PARAGRAFO 3.
LE DICHIARAZIONI
DI GIUSEPPE MARCHESE
A riscontro delle dichiarazioni del MUTOLO, il collaborante corleonese
Giuseppe MARCHESE potrà riferire sui temi di prova concernenti:
- la strategia attuata da Cosa Nostra, e particolarmente da Salvatore RIINA,
per condizionare l'esito del maxi-processo attraverso un preciso canale
politico;
- la individuazione dell'on. Salvo LIMA come tramite per il "livello"
politico romano;
- il significato dell'omicidio dell'on. LIMA nella più recente
strategia di Cosa Nostra.
Attraverso le sue dichiarazioni, l'Accusa si propone di dimostrare che:
- i vertici di Cosa Nostra (in particolare i componenti della famiglia MADONIA
di Resuttana e Salvatore RIINA) avevano cerceto in ogni modo di condizionare lo
svolgimento e l'esito del maxi-processo;
- quel che importava, soprattutto, al RIINA ed ai MADONIA era che venisse
smontato il c.d. "teorema BUSCETTA" e, quindi, che venisse esclusa la
responsabilità dei componenti la Commissione per tutti i
gravissimi delitti attribuiti a questo organo di vertice;
- in particolare, i MADONIA e RIINA avevano incaricato l'on. LIMA di
interessarsi del buon esito del maxi-processo, facendo un
discorso molto pesante, sintetizzato nella frase "o stai ai patti o
ammazziamo te e la tua famiglia";
- sempre gli stessi MADONIA ed il RIINA avevano preso contatto a Roma anche con
altre persone, diverse dai politici, versando loro ingenti somme di denaro, ai
fini del buon esito del maxi-processo;
- nonostante le assicurazioni ricevute, il maxi-processo, invece, era
andato poi male; in particolare, era stato confermato il c.d. "teorema
BUSCETTA";
- i MADONIA ed il RIINA, quindi, si erano sentiti traditi e, a causa di questo
"voltafaccia" era stato deciso, quindi, l'omicidio dell'on. LIMA;
- la decisione, naturalmente, era stata adottata dalla Commissione
provinciale di Palermo.
Il MARCHESE aggiungerà poi notizie di estremo interesse per la
comprensione della pi[[breve]] recente strategia dei "Corleonesi", solo
apparentemente incuranti delle conseguenze delle loro azioni, ovvero che:
- Giuseppe MADONIA, proprio parlando dell'omicidio LIMA e, in generale, dei
delitti molto eclatanti, gli aveva spiegato che "loro" (i MADONIA ed il
RIINA) non nutrivano eccessive preoccupazioni sulle conseguenti reazioni dello
Stato, poichè in questi casi curavano prima di assicurarsi una "base
forte" a livello di politici, intendendo così fare riferimento ad
appoggi di quella natura che potessero "metterli al riparo" dalle
possibili conseguenze;
- per le ragioni già spiegate, però, il MADONIA non gli
aveva precisato quali fossero questi appoggi politici a loro disposizione.
E che tale ragionamento del MADONIA non fosse per nulla illogico fra il giugno
ed il luglio 1992, può desumersi dal fatto che, proprio in quel periodo,
pur dopo la "strage di Capaci", negli ambienti parlamentari, forensi e
perfino giudiziari, nonchè sui "media", si andava ricreando un
clima favorevole ad una revisione del c.d. "decreto MARTELLI" dell' 8
giugno 1992, volta a snaturarne l'efficacia e l'originario rigore.