PARAGRAFO 4
LE DICHIARAZIONI
DI FRANCESCO MARINO MANNOIA
Altri importanti elementi di accusa contro il sen. ANDREOTTI il Pubblico Ministero si propone di acquisire in questo dibattimento mediante l’esame di Francesco MARINO MANNOIA con particolare riferimento alle dichiarazioni rese nell’interrogatorio del 3 aprile 1993, avvenuto presso l'U.S. Attorney's Office del Distretto Meridionale di New York, alla presenza - oltre che dei magistrati italiani e dei difensori del collaborante - dell'Assistant U.S. Attorney Patrick FITZGERALD.
In quanto reso nell’ambito di commissione rogatoria internazionale, il verbale di interrogatorio è già stato inserito tra gli atti del fascicolo del dibattimento.
La deposizione di MARINO MANNOIA verterà sui seguenti temi di prova:
- rapporti dei cugini Antonino ed Ignazio SALVO con Giulio ANDREOTTI ed altri soggetti a lui collegati;
- sequestro dell’on. Aldo MORO (circostanze attinenti al coinvolgimento di Cosa Nostra e di soggetti collegati a Giulio ANDREOTTI;
- rapporti tra Cosa Nostra, Michele SINDONA, Licio GELLI;
- interferenze di Cosa Nostra e di ANDREOTTI in procedimenti giudiziari, ed in particolare nel maxi-processo;
- incontri di ANDREOTTI con esponenti di Cosa Nostra; in particolare, incontri del 1979 e del 1980;
- interferenze di Cosa Nostra nelle consultazioni elettorali (in particolare, nelle elezioni politiche del 1987);
- viaggi aerei di ANDREOTTI in Sicilia;
- la corrente andreottiana in Sicilia;
- rapporti tra ‘ndrangheta e Cosa Nostra;
- l’interessamento di Giuseppe CALO’ per l’acquisto di un quadro da parte di Giulio ANDREOTTI.
Attraverso le sue dichiarazioni - e con riferimento al tema probatorio generale riguardante i cugini SALVO - l’Accusa si propone di dimostrare :
- che Antonino ed Ignazio SALVO erano uomini d’onore della famiglia di Salemi e che la loro appartenenza a Cosa Nostra veniva tenuta riservata all’interno della stessa organizzazione mafiosa, stante i loro importanti legami con il mondo della politica ;
- che entrambi i cugini SALVO frequentavano, specie negli ultimi anni precedenti alla guerra di mafia, Stefano BONTATE, ma il più assiduo dei due era Nino SALVO;
- che quest'ultimo era altresì grande amico di Gaetano BADALAMENTI, con cui si frequentava assiduamente e che fu proprio il BADALAMENTI a presentare i SALVO a Stefano BONTATE;
- che anche l'on. Salvo LIMA frequentava Stefano BONTATE ed era il personaggio politico con il quale il BONTATE aveva maggiore intimità;
- che più volte l’on. LIMA si incontrò con Stefano BONTATE in una casa, adibita ad ufficio, di Gaetano FIORE, pure appartenente a Cosa Nostra, nonchè, nei giorni di chiusura, nei locali del Baby Luna, locale di proprietà del predetto FIORE;
- che in detto locale, nel 1979, parecchi uomini d’onore della famiglia di S. Maria di Gesù si incontrarono con John GAMBINO e con un altro uomo d'onore, zio di Salvatore INZERILLO, che si chiamava anch'egli GAMBINO e che era un personaggio molto influente di Cosa Nostra americana;
- che nel passato, generalmente, Cosa Nostra votava per la Democrazia Cristiana, ma non vi erano particolari pressioni od organizzazioni elettorali per votare per quel partito;
- che nelle elezioni politiche del 1987, invece, pervenne all'interno del carcere un ordine preciso con cui si responsabilizzavano tutti gli uomini d'onore affinchè si votasse e si facessero votare familiari ed amici per il Partito Socialista Italiano;
- che inoltre, un po' prima, quando al Partito Radicale occorrevano, per evitare lo scioglimento, almeno 10.000 iscrizioni, dentro il carcere dell’Ucciardone gli uomini d’onore si erano quotati su iniziativa di Pippo CALO';
- che quest'ultimo versò 100.000.000 di lire a detto partito; la famiglia di Santa Maria di Gesù versò 50.000.000, di cui 30.000.000 sborsati direttamente da Giovanni BONTATE;
- che l'iniziativa di finanziamento del Partito Radicale fu esclusivamente interna al carcere dell'Ucciardone, anche se i finanziamenti furono raccolti anche all'esterno;
- che per quanto concerne l'appoggio elettorale al P.S.I., l'ordine era generalizzato a tutta Cosa Nostra in Sicilia.
Sul tema del coinvolgimento di Cosa Nostra nel sequestro MORO, Il Pubblico Ministero si propone di dimostrare, anche mediante l’esame del predetto collaboratore di giustizia, degli ufficiali di Polizia Giudiziaria che hanno esperito le indagini di riscontro, dei testi indicati alle pagine 21-23 della lista depositata, dei documenti che saranno indicati nel prosieguo:
- che dopo il sequestro dell'on. Aldo MORO, Cosa Nostra fu sollecitata da influenti esponenti della Democrazia Cristiana ad intervenire per tentare di salvarlo, e che il BONTATE - come altri - si attivò;
- che, a tal fine, 10-15 giorni dopo il sequestro fu tenuta una riunione della Commissione, l’organo di vertice di Cosa Nostra
- che la maggior parte dei componenti della Commissione, tra cui Michele GRECO, il quale all'epoca svolgeva funzioni di coordinatore, era di fede democristiana ed in contatto con i politici democristiani che "comandavano" l'economia regionale;
- che in sede di Commissione Giuseppe CALO', capo del mandamento di Porta Nuova, conoscitore (insieme ad Angelo COSENTINO, capo della "decina" romana di Santa Maria di Gesù) dei problemi politici romani in quanto da anni si era trasferito a Roma, dopo avere tergiversato affermando di non avere modo di intervenire, alle contestazioni del BONTATE rappresentò che esponenti di vertice della D.C. non volevano che MORO venisse liberato;
- che, comunque,in sede di Commissione il CALO’ era stato incaricato di operare affinchè il BUSCETTA fosse spostato in un carcere del nord , sì da potere contattare alcuni terroristi di sinistra, che aveva conosciuto durante la detenzione;
- che dopo poco tempo il BUSCETTA fu trasferito in altro carcere, però diverso da quello che aveva chiesto (Cuneo o Torino);
- che in seguito, il BONTATE apprese che il trasferimento di BUSCETTA ad un carcere diverso da quello segnalato era stato opera di CALO', e che quest'ultimo si giustificò attribuendo la responsabilità alla persona cui si era rivolto che aveva compreso male quanto richiestogli;
- che, in sostanza, in ordine alla posizione da assumere con riferimento alla vicenda MORO si verificò all’interno di Cosa Nostra una spaccatura in quanto da una parte vi erano Stefano BONTATE, i cugini SALVO, Gaetano BADALAMENTI ed altri, i quali, dati i loro legami politici ed al fine di acquistare maggiore prestigio, erano propensi ad intervenire per ottenere la liberazione di MORO; dall'altra parte vi erano CALO', RIINA, Michele GRECO ed altri, che, non interessati al problema, sfruttavano la vicenda per contrastare l'influenza politica di BONTATE e ridimensionare ulteriormente il suo potere mafioso.
Sullo stesso tema, il Pubblico Ministero, si propone di dimostrare mediante l’esame di Tommaso BUSCETTA:
- che il BUSCETTA fu incaricato di prendere contatti in carcere con detenuti politici, e precisamente con appartenenti alle Brigate Rosse, per tentare di ottenere la liberazione di Aldo MORO;
- che, a tal fine, fu preordinato il suo trasferimento nel carcere di Torino, ove avrebbe potuto incontrare CURCIO ed altri detenuti politici, ma che inopinatamente, invece di essere trasferito a Torino, il Buscetta fu tradotto nel carcere di massima sicurezza di Cuneo, sicchè non ebbe la possibilità di contattare alcuno dei brigatisti.
Sempre sullo stesso tema, il Pubblico Ministero si prone di dimostrare, mediante l’esame del teste Giuseppe MESSINA:
- che Flavio CARBONI, faccendiere che aveva rapporti con esponenti della banda della Magliana e interessi in affari riconducibili a Giuseppe CALO’, svolse un ruolo di "mediatore" con la mafia nel corso del sequestro dell'on. MORO (1) , incontrandosi con esponenti mafiosi, e che il vertice di Cosa Nostra, dopo avere offerto la propria collaborazione per la liberazione dell’on. Moro, ritornò sulla propria decisione non volendo più occuparsi dell’affare MORO.
In connessione con lo stesso tema il Pubblico Ministero si propone di dimostrare mediante l’esame dei testi indicati alla pagina 27 della lista depositata, del teste Paolo UBERTI ( n.208 a pag. 37 della lista ), dei testi n. 68,69,70 , degli ufficiali della DIA ( p.64 e Domenico Farinacci) che hanno effetuato indagini sui viaggi aerei:
- che alcuni assegni riconducibili a società inserite in un circuito di interessi facenti capo a Flavio CARBONI e Giuseppe CALO’ pervennero all’on. ANDREOTTI;
- che l’on ANDREOTTI in occasione di uno dei suoi viaggi in Sicilia fu trasportato a bordo di un aereo privato della AIR CAPITOL, appartenente a Guseppe CIARRAPICO, aereo pilotato da Paolo UBERTI, iscritto alla P2 assunto dalla AIR CAPITOL e coinvolto nell’organizzazione della fuga di Roberto CALVI a Londra in occasione della quale aveva trasportato il boss DIOTALLEVI, esponente della banda della Magliana, a bordo di un aereo privato del predetto Flavio CARBONI, faccendiere legato al CALO’.
Nella prospettiva accusatoria la ricostruzione in sede dibattimentale di questa vicenda è finalizzatta ad acquisire un riscontro "ex ante" a quanto diranno i collaboranti sul contesto dei rapporti tra Cosa Nostra ed il mondo politico non soltanto siciliano ma anche nazionale.
Ed infatti, la richiesta formulata da alcuni esponenti politici a Cosa Nostra, direttamente o tramite i cugini SALVO, volta ad intervenire per tentare di liberare l'on. MORO - considerata l'enorme incidenza del sequestro dello statista sulla situazione politico-istituzionale del Paese - risulterà indicativa del livello di interscambio tra Cosa Nostra e settori del mondo politico.
Alla luce di tale chiave di lettura retrospettiva, e degli altri elementi sin qui evidenziati, si comprenderà vieppiù perché l'organizzazione ritenesse di poter fare pieno affidamento sulla disponibilità dei suoi referenti politici agli interventi necessari per garantire i propri interessi, e - fra questi - anche ad interventi volti a condizionare l'esito del maxi-processo.
E si capirà perché il mancato rispetto di tali promesse sia stato interpretato da Cosa Nostra come una inammissibile violazione del patto di scambio esistente da molti anni.
Sul tema dell’origine dei rapporti tra Cosa Nostra ed il mondo politico - nei quali sarebbe stato successivamente coinvolto ANDREOTTI - il Pubblico Ministero si propone di dimostrare attraverso le dichiarazioni di MARINO MANNOIA e i testi di riscontro:
- che in origine, i rapporti con gli uomini politici erano tenuti principalmente da Paolino BONTATE, Vincenzo RIMI e Antonino SALAMONE;
- che il BONTATE, dapprima favorevole al regime monarchico, si rese poi conto delle necessità determinate dall'evoluzione dei tempi, e quindi della opportunità di stabilire un collegamento organico con la Democrazia Cristiana, la quale era allora il partito politico più importante in Italia e in Sicilia;
- che i rapporti con il mondo politico furono intensificati da Stefano BONTATE, dopo che egli divenne rappresentante prendendo il posto del padre;
- che Stefano BONTATE, al pari di Salvatore RIINA e di Giuseppe CALO', era uno degli uomini di Cosa Nostra che meglio conosceva la realtà dei rapporti di potere in campo nazionale , per cui sapeva bene che il potere di Cosa Nostra sarebbe rimasto limitato se almeno alcuni esponenti dell'organizzazione non avessero stabilito rapporti di alleanza con poteri esterni;
- che fu proprio per questo motivo che il BONTATE, in contrasto con l'opinione prevalente in Cosa Nostra, decise di affiliarsi ad una loggia massonica, ben comprendendo che in tal modo avrebbe potuto giovarsi di relazioni importanti che avrebbero accresciuto il suo potere ed il suo prestigio personale;
- che BONTATE dapprima stabilì relazioni assai strette con l'onorevole Rosario NICOLETTI (che disponeva di una villa adiacente al fondo Magliocco), e - attraverso il canale del vecchio Matteo CITARDA e di Giuseppe ALBANESE - con l'on. Salvo LIMA, appunto uomo d'onore della famiglia del CITARDA;
- che questi rapporti con i detti uomini politici erano intrattenuti non soltanto da Stefano BONTATE, ma anche da altri esponenti di Cosa Nostra, quali ad esempio Salvatore RIINA e Giuseppe CALO';
- che in particolare, RIINA, CALO' ed altri esponenti di Cosa Nostra vicini al RIINA avevano rapporti di "intimità" con l'on. LIMA e con Vito CIANCIMINO;
- che nelle mani di Cosa Nostra vi era, del resto, quasi tutto l'ambiente politico di Palermo;
- che verso la fine degli anni ‘70, si determinò nell'ambito di Cosa Nostra una sorta di concorrenza e di antagonismo tra varie componenti, ciascuna delle quali aspirava a stabilire un rapporto privilegiato con il mondo politico;
- che lo stato dei rapporti tra Cosa Nostra ed il mondo politico cominciò a mutare nel periodo immediatamente precedente agli omicidi di Michele REINA e di Piersanti MATTARELLA;
- che la ragione di quest’ultimo delitto risiede nel fatto che Piersanti MATTARELLA - dopo avere intrattenuto rapporti amichevoli con i cugini SALVO e con Stefano BONTATE, successivamente aveva mutato la propria linea di condotta;
- che il MATTARELLA, entrando in violento contrasto - ad es. - con l'on. Rosario NICOLETTI, voleva rompere con la mafia ed intraprendere una azione di rinnovamento della Democrazia Cristiana in Sicilia, andando contro gli interessi di Cosa Nostra;
- che Rosario NICOLETTI riferì l’intendimento al BONTATE e, attraverso l'on. LIMA, del nuovo atteggiamento di MATTARELLA fu informato anche l'on. ANDREOTTI;
- che ANDREOTTI scese a Palermo, ed incontrò BONTATE, i cugini SALVO, l'on. LIMA, l'on. NICOLETTI, Gaetano FIORE ed altri uomini d’onore;
- che nel corso di questo incontro - che si verificò tra la primavera e l'estate del 1979, e comunque in epoca sicuramente posteriore all'omicidio di Michele REINA (9 marzo 1979) - BONTATE e gli altri si lamentataronoi con ANDREOTTI del comportamento di MATTARELLA;
- che alcuni mesi dopo fu deciso l'omicidio del MATTARELLA da tutti i componenti della Commissione provinciale di Palermo, e su ciò erano perfettamente concordi, anche se formalmente estranei alla decisione, i cugini Antonino ed Ignazio SALVO;
- che in quel periodo gli esponenti di Cosa Nostra dei diversi schieramenti avevano "fatto la pace", anche se si trattava, come gli avvenimenti successivi avrebbero dimostrato, di una pace provvisoria e fittizia;
- che alcuni mesi dopo l'omicidio del MATTARELLA, Stefano BONTATE e Salvatore FEDERICO "pinzetta", Francesco MARINO MANNOIA si recarono in una piccola villa nei pressi di via Pitrè, intestata ad uno zio di Salvatore INZERILLO, ove trovarono l’on. LIMA, Salvatore INZERILLO, Michelangelo LA BARBERA, Girolamo TERESI e Giuseppe ALBANESE (cognato di Giovanni BONTATE) e forse anche Santino INZERILLO;
- che circa un'ora dopo il loro arrivo, sopraggiunse un'Alfa Romeo blindata di colore scuro, e con i vetri pure scuri, a bordo della quale vi erano i due cugini SALVO e l'on. ANDREOTTI;
- che si svolse un incontro tra l’on.ANDREOTTI e i predetti esponenti di Cosa Nostra, incontro al quale non parteciparono, poiché rimasti fuori in giardino, Francesco MARINO MANNOIA, Salvatore FEDERICO, Michelangelo LA BARBERA e, forse, Santino INZERILLO, i quali udirono però chiaramente delle grida provenire dall'interno;
- che quando ANDREOTTI andò via con i SALVO a bordo della citata autovettura blindata e tutti loro rimasero nella villa, BONTATE, LIMA, INZERILLO, ALBANESE e TERESI rimasero ancora un po' a discutere tra loro appartati;
- che ANDREOTTI partecipò al predetto incontro per avere chiarimenti sull'omicidio di MATTARELLA e che fu diffidato dall’ assumere iniziative contro la mafia in quanto, in tal caso, Cosa Nostra avrebbe ritirato il sostegno elettorale alla D.C. non solo in Sicilia ma in tutto il meridione.
Per quanto riguarda il tema della successiva evoluzione dei rapporti tra ANDREOTTI e Cosa Nostra,il Pubblico Ministero, anche mediante le dichiarazioni di MARINO MANNOIA, si propone di dimostrare:
- che dopo l’uccisione di Stefano BONTATE, Salvatore RIINA subentrò nelle relazioni politiche intessute in precedenza dal BONTADE, le quali divennero più strette perchè anche prima LIMA e CIANCIMINO erano già vicini a RIINA;
- che vi fu un interessamento di Cosa Nostra per il maxi-processo; che RIINA aveva fatto sapere a pochi (fra cui Pietro LO IACONO, sua fonte) che alla fine il processo sarebbe stato annullato per interessamento del presidente CARNEVALE, in quanto questi avrebbe trovato dei vizi nel rinvio a giudizio, conseguendo il risultato di far annullare il processo;
- che LIMA è stato ucciso perché non era stato in grado di mantenere la promessa dell’aggiustamento del maxi-processo.
(1) Sul punto, v. già l’edi ordinanza-sentenza, emessa dal G.I. di Palermo il 17.7.1987, nel proc. pen. n° 112/87 R.G.U.I., vol. 2° pagg. 396 e segg., di cui si chiederà l’acquisizione.