Il Tribunale di Palermo, Sezione
Quinta Penale, composto dai sigg.
1) Dott. Francesco Ingargiola Presidente
2) Dott. Salvatore Barresi Giudice
3) Dott. Antonio Balsamo Giudice
Riunito in camera di consiglio
ha pronunziato la seguente
decidendo sulla questione di legittimità costituzionale dell'art.147 bis delle norme di attuazione del codice di procedura penale in riferimento agli artt.3 e 24 della Costituzione, sollevata dalla difesa dell'imputato all'udienza odierna;
sentiti il P.M. ed il difensore della parte civile;
L'art.147 bis delle norme di attuazione al c.p.p. è stato introdotto con l'art.7 del D.L. 8 giugno 1992 n.306, convertito con modificazioni nella legge 6 agosto 1992 n.356, in epoca immediatamente successiva alla strage di Capaci, per adeguare la vigente legislazione ad una realtà criminale connotata da una estrema pericolosità e capacità di intimidazione.
Proprio nell'ottica di una adeguata tutela della sicurezza dei soggetti che, ammessi a programmi di protezione, sono più di altri esposti al rischio di aggressioni criminali, è stata introdotta con l'art.147 bis la possibilità del ricorso all'esame a distanza degli stessi anche mediante collegamento audiovisivo.
Nella relazione che accompagna il disegno di legge di conversione del decreto legge si afferma infatti che "la previsione del nuovo art.147 bis è dettata dalla intuibile esigenza di salvaguardare l'immagine delle persone che, per la collaborazione prestata alla giustizia, si trovano esposte al rischio di ritorsione".
Prosegue la relazione evidenziando che "la possibilità di un esame a distanza, già da tempo utilizzato in altri paesi, è lo strumento che meglio soddisfa le accennate esigenze e salvaguarda, al tempo stesso, l'oralità e la dinamica probatoria tipiche del contraddittorio dibattimentale".
Quanto osservato in ordine alla ratio della norma ed alle finalità che essa intende perseguire, rende evidente che la disciplina impugnata, che prevede una deroga alla regola ordinaria della comparizione della persona da esaminare nel luogo ove si svolge il dibattimento, sfugge a qualsiasi censura di irragionevolezza.
Nell'ipotesi in cui, infatti, si lamenti, come nel caso in esame, un asserito contrasto con il principio sancito dall'art.3 della Costituzione, occorre verificare se la differenziata disciplina normativa di determinate situazioni risponda o meno ad un principio di ragionevolezza.
Ha infatti osservato la Corte Costituzionale (cfr. sentenza n.89 del 25-28 marzo 1996) che "il giudizio di eguaglianza è in sè un giudizio di ragionevolezza, vale a dire un apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la causa normativa che la deve assistere: ove la disciplina positiva si discosti dalla funzione che la stessa è chiamata a svolgere nel sistema ed ometta quindi di operare il doveroso bilanciamento dei valori che in concreto risultano coinvolti, sarà la stessa ragione della norma a venire meno introducendo una selezione di regime giuridico priva di causa giustificativa e dunque fondata su scelte arbitrarie che ineluttabilmente perturbano il canone dell'eguaglianza".
Nel caso in esame invece la deroga introdotta dall'art.147 bis è limitata ai casi di persone "ammesse, in base alla legge, a programmi o misure di protezione", e dunque a quei soggetti in relazione ai quali è riconosciuta normativamente l'esistenza di un "grave ed attuale pericolo per effetto della loro collaborazione o delle dichiarazioni rese " (art.9 D.L. 15 gennaio 1991 n.8, conv. con modif. in legge 15 marzo 1991 n.82).
La deroga dell'art.147 bis è dunque giustificata in termini di evidente ragionevolezza dalla primaria esigenza di salvaguardare il prevalente diritto alla vita ed alla integrità fisica della persona da esaminare.
Manifestamente priva di fondamento è pertanto l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art.147 bis sotto il dedotto profilo della palese irragionevolezza ex art.3 della Costituzione della suddetta disposizione.
La norma peraltro ha cura di prevedere una serie di adempimenti idonei a garantire comunque la corretta assunzione della prova, sia attraverso la presenza nel posto ove si trova la persona da esaminare di un ausiliario del giudice (o di altro pubblico ufficiale autorizzato) che attesta l'identità di essa, sia mediante l'indicazione da parte dell'ausiliario medesimo delle cautele adottate al fine di assicurare la genuinità dell'esame.
La dedotta violazione del diritto di difesa ex art.24 Cost. in relazione all'assenza dall'aula d'udienza della persona da esaminare ed alla conseguente impossibilità di vederne il viso, cogliendo e valutando le espressioni del volto, non risulta fondata in quanto anche nell'ipotesi di comparizione al dibattimento di persona ammessa a programmi o misure di protezione può essere preclusa alle parti la visibilità del volto dell'esaminando per le stesse ragioni di sicurezza che hanno imposto l'introduzione della norma in oggetto.
Nè la possibilità di vedere il volto della persona da esaminare, e la sua presenza in aula, costituiscono condizioni essenziali per una corretta e completa assunzione della prova.
Non può invero disconoscersi che la suesposta disciplina risulta idonea a salvaguardare le esigenze di sicurezza concretamente configurabili senza tuttavia determinare una limitazione delle essenziali manifestazioni del diritto di difesa, che può comunque compiutamente esplicarsi mediante la diretta ed attiva partecipazione alla formazione della prova nel contraddittorio tra le parti.
Anche sotto tale profilo, pertanto, la questione di legittimità costituzionale dell'art.147 bis in relazione all'art.24 della Costituzione deve ritenersi manifestamente infondata.
visti gli artt.147 bis norme di attuazione del c.p.p., 24 legge 11 marzo 1953 n.87;
respinge l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art.147 bis delle norme di attuazione del codice di procedura penale in riferimento agli artt.3 e 24 della Costituzione per manifesta infondatezza.
Dispone procedersi oltre nel dibattimento.
Palermo 29 maggio 1996.
Il Presidente