Il Tribunale di Palermo, Sezione Quinta Penale, composto dai sigg.
1) Dott. Francesco Ingargiola Presidente
2) Dott. Vincenzina Massa Giudice
3) Dott. Salvatore Barresi Giudice
Riunito in camera di consiglio ha pronunziato la seguente
decidendo sulle richieste di ammissione di prove e sulle eccezioni ed opposizioni al riguardo formulate dal P.M. e dai difensori alle udienze del 14, 20, 21 e 27 novembre 1995;
Occorre in primo luogo esaminare la eccezione di inammissibilità formulata dai difensori dell'imputato con riferimento ad una asserita genericità o comunque non sufficiente specificità delle circostanze indicate dal P.M. nelle liste dei testimoni depositate nei termini di cui all'art.468 c.p.p..
Giova sul punto rilevare che anche il P.M. da parte sua ha eccepito la genericità della indicazione delle circostanze su cui la difesa ha chiesto alcune prove testimoniali.
Osserva al riguardo il Collegio che l'art.468 c.p.p. impone alle parti che intendano chiedere l'ammissione al dibattimento dell'esame di testimoni, periti o consulenti di depositare in cancelleria, almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento, la relativa lista "con la indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame".
La relazione ministeriale al codice evidenzia espressamente come il deposito delle liste testimoniali assolva principalmente ad una funzione di "discovery" e la relativa previsione normativa persegue dunque la finalità di impedire l'introduzione ad opera di qualsiasi parte di prove a sorpresa che in quanto tali risulterebbero suscettibili di alterare un corretto contraddittorio tra le parti.
La indicazione nella lista depositata delle circostanze sulle quali ciascun teste deve essere sentito - rispetto alla quale non sembra priva di rilievo la considerazione che la norma non richiede l'articolazione specifica omettendo significativamente ogni aggettivazione - non svolge alcuna funzione correlata alla ammissibilità della prova sotto il profilo della rilevanza in quanto gli unici requisiti richiesti in questo momento sono quelli relativi alla legittimità formale delle testimonianze (per consentire al Presidente investito della richiesta di concedere la autorizzazione alla citazione ex art.468 comma 2 c.p.p. di escludere le prove "vietate dalla legge") ed alla loro non manifesta sovrabbondanza (altro connotato che legittimerebbe il diniego della chiesta autorizzazione presidenziale).
Si tratta dunque di un compito di verifica esclusivamente formale esteso alla limitata ipotesi di un'evidente sovrabbondanza delle deduzioni probatorie rispetto allo scopo processuale perseguito, essendo invece ogni altro giudizio - ed in special modo quello attinente alla rilevanza - rimesso al giudice del dibattimento.
I suddetti requisiti (liceità e non manifesta sovrabbondanza) risultano dunque verificabili da parte del Presidente sulla base della semplice indicazione generica dei temi di prova non occorrendo una articolata e specifica deduzione.
Osserva al riguardo la relazione ministeriale al codice che in questa fase la valutazione da parte del Presidente - "che non implica alcun giudizio sulla rilevanza della prova e non preclude una diversa decisione al dibattimento" - è possibile "anche senza la conoscenza degli atti".
Ne consegue che ogni valutazione da parte del giudice afferente all'ammissione delle prove, ed in particolare alla loro rilevanza, nei ristretti limiti che appresso saranno illustrati, non è attribuita al Presidente bensì rimessa ad altra fase processuale e precisamente a quella disciplinata dall'art.493 c.p.p. (esposizione dei fatti e richiesta di ammissione delle prove).
Se dunque la funzione del deposito delle liste testimoniali e della indicazione delle circostanze prevista dall'art.468 c.p.p. è solo quella di consentire alla parte avversa di articolare la propria strategia difensiva ed esercitare il diritto alla prova contraria così come previsto dal comma 4 della medesima disposizione, deve dedursene che l'asserita genericità delle circostanze indicate nella lista non potrà essere eccepita dalla parte che già conosca o abbia avuto la possibilità di conoscere le circostanze sulle quali verterà l'esame del teste dedotto, per essere stato costui già sentito nel corso delle indagini preliminari ovvero per essere autore di atti compiuti o relazioni acquisite nel corso della medesima fase (ovvero nella fase compresa tra l'udienza preliminare e il dibattimento).
Il deposito di tutti gli atti relativi alle indagini preliminari ed alla fase successiva e la conseguente presunzione di conoscenza del loro contenuto (art.433 c.p.p.) impone dunque di ritenere che laddove i testi siano citati ed indicati in lista con riferimento a circostanze di tempo e di luogo chiaramente emerse nel corso degli atti depositati, risulta garantito il più ampio esercizio del diritto alla prova contraria.
Orbene, nel caso in esame l'elencazione delle circostanze contenuta nelle liste depositate dal P.M. in limine litis appare già sufficientemente articolata evidenziando adeguatamente i temi di prova su cui l'esame dei testimoni e degli imputati di reato connesso o collegato sarebbe stato richiesto.
Nè risulta fondata ad avviso del Collegio la doglianza del difensore secondo cui non sarebbe stato possibile collegare singolarmente ogni teste alla circostanza o alle circostanze sulle quali si chiede che ciascuno di essi venga esaminato, sol che si consideri che per ciascun teste indicato il P.M. ha anche specificamente richiamato la deposizione resa nel corso delle indagini preliminari, così evidenziando ulteriormente i temi sui quali la persona è chiamata a deporre.
Sembra dunque sufficiente osservare che proprio la conoscenza del contenuto degli atti delle indagini preliminari che il difensore deve avere consente di pervenire agevolmente alla indicata specifica individuazione e dunque di articolare il proprio diritto alla prova contraria.
In linea con la tesi suesposta risultano peraltro tutte le più recenti pronuncie di legittimità intervenute sul punto (cfr. Cass. Sez.VI 4 aprile 1995 n.3565 secondo cui "l'obbligo dell'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame dei testimoni, imposto dall'art.468 comma 1 c.p.p. deve ritenersi rispettato, non soltanto quando nella lista testimoniale le circostanze sono indicate con richiamo diretto al capo di imputazione contestato, ma anche quando sia possibile dedurre <<per relationem>> che la persona indicata è tra i protagonisti e/o i soggetti, pure passivi, dei fatti specificati articolatamente nel capo di imputazione e le circostanze sulle quali è chiamata a deporre sono ricomprese in esso o in altri atti che debbono essere noti alle parti"; cfr. anche Cass. Sez. VI 7 aprile 1994 n.4067 secondo cui "L'onere di indicazione delle circostanze sulle quali deve vertere l'esame testimoniale, gravante sulla parte che lo richiede, deve ritenersi adempiuto quando alle altre parti venga consentito di richiedere la prova contraria, per modo che sia garantita la regolarità del contraddittorio, relativamente all'acquisizione dibattimentale dei mezzi di prova"; cfr. Cass. Sez.III 22 gennaio 1993 n.521; Cass. Sez.VI 25 gennaio 1993 n.669; Cass. Sez. VI 17 giugno 1992, ric. Pani; Cass. Sez. IV 19 dicembre 1991, in causa Colombo ed altri; Cass. Sez. I 27 maggio 1991 n.5760).
Nè può peraltro ritenersi che una corretta interpretazione dell'art.468 c.p.p. imporrebbe una precisazione dei fatti da provare che sul modello processualcivilistico si articolasse in una vera e propria capitolazione delle prove orali in quanto siffatta lettura della norma contrasterebbe manifestamente con il metodo della cross-examination proprio del nuovo rito e che impone invece la più ampia possibilità di esame e controesame nel pieno contraddittorio tra le parti (cfr. Cass. Sez. VI 25 gennaio 1993 n.669, secondo cui l'obbligo di cui all'art.468 c.p.p. "non può tuttavia essere inteso in senso rigoroso alla stregua delle capitolazioni del codice di procedura civile" in quanto "il fulcro del sistema accusatorio è costituito dalla più ampia possibilità di esame e controesame nel contraddittorio contestuale e rifugge, quindi, dall'analitica scomposizione ed anticipata enunciazione dei fatti da provare, nonchè dalle conseguenti esclusioni che sono tipiche delle prove legali"; la Suprema Corte ha poi affermato che "l'esigenza di lealtà processuale che si esprime nella discovery è soddisfatta quando l'individuazione dell'oggetto dell'esame sia idoneo a consentire il diritto alla controprova ai sensi dell'art.495 comma 2 c.p.p."; nella specie si è ritenuta sufficiente l'indicazione delle circostanze riguardanti operazioni di p.g. effettuate in una certa data, in riferimento ai fatti oggetto dell'accusa, in quanto poste in relazione alle pregresse attività d'ufficio ed agli atti della loro documentazione, contenuti nel fascicolo del p.m. e noti alle controparti).
Si consideri ad esempio che osta all'eventuale articolazione delle circostanze in capitoli di prova inclusivi del risultato della prova che si intende acquisire già nella stessa formulazione delle domande, come suole avvenire nel processo civile ("Vero è che ..."), il preciso divieto normativo nel caso dell'esame diretto (art.499 comma 3) delle domande cd. suggestive ovvero che "tendono a suggerire la risposta".
Sembra infine opportuno rilevare che il modello del processo civile è stato nella disciplina di questa fase processuale talmente distante come modello di riferimento che non a caso il legislatore nell'approvare il testo definitivo del nuovo codice ha ritenuto di modificare l'originario art.468 (già 462) comma 4, in accoglimento di un rilievo della Commissione parlamentare, sostituendo con l'espressione "prova contraria" l'originario termine "controprova" proprio perchè si è ritenuto che la precedente locuzione "richiamava l'omologa e riduttiva nozione civilistica di prova contraria dipendente", con ciò dunque evidenziando il favore espresso dal legislatore alla massima estensione al di fuori di rigidi schemi formalistici del diritto delle parti alla prova.
Nè deve trascurarsi di considerare, con specifico riferimento alla valutazione che dovrà compiere il giudice sulle richieste di prova, che la vera e propria discovery avviene non con il deposito delle liste - che come si è detto assolve alla funzione di consentire alla controparte la articolazione della più adeguata strategia processuale e particolarmente la deduzione di "prove contrarie" - bensì con la esposizione del programma probatorio previsto dall'art.493 c.p.p.. Si consideri infine che se, come si è detto, l'indicazione delle circostanze è comunque finalizzata all'esercizio ad opera della parte avversa della facoltà di deduzione di prove contrarie ed alla preparazione della più adeguata strategia difensiva, e se tale facoltà è esercitabile ai sensi dell'art.468 comma 4 c.p.p. anche mediante presentazione dei relativi testi direttamente al dibattimento fino al momento della richiesta di ammissione delle prove, non può non rilevarsi come nei fatti la difesa abbia potuto con la più ampia estensione fare uso di tale facoltà avendo in concreto usufruito dopo l'ulteriore analitica esposizione del P.M., con conseguente ancor più completa esplicitazione della propria strategia processuale d'accusa, di un congruo rinvio prima di formulare a sua volta le proprie richieste anche di prova contraria.
Va dunque rigettata perchè infondata l'eccezione concernente l'asserita omessa o insufficiente indicazione nelle liste testimoniali depositate dal P.M. delle circostanze oggetto di esame.
Passando dunque all'esame delle richieste di ammissione di prove testimoniali formulate dalle parti occorre in primo luogo evidenziare i limiti che la legge impone all'esercizio da parte del Tribunale in questa fase dei poteri inerenti all'ammissione o meno delle prove richieste dalle parti.
Deve invero rilevarsi che il giudice è chiamato a decidere sulle prove richieste ai sensi dell'art.190 comma 1 c.p.p. (art.495 comma 1), fermo restando il diritto dell'imputato di ottenere l'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico, e del P.M. di vedere ammesse le prove a carico dell'imputato sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico.
I canoni di valutazione espressamente previsti dalla legge ai quali il Tribunale deve uniformare le proprie decisioni in materia di prove sono estremamente rigidi.
Il giudice invero deve ammettere senza ritardo le prove che le parti richiedono con l'unico limite rappresentato dalla esclusione delle prove vietate dalla legge e di quelle manifestamente superflue o irrilevanti.
Emerge dunque con estrema chiarezza che le uniche ipotesi nelle quali una prova richiesta dovrà (o potrà) essere non ammessa con conseguente limitazione del diritto delle parti alla prova sono quella in iure della contrarietà alla legge (prove vietate) e quella in facto della loro evidente non pertinenza al thema decidendum (per manifesta irrilevanza o superfluità), alla stregua dei criteri comunque enunciati dall'art.187 c.p.p. in tema di oggetto della prova.
E che il legislatore abbia voluto in questa fase processuale, contraddistinta dal riconoscimento di un vero e proprio diritto delle parti alla prova e conseguentemente al pieno dispiegamento delle rispettive strategie processuali, comprimere per converso al massimo il potere limitativo da parte del Tribunale è significativamente confermato dalla circostanza che in sede di approvazione del testo definitivo del codice si sia ritenuto di modificare l'art.489 (oggi 495) sostituendo l'originaria espressione "prove irrilevanti" con la più incisiva espressione "prove manifestamente irrilevanti" con il "chiaro intento di rendere ancor più limitata la possibilità di "rifiutare" l'ammissione delle prove nella fase introduttiva" (pag.117 Suppl. Ord. n.2 Gazzetta Ufficialen.250 del 24/10/88).
Nè deve trascurarsi di considerare che la disposizione in
esame è stata modellata proprio in conformità alla direttiva n.69
della legge delega che imponeva al legislatore delegato in materia di prova la
garanzia del diritto delle parti all'ammissione ed all'acquisizione dei mezzi
di prova richiesti "salvi casi
Non a caso si legge nella relazione al testo definitivo del nuovo
c.p.p., a commento della introduzione dell'avverbio "manifestamente" in
linea con la direttiva n.69, che "non si può non interpretare la
voluntas del legislatore delegante come impegno volto ad impedire una
discrezionalità del giudice che faccia discendere
l'inammissibilità della prova dal solo dubbio sulla superfluità
così da vanificare di fatto quel diritto alla prova che costituisce una
delle innovazioni più qualificanti del sistema" (pag.181 Suppl. Ord,
G.U. cit.).
Così definiti i ristretti limiti entro i quali operano i
poteri del Tribunale in merito alla valutazione delle richieste di prove
formulate dalle parti deve osservarsi quanto segue.
In tema di documenti occorre effettuare alcune considerazioni al fine di
individuare i criteri cui si uniformerà il Tribunale nella valutazione
delle articolate richieste di prova documentale formulate dalle parti.
Una prima questione si pone riguardo alla richiesta di produzione degli atti
di varie
Ritiene il Tribunale che, seppur in linea teorica possano qualificarsi come
documenti gli atti di una commissione parlamentare d'inchiesta, occorre
tuttavia sin d'ora esaminare il problema della concreta utilizzabilità
come prove al dibattimento di quegli atti e quelle informazioni che, giova
evidenziarlo, sono acquisiti da organismi aventi indubbia composizione politica
e finalità diverse rispetto a quelle proprie di un processo penale.
Se è vero infatti che i documenti ammessi ai sensi degli artt.234 e
ss. e 493 c.p.p. acquistano piena efficacia probatoria attraverso il meccanismo
dell'acquisizione e del conseguente inserimento nel fascicolo per il
dibattimento (art.515 c.p.p.), occorre valutare in concreto quale uso è
lecito operare nell'ambito del porcesso penale dei risultati acquisiti in sede
diversa da quella giudiziaria.
Deve al riguardo osservarsi che l'attività di una commissione
parlamentare d'inchiesta si articola attraverso l'audizione di persone e
l'acquisizione di documenti e viene infine condensata nella stesura di una o
più relazioni conclusive.
Orbene, quanto all'esame di persone, comprensive dell'audizione di indagati o
imputati di reato connesso, deve rilevarsi che esistono molteplici differenze
tra l'istruzione dibattimentale e l'audizione compiuta da una commissione
parlamentare d'inchiesta.
Si osserva invero, evidenziando solo le differenze più rilevanti tra
le due procedure, che davanti alla commissione parlamentare è
pressocchè inapplicabile la disciplina sulle incompatibilità a
testimoniare (art.197 c.p.p.); non è previsto l'esame incrociato; non vi
sono limiti alla formulazione di domande suggestive o che possano nuocere alla
sincerità delle risposte (art.499 commi 2 e 3 c.p.p.), nè alla
espressione da parte del soggetto esaminato di apprezzamenti personali (art.194
comma 3 c.p.p); possono essere sentiti, ancorchè "liberamente", persino
i magistrati incaricati dei procedimenti relativi ai fatti di cui si interessa
l'inchiesta parlamentare, in palese contrasto con quanto disposto in sede
penale dall'art.197 lett.d) c.p.p. .
Nè deve trascurarsi di considerare che il codice di rito già
prevede all'art.238 c.p.p. rigidi criteri di ammissibilità di prove
costituite al di fuori del processo in corso, con esclusivo riferimento a
quelle prove "tipiche" provenienti da altri procedimenti giurisdizionali.
Non può infatti revocarsi in dubbio che l'art.238 c.p.p. si riferisca
esclusivamente a procedimenti penali (comma 1) o civili (comma 2), e che ad
essi non possa essere assimilata l'attività d'inchiesta che si svolge
dinanzi ad una commissione parlamentare.
Risulterebbe peraltro irragionevole consentire l'acquisizione, e dunque la
piena immediata utilizzabilità in sede penale, dei verbali di audizioni
svolte dinanzi ad un organismo avente composizione politica, a fronte invece
del divieto di acquisizione o lettura (art.514 c.p.p., con le eccezioni
previste dagli artt.512 e 512 bis c.p.p.) dei verbali di dichiarazioni rese dai
testimoni dinanzi alla polizia giudiziaria o al P.M. (sul quale ultimo, giova
evidenziarlo, pur essendo parte, comunque "grava un dovere di correttezza e di
indifferenza al risultato" sufficiente a garantire la genuinità del suo
operato: cfr. Corte Costituzionale sent. n.111/1993 e sent. n.241/1994).
E la palesata irragionevolezza di una siffatta conclusione emerge ancor
più evidente se si considera che il suddetto divieto di acquisizione
opera persino in relazione alle dichiarazioni eventualmente rese al GIP che
è un organo giudiziario terzo, dunque super partes come il
giudice del dibattimento.
Se dunque il nuovo modello processuale è improntato al principio della
formazione della prova al dibattimento che trova il suo momento più
saliente proprio nell'obbligo di acquisizione delle prove al dibattimento, o
comunque in momenti processuali nei quali è rispettato il principio del
contraddittorio nella formazione della prova (art.238 c.p.p.), deve ritenersi
inammissibile l'acquisizione e conseguente utilizzazione di prove
extracostituite in situazioni e davanti ad organi rispetto ai quali non vi
è alcun contraddittorio.
Deve dunque concludersi per la radicale inidoneità dei verbali di una
commissione parlamentare d'inchiesta a valere come prove penali.
Le suesposte ragioni valgono in maniera più evidente in relazione ai
documenti ed agli atti (sentenze, rapporti di polizia giudiziaria, informative
di reato, etc.) che vengono acquisiti da una commissione parlamentare
d'inchiesta nel corso dei suoi lavori, acquisizioni per le quali non valgono i
limiti imposti in sede di giudizio penale (art.240 c.p.p.: divieti in materia
di documenti anonimi; art.238 bis c.p.p.: limiti all'acquisizione ed
utilizzazione di sentenze irrevocabili; art.234 comma 3 c.p.p.: divieto di
acquisizione di documenti contenenti informazioni sulle voci correnti nel
pubblico o sulla moralità in generale delle parti, dei testimoni, dei
consulenti tecnici e dei periti; art.514 cpv. c.p.p.: divieto di lettura dei
verbali e degli altri atti di documentazione delle attività compiute
dalla polizia giudiziaria).
Nè a diverse conclusioni può pervenirsi con riferimento alle
relazioni finali delle commissioni parlamentari d'inchiesta che, come è
ampiamente noto, non sempre vengono approvate all'unanimità,
prevedendosi la possibilità di stesura di una relazione di maggioranza e
di una o più relazioni di minoranza.
Emerge dunque con chiarezza che la valutazione del lavoro compiuto dalla
commissione d'inchiesta, ed in particolare la ricostruzione che dei fenomeni
esaminati (terrorismo, mafia, caso Sindona, P2, etc.) viene operata dai
componenti della commissione stessa designati da tutti i partiti politici,
è differenziata in ragione delle prospettazioni che ciascuna parte
politica intende evidenziare.
Ne consegue che non può operarsi alcuna, seppur lata, assimilazione
delle suddette relazioni, contenenti in conclusione valutazioni, ricostruzioni,
deduzioni e giudizi di parte, ai provvedimenti giurisdizionali, per i quali
invece vigono i limiti di acquisibilità ed utilizzazione fissati
dall'art.238 bis c.p.p., con la conseguenza che nessun uso sul piano del
giudizio penale può essere fatto del contenuto delle relazioni, le cui
conclusioni peraltro, per le ragioni esposte, sono fondate anche sul risultato
di attività che, come si è detto, sono notevolmente differenziate
rispetto a quelle del giudice penale.
Va dunque rigettata anche la richiesta di produzione delle relazioni
conclusive delle commissioni parlamentari d'inchiesta formulata dalle parti.
Le stesse argomentazioni in larga parte valgono con riferimento alla
documentazione
Anche per tali atti dunque deve rigettarsi la richiesta di produzione con le
eccezioni appresso indicate riguardanti atti cui va invece riconosciuta la
natura documentale e la conseguente utilizzazione in giudizio.
Giova sul punto rilevare che fino all'approvazione del D.L. 8 giugno 1992
n.306, la questione in ordine alla possibilità di acquisizione al
dibattimento di sentenze, irrevocabili o meno, era stata oggetto di dibattito
in dottrina ed in giurisprudenza.
La tesi favorevole alla produzione riteneva di trovare legittimazione
normativa nel disposto dell'art.236 c.p.p. che, inserito nel Capo VII del Libro
III sulle "Prove" del c.p.p., ed avente una rubrica intitolata "Documenti
relativi al giudizio sulla personalità", consente l'acquisizione tra
l'altro delle sentenze irrevocabili "ai fini del giudizio sulla
personalità dell'imputato o della persona offesa dal reato" nei limiti
precisati dalla norma.
Si sosteneva dunque che l'avere ricompreso le sentenze irrevocabili in una
norma intitolata ai "documenti" e contenuta in un capo del c.p.p. destinato ai
"documenti" fosse argomento sufficiente a confermarne la natura documentale e
dunque l'acquisibilità in generale ex artt.234 e ss. c.p.p. (In tal
senso è proprio la sentenza citata dal P.M. - Cass.Sez.VI n.9758 del 13
ottobre 1992, ric.P.G. e Taurino - dalla cui motivazione si evince chiaramente
- pag.12 - che la decisione, adottata l'11 giugno 1992, e dunque appena due
giorni dopo l'entrata in vigore del D.L. n.306 dell'8 giugno 1992, accenna
all'asserito, e invece non più esistente, divieto di acquisizione di
sentenze anche definitive).
La soluzione come sopra esposta, tutt'altro che pacifica, ha indotto dunque
il legislatore all'intervento normativo sul punto mediante l'introduzione
dell'art.238 bis c.p.p. con il citato decreto legge, convertito con
modificazioni nella legge n.356 del 7 agosto 1992.
Orbene, ritiene il Tribunale che l'espressa previsione normativa, ormai
introdotta nel sistema, della acquisibilità delle sole sentenze
irrevocabili, peraltro ai limitati fini contemplati dalla disposizione in
esame, imponga di ritenere che resta preclusa la facoltà di acquisizione
di sentenze o provvedimenti giurisdizionali che non siano irrevocabili nel
senso precisato dall'art.648 c.p.p. (che stabilisce che "Sono irrevocabili
le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa
impugnazione diversa dalla revisione").
La Suprema Corte ha ritenuto di ricomprendere nella previsione dell'art.238
bis c.p.p. anche le sentenze, purchè irrevocabili, emesse a seguito di
giudizio abbreviato ovvero di applicazione della pena su richiesta (cfr. Cass.
Sez.II n.6755 del 10 giugno 1994, ric. Rapanà).
Ritiene pertanto il Tribunale che non possono essere acquisite le sentenze
non irrevocabili, nè le sentenze o ordinanze non pronunciate in giudizio
(come ad esempio i decreti di archiviazione o le sentenze-ordinanze emesse
nella vigenza del codice di rito abrogato dal G.I.).
A tale divieto ritiene il Tribunale debba derogarsi con riferimento ai
decreti di applicazione di misure di prevenzione che siano divenuti definitivi,
e ciò avuto riguardo al disposto di cui all'art.4 ultimo comma legge
n.1423 del 1956 (per cui si osservano in quanto applicabili le norme del c.p.p.
per la proposizione, e la decisione dei ricorsi) e considerata la progressiva
ed ormai acclarata giurisdizionalizzazione del relativo procedimento,
conseguente anche ai ripetuti interventi della Corte Costituzionale (cfr. per
tutte le sentenze n.53 del 1968 in materia di tutela del diritto di difesa e
n.76 del 1970 in tema di assistenza obbligatoria del difensore) .
Ha osservato al riguardo la Suprema Corte che "Poichè le misure di
prevenzione previste dalla cosiddetta legislazione antimafia hanno natura
sostanzialmente e formalmente afflittiva e non possono perseguire alcuna
finalità rieducativa, anche in tale materia il procedimento probatorio
deve assumere il carattere della giurisdizionalità, sia sul piano
soggettivo sia sul piano oggettivo; sul piano soggettivo nel senso che deve
essere un organo giurisdizionale a presiedere alla formazione della prova; sul
piano oggettivo nel senso che devono essere rigorosamente rispettati anche in
materia di prevenzione i principi di riserva di legge e di determinatezza della
fattispecie sanciti dagli artt.13 e 27 Cost." (Cass. Sez.I 21 gennaio 1991,
Piromalli; cfr. anche Cass. 12 giugno 1990, Di Gennaro; Cass. 20 giugno 1990,
Corica; Cass. 27 febbraio 1990, Adornato).
E' indubbio invero che le dichiarazioni assunte e sintetizzate dall'autore di
interviste, le ricostruzioni di fatti e vicende operate secondo le informazioni
acquisite, e spesso incontrollate, dal giornalista, i servizi televisivi
montati secondo soggettive e dunque opinabili tesi, non possono assumere valore
di prova in un giudizio penale.
L'acquisizione incontrollata, infatti, di articoli di stampa e servizi
televisivi contenenti dichiarazioni, spesso selezionate e dunque anche
parziali, provenienti da soggetti che nella prospettazione delle parti
dovrebbero assumere, tanto da chiedersene la produzione, significativa
rilevanza probatoria ai fini del giudizio penale in corso (nel qual caso gli
elementi avrebbero dovuto essere introdotti ricorrendo ad una specifica
richiesta di prova orale), striderebbe in misura evidente con i divieti
già esaminati fissati dal codice di rito con riferimento
all'acquisizione ed utilizzazione di verbali di dichiarazioni, di rapporti
giudiziari o di atti di documentazione dell'attività della p.g..
Diversamente opinando si consentirebbe di acquisire, e dunque utilizzare
probatoriamente, ricostruzioni giornalistiche soggettive, parziali e spesso
incontrollate, o dichiarazioni rilasciate da persone e sintetizzate dal
giornalista, pur sussistendo invece un espresso divieto di acquisizione dei
verbali di dichiarazioni rese dinanzi all'A.G. (P.M. o GIP), o di utilizzazione
degli atti di documentazione dei risultati di indagini della p.g. (art.514
c.p.p.).
Va dunque rigettata la richiesta di produzione di servizi televisivi, copie
di articoli di stampa e di libri.
Un discorso a parte merita soltanto il tema delle interviste e delle
dichiarazioni rilasciate dall'imputato.
Ai sensi dell'art.237 c.p.p., invero, "è consentita l'acquisizione,
anche di ufficio, di qualsiasi documento proveniente dall'imputato, anche se
sequestrato presso altri o da altri prodotto".
Orbene, se dunque non vi può essere dubbio che una lettera manoscritta
o firmata dall'imputato è documento acquisibile in forza della
menzionata norma, non vi è ragione di escludere ogni altro documento
attribuibile in maniera certa all'imputato, ancorchè non avente forma
scritta.
Occorre invero evidenziare come l'art. 234 c.p.p. prevede espressamente
l'acquisizione di documenti "che rappresentano fatti, persone, o cose mediante
... la cinematografia" (cfr. Cass. Sez.V 15 novembre 1993 n.10309).
Giova al riguardo osservare che, se per le interviste apparse sulla stampa
non vi è alcuna garanzia della fedele e completa riproduzione integrale
delle dichiarazioni effettivamente rese dall'imputato, per ciò che
riguarda le interviste televisive può aversi tale garanzia nella sola
ipotesi in cui venga prodotto il filmato integrale dell'intervista stessa, e
non dunque il solo servizio frutto della eventuale e necessaria sintesi
giornalistica.
Le videocassette riproducenti le interviste rilasciate dall'imputato devono
dunque ritenersi alla stregua di documenti provenienti dall'imputato e sono
pertanto ammissibili a condizione che la parte che ne richiede la produzione
depositi la videoregistrazione integrale delle dichiarazioni rese.
Ad opposte conclusioni ritiene invece di pervenire il Tribunale con
riferimento a tutte le altre richieste di esame di consulenti formulate dal
P.M..
E' noto invero che l'art.359 c.p.p. ("Consulenti tecnici del pubblico
ministero") prevede che "il pubblico ministero, quando procede ad
accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra
L'art.225 c.p.p., dispone poi che il pubblico ministero (e le parti private)
ha facoltà di nominare propri consulenti tecnici nel caso in cui venga
disposta perizia ai sensi degli artt.220 e ss. del codice di rito. Tale
facoltà di nomina di consulenti è peraltro prevista anche nel
caso in cui non venga disposta perizia (art.233 c.p.p.).
Orbene, se una perizia è ammessa solo quando "occorre svolgere
indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono
Non si verte sicuramente nel caso già indicato dell'art.359 c.p.p. ove
soltanto si consideri che secondo la disposizione cennata il consulente
può intervenire solo nell'ipotesi in cui debba procedersi ad
"operazioni tecniche" per cui siano necessarie "specifiche
competenze".
Nel caso in esame si osserva che per quanto riguarda la consulenza Feo, la
stessa si è sostanzialmente risolta nell'attività di ricerca ed
acquisizione di servizi televisivi ed articoli di stampa la cui produzione
è stata poi richiesta dal P.M. e, per le ragioni esposte, sarà
rigettata dal Tribunale.
E' sufficiente al riguardo rilevare che lo stesso P.M. al dibattimento ha
precisato che l'esame del consulente Feo non era più necessario ove si
fosse acquisita la documentazione di cui era stata richiesta la produzione.
Quanto alle altre consulenze (punti 1,3,5,6 e 7 della lista depositata il
16/9/95), avuto riguardo ai quesiti indicati in lista dal P.M. ed ulteriormente
esplicitati nel corso della formulazione della relativa richiesta, si osserva
che le stesse hanno avuto ed avrebbero per oggetto analisi di fatti e
documenti, ricostruzioni di vicende, individuazione di episodi e persone,
nonchè i collegamenti ad essi dell'imputato o di soggetti "facenti
parte della sua corrente partitica ovvero del suo entourage" (quesito
consulenza Onado), che se per un verso costituiscono proprio l'oggetto delle
tesi accusatorie che devono essere articolate attraverso i relativi mezzi di
prova previsti dal codice di rito, dall'altro, risolvendosi in una elaborazione
del lavoro compiuto da altri (ed in particolare dalle varie commissioni
parlamentari di inchiesta), non richiedono indubbiamente "specifiche
competenze scientifiche" e meno che mai "tecniche".
Si consideri ad esempio che ai consulenti Amendola e Prof. De Lutiis,
nonchè al consulente Nunzi, si chiede, dopo avere individuato negli atti
di alcune commissioni parlamentari d'inchiesta i "riferimenti" a
rapporti fra l'imputato, Gelli, Pazienza, Sindona, la loggia P2 ed esponenti
della massoneria deviata, di "riassumere sinteticamente natura e contenuto
di tali rapporti", peraltro anche sulla base degli atti del procedimento
penale, diverso dal presente, nell'ambito del quale l'incarico è stato
conferito (n.6459/93 N.C. P.M.).
Nè si trascuri di considerare che il parere che detti consulenti
dovrebbero esprimere trova fondamento proprio sugli atti, sui documenti
utilizzati ed acquisiti, nonchè sulle relazioni conclusive di quelle
commissioni parlamentari i cui elaborati, verbali e documenti il Tribunale, per
le ragioni esposte, ha ritenuto di non potere acquisire ed utilizzare
direttamente nel giudizio penale.
Al consulente Prof. Onado, infatti, si chiede di "indicare", proprio
sulla base degli atti pubblicati dalla commissione parlamentare d'inchiesta sul
caso Sindona, i "principali temi di indagine svolti dalla stessa" ed in
particolare "le conclusioni cui essa è pervenuta" che, come
è ovvio, sono condensate nelle relazioni di maggioranza e minoranza
delle quali non è stata ammessa la produzione.
Alla medesima conclusione ritiene di pervenire il Tribunale con riferimento
alla consulenza affidata al Prof.Galli cui è richiesto, anche stavolta
sulla base degli elementi acquisiti in altro procedimento penale (n.3260/94
N.C.), di "ricostruire l'origine e la evoluzione" della corrente
andreottiana.
Si ritiene di dovere escludere che tale attività necessiti di
"specifiche competenze scientifiche", potendo e dovendo i risultati di
una siffatta "ricostruzione", purchè fondata su fatti e documenti
comunque già legittimamente acquisiti al dibattimento, essere oggetto di
prova orale tempestivamente dedotta, ovvero essere esclusivamente un supporto
all'attività d'indagine del P.M. da svilupparsi poi secondo le previste
e rituali modalità investigative.
Per quanto riguarda infine la consulenza affidata al Sen.Flamigni, deve
rilevarsi che la stessa ha per oggetto un'attività comparativa tra
documenti ("evidenziare le differenze esistenti tra gli scritti rinvenuti
l'1.10.78 e quelli rinvenuti il 9.10.90") che, oltre a non richiedere
"specifiche competenze scientifiche o tecniche", è rimessa
proprio alle parti ed al collegio.
Quanto alle restanti parti del quesito formulato ("accerti...in quale
parte degli scritti dell'On.Moro rinvenuti nel covo brigatista di via Monte
Nevoso 8 a Milano nella date dell'1.10.78 e del 9.10.90 si fa diretto o
indiretto riferimento all'On.Giulio Andreotti e a persone al medesimo
collegate") è di tutta evidenza che ciò costituisce oggetto
proprio del giudizio che le parti ed il collegio dovranno compiere, anche
eventualmente ricorrendo, per la individuazione dei cosiddetti "riferimenti
indiretti", all'articolazione, ove necessario ed ammissibile, di mezzi di
prova.
In ordine, infine, alla ritenuta incompletezza degli scritti, il cui
giudizio il P.M. aveva demandato al consulente, deve osservarsi che la stessa
può e deve essere prospettata o attraverso la richiesta di mezzi di
prova, se necessari, ovvero mediante un'analisi degli scritti stessi la cui
fondatezza o meno sarà poi oggetto della valutazione da parte del
collegio.
La richiesta di esame, pertanto, di tutti i consulenti formulata dal P.M. -
ad eccezione del consulente Frallicciardi - deve essere dunque rigettata.
Deve al riguardo osservarsi che la difesa, al di là della questione
generale afferente l'asserita insufficiente o mancante indicazione specifica
delle circostanze di prova, questione già esaminata e risolta nel senso
sopra indicato, non ha opposto alcunchè nel merito delle richieste di
prova orale formulate dal P.M..
(pagg.86 e ss. lista P.M. dep.16/9/95)
Deve in particolare essere ammessa l'acquisizione delle perizie di cui ai
punti 16 e 18 (pag.88) in quanto si tratta di atti che, seppur compiuti nella
vigenza dell'abrogato codice di rito, ai sensi dell'art.243 comma 2 norme
transitorie del c.p.p., sono accolti nel fascicolo per il dibattimento, in
quanto compiuti con il rispetto del contraddittorio.
Va invece rigettata la richiesta di produzione del Doc. n.17 in quanto l'art.
238 comma 1 c.p.p. consente l'acquisizione esclusivamente di verbali di prove
assunte nell'incidente probatorio o nel dibattimento ed è oltremodo
significativo che la nuova formulazione della citata disposizione, conseguente
all'entrata in vigore del D.L. 306/92, convertito in legge n.356/92, non
consenta più l'acquisizione "di verbali di cui sia stata data
lettura" nel dibattimento, così come previsto dalla formulazione
precedente.
E' di tutta evidenza quindi che la mera indicazione di atti utilizzabili ai
fini della decisione, equivalente alla loro lettura ex art.511 comma 5 c.p.p.,
non è più condizione sufficiente a consentire l'acquisizione
delle relative prove in altro procedimento ex art.238 c.p.p..
E ciò risulta ancor più corretto ove si consideri che con il
sistema della lettura o della indicazione, nella vigenza del codice di rito
abrogato, venivano dichiarati utilizzabili atti, come i rapporti di p.g., che
nel nuovo rito non hanno più possibilità di essere acquisiti al
fascicolo per il dibattimento.
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento al Doc.33) contenente
le copie dei verbali di alcune udienze del cd. primo maxiprocesso in quanto si
tratta di atti dei quali l'art.238 c.p.p. non consente l'acquisizione.
Le medesime ragioni impongono fin d'ora il rigetto anche del Doc.38
(videocassette del maxiprocesso).
Va invece ammessa ex art.238 c.p.p. la produzione del Doc.24 in quanto si
tratta di verbale di prova testimoniale resa dal sen.Andreotti al
dibattimento.
ai sensi degli artt.238 e 512 c.p.p.
(elenco D)
La richiesta del P.M. può essere accolta, nulla avendo opposto
peraltro la difesa se non per il teste Stramandino per il quale, tuttavia, non
ha poi documentato la sollevata opposizione.
(elenco C)
Le intercettazioni in esame, invero, per stessa ammissione del P.M.,
provengono da altri procedimenti di guisa che l'utilizzazione dei risultati
delle intercettazioni medesime è subordinata alla sussistenza della
condizione prevista dalla citata disposizione: indispensabilità per
l'accertamento di delitti per i quali è obbigatorio l'arresto in
flagranza (nulla quaestio, procedendosi a carico dell'imputato per il reato di
cui all'art.416 bis c.p.).
In relazione alle intercettazioni di cui al punto 1) dell'elenco la difesa si
è opposta all'acquisizione lamentando che manca agli atti il decreto
autorizzativo del GIP.
Deve al riguardo osservarsi che, secondo la giuriscprudenza della Suprema
Corte (cfr. Cass. Sez.VI 10 ottobre 1992 n.3107), pur se l'art.270 c.p.p. non
prevede l'obbligo del deposito nel procedimento ad quem dei decreti con i quali
in quello originario furono autorizzate le intercettazioni, deve escludersi che
il legislatore abbia voluto impedire alla difesa l'esercizio di un potere di
controllo su tali provvedimenti, la cui illegittimità comporterebbe
l'inutilizzabilità delle intercettazioni medesime ex art.271 c.p.p..
Deve pertanto onerarsi il P.M. del deposito del decreto autorizzativo emesso
dal GIP in data 15/1/91 riservando pertanto ogni decisione al riguardo.
Per quanto riguarda invece le intercettazioni sub 2), si osserva quanto
segue.
Se oggetto delle contestazioni sono tra l'altro i rapporti dell'imputato con
l'On.Lima e di quest'ultimo con presunti esponenti di Cosa Nostra, quali il
Farinella Cataldo, deve ritenersi sussistente il requisito
dell'indispensabilità dei risultati delle intercettazioni con
riferimento al presente processo.
Non risulta peraltro fondata l'eccezione della difesa secondo cui non
sarebbero stati compiuti gli adempimenti di cui all'art.268 c.p.p., richiamato
nei suoi commi 6,7 e 8 dall'art.270 c.p.p..
La Suprema Corte, infatti, in tema di intercettazioni telefoniche da
utilizzare in altri procedimenti, ha stabilito che il divieto di utilizzazione
dei risultati delle medesime sussiste soltanto, ai sensi dell'art.271 comma 1
c.p.p., quando esse siano eseguite fuori dai casi consentiti dalla legge, o
qualora non siano state osservate le disposizioni previste dagli artt. 267 e
268 commi 1 e 3 c.p.p., e non pure nel caso in cui non siano state osservate le
disposizioni previste dall'art.268 comma 4 e ss. o dall'art. 270 comma 2
relativi al deposito dei verbali o delle registrazioni delle intercettazioni
(Cass. Sez. V 28 agosto 1991 n.788).
L'intercettazione di cui al punto 2) va pertanto acquisita al fascicolo per
il dibattimento e non è necessaria peraltro la trascrizione della stessa
essendo stata acquisita copia della trascrizione operata nel procedimento
penale di provenienza.
Per quanto riguarda invece le intercettazioni di cui al punto 3) deve farsi
carico al P.M. di produrre sia tutti i decreti autorizzativi, così come
richiesto dalla difesa, sia la trascrizione delle suddette conversazioni
telefoniche, acquisendole presso l'A.G. di Milano, al fine di consentire al
Collegio la valutazione del requisito dell'indispensabilità dei
risultati emergenti dalle stesse.
(elenco B e B1)
1), 3), 6), 7) trattandosi di atti relativi ai lavori del C.S.M.;
da 8) a 15) trattandosi di atti e relazioni di commissioni parlamentari
d'inchiesta;
17) non valutandosene la rilevanza avuto riguardo al fatto che si tratta di una
lettera con la quale viene comunicato alla competente autorità
giudiziaria italiana che può essere formulata commissione rogatoria
internazionale per la richiesta alla competente autorità degli USA di
copia di un rapporto che non risulta sia stato poi acquisito;
18) trattandosi di atti di una commissione parlamentare d'inchiesta;
32) trattandosi di videoregistrazione di un'intervista rilasciata da soggetto
che avrebbe dovuto essere, se del caso, citato come teste;
34) trattandosi di una lettera che potrà essere utilizzata
esclusivamente a seguito della deposizione del suo presunto autore citato come
teste;
38) per le ragioni già svolte a proposito dei verbali di prova di altri
procedimenti;
40) trattandosi di fotocopie di quotidiani e della copia di un fascicolo
processuale di "atti relativi", contenente rapporti giudiziari, verbali di
s.i.t., missive, e dunque atti che non possono essere acquisiti al fascicolo
per il dibattimento;
66) trattandosi di un appunto riferentesi a notizie apprese da fonte
confidenziale ed il cui contenuto doveva essere oggetto di prova testimoniale a
mezzo dell'estensore dell'appunto stesso;
74) trattandosi di una richiesta di autorizzazione a procedere, e dunque di un
atto del P.M. la cui produzione non è ammissibile;
77) trattandosi di un libro il cui autore peraltro è citato come teste
nel procedimento;
80) trattandosi di un ordinanza e dunque di un atto non acquisibile ex art.238
c.p.p.;
81) trattandosi di atto che potrà essere utilizzato esclusivamente a
seguito della deposizione del suo autore citato come teste;
82) trattandosi di copia di un giornale;
83) trattandosi di un verbale di audizione dinanzi ad una commissione
parlamentare d'inchiesta;
84) essendo un rapporto giudiziario proveniente dagli atti di una commissione
parlamentare d'inchiesta;
85) essendo un verbale di prova di altro procedimento penale incompleto e
comunque già ammesso;
87) trattandosi di documenti trasmessi ad una commissione parlamentare
d'inchiesta il cui contenuto deve essere oggetto di prova orale, nonchè
di un memoriale manoscritto datato 10 aprile 1974 e di un verbale di confronto
dinanzi al G.I. di Padova, atti non acquisibili al fascicolo per il
dibattimento;
92) trattandosi di ordinanze, istanze ed atti non acquisibili ex art.238
c.p.p.;
94) trattandosi del confronto avvenuto dinanzi ad una commissione parlamentare
d'inchiesta tra il Sen.Andreotti e l'Avv.Guzzi; deve a tal riguardo osservarsi
che il confronto ha per presupposto un contrasto tra precedenti dichiarazioni e
che in particolare quelle rese dinanzi al suddetto organismo parlamentare
dall'Avv.Guzzi, peraltro citato come teste nel presente procedimento, non
possono per le ragioni già esposte essere acquisite e valutate dal
Tribunale;
95) trattandosi di atti provenienti da una commissione parlamentare ed in
particolare di verbali di s.i.t. rese da Calvi Clara al P.M. di Milano;
96) trattandosi di atto proveniente da una commissione parlamentare e
costituito da una copia di giornale;
98) trattandosi di copie di articoli di stampa;
da 99) a 125) e da 127) a 144) trattandosi di copie di articoli di stampa e di
videoregistrazioni di servizi televisivi;
150) trattandosi di copia di un articolo di una rivista, asseritamente
riproducente il diario del Governatore Baffi il cui contenuto deve essere
oggetto di prova testimoniale (l'autore dell'articolo è peraltro teste
dell'accusa);
152) e 153) trattandosi di copie di articoli di stampa;
154) trattandosi della proposta formulata dal Questore di Palermo e non del
provvedimento conseguenziale e definitivo;
155) non rientrando nella categoria delle sentenze acquisibili ex art.238 bis
c.p.p.;
157) trattandosi di verbale di esame testimoniale reso al G.I.;
158) trattandosi di copia di articolo di stampa;
162) trattandosi della proposta formulata dal Procuratore della Repubblica di
Palermo e non del provvedimento conseguenziale e definitivo;
da 165 a 167) trattandosi di copie di articoli di stampa;
172) trattandosi di copia di articolo di stampa;
175) e 176) trattandosi di rapporti giudiziari;
da 185) a 191) trattandosi di copie di articoli di stampa;
211) trattandosi di copie di articoli di stampa;
220) trattandosi di atti sulla cui provenienza e del cui contenuto dovrà
riferire un teste;
226) e 227) trattandosi di copie di articoli di stampa;
244) trattandosi di copie di dispacci di agenzia di stampa;
253) trattandosi di copie di articoli di stampa;
266) trattandosi di un'informativa di p.g. e di copia di un articolo di
stampa;
267) e 268) trattandosi di atti il cui contenuto doveva essere oggetto di prova
orale;
269) e 273) trattandosi di copie di articoli di stampa;
da 276) a 278) trattandosi di atti di un procedimento penale non acquisibili;
da 299) a 302) trattandosi di atti di un procedimento penale non acquisibili;
311) trattandosi di copie di verbali di deposizioni al G.I. e di audizioni
dinanzi ad una commissione parlamentare d'inchiesta;
314) trattandosi di copie di verbali di deposizioni al G.I.;
320) e 321), e da 328) a 344) trattandosi di copie di articoli di stampa o di
libri;
345) trattandosi della registrazione di un'intervista rilasciata da persona che
sarà esaminata come teste.
Alcune osservazioni devono essere infine svolte con riferimento ai documenti
appresso elencati, dei quali va ammessa la produzione, integrale o parziale:
DELL'IMPUTATO
Nel ribadire che il Tribunale in questa fase processuale ha il potere di
escludere soltanto le prove contrarie alla legge e quelle manifestamente
superflue o irrilevanti, deve osservarsi che l'art.187 comma 1 c.p.p.
stabilisce che sono oggetto di prova "i fatti che si riferiscono
all'imputazione" e che ai sensi dell'art.495 comma 2 c.p.p. l'imputato ha
diritto all'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti
oggetto delle prove a carico.
Orbene, secondo il capo di imputazione contestato al prevenuto la
"partecipazione" del Sen.Andreotti all'associazione per delinquere Cosa Nostra
viene individuata nell'avere l'imputato "
Esemplificativamente, poi, detti apporti dell'imputato all'associazione
criminale sono stati individuati in una serie di condotte tra le quali quella
di avere determinato "nei capi di Cosa Nostra ed in altri suoi
aderenti la consapevolezza della disponibilità di esso Andreotti a porre
in essere (in varie forme e modi, anche mediati)
Come si vede le condotte partecipative addebitate all'imputato, a
prescindere dalla formale considerazione che nessuna correlazione nell'indicato
senso di "contestualità funzionale" è, nella
contestazione, tra le stesse e la carica istituzionale di ministro rivestita
dall'imputato, a più riprese, nei periodi in contestazione, nella
sostanza, sarebbero state poste in essere dal Sen.Andreotti facendo uso, o
meglio abusando, dell'influenza acquisita negli ambienti politico-istituzionali
e del suo potere di "controllo" derivante dalla sua precedente e persistente
qualità di capocorrente del partito della Democrazia Cristiana.
Se dunque proprio nell'aspettativa dell'esercizio di tale potere di
influenzare ogni settore del circuito istituzionale politico a vantaggio
dell'organizzazione per delinquere Cosa Nostra si è sostanziato,
nell'ipotesi d'accusa che si esamina, l'"apporto", il
"contributo", la "partecipazione" dell'imputato
all'organizzazione criminale (condotta criminosa peraltro protrattasi per circa
un ventennio) è indubbiamente nel diritto dell'imputato confutare
l'accusa cercando di evidenziare l'attività di contrasto posta in essere
nei riguardi della criminalità organizzata di cui Cosa Nostra ha
rappresentato almeno nell'ultimo decennio il fenomeno più temibile e
pericoloso per le Istituzioni.
Analoghe considerazioni possono svolgersi con riferimento alle prove
testimoniali dedotte in ordine alle iniziative concernenti la repressione
interna ed internazionale del traffico di stupefacenti che, come è noto,
rappresenta da sempre una delle più importanti e indubbiamente la
più redditizia attività criminale del sodalizio mafioso.
Alla stregua delle considerazioni che precedono deve, dunque, rigettarsi
l'opposizione formulata dal P.M. nei termini già precisati.
Passando dunque alla decisione sulle richieste di prova testimoniale le
stesse, non risultando vietate dalla legge, nè, per le argomentazioni
svolte, manifestamente superflue o irrilevanti, vanno tutte ammesse ad
eccezione:
1) del teste Sen. Cossiga per la parte relativa ai capitoli sub a) (risultando
la circostanza manifestamente irrilevante rispetto al thema decidendum), d)
limitatamente alla parte avente ad oggetto "il suo personale punto di vista in
ordine alla legittimità costituzionale" di alcuni provvedimenti
(risolvendosi nella esposizione di un giudizio e non nella narrazione di fatti)
e g) stante la manifesta genericità;
2) del teste Prof. Vassalli limitatamente al capitolato sub e) stante la
manifesta genericità;
5) del teste Walters limitatamente alla parte del capitolato avente ad oggetto
"elementi utili alla conoscenza della personalità morale del
sen.Andreotti", stante la genericità ed il divieto di cui all'art.194
comma 1 c.p.p.;
10) del teste Prefetto Finocchiaro limitatamente alla parte del capitolato
concernente l'entità dei versamenti in favore di collaboranti o di loro
familiari, stante la manifesta genericità ed inconducenza della
richiesta;
11) del teste Prefetto Malpica per le stesse considerazioni di cui al punto
10);
25) del teste On.Signorello limitatamente alla parte del capitolato avente ad
oggetto "quant'altro a sua conoscenza sulla attività politica e sulla
personalità del sen.Andreotti" stante la manifesta genericità ed
il divieto di cui all'art.194 comma 1 c.p.p..
Per quanto riguarda in particolare l'esame del teste Gen.Delfino (n.34 lista)
lo stesso va ammesso su tutti i temi indicati, mentre per la parte del
capitolato avente ad oggetto il contenuto di un intervista (della quale si
rigetta la richiesta di acquisizione), l'esame va ammesso limitatamente alla
indicazione di fatti specifici di cui il teste sia a conoscenza e non alla
enunciazione di riferimenti generici o giudizi.
Va infine ammessa la richiesta di prova, formulata dalla difesa all'udienza
del 20 novembre 1995, ai sensi dell'art.493 comma 3 c.p.p., di esame, sulle
circostanze dedotte, dei testi On.De Mita Ciriaco e dott. Spagnuolo, avendo la
parte dimostrato di non averne potuto richiedere l'esame nei termini e con le
forme di cui all'art.468 c.p.p..
da 1) a 3) trattandosi di atti del P.M. (richieste di autorizzazione a
procedere e successive integrazioni) che non sono acquisibili al fascicolo per
il dibattimento;
4) trattandosi della relazione della Giunta delle Elezioni e delle
Immunità Parlamentari del Senato della Repubblica, dunque di atti
parlamentari non acquisibili;
5) trattandosi di atto già acquisito al fascicolo per il dibattimento ex
art.431 lett.a) c.p.p.;
21) trattandosi di deposizione resa dinanzi al C.S.M., che, per le ragioni
esposte, non è acquisibile, nè utilizzabile;
29), 30), 35), 38), 65), 67) trattandosi di copie di articoli di stampa;
31) e 59) trattandosi di provvedimenti giurisdizionali (richiesta di
archiviazione e decreto di archiviazione) non acquisibili ex art.238 bis
c.p.p.;
43) trattandosi di un atto il cui autore è citato come teste;
48/3), 48/4) e 48/5) trattandosi di atti il cui contenuto sarà oggetto
di prova testimoniale;
48/8) e 49) va esclusa esclusivamente la parte del resoconto stenografico
contenente gli interventi di altre persone presenti all'audizione del
Sen.Andreotti dinanzi a commissioni parlamentari (acquisibile invece ex art.237
c.p.p.);
50) e 62) trattandosi delle relazioni conclusive di commissioni parlamentari
d'inchiesta;
53/1) trattandosi di copia di un giornale;
64) trattandosi di lettera il cui autore sarà esaminato al
dibattimento.
Le richieste del P.M. di prova contraria, formulate ai sensi dell'art.468
comma 4 c.p.p., che faculta ciascuna parte a "chiedere la citazione a prova
contraria di testimoni, periti e consulenti tecnici non compresi nella propria
lista" anche presentandoli al dibattimento, devono essere accolte con le
esclusioni appresso indicate.
Una considerazione preliminare tuttavia si impone.
In relazione a molti testimoni della difesa il P.M. ha formulato richiesta di
citazione di testimoni ai sensi dell'art.194 comma 2 c.p.p..
Orbene, la disposizione in esame, contenuta in una norma riguardante
"oggetto e limiti della testimonianza", dopo avere al primo comma
precisato che "il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono
oggetto di prova" , prevede al secondo comma che "l'esame può
estendersi anche ai rapporti di parentela e di interesse che intercorrono tra
il testimone e le parti o altri testimoni nonchè alle circostanze il
cui accertamento è necessario per valutarne la credibilità".
Non può dunque revocarsi in dubbio che tale disposizione, come
è confermato dallo stesso tenore letterale della norma ("Il testimone
è esaminato... L'esame può estendersi....") fa esplicito
riferimento al testimone il cui esame può essere esteso, anche e
soprattutto in sede di controesame, ad ogni circostanza il cui accertamento
serva a valutarne la credibilità.
Nel caso in esame il P.M., oltre ad invocare tale disposizione legittimamente
per chiedere l'esame diretto del teste dedotto dalla difesa al fine di
escuterlo su circostanze ritenute necessarie per il giudizio sulla
credibilità, ha in forza della medesima disposizione richiesto anche
l'ammissione dell'esame di altri testimoni su circostanze il cui accertamento
dovrebbe poi essere utile ai fini della formulazione del suddetto giudizio.
Tale richiesta non si ritiene fondata in quanto l'art.194 comma 2 c.p.p. si
riferisce esclusivamente alla facoltà concessa alle parti di esaminare
il teste già dedotto ed ammesso e non legittima dunque la richiesta di
ammissione di altri testi che dovrà, ove possibile, essere formulata ai
sensi dell'art.493 comma 3 c.p.p..
Potrà dunque il P.M. (e ciascuna parte) nel corso del controesame (o
dell'esame diretto del teste originariamente dedotto da controparte, se
richiesto ex art.468 comma 4 c.p.p.) formulare domande sulle circostanze ed ai
fini di cui all'art.194 comma 2 c.p.p., ma l'ammissione di nuovi testimoni
dovrà avvenire, ove ne ricorrano le condizioni, ex art.493 comma 3
c.p.p..
Ne consegue che i testi a prova contraria, il cui esame è ammesso ai
sensi dell'art.468 comma 4 c.p.p. possono essere dedotti esclusivamente sulle
specifiche circostanze e sui temi di prova indicati da controparte.
Passando all'esame delle richieste di prova contraria del P.M., ivi comprese
quelle formulate all'udienza odierna, le stesse vanno ammesse con esclusione:
- del teste Sen.Cossiga a prova contraria (punti da 1 a 11 in pagg.2-3 lista
P.M.) sul capitolato sub g) della difesa, in quanto tale parte del capitolato
difensivo non è stata ammessa;
- dei testi dott.ri Cicala, Lari e Spataro, trattandosi di circostanze che
risultano manifestamente irrilevanti rispetto al thema decidendum;
- del teste Calabrò sul rilievo che la stessa dovrebbe deporre su
circostanze apprese de relato da persona che a sua volta avrebbe appreso i
medesimi fatti da altro soggetto ancora (dunque notizie de relato di terzo
grado), e tenuto conto del fatto che lo stesso episodio è oggetto di
testimonianza, pur sempre de relato, ma di prima fonte, da parte del teste
Caprara;
- del teste dott.Romiti trattandosi di circostanze che risultano manifestamente
irrilevanti rispetto al thema decidendum;
- del teste Dott.Di Gennaro non essendo ammessa per le ragioni esposte la
richiesta di esame di testi ex art.194 comma 2 c.p.p.;
- del teste Cataldi, in quanto per un verso l'esame del Malpica non è
stato ammesso, mentre anche per il teste Finocchiaro, avuto riguardo all'unico
tema di prova articolato dalla difesa ed ammesso (conferma del contenuto di una
corrispondenza avuta con l'imputato ed occasione della stessa), la prova
contraria dedotta dal P.M. a mezzo del Cataldi risulta del tutto inconferente;
ne consegue che va rigettata, stante la manifesta superfluità, anche la
richiesta di acquisizione di verbali di altro procedimento penale;
- del teste Jucci per tutti i capitolati diversi da quelli di cui ai punti 7) e
11) (che si ammettono), stante la manifesta estraneità ai fatti di
causa;
- del teste Mattarella a prova contraria rispetto all'esame del teste
Sen.Cappuzzo in quanto i temi dedotti dal P.M. risultano del tutto estranei
alle circostanze indicate dalla difesa, e non sono ammissibili, per le ragioni
esposte, testi a prova contraria ex art.194 comma 2 c.p.p.;
- del teste Prefetto Sica a prova contraria in quanto i temi dedotti dal P.M.
risultano del tutto estranei alle circostanze indicate dalla difesa e che
riguardano esclusivamente modalità e contenuto di una riunione del
C.I.S. in data 8/8/89;
- dei testi Augello, Di Fresco, Magg. Ardizzone, Mar.Silvestri e Mar. Alfano a
prova contraria rispetto all'esame del teste On. Cirino Pomicino in quanto le
circostanze dedotte dal P.M. sono del tutto estranee rispetto all'unico
episodio sul quale l'esame del teste è stato ammesso (incontro con
l'on.Lima ed il dott.Falcone) e non sono ammissibili, per le ragioni esposte,
testi a prova contraria ex art.194 comma 2 c.p.p.;
- del teste Stella Gian Antonio perchè ex art.194 comma 2 c.p.p. non
possono essere dedotti testi;
- del teste On.Fumagalli Carulli limitatamente al capitolo sub 1) in quanto i
fatti risultano manifestamente irrilevanti rispetto al thema decidendum e non
influenti ai fini del giudizio sulla credibilità;
- del teste dott. Caponnetto trattandosi di fatti del tutto estranei rispetto
alle circostanze indicate in lista dalla difesa e non essendo ammissibili, per
le ragioni esposte, testi a prova contraria ex art.194 comma 2 c.p.p.;
- del teste Mattarella e dell'imputato di reato connesso Pennino a prova
contraria rispetto all'esame del teste della difesa Graffagnini in quanto le
circostanze dedotte dal P.M. sono del tutto estranee rispetto alle circostanze
sulle quali l'esame del teste è stato ammesso (conoscenza
Salvo-Andreotti) e non sono ammissibili, per le ragioni esposte, testi a prova
contraria ex art.194 comma 2 c.p.p.;
- del teste Dalla Chiesa Fernando e degli imputati di reato connesso Buscetta e
Marino Mannoia a prova contraria rispetto all'esame del teste della difesa
Martellucci in quanto le circostanze dedotte dal P.M. sono del tutto estranee
rispetto alla circostanza (interferenze del sen.Andreotti sulle scelte dei
candidati operanti in Sicilia) sulle quali l'esame del teste è stato
ammesso e non sono ammissibili, per le ragioni esposte, testi a prova contraria
ex art.194 comma 2 c.p.p.;
- del teste Farinacci a prova contraria rispetto all'esame del teste della
difesa Sensini in quanto la circostanza dedotta dal P.M. risulta del tutto
estranea rispetto alla unico tema di prova sul quale l'esame del teste è
stato ammesso e non sono ammissibili, per le ragioni esposte, testi a prova
contraria ex art.194 comma 2 c.p.p.;
- del teste De Mita, limitatamente agli articolati dal 9) al 23) in quanto si
tratta di circostanze estranee rispetto al tema di prova indicato dalla difesa,
e pertanto di prova diretta tardivamente articolata.
Va poi ammessa l'acquisizione del verbale di esame testimoniale reso dal
Sen.Cossiga all'udienza dibattimentale del 15/3/95 in altro procedimento,
avendo il P.M. potuto formulare la richiesta solo dopo la indicazione da parte
della difesa del Sen.Cossiga nella sua lista testimoniale.
Va infine rigettata la richiesta del P.M. di acquisizione di un nastro
magnetofonico e di una copia di un giornale contenenti un'intervista rilasciata
dal Sen.Alessi, che peraltro dovrà essere esaminato al dibattimento, per
le ragioni già ampiamente esposte.
Il P.M., infine, con la medesima lista con la quale sono state formulate le
richieste di prova contraria ex art.468 comma 4 c.p.p. ha altresì
richiesto "l'esame di tutti gli autori degli articoli di stampa dei quali
è stata chiesta l'acquisizione come documenti, in ordine al contenuto
degli stessi".
Si tratta con tutta evidenza di richiesta tardiva, non essendo stati
rispettati gli adempimenti previsti dall'art.468 c.p.p., di guisa che la stessa
va rigettata.
DELLA DIFESA DELL'IMPUTATO
Per quanto riguarda i testi a prova contraria richiesti dalla difesa, anche
all'udienza odierna, ritiene il Tribunale che gli stessi devono essere ammessi
sulle circostanze specificamente dedotte per ciascuno di essi, ad eccezione:
- dei testi Ginaldi e Vachez, in quanto la prova principale richiesta dal P.M.
(produzione articoli di stampa e servizi televisivi, e consulenza Feo) è
stata rigettata;
- dei testi Scalfari Eugenio e Felici Carlo, essendo stata rigettata sul punto
la prova contraria richiesta dal P.M. (punto 9 pag.3 e punti 9-23 elenchi P.M.
testi a prova contraria).
Deve peraltro osservarsi che proprio il controesame dei testimoni che a
ciascuna delle parti spetta sulle medesime circostanze dedotte da controparte,
e su quant'altro il codice di rito consente, è idoneo a garantire il
pieno e completo svolgimento della propria rispettiva strategia.
Quanto, infine, all'esame dell'imputato, va senz'altro ammesso quello
richiesto dalla difesa, mentre deve riservarsi la pronuncia in ordine alla
omologa richiesta del P.M. dovendo al riguardo interpellarsi l'imputato.
l'acquisizione di tutte le sentenze indicate dal P.M. nell'elenco A) ad
eccezione dei provvedimenti contrassegnati dai nn.5), 11), 12), 13), 17) e
19;
l'acquisizione dei verbali di prova di altri procedimenti penali indicati
nella lista depositata dal P.M. il 16/9/95 ad eccezione di quelli
contrassegnati dai nn.17 e 33;
l'acquisizione della intercettazione telefonica di cui al punto 2)
dell'elenco C) del P.M., riservando ogni decisione in ordine alle richieste sub
1) e 3) del medesimo elenco all'esito dell'esame degli atti che saranno
prodotti dal P.M. nei termini precisati in motivazione;
la produzione di tutti i documenti indicati dal P.M. nell'elenco B) (con le
precisazioni indicate in motivazione) e nell'elenco integrativo B1), ad
eccezione di quelli contrassegnati dai nn.1, 3, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14,
15, 17, 18, 32, 34, 38, 40, 66, 74, 77, 80, 81, 82, 83, 84, 85, 87, 92, 94, 95,
96, 98, 99, 100, 101, 102, 103, 104, 105, 106, 107, 108, 109, 110, 111, 112,
113, 114, 115, 116, 117, 118, 119, 120, 121, 122, 123, 124, 125, 127, 128, 129,
130, 131, 132, 133, 134, 135, 136, 137, 138, 139, 140, 141, 142, 143, 144, 150,
152, 153, 154, 155, 157, 158, 162, 165, 166, 167, 172, 175, 176, 185, 186, 187,
188, 189, 190, 191, 211, 220, 226, 227, 244, 253, 266, 267, 268, 269, 273, 276,
277, 278, 299, 300, 301, 302, 311, 314, 320, 321, 328, 329, 330, 331, 332, 333,
334, 335, 336, 337, 338, 339, 340, 341,342, 343, 344, 345;
l'esame di tutti i testimoni indicati dalla difesa dell'imputato sui capitoli
di prova dedotti e con le esclusioni e limitazioni enunciate nella parte
motiva, ad eccezione del teste Prefetto Malpica;
l'esame dei testi De Mita Ciriaco e dott. Spagnuolo dedotti dalla difesa ex
art.493 comma 3 c.p.p.;
la produzione dei documenti indicati dalla difesa ad eccezione di quelli
contrassegnati dai nn.1, 2, 3, 4, 5, 21, 29, 30, 31, 35, 38, 43, 48/3, 48/4,
48/5, 48/8, 49, 50, 53/1, 59, 62, 64, 65, 67;
l'esame di tutti i testi a prova contraria dedotti dalla difesa
dell'imputato, ad eccezione dei testi Ginaldi e Vachez, Scalfari e Felici;
dispone l'esame dell'imputato richiesto dalla difesa, riservando la decisione
sulla omologa richiesta del P.M.;
acquisirsi i verbali delle dichiarazioni e degli interrogatori richiesti dal
P.M. e dalla difesa dell'imputato resi da soggetti deceduti;
Palermo 27 novembre 1995
P.Q.M.