In sintesi - secondo le risultanze evidenziate dalle indagini, e che formeranno oggetto di prova in questo dibattimento - la condotta di partecipazione contestata si è concretata in un patto di scambio tra l'imputato e Cosa Nostra; patto di scambio che traeva origine e continuo alimento dal potere che l'imputato aveva acquisito, anche grazie all'importante contributo di Cosa Nostra, in quanto capo di una delle più importanti correnti del partito della Democrazia Cristiana.
L'origine e la natura di questo patto di scambio sono intimamente
connessi alle varie fasi evolutive, in termini di potenza politica, della
corrente andreottiana.
Come si dimostrerà in questo dibattimento, la corrente fondata dal
sen. ANDREOTTI, fino al 1968, aveva una dimensione ed un respiro quasi
esclusivamente regionali, con epicentro nel Lazio.
La corrente compie un salto di qualità, ed assume un peso
nazionale, accrescendo in modo determinante il proprio potere contrattuale
all'interno del partito, quando, a far data da quell'anno, l'on. Salvo LIMA,
già più volte venuto alla ribalta delle cronache nazionali
e della Commissione Parlamentare Antimafia per i suoi collegamenti mafiosi,
transita dalla corrente fanfaniana a quella andreottiana nella ricerca di nuovi
e più ampi spazi di potere personale.
L'on. LIMA porta infatti con sè, all'interno della corrente, non solo il
corredo delle vaste e ramificate relazioni di potere che aveva costruito nel
corso della sua pregressa attività politica all'ombra dell'on.
Giovanni GIOIA ma anche, e soprattutto, il corredo delle sue organiche e
risalenti relazioni con alcuni dei più importanti esponenti mafiosi,
tra i quali Stefano BONTATE, Antonino e Ignazio SALVO, uomini d'onore della
famiglia di Salemi a capo di un impero economico finanziario tra i più
potenti dell'isola.
Costoro, da quel momento, pongono al servizio della corrente andreottiana la
loro enorme capacità di controllo di larghe fasce dell'elettorato e
della vita interna del partito della Democrazia Cristiana, nella quale
trapiantano il vasto repertorio della violenza mafiosa.
Tutto questo avviene con la piena consapevolezza e volontà del
sen. ANDREOTTI, il quale, infatti, da allora - come si dimostrerà -
avrebbe iniziato anche ad avere rapporti diretti con BADALAMENTI, BONTATE, i
cugini SALVO, e, dopo l'ascesa dei corleonesi, anche con il nuovo capo di Cosa
Nostra, Salvatore RIINA.
Il patto di potere tra l'imputato e Cosa Nostra diventa così
indissolubile e si cementa nel tempo per la reciprocità dei
vantaggi che ne conseguono.
Il vantaggio personale del sen. ANDREOTTI consiste in una crescita
esponenziale del suo potere all'interno del partito e, conseguentemente del suo
potere tout court che, in diverse occasioni, diviene determinante per
l'elezione del segretario nazionale del partito e che gli consente di sedere da
protagonista al tavolo delle trattative con gli altri capicorrente per la
spartizione lottizzatoria dei posti di potere in tutto il circuito
politico-istituzionale.
D'altra parte l'interesse di Cosa Nostra a sostenere la corrente andreottiana
in Sicilia non era collegato solo agli illeciti vantaggi che l'organizzazione
poteva ottenere direttamente da interventi personali del sen. ANDREOTTI, al
quale ci si rivolgeva solo in casi particolari, ma soprattutto alla
possibilità di avvalersi, per soddisfare gli svariati interessi
dell'organizzazione che spaziavano in tutti i settori della vita politica ed
amministrativa, di una struttura di potere articolata a livello nazionale e
ramificata in tutti i principali settori istituzionali.
Mediante l'inserimento dei propri terminali locali in tale struttura
nazionale di potere, Cosa Nostra poteva infatti gestire i propri multiformi
interessi all'interno del medesimo circuito in cui operava il personale
politico andreottiano, utilizzando le stesse leve di potere e la stessa
ragnatela di relazioni interpersonali correntizie attivabili dal personale
politico di estrazione non mafiosa.
Se per ANDREOTTI il sostegno di Cosa Nostra era divenuto uno dei pilastri del
suo potere personale, per l'organizzazione mafiosa ANDREOTTI costituiva la
chiave di accesso per entrare da coprotagonista, mediante la sua corrente,
nell'area dei più importanti centri decisionali e la
possibilità di uscire dal ghetto della politica di piccolo
cabotaggio esercitata ai margini delle grandi correnti nazionali.
Ciò che interessava a Cosa Nostra, per l'ordinaria amministrazione
degli interessi dell'organizzazione, era solo che ANDREOTTI continuasse a
mantenere il suo potere di capocorrente e che la sua corrente fosse a
disposizione dell'organizzazione.
Era sufficiente che sotto l'egida del suo potere, al cui rafforzamento Cosa
Nostra aveva contribuito, operassero per conto e nell'interesse
dell'organizzazione gli uomini della corrente.
Solo nei momenti di crisi, veniva richiesto l'impegno diretto di ANDREOTTI.
In questa prospettiva logica, l'Accusa si propone di dimostrare la natura e
l'essenza giuridica della partecipazione di ANDREOTTI a Cosa Nostra.
Il contributo, che l'imputato ha dato alla realizzazione degli scopi propri
dell'associazione mafiosa, è consistito proprio nell'avere messo a
disposizione, con la consapevole volontà di contribuire così
stabilmente alla vita dell'associazione medesima, la struttura articolata di
potere della sua corrente, della quale Cosa Nostra poteva usufruire
direttamente per le sue molteplici necessità quotidiane senza la
necessità che egli intervenisse di volta in volta personalmente.
In quest'ottica, la partecipazione di ANDREOTTI ad incontri con esponenti di
vertice di Cosa Nostra, i suoi rapporti con l'on. LIMA e con i cugini SALVO, ed
in genere i suoi interventi personali, non vanno considerati riduttivamente
solo come i momenti in cui si è esplicata ed esaurita la sua
partecipazione a Cosa Nostra, ma piuttosto ed essenzialmente come momenti
rivelatori:
(1) Ad esempio partecipando a comozi di politici espressi da Cosa Nostra, o imponendo nella direzione nazionale del partito l'inserimento in lista degli stessi.
(2) Per es. l'intervento per l'aggiustamento del maxi-processo