e simili al vero, gli ologrammi sorgevano dal nulla e prendevano lentamente forma al centro di un campo magnetico. Essi non eseguivano più soltanto musicali movenze di danza, né recitavano scontate battute da tragedia. Opportunamente interpellati, muovevano le labbra e articolavano un proprio discorso. Quasi che esso provenisse dalla loro bocca e da un loro cuore, anziché da un sofisticato software programmato da Laodamia.

Fin dall'inizio, ella era in grado di controllare, indirizzare e correggere ogni loro movimento o parola nel monitor del computer, da cui dipendeva la loro stessa parvenza. In seguito, una volta avviato il procedimento, imparò a dirigere ogni cosa digitando i tasti di un minuscolo telecomando. Più agevolmente, il burattinaio dai fili invisibili diventava così spettatore e, volendo, egli stesso attore. L'effetto che ne derivava era di sorprendente realismo e autonomia dei personaggi. La loro creatrice cominciò a cadere spesso in preda a una insidiosa auto-suggestione. Che le immagini evocate, facendosi interpreti degli intimi inconfessabili moti del suo animo, fossero invece ipostasi emanate o ispirate da entità trascendenti. In altri termini, che gli antichi dei o eroi rappresentati tornassero a impersonarsi nei suoi ologrammi e a dialogare con lei.

Una sera in cui il maggiore satellite di Atlantis illuminava il cielo di luce riflessa, troppo forte fu la tentazione di evocare Persefone, la dea degli inferi, per rivolgerle una preghiera e una straordinaria supplica. Quello che era stato un gioco innocuo e raffinato rischiava di degenerare in una faccenda seria e anche pericolosa: una vera e propria sfida contro l'ignota e nei confronti di se stessa. Le difese personali critiche della giovane vedova si erano evidentemente allentate e indebolite, se pure non erano state irrimediabilmente compromesse dalla prematura e violenta morte dell'amato Protesilao. La grazia che Laodamia chiese al simulacro di Persefone fu appunto questa: che il marito compianto potesse tornare a lei per una notte. Per una seconda e ultima notte d'amore.

Disturbata nella sua divina indifferenza, la signora infernale dovette riflettere a lungo sulla sconvenienza e sulla temerarietà di tale richiesta. Tuttavia, si mostrò commossa dall'ingenuità e dalla spontaneità con cui essa era stata concepita e formulata. Forse, memore della sua breve vita e dei suoi amori terreni: quando ella aveva avuto più o meno l'età e la natura di Laodamia, come riferiva la propria stessa leggenda. Resa indulgente dalle circostanze, ella finì per lasciarsi convincere e per acconsentire al folle desiderio.

In tal modo, almeno, la mente della povera Laodamia interpretò la dinamica degli eventi da lei generati, nella sua disperata volontà di illudersi. Si tramanda pure che ella sia stata udita cantare questo strano ritornello, dedicato allo sposo defunto:

Quando è tornata in me la coscienza,
divampa il dolore della tua perdita:
non ho più voglia di farmi pettinare
né di indossare vesti ricamate d'oro;
allora io i giorni trascorro errando
ovunque mi porti questo mio delirio.

* * *

Quella notte stessa, Protesilao apparve a Laodamia, avvolto in un lungo mantello scuro, che lo ricopriva fino sul capo. Quando si fece avanti per riabbracciarla, il mantello scivolò giù mostrando la nudità del suo corpo. Salvo che per il pallore spettrale dell'incarnato, la bellezza ne era immutata; anzi, messa in risalto da una profonda cicatrice sul petto: là dove era stato ferito a morte da un raggio laser. Le sue membra erano fredde, apparentemente esangui, ma non prive di un innaturale vigore, che la dea sollecita aveva provveduto a infondervi.

Ben altra era tuttavia la forza che le animava, secondo quanto solo i poeti hanno saputo efficacemente intuire:

Neanche laggiù fra le tenebre
svanì dall'ombra di Protesilao
il ricordo della dolce sposa.
Così, per gioire di lei ancora,
un desiderio lo risospinse
fino alla sua vecchia dimora:
sia pure per un vano abbraccio.

Per un lungo istante, effettivamente la sposa infelice non stette in sè dalla gioia. Da un lato, la consapevolezza della eccezionalità e della precarietà dell'incontro la indusse ad assaporare gli amplessi più intensamente ancora di quanto non fosse accaduto la prima volta. D'altro canto, ogni inevitabile pausa era un occasione per accrescere nel suo cuore la tristezza del prossimo definitivo distacco, e di leggere sul volto del partner una espressione altrettanto, se non maggiormente, sconsolata.

- Lasciami, almeno, un ricordo incancellabile di te. Una copia fedele della tua persona... - sussurrò a un tratto Laodamia, all'orecchio dell'amato.

Protesilao la guardò con aria imbarazzata e umiliata. Privo com'era della parola - Persefone non aveva ritenuto necessario rendergliela -, non sapeva come spiegare che in nessun modo avrebbe potuto generare un figlio, contravvenendo a tutte le leggi poste dal fato e dalla natura. Ma si accorse di aver frainteso, quando Laodamia insistette:

- Ti prego. In questo poco tempo che ci resta prima dell'alba, mettiti in posa per me. Proverò a modellare una immagine perfetta della tua persona. Tale, che continuerà a illudermi della tua presenza per il resto della mia vita.

Sorridendo incuriosito, l'eroe lasciò docilmente che la donna atteggiasse le membra di lui nella posizione più adatta, e attese paziente che ella compisse la sua opera. Egli restò immobile, finché la luce del giorno penetrò fra le imposte socchiuse delle finestre. Per quanto ancora debole, tanto da non poter offuscare quella della lampada accesa, essa cominciò a dissolvere il suo corpo, come il calore del fuoco strugge la cera. Allora, egli raccolse da terra il suo mantello. Dopo un ultimo reciproco e sconsolato sguardo di addio, tornò ad avvolgersi in esso, perché quello spettacolo non turbasse ulteriormente l'animo e la mente di Laodamia.

Svegliandosi a giorno inoltrato, in un primo momento lei ritenne di aver sognato o di essere stata vittima di una allucinazione. Ma poche macchie scure di sangue sul lenzuolo bastarono a infonderle una sottile, insopprimibile agitazione. Erano tracce del suo flusso mestruale, o lasciate dalla ferita di Protesilao, non perfettamente rimarginata? Subito, andò a verificare il programma informatico, cui ricordava di aver lavorato durante la notte. Ed ecco la vuota figura di Protesilao tornare a modellarsi davanti ai suoi occhi: come una duttile statua, capace di animarsi e di simulare la vita e l'amore.

L'ologramma, che ella aveva plasmato, superava ogni possibile aspettativa. Esso si sarebbe potuto definire il suo capolavoro. Solo la parola e la consistenza gli mancavano. La prima, poichè Laodamia aveva voluto rispettare in tutto il modello, quale le si era presentato in quell'incontro indimenticabile. Quanto alla seconda, la forza morbosa della fantasia della principessa si sarebbe rivelata tale, da essere in grado di supplire a tale grave carenza.

* * *

Da allora in poi, furono infatti numerose le notti e anche i giorni, trascorsi da Laodamia nel chiuso della sua camera da letto: in una sorta di deliquio amoroso, abbracciata al fantasma dell'eroe, che due volte le era stato sottratto e risucchiato dall'abisso tenebroso. Fatto sta che la sua prolungata assenza dall'ambiente della corte fu notata, e finì per insospettire e preoccupare il re. Questi comandò a una ancella di introdursi nelle stanze della figlia, e di spiarla non vista. Ingannata dalle apparenze, quella riferì che Laodamia si intratteneva con uno sconosciuto, e che quest'ultimo mostrava una sconcertante somiglianza con Protesilao.

Tale era in effetti l'illusione, da illudere a sua volta; così ancora ripetono le saghe dei soliti poeti, nei luoghi più sperduti della galassia:

Il sonno ricopre, ancora abbracciati,
i corpi che cedono a un dolce riposo.

Non fu però difficile capire di che cosa realmente si trattasse. Credendo di agire per il bene di Laodamia, Acasto ordinò di distruggere il software responsabile di un possibile scandalo, di nascosto da lei. Mai decisione si rivelò più incauta ed errata.

Quando la principessa tornò a inserire i dischi danneggiati a sua insaputa nel drive del computer, assistette a quello scempio che Protesilao aveva inteso celarle, coprendosi col mantello nel suo sogno a occhi aperti. L'immagine di lui si decompose nel monitor di controllo. Per quanto facesse, Laodamia non riuscì a risuscitare l'ologramma che le stava tanto a cuore. Peggio ancora, un mutilo troncone di esso annaspò a lungo nello spazio, emettendo uno strido acuto quale un lamento, prima di spegnersi del tutto. Fu come se l'eroe venisse ucciso di nuovo. Questa volta, senza possibilità di ricorso.

Per una strana interferenza o sovrapposizione, nello schermo apparve il simulacro di Persefone, anch'esso inesorabilmente deformato e sfigurato. Tanto, da sembrare piuttosto il riflesso della "kelainè Mégaira": la "nera megera" di cui pure favoleggiavano i miti dei poeti, la più orribile e spietata delle Furie. Tutto ciò, davanti agli occhi esterrefatti della sventurata. Lei si levò in piedi indietreggiando e comprimendosi le tempie con le mani. Contemporaneamente cacciò un urlo, resa impotente e indifesa di fronte all'irruzione della follìa. Accorse gente dall'ala attigua del palazzo. Laodamia era ricaduta inerte su una sedia. Inebetita e come assente, fissava qualcosa di indefinibile, attraverso il video ancora acceso e ormai vacuo.

A nulla valsero le cure dei migliori medici specialisti, convocati immediatamente a corte, né le attenzioni e le premure delle persone a lei amiche. Quello stato era destinato a durare per sempre. Almeno, fiché ella non avesse raggiunto il suo Protesilao nei Campi Elisi. Chi la avesse osservata assiduamente, l'avrebbe sorpresa ogni tanto a cullare e a carezzare una vana forma tra le braccia. Nessun ologramma era più necessario, a fungere da intermediario fra la sua sensibilità ferita e la sua immaginazione malata. Quanto al re, ebbe una vita longeva oltre le proprie previsioni, solitario e tormentato da quella presenza disperante e angosciosa. Nemmeno l'annuncio della vittoria finale contro il Pianeta Ostile, dieci anni prima così ambita, riuscì a distoglierlo dai suoi rimorsi e dalla sua ipocondrìa.