Il Tribunale di Palermo, Sezione
Quinta Penale, composto dai sigg.
1) Dott. Francesco Ingargiola Presidente
2) Dott. Salvatore Barresi Giudice
3) Dott. Antonio Balsamo Giudice
Riunito in camera di consiglio
ha pronunziato la seguente
decidendo sulle richieste di
ammissione di prove e sulle eccezioni ed opposizioni formulate
dal P.M. e dai difensori alle udienze del 15 e 16 maggio 1996;
Occorre in primo luogo esaminare la eccezione di inammissibilità formulata dai difensori dell'imputato (e riproposta all'udienza del 16 maggio 1996) con riferimento ad una asserita genericità o comunque non sufficiente specificità delle circostanze indicate dal P.M. nelle liste dei testimoni depositate nei termini di cui all'art.468 c.p.p..
Osserva al riguardo il Collegio che l'art.468 c.p.p. impone alle parti che intendano chiedere l'ammissione al dibattimento dell'esame di testimoni, periti o consulenti di depositare in cancelleria, almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento, la relativa lista "con la indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame".
La relazione ministeriale al codice evidenzia espressamente come il deposito delle liste testimoniali assolva principalmente ad una funzione di "discovery" e la relativa previsione normativa persegue dunque la finalità di impedire l'introduzione ad opera di qualsiasi parte di prove a sorpresa che in quanto tali risulterebbero suscettibili di alterare un corretto contraddittorio tra le parti.
La indicazione nella lista depositata delle circostanze sulle quali ciascun teste deve essere sentito - rispetto alla quale non sembra priva di rilievo la considerazione che la norma non richiede l'articolazione specifica omettendo significativamente ogni aggettivazione - non svolge alcuna funzione correlata alla ammissibilità della prova sotto il profilo della rilevanza in quanto gli unici requisiti richiesti in questo momento sono quelli relativi alla legittimità formale delle testimonianze (per consentire al Presidente investito della richiesta di concedere la autorizzazione alla citazione ex art.468 comma 2 c.p.p. di escludere le prove "vietate dalla legge") ed alla loro non manifesta sovrabbondanza (altro connotato che legittimerebbe il diniego della chiesta autorizzazione presidenziale).
Si tratta dunque di un compito di verifica esclusivamente formale esteso alla limitata ipotesi di un'evidente sovrabbondanza delle deduzioni probatorie rispetto allo scopo processuale perseguito, essendo invece ogni altro giudizio - ed in special modo quello attinente alla rilevanza - rimesso al giudice del dibattimento.
I suddetti requisiti (liceità e non manifesta sovrabbondanza) risultano dunque verificabili da parte del Presidente sulla base della semplice indicazione generica dei temi di prova non occorrendo una articolata e specifica deduzione.
Osserva al riguardo la relazione ministeriale al codice che in questa fase la valutazione da parte del Presidente - "che non implica alcun giudizio sulla rilevanza della prova e non preclude una diversa decisione al dibattimento" - è possibile "anche senza la conoscenza degli atti".
Ne consegue che ogni valutazione da parte del giudice afferente all'ammissione delle prove, ed in particolare alla loro rilevanza, nei ristretti limiti che appresso saranno illustrati, non è attribuita al Presidente bensì rimessa ad altra fase processuale e precisamente a quella disciplinata dall'art.493 c.p.p. (esposizione dei fatti e richiesta di ammissione delle prove).
Se dunque la funzione del deposito delle liste testimoniali e della indicazione delle circostanze prevista dall'art.468 c.p.p. è solo quella di consentire alla parte avversa di articolare la propria strategia difensiva ed esercitare il diritto alla prova contraria così come previsto dal comma 4 della medesima disposizione, deve dedursene che l'asserita genericità delle circostanze indicate nella lista non potrà essere eccepita dalla parte che già conosca o abbia avuto la possibilità di conoscere le circostanze sulle quali verterà l'esame del teste dedotto, per essere stato costui già sentito nel corso delle indagini preliminari ovvero per essere autore di atti compiuti o relazioni acquisite nel corso della medesima fase (ovvero nella fase compresa tra l'udienza preliminare e il dibattimento).
Il deposito di tutti gli atti relativi alle indagini preliminari ed alla fase successiva e la conseguente presunzione di conoscenza del loro contenuto (art.433 c.p.p.) impone dunque di ritenere che laddove i testi siano citati ed indicati in lista con riferimento a circostanze di tempo e di luogo chiaramente emerse nel corso degli atti depositati, risulta garantito il più ampio esercizio del diritto alla prova contraria.
Orbene, nel caso in esame l'elencazione delle circostanze contenuta nelle liste depositate dal P.M. in limine litis appare già sufficientemente articolata evidenziando adeguatamente i temi di prova su cui l'esame dei testimoni e degli imputati di reato connesso o collegato sarebbe stato richiesto.
Nè risulta fondata ad avviso del Collegio la doglianza della difesa secondo cui non sarebbe stato possibile collegare singolarmente ogni teste alla circostanza o alle circostanze sulle quali si chiede che ciascuno di essi venga esaminato, sol che si consideri che per ciascun teste indicato il P.M. ha anche specificamente richiamato la deposizione resa nel corso delle indagini preliminari, o dell'attività integrativa d'indagine, così evidenziando ulteriormente i temi sui quali la persona è chiamata a deporre.
Sembra dunque sufficiente osservare che proprio la conoscenza del contenuto degli atti delle indagini preliminari, o dell'attività integrativa d'indagine, che il difensore deve avere consente di pervenire agevolmente alla indicata specifica individuazione e dunque di articolare il proprio diritto alla prova contraria.
In linea con la tesi suesposta risultano peraltro tutte le più recenti pronuncie di legittimità intervenute sul punto (cfr. Cass. Sez.VI 4 aprile 1995 n.3565 secondo cui "l'obbligo dell'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame dei testimoni, imposto dall'art.468 comma 1 c.p.p. deve ritenersi rispettato, non soltanto quando nella lista testimoniale le circostanze sono indicate con richiamo diretto al capo di imputazione contestato, ma anche quando sia possibile dedurre <<per relationem>> che la persona indicata è tra i protagonisti e/o i soggetti, pure passivi, dei fatti specificati articolatamente nel capo di imputazione e le circostanze sulle quali è chiamata a deporre sono ricomprese in esso o in altri atti che debbono essere noti alle parti"; cfr. anche Cass. Sez. VI 7 aprile 1994 n.4067 secondo cui "L'onere di indicazione delle circostanze sulle quali deve vertere l'esame testimoniale, gravante sulla parte che lo richiede, deve ritenersi adempiuto quando alle altre parti venga consentito di richiedere la prova contraria, per modo che sia garantita la regolarità del contraddittorio, relativamente all'acquisizione dibattimentale dei mezzi di prova"; cfr. Cass. Sez.III 22 gennaio 1993 n.521; Cass. Sez.VI 25 gennaio 1993 n.669; Cass. Sez. VI 17 giugno 1992, ric. Pani; Cass. Sez. IV 19 dicembre 1991, in causa Colombo ed altri; Cass. Sez. I 27 maggio 1991 n.5760).
Nè può peraltro ritenersi che una corretta interpretazione dell'art.468 c.p.p. imporrebbe una precisazione dei fatti da provare che sul modello processualcivilistico si articolasse in una vera e propria capitolazione delle prove orali in quanto siffatta lettura della norma contrasterebbe manifestamente con il metodo della cross-examination proprio del nuovo rito e che impone invece la più ampia possibilità di esame e controesame nel pieno contraddittorio tra le parti (cfr. Cass. Sez. VI 25 gennaio 1993 n.669, secondo cui l'obbligo di cui all'art.468 c.p.p. "non può tuttavia essere inteso in senso rigoroso alla stregua delle capitolazioni del codice di procedura civile" in quanto "il fulcro del sistema accusatorio è costituito dalla più ampia possibilità di esame e controesame nel contraddittorio contestuale e rifugge, quindi, dall'analitica scomposizione ed anticipata enunciazione dei fatti da provare, nonchè dalle conseguenti esclusioni che sono tipiche delle prove legali"; la Suprema Corte ha poi affermato che "l'esigenza di lealtà processuale che si esprime nella discovery è soddisfatta quando l'individuazione dell'oggetto dell'esame sia idoneo a consentire il diritto alla controprova ai sensi dell'art.495 comma 2 c.p.p."; nella specie si è ritenuta sufficiente l'indicazione delle circostanze riguardanti operazioni di p.g. effettuate in una certa data, in riferimento ai fatti oggetto dell'accusa, in quanto poste in relazione alle pregresse attività d'ufficio ed agli atti della loro documentazione, contenuti nel fascicolo del p.m. e noti alle controparti).
Si consideri ad esempio che osta all'eventuale articolazione delle circostanze in capitoli di prova inclusivi del risultato della prova che si intende acquisire già nella stessa formulazione delle domande, come suole avvenire nel processo civile ("Vero è che ..."), il preciso divieto normativo nel caso dell'esame diretto (art.499 comma 3) delle domande cd. suggestive ovvero che "tendono a suggerire la risposta".
Sembra infine opportuno rilevare che il modello del processo civile è stato nella disciplina di questa fase processuale talmente distante come modello di riferimento che non a caso il legislatore nell'approvare il testo definitivo del nuovo codice ha ritenuto di modificare l'originario art.468 (già 462) comma 4, in accoglimento di un rilievo della Commissione parlamentare, sostituendo con l'espressione "prova contraria" l'originario termine "controprova" proprio perchè si è ritenuto che la precedente locuzione "richiamava l'omologa e riduttiva nozione civilistica di prova contraria dipendente", con ciò dunque evidenziando il favore espresso dal legislatore alla massima estensione al di fuori di rigidi schemi formalistici del diritto delle parti alla prova.
Nè deve trascurarsi di considerare, con specifico riferimento alla valutazione che dovrà compiere il giudice sulle richieste di prova, che la vera e propria discovery avviene non con il deposito delle liste - che come si è detto assolve alla funzione di consentire alla controparte la articolazione della più adeguata strategia processuale e particolarmente la deduzione di "prove contrarie" - bensì con la esposizione del programma probatorio previsto dall'art.493 c.p.p.. Si consideri infine che se, come si è detto, l'indicazione delle circostanze è comunque finalizzata all'esercizio ad opera della parte avversa della facoltà di deduzione di prove contrarie ed alla preparazione della più adeguata strategia difensiva, e se tale facoltà è esercitabile ai sensi dell'art.468 comma 4 c.p.p. anche mediante presentazione dei relativi testi direttamente al dibattimento fino al momento della richiesta di ammissione delle prove, non può non rilevarsi come nei fatti la difesa abbia potuto con la più ampia estensione fare uso di tale facoltà avendo in concreto usufruito dopo l'ulteriore analitica esposizione del P.M., con conseguente ancor più completa esplicitazione della propria strategia processuale d'accusa, di un congruo rinvio prima di formulare a sua volta le proprie richieste anche di prova contraria.
Va dunque rigettata perchè infondata l'eccezione concernente l'asserita omessa o insufficiente indicazione nelle liste testimoniali depositate dal P.M. delle circostanze oggetto di esame.
All'udienza del 16 maggio 1996 la difesa ha altresì formulato, in merito all'ammissibilità dei nuovi testi dedotti dal P.M., due eccezioni di carattere generale secondo cui:
Deve a tal riguardo rilevarsi che con ordinanza emessa all'udienza del 10 aprile 1996 è stata disposta la rinnovazione della citazione a giudizio e dunque del dibattimento per sopravvenuta indisponibilità di uno dei componenti del Collegio dinanzi al quale il procedimento era iniziato il 26 settembre 1995.
Orbene, a seguito della rinnovazione della citazione a giudizio le parti riacquistano interamente i loro diritti con la conseguenza che la lista dei testimoni può essere depositata antecedentemente alla nuova udienza di rinvio nei termini di cui all'art.468 c.p.p. (Cass. Sez. III 23 aprile 1994 n.4711, Proietto; cfr. anche Cass. Sez. II 20 luglio 1994 n.8224, Chionne, secondo cui "Quando il giudice provvede a rinnovare la citazione a giudizio di alcuni coimputati, in esito alla separazione dei loro processi, può ammettere una lista aggiuntiva depositata dal pubblico ministero nel termine di cui all'art.468 comma 1 c.p.p riferito alla nuova data fissata per il dibattimento a carico dei predetti imputati").
La relativa eccezione difensiva va dunque rigettata.
Quanto all'altra eccezione difensiva riguardante l'attività integrativa d'indagine compiuta dal P.M. si osserva quanto segue.
La Direttiva n.49 della legge delega 16/2/87 n.81 per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale prevedeva espressamente il "potere del pubblico ministero, una volta disposto il rinvio a giudizio, di compiere atti integrativi d'indagine, ad eccezione di quelli per i quali è prevista la partecipazione dell'imputato o del difensore, ai fini delle proprie richieste al giudice del dibattimento".
In attuazione del principio delineato dalla suddetta direttiva è stata introdotta nel nuovo codice di rito la disposizione di cui all'art.430 c.p.p. che faculta il P.M., successivamente all'emissione del decreto che dispone il giudizio, a compiere attività integrativa d'indagine ai fini delle proprie richieste al giudice del dibattimento, con l'eccezione, già prevista dalla direttiva, degli atti per i quali è prevista la partecipazione dell'imputato o del difensore di questo (comma 1).
Il P.M. al riguardo è gravato dell'onere di procedere all'immediato deposito presso la propria segreteria della documentazione relativa all'anzidetta attività integrativa, con facoltà per i difensori di prenderne visione ed estrarne copia (comma 2).
Occorre evidenziare poi che a seguito del deposito di tali atti non si ha un inserimento automatico degli atti stessi nel fascicolo del P.M., con la facoltà quindi per le parti di fare uso dei verbali ai fini delle eventuali contestazioni ai sensi degli artt.500 e 503 c.p.p., in quanto tale inserimento potrà avvenire ai sensi dell'art.433 comma 3 c.p.p. solo ove ricorra una duplice condizione :
a) che la documentazione relativa all'attività integrativa d'indagine sia servita alle parti per formulare richieste al giudice del dibattimento;
b) che il giudice del dibattimento abbia accolto le suddette richieste.
La lettura sistematica delle norme dettate in materia di attività integrativa d'indagine del pubblico ministero rende dunque evidente che si è in presenza di una facoltà riconosciuta al P.M. di valicare gli argini naturali dell'investigazione, seppure a determinate condizioni.
Il potere riconosciuto al P.M. di compiere atti integrativi d'indagine è dunque soggetto soltanto a limiti di natura oggettiva (attraverso il divieto di compiere atti "garantiti"), e non già a limiti temporali ben definiti, come assume la difesa.
In tal senso, oltre al dato testuale della norma che non pone limiti temporali, depone anche l'interpretazione offerta dalla pronuncia della Corte Costituzionale n.16 del 24 gennaio-3 febbraio 1994 secondo cui "Il legislatore non ha frapposto limitazioni temporali all'attività d'indagine suppletiva consentita al pubblico ministero dopo la richiesta di rinvio a giudizio (art.419 terzo comma), ma ha consentito alle parti la produzione di (ulteriori) atti e documenti nel corso dell'udienza preliminare (art.421 terzo comma), ed al pubblico ministero di compiere indagini integrative - pur se in certi limiti oggettivi - successive al decreto che dispone il giudizio (art.430), anche qui, senza specifiche limitazioni temporali".
La giurisprudenza della Suprema Corte è ormai orientata nel senso di ritenere che anche dopo l'apertura del dibattimento il P.M. è legittimato a compiere attività integrativa d'indagine nei limiti, solo oggettivi e non temporali, stabiliti dall'art.430 c.p.p. (cfr. Cass. Sez. II n.6726 dell'8 giugno 1995, Lorusso, secondo cui "Rientrano nell'ambito di applicabilità dell'art.430 c.p.p. che disciplina lo svolgimento di attività integrativa di indagine, le dichiarazioni, rese da un teste successivamente all'apertura del dibattimento ed assunte dalla polizia giudiziaria, purchè acquisite dal pubblico ministero; ne consegue che tali dichiarazioni possono legittimamente essere utilizzate per le contestazioni nel corso del dibattimento, a condizione che le altre parti siano state poste in grado di prenderne visione ed estrarne copia ai sensi dell'art.430 comma secondo c.p.p."; cfr. anche Cass.Sez. I n.12306 del 12 dicembre 1995, Kanoute, che ha affaermato che "possono costituire oggetto di contestazione, nell'esame testimoniale, le sommarie informazioni raccolte in sede di attività integrativa di indagini del P.M. - svolta dopo l'apertura del dibattimento di primo grado - ed inserite nel fascicolo del P.M. ai sensi dell'art. 433 c.p.p. dopo l'accoglimento da parte del giudice del dibattimento delle relative richieste istruttorie") .
La lettera dell'art.430 c.p.p. è dunque chiara nell'indicare quale momento iniziale dell'attività integrativa d'indagine da parte del P.M. l'emissione del decreto che dispone il giudizio, senza alcuna fissazione di un momento finale, limitandosi a prevedere che detta attività è comunque finalizzata alla formulazione delle richieste al giudice del dibattimento.
Il P.M., in relazione a quegli atti d'indagine che può continuare a compiere, non potrà tuttavia sic et simpliciter fare uso della documentazione ad essi inerente, se non nei limiti ed alle condizioni fissate dal combinato disposto degli artt.430 e 433 comma 3 c.p.p.:
a) richiesta di prova al giudice del dibattimento fondata sui suddetti atti integrativi d'indagine;
b) accoglimento della richiesta da parte del giudice del dibattimento;
c) inserimento dei relativi atti nel fascicolo del P.M. con conseguente facoltà per le parti di utilizzare gli stessi per le eventuali contestazioni;
Solo l'accoglimento delle richieste comporta dunque come conseguenza (art.433 comma 3 c.p.p.) la possibilità di inserire nel fascicolo del P.M. i relativi verbali, e soprattutto di utilizzare i risultati verbalizzati dell'attività integrativa d'indagine per le contestazioni di cui agli artt.500 e 503 c.p.p., come modificati dal decreto legge n.306 dell'8 giugno 1992, conv. dalla legge n.356 del 7 agosto 1992.
Alla stregua delle considerazioni che precedono va dunque rigettata l'eccezione formulata dalla difesa sul punto.
Passando dunque all'esame delle richieste di ammissione di prove formulate dalle parti occorre in primo luogo evidenziare i limiti che la legge impone all'esercizio da parte del Tribunale in questa fase dei poteri inerenti all'ammissione o meno delle prove richieste dalle parti.
Deve invero rilevarsi che il giudice è chiamato a decidere sulle prove richieste ai sensi dell'art.190 comma 1 c.p.p. (art.495 comma 1), fermo restando il diritto dell'imputato di ottenere l'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico, e del P.M. di vedere ammesse le prove a carico dell'imputato sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico.
I canoni di valutazione espressamente previsti dalla legge ai quali il Tribunale deve uniformare le proprie decisioni in materia di prove sono estremamente rigidi.
Il giudice invero deve ammettere senza ritardo le prove che le parti richiedono con l'unico limite rappresentato dalla esclusione delle prove vietate dalla legge e di quelle manifestamente superflue o irrilevanti.
Emerge dunque con estrema chiarezza che le uniche ipotesi nelle quali una prova richiesta dovrà (o potrà) essere non ammessa con conseguente limitazione del diritto delle parti alla prova sono quella in iure della contrarietà alla legge (prove vietate) e quella in facto della loro evidente non pertinenza al thema decidendum (per manifesta irrilevanza o superfluità), alla stregua dei criteri comunque enunciati dall'art.187 c.p.p. in tema di oggetto della prova.
E che il legislatore abbia voluto in questa fase processuale, contraddistinta dal riconoscimento di un vero e proprio diritto delle parti alla prova e conseguentemente al pieno dispiegamento delle rispettive strategie processuali, comprimere per converso al massimo il potere limitativo da parte del Tribunale è significativamente confermato dalla circostanza che in sede di approvazione del testo definitivo del codice si sia ritenuto di modificare l'art.489 (oggi 495) sostituendo l'originaria espressione "prove irrilevanti" con la più incisiva espressione "prove manifestamente irrilevanti" con il "chiaro intento di rendere ancor più limitata la possibilità di "rifiutare" l'ammissione delle prove nella fase introduttiva" (pag.117 Suppl. Ord. n.2 Gazzetta Ufficialen.250 del 24/10/88).
Nè deve trascurarsi di considerare che la disposizione in esame è stata modellata proprio in conformità alla direttiva n.69 della legge delega che imponeva al legislatore delegato in materia di prova la garanzia del diritto delle parti all'ammissione ed all'acquisizione dei mezzi di prova richiesti "salvi casi manifesti di estraneità ed irrilevanza".
Non a caso si legge nella relazione al testo definitivo del nuovo c.p.p., a commento della introduzione dell'avverbio "manifestamente" in linea con la direttiva n.69, che "non si può non interpretare la voluntas del legislatore delegante come impegno volto ad impedire una discrezionalità del giudice che faccia discendere l'inammissibilità della prova dal solo dubbio sulla superfluità così da vanificare di fatto quel diritto alla prova che costituisce una delle innovazioni più qualificanti del sistema" (pag.181 Suppl. Ord, G.U. cit.).
Così definiti i ristretti limiti entro i quali operano i poteri del Tribunale in merito alla valutazione delle richieste di prove formulate dalle parti deve osservarsi quanto segue.
In tema di documenti occorre effettuare alcune considerazioni al fine di individuare i criteri cui si uniformerà il Tribunale nella valutazione delle articolate richieste di prova documentale formulate dalle parti come riproposte alle udienze del 15 e 16 maggio 1996.
Una prima questione si pone riguardo alla richiesta di produzione degli atti di varie commissioni parlamentari d'inchiesta che il P.M. ha riproposto all'udienza del 15 maggio 1996.
Ritiene il Tribunale che, seppur in linea teorica possano qualificarsi come documenti gli atti di una commissione parlamentare d'inchiesta, occorre tuttavia sin d'ora esaminare il problema della concreta utilizzabilità come prove al dibattimento di quegli atti e quelle informazioni che, giova evidenziarlo, sono acquisiti da organismi aventi indubbia composizione politica e finalità diverse rispetto a quelle proprie di un processo penale.
Se è vero infatti che i documenti ammessi ai sensi degli artt.234 e ss. e 493 c.p.p. acquistano piena efficacia probatoria attraverso il meccanismo dell'acquisizione e del conseguente inserimento nel fascicolo per il dibattimento (art.515 c.p.p.), occorre valutare in concreto quale uso è lecito operare nell'ambito del porcesso penale dei risultati acquisiti in sede diversa da quella giudiziaria.
Deve al riguardo osservarsi che l'attività di una commissione parlamentare d'inchiesta si articola attraverso l'audizione di persone e l'acquisizione di documenti e viene infine condensata nella stesura di una o più relazioni conclusive.
Orbene, quanto all'esame di persone, comprensive dell'audizione di indagati o imputati di reato connesso, deve rilevarsi che esistono molteplici differenze tra l'istruzione dibattimentale e l'audizione compiuta da una commissione parlamentare d'inchiesta.
Si osserva invero, evidenziando solo le differenze più rilevanti tra le due procedure, che davanti alla commissione parlamentare è pressocchè inapplicabile la disciplina sulle incompatibilità a testimoniare (art.197 c.p.p.); non è previsto l'esame incrociato; non vi sono limiti alla formulazione di domande suggestive o che possano nuocere alla sincerità delle risposte (art.499 commi 2 e 3 c.p.p.), nè alla espressione da parte del soggetto esaminato di apprezzamenti personali (art.194 comma 3 c.p.p); possono essere sentiti, ancorchè "liberamente", persino i magistrati incaricati dei procedimenti relativi ai fatti di cui si interessa l'inchiesta parlamentare, in palese contrasto con quanto disposto in sede penale dall'art.197 lett.d) c.p.p. .
Nè deve trascurarsi di considerare che il codice di rito già prevede all'art.238 c.p.p. rigidi criteri di ammissibilità di prove costituite al di fuori del processo in corso, con esclusivo riferimento a quelle prove "tipiche" provenienti da altri procedimenti giurisdizionali.
Non può infatti revocarsi in dubbio che l'art.238 c.p.p. si riferisca esclusivamente a procedimenti penali (comma 1) o civili (comma 2), e che ad essi non possa essere assimilata l'attività d'inchiesta che si svolge dinanzi ad una commissione parlamentare.
Risulterebbe peraltro irragionevole consentire l'acquisizione, e dunque la piena immediata utilizzabilità in sede penale, dei verbali di audizioni svolte dinanzi ad un organismo avente composizione politica, a fronte invece del divieto di acquisizione o lettura (art.514 c.p.p., con le eccezioni previste dagli artt.512 e 512 bis c.p.p.) dei verbali di dichiarazioni rese dai testimoni dinanzi alla polizia giudiziaria o al P.M. (sul quale ultimo, giova evidenziarlo, pur essendo parte, comunque "grava un dovere di correttezza e di indifferenza al risultato" sufficiente a garantire la genuinità del suo operato: cfr. Corte Costituzionale sent. n.111/1993 e sent. n.241/1994).
E la palesata irragionevolezza di una siffatta conclusione emerge ancor più evidente se si considera che il suddetto divieto di acquisizione opera persino in relazione alle dichiarazioni eventualmente rese al GIP che è un organo giudiziario terzo, dunque super partes come il giudice del dibattimento.
Se dunque il nuovo modello processuale è improntato al principio della formazione della prova al dibattimento che trova il suo momento più saliente proprio nell'obbligo di acquisizione delle prove al dibattimento, o comunque in momenti processuali nei quali è rispettato il principio del contraddittorio nella formazione della prova (art.238 c.p.p.), deve ritenersi inammissibile l'acquisizione e conseguente utilizzazione di prove extracostituite in situazioni e davanti ad organi rispetto ai quali non vi è alcun contraddittorio.
Deve dunque concludersi per la radicale inidoneità dei verbali di una commissione parlamentare d'inchiesta a valere come prove penali.
Le suesposte ragioni valgono in maniera più evidente in relazione ai documenti ed agli atti (sentenze, rapporti di polizia giudiziaria, informative di reato, etc.) che vengono acquisiti da una commissione parlamentare d'inchiesta nel corso dei suoi lavori, acquisizioni per le quali non valgono i limiti imposti in sede di giudizio penale (art.240 c.p.p.: divieti in materia di documenti anonimi; art.238 bis c.p.p.: limiti all'acquisizione ed utilizzazione di sentenze irrevocabili; art.234 comma 3 c.p.p.: divieto di acquisizione di documenti contenenti informazioni sulle voci correnti nel pubblico o sulla moralità in generale delle parti, dei testimoni, dei consulenti tecnici e dei periti; art.514 cpv. c.p.p.: divieto di lettura dei verbali e degli altri atti di documentazione delle attività compiute dalla polizia giudiziaria).
Nè a diverse conclusioni può pervenirsi con riferimento alle relazioni finali delle commissioni parlamentari d'inchiesta che, come è ampiamente noto, non sempre vengono approvate all'unanimità, prevedendosi la possibilità di stesura di una relazione di maggioranza e di una o più relazioni di minoranza.
Emerge dunque con chiarezza che la valutazione del lavoro compiuto dalla commissione d'inchiesta, ed in particolare la ricostruzione che dei fenomeni esaminati (terrorismo, mafia, caso Sindona, P2, etc.) viene operata dai componenti della commissione stessa designati da tutti i partiti politici, è differenziata in ragione delle prospettazioni che ciascuna parte politica intende evidenziare.
Ne consegue che non può operarsi alcuna, seppur lata, assimilazione delle suddette relazioni, contenenti in conclusione valutazioni, ricostruzioni, deduzioni e giudizi di parte, ai provvedimenti giurisdizionali, per i quali invece vigono i limiti di acquisibilità ed utilizzazione fissati dall'art.238 bis c.p.p., con la conseguenza che nessun uso sul piano del giudizio penale può essere fatto del contenuto delle relazioni, le cui conclusioni peraltro, per le ragioni esposte, sono fondate anche sul risultato di attività che, come si è detto, sono notevolmente differenziate rispetto a quelle del giudice penale.
Va dunque rigettata anche la richiesta di produzione delle relazioni conclusive delle commissioni parlamentari d'inchiesta formulata dalle parti.
Le stesse argomentazioni in larga parte valgono con riferimento alla documentazione (della quale il P.M. ha chiesto nuovamente l'acquisizione) del Consiglio Superiore della Magistratura (Doc. nn.1-7 elenco P.M.; doc. n. 21 elenco difesa) contenente numerosi atti (sentenze non definitive, esposti, lettere, verbali di audizioni di persone, richieste e decreti di archiviazione, richieste ed ordinanze di rinvio a giudizio, interventi di consiglieri) la cui acquisizione ed utilizzazione nel giudizio penale è espressamente vietata dalla legge.
Anche per tali atti dunque deve rigettarsi la richiesta di produzione con le eccezioni appresso indicate riguardanti atti cui va invece riconosciuta la natura documentale e la conseguente utilizzazione in giudizio.
Per quanto riguarda, poi, la questione della produzione di sentenze e più in generale di provvedimenti giurisdizionali, occorre evidenziare come la questione trovi il suo fondamento normativo nell'art.238 bis c.p.p., oltre che, ai limitati fini ivi previsti, nell'art.236 c.p.p. .
Giova sul punto rilevare che fino all'approvazione del D.L. 8 giugno 1992 n.306, la questione in ordine alla possibilità di acquisizione al dibattimento di sentenze, irrevocabili o meno, era stata oggetto di dibattito in dottrina ed in giurisprudenza.
La tesi favorevole alla produzione riteneva di trovare legittimazione normativa nel disposto dell'art.236 c.p.p. che, inserito nel Capo VII del Libro III sulle "Prove" del c.p.p., ed avente una rubrica intitolata "Documenti relativi al giudizio sulla personalità", consente l'acquisizione tra l'altro delle sentenze irrevocabili "ai fini del giudizio sulla personalità dell'imputato o della persona offesa dal reato" nei limiti precisati dalla norma.
Si sosteneva dunque che l'avere ricompreso le sentenze irrevocabili in una norma intitolata ai "documenti" e contenuta in un capo del c.p.p. destinato ai "documenti" fosse argomento sufficiente a confermarne la natura documentale e dunque l'acquisibilità in generale ex artt.234 e ss. c.p.p. (In tal senso è proprio la sentenza citata dal P.M. nel precedente dibattimento - Cass.Sez.VI n.9758 del 13 ottobre 1992, ric.P.G. e Taurino - dalla cui motivazione si evince chiaramente - pag.12 - che la decisione, adottata l'11 giugno 1992, e dunque appena due giorni dopo l'entrata in vigore del D.L. n.306 dell'8 giugno 1992, accenna all'asserito, e invece non più esistente, divieto di acquisizione di sentenze anche definitive).
La soluzione come sopra esposta, tutt'altro che pacifica, ha indotto dunque il legislatore all'intervento normativo sul punto mediante l'introduzione dell'art.238 bis c.p.p. con il citato decreto legge, convertito con modificazioni nella legge n.356 del 7 agosto 1992.
Orbene, ritiene il Tribunale che l'espressa previsione normativa, ormai introdotta nel sistema, della acquisibilità delle sole sentenze irrevocabili, peraltro ai limitati fini contemplati dalla disposizione in esame, imponga di ritenere che resta preclusa la facoltà di acquisizione di sentenze o provvedimenti giurisdizionali che non siano irrevocabili nel senso precisato dall'art.648 c.p.p. (che stabilisce che "Sono irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione").
La Suprema Corte ha ritenuto di ricomprendere nella previsione dell'art.238 bis c.p.p. anche le sentenze, purchè irrevocabili, emesse a seguito di giudizio abbreviato ovvero di applicazione della pena su richiesta (cfr. Cass. Sez.II n.6755 del 10 giugno 1994, ric. Rapanà).
Ritiene pertanto il Tribunale che non possono essere acquisite le sentenze non irrevocabili, nè le sentenze o ordinanze non pronunciate in giudizio (come ad esempio i decreti di archiviazione o le sentenze-ordinanze emesse nella vigenza del codice di rito abrogato dal G.I.).
A tale divieto ritiene il Tribunale debba derogarsi con riferimento ai decreti di applicazione di misure di prevenzione che siano divenuti definitivi, e ciò avuto riguardo al disposto di cui all'art.4 ultimo comma legge n.1423 del 1956 (per cui si osservano in quanto applicabili le norme del c.p.p. per la proposizione, e la decisione dei ricorsi) e considerata la progressiva ed ormai acclarata giurisdizionalizzazione del relativo procedimento, conseguente anche ai ripetuti interventi della Corte Costituzionale (cfr. per tutte le sentenze n.53 del 1968 in materia di tutela del diritto di difesa e n.76 del 1970 in tema di assistenza obbligatoria del difensore) .
Ha osservato al riguardo la Suprema Corte che "Poichè le misure di prevenzione previste dalla cosiddetta legislazione antimafia hanno natura sostanzialmente e formalmente afflittiva e non possono perseguire alcuna finalità rieducativa, anche in tale materia il procedimento probatorio deve assumere il carattere della giurisdizionalità, sia sul piano soggettivo sia sul piano oggettivo; sul piano soggettivo nel senso che deve essere un organo giurisdizionale a presiedere alla formazione della prova; sul piano oggettivo nel senso che devono essere rigorosamente rispettati anche in materia di prevenzione i principi di riserva di legge e di determinatezza della fattispecie sanciti dagli artt.13 e 27 Cost." (Cass. Sez.I 21 gennaio 1991, Piromalli; cfr. anche Cass. 12 giugno 1990, Di Gennaro; Cass. 20 giugno 1990, Corica; Cass. 27 febbraio 1990, Adornato).
In ordine alle richieste di produzione di copie di articoli di stampa, di libri, e di servizi televisivi ritiene il Tribunale che, soprattutto in relazione alla valenza probatoria che ad essi si può attribuire, ove ritenuti documenti, mediante l'inserimento nel fascicolo per il dibattimento ai sensi dell'art.515 c.p.p., debbano ancora una volta richiamarsi le osservazioni già svolte a proposito degli atti delle commissioni parlamentari d'inchiesta.
E' indubbio invero che le dichiarazioni assunte e sintetizzate dall'autore di interviste, le ricostruzioni di fatti e vicende operate secondo le informazioni acquisite, e spesso incontrollate, dal giornalista, i servizi televisivi montati secondo soggettive e dunque opinabili tesi, non possono assumere valore di prova in un giudizio penale.
L'acquisizione incontrollata, infatti, di articoli di stampa e servizi televisivi contenenti dichiarazioni, spesso selezionate e dunque anche parziali, provenienti da soggetti che nella prospettazione delle parti dovrebbero assumere, tanto da chiedersene la produzione, significativa rilevanza probatoria ai fini del giudizio penale in corso (nel qual caso gli elementi avrebbero dovuto essere introdotti ricorrendo ad una specifica richiesta di prova orale), striderebbe in misura evidente con i divieti già esaminati fissati dal codice di rito con riferimento all'acquisizione ed utilizzazione di verbali di dichiarazioni, di rapporti giudiziari o di atti di documentazione dell'attività della p.g..
Diversamente opinando si consentirebbe di acquisire, e dunque utilizzare probatoriamente, ricostruzioni giornalistiche soggettive, parziali e spesso incontrollate, o dichiarazioni rilasciate da persone e sintetizzate dal giornalista, pur sussistendo invece un espresso divieto di acquisizione dei verbali di dichiarazioni rese dinanzi all'A.G. (P.M. o GIP), o di utilizzazione degli atti di documentazione dei risultati di indagini della p.g. (art.514 c.p.p.).
Va dunque rigettata la richiesta di produzione di servizi televisivi, copie di articoli di stampa e di libri.
Un discorso a parte merita soltanto il tema delle interviste e delle dichiarazioni rilasciate dall'imputato.
Ai sensi dell'art.237 c.p.p., invero, "è consentita l'acquisizione, anche di ufficio, di qualsiasi documento proveniente dall'imputato, anche se sequestrato presso altri o da altri prodotto".
Orbene, se dunque non vi può essere dubbio che una lettera manoscritta o firmata dall'imputato è documento acquisibile in forza della menzionata norma, non vi è ragione di escludere ogni altro documento attribuibile in maniera certa all'imputato, ancorchè non avente forma scritta.
Occorre invero evidenziare come l'art. 234 c.p.p. prevede espressamente l'acquisizione di documenti "che rappresentano fatti, persone, o cose mediante ... la cinematografia" (cfr. Cass. Sez.V 15 novembre 1993 n.10309).
Giova al riguardo osservare che, se per le interviste apparse sulla stampa non vi è alcuna garanzia della fedele e completa riproduzione integrale delle dichiarazioni effettivamente rese dall'imputato, per ciò che riguarda le interviste televisive può aversi tale garanzia nella sola ipotesi in cui venga prodotto il filmato integrale dell'intervista stessa, e non dunque il solo servizio frutto della eventuale e necessaria sintesi giornalistica.
Le videocassette riproducenti le interviste rilasciate dall'imputato devono dunque ritenersi alla stregua di documenti provenienti dall'imputato e sono pertanto ammissibili a condizione che la parte che ne richiede la produzione depositi la videoregistrazione integrale delle dichiarazioni rese.
Per quanto riguarda infine la richiesta di esame di alcuni consulenti tecnici formulata dal P.M. (riproposta alle pagg.108-112 della lista del P.M.) deve indubbiamente ammettersi, stante la non manifesta superfluità o irrilevanza, e nulla opponendo la difesa, l'esame sulle circostanze dedotte del consulente tecnico del P.M. Frallicciardi Armando.
Ad opposte conclusioni ritiene invece di pervenire il Tribunale con riferimento a tutte le altre richieste di esame di consulenti formulate dal P.M.
E' noto invero che l'art.359 c.p.p. ("Consulenti tecnici del pubblico ministero") prevede che "il pubblico ministero, quando procede ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze, può nominare e avvalersi di consulenti".
L'art.225 c.p.p., dispone poi che il pubblico ministero (e le parti private) ha facoltà di nominare propri consulenti tecnici nel caso in cui venga disposta perizia ai sensi degli artt.220 e ss. del codice di rito. Tale facoltà di nomina di consulenti è peraltro prevista anche nel caso in cui non venga disposta perizia (art.233 c.p.p.).
Orbene, se una perizia è ammessa solo quando "occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche" (art.220 comma 1 c.p.p.), è necessario valutare se, vertendosi nel caso di cui all'art.233 c.p.p., i fatti sui quali i consulenti dovrebbero essere esaminati possano costituire oggetto di perizia, e dunque richiedano "specifiche competenze tecniche o scientifiche" (dovendosi sicuramente escludere, in relazione alle richieste formulate dal P.M., quelle "artistiche").
Non si verte sicuramente nel caso già indicato dell'art.359 c.p.p. ove soltanto si consideri che secondo la disposizione cennata il consulente può intervenire solo nell'ipotesi in cui debba procedersi ad "operazioni tecniche" per cui siano necessarie "specifiche competenze".
Nel caso in esame si osserva che per quanto riguarda la consulenza Feo (riproposta nuovamente nel presente dibattimento : pag.108 lista), la stessa si è sostanzialmente risolta nell'attività di ricerca ed acquisizione di servizi televisivi ed articoli di stampa la cui produzione, per le ragioni esposte, non può essere ammessa.
Quanto alle altre consulenze (punti 1,3,5,6 e 7 della lista depositata il 7/5/96), avuto riguardo ai quesiti indicati in lista dal P.M. ed ulteriormente esplicitati nel corso del precedente dibattimento, si osserva che le stesse hanno avuto ed avrebbero per oggetto analisi di fatti e documenti, ricostruzioni di vicende, individuazione di episodi e persone, nonchè i collegamenti ad essi dell'imputato o di soggetti "facenti parte della sua corrente partitica ovvero del suo entourage" (quesito consulenza Onado: pag.111 lista P.M.), che se per un verso costituiscono proprio l'oggetto delle tesi accusatorie che devono essere articolate attraverso i relativi mezzi di prova previsti dal codice di rito, dall'altro, risolvendosi in una elaborazione del lavoro compiuto da altri (ed in particolare dalle varie commissioni parlamentari di inchiesta), non richiedono indubbiamente "specifiche competenze scientifiche" e meno che mai "tecniche".
Si consideri ad esempio che ai consulenti Amendola e Prof. De Lutiis, nonchè al consulente Nunzi, si chiede (pag.111 lista P.M.), dopo avere individuato negli atti di alcune commissioni parlamentari d'inchiesta i "riferimenti" a rapporti fra l'imputato, Gelli, Pazienza, Sindona, la loggia P2 ed esponenti della massoneria deviata, di "riassumere sinteticamente natura e contenuto di tali rapporti", peraltro anche sulla base di non meglio specificati "atti acquisiti dalla Procura di Palermo".
Nè si trascuri di considerare che il parere che detti consulenti dovrebbero esprimere trova fondamento proprio sugli atti, sui documenti utilizzati ed acquisiti, nonchè sulle relazioni conclusive di quelle commissioni parlamentari i cui elaborati, verbali e documenti il Tribunale, per le ragioni esposte, ha ritenuto di non potere acquisire ed utilizzare direttamente nel giudizio penale.
Al consulente Prof. Onado, infatti, si chiede di riferire (pag.111 lista P.M.), proprio sulla base degli atti pubblicati dalla commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Sindona, i "principali temi di indagine svolti dalla stessa" ed in particolare "le conclusioni cui essa è pervenuta" che, come è ovvio, sono condensate nelle relazioni di maggioranza e minoranza delle quali non è stata ammessa la produzione.
Alla medesima conclusione ritiene di pervenire il Tribunale con riferimento alla consulenza affidata al Prof.Galli cui è richiesto (pag.110 lista P.M.), anche stavolta sulla base degli elementi acquisiti in altro procedimento penale (n.3260/94 N.C.) concernente l'omicidio dell'On.Lima, di "ricostruire l'origine e la evoluzione" della corrente andreottiana.
Si ritiene di dovere escludere che tale attività necessiti di "specifiche competenze scientifiche", potendo e dovendo i risultati di una siffatta "ricostruzione", purchè fondata su fatti e documenti comunque già legittimamente acquisiti al dibattimento, essere oggetto di prova orale tempestivamente dedotta, ovvero essere esclusivamente un supporto all'attività d'indagine del P.M. da svilupparsi poi secondo le previste e rituali modalità investigative.
Per quanto riguarda infine la consulenza affidata al Sen.Flamigni, deve rilevarsi che la stessa ha per oggetto (pag.108 lista P.M.) un'attività comparativa tra documenti ("evidenziare le differenze esistenti tra gli scritti rinvenuti l'1.10.78 e quelli rinvenuti il 9.10.90") che, oltre a non richiedere "specifiche competenze scientifiche o tecniche", è rimessa proprio alle parti ed al collegio.
Quanto alle restanti parti del quesito formulato ("accerti...in quale parte degli scritti dell'On.Moro rinvenuti nel covo brigatista di via Monte Nevoso 8 a Milano nella date dell'1.10.78 e del 9.10.90 si fa diretto o indiretto riferimento all'On.Giulio Andreotti e a persone al medesimo collegate") è di tutta evidenza che ciò costituisce oggetto proprio del giudizio che le parti ed il collegio dovranno compiere, anche eventualmente ricorrendo, per la individuazione dei cosiddetti "riferimenti indiretti", all'articolazione, ove necessario ed ammissibile, di mezzi di prova.
In ordine, infine, all'accertamento diretto a verificare "se gli scritti rinvenuti siano completi o mancanti di alcune parti", demandato dal P.M. al consulente (pag.108), deve osservarsi che la stessa può e deve essere prospettata o attraverso la richiesta di mezzi di prova, se necessari, ovvero mediante un'analisi degli scritti stessi la cui fondatezza o meno sarà poi oggetto della valutazione da parte del collegio.
La richiesta di esame di tutti i consulenti
formulata dal P.M. - ad eccezione del consulente Frallicciardi
- deve essere dunque rigettata.
Risultando non manifestamente itrrilevante o superfluo, in relazione all'imputazione contestata ed ai temi di prova dedotti, va ammesso l'esame di tutti i testimoni indicati in lista dal P.M., nonchè l'esame degli imputati o indagati di reato connesso, con le precisazioni appresso indicate e con l'esclusione di:
Deve essere invece allo stato riservata la decisione in ordine alla richiesta di ammissione dell'esame dei testi Trizzino, Mattarella, Chiazzese, Pintacuda, Rognoni (pagg.26-27), dovendosi prima acquisire i verbali completi delle rispettive deposizioni rese nel procedimento penale n.8/92 R.Ass., integrati dalle eventuali deposizioni istruttorie confermate in sede dibattimentale.
Ai sensi del combinato disposto degli artt.190 bis e 495 c.p.p., quando è richiesto l'esame di un testimone che ha già reso dichiarazioni i cui verbali sono stati acquisiti a norma dell'art.238, "l'esame è ammesso solo se il giudice lo ritiene assolutamente necessario".
Per effettuare la suddetta valutazione
occorre quindi la previa acquisizione dei verbali di cui si chiede
l'acquisizione (art.495 c.p.p.).
Avuto riguardo ai criteri già
enunciati deve ammettersi, stante la non manifesta superfluità
o irrilevanza, e non trattandosi di prove vietate dalla legge,
la produzione di tutte le sentenze e dei provvedimenti giudiziari
richiesta dal P.M..
Va ammessa l'acquisizione, ai sensi dell'art.238 c.p.p., e non risultando manifestamente superflui o irrilevanti, dei verbali di prova di altri procedimenti penali richiesta dal P.M. .
Deve in particolare essere ammessa l'acquisizione
delle perizie di cui ai punti 16 e 17 (pag.115) in quanto si tratta
di atti che, seppur compiuti nella vigenza dell'abrogato codice
di rito, ai sensi dell'art.243 comma 2 norme transitorie del c.p.p.,
sono accolti nel fascicolo per il dibattimento, in quanto compiuti
con il rispetto del contraddittorio.
Si tratta di verbali di dichiarazioni rese da testi o di interrogatori resi da imputati di reato connesso, assunti nella fase delle indagini preliminari del presente procedimento, ovvero provenienti da altri procedimenti penali (e per questi la richiesta viene formulata ai sensi dell'art.238 comma 3 c.p.p.), per i quali si è verificata una situazione di sopravvenuta irripetibilità, a causa del loro decesso.
La richiesta del P.M. può essere
accolta, nulla avendo opposto peraltro la difesa.
Per quanto riguarda le intercettazioni
delle quali il P.M. ha chiesto l'acquisizione e la eventuale trascrizione,
occorre riservare ogni decisione all'esito dell'acquisizione del
parere da parte della difesa che ha chiesto un termine per l'esame
degli atti depositati dal P.M. all'udienza del 15 maggio 1996.
Avuto riguardo ai criteri già evidenziati ed ai parametri valutativi utilizzabili in questa fase processuale (non contrarietà alla legge, non manifesta superfluità o irrilevanza), ritiene il Tribunale che debbano essere ammessi tutti i documenti la cui produzione è stata richiesta dall'accusa ad eccezione dei seguenti:
Alcune osservazioni devono essere tuttavia svolte con riferimento ai documenti appresso elencati, dei quali va ammessa la produzione, integrale o parziale:
Il P.M. ha chiesto altresì l'inserimento nel fascicolo del dibattimento a norma degli artt.431 lett.b), c) d) e 512 c.p.p., di alcuni atti indicati come irripetibili o assunti in sede di commissioni rogatorie all'estero.
Per i suddetti atti, quasi tutti già inseriti nel fascicolo del dibattimento, si è già provveduto con ordinanze emesse dal Tribunale nel precedente dibattimento alle udienze del 17 e 18 ottobre 1995 il cui contenuto è stato richiamato e confermato da questo Tribunale all'udienza del 15 maggio 1995.
Deve essere soltanto confermata l'esclusione,
per le ragioni già esposte nelle richiamate ordinanze,
dei decreti di cui ai nn.2, 3, 8, 12, 14, 18, 20, 25, 26 in quanto
l'art.431 lett. b) e c) c.p.p. dispone che siano inseriti nel
fascicolo per il dibattimento esclusivamente i "verbali
degli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria o
dal P.M.".
Deve in primo luogo ritenersi infondata l'eccezione formulata dal P.M. in relazione alle richieste di prova testimoniale della difesa dell'imputato sul rilievo che alcune di esse avrebbero ad oggetto circostanze e fatti estranei al thema decidendum, investendo in particolare l'attività governativa e ministeriale svolta dall'imputato nel corso degli anni.
Nel ribadire che il Tribunale in questa fase processuale ha il potere di escludere soltanto le prove contrarie alla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti, deve osservarsi che l'art.187 comma 1 c.p.p. stabilisce che sono oggetto di prova "i fatti che si riferiscono all'imputazione" e che ai sensi dell'art.495 comma 2 c.p.p. l'imputato ha diritto all'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico.
Orbene, secondo il capo di imputazione contestato al prevenuto la "partecipazione" del Sen.Andreotti all'associazione per delinquere Cosa Nostra viene individuata nell'avere l'imputato "messo a disposizione" dell'associazione per delinquere in argomento "per la tutela degli interessi ed il raggiungimento degli scopi criminali della stessa", "partecipando in questo modo al mantenimento, al rafforzamento ed all'espansione dell'associazione medesima" "l'influenza ed il potere derivanti dalla sua posizione di esponente di vertice di una corrente politica, nonchè delle relazioni intessute nel corso della sua attività".
Esemplificativamente, poi, detti apporti dell'imputato all'associazione criminale sono stati individuati in una serie di condotte tra le quali quella di avere determinato "nei capi di Cosa Nostra ed in altri suoi aderenti la consapevolezza della disponibilità di esso Andreotti a porre in essere (in varie forme e modi, anche mediati) condotte volte ad influenzare, a vantaggio dell'associazione per delinquere, individui operanti in istituzioni giudiziarie ed in altri settori dello Stato.
Come si vede le condotte partecipative addebitate all'imputato, a prescindere dalla formale considerazione che nessuna correlazione nell'indicato senso di "contestualità funzionale" è, nella contestazione, tra le stesse e la carica istituzionale di ministro rivestita dall'imputato, a più riprese, nei periodi in contestazione, nella sostanza, sarebbero state poste in essere dal Sen.Andreotti facendo uso, o meglio abusando, dell'influenza acquisita negli ambienti politico-istituzionali e del suo potere di "controllo" derivante dalla sua precedente e persistente qualità di capocorrente del partito della Democrazia Cristiana.
Se dunque proprio nell'aspettativa dell'esercizio di tale potere di influenzare ogni settore del circuito istituzionale politico a vantaggio dell'organizzazione per delinquere Cosa Nostra si è sostanziato, nell'ipotesi d'accusa che si esamina, l'"apporto", il "contributo", la "partecipazione" dell'imputato all'organizzazione criminale (condotta criminosa peraltro protrattasi per circa un ventennio) è indubbiamente nel diritto dell'imputato confutare l'accusa cercando di evidenziare l'attività di contrasto posta in essere nei riguardi della criminalità organizzata di cui Cosa Nostra ha rappresentato almeno nell'ultimo decennio il fenomeno più temibile e pericoloso per le Istituzioni.
Analoghe considerazioni possono svolgersi con riferimento alle prove testimoniali dedotte in ordine alle iniziative concernenti la repressione interna ed internazionale del traffico di stupefacenti che, come è noto, rappresenta da sempre una delle più importanti e indubbiamente la più redditizia attività criminale del sodalizio mafioso.
Alla stregua delle considerazioni che precedono deve, dunque, rigettarsi l'opposizione formulata dal P.M. nei termini già precisati.
Passando dunque alla decisione sulle richieste di prova testimoniale articolate con la lista depositata in data 6 maggio 1996, le stesse, non risultando vietate dalla legge, nè, per le argomentazioni svolte, manifestamente superflue o irrilevanti, vanno tutte ammesse ad eccezione:
1) del teste Sen. Cossiga per la parte relativa ai capitoli sub a) (risultando la circostanza manifestamente irrilevante rispetto al thema decidendum), d) limitatamente alla parte avente ad oggetto "il suo personale punto di vista in ordine alla legittimità costituzionale" di alcuni provvedimenti (risolvendosi nella formulazione di un giudizio e non nella narrazione di fatti) e g) stante la manifesta genericità;
2) del teste Prof. Vassalli limitatamente al capitolato sub e) stante la manifesta genericità;
5) del teste Walters limitatamente alla parte del capitolato avente ad oggetto "elementi utili alla conoscenza della personalità morale del sen. Andreotti", stante la genericità ed il divieto di cui all'art.194 comma 1 c.p.p.;
27) del teste On.Signorello limitatamente alla parte del capitolato avente ad oggetto "quanto altro a sua conoscenza sulla attività politica e sulla personalità del sen.Andreotti" stante la manifesta genericità ed il divieto di cui all'art.194 comma 1 c.p.p.;
140) D'Ortenzi Alessandro e 141) Di Giulio Paola, stante la genericità della richiesta che non consente di valutare la rilevanza nel presente procedimento;
167) Ginaldi Giampaolo e 168) Vachez Luciano, stante la manifesta superfluità della richiesta;
169) Parodi Eolo e 170) Troso G.V., in quanto l'oggetto dell'esame risulta manifestamente ininfluente in relazione al thema decidendum.
Per quanto riguarda in particolare l'esame del teste Gen.Delfino (n.36 lista) lo stesso va ammesso su tutti i temi indicati, mentre per la parte del capitolato avente ad oggetto il contenuto di un intervista (della quale si rigetta la richiesta di acquisizione), l'esame va ammesso limitatamente alla indicazione di fatti specifici di cui il teste sia a conoscenza e non alla enunciazione di riferimenti generici o giudizi.
Anche l'esame dei testi Finocchiaro Angelo e Malpica Riccardo (nn.10 e 11 lista) può essere ammesso con la precisazione che la parte del capitolato dedotto circa i versamenti effettuati "in favore di collaboranti o di loro familiari" deve essere limitato agli imputati di reato connesso ammessi nel presente dibattimento.
Va infine ammessa la richiesta della
difesa relativa all'estensione dell'ultimo capitolato dedotto
per il teste Coronas (n.21 lista, pag.11) anche ai nuovi imputati
di reato connesso di cui è stato chiesto dal P.M. l'esame
(Cannella Tullio, Nobile Gaetano, Barreca Filippo).
All'udienza del 16 maggio 1996 la difesa ha insistito per l'acquisizione dei soli documenti che il Tribunale aveva già ammesso con ordinanza del 27 novembre 1995 che pertanto per questa parte va integralmente confermata.
La difesa ha altresì richiesto l'acquisizione di altre 5 prove documentali.
Avuto riguardo ai criteri già
evidenziati ed ai parametri valutativi utilizzabili in questa
fase processuale (non contrarietà alla legge, non manifesta
superfluità o irrilevanza), ritiene il Tribunale che debbano
essere ammessi i suddetti nuovi documenti la cui produzione è
stata richiesta dalla difesa dell'imputato ad eccezione delle
due videocassette e del libro del Sen. Chiaromonte la cui richiesta
di produzione deve essere rigettata per le ragioni già
precedentemente esposte.
Va altresì ammessa ai sensi degli artt.238 comma 1 e 468 comma 4 bis c.p.p. l'acquisizione al fascicolo del dibattimento dei verbali di prova di altro procedimento di cui ai punti 2) e 3) delle pagg.58-59 della lista, onerando la difesa del deposito della trascrizione integrale dell'esame del teste Ayala Giuseppe (verbale sub 2).
Il P.M. all'udienza del 16 maggio 1996 ha chiesto, ai sensi degli artt.493 comma 3 e 495 comma 2 c.p.p., l'ammissione di altre prove testimoniali.
L'art.495 comma 2 c.p.p. recita :"L'imputato ha diritto all'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico; lo stesso diritto spetta al pubblico ministero in ordine alle prove a carico dell'imputato sui fatti cosituenti oggetto delle prove a carico".
Vi deve essere dunque una diretta correlazione tra le prove che la parte è facultata a richiedere in forza della suddetta disposizione ed i fatti sui quali la controparte ha articolato mezzi di prova.
Difettando questa condizione la richiesta dovrà pertanto essere rigettata.
In relazione ad alcuni testimoni della difesa (Finocchiaro, Malpica) il P.M. ha altresì formulato richiesta di citazione di testimoni ai sensi dell'art.194 comma 2 c.p.p..
Orbene, la disposizione in esame, contenuta in una norma riguardante "oggetto e limiti della testimonianza", dopo avere al primo comma precisato che "il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova" , prevede al secondo comma che "l'esame può estendersi anche ai rapporti di parentela e di interesse che intercorrono tra il testimone e le parti o altri testimoni nonchè alle circostanze il cui accertamento è necessario per valutarne la credibilità".
Non può dunque revocarsi in dubbio che tale disposizione, come è confermato dallo stesso tenore letterale della norma ("Il testimone è esaminato... L'esame può estendersi....") fa esplicito riferimento al testimone il cui esame può essere esteso, anche e soprattutto in sede di controesame, ad ogni circostanza il cui accertamento serva a valutarne la credibilità.
Nel caso in esame il P.M., oltre ad invocare tale disposizione legittimamente per chiedere l'esame diretto del teste dedotto dalla difesa al fine di escuterlo su circostanze ritenute necessarie per il giudizio sulla credibilità, ha in forza della medesima disposizione richiesto anche l'ammissione dell'esame di altri testimoni su circostanze il cui accertamento dovrebbe poi essere utile ai fini della formulazione del suddetto giudizio.
Tale richiesta non si ritiene fondata in quanto l'art.194 comma 2 c.p.p. si riferisce esclusivamente alla facoltà concessa alle parti di esaminare il teste già dedotto ed ammesso e non legittima dunque la richiesta di ammissione di altri testi che dovrà, ove possibile, essere formulata ai sensi dell'art.493 comma 3 c.p.p..
Potrà dunque il P.M. (e ciascuna parte) nel corso del controesame (o dell'esame diretto del teste originariamente dedotto da controparte, se richiesto ex art.468 comma 4 c.p.p.) formulare domande sulle circostanze ed ai fini di cui all'art.194 comma 2 c.p.p., ma l'ammissione di nuovi testimoni dovrà avvenire, ove ne ricorrano le condizioni, ex art.493 comma 3 c.p.p..
Passando all'esame delle richieste di ulteriori prove formulate dal P.M., le stesse vanno ammesse con esclusione:
- dei punti da 1 a 4 del capitolato dedotto per il teste Sen.Cossiga, in quanto trattasi di temi sui quali il teste ha già riferito nel corso della deposizione resa alla Corte di Assise di Palermo, Sez. Prima, nell'ambito del procedimento penale n.8/92 R.Ass. i cui verbali sono stati acquisiti;
- del teste Dott. Di Gennaro (in relazione al teste della difesa Perez De Cuellar) essendo il capitolato manifestamente ininfluente in relazione al thema decidendum, e peraltro estraneo rispetto ai fatti sui quali la difesa ha chiesto di sentire il teste;
- del teste Cataldi, (in relazione ai testi della difesa Finocchiaro e Malpica), essendo il capitolato manifestamente ininfluente in relazione al thema decidendum, e peraltro estraneo rispetto ai fatti sui quali la difesa ha chiesto di sentire i testi;
- del teste Jucci per tutti i capitolati, stante la manifesta estraneità rispetto ai fatti sui quali la difesa ha chiesto di sentire il teste (peraltro il punto 7 del capitolato è già stato indicato dal P.M. nella lista depositata il 7 maggio 1996 (pag.33);
Per quanto riguarda i testi e gli imputati di reato connesso il cui esame è stato richiesto dalla difesa ai sensi dell'art.495 comma 2 c.p.p. all'udienza del 16 maggio 1996, e per i quali il P.M. non ha formulato opposizione, ritiene il Tribunale che gli stessi devono essere tutti ammessi sulle circostanze specificamente dedotte per ciascuno di essi, ad eccezione:
- del teste Khol Helmut in quanto la prova a carico indicata dal P.M. (dichiarazioni Calabrò Maria Antonietta del 7/10/95) è stata rigettata;
- del teste Ferrari Bravo Luigi perchè
tardivamente proposto avendo l'esame ad oggetto i medesimi fatti
(attività svolta dall'imputato in favore della cooperazione
giuridica internazionale per la lotta contro la criminalità
organizzata) in relazione ai quali la difesa aveva ritualmente
formulato le sue richieste di prova;
All'udienza del 16 maggio 1996 la difesa ha altresì richiesto ai sensi dell'art.493 comma 3 c.p.p. l'esame degli imputati di reato connesso Messina Leonardo e Cannella Tullio in riferimento alle circostanze di cui agli interrogatori resi al P.M. rispettivamente in data 19/12/95 e 24/4/96, dei quali è stato notificato il deposito solo in epoca successiva alla scadenza del termine per il deposito delle liste.
Tale richiesta, sulla quale peraltro il P.M. non si è opposto, va ammessa.
Vanno infine indicati come atti utilizzabili ai fini della decisione, stante la concorde richiesta delle parti, i verbali delle prove assunte alle udienze del 5/12/95, 15/12/95, 9/1/96 e 10/1/96.
Quanto, infine, all'esame dell'imputato,
va senz'altro ammesso quello richiesto dalla difesa, mentre deve
riservarsi la pronuncia in ordine alla omologa richiesta del P.M.
dovendo al riguardo interpellarsi l'imputato.
visti gli artt.187, 190, 190 bis, 194, 197, 210, 220 e ss., 234, 236, 237, 238, 238 bis, 240, 242, 266 e ss., 468, 493, 495, 511, 512, 512 bis, 513, 514, 515, 648 c.p.p.; 78 e 243 disp. att. c.p.p.;
l'esame di tutti i testimoni indicati dal P.M. nella lista depositata il 7 maggio 1996, con le limitazioni indicate nella parte motiva, ad eccezione di Calderoni Pietro, Tucci Bruno, Ficoneri Pierluigi, Forattini Giorgio, Fabiani Roberto, Dalla Chiesa Fernando, Rognoni Virginio, Spadolini Giovanni, Martellucci Nello, Dalla Chiesa Rita, Dalla Chiesa Simona, D'Acquisto Mario, Bocca Giorgio, Cossiga Francesco, Frallicciardi Armando (in quanto ammesso come consulente del P.M.), Onado Marco, Amendola Piera, De Lutiis Giuseppe, Nunzi Ercole, Anselmi Tina, Cardetti Giorgio, Ventura Michele, Lombardi Enzo, Pomicino Paolo Cirino, Augello Giacomo, Ardizzone Gianfranco, Silvestri Mario, Alfano Filippo, Anchora Giovanni, Gelormini Alessandro, Mander Mariano, Di Fresco Ernesto, Parisi Michele, Carità Giovanni, Danesi Emo, Fabbri Stellina, Fumagalli Carulli Ombretta, Galli Giorgio, Calabrò Maria Antonietta, Stella Giannantonio, Cicala Mario, Lari Sergio, Spataro Armando, Caprara Maurizio, Venturi Alfredo e Romiti Cesare;
ammette l'esame del consulente Frallicciardi Armando;
sospende la decisione in ordine alla richiesta di ammissione dell'esame dei testi Trizzino, Mattarella, Chiazzese, Pintacuda e Rognoni all'esito dell'acquisizione integrale dei verbali di dichiarazioni indicati dal P.M.;
rigetta le ulteriori richieste di esame di consulenti formulate dal P.M.;
dispone l'acquisizione di tutte i provvedimenti giurisdizionali indicati dal P.M. (pagg.121-122 lista P.M.), nonchè dei verbali di prova di altri procedimenti penali (pagg.113 e ss. lista P.M. dep.7/5/96) e dei verbali di cui è stata chiesta la lettura ai sensi degli artt.238 e 512 c.p.p. (pagg.123-124 lista P.M.);
ammette la produzione di tutti i documenti indicati dal P.M. alle pagg. 129-152 della lista depositata il 7 maggio 1996 (con le precisazioni indicate in motivazione), ad eccezione di quelli contrassegnati dai nn. 1, 3, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 17 e 233, nonchè degli atti indicati alle pagg.125-128 della medesima lista, con le esclusioni e limitazioni indicate nella parte motiva;
riserva all'esito del parere della difesa la decisione sulla richiesta del P.M. di acquisizione di intercettazioni ex art.270 c.p.p.;
ammette l'esame di tutti i testimoni indicati dalla difesa dell'imputato sui capitoli di prova dedotti e con le esclusioni e limitazioni enunciate nella parte motiva, ad eccezione di D'Ortenzi Alessandro, Di Giulio Paola, Ginaldi Giampaolo, Vachez Luciano, Parodi Eolo e Troso G.V.;
ammette la produzione dei documenti indicati dalla difesa e già ammessi con ordinanza del 27 novembre 1995, nonchè di quelli richiesti all'udienza del 16 maggio 1996 ad eccezione delle due videocassette e del libro del Sen. Chiaromonte;
dispone l'acquisizione al fascicolo del dibattimento dei verbali di prova di altri procedimenti di cui ai punti 2) e 3) delle pagg.58-59 della lista della difesa, onerando la difesa stessa del deposito della trascrizione integrale dell'esame del teste Ayala Giuseppe (verbale sub 2);
ammette l'esame dei testi richiesti dal P.M. all'udienza del 16 maggio 1996 con i limiti indicati in motivazione e con esclusione dei testi Di Gennaro Giuseppe, Cataldi Enrico e Jucci Roberto;
ammette l'esame dei testi richiesti dalla difesa all'udienza del 16 maggio 1996 ad eccezione dei testi Khol Helmut e Ferrari Bravo Luigi;
ammette altresì l'esame degli imputati di reato connesso Messina Leonardo e Cannella Tullio richiesto dalla difesa all'udienza del 16 maggio 1996 ed in riferimento alle circostanze dedotte;
indica quali atti utilizzabili ai fini della decisione i verbali delle prove assunte alle udienze del 5/12/95, 15/12/95, 9/1/96 e 10/1/96;
dispone l'esame dell'imputato richiesto dalla difesa, riservando la decisione sulla omologa richiesta del P.M.;
rigetta ogni ulteriore richiesta formulata dalle parti.
Palermo 21 maggio 1996
Il Presidente