TRIBUNALE PENALE E CIVILE DI PALERMO

V SEZIONE PENALE

VERBALE DI TRASCRIZIONE UDIENZA


Proc. P. n. 505/95

Ud. del 24/10/1995

A CARICO DI GIULIO ANDREOTTI



PRESIDENTE:
Allora, procediamo alla costituzione delle parti, assente l'imputato, è presente l'avvocato Sbacchi e la dottoressa Buongiorno in sostituzione l'avvocato Coppi e Ascari. E' presente il difensore di parte civile e pubblici ministeri. I P.M. hanno qualcosa da aggiungere a quanto detto l'altra volta?

P.M.:
Sì, signor Presidente, l'Ufficio del P.M. vorrebbe svolgere brevemente qualche osservazione sul contenuto della esposizione introduttiva, in relazione anche ai problemi che si sono manifestati all'udienza passata. Un celebre pistenologo e storico della scienza statunitense Thomas Scoun, sostiene che per comprendere lo sviluppo della attività scientifica occorre distinguere le fasi di scienza normale, caratterizzate dal dominio di determinati paradigmi culturali, teorici e tecnici, dalle fasi di rottura rivoluzionaria in cui i paradigmi dominanti vengono posti in discussione e sostituiti. In un'analogia tra scienze e diritto è stato quindi da tutti riconosciuto che in quest'ultimo cinquantennio la costituzione repubblicana nel '48 ed il vigente codice di procedura penale nell' 89, sono stati gli unici eventi significativi che abbiano determinato nella scienza giuridica italiana una rottura rivoluzionaria di consolidati paradigmi soprattutto culturali. Or bene, se tutto ciò è vero tra le tante innovazioni introdotte dal codice di rito penale ve ne sono alcune assolutamente nuove perché estranee alla cultura giuridica continentale o di civil law. Un'esempio è dato proprio dall'istituto della esposizione introduttiva del P.M. fino al 1989 del tutto sconosciuto e determinato dell'esigenze del rito accusatorio. Esso non può comprendersi fino in fondo quindi se non attingendo alla sua origine storica nei paesi di Common law di aria culturale statunitense, ove è sorto nonché alla funzione cui esso è destinato nell'ordinamento italiano. Uno studio dell'istituto degli Stati Uniti, rivela subito che in quel composito sistema è previsto che il Prosecutor federale o distrettuale può fare un opening speech o discorso introduttivo complesso ed articolato così come il difensore dell'imputato può a sua volta rassegnare un opening statement o dichiarazione introduttiva ridotto al minimo potendo esso difensore anche riservarsi di indicare la propria versione dei fatti solo dopo che si sia esaurito il così detto case of the prosecution o prove dell'accusa. Entrambe l'esposizioni, però, sono finalizzate alla anticipazione di ciò che le parti intendono successivamente provare nel dibattimento. L'accusa non rinuncia quasi mai a questa opportunità perchè essendo consapevole del pesante onere probatorio, che grava sulla sua posizione, intende offrire una prima delineazione chiara delle sue tesi in modo da aiutare la giuria, anch'essa come nel processo italiano del tutto all'oscuro dei fatti da provare, a comprendere come i testimoni, i documenti, le cose sequestrate e gli altri mezzi di prova, potranno complessivamente dimostrare la colpevolezza dell'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio. La difesa invece, in questa fase introduttiva adotta strategie diversificate. Talvolta con l'opening statement formula dichiarazioni volte a porre in rilievo lacune o debolezze nelle tesi di accusa, ad esempio l'inattendibilità di un testimone oppure l'improbabilità che la vittima possa avere riconosciuto il rapinatore in un momento breve e di forte tensione emotiva. Tal'altra di contro, non fa alcuna dichiarazione fino a che non si è conclusa l'assunzione delle prove a carico, per conservare la maggiore flessibilità possibile alla propria linea difensiva, che deve sempre essere in grado di tener conto dei punti di forza e di debolezza risultanti dalle prove acquisite a richiesta del Prosecutor. Or bene, già a questo punto emerge dall'analisi una profonda diversità tra l'area culturale, in cui l'istituto è sorto, ed il diverso recepimento che ne ha fatto il legislatore nel nostro ordinamento. Ed invero, come insegnano tutti gli studiosi di diritto comparato, ogni legal trans plent è particolarmente delicato è difficile, perchè deve tener conto delle diverse condizioni storiche e di cultura dei paesi interessati, ed è a tutti chiara la sostanziale differenza costituzionale ed ordinamentale esistente tra il Prosecutor statunitense ed il P.M. italiano. Nella nostra legislazione il risultato di questo trapianto giuridico si è tradotto nel senso di una previsione soltanto a carico del P.M. dell'onere di esporre i fatti oggetto dell'imputazione, e ciò in una fase anteriore e diversa da quella prevista per indicare le prove di cui chiederà l'ammissione. Questo apparente squilibrio rispetto al modello americano, tra accusa e difesa, è stato però ritenuto ampiamente giustificato, conformemente ed aderentemente alle diversità di ordine costituzionale che connotano gli organi dell'accusa in Italia e negli Stati Uniti, sin dalla relazione al progetto preliminare del 1978, la cui teorizzazione sul punto è rimasto l'unico contributo concettuale esistente giacché nulla si rinviene in argomento nè nella relazione al progetto preliminare al vigente codice, nè in quella definitiva del 1989. Confrontare sul punto la pagine 117 e 119 delle relazioni al progetto preliminare e definitivo. Ed invero come è stato scritto nella relazione al progetto preliminare del '78 è sembrato più rispondente ad un'esigenza di chiarezza e di precisione, attribuire al solo P.M. l'esposizione dei fatti oggetto dell'imputazione, lasciando agli altri soggetti solo di esporre i fatti che essi intendono provare e di richiedere l'ammissione delle relative prove. Confronta relazione al progetto del '78 pagina 407. L'accusa quindi è l'unica abilitata ex Art. 493 punto 1 del C.P.P. a descrivere i fatti al cui accertamento deve ancora procedersi. E' pur vero che anche la difesa deve indicare, così come le altre parti i fatti che intende provare, ma non vi è dubbio che fra esposizione dei fatti ed indicazione dei fatti vi è una profonda differenza, nel senso che la prima attività porta un narrare ordinatamente ed uno spiegare, mentre la seconda implica un semplice individuare. La portata restrittiva del concetto di indicazione dei fatti che si intendono provare, appare poi ad esempio, evidente, allorché una determinata circostanza può sembrare a prima vista estranea all'oggetto dell'imputazione per cui se ne rende necessario un approfondimento e senza quest'ultimo la prova potrebbe essere dichiarata inammissibile dal Giudice per la sua irrilevanza apparente, ma in tal caso tutta la dottrina ritiene ragionevole che i difensori, gli unici soggetti che appunto non fanno una esposizione, abbiano la facoltà di motivare più ampiamente le proprie richieste ed esorbitino quindi dall'angusto ambito della mera indicazione dei fatti. Da quanto sinora analizzato discende dunque che il P.M. ha il dovere e l'onere e non già il diritto in conformità alla sua collocazione costituzionale ed ordinamentale nel sistema di fare una esposizione introduttiva dei fatti con cui illustrare il tema probandum ed indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi per sostenere la propria prospettazione accusatoria. Ciò secondo la dottrina mira da un lato a fare acquisire al Giudice gli strumenti conoscitivi necessari per potere eseguire appieno lo svolgimento dell'istruzione dibattimentale. Dall'altro a consentire all'organo giudicante di vagliare e decidere cognita causa, soprattutto nei casi in cui la vicenda processuale è particolarmente complessa sulla rilevanza, pertinenza e non superfluità di ciascuna delle prove di cui si chiederà poi l'ammissione, consentendogli un'ampliamento dello scarso corredo informativo di cui già dispone per effetto della trasmissione di quel fascicolo magro previsto dall'art. 431 del codice di rito. Appare chiaro, come è stato rilevato, che tale doveroso onere è previsto non già per agevolare l'accusa, che in un sistema accusatorio potrebbe avere interesse a non disvelare le proprie strategie, ma per la posizione pubblicistica che nel nostro ordinamento il P.M. riveste, anche per il rilievo che nel nostro sistema l'organo dell'accusa è altresì obbligato, a differenza sostanziale da quelli di Common law a svolgere accertamenti pure sui fatti e circostanze in favore dell'indagato o dell'imputato, essendo tale finalità una ulteriore estrinsecazione della posizione di parte pubblica del P.M. stesso. E' stato rilevato ancora che l'esposizione introduttiva svolge anche la funzione di piena ed anticipata discovery di tutti i mezzi di prova del P.M. ad ulteriore rafforzamento delle tutele difensive che con varie cadenze il legislatore ha previsto per tutto ciò che attiene all'attività dell'accusa sin dalla fase delle indagini preliminari. Anche questa osservazione, ovviamente segnala un'altra profonda differenza dal modello processuale statunitense, dove la Sporting teory a dire della dottrina vero eccesso di ipertrofia accusatoria, esclude l'obbligo di una piena discovery da parte del Prosecutor. Non è consentita in Italia invece che l'organo dell'accusa ponga in essere atti a sorpresa e meno che mai dopo la richiesta di rinvio a giudizio e soprattutto nella fase dibattimentale. Esso dunque è obbligato a fornire alle altri parti del processo l'indicazione del percorso che si è assunto l'onere di dimostrare nello schema del proprio impianto accusatorio. A fronte però della evidente importanza affidata dal sistema e nel sistema vigente alla esposizione introduttiva, deve annotarsi, come si è visto che purtroppo a tale nuovo istituto non è stato dedicato dal legislatore, nè nei lavori preparatori nè in altre sedi, alcuno sforzo per connotarne il contenuto rinvenendosi dall'interprete soltanto quelle poche e scarne indicazioni di cui al 493 punto 1 c.p.p. E' dovere dell'interprete allora sforzarsi di arricchire tale magro patrimonio conoscitivo e ciò egli potrà fare con gli strumenti dell'ermeneutica giuridica in cui sono incluse anche operazioni di prequalificazione del discorso legislativo, con riferimento non solo a fonti extratestuali ma anche a modi di concepire il diritto o ad ideologie, solo traverso un esame articolato dell'intera architettura sistemica del codice di rito, utilizzando il cosiddetto argomento sistematico. In tale prospettiva di ricerca e di interpretazione, va subito detto che il contenuto dell'esposizione non deve e non può ovviamente identificarsi con: l'imputazione, perchè di essa si parla nel 492 punto 2; con l'articolazione della lista testi, perchè questa è prevista nel 468 punto 1; con l'indicazione delle prove di cui chiedere l'ammissione, perchè è prevista nel 493 punto 1 seconda parte. Giacché appunto il sistema prevede per essi momenti diversi e particolari nel capo secondo titolo secondo del libro settimo dedicato agli atti introduttivi. Inoltre è del pari chiaro che destinatari di tale attività sono da un lato il Giudice, dall'altro le altre parti processuali. Orbene se tale risultato della ricerca dell'interprete è corretto, è evidente che il contenuto dell'esposizione introduttiva connotata da quella doverosa funzione di servizio imposta al P.M. che è l'unico elemento positivo ricavabile nel sistema, come abbiamo visto dalla relazione al progetto del '78, deve essere del tutto diverso da questi individuati elementi. Al riguardo deve ancora richiamarsi alla memoria che secondo il nuovo modello processuale, le sole conoscenze che il Giudice del dibattimento ha del merito dell'imputazione, sono ancorate alle poche acquisizioni contenute nel fascicolo per il dibattimento. Il contenuto dell'esposizione introduttiva allora deve sicuramente tendere ad ampliare quel limitato patrimonio di conoscenze, attraverso una informazione completa sui fatti oggetto dell'imputazione e l'indicazione di ogni altro elemento comunque rilevante ai fini della prova. Ed invero gli atti inizialmente contenuti nel cosiddetto fascicolo Magro possono rilevarsi assolutamente insufficienti per far comprendere al Giudice la vicenda processuale, soprattutto nei casi in cui, come quello che ci occupa, essa è particolarmente complessa. Ma se il disvelamento dell'architettura accusatoria costituisce, com'è da tutti riconosciuto, un ulteriore momento della doverosa discovery cui è tenuto il P.M. nella fase del dibattimento, questi non può esimersi da una chiara ed esaustiva esposizione dei fatti che intende dimostrare in funzione esclusiva dell'esigenza di chiarire la rilevanza di ciascuna delle prove di cui dovrà poi chiedere l'ammissione. A tal fine, come noto, la più recente giurisprudenza dei giudici di merito, in particolare di quelli chiamati a giudicare su imputazioni coinvolgenti fatti di estrema complessità e nel senso di ammettere che la stessa esposizione orale del P.M. possa essere addirittura supportata ed arricchita da proiezioni di immagini, dalla rappresentazione grafica di una sintesi schematica delle dichiarazioni rese da fonti testimoniali o da imputati, dei risultati di elaborati peritali o di consulenze di ufficio. Si confronti ad esempio l'ordinanza della Corte di Assise di Caltanissetta, sezione II del 12 giugno 1995 nei procedimenti penali recanti i numeri 3/95 e 5/95. Infatti come è stato sottolineato da questi Giudici di merito, nessuna norma vieterebbe al P.M. di leggere il contenuto della sua esposizione introduttiva sul video di uno strumento informatico, di tal che la stessa fruizione di quello schermo da parte dei presenti in aula, non solo non appare incompatibile con alcuna norma, ma completa le stesse modalità di comunicazione dei fatti processuali. Questa giurisprudenza ha poi messo in risalto che tali modalità tecniche si risolvono soltanto in una maggiore estrinsecazione della funzione informativa che il codice assegna all'esposizione introduttiva, consentendo a tutte le parti una più completa ed immediata percezione dei temi che saranno al centro del dibattimento, in tal modo esaltando proprio la centralità di quest'ultimo, per non dire poi che tale sistema di massima divulgazione e comprensione dei percorsi che l'accusa si prefigge di dimostrare, costituisce la massima garanzia di una partecipazione consapevole della collettività e di un controllo critico dei cittadini sulla amministrazione della giustizia. E' appena il caso di rilevare infine che l'individuazione di questo contenuto dell'esposizione del P.M. non comporta alcuna surrettizia o suggestiva immissione anticipata della prova, le cui modalità e tempi di introduzione, ammissione e formazione restano ovviamente sottoposti in modo rigoroso alla disciplina prevista nel codice di rito, tenuto soprattutto conto che quanto viene riferito nel corso della esposizione è probatoriamente del tutto inutilizzabile, come esattamente è stato fatto rilevare anche da codesto Tribunale con una delle due ordinanze emesse all'udienza del 18 ottobre del '95. Individuato attraverso tale opera di ricerca il contenuto che deve avere l'esposizione introduttiva, non può non affrontarsi il problema pure sollevato in questa sede della estensione di essa. Al riguardo, ancora una volta l'interprete non può non prendere atto che le sole indicazioni positive che si rinvengono, escluso come visto, ogni ausilio proveniente dalle relazioni al C.P.P. possono identificarsi nell'art. 493 del codice di rito. Questa norma prevede al punto 1 che il P.M. espone concisamente i fatti oggetto dell'imputazione mentre al punto 4 dice che il Presidente regola l'esposizione introduttiva ed impedisce ogni divagazione, ripetizione ed interruzione. Per apprezzare appieno il concetto sotteso alle parole "esporre concisamente" non può farsi a meno di partire dal significato semantico del termine "conciso" per poi raccordarlo con la previsione sanzionatoria che è affidata al potere funzionale del solo Presidente, di regolare l'esposizione evitando divagazioni e ripetizioni. Orbene, secondo taluni dizionari della lingua italiana, il termine "conciso" indica la qualità di un parlatore o di uno scrittore di esprimere le idee con stringatezza ed efficacia, di essere denso, di non perdersi in circonlocuzioni o abbellimenti, di andare direttamente al nocciolo della questione, di essere breve ma completo ed efficace. In particolare poi il termine viene ritenuto il più acconcio per descrivere uno stile letterario o oratorio, il cui esatto contrario è il termine "prolisso" cioè ripetitivo. Già da questo primo approccio emerge chiaramente che il concetto semantico i concisione implica innanzitutto la densità, la completezza e l'efficacia del pensiero che si intende esprimere e che il suo unico limite quantitativo è costituito dalla prolissità e dalla ripetitività di chi parla o scrive. Inoltre e sia detto solo per incidens, non è chi non veda, che la concisione è un concetto relativo e non già assoluto, di tal che è indubbio che un'esposizione di fatti che hanno comportato durante le indagini preliminari il confezionamento di oltre 100.000 pagine di atti non può concisamente ridursi a poche decine ma deve tener conto del dato complessivo che deve rappresentare. Ma ciò che avvalora tale analisi semantica è la considerazione che essa si coniuga perfettamente con i poteri sanzionatori attribuiti dal legislatore al Presidente dell'odine giudicante. Poteri che sono appunto solo e soltanto quelli di impedire ogni divagazione e ripetizione ovvero di evitare che lo stile conciso cui il P.M. deve informare la propria esposizione si trasformi in uno stile prolisso e ripetitivo e che questa sia l'interpretazione corretta da dare alla norma, lo si ricava, ad avviso di questo ufficio, ancora una volta, dall'esame dell'intero sistema. Non va dimenticato infatti che già l'art. 474 del c.p.p. del 1930 richiedeva una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la sentenza è fondata. Appare evidente da ciò allora, che l'uso del termine "conciso" avuto presente, peraltro correttamente dal legislatore italiano fin dal c.p.p. previgente, sia assolutamente diverso da quello che si vorrebbe tentare di introdurre sempre più spesso nell'interpretazione di tale termine ex art. 493 del vigente codice, ed invero è pacificamente chiaro per tutti che la concisione delle motivazioni delle sentenze può essere definita in ogni modo fuorché nel senso di brevità dell'iter argomentativo di chi espone. Peraltro una analoga utilizzazione del termine è stata fatta anche dal legislatore del 1989 e sempre con riferimento alle motivazioni delle sentenze, infatti nell'art 544 punto 1 del c.p.p. si dice che subito dopo la deliberazione della sentenza e redatta una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la sentenza è fondata. Anche attraverso tale indagine dunque si conferma che l'interpretazione data dall'ufficio all'estensione quantitativa della esposizione introduttiva appare corretta e doverosa. Ciò non per tanto, signor Presidente e signori del Tribunale, l'ufficio del P.M. prende atto come ha sempre fatto di quelle che sono state le indicazioni espresse dal collegio con le ordinanze del 18 ottobre del 1995 e ad esse doverosamente si atterrà.

PRESIDENTE:
C'è una richiesta oppure non c'è richiesta? A che cosa è finalizzata questa memoria? C'è un petitum in relazione all'ordinanza già emessa dal Tribunale oppure una richiesta di revoca, qualcosa? Fateci capire.

P.M.:
Signor Presidente, non c'è un petitum diverso da quello che si ritiene è fatto evidente dal contenuto della memoria che si è illustrata. Si intende dire che la memoria e il pensiero della Pubblica Accusa tendono ad evitare le interruzioni che possono intervenire dalle altre parti processuali durante la doverosa esposizione che il P.M. deve fare dei fatti oggetto dell'imputazione e tende a chiarire laddove ve ne fosse bisogno e quanto meno a chiarire al pensiero della Pubblica accusa stessa, quello che deve essere il contenuto che deve informare la esposizione introduttiva del P.M. Altra considerazione che può farsi in esito alla illustrazione testè esposta è che l'illustrazione, l'esposizione introduttiva serve ad illustrare quello che è il significato dei mezzi di prova che si indicheranno subito dopo, quindi appare chiaro da tutto questo che l'eventuale perdita di tempo che si potrebbe rilevare in questa fase è a tutto vantaggio del tempo che indubbiamente si recupererà nel momento della indicazione dei mezzi di prova.

PRESIDENTE:
Non è un problema di tempo P.M.

P.M.:
Sì, signor Presidente, è un problema di ordinata esposizione del pensiero, perchè ritiene questo ufficio che alla fine della esposizione introduttiva la indicazione dei mezzi di prova apparirà assolutamente chiaro, per lo meno le ragioni, ad avviso di questo ufficio, della indicazione i quei mezzi di prova appariranno assolutamente chiare senza bisogno di ulteriore approfondimento, di ulteriore illustrazione della necessità di ammettere o non ammettere un mezzo di prova di cui si è richiesta l'ammissione.

PRESIDENTE:
Allora restano fermi i criteri già stabiliti dal Tribunale con le ordinanze già emesse.

AVV. SBACCHI:
Io devo ringraziare il P.M. per la dotta prolusione. Non devo dire altro.

PRESIDENTE:
Va bene. Prego.

P.M.:
Altri importanti elementi di accusa contro il Senatore Andreotti il P.M. si propone di acquisire in questo dibattimento mediante l'esame di Francesco Marino Mannoia, con particolare riferimento alle dichiarazioni rese nell'interrogatorio del 3 aprile del 1993 avvenuto presso l'Attorney Office del distretto meridionale di New York in quanto reso nell'ambito di commissione rogatoria internazionale il verbale di interrogatorio è già stato inserito tra gli atti del fascicolo del dibattimento. L'esame di Marino Mannoia verterà sui seguenti temi di prova: rapporti dei cugini Antonino e Ignazio Salvo con Giulio Andreotti ed altri soggetti a lui collegati, come per esempio Claudio Vitalone; sequestro dell'on. Aldo Moro, particolari e circostanze attinenti al coinvolgimento di Cosa Nostra e di soggetti collegati a Giulio Andreotti; rapporti tra Cosa Nostra, Michele Sindona, Licio Gelli; interferenze di Cosa Nostra e di Andreotti in procedimenti giudiziari ed in particolare nel maxiprocesso; incontri di Andreotti con esponenti di Cosa Nostra, in particolare incontri del 1979 e del 1980; interferenze di Cosa Nostra nelle consultazioni elettorali, in particolare nelle elezioni politiche del 1987; viaggi aerei di Andreotti in Sicilia; la corrente andreottiana in Sicilia; rapporti tra n'drangheta e Cosa Nostra; l'interessamento di Giuseppe Calò per l'acquisto di un quadro da parte di Giulio Andreotti. Attraverso l'esame del Marino Mannoia e con riferimento al tema probatorio generale riguardante i cugini Salvo, l'accusa si propone di dimostrare che Antonino e Ignazio Salvo erano uomini d'onore della famiglia di Salemi e che l'allora appartenenza a Cosa Nostra veniva tenuta riservata all'interno della stessa organizzazione stante i loro importanti legami con il mondo della politica; che entrambi i cugini Salvo frequentavano, specie negli ultimi anni precedenti alla guerra di mafia Stefano Bontate e che più assiduo dei due era Nino Salvo, in questa frequentazione; che Nino Salvo era altresì grande amico di Gaetano Badalamenti, con cui si frequentava assiduamente e che fu proprio il Badalamenti a presentare i Salvo a Stefano Bontate; che anche l'on. Salvo Lima frequentava Stefano Bontate ed era il personaggio politico con il quale il Bontate aveva maggiore intimità, che più volte l'on. Lima si incontrò con Stefano Bontate in una casa adibita ad ufficio, di Gaetano Fiore, personaggio pure appartenente a Cosa Nostra, nonché nei giorni di chiusura nei locali del Baby Luna, locali di proprietà del predetto Fiore; che in quest'ultimo locale, il Baby Luna, nel 1979 parecchi uomini d'onore della famiglia di Santa Maria di Gesù si incontrarono con John Gambino e con un'altro uomo d'onore zio di Salvatore Inzerillo, che si chiamava anch'egli Gambino e che era un personaggio molto influente di Cosa Nostra americana; che nel passato generalmente Cosa Nostra votava per la Democrazia Cristiana, ma non vi erano particolari pressioni o organizzazioni elettorali per votare per quel partito; che invece nelle elezioni politiche del 1987 pervenne all'interno del carcere un ordine preciso, con cui si responsabilizzavano tutti gli uomini d'onore affinché si votasse e si facessero votare familiari ed amici per il partito Socialista Italiano; che inoltre, un pò prima, quando al partito Radicale occorrevano per evitare lo scioglimento, almeno 10.000 iscrizioni, dentro il carcere dell'Ucciardone, gli uomini d'onore si erano quotati su iniziativa di Pippo Calò, che versò 100 milioni di lire a detto partito, la famiglia di Santa Maria di Gesù versò 50 milioni di cui 30 milioni sborsati direttamente da Giovanni Bontate; che l'iniziativa di finanziamento del Partito Radicale fu esclusivamente interna al carcere dell'Ucciardone, anche se i finanziamenti furono raccolti anche all'esterno; che per quanto concerne l'appoggio elettorale al Partito Socialista Italiano nell'anno 1987 l'ordine era generalizzato a tutta Cosa Nostra in Sicilia. Sul tema diverso del coinvolgimento di Cosa Nostra nel sequestro Moro il P.M. si propone di dimostrare anche mediante l'esame del predetto collaboratore di giustizia, nonché degli Ufficiali di P.G. che hanno esperito le indagini in riscontro, dei testi indicati alle pagine 21 e 23 della lista depositata, che saranno indicati più specificatamente e di documenti; che dopo il sequestro dell'on. Aldo Moro Cosa Nostra fu sollecitata da influenti esponenti della Democrazia Cristiana ad intervenire per tentare di salvarlo e che il Bontate come altri si attivò; che a tal fine 10-15 giorni dopo il sequestro fu tenuta una riunione della commissione, l'organo di vertice di Cosa Nostra; che la maggior parte dei componenti della commissione, tra cui Michele Greco, il quale all'epoca svolgeva funzione di coordinatore era di fede democristiana ed in contatto con i politici democristiani che guidavano l'economia regionale; che in sede di commissione Giuseppe Calò, capo del mandamento di Porta Nuova conoscitore insieme ad Angelo Cosentino, capo della decina romana di Santa Maria di Gesù dei problemi politici romani, in quanto da anni si era trasferito a Roma, dopo avere tergiversato, affermando di non avere modo di intervenire, rappresentò che esponenti di vertici della Democrazia Cristiana non volevano che Moro venisse liberato; che comunque in sede di commissione il Calò era stato incaricato di operare affinché il Buscetta fosse spostato in un carcere del Nord, così da potere contattare alcuni terroristi di sinistra che aveva conosciuto durante la detenzione; che dopo poco tempo il Buscetta fu trasferito in un'altro carcere però diverso da quello che aveva chiesto, che in seguito il Bontate apprese che il trasferimento di Buscetta ad un carcere diverso da quello segnalato era stato opera di Calò e che quest'ultimo si giustificò attribuendo la responsabilità alla persona cui si era rivolto che aveva compreso male quanto richiestagli; che in sostanza in ordine alla posizione da assumere con riferimento alla vicenda Moro si verificò all'interno di Cosa Nostra una spaccatura, in quanto da una parte vi erano Stefano Bontate, i cugini Salvo, Gaetano Badalamenti e altri i quali, dati i loro legami politici ed al fine di acquistare maggiore prestigio erano propensi ad intervenire per ottenere la liberazione di Moro, dall'altra parte vi erano Calò, Riina, Michele Greco ed altri che apparivano non interessati al problema e che in particolare Calò che come abbiamo detto era bene inserito nell'ambiente romano in quell'agenzia del crimine che era divenuta la Banda della Magliana, alcuni elementi dei quali erano stati integrati in Cosa Nostra era a conoscenza che alcuni esponenti della Dc non erano interessati alla liberazione di Moro. Sullo stesso tema e cioè coinvolgimento di Cosa Nostra alle trattative per la liberazione di Moro, il P.M. si propone di dimostrare, mediante l'esame di Tommaso Buscetta che il Buscetta fu incaricato di prendere contatti in carcere con detenuti politici e precisamente con appartenenti alla Brigate Rosse per tentare di ottenere la liberazione di Aldo Moro; che a tal fine fu preordinato il suo trasferimento nel carcere di Torino, ove avrebbe potuto incontrare Curcio ed altri detenuti politici, ma che inopinatamente invece di essere trasferito a Torino il Buscetta fu tradotto nel carcere di massima sicurezza di Cuneo, sicché non ebbe la possibilità di contattare alcuno dei brigatisti. Sempre sullo stesso tema, sequestro Moro, il P.M. si propone di dimostrare mediante l'esame del teste Giuseppe Messina che Flavio Carboni, faccendiere che aveva rapporti con esponenti della banda della Magliana e interessi in affari riconducibili a Giuseppe Calò, svolse un ruolo di mediatore con la mafia nel corso del sequestro dell'on. Moro, incontrandosi con esponenti mafiosi e che il vertice di Cosa Nostra dopo avere offerto la propria collaborazione per la liberazione dell'on. Moro ritornò sulla propria decisione non volendo più occuparsi dell'affare Moro. In connessione con lo stesso tema il P.M. si propone di dimostrare mediante l'esame dei testi indicati alla pagina 27 della lista depositata, del teste Paolo Uberti, degli ufficiali della DIA che hanno effettuato indagini sui viaggi aerei che alcuni assegni riconducibili a società inserite in un circuito di interessi facenti capo a Flavio Carboni e Giuseppe Calò pervennero all'on. Andreotti. Che l'on. Andreotti in occasione di uno dei suoi viaggi in Sicilia fu trasportato a bordo di un aereo privato della Air Capitol, appartenente a Giuseppe Ciarrapico, aereo pilotato da Paolo Uberti, iscritto alla P2, assunto dalla Air Capitol e coinvolto nell'organizzazione della fuga di Roberto Calvi a Londra in occasione della quale aveva trasportato il boss della Magliana, Diotallevi a bordo di un aereo privato del predetto Flavio Carboni faccendiere, come abbiamo detto, legato al Calò. Nella prospettiva accusatoria la ricostruzione in sede dibattimentale di questa vicenda, il coinvolgimento di Cosa Nostra nelle trattative per la liberazione di Moro, è finalizzata ad acquisire un riscontro ex ante a quanto diranno i collaboranti sul contesto dei rapporti tra Cosa Nostra e il mondo politico, non soltanto siciliano, ma anche nazionale. Ed infatti la richiesta formulata da alcuni esponenti politici a Cosa Nostra direttamente o tramite i cugini Salvo, volta ad intervenire per tentare di liberare l'on. Moro, considerata l'enorme incidenza del sequestro dello statista sulla situazione politica istituzionale del paese, risulterà indicativa del livello di interscambio tra Cosa Nostra e settori del mondo politico.

AVV. SBACCHI:
Mi dispiace interrompere, ma a me sembra una requisitoria, non sembra una relazione. Quando tireremo le somme vedremo.

PRESIDENTE:
Per ora la prego di non intervenire. Prego P.M.

P.M.:
Presidente, si stava spiegando proprio la rilevanza dei testi sul coinvolgimento di Cosa Nostra al sequestro Moro, perchè nella prospettiva accusatoria alla luce di questa chiave di lettura retrospettiva che la Pubblica Accusa si propone di ricostruire in dibattimento, sarà possibile comprendere perchè l'organizzazione ritenesse di poter fare pieno affidamento sulla disponibilità dei suoi referenti politici agli interventi necessari per garantire i propri interessi e fra questi anche ad interventi volti a condizionare l'esito del maxiprocesso. E si comprenderà perchè il mancato rispetto di queste promesse sia stato vissuto ed interpretato da Cosa Nostra come una inammissibile violazione del patto di scambio esistente da molti anni. Sul tema dell'origine dei rapporti tra Cosa Nostra e il mondo politico, nei quali sarebbe stato successivamente coinvolto Andreotti, il P.M. si propone di dimostrare, attraverso le dichiarazioni di Marino Mannoia e di testi di riscontro che in origine i rapporti con gli uomini politici erano tenuti principalmente da Paolino Bontate, Vincenzo Rimi e Antonino Salamone. Che Paolino Bontate, dapprima favorevole al regime monarchico, si rese poi conto delle necessità determinate dall'evoluzioni dei tempi e quindi dell'opportunità di stabilire un collegamento organico con la Democrazia Cristiana, la quale era allora il partito politico più importante in Italia e in Sicilia; che i rapporti con il mondo politico furono poi intensificati da Stefano Bontate figlio di Paolino dopo che egli divenne rappresentante prendendo il posto del padre; che Stefano Bontate al pari di Salvatore Riina e di Giuseppe Calò, era uno degli uomini di Cosa Nostra che meglio conosceva la realtà dei rapporti di potere in campo nazionale, per cui sapeva bene che il potere di Cosa Nostra sarebbe rimasto limitato se almeno alcuni esponenti dell'organizzazione non avessero stabilito rapporti di alleanza con poteri esterni; che fu proprio per questo motivo che Stefano Bontate, in contrasto con l'opinione prevalente in Cosa Nostra decise di affiliarsi ad una loggia massonica, ben comprendendo che in tal modo avrebbe potuto giovarsi di relazioni importanti che avrebbero accresciuto il suo potere e il suo prestigio personale; che Bontate dapprima stabilì relazioni assai strette con l'on. Rosario Nicoletti che disponeva di una villa adiacente al fondo Magliocco e attraverso il canale del vecchio Matteo Citarda e di Giuseppe Albanese, uomini d'onore, rapporti con l'on. Salvo Lima, appunto uomo d'onore della famiglia del Citarda; che questi rapporti con i detti uomini politici erano intrattenuti non soltanto da Stefano Bontate ma anche da altri esponenti di Cosa Nostra quali ad esempio Salvatore Riina e Giuseppe Calò; che in particolare Riina, Calò ed altri esponenti di Cosa Nostra vicini al Riina avevano rapporti di intimità con l'on. Lima e con Vito Ciancimino; che nelle mani di Cosa Nostra vi era gran parte dell'ambiente politico di Palermo; che verso la fine degli anni '70 si determinò nell'ambito di Cosa Nostra una sorta di concorrenza e di antagonismo tra varie componenti, ciascuna delle quali aspirava a stabilire un rapporto privilegiato col mondo politico; che lo stato dei rapporti tra Cosa Nostra e il mondo politico cominciò a mutare nel periodo immediatamente precedente agli omicidi di Michele Reina e di Piersanti Mattarella; che la ragione di quest'ultimo delitto risiede nel fatto che Piersanti Mattarella, dopo avere intrattenuto rapporti con i cugini Salvo e con Stefano Bontate, successivamente mutò la propria linea di condotta; che il Mattarella, entrato in violento contrasto ad esempio con l'on. Rosario Nicoletti, voleva rompere con la mafia ed intraprendere un'azione di rinnovamento della Democrazia Cristiana in Sicilia, andando contro gli interessi di Cosa Nostra; che Rosario Nicoletti riferì il proposito del Mattarella al Bontate e che attraverso l'on. Lima del nuovo atteggiamento di Mattarella fu informato anche l'on. Andreotti; che Andreotti scese a Palermo e incontrò Bontate, i cugini Salvo, l'on. Lima l'on. Nicoletti, Gaetano Fiore e altri uomini d'onore; che nel corso di questo incontro che si verificò tra la primavera e l'estate del 1979 e comunque in epoca sicuramente posteriore all'omicidio di Michele Reina avvenuta il 9 marzo '79, Stefano Bontate e gli altri uomini d'onore si lamentarono con Andreotti del comportamento di Mattarella; che alcuni mesi dopo fu deciso l'omicidio di Piersanti Mattarella da tutti i componenti della commissione provinciale di Palermo e che su ciò furono perfettamente concordi, anche se formalmente estranei alla decisione i cugini Antonino ed Ignazio Salvo; che in quel periodo, inizio del 1980, gli esponenti di Cosa Nostra dei diversi schieramenti avevano fatto la pace, anche se si trattava, come gli avvenimenti successivi avrebbero dimostrato, di una pace provvisoria e fittizia; che alcuni mesi dopo l'omicidio del Mattarella, Stefano Bontate e Salvatore Federico Pinzetta, Francesco Marino Mannoia, si recarono in una piccola villa nei pressi di via Pitrè intestata ad uno zio di Salvatore Inzerillo, ove trovarono l'on. Lima, Salvatore Inzerillo, Michelangelo La Barbera, Girolamo Teresi e Giuseppe Albanese, cognato di Giovanni Bontate; che circa un'ora dopo il loro arrivo sopraggiunse un'Alfa Romeo blindata di colore scuro, con i vetri pure scuri, a bordo della quale vi erano i due cugini Salvo e l'on. Giulio Andreotti; che si svolse un incontro tra l'on. Andreotti ed i predetti esponenti di Cosa Nostra, incontro al quale non parteciparono perchè rimasti fuori in giardino, Francesco Marino Mannoia, Salvatore Federico, Michelangelo La Barbera, i quali però udirono chiaramente delle grida provenire dall'interno della villa; che quando Andreotti andò via con i Salvo a bordo della citata autovettura blindata e tutti loro rimasero nella villa, tutti gli altri rimasero nella villa, Bontate, Lima, Inzerillo, Albanese e Teresi rimasero ancora un pò a discutere appartati tra loro; che Andreotti partecipò al predetto incontro per avere chiarimenti sull'omicidio di Piersanti Mattarella e che fu diffidato dall'assumere iniziative contro la mafia in quanto in tal caso Cosa Nostra avrebbe ritirato il sostegno elettorale alla Democrazia Cristiana non solo in Sicilia ma in tutto il Meridione. Per quanto riguarda il tema della successiva evoluzione dei rapporti tra Andreotti e Cosa Nostra il P.M., anche mediante le dichiarazioni di Marino Mannoia si propone di dimostrare che dopo l'uccisione di Stefano Bontate, Salvatore Riina subentrò nelle relazioni politiche intessute in precedenza dal Bontate, le quali divennero più strette anche perchè prima Lima e Ciancimino erano già vicini a Riina; che vi fu un interessamento di Cosa Nostra per il maxiprocesso; che Riina fece sapere a pochi, fra cui Pietro Lo Iacono, che alla fine il processo sarebbe stato annullato per interessamento del Presidente Carnevale in quanto questi avrebbe trovato dei vizi nel rinvio a giudizio, conseguendo il risultato di fare annullare il processo; che l'on. Salvo Lima è stato ucciso perchè non è stato in grado di mantenere la promessa dell'aggiustamento del maxiprocesso. Per la ricostruzione del quadro complessivo dei rapporti mafia-politica sarà chiamato poi a testimoniare Tommaso Buscetta, attraverso il quale il P.M. si propone di dimostrare i seguenti temi di prova: rapporti dei cugini Antonino e Ignazio Salvo con Giulio Andreotti ed altri soggetti a lui collegati; rapporti dei cugini Antonino e Ignazio Salvo con Claudio Vitalone; circostanze generali sull'omicidio di Mino Pecorelli; circostanze attinenti il coinvolgimento di Cosa Nostra e di Giulio Andreotti nel sequestro dell'on. Aldo Moro; interferenze di Cosa Nostra e di Andreotti in procedimenti giudiziari; incontri di Andreotti con esponenti di Cosa Nostra ed in particolare con Gaetano Badalamenti; interferenze di Cosa Nostra nelle consultazioni elettorali; corrente andreottiana in Sicilia. In particolare attraverso il Buscetta l'accusa si propone di dimostrare oltre all'origine dei rapporti tra Cosa Nostra e pezzi del mondo politico, che negli anni '60 Cosa Nostra a Palermo sosteneva elettoralmente in prevalenza la Democrazia Cristiana in quanto ritenuta il partito capace di opporsi più efficacemente alla minaccia comunista; che non vi erano indicazioni vincolanti per un determinato candidato, ma che ciascun uomo d'onore aveva facoltà di sostenere elettoralmente un candidato di propria scelta, purchè nell'ambito di partiti che non fossero il Partito Comunista o il Movimento Sociale; che naturalmente ricevevano maggiori consensi i candidati che erano essi stessi uomini d'onore come il monarchico Giuseppe Guttadauro, rappresentante della famiglia di Corso Calatafimi i democristiani Giuseppe Trapani, consigliere della famiglia di Porta Nuova, Antonino Sorci della famiglia di Villagrazia di Palermo e Giuseppe Cerami, poi divenuto senatore, combinato nella famiglia di Santa Maria di Gesù; che i cennati democristiani in quel periodo erano assessori o consiglieri al Comune di Palermo, mentre Sindaco era Salvo Lima ed assessore all'edilizia privata e pubblica Vito Ciancimino; che naturalmente vi erano uomini d'onore, anche se in una proporzione minore, pure presso l'Assemblea Regionale siciliana; che allora Salvo Lima era il candidato della famiglia di Palermo centro, capeggiata dai fratelli Salvatore e Angelo La Barbera, alla quale apparteneva il padre del parlamentare, Vincenzo Lima, mentre un altro candidato della stessa famiglia di Palermo centro era in deputato nazionale Giovanni Gioia; che i rapporti tra Buscetta e Lima erano così cordiali che nel 1961 o '62, dovendo il Sindaco Lima recarsi negli Stati Uniti quale componente di una delegazione del Comune di Palermo, Buscetta gli fece una lettera di presentazione per Joe Bonanno e Charles Gambino; che per questa presentazione, Lima al ritorno dal viaggio ebbe a ringraziare Buscetta in una villa di Lima a Mondello; che in un'altra occasione Buscetta prese contatti con Lima e fu precisamente quando Buscetta e Salvatore La Barbera chiesero ed ottennero con l'intervento di Lima Sindaco, una variante di destinazione nel piano regolatore per un'area in via Brigata Verona, dapprima prevista come verde agricolo e poi tramutata in zona edificabile; che in altra occasione il Lima rese un'altro favore illecito permettendo l'elevazione di due piani in una costruzione di via Cirrincione cui il Buscetta era interessato insieme al costruttore Giuseppe Annaloro; che nel 1972, quando il Buscetta rientrò in Italia l'on. Lima era divenuto il candidato dei cugini Antonino ed Ignazio Salvo; che i cugini Salvo a loro volta erano grandissimi amici di Stefano Bontate e di Gaetano Badalamenti e che non avevano difficoltà a far pervenire a Lima le loro richieste, proprio per il tramite dei Salvo; che nell'estate del 1980 vi fu un incontro personale a Roma tra Lima e Buscetta in un albergo di via Veneto su richiesta dello stesso uomo politico e per il tramite di Nino Salvo; che Nino Salvo avanzò quella richiesta al Buscetta proprio nella casa di Pippo Calò ove si erano trattenuti a pranzare insieme al Calò ed alla moglie di quest'ultimo; che nel corso di questo incontro l'on. Lima parlò di affari politici concernenti Palermo, rappresentando che Vito Ciancimino continuava ad essere un problema spinoso; che Nino Salvo fece presente che il vero problema era costituito dai corleonesi i quali gestivano in maniera assoluta il Ciancimino per tutte le questioni politiche e per gli affari; che Nino Salvo inoltre, in sintonia con Bontate, Riccobono, Inzerillo e Gigino Pizzuto sollecitò Buscetta ad accettare un posto in commissione che lo stesso Calò aveva già offerto al Buscetta stesso in propria sostituzione; che il motivo della proposta mirava a far sì che il Buscetta potesse così contenere l'invadenza dei corleonesi e ricomporre quindi un equilibrio accettabile per tutti; che Nino Salvo in particolare si aspettava da ciò di moderare i corleonesi e le pretese del Ciancimino nell'ambito della Democrazia Cristiana così agevolando la posizione di Lima nel partito. Si passerà quindi a provare, sempre attraverso Buscetta, i rapporti con i referenti romani dell'Onorevole Lima, esplicitando i seguenti temi: che Salvo Lima era effettivamente l'uomo politico cui principalmente "Cosa Nostra" si rivolgeva per le questioni di interesse dell'organizzazione che dovevano trovare una soluzione a Roma; che il referente politico nazionale cui Salvo Lima si rivolgeva per queste questioni era Giulio Andreotti; che il Lima non era l'unico tramite tra i piu' importanti esponenti di "Cosa Nostra" e l'Onorevole Andreotti; che Gaetano Badalamenti stesso si era personalmente incontrato a Roma con Giulio Andreotti accompagnato dal cognato Filippo Rimi e da uno dei cugini Salvo. Il livello del rapporto esistente tra "Cosa Nostra" e questo pezzo del mondo politico, anche con riferimento alla persona dell'Onorevole Andreotti, costituira' un altro specifico tema di indagine dibattimentale finalizzato a provare, attraverso il Buscetta, che con riguardo all'omicidio Dalla Chiesa il Buscetta nel '79 ebbe l'incarico su mandato del Bontate di contattare qualche esponente delle Brigate Rosse per verificare se questi erano disponibili a rivendicare l'omicidio del Generale Dalla Chiesa in caso di uccisione di quest'ultimo. Che all'uopo il Buscetta avvicino' il brigatista Lauro Azzolini; che l'Azzolini declino' l'offerta; che il Bontate nell'80 manifesto' il sospetto che Dalla Chiesa volesse diventare capo dello Stato Italiano con un'azione di forza; che l'omicidio Pecorelli era stato deciso da Bontate e da Badalamenti su richiesta dei cugini Salvo; che un'analoga versione di questo omicidio fu dato al Buscetta da Gaetano Badalamenti; che si era trattato di un delitto politico richiesto ai Salvo dall'Onorevole Andreotti; che Pecorelli stava accertando intrighi politici collegati al sequestro Moro; che l'Onorevole Andreotti era preoccupato che potessero trapelare segreti inerenti al sequestro Moro e che anche il Dalla Chiesa conosceva questi segreti; che i Salvo avevano con Andreotti un rapporto addirittura piu' intenso di quello che Andreotti intratteneva con l'Onorevole Lima; che i Salvo chiamavano confidenzialmente Giulio Andreotti "Lo Zio"; che Pecorelli e Dalla Chiesa erano a conoscenza di segreti sul sequestro Moro, in tal modo infastidendo l'Onorevole Andreotti. Si questi temi verra' chiamato a testimoniare una fonte probatoria statunitense, l'Avvocato Richard Martin gia' stretto collaboratore di Giovanni Falcone nella sua qualita' di Magistrato della Procura Federale del Distretto Meridionale di Manhattan, poi rappresentante speciale dell'U.S. General Attorney ed infine Special Assistent dell'U.S. Attorney presso la Procura Federale del Distretto Meridionale di New York per contribuire alle indagini sulla strage di Capaci. Attraverso l'Avvocato Martin il Pubblico Ministero si propone di provare i seguenti temi: che gia' nel corso di un colloquio svoltosi nel 1985 negli Stati Uniti Tommaso Buscetta aveva indicato che c'era un livello politico dei rapporti di "Cosa Nostra"; che l'incontro con il Buscetta avvenne durante la preparazione della sua testimonianza nel processo PIzza Connection condotta dall'Avvocato Martin; che al colloquio fra i due assistette soltanto l'Agente speciale della D.A. Anthony Petrucci, il quale si e' sempre occupato della protezione negli Stati Uniti del Buscetta; che secondo la legislazione statunitense Buscetta non poteva sottrarsi a nessuna domanda del Procuratore Federale Martin; che avendo ben compreso la spiegazione del Procuratore Martin sull'obbligo di dire la verita' nel processo Pizza Connection, Buscetta rappresento' subito che cio' avrebbe comportato un problema difficilissimo da affrontare in quel periodo storico, non soltanto in Italia, ma anche negli Stati Uniti, precisando al Martin che se comunque gli fosse stata posta quella domanda, egli avrebbe detto la verita' facendo il nome di Giulio Andreotti; che nel colloquio ...

AVV.SBACCHI:
Presidente, chiedo scusa, sono dichiarazioni queste, non sono piu' ... l'indicazione di temi di prova.

PRESIDENTE:
Cerchiamo di evitare le dichiarazioni. Cerchiamo di evitare di enucleare il contenuto delle dichiarazioni.

P.M.:
Che del colloquio avuto con Buscetta, l'Avvocato Martin aveva avvertito gli altri Magistrati della Procura Federale che si occupavano del processo Pizza Connection, cioe' Louis (incomprensibile), attuale Direttore del Federal Burou of Investigation, Robert Stuart fino a poco tempo fa capo della sezione anticrimine organizzata della Procura Federale del New Jersey e oggi in pensione, e Robert Bouknam, attuale capo ufficio sempre presso l'F.B.I.. Che nel 1992, dopo la strage di Capaci, quando l'Avvocato Martin venne nominato Special Assistent del Ministro della Giustizia per contribuire appunto sul piano internazionale alle indagini, Buscetta ebbe a comunicargli che era pronto a parlare di tutto. Questi sono i temi che saranno provati attraverso Tommaso Buscetta. Ma gli elementi di prova acquisiti durante le indagini preliminari, e che dovranno essere provati nel corso del presente dibattimento, troveranno un ulteriore mezzo attraverso la deposizione di Baldassare Di Maggio, e cio' in particolare per quanto riguarda la determinazione di "Cosa Nostra" di lanciare un avvertimento alla DC in occasione delle consultazioni politiche nazionali dell'87, la strategia perseguita dall'organizzazione per il condizionamento del Maxiprocesso attraverso un circuito costituito da Ignazio Salvo, dall'Onorevole Lima e dal Senatore Giulio Andreotti. Con riferimento al primo tema, attraverso la testimonianza del Di Maggio ed i relativi riscontri, l'accusa si propone di dimostrare che i capi di "Cosa Nostra" decisero il comportamento da seguire in occasione delle elezioni politiche dell'87 nel corso di una riunione cui presero parte tra gli altri lo stesso Di Maggio, Salvatore Riina, Nino Madonia e Salvatore Cancemi; che la riunione era stata convocata dal Riina per stabilire se i voti di "Cosa Nostra" dovessero confluire sulla DC ovvero sul PSI, atteso che i democristiani non avevano fatto il loro dovere; che il Riina lamentava che la DC non aiutava l'organizzazione in relazione all'andamento del Maxiprocesso; che l'incontro si concluse con la decisione di votare per il PSI ed in particolare per l'Onorevole Martelli, non gia' perche' quest'ultimo avesse legami con "Cosa Nostra", ma per dare una lezione alla DC; che fu consentito tuttavia di continuare a votare singoli candidati democristiani purche' fossero vicini ad uomini d'onore o a famiglie con le quali avevano rapporti. Si provera' ancora attraverso il Di Maggio che quest'ultimo personalmente ebbe ad incontrare i cugini Antonino ed Ignazio Salvo congiuntamente o separatamente in tre occasioni successive. Una prima volta in epoca anteriore all'arresto di Bernardo Brusca, quindi prima del 24 novembre 1985, aveva il ... Si provera' attraverso il Di Maggio che quest'ultimo aveva accompagnato i Salvo in una casetta di campagna in localita' Aquino ove li attendeva appunto il Brusca per un colloquio privato; che in una seconda occasione, sempre in epoca anteriore all'arresto del Brusca, egli aveva accompagnato i Salvo in localita' Dammusi di San Giuseppe Jato ove erano attesi da Bernardo Brusca e Salvatore Riina; che infine in una terza occasione, in epoca successiva stavolta all'arresto di Bernardo Brusca, il Di Maggio era stato incaricato dal Riina di portare personalmente un messaggio ad Ignazio Salvo, e cioe' che Riina voleva un appuntamento per incontrare l'Onorevole Andreotti. Si provera' quindi, attraverso il Di Maggio che l'incontro, che era poi effettivamente avvenuto nella casa palermitana di Ignazio Salvo, nel pomeriggio di un giorno collocato alcuni mesi dopo le elezioni politiche del giugno '87; che quel giorno Riina attraverso Michelangelo La Barbera convoco' il Di Maggio per le ore 14,30 circa in un pollaio dietro la Casa del Sole, che e' stato individuato e su cui verranno a deporre gli ufficiali di P.G.; che Riina giunse all'appuntamento accompagnato da Giuseppe Sansone con una utilitaria e prese posto con il Di Maggio a bordo della Golf bianca di quest'ultimno, dicendo che da soli dovevano andare a casa di Ignazio Salvo; che giunti davanti al cancello del garage dell'edificio, essi trovarono Paolo Rabito, uomo d'onore di Salemi, che apri' loro il concello e fece parcheggiare la macchina nel garage; che attraverso un ascensore privato Riina, Di Maggio e Rabito salirono direttamente nella casa di Ignazio Salvo, il quale li fece entrare in una stanza ove si trovavano gia' l'Onorevole Andreotti e l'Onorevole Lima, i quali si alzarono e li salutarono; che il Di Maggio strinse la mano ai due deputati e bacio' Ignazio Salvo; che Riina invece saluto' con un bacio tutte e tre le persone, mentre Di Maggio, subito dopo insieme a Rabito, si avvio' verso un'altra stanza; che dopo un po' di tempo, circa tre ore, richiamato da Ignazio Salvo, il Di Maggio ritorno' in quella stanza, saluto' le persone che erano ancora presenti, cioe' Andreotti e Lima stringendo loro la mano e se ne ando' con il Riina. Come si vede, attraverso le dichiarazioni del Di Maggio, si propone questo ufficio di confermare il quadro che forniranno gli altri collaboranti in ordine alla strategia adottata da "Cosa Nostra" nella competizione elettorale dell'87, ed il livello del rapporto di scambio tra "Cosa Nostra" e taluni esponenti politici. Altro mezzo di prova che sara' qui utilizzato e' il collaborante Mario Santo Di Matteo, il quale sara' chiamato a riferire in ordine alle circostanze riguardanti il Senatore Andreotti ed i tentativi di aggiustamento del Maxiprocesso. Attraverso il Di Matteo l'accusa si propone di dimostrare in particolare questi punti: che la causale dell'omicidio Lima si collega all'esito del Maxiprocesso; che in presenza del Di Matteo piu' volte Antonino Gioe' e Giovanni Brusca ed anche Leoluca Bagarella discussero di tale argomento sia prima che dopo l'omicidio Lima, indicando senza equivoci nella decisione della Corte di Cassazione il motivo della morte di Lima; che in quelle occasioni Brusca, Bagarella e Gioe' discussero anche del perche' Lima non avesse potuto o voluto influire sull'esito del processo, e dissero che era certo che era stato il capo corrente del parlamentare, cioe' il Senatore Andreotti, che non glielo aveva consentito, dato che ormai lo stesso Andreotti aveva assunto delle posizioni chiaramente contrarie a "Cosa Nostra", sia con l'emanazione di leggi, sia con altri provvedimenti; che gli uomini politici in rapporti con "Cosa Nostra" erano i cugini Salvo, Salvo Lima, Ignazio Salvo, Vito Ciancimino, e che quest'ultimo teneva le fila degli affari di "Cosa Nostra" a Palermo rispondendo direttamente a Salvatore Riina; che l'omicidio Lima era stato soltanto l'inizio di una strategia di attacco provocata dalla rottura del patto di scambio tra "Cosa Nostra" e taluni politici; che dopo l'esito negativo del Maxi, bisognava eliminare quei politici che non erano riusciti a procurare a "Cosa Nostra" un risultato positivo; che Lima e Ignazio Salvo non avevano potuto fare niente perche' Andreotti aveva ormai cambiato politica; che dopo l'esito negativo del Maxiprocesso e dopo l'omicidio Lima, Bagarella aveva deciso di uccidere anche Ignazio Salvo, perche' anche lui era uno dei politici legati a "Cosa Nostra" che non aveva potuto aggiustare il Maxi. Attraverso Di Matteo, l'accusa fornira' quindi ulteriori particolari in ordine alla strategia seguita da "Cosa Nostra" al fine di condizionare l'esito del Maxiprocesso evidenziando i seguenti punti di prova: che effettivamente nell'87 gli uomini d'onore ricevettero dall'organizzazione l'ordine di votare PSI e in particolare l'Onorevole Martelli; che in proposito fu spiegato al popolo di "Cosa Nostra" che bisognava dare un segnale alla Democrazia Cristiana; che per quanto riguarda l'andamento del Maxiprocesso, da parte di "Cosa Nostra" venne accettato senza particolare sorpresa ne' desiderio di reazione l'andamento della fase istruttoria; che non ci fu particolare attivita' di "Cosa Nostra" sull'andamento del processo durante le fasi di primo grado e di appello, anche se e' da ritenere probabile che vi sia stata un'opera di avvicinamento dei Giudici Popolari, cosi' come e' normale per qualsiasi processo importante; che l'esito del primo grado fu piu' pesante del previsto per "Cosa Nostra", ma comunque la convinzione generale era che il problema sarebbe stato risolto in Cassazione, e cio' anche grazie al fatto che sarebbe stato presieduto dal Dottor Corrado Carnevale; che in "Cosa Nostra" infatti il Dottore Carnevale era considerato una persona avvicinabile; che la sentenza definitiva della Cassazione fu un'assoluta sorpresa; che per questo motivo Bagarella e Giovanni Brusca cominciarono subito dopo la lettura della sentenza a dire che bisognava uccidere l'Onorevole Lima e Ignazio Salvo. Altro collaborante attraverso cui si proveranno ulteriormente i temi di prova gia' delineati e' Gioacchino La Barbera. Attraverso lui l'ufficio si propone di dimostrare che l'omicidio dell'Onorevole Lima si inquadra in una strategia precisa di "Cosa Nostra", volta ad eliminare sia i nemici piu' accaniti dell'organizzazione tra i membri delle istituzioni e principalmente i Magistrati, sia gli amici del passato che non avevano mantenuto le promesse o che addirittura avevano tradito. Attraverso il La Barbera, l'ufficio si propone di chiarire ancora che "Cosa Nostra" aveva ideato un attentato in danno del Senatore Giulio Andreotti ovvero di taluno dei suoi figli, e che in particolare erano stati Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella a parlare tra loro di questo attentato nel contesto di piu' ampie e ricorrenti conversazioni riguardanti la decisione di "Cosa Nostra" di attaccare sia gli amici sia gli avversari della organizzazione; che secondo Brusca e Bagarella infatti Andreotti era una persona che anche per l'opinione pubblica, dopo tutto quello che era successo, aveva deciso che non voleva mettersi contro le iniziative di Martelli, e che pertanto era considerato un traditore, perche' aveva girato le spalle. L'esposizione del Pubblico Ministero procedera' ora, e debbo dire anche con un grande sforzo di sintesi attesi i contenuti estremamente complessi ed articolati delle precedenti ed in particolare di questa fonte di prova, mediante la indicazione dei temi probatori che l'accusa dimostrera' attraverso la testimonianza del collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi ed i relativi riscontri. A questa testimonianza l'accusa attribuisce una particolare importanza poiche' il Cancemi e' un collaboratore che non soltanto e' appartenuto da sempre, fin dalla sua affiliazione a "Cosa Nostra", allo schieramento corleonese. Egli entro' nella seconda meta' degli anni '70 nella famiglia di Porta Nuova, cioe' nella famiglia di Calo', e successivamente, dopo l'arresto di Calo' a Roma avvenuto nel 1985, divenne sostituto del Calo' nel comando del mandamento di Porta Nuova, e quindi componente dell'organo di vertice della organizzazione della Commissione provinciale di Palermo. Il Cancemi verra' richiesto da questo ufficio di riferire quanto a sua conoscenza sui ... se prevalentemente personale e diretta, sui seguenti temi: il condizionamento delle elezioni politiche del 1987 in Sicilia ad opera dei capi di "Cosa Nostra"; le motivazioni dell'omicidio dell'Onorevole Salvo Lima; le interferenze svolte da "Cosa Nostra" per l'aggiustamento del Maxiprocesso e di altri importanti processi giudiziari; le attivita' di Giuseppe Calo', anche con riferimento al suo periodo romano, dal 1975 al 1985 e alle sue amicizie romane; l'omicidio del giornalista Carmine Pecorelli commesso a Roma nel 1979; le relazioni politiche piu' recenti di Salvatore Riina e di Bernardo Provenzano. Per quanto riguarda il tema probatorio concernente le elezioni politiche del 1987, dalla testimonianza del Cancemi e dai relativi riscontri fra i quali l'accusa indichera' molteplici testimonianze di importanti uomini politici e perfino dello stesso uomo politico che fu per primo privilegiato da quella nuova scelta della organizzazione, cioe' lo stesso Caludio Martelli, quindi si trattera' di punti che verranno dimostrati attraverso l'incrocio tra la testimonianza del Cancemi e le dichiarazioni di testi appartenenti al mondo politico, risultera' che nella imminenza delle elezioni politiche del 1987 Salvatore Riina intervenne personalmente con notevole impegno e determinazione per indurre tutti gli esponenti di "Cosa Nostra" di Palermo a sostenere elettoralmente il partito socialista italiano. A tal fine Riina convoco' un'apposita riunione che si svolse in una villa che fu procuratadallo stesso Cancemi su richiesta di Domenico Mimmo Ganci, il figlio di Raffaele Ganci allora capo del mandamento della Noce.

AVV.SBACCHI:
Signor Presidente, chiedo scusa, si riprende a leggere. Io non so ...

PRESIDENTE:
Questa e' una esposizione delle richieste di prova, e' un'anticipazione. Lo fate qua, ormai questa non e' piu' esposizione introduttiva, scusate!

P.M.:
Terro' conto delle indicazioni. Mi atterro' alla indicazione dei fatti ...

PRESIDENTE:
Questa e' una richiesta di ammissione di prove. Gia' siamo in questa fase, secondo il Tribunale.

P.M.:
... dei fatti che l'accusa ...

PRESIDENTE:
Perche' vede, lo stesso fatto viene ripetuto per ogni teste che vi proponete di esaminare. Quindi non e' piu' una narrazione del fatto! E' la quarta volta che si parla delle interferenze di "Cosa Nostra" nelle consultazioni elettorali. Quindi per ogni teste ... quindi e' una richiesta di ammissione di prove! Perche' nel fatto basta una sola volta a riferire il fatto. Ecco, per la cognizione del Tribunale. E' legittimo, pero' e' richiesta di ammissione di prove. Siamo in questa seconda fase.

P.M.:
Indichero' questi fatti diversi e specifici che verranno provati attraverso queste testimonianze che non si identificano per nulla con i fatti di cui si e' parlato poc'anzi. In particolare, il fatto che si intende dimostrare qui e' che si tratto' di una riunione di commissione. E quindi dimostreremo, attraverso la presenza di determinati personaggi a questa riunione quale fu il contenuto di questa riunione, fatto specifico di cui non si e' parlato in precedenza. In particolare, si', ci si propone di dimostrare che a questa riunione erano presenti Salvatore Cancemi in rappresentanza del mandamento di Porta Nuova, Domenico Ganci, che allora sostituiva il padre Raffaele detenuto in rappresentanza del mandamento della Noce, Baldassare Di Maggio che in quel momento sostituiva Bernardo Brusca agli arresti domiciliari in rappresentanza del mandamento di San Giuseppe Jato, Antonino Madonia che allora sostituiva il padre Francesco Madonia in stato di detenzione in rappresentanza del mandamento di Resuttana, Salvatore Biondino che allora sostituiva Giuseppe Giacomo Gambino detenuto in rappresentanza del mandamento di San Lorenzo, e naturalmente era presente anche Salvatore Riina. Nel contesto di quella riunione, e qui verra' ... si cerchera' di dimostrare un fatto piu' specifico di quello che verra' riferito da altre fonti di prova, si parlo' anche specificamente dei candidati, di alcuni candidati da votare, candidati appartenenti alla lista del partito socialista italiano, e questi candidati erano l'Onorevole Martelli, l'Onorevole Fiorino e l'Onorevole Turi Lombardo. Quando i partecipanti alla riunione, alcuni di questi chiesero un motivo di questo mutamento di linea politica dell'organizzazione, Riina spiego' che vi era un interessamento dell'Onorevole Martelli per talune riforme legislative, in particolare quella riguardante il nuovo codice di procedura penale, e un'altra riforma che era considerata con favore era quella in canitere per una nuova regolamentazione delle misure di prevenzione. Riina aveva avuto dei contatti, cosi' egli disse, con Fiorino e Lombardo attraverso persone che egli non indico'. Come si e' detto, a riscontro di questi fatti, che emergeranno gia' dalla testimonianza del Cancemi, il quale personalmente partecipo' come si e' detto ad una riunione di commissione, perche' quella era una riunione di commissione, verra' fornito dalla testimonianza dello stesso Caludio Martelli. Risultera' infatti attraverso la testimonianza dell'ex Ministro della Giustizia, che la sua candidatura a Palermo per le elezioni del 1987 gli era stata proposta proprio dagli Onorevoli Filippo Fiorino, lo stesso parlamentare di cui parlo' Riina nella riunione di Commissione, e da Giuseppe Reina, i quali erano andati a trovare Martelli a Roma prospettandogli una linea di rinnovamento del partito socialista italiano in Sicilia.

AVV.SBACCHI:
Signor Presidente le chiedo scusa, io non mi oriento piu'. Io non sono in condizione di seguire un filo, perche' che cosa e'? Se e' relazione, se e' tema di prova, se e' racconto, se e' la lettura del Pubblico Ministero ... Bisogna dare una corretta sintesi di quello che sono i fatti, non gia' raccontare come sta avvenendo in questa sede tutto quello che dovrebbe essere per una parte tema di prove che tra l'altro dovrebbe essere indicato genericamente, e per l'altra parte dire quali sono le indicazioni diciamo di massima che il processo offre. Non e' altro la relazione introduttiva, Signor Presidente. Io sono sgomento.

P.M.:
Se il Presidente mi da' la parola, vorrei dire che la funzione della memoria che l'ufficio ha depositato stamane, era esclusivamente indirizzata alla cortesia della difesa, perche' si cercava di far comprendere il nostro punto di vista che e' esattamente diverso da quello teste' prospettato a nostro giudizio del tutto infondato da parte della difesa. Cioe' abbiamo cercato di spiegare che dalla ...

PRESIDENTE:
Pubblico Ministero, qua interessa il punto di vista del Tribunale, e il punto di vista del .... Perche' ormai c'e' una decisione, e' intervenuta una decisione del Tribunale.

P.M.:
Signor Presidente ...

PRESIDENTE:
Il punto di vista della difesa e il punto di vista del Pubblico Ministero non interessano piu'. Bisogna tener conto di questa decisione.

P.M.:
Il Pubblico Ministero si sta attenendo rigorosamente alla ordinanza del Tribunale. La difesa ... e cioe' non sta riferendo in nessun modo ne' testualmente ne' indirettamente il contenuto di dichiarazioni, ma sta indicando fatti. Qui, a questo punto, la difesa vorrebbe che venisse espunta dalla esposizione del Pubblico Ministero addirittura tutta la indicazione dei fatti che il Pubblico Ministero si propone di dimostrare. Vorrebbe cioe' che il Pubblico Ministero si limitasse ad indicare i temi di prova. Abbiamo gia' visto ... e questo non ha nulla a che vedere con le prescrizioni imposte dal Tribunale ...

PRESIDENTE:
Nella relazione introduttiva deve indicare i fatti oggetto della imputazione, non i temi di prova. I temi di prova e' un fatto successivo. Io non lo so come bisogna chiarire le cose. Io a questo punto non lo so piu'.

P.M.:
Nella memoria e' gia' detto che una cosa e' il capo di imputazione, altra cosa sono i temi di prova, altra cosa sono le circostanze dedotte in lista, altra cosa sono i fatti che costituiscono il contenuto dell'esposizione. Se il contenuto della esposizione si dovesse identificare con le circostanze dedotte in lista o si dovesse identificare con la illustrazione del capo di imputazione, non si comprenderebbe affatto quale funzione dovreebbe avere la esposizione introduttiva nel sistema, perche' non avrebbe, e questo e' il giudizio della difesa, che una funzione identica a quella di altri istituti. Mi sembra che qui si e' accuratamente evitato, e con uno sforzo di notevole sintesi, di fare quello che nelle altre esposizioni si fa, e quello che ...

PRESIDENTE:
Lasci stare le altre esposizioni. Qua siamo in questo procedimento, dove il Tribunale ha emesso quella ordinanza.

P.M.:
Presidente io ritengo che se non si da' all'accusa la possibilita' quanto meno di indicare i fatti storici che ...

PRESIDENTE:
Ma si', infatti questo nessuno dice niente su

questo.

P.M.:
No, mi pare che ...

PRESIDENTE:
No, neanche la difesa. Purche' i fatti non siano ripetuti piu' volte secondo le dichiarazioni dei vari collaboranti. Questo e' il problema.

P.M.:
Presidente, mi permetto rispettosamente di fare osservare ...

PRESIDENTE:
Delle elezioni dell'87 ne abbiamo parlato tutta la mattinata.

P.M.:
No, Presidente.

PRESIDENTE:
Si', tre, quattro volte, perche' ogni collaborante parla di queste elezioni.

P.M.:
Presidente, la obiezione della difesa e' scattata quando l'accusa ha affermato che la candidatura a Martelli era stata proposta dagli Onorevoli Fiorino e Reina. Vorrei sapere questo fatto quando era stato detto prima, e se costituisce ripetizione di ...

PRESIDENTE:
Pubblico Ministero, evitiamo le polemiche. Se ci saranno altre interruzioni, il Tribunale sara' costretto a fare una nuova ordinanza. Prego.

P.M.:
Altro fatto che ci si propone di dimostrare attraverso la testimonianza del Cwncemi e' quel che avvenne dopo queste elezioni, e cioe' che Riina muto' nuovamente opinione, non apparve soddisfatto della linea politica del partito socialista italiano e nelle consultazioni politiche successive imparti' nuovamente la disposizione di votare per la Democrazia Cristiana o per quegli altri partiti che le famiglie liberamente avessero deciso di sostenere. Evidentemente cosa era successo? E questo si dimostrera' attraverso questa ed altra testimonianza. Che l'improvviso ed inopinato mutamento di rotta politica dell'organizzazione deciso in occasione delle elezioni politiche dell'87 era stato nuovamente ribaltato. Era intervenuto un nuovo patto quindi dopo le elezioni politiche del 1987 tra l'organizzazione e gli antichi referenti politici, i quali non avevano sottovalutato il segnale loro inviato in occasione delle elezioni del 1987. Verra' quindi evidenziata con chiarezza dall'accusa attraverso questa ed altre testimonianze, la ragione di un avvenimento, come quello dell'incontro a Palermo nella casa di Ignazio Salvo tra il supremo capo di "Cosa Nostra" Salvatore Riina, ed il supremo referente politico nazionale dell'organizzazione. A causa del mutato atteggiamento di "Cosa Nostra" sul piano elettorale, le sorti del potere andreottiano in Sicilia, e quindi anche in Italia per l'incidenza percentuale che il gruppo siciliano aveva nella corrente nazionale, erano in grave pericolo. Occorreva rassicurare Riina, ma questi non si accontentava piu' delle facili promesse dell'Onorevole Lima. Occorreva una garanzia ...

AVV.SBACCHI:
Le chiedo scusa, a me dispiace interrompere. Sono noioso. Qua si inseriscono commenti, non si riferiscono fatti, Presidente. Io sono costretto ancora una volta a segnalare questo.

PRESIDENTE:
Facciamo una pausa di dieci minuti.


S O S P E N S I O N E


PRESIDENTE:
Prima di dare la parola al Pubblico Ministero, il Tribunale rileva che nel corso della sua esposizione, il Pubblico Ministero ha gia' piu' volte menzionato il medesimo fatto oggetto della imputazione per ciascun collaborante o testimone di cui ha chiesto o chiedera' l'esame. Pertanto il Tribunale ritiene che non si e' piu' nella fase della esposizione concisa dei fatti oggetto della imputazione, bensi' nella fase successiva della indicazione delle prove di cui si chiede l'ammissione mediante la legittima indicazione dei capitoli di prova. Il Tribunale prende atto di questo e invita le parti a consentire la definizione di questa fase processuale, perche' e' interesse di tutti pervenire sollecitamente alla fase della istruzione dibattimentale. Prego, Pubblico Ministero. Possono proseguire pero' cercando di adeguarsi, perche' seno', se continuate a leggere quello che avevate preventivato, continuiamo sempre nelle interruzioni, e quindi non finiamo piu'. Tenete conto di questo. Dobbiamo concluderla questa fase.

P.M.:
E allora il Pubblico Ministero rinunzia a trattare ulteriormente i fatti costituenti oggetto del tema probatorio attinenti alle elezioni politiche del 1987 e ai fatti successivi, visto che e' impossibile proseguire, e passa ad un altro tema probatorio che ci si propone di dimostrare attraverso le testimonianze del Cancemi e i relativi riscontri con specifico riferimento ai fatti riguardanti i rapporti intrattenuti e sviluppati da "Cosa Nostra" in Sicilia ed in particolare a Palermo come esponenti del mondo politico. Cioe' quel tessuto di rapporti la cui dimostrazione e' a giudizio dell'accusa e secondo l'itinerario probatorio ricostruttivo che essa si propone di seguire in questo dibattimento, la cui dimostrazione dicevo e' necessaria per comprendere la ragione di eventi particolarmente significativi che attengono al capo di imputazione. In particolare, attraverso queste testimonianze, si dimostrera' che inizialmente e diciamo nell'immediato dopoguerra, l'orientamento di "Cosa Nostra", le direttive dei capi della organizzazione per quanto riguarda i rapporti col mondo politico, erano quelle di sostenere i partiti di centro, con esclusione delle due opposizioni, l'opposizione di sinistra e l'opposizione di destra. Negli anni '50 il veto per cosi' dire, la pregiudiziale negativa della organizzazione riguardava i partiti di estrema destra, cioe' che si richiamavano alla ideologia fascista, e i partiti di sinistra includendo in questi il partito socialista italiano. Che cosa succede dopo? Questo e' il clima del primo dopoguerra e questa pregiudiziale verra' riferita da testimonianze come quelle di Buscetta e di Calderone. Poi il panorama muta. Il panorama muta perche' a seguito di una nuova sistemazione degli equilibri di potere interni al mondo politico, e a seguito del superamento del periodo della guerra fredda, l'orientamento di "Cosa Nostra", l'orientamento favorevole di "Cosa Nostra" si estende anche a forze politiche che dapprima erano pregiudizialmente escluse. Cosi' si spiega anche il fatto che nel 1987 vi sia stata una direttiva dell'organizzazione per votare un partito, il partito socialista italiano, che negli anni '50 era considerato invece un partito nemico. In particolare al centro di questa attenzione, di questo sostegno della organizzazione, e' il partito piu' importante, cioe' il partito che in quella fase storica costituisce l'asse portante del sistema di potere politico. Questo per chiarire che ... e per evitare fraintendimenti nella concrezione dei fatti che verranno ricostruiti dall'accusa, per chiarire che non c'e' mai stato ne' mai c'e', ci sara', nulla di ideologico negli orientamenti della organizzazione criminale, per chiarire ancora una volta che le decisioni per cosi' dire di politica esterna della organizzazione non riguardano questo o quel partito, ma determinati componenti che vengono ritenute e sono storicamente diverse, che vengono ritenute volta per volta funzionali agli interessi della organizzazione. Ritornando quindi al periodo del quale parlera' in particolare il Cancemi, e per quanto riguarda il periodo iniziale delle sue conoscenze, si esporra' e si dimostrera' che in questo periodo anteriore erano particolarmente sostenuti elettoralmente da "Cosa Nostra" ad esempio gli Onorevoli Giovanni Gioia, Salvo Lima e Vincenzo Carollo. Successivamente, un importante tramite fra l'organizzazione, in particolare Riina ed il mondo politico, fu rappresentato dai fratelli Buscemi, in particolare Salvatore Buscemi, imputato e condannato nel Maxiprocesso, capo del mandamento di Passo di Rigano, e il di lui fratello Antonino Buscemi, un noto imprenditore proprietario della societa' Calcestruzzi. Per quanto riguarda il tema probatorio delle aspettative, definiamole cosi', delle aspettative riposte da tutti i capi di "Cosa Nostra" per un lungo periodo nel cosiddetto aggiustamento del maxiprocesso, cioe' nel cosiddetto esito favorevole alla organizzazione del maxiprocesso, attraverso la testimonianza di Cancemi si evidensiera' che personalmente Riina assicuro' agli altri vertici della organizzazione che egli stesso si interessava di raggiungere questo obiettivo attraverso in particolare l'Onorevole Lima. Si evidenziera' ancora che l'Onorevole Lima era nelle mani dei Buscemi, cioe' di quegli stessi personaggi che Cancemi in questa fase piu' recente, siamo appunto nella seconda meta' degli anni '80, costituiscono il principale tramite tra l'ala corleonese della organizzazione ed il mondo politico. Per quanto riguarda i modi in cui Riina sarebbe arrivato alla Cassazione, il Cancemi potra' riferire che il canale seguito era quello dell'Onorevole Lima e quindi dell'Onorevole Andreotti. Questo punto in particolare potra' costituire oggetto di riscontro in questo dibattimento attraverso tutte le testimonianze, non di collaboratori di giustizia, ma di testimoni la piu' gran parte appartenenti al mondo politico, i quali fornirano la prova della esistenza di un collaudato canale tra l'imputato di questo processo, il Senatore Andreotti, e gli ambienti giudiziari romani, in particolare la Corte di Cassazione, collaudato canale rappresentato da Claudio Vitalone, quel Vitalone che secondo quanto risultera' dalle ... risulta gia' dalle dichiarazioni di Sabrdella, che si trovano inserite nel fascicolo del dibattimento, e secondo quanto risultera' da altre testimonianze, tra cui in particolare quella di Claudio Martelli, quel Vitalone dicevo che era considerato la longa manus di Andreotti negli ambienti giudiziari romani e in particolare nei riguardi del Presidente Carnevale. Quel Vitalone che, secondo altre plurime testimonianze che verranno formate in questo dibattimento, era inoltre legatissimo fin dalla prima meta' degli anni '70 e in periodo in cui era ancora Magistrato e svolgeva le funzioni di Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, quel Vitalone dicevo che era legatissimo ai cugini Antonino ed Ignazio Salvo. Attraverso la testimonianza del Cancemi inoltre verra' evidenziato un episodio specifico attinente ad un incontro e a un colloquio che si svolse tra lo stesso Cancemi e Raffaele Ganci nel periodo in cui Cancemi era latitante e Ganci andava periodicamente a trovarlo nel suo rifugio. In quel periodo la stampa dava ampia risonanza alle dichiarazioni che erano state rese pubbliche di Baldassare Di Maggio sull'asserito incontro tra il Senatore Andreotti e Riina, e soprattutto sul particolare del bacio che Riina aveva dato ad Andreotti e che naturalmente era stato comprensibilmente enfatizzato questo particolare, questo dettaglio dagli organi di informazione. Cancemi per primo aveva manifestato una istintiva incredulita' nei confronti di quello specifico episodio pensando che il Di Maggio avesse raccontato delle fandonie. Fu interrotto da Raffaele Ganci, quel capo mandamento della Noce che era uno degli uomini piu' vicini a Salvatore Riina e che infatti ...

AVV.SBACCHI:
Presidente, chiedo scusa, se dobbiamo sentire il raccontino di questa storia, o dobbiamo ...

PRESIDENTE:
Sta riferendo un fatto in questa circostanza, Avvocato Sbacchi. Prego, Pubblico Ministero.

P.M.:
Io potrei anche rinunziare perche' l'intendimento dell'ufficio del Pubblico Ministero e' senza dubbio quello della celerita' e della ...

PRESIDENTE:
Andiamo avanti, Pubblico Ministero, andi