Ud. del 24/10/1995
A CARICO DI GIULIO ANDREOTTI
P.M.:
Sì, signor Presidente, l'Ufficio del P.M. vorrebbe svolgere
brevemente qualche osservazione sul contenuto della esposizione introduttiva,
in relazione anche ai problemi che si sono manifestati all'udienza passata. Un
celebre pistenologo e storico della scienza statunitense Thomas Scoun,
sostiene che per comprendere lo sviluppo della attività scientifica
occorre distinguere le fasi di scienza normale, caratterizzate dal dominio di
determinati paradigmi culturali, teorici e tecnici, dalle fasi di rottura
rivoluzionaria in cui i paradigmi dominanti vengono posti in discussione e
sostituiti. In un'analogia tra scienze e diritto è stato quindi da
tutti riconosciuto che in quest'ultimo cinquantennio la costituzione
repubblicana nel '48 ed il vigente codice di procedura penale nell' 89, sono
stati gli unici eventi significativi che abbiano determinato nella scienza
giuridica italiana una rottura rivoluzionaria di consolidati paradigmi
soprattutto culturali. Or bene, se tutto ciò è vero tra le tante
innovazioni introdotte dal codice di rito penale ve ne sono alcune
assolutamente nuove perché estranee alla cultura giuridica continentale
o di civil law. Un'esempio è dato proprio dall'istituto della
esposizione introduttiva del P.M. fino al 1989 del tutto sconosciuto e
determinato dell'esigenze del rito accusatorio. Esso non può
comprendersi fino in fondo quindi se non attingendo alla sua origine storica
nei paesi di Common law di aria culturale statunitense, ove è sorto
nonché alla funzione cui esso è destinato nell'ordinamento
italiano. Uno studio dell'istituto degli Stati Uniti, rivela subito che in quel
composito sistema è previsto che il Prosecutor federale o distrettuale
può fare un opening speech o discorso introduttivo complesso ed
articolato così come il difensore dell'imputato può a sua volta
rassegnare un opening statement o dichiarazione introduttiva ridotto al minimo
potendo esso difensore anche riservarsi di indicare la propria versione dei
fatti solo dopo che si sia esaurito il così detto case of the
prosecution o prove dell'accusa. Entrambe l'esposizioni, però, sono
finalizzate alla anticipazione di ciò che le parti intendono
successivamente provare nel dibattimento. L'accusa non rinuncia quasi mai a
questa opportunità perchè essendo consapevole del pesante onere
probatorio, che grava sulla sua posizione, intende offrire una prima
delineazione chiara delle sue tesi in modo da aiutare la giuria, anch'essa come
nel processo italiano del tutto all'oscuro dei fatti da provare, a comprendere
come i testimoni, i documenti, le cose sequestrate e gli altri mezzi di prova,
potranno complessivamente dimostrare la colpevolezza dell'imputato al di
là di ogni ragionevole dubbio. La difesa invece, in questa fase
introduttiva adotta strategie diversificate. Talvolta con l'opening statement
formula dichiarazioni volte a porre in rilievo lacune o debolezze nelle tesi di
accusa, ad esempio l'inattendibilità di un testimone oppure
l'improbabilità che la vittima possa avere riconosciuto il rapinatore in
un momento breve e di forte tensione emotiva. Tal'altra di contro, non fa
alcuna dichiarazione fino a che non si è conclusa l'assunzione delle
prove a carico, per conservare la maggiore flessibilità possibile alla
propria linea difensiva, che deve sempre essere in grado di tener conto dei
punti di forza e di debolezza risultanti dalle prove acquisite a richiesta del
Prosecutor. Or bene, già a questo punto emerge dall'analisi una profonda
diversità tra l'area culturale, in cui l'istituto è sorto, ed il
diverso recepimento che ne ha fatto il legislatore nel nostro ordinamento. Ed
invero, come insegnano tutti gli studiosi di diritto comparato, ogni legal
trans plent è particolarmente delicato è difficile, perchè
deve tener conto delle diverse condizioni storiche e di cultura dei paesi
interessati, ed è a tutti chiara la sostanziale differenza
costituzionale ed ordinamentale esistente tra il Prosecutor statunitense ed il
P.M. italiano. Nella nostra legislazione il risultato di questo trapianto
giuridico si è tradotto nel senso di una previsione soltanto a carico
del P.M. dell'onere di esporre i fatti oggetto dell'imputazione, e ciò
in una fase anteriore e diversa da quella prevista per indicare le prove di cui
chiederà l'ammissione. Questo apparente squilibrio rispetto al modello
americano, tra accusa e difesa, è stato però ritenuto ampiamente
giustificato, conformemente ed aderentemente alle diversità di ordine
costituzionale che connotano gli organi dell'accusa in Italia e negli Stati
Uniti, sin dalla relazione al progetto preliminare del 1978, la cui
teorizzazione sul punto è rimasto l'unico contributo concettuale
esistente giacché nulla si rinviene in argomento nè nella
relazione al progetto preliminare al vigente codice, nè in quella
definitiva del 1989. Confrontare sul punto la pagine 117 e 119 delle relazioni
al progetto preliminare e definitivo. Ed invero come è stato scritto
nella relazione al progetto preliminare del '78 è sembrato più
rispondente ad un'esigenza di chiarezza e di precisione, attribuire al solo
P.M. l'esposizione dei fatti oggetto dell'imputazione, lasciando agli altri
soggetti solo di esporre i fatti che essi intendono provare e di richiedere
l'ammissione delle relative prove. Confronta relazione al progetto del '78
pagina 407. L'accusa quindi è l'unica abilitata ex Art. 493 punto 1 del
C.P.P. a descrivere i fatti al cui accertamento deve ancora procedersi. E' pur
vero che anche la difesa deve indicare, così come le altre parti i fatti
che intende provare, ma non vi è dubbio che fra esposizione dei fatti ed
indicazione dei fatti vi è una profonda differenza, nel senso che la
prima attività porta un narrare ordinatamente ed uno spiegare, mentre la
seconda implica un semplice individuare. La portata restrittiva del concetto di
indicazione dei fatti che si intendono provare, appare poi ad esempio,
evidente, allorché una determinata circostanza può sembrare a
prima vista estranea all'oggetto dell'imputazione per cui se ne rende
necessario un approfondimento e senza quest'ultimo la prova potrebbe essere
dichiarata inammissibile dal Giudice per la sua irrilevanza apparente, ma in
tal caso tutta la dottrina ritiene ragionevole che i difensori, gli unici
soggetti che appunto non fanno una esposizione, abbiano la facoltà di
motivare più ampiamente le proprie richieste ed esorbitino quindi
dall'angusto ambito della mera indicazione dei fatti. Da quanto sinora
analizzato discende dunque che il P.M. ha il dovere e l'onere e non già
il diritto in conformità alla sua collocazione costituzionale ed
ordinamentale nel sistema di fare una esposizione introduttiva dei fatti con
cui illustrare il tema probandum ed indicare i mezzi di prova di cui intende
avvalersi per sostenere la propria prospettazione accusatoria. Ciò
secondo la dottrina mira da un lato a fare acquisire al Giudice gli strumenti
conoscitivi necessari per potere eseguire appieno lo svolgimento
dell'istruzione dibattimentale. Dall'altro a consentire all'organo giudicante
di vagliare e decidere cognita causa, soprattutto nei casi in cui la vicenda
processuale è particolarmente complessa sulla rilevanza, pertinenza e
non superfluità di ciascuna delle prove di cui si chiederà poi
l'ammissione, consentendogli un'ampliamento dello scarso corredo informativo di
cui già dispone per effetto della trasmissione di quel fascicolo magro
previsto dall'art. 431 del codice di rito. Appare chiaro, come è stato
rilevato, che tale doveroso onere è previsto non già per
agevolare l'accusa, che in un sistema accusatorio potrebbe avere interesse a
non disvelare le proprie strategie, ma per la posizione pubblicistica che nel
nostro ordinamento il P.M. riveste, anche per il rilievo che nel nostro sistema
l'organo dell'accusa è altresì obbligato, a differenza
sostanziale da quelli di Common law a svolgere accertamenti pure sui fatti e
circostanze in favore dell'indagato o dell'imputato, essendo tale
finalità una ulteriore estrinsecazione della posizione di parte pubblica
del P.M. stesso. E' stato rilevato ancora che l'esposizione introduttiva svolge
anche la funzione di piena ed anticipata discovery di tutti i mezzi di prova
del P.M. ad ulteriore rafforzamento delle tutele difensive che con varie
cadenze il legislatore ha previsto per tutto ciò che attiene
all'attività dell'accusa sin dalla fase delle indagini preliminari.
Anche questa osservazione, ovviamente segnala un'altra profonda differenza dal
modello processuale statunitense, dove la Sporting teory a dire della dottrina
vero eccesso di ipertrofia accusatoria, esclude l'obbligo di una piena
discovery da parte del Prosecutor. Non è consentita in Italia invece che
l'organo dell'accusa ponga in essere atti a sorpresa e meno che mai dopo la
richiesta di rinvio a giudizio e soprattutto nella fase dibattimentale. Esso
dunque è obbligato a fornire alle altri parti del processo l'indicazione
del percorso che si è assunto l'onere di dimostrare nello schema del
proprio impianto accusatorio. A fronte però della evidente importanza
affidata dal sistema e nel sistema vigente alla esposizione introduttiva, deve
annotarsi, come si è visto che purtroppo a tale nuovo istituto non
è stato dedicato dal legislatore, nè nei lavori preparatori
nè in altre sedi, alcuno sforzo per connotarne il contenuto rinvenendosi
dall'interprete soltanto quelle poche e scarne indicazioni di cui al 493 punto
1 c.p.p. E' dovere dell'interprete allora sforzarsi di arricchire tale magro
patrimonio conoscitivo e ciò egli potrà fare con gli strumenti
dell'ermeneutica giuridica in cui sono incluse anche operazioni di
prequalificazione del discorso legislativo, con riferimento non solo a fonti
extratestuali ma anche a modi di concepire il diritto o ad ideologie, solo
traverso un esame articolato dell'intera architettura sistemica del codice di
rito, utilizzando il cosiddetto argomento sistematico. In tale prospettiva di
ricerca e di interpretazione, va subito detto che il contenuto dell'esposizione
non deve e non può ovviamente identificarsi con: l'imputazione,
perchè di essa si parla nel 492 punto 2; con l'articolazione della lista
testi, perchè questa è prevista nel 468 punto 1; con
l'indicazione delle prove di cui chiedere l'ammissione, perchè è
prevista nel 493 punto 1 seconda parte. Giacché appunto il sistema
prevede per essi momenti diversi e particolari nel capo secondo titolo secondo
del libro settimo dedicato agli atti introduttivi. Inoltre è del pari
chiaro che destinatari di tale attività sono da un lato il Giudice,
dall'altro le altre parti processuali. Orbene se tale risultato della ricerca
dell'interprete è corretto, è evidente che il contenuto
dell'esposizione introduttiva connotata da quella doverosa funzione di servizio
imposta al P.M. che è l'unico elemento positivo ricavabile nel sistema,
come abbiamo visto dalla relazione al progetto del '78, deve essere del tutto
diverso da questi individuati elementi. Al riguardo deve ancora richiamarsi
alla memoria che secondo il nuovo modello processuale, le sole conoscenze che
il Giudice del dibattimento ha del merito dell'imputazione, sono ancorate alle
poche acquisizioni contenute nel fascicolo per il dibattimento. Il contenuto
dell'esposizione introduttiva allora deve sicuramente tendere ad ampliare quel
limitato patrimonio di conoscenze, attraverso una informazione completa sui
fatti oggetto dell'imputazione e l'indicazione di ogni altro elemento comunque
rilevante ai fini della prova. Ed invero gli atti inizialmente contenuti nel
cosiddetto fascicolo Magro possono rilevarsi assolutamente insufficienti per
far comprendere al Giudice la vicenda processuale, soprattutto nei casi in cui,
come quello che ci occupa, essa è particolarmente complessa. Ma se il
disvelamento dell'architettura accusatoria costituisce, com'è da tutti
riconosciuto, un ulteriore momento della doverosa discovery cui è tenuto
il P.M. nella fase del dibattimento, questi non può esimersi da una
chiara ed esaustiva esposizione dei fatti che intende dimostrare in funzione
esclusiva dell'esigenza di chiarire la rilevanza di ciascuna delle prove di cui
dovrà poi chiedere l'ammissione. A tal fine, come noto, la più
recente giurisprudenza dei giudici di merito, in particolare di quelli chiamati
a giudicare su imputazioni coinvolgenti fatti di estrema complessità e
nel senso di ammettere che la stessa esposizione orale del P.M. possa essere
addirittura supportata ed arricchita da proiezioni di immagini, dalla
rappresentazione grafica di una sintesi schematica delle dichiarazioni rese da
fonti testimoniali o da imputati, dei risultati di elaborati peritali o di
consulenze di ufficio. Si confronti ad esempio l'ordinanza della Corte di
Assise di Caltanissetta, sezione II del 12 giugno 1995 nei procedimenti penali
recanti i numeri 3/95 e 5/95. Infatti come è stato sottolineato da
questi Giudici di merito, nessuna norma vieterebbe al P.M. di leggere il
contenuto della sua esposizione introduttiva sul video di uno strumento
informatico, di tal che la stessa fruizione di quello schermo da parte dei
presenti in aula, non solo non appare incompatibile con alcuna norma, ma
completa le stesse modalità di comunicazione dei fatti processuali.
Questa giurisprudenza ha poi messo in risalto che tali modalità tecniche
si risolvono soltanto in una maggiore estrinsecazione della funzione
informativa che il codice assegna all'esposizione introduttiva, consentendo a
tutte le parti una più completa ed immediata percezione dei temi che
saranno al centro del dibattimento, in tal modo esaltando proprio la
centralità di quest'ultimo, per non dire poi che tale sistema di massima
divulgazione e comprensione dei percorsi che l'accusa si prefigge di
dimostrare, costituisce la massima garanzia di una partecipazione consapevole
della collettività e di un controllo critico dei cittadini sulla
amministrazione della giustizia. E' appena il caso di rilevare infine che
l'individuazione di questo contenuto dell'esposizione del P.M. non comporta
alcuna surrettizia o suggestiva immissione anticipata della prova, le cui
modalità e tempi di introduzione, ammissione e formazione restano
ovviamente sottoposti in modo rigoroso alla disciplina prevista nel codice di
rito, tenuto soprattutto conto che quanto viene riferito nel corso della
esposizione è probatoriamente del tutto inutilizzabile, come esattamente
è stato fatto rilevare anche da codesto Tribunale con una delle due
ordinanze emesse all'udienza del 18 ottobre del '95. Individuato attraverso
tale opera di ricerca il contenuto che deve avere l'esposizione introduttiva,
non può non affrontarsi il problema pure sollevato in questa sede della
estensione di essa. Al riguardo, ancora una volta l'interprete non può
non prendere atto che le sole indicazioni positive che si rinvengono, escluso
come visto, ogni ausilio proveniente dalle relazioni al C.P.P. possono
identificarsi nell'art. 493 del codice di rito. Questa norma prevede al punto 1
che il P.M. espone concisamente i fatti oggetto dell'imputazione mentre al
punto 4 dice che il Presidente regola l'esposizione introduttiva ed impedisce
ogni divagazione, ripetizione ed interruzione. Per apprezzare appieno il
concetto sotteso alle parole "esporre concisamente" non può farsi a meno
di partire dal significato semantico del termine "conciso" per poi raccordarlo
con la previsione sanzionatoria che è affidata al potere funzionale del
solo Presidente, di regolare l'esposizione evitando divagazioni e ripetizioni.
Orbene, secondo taluni dizionari della lingua italiana, il termine "conciso"
indica la qualità di un parlatore o di uno scrittore di esprimere le
idee con stringatezza ed efficacia, di essere denso, di non perdersi in
circonlocuzioni o abbellimenti, di andare direttamente al nocciolo della
questione, di essere breve ma completo ed efficace. In particolare poi il
termine viene ritenuto il più acconcio per descrivere uno stile
letterario o oratorio, il cui esatto contrario è il termine "prolisso"
cioè ripetitivo. Già da questo primo approccio emerge chiaramente
che il concetto semantico i concisione implica innanzitutto la densità,
la completezza e l'efficacia del pensiero che si intende esprimere e che il suo
unico limite quantitativo è costituito dalla prolissità e dalla
ripetitività di chi parla o scrive. Inoltre e sia detto solo per
incidens, non è chi non veda, che la concisione è un concetto
relativo e non già assoluto, di tal che è indubbio che
un'esposizione di fatti che hanno comportato durante le indagini preliminari il
confezionamento di oltre 100.000 pagine di atti non può concisamente
ridursi a poche decine ma deve tener conto del dato complessivo che deve
rappresentare. Ma ciò che avvalora tale analisi semantica è la
considerazione che essa si coniuga perfettamente con i poteri sanzionatori
attribuiti dal legislatore al Presidente dell'odine giudicante. Poteri che sono
appunto solo e soltanto quelli di impedire ogni divagazione e ripetizione
ovvero di evitare che lo stile conciso cui il P.M. deve informare la propria
esposizione si trasformi in uno stile prolisso e ripetitivo e che questa sia
l'interpretazione corretta da dare alla norma, lo si ricava, ad avviso di
questo ufficio, ancora una volta, dall'esame dell'intero sistema. Non va
dimenticato infatti che già l'art. 474 del c.p.p. del 1930 richiedeva
una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la sentenza
è fondata. Appare evidente da ciò allora, che l'uso del termine
"conciso" avuto presente, peraltro correttamente dal legislatore italiano fin
dal c.p.p. previgente, sia assolutamente diverso da quello che si vorrebbe
tentare di introdurre sempre più spesso nell'interpretazione di tale
termine ex art. 493 del vigente codice, ed invero è pacificamente chiaro
per tutti che la concisione delle motivazioni delle sentenze può essere
definita in ogni modo fuorché nel senso di brevità dell'iter
argomentativo di chi espone. Peraltro una analoga utilizzazione del termine
è stata fatta anche dal legislatore del 1989 e sempre con riferimento
alle motivazioni delle sentenze, infatti nell'art 544 punto 1 del c.p.p. si
dice che subito dopo la deliberazione della sentenza e redatta una concisa
esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la sentenza è
fondata. Anche attraverso tale indagine dunque si conferma che
l'interpretazione data dall'ufficio all'estensione quantitativa della
esposizione introduttiva appare corretta e doverosa. Ciò non per tanto,
signor Presidente e signori del Tribunale, l'ufficio del P.M. prende atto come
ha sempre fatto di quelle che sono state le indicazioni espresse dal collegio
con le ordinanze del 18 ottobre del 1995 e ad esse doverosamente si
atterrà.
PRESIDENTE:
C'è una richiesta oppure non c'è richiesta? A che
cosa è finalizzata questa memoria? C'è un petitum in relazione
all'ordinanza già emessa dal Tribunale oppure una richiesta di revoca,
qualcosa? Fateci capire.
P.M.:
Signor Presidente, non c'è un petitum diverso da quello che si
ritiene è fatto evidente dal contenuto della memoria che si è
illustrata. Si intende dire che la memoria e il pensiero della Pubblica Accusa
tendono ad evitare le interruzioni che possono intervenire dalle altre parti
processuali durante la doverosa esposizione che il P.M. deve fare dei fatti
oggetto dell'imputazione e tende a chiarire laddove ve ne fosse bisogno e
quanto meno a chiarire al pensiero della Pubblica accusa stessa, quello che
deve essere il contenuto che deve informare la esposizione introduttiva del
P.M. Altra considerazione che può farsi in esito alla illustrazione
testè esposta è che l'illustrazione, l'esposizione introduttiva
serve ad illustrare quello che è il significato dei mezzi di prova che
si indicheranno subito dopo, quindi appare chiaro da tutto questo che
l'eventuale perdita di tempo che si potrebbe rilevare in questa fase è a
tutto vantaggio del tempo che indubbiamente si recupererà nel momento
della indicazione dei mezzi di prova.
PRESIDENTE:
Non è un problema di tempo P.M.
P.M.:
Sì, signor Presidente, è un problema di ordinata
esposizione del pensiero, perchè ritiene questo ufficio che alla fine
della esposizione introduttiva la indicazione dei mezzi di prova
apparirà assolutamente chiaro, per lo meno le ragioni, ad avviso di
questo ufficio, della indicazione i quei mezzi di prova appariranno
assolutamente chiare senza bisogno di ulteriore approfondimento, di ulteriore
illustrazione della necessità di ammettere o non ammettere un mezzo di
prova di cui si è richiesta l'ammissione.
PRESIDENTE:
Allora restano fermi i criteri già stabiliti dal
Tribunale con le ordinanze già emesse.
AVV. SBACCHI:
Io devo ringraziare il P.M. per la dotta prolusione. Non devo
dire altro.
PRESIDENTE:
Va bene. Prego.
P.M.:
Altri importanti elementi di accusa contro il Senatore Andreotti il
P.M. si propone di acquisire in questo dibattimento mediante l'esame di
Francesco Marino Mannoia, con particolare riferimento alle dichiarazioni rese
nell'interrogatorio del 3 aprile del 1993 avvenuto presso l'Attorney Office del
distretto meridionale di New York in quanto reso nell'ambito di commissione
rogatoria internazionale il verbale di interrogatorio è già stato
inserito tra gli atti del fascicolo del dibattimento. L'esame di Marino Mannoia
verterà sui seguenti temi di prova: rapporti dei cugini Antonino e
Ignazio Salvo con Giulio Andreotti ed altri soggetti a lui collegati, come per
esempio Claudio Vitalone; sequestro dell'on. Aldo Moro, particolari e
circostanze attinenti al coinvolgimento di Cosa Nostra e di soggetti collegati
a Giulio Andreotti; rapporti tra Cosa Nostra, Michele Sindona, Licio Gelli;
interferenze di Cosa Nostra e di Andreotti in procedimenti giudiziari ed in
particolare nel maxiprocesso; incontri di Andreotti con esponenti di Cosa
Nostra, in particolare incontri del 1979 e del 1980; interferenze di Cosa
Nostra nelle consultazioni elettorali, in particolare nelle elezioni politiche
del 1987; viaggi aerei di Andreotti in Sicilia; la corrente andreottiana in
Sicilia; rapporti tra n'drangheta e Cosa Nostra; l'interessamento di Giuseppe
Calò per l'acquisto di un quadro da parte di Giulio Andreotti.
Attraverso l'esame del Marino Mannoia e con riferimento al tema probatorio
generale riguardante i cugini Salvo, l'accusa si propone di dimostrare che
Antonino e Ignazio Salvo erano uomini d'onore della famiglia di Salemi e che
l'allora appartenenza a Cosa Nostra veniva tenuta riservata all'interno della
stessa organizzazione stante i loro importanti legami con il mondo della
politica; che entrambi i cugini Salvo frequentavano, specie negli ultimi anni
precedenti alla guerra di mafia Stefano Bontate e che più assiduo dei
due era Nino Salvo, in questa frequentazione; che Nino Salvo era altresì
grande amico di Gaetano Badalamenti, con cui si frequentava assiduamente e che
fu proprio il Badalamenti a presentare i Salvo a Stefano Bontate; che anche
l'on. Salvo Lima frequentava Stefano Bontate ed era il personaggio politico con
il quale il Bontate aveva maggiore intimità, che più volte l'on.
Lima si incontrò con Stefano Bontate in una casa adibita ad ufficio, di
Gaetano Fiore, personaggio pure appartenente a Cosa Nostra, nonché nei
giorni di chiusura nei locali del Baby Luna, locali di proprietà del
predetto Fiore; che in quest'ultimo locale, il Baby Luna, nel 1979 parecchi
uomini d'onore della famiglia di Santa Maria di Gesù si incontrarono con
John Gambino e con un'altro uomo d'onore zio di Salvatore Inzerillo, che si
chiamava anch'egli Gambino e che era un personaggio molto influente di Cosa
Nostra americana; che nel passato generalmente Cosa Nostra votava per la
Democrazia Cristiana, ma non vi erano particolari pressioni o organizzazioni
elettorali per votare per quel partito; che invece nelle elezioni politiche del
1987 pervenne all'interno del carcere un ordine preciso, con cui si
responsabilizzavano tutti gli uomini d'onore affinché si votasse e si
facessero votare familiari ed amici per il partito Socialista Italiano; che
inoltre, un pò prima, quando al partito Radicale occorrevano per evitare
lo scioglimento, almeno 10.000 iscrizioni, dentro il carcere dell'Ucciardone,
gli uomini d'onore si erano quotati su iniziativa di Pippo Calò, che
versò 100 milioni di lire a detto partito, la famiglia di Santa Maria di
Gesù versò 50 milioni di cui 30 milioni sborsati direttamente da
Giovanni Bontate; che l'iniziativa di finanziamento del Partito Radicale fu
esclusivamente interna al carcere dell'Ucciardone, anche se i finanziamenti
furono raccolti anche all'esterno; che per quanto concerne l'appoggio
elettorale al Partito Socialista Italiano nell'anno 1987 l'ordine era
generalizzato a tutta Cosa Nostra in Sicilia. Sul tema diverso del
coinvolgimento di Cosa Nostra nel sequestro Moro il P.M. si propone di
dimostrare anche mediante l'esame del predetto collaboratore di giustizia,
nonché degli Ufficiali di P.G. che hanno esperito le indagini in
riscontro, dei testi indicati alle pagine 21 e 23 della lista depositata, che
saranno indicati più specificatamente e di documenti; che dopo il
sequestro dell'on. Aldo Moro Cosa Nostra fu sollecitata da influenti esponenti
della Democrazia Cristiana ad intervenire per tentare di salvarlo e che il
Bontate come altri si attivò; che a tal fine 10-15 giorni dopo il
sequestro fu tenuta una riunione della commissione, l'organo di vertice di Cosa
Nostra; che la maggior parte dei componenti della commissione, tra cui Michele
Greco, il quale all'epoca svolgeva funzione di coordinatore era di fede
democristiana ed in contatto con i politici democristiani che guidavano
l'economia regionale; che in sede di commissione Giuseppe Calò, capo del
mandamento di Porta Nuova conoscitore insieme ad Angelo Cosentino, capo della
decina romana di Santa Maria di Gesù dei problemi politici romani, in
quanto da anni si era trasferito a Roma, dopo avere tergiversato, affermando di
non avere modo di intervenire, rappresentò che esponenti di vertici
della Democrazia Cristiana non volevano che Moro venisse liberato; che comunque
in sede di commissione il Calò era stato incaricato di operare
affinché il Buscetta fosse spostato in un carcere del Nord, così
da potere contattare alcuni terroristi di sinistra che aveva conosciuto durante
la detenzione; che dopo poco tempo il Buscetta fu trasferito in un'altro
carcere però diverso da quello che aveva chiesto, che in seguito il
Bontate apprese che il trasferimento di Buscetta ad un carcere diverso da
quello segnalato era stato opera di Calò e che quest'ultimo si
giustificò attribuendo la responsabilità alla persona cui si era
rivolto che aveva compreso male quanto richiestagli; che in sostanza in ordine
alla posizione da assumere con riferimento alla vicenda Moro si verificò
all'interno di Cosa Nostra una spaccatura, in quanto da una parte vi erano
Stefano Bontate, i cugini Salvo, Gaetano Badalamenti e altri i quali, dati i
loro legami politici ed al fine di acquistare maggiore prestigio erano propensi
ad intervenire per ottenere la liberazione di Moro, dall'altra parte vi erano
Calò, Riina, Michele Greco ed altri che apparivano non interessati al
problema e che in particolare Calò che come abbiamo detto era bene
inserito nell'ambiente romano in quell'agenzia del crimine che era divenuta la
Banda della Magliana, alcuni elementi dei quali erano stati integrati in Cosa
Nostra era a conoscenza che alcuni esponenti della Dc non erano interessati
alla liberazione di Moro. Sullo stesso tema e cioè coinvolgimento di
Cosa Nostra alle trattative per la liberazione di Moro, il P.M. si propone di
dimostrare, mediante l'esame di Tommaso Buscetta che il Buscetta fu incaricato
di prendere contatti in carcere con detenuti politici e precisamente con
appartenenti alla Brigate Rosse per tentare di ottenere la liberazione di Aldo
Moro; che a tal fine fu preordinato il suo trasferimento nel carcere di Torino,
ove avrebbe potuto incontrare Curcio ed altri detenuti politici, ma che
inopinatamente invece di essere trasferito a Torino il Buscetta fu tradotto nel
carcere di massima sicurezza di Cuneo, sicché non ebbe la
possibilità di contattare alcuno dei brigatisti. Sempre sullo stesso
tema, sequestro Moro, il P.M. si propone di dimostrare mediante l'esame del
teste Giuseppe Messina che Flavio Carboni, faccendiere che aveva rapporti con
esponenti della banda della Magliana e interessi in affari riconducibili a
Giuseppe Calò, svolse un ruolo di mediatore con la mafia nel corso del
sequestro dell'on. Moro, incontrandosi con esponenti mafiosi e che il vertice
di Cosa Nostra dopo avere offerto la propria collaborazione per la liberazione
dell'on. Moro ritornò sulla propria decisione non volendo più
occuparsi dell'affare Moro. In connessione con lo stesso tema il P.M. si
propone di dimostrare mediante l'esame dei testi indicati alla pagina 27 della
lista depositata, del teste Paolo Uberti, degli ufficiali della DIA che hanno
effettuato indagini sui viaggi aerei che alcuni assegni riconducibili a
società inserite in un circuito di interessi facenti capo a Flavio
Carboni e Giuseppe Calò pervennero all'on. Andreotti. Che l'on.
Andreotti in occasione di uno dei suoi viaggi in Sicilia fu trasportato a bordo
di un aereo privato della Air Capitol, appartenente a Giuseppe Ciarrapico,
aereo pilotato da Paolo Uberti, iscritto alla P2, assunto dalla Air Capitol e
coinvolto nell'organizzazione della fuga di Roberto Calvi a Londra in occasione
della quale aveva trasportato il boss della Magliana, Diotallevi a bordo di un
aereo privato del predetto Flavio Carboni faccendiere, come abbiamo detto,
legato al Calò. Nella prospettiva accusatoria la ricostruzione in sede
dibattimentale di questa vicenda, il coinvolgimento di Cosa Nostra nelle
trattative per la liberazione di Moro, è finalizzata ad acquisire un
riscontro ex ante a quanto diranno i collaboranti sul contesto dei rapporti tra
Cosa Nostra e il mondo politico, non soltanto siciliano, ma anche nazionale. Ed
infatti la richiesta formulata da alcuni esponenti politici a Cosa Nostra
direttamente o tramite i cugini Salvo, volta ad intervenire per tentare di
liberare l'on. Moro, considerata l'enorme incidenza del sequestro dello
statista sulla situazione politica istituzionale del paese, risulterà
indicativa del livello di interscambio tra Cosa Nostra e settori del mondo
politico.
AVV. SBACCHI:
Mi dispiace interrompere, ma a me sembra una requisitoria, non
sembra una relazione. Quando tireremo le somme vedremo.
PRESIDENTE:
Per ora la prego di non intervenire. Prego P.M.
P.M.:
Presidente, si stava spiegando proprio la rilevanza dei testi sul
coinvolgimento di Cosa Nostra al sequestro Moro, perchè nella
prospettiva accusatoria alla luce di questa chiave di lettura retrospettiva che
la Pubblica Accusa si propone di ricostruire in dibattimento, sarà
possibile comprendere perchè l'organizzazione ritenesse di poter fare
pieno affidamento sulla disponibilità dei suoi referenti politici agli
interventi necessari per garantire i propri interessi e fra questi anche ad
interventi volti a condizionare l'esito del maxiprocesso. E si
comprenderà perchè il mancato rispetto di queste promesse sia
stato vissuto ed interpretato da Cosa Nostra come una inammissibile violazione
del patto di scambio esistente da molti anni. Sul tema dell'origine dei
rapporti tra Cosa Nostra e il mondo politico, nei quali sarebbe stato
successivamente coinvolto Andreotti, il P.M. si propone di dimostrare,
attraverso le dichiarazioni di Marino Mannoia e di testi di riscontro che in
origine i rapporti con gli uomini politici erano tenuti principalmente da
Paolino Bontate, Vincenzo Rimi e Antonino Salamone. Che Paolino Bontate,
dapprima favorevole al regime monarchico, si rese poi conto delle
necessità determinate dall'evoluzioni dei tempi e quindi
dell'opportunità di stabilire un collegamento organico con la Democrazia
Cristiana, la quale era allora il partito politico più importante in
Italia e in Sicilia; che i rapporti con il mondo politico furono poi
intensificati da Stefano Bontate figlio di Paolino dopo che egli divenne
rappresentante prendendo il posto del padre; che Stefano Bontate al pari di
Salvatore Riina e di Giuseppe Calò, era uno degli uomini di Cosa Nostra
che meglio conosceva la realtà dei rapporti di potere in campo
nazionale, per cui sapeva bene che il potere di Cosa Nostra sarebbe rimasto
limitato se almeno alcuni esponenti dell'organizzazione non avessero stabilito
rapporti di alleanza con poteri esterni; che fu proprio per questo motivo che
Stefano Bontate, in contrasto con l'opinione prevalente in Cosa Nostra decise
di affiliarsi ad una loggia massonica, ben comprendendo che in tal modo avrebbe
potuto giovarsi di relazioni importanti che avrebbero accresciuto il suo potere
e il suo prestigio personale; che Bontate dapprima stabilì relazioni
assai strette con l'on. Rosario Nicoletti che disponeva di una villa adiacente
al fondo Magliocco e attraverso il canale del vecchio Matteo Citarda e di
Giuseppe Albanese, uomini d'onore, rapporti con l'on. Salvo Lima, appunto uomo
d'onore della famiglia del Citarda; che questi rapporti con i detti uomini
politici erano intrattenuti non soltanto da Stefano Bontate ma anche da altri
esponenti di Cosa Nostra quali ad esempio Salvatore Riina e Giuseppe
Calò; che in particolare Riina, Calò ed altri esponenti di Cosa
Nostra vicini al Riina avevano rapporti di intimità con l'on. Lima e con
Vito Ciancimino; che nelle mani di Cosa Nostra vi era gran parte dell'ambiente
politico di Palermo; che verso la fine degli anni '70 si determinò
nell'ambito di Cosa Nostra una sorta di concorrenza e di antagonismo tra varie
componenti, ciascuna delle quali aspirava a stabilire un rapporto privilegiato
col mondo politico; che lo stato dei rapporti tra Cosa Nostra e il mondo
politico cominciò a mutare nel periodo immediatamente precedente agli
omicidi di Michele Reina e di Piersanti Mattarella; che la ragione di
quest'ultimo delitto risiede nel fatto che Piersanti Mattarella, dopo avere
intrattenuto rapporti con i cugini Salvo e con Stefano Bontate, successivamente
mutò la propria linea di condotta; che il Mattarella, entrato in
violento contrasto ad esempio con l'on. Rosario Nicoletti, voleva rompere con
la mafia ed intraprendere un'azione di rinnovamento della Democrazia Cristiana
in Sicilia, andando contro gli interessi di Cosa Nostra; che Rosario Nicoletti
riferì il proposito del Mattarella al Bontate e che attraverso l'on.
Lima del nuovo atteggiamento di Mattarella fu informato anche l'on. Andreotti;
che Andreotti scese a Palermo e incontrò Bontate, i cugini Salvo, l'on.
Lima l'on. Nicoletti, Gaetano Fiore e altri uomini d'onore; che nel corso di
questo incontro che si verificò tra la primavera e l'estate del 1979 e
comunque in epoca sicuramente posteriore all'omicidio di Michele Reina avvenuta
il 9 marzo '79, Stefano Bontate e gli altri uomini d'onore si lamentarono con
Andreotti del comportamento di Mattarella; che alcuni mesi dopo fu deciso
l'omicidio di Piersanti Mattarella da tutti i componenti della commissione
provinciale di Palermo e che su ciò furono perfettamente concordi, anche
se formalmente estranei alla decisione i cugini Antonino ed Ignazio Salvo; che
in quel periodo, inizio del 1980, gli esponenti di Cosa Nostra dei diversi
schieramenti avevano fatto la pace, anche se si trattava, come gli avvenimenti
successivi avrebbero dimostrato, di una pace provvisoria e fittizia; che alcuni
mesi dopo l'omicidio del Mattarella, Stefano Bontate e Salvatore Federico
Pinzetta, Francesco Marino Mannoia, si recarono in una piccola villa nei pressi
di via Pitrè intestata ad uno zio di Salvatore Inzerillo, ove trovarono
l'on. Lima, Salvatore Inzerillo, Michelangelo La Barbera, Girolamo Teresi e
Giuseppe Albanese, cognato di Giovanni Bontate; che circa un'ora dopo il loro
arrivo sopraggiunse un'Alfa Romeo blindata di colore scuro, con i vetri pure
scuri, a bordo della quale vi erano i due cugini Salvo e l'on. Giulio
Andreotti; che si svolse un incontro tra l'on. Andreotti ed i predetti
esponenti di Cosa Nostra, incontro al quale non parteciparono perchè
rimasti fuori in giardino, Francesco Marino Mannoia, Salvatore Federico,
Michelangelo La Barbera, i quali però udirono chiaramente delle grida
provenire dall'interno della villa; che quando Andreotti andò via con i
Salvo a bordo della citata autovettura blindata e tutti loro rimasero nella
villa, tutti gli altri rimasero nella villa, Bontate, Lima, Inzerillo, Albanese
e Teresi rimasero ancora un pò a discutere appartati tra loro; che
Andreotti partecipò al predetto incontro per avere chiarimenti
sull'omicidio di Piersanti Mattarella e che fu diffidato dall'assumere
iniziative contro la mafia in quanto in tal caso Cosa Nostra avrebbe ritirato
il sostegno elettorale alla Democrazia Cristiana non solo in Sicilia ma in
tutto il Meridione. Per quanto riguarda il tema della successiva evoluzione dei
rapporti tra Andreotti e Cosa Nostra il P.M., anche mediante le dichiarazioni
di Marino Mannoia si propone di dimostrare che dopo l'uccisione di Stefano
Bontate, Salvatore Riina subentrò nelle relazioni politiche intessute in
precedenza dal Bontate, le quali divennero più strette anche
perchè prima Lima e Ciancimino erano già vicini a Riina; che vi
fu un interessamento di Cosa Nostra per il maxiprocesso; che Riina fece sapere
a pochi, fra cui Pietro Lo Iacono, che alla fine il processo sarebbe stato
annullato per interessamento del Presidente Carnevale in quanto questi avrebbe
trovato dei vizi nel rinvio a giudizio, conseguendo il risultato di fare
annullare il processo; che l'on. Salvo Lima è stato ucciso perchè
non è stato in grado di mantenere la promessa dell'aggiustamento del
maxiprocesso. Per la ricostruzione del quadro complessivo dei rapporti
mafia-politica sarà chiamato poi a testimoniare Tommaso Buscetta,
attraverso il quale il P.M. si propone di dimostrare i seguenti temi di prova:
rapporti dei cugini Antonino e Ignazio Salvo con Giulio Andreotti ed altri
soggetti a lui collegati; rapporti dei cugini Antonino e Ignazio Salvo con
Claudio Vitalone; circostanze generali sull'omicidio di Mino Pecorelli;
circostanze attinenti il coinvolgimento di Cosa Nostra e di Giulio Andreotti
nel sequestro dell'on. Aldo Moro; interferenze di Cosa Nostra e di Andreotti in
procedimenti giudiziari; incontri di Andreotti con esponenti di Cosa Nostra ed
in particolare con Gaetano Badalamenti; interferenze di Cosa Nostra nelle
consultazioni elettorali; corrente andreottiana in Sicilia. In particolare
attraverso il Buscetta l'accusa si propone di dimostrare oltre all'origine dei
rapporti tra Cosa Nostra e pezzi del mondo politico, che negli anni '60 Cosa
Nostra a Palermo sosteneva elettoralmente in prevalenza la Democrazia Cristiana
in quanto ritenuta il partito capace di opporsi più efficacemente alla
minaccia comunista; che non vi erano indicazioni vincolanti per un determinato
candidato, ma che ciascun uomo d'onore aveva facoltà di sostenere
elettoralmente un candidato di propria scelta, purchè nell'ambito di
partiti che non fossero il Partito Comunista o il Movimento Sociale; che
naturalmente ricevevano maggiori consensi i candidati che erano essi stessi
uomini d'onore come il monarchico Giuseppe Guttadauro, rappresentante della
famiglia di Corso Calatafimi i democristiani Giuseppe Trapani, consigliere
della famiglia di Porta Nuova, Antonino Sorci della famiglia di Villagrazia di
Palermo e Giuseppe Cerami, poi divenuto senatore, combinato nella famiglia di
Santa Maria di Gesù; che i cennati democristiani in quel periodo erano
assessori o consiglieri al Comune di Palermo, mentre Sindaco era Salvo Lima ed
assessore all'edilizia privata e pubblica Vito Ciancimino; che naturalmente vi
erano uomini d'onore, anche se in una proporzione minore, pure presso
l'Assemblea Regionale siciliana; che allora Salvo Lima era il candidato della
famiglia di Palermo centro, capeggiata dai fratelli Salvatore e Angelo La
Barbera, alla quale apparteneva il padre del parlamentare, Vincenzo Lima,
mentre un altro candidato della stessa famiglia di Palermo centro era in
deputato nazionale Giovanni Gioia; che i rapporti tra Buscetta e Lima erano
così cordiali che nel 1961 o '62, dovendo il Sindaco Lima recarsi negli
Stati Uniti quale componente di una delegazione del Comune di Palermo, Buscetta
gli fece una lettera di presentazione per Joe Bonanno e Charles Gambino; che
per questa presentazione, Lima al ritorno dal viaggio ebbe a ringraziare
Buscetta in una villa di Lima a Mondello; che in un'altra occasione Buscetta
prese contatti con Lima e fu precisamente quando Buscetta e Salvatore La
Barbera chiesero ed ottennero con l'intervento di Lima Sindaco, una variante di
destinazione nel piano regolatore per un'area in via Brigata Verona, dapprima
prevista come verde agricolo e poi tramutata in zona edificabile; che in altra
occasione il Lima rese un'altro favore illecito permettendo l'elevazione di due
piani in una costruzione di via Cirrincione cui il Buscetta era interessato
insieme al costruttore Giuseppe Annaloro; che nel 1972, quando il Buscetta
rientrò in Italia l'on. Lima era divenuto il candidato dei cugini
Antonino ed Ignazio Salvo; che i cugini Salvo a loro volta erano grandissimi
amici di Stefano Bontate e di Gaetano Badalamenti e che non avevano
difficoltà a far pervenire a Lima le loro richieste, proprio per il
tramite dei Salvo; che nell'estate del 1980 vi fu un incontro personale a Roma
tra Lima e Buscetta in un albergo di via Veneto su richiesta dello stesso uomo
politico e per il tramite di Nino Salvo; che Nino Salvo avanzò quella
richiesta al Buscetta proprio nella casa di Pippo Calò ove si erano
trattenuti a pranzare insieme al Calò ed alla moglie di quest'ultimo;
che nel corso di questo incontro l'on. Lima parlò di affari politici
concernenti Palermo, rappresentando che Vito Ciancimino continuava ad essere un
problema spinoso; che Nino Salvo fece presente che il vero problema era
costituito dai corleonesi i quali gestivano in maniera assoluta il Ciancimino
per tutte le questioni politiche e per gli affari; che Nino Salvo inoltre, in
sintonia con Bontate, Riccobono, Inzerillo e Gigino Pizzuto sollecitò
Buscetta ad accettare un posto in commissione che lo stesso Calò aveva
già offerto al Buscetta stesso in propria sostituzione; che il motivo
della proposta mirava a far sì che il Buscetta potesse così
contenere l'invadenza dei corleonesi e ricomporre quindi un equilibrio
accettabile per tutti; che Nino Salvo in particolare si aspettava da ciò
di moderare i corleonesi e le pretese del Ciancimino nell'ambito della
Democrazia Cristiana così agevolando la posizione di Lima nel partito.
Si passerà quindi a provare, sempre attraverso Buscetta, i rapporti con
i referenti romani dell'Onorevole Lima, esplicitando i seguenti temi: che Salvo
Lima era effettivamente l'uomo politico cui principalmente "Cosa Nostra" si
rivolgeva per le questioni di interesse dell'organizzazione che dovevano
trovare una soluzione a Roma; che il referente politico nazionale cui Salvo
Lima si rivolgeva per queste questioni era Giulio Andreotti; che il Lima non
era l'unico tramite tra i piu' importanti esponenti di "Cosa Nostra" e
l'Onorevole Andreotti; che Gaetano Badalamenti stesso si era personalmente
incontrato a Roma con Giulio Andreotti accompagnato dal cognato Filippo Rimi e
da uno dei cugini Salvo. Il livello del rapporto esistente tra "Cosa Nostra" e
questo pezzo del mondo politico, anche con riferimento alla persona
dell'Onorevole Andreotti, costituira' un altro specifico tema di indagine
dibattimentale finalizzato a provare, attraverso il Buscetta, che con riguardo
all'omicidio Dalla Chiesa il Buscetta nel '79 ebbe l'incarico su mandato del
Bontate di contattare qualche esponente delle Brigate Rosse per verificare se
questi erano disponibili a rivendicare l'omicidio del Generale Dalla Chiesa in
caso di uccisione di quest'ultimo. Che all'uopo il Buscetta avvicino' il
brigatista Lauro Azzolini; che l'Azzolini declino' l'offerta; che il Bontate
nell'80 manifesto' il sospetto che Dalla Chiesa volesse diventare capo dello
Stato Italiano con un'azione di forza; che l'omicidio Pecorelli era stato
deciso da Bontate e da Badalamenti su richiesta dei cugini Salvo; che
un'analoga versione di questo omicidio fu dato al Buscetta da Gaetano
Badalamenti; che si era trattato di un delitto politico richiesto ai Salvo
dall'Onorevole Andreotti; che Pecorelli stava accertando intrighi politici
collegati al sequestro Moro; che l'Onorevole Andreotti era preoccupato che
potessero trapelare segreti inerenti al sequestro Moro e che anche il Dalla
Chiesa conosceva questi segreti; che i Salvo avevano con Andreotti un rapporto
addirittura piu' intenso di quello che Andreotti intratteneva con l'Onorevole
Lima; che i Salvo chiamavano confidenzialmente Giulio Andreotti "Lo Zio"; che
Pecorelli e Dalla Chiesa erano a conoscenza di segreti sul sequestro Moro, in
tal modo infastidendo l'Onorevole Andreotti. Si questi temi verra' chiamato a
testimoniare una fonte probatoria statunitense, l'Avvocato Richard Martin gia'
stretto collaboratore di Giovanni Falcone nella sua qualita' di Magistrato
della Procura Federale del Distretto Meridionale di Manhattan, poi
rappresentante speciale dell'U.S. General Attorney ed infine Special Assistent
dell'U.S. Attorney presso la Procura Federale del Distretto Meridionale di New
York per contribuire alle indagini sulla strage di Capaci. Attraverso
l'Avvocato Martin il Pubblico Ministero si propone di provare i seguenti temi:
che gia' nel corso di un colloquio svoltosi nel 1985 negli Stati Uniti Tommaso
Buscetta aveva indicato che c'era un livello politico dei rapporti di "Cosa
Nostra"; che l'incontro con il Buscetta avvenne durante la preparazione della
sua testimonianza nel processo PIzza Connection condotta dall'Avvocato Martin;
che al colloquio fra i due assistette soltanto l'Agente speciale della D.A.
Anthony Petrucci, il quale si e' sempre occupato della protezione negli Stati
Uniti del Buscetta; che secondo la legislazione statunitense Buscetta non
poteva sottrarsi a nessuna domanda del Procuratore Federale Martin; che avendo
ben compreso la spiegazione del Procuratore Martin sull'obbligo di dire la
verita' nel processo Pizza Connection, Buscetta rappresento' subito che cio'
avrebbe comportato un problema difficilissimo da affrontare in quel periodo
storico, non soltanto in Italia, ma anche negli Stati Uniti, precisando al
Martin che se comunque gli fosse stata posta quella domanda, egli avrebbe detto
la verita' facendo il nome di Giulio Andreotti; che nel colloquio ...
AVV.SBACCHI:
Presidente, chiedo scusa, sono dichiarazioni queste, non sono
piu' ... l'indicazione di temi di prova.
PRESIDENTE:
Cerchiamo di evitare le dichiarazioni. Cerchiamo di evitare di
enucleare il contenuto delle dichiarazioni.
P.M.:
Che del colloquio avuto con Buscetta, l'Avvocato Martin aveva
avvertito gli altri Magistrati della Procura Federale che si occupavano del
processo Pizza Connection, cioe' Louis (incomprensibile), attuale Direttore del
Federal Burou of Investigation, Robert Stuart fino a poco tempo fa capo della
sezione anticrimine organizzata della Procura Federale del New Jersey e oggi in
pensione, e Robert Bouknam, attuale capo ufficio sempre presso l'F.B.I.. Che
nel 1992, dopo la strage di Capaci, quando l'Avvocato Martin venne nominato
Special Assistent del Ministro della Giustizia per contribuire appunto sul
piano internazionale alle indagini, Buscetta ebbe a comunicargli che era pronto
a parlare di tutto. Questi sono i temi che saranno provati attraverso Tommaso
Buscetta. Ma gli elementi di prova acquisiti durante le indagini preliminari, e
che dovranno essere provati nel corso del presente dibattimento, troveranno un
ulteriore mezzo attraverso la deposizione di Baldassare Di Maggio, e cio' in
particolare per quanto riguarda la determinazione di "Cosa Nostra" di lanciare
un avvertimento alla DC in occasione delle consultazioni politiche nazionali
dell'87, la strategia perseguita dall'organizzazione per il condizionamento del
Maxiprocesso attraverso un circuito costituito da Ignazio Salvo, dall'Onorevole
Lima e dal Senatore Giulio Andreotti. Con riferimento al primo tema, attraverso
la testimonianza del Di Maggio ed i relativi riscontri, l'accusa si propone di
dimostrare che i capi di "Cosa Nostra" decisero il comportamento da seguire in
occasione delle elezioni politiche dell'87 nel corso di una riunione cui
presero parte tra gli altri lo stesso Di Maggio, Salvatore Riina, Nino Madonia
e Salvatore Cancemi; che la riunione era stata convocata dal Riina per
stabilire se i voti di "Cosa Nostra" dovessero confluire sulla DC ovvero sul
PSI, atteso che i democristiani non avevano fatto il loro dovere; che il Riina
lamentava che la DC non aiutava l'organizzazione in relazione all'andamento del
Maxiprocesso; che l'incontro si concluse con la decisione di votare per il PSI
ed in particolare per l'Onorevole Martelli, non gia' perche' quest'ultimo
avesse legami con "Cosa Nostra", ma per dare una lezione alla DC; che fu
consentito tuttavia di continuare a votare singoli candidati democristiani
purche' fossero vicini ad uomini d'onore o a famiglie con le quali avevano
rapporti. Si provera' ancora attraverso il Di Maggio che quest'ultimo
personalmente ebbe ad incontrare i cugini Antonino ed Ignazio Salvo
congiuntamente o separatamente in tre occasioni successive. Una prima volta in
epoca anteriore all'arresto di Bernardo Brusca, quindi prima del 24 novembre
1985, aveva il ... Si provera' attraverso il Di Maggio che quest'ultimo aveva
accompagnato i Salvo in una casetta di campagna in localita' Aquino ove li
attendeva appunto il Brusca per un colloquio privato; che in una seconda
occasione, sempre in epoca anteriore all'arresto del Brusca, egli aveva
accompagnato i Salvo in localita' Dammusi di San Giuseppe Jato ove erano attesi
da Bernardo Brusca e Salvatore Riina; che infine in una terza occasione, in
epoca successiva stavolta all'arresto di Bernardo Brusca, il Di Maggio era
stato incaricato dal Riina di portare personalmente un messaggio ad Ignazio
Salvo, e cioe' che Riina voleva un appuntamento per incontrare l'Onorevole
Andreotti. Si provera' quindi, attraverso il Di Maggio che l'incontro, che era
poi effettivamente avvenuto nella casa palermitana di Ignazio Salvo, nel
pomeriggio di un giorno collocato alcuni mesi dopo le elezioni politiche del
giugno '87; che quel giorno Riina attraverso Michelangelo La Barbera convoco'
il Di Maggio per le ore 14,30 circa in un pollaio dietro la Casa del Sole, che
e' stato individuato e su cui verranno a deporre gli ufficiali di P.G.; che
Riina giunse all'appuntamento accompagnato da Giuseppe Sansone con una
utilitaria e prese posto con il Di Maggio a bordo della Golf bianca di
quest'ultimno, dicendo che da soli dovevano andare a casa di Ignazio Salvo; che
giunti davanti al cancello del garage dell'edificio, essi trovarono Paolo
Rabito, uomo d'onore di Salemi, che apri' loro il concello e fece parcheggiare
la macchina nel garage; che attraverso un ascensore privato Riina, Di Maggio e
Rabito salirono direttamente nella casa di Ignazio Salvo, il quale li fece
entrare in una stanza ove si trovavano gia' l'Onorevole Andreotti e l'Onorevole
Lima, i quali si alzarono e li salutarono; che il Di Maggio strinse la mano ai
due deputati e bacio' Ignazio Salvo; che Riina invece saluto' con un bacio
tutte e tre le persone, mentre Di Maggio, subito dopo insieme a Rabito, si
avvio' verso un'altra stanza; che dopo un po' di tempo, circa tre ore,
richiamato da Ignazio Salvo, il Di Maggio ritorno' in quella stanza, saluto' le
persone che erano ancora presenti, cioe' Andreotti e Lima stringendo loro la
mano e se ne ando' con il Riina. Come si vede, attraverso le dichiarazioni del
Di Maggio, si propone questo ufficio di confermare il quadro che forniranno gli
altri collaboranti in ordine alla strategia adottata da "Cosa Nostra" nella
competizione elettorale dell'87, ed il livello del rapporto di scambio tra
"Cosa Nostra" e taluni esponenti politici. Altro mezzo di prova che sara' qui
utilizzato e' il collaborante Mario Santo Di Matteo, il quale sara' chiamato a
riferire in ordine alle circostanze riguardanti il Senatore Andreotti ed i
tentativi di aggiustamento del Maxiprocesso. Attraverso il Di Matteo l'accusa
si propone di dimostrare in particolare questi punti: che la causale
dell'omicidio Lima si collega all'esito del Maxiprocesso; che in presenza del
Di Matteo piu' volte Antonino Gioe' e Giovanni Brusca ed anche Leoluca
Bagarella discussero di tale argomento sia prima che dopo l'omicidio Lima,
indicando senza equivoci nella decisione della Corte di Cassazione il motivo
della morte di Lima; che in quelle occasioni Brusca, Bagarella e Gioe'
discussero anche del perche' Lima non avesse potuto o voluto influire
sull'esito del processo, e dissero che era certo che era stato il capo corrente
del parlamentare, cioe' il Senatore Andreotti, che non glielo aveva consentito,
dato che ormai lo stesso Andreotti aveva assunto delle posizioni chiaramente
contrarie a "Cosa Nostra", sia con l'emanazione di leggi, sia con altri
provvedimenti; che gli uomini politici in rapporti con "Cosa Nostra" erano i
cugini Salvo, Salvo Lima, Ignazio Salvo, Vito Ciancimino, e che quest'ultimo
teneva le fila degli affari di "Cosa Nostra" a Palermo rispondendo direttamente
a Salvatore Riina; che l'omicidio Lima era stato soltanto l'inizio di una
strategia di attacco provocata dalla rottura del patto di scambio tra "Cosa
Nostra" e taluni politici; che dopo l'esito negativo del Maxi, bisognava
eliminare quei politici che non erano riusciti a procurare a "Cosa Nostra" un
risultato positivo; che Lima e Ignazio Salvo non avevano potuto fare niente
perche' Andreotti aveva ormai cambiato politica; che dopo l'esito negativo del
Maxiprocesso e dopo l'omicidio Lima, Bagarella aveva deciso di uccidere anche
Ignazio Salvo, perche' anche lui era uno dei politici legati a "Cosa Nostra"
che non aveva potuto aggiustare il Maxi. Attraverso Di Matteo, l'accusa
fornira' quindi ulteriori particolari in ordine alla strategia seguita da "Cosa
Nostra" al fine di condizionare l'esito del Maxiprocesso evidenziando i
seguenti punti di prova: che effettivamente nell'87 gli uomini d'onore
ricevettero dall'organizzazione l'ordine di votare PSI e in particolare
l'Onorevole Martelli; che in proposito fu spiegato al popolo di "Cosa Nostra"
che bisognava dare un segnale alla Democrazia Cristiana; che per quanto
riguarda l'andamento del Maxiprocesso, da parte di "Cosa Nostra" venne
accettato senza particolare sorpresa ne' desiderio di reazione l'andamento
della fase istruttoria; che non ci fu particolare attivita' di "Cosa Nostra"
sull'andamento del processo durante le fasi di primo grado e di appello, anche
se e' da ritenere probabile che vi sia stata un'opera di avvicinamento dei
Giudici Popolari, cosi' come e' normale per qualsiasi processo importante; che
l'esito del primo grado fu piu' pesante del previsto per "Cosa Nostra", ma
comunque la convinzione generale era che il problema sarebbe stato risolto in
Cassazione, e cio' anche grazie al fatto che sarebbe stato presieduto dal
Dottor Corrado Carnevale; che in "Cosa Nostra" infatti il Dottore Carnevale era
considerato una persona avvicinabile; che la sentenza definitiva della
Cassazione fu un'assoluta sorpresa; che per questo motivo Bagarella e Giovanni
Brusca cominciarono subito dopo la lettura della sentenza a dire che bisognava
uccidere l'Onorevole Lima e Ignazio Salvo. Altro collaborante attraverso cui si
proveranno ulteriormente i temi di prova gia' delineati e' Gioacchino La
Barbera. Attraverso lui l'ufficio si propone di dimostrare che l'omicidio
dell'Onorevole Lima si inquadra in una strategia precisa di "Cosa Nostra",
volta ad eliminare sia i nemici piu' accaniti dell'organizzazione tra i membri
delle istituzioni e principalmente i Magistrati, sia gli amici del passato che
non avevano mantenuto le promesse o che addirittura avevano tradito. Attraverso
il La Barbera, l'ufficio si propone di chiarire ancora che "Cosa Nostra" aveva
ideato un attentato in danno del Senatore Giulio Andreotti ovvero di taluno dei
suoi figli, e che in particolare erano stati Giovanni Brusca e Leoluca
Bagarella a parlare tra loro di questo attentato nel contesto di piu' ampie e
ricorrenti conversazioni riguardanti la decisione di "Cosa Nostra" di attaccare
sia gli amici sia gli avversari della organizzazione; che secondo Brusca e
Bagarella infatti Andreotti era una persona che anche per l'opinione pubblica,
dopo tutto quello che era successo, aveva deciso che non voleva mettersi contro
le iniziative di Martelli, e che pertanto era considerato un traditore, perche'
aveva girato le spalle. L'esposizione del Pubblico Ministero procedera' ora, e
debbo dire anche con un grande sforzo di sintesi attesi i contenuti
estremamente complessi ed articolati delle precedenti ed in particolare di
questa fonte di prova, mediante la indicazione dei temi probatori che l'accusa
dimostrera' attraverso la testimonianza del collaboratore di giustizia
Salvatore Cancemi ed i relativi riscontri. A questa testimonianza l'accusa
attribuisce una particolare importanza poiche' il Cancemi e' un collaboratore
che non soltanto e' appartenuto da sempre, fin dalla sua affiliazione a "Cosa
Nostra", allo schieramento corleonese. Egli entro' nella seconda meta' degli
anni '70 nella famiglia di Porta Nuova, cioe' nella famiglia di Calo', e
successivamente, dopo l'arresto di Calo' a Roma avvenuto nel 1985, divenne
sostituto del Calo' nel comando del mandamento di Porta Nuova, e quindi
componente dell'organo di vertice della organizzazione della Commissione
provinciale di Palermo. Il Cancemi verra' richiesto da questo ufficio di
riferire quanto a sua conoscenza sui ... se prevalentemente personale e
diretta, sui seguenti temi: il condizionamento delle elezioni politiche del
1987 in Sicilia ad opera dei capi di "Cosa Nostra"; le motivazioni
dell'omicidio dell'Onorevole Salvo Lima; le interferenze svolte da "Cosa
Nostra" per l'aggiustamento del Maxiprocesso e di altri importanti processi
giudiziari; le attivita' di Giuseppe Calo', anche con riferimento al suo
periodo romano, dal 1975 al 1985 e alle sue amicizie romane; l'omicidio del
giornalista Carmine Pecorelli commesso a Roma nel 1979; le relazioni politiche
piu' recenti di Salvatore Riina e di Bernardo Provenzano. Per quanto riguarda
il tema probatorio concernente le elezioni politiche del 1987, dalla
testimonianza del Cancemi e dai relativi riscontri fra i quali l'accusa
indichera' molteplici testimonianze di importanti uomini politici e perfino
dello stesso uomo politico che fu per primo privilegiato da quella nuova scelta
della organizzazione, cioe' lo stesso Caludio Martelli, quindi si trattera' di
punti che verranno dimostrati attraverso l'incrocio tra la testimonianza del
Cancemi e le dichiarazioni di testi appartenenti al mondo politico, risultera'
che nella imminenza delle elezioni politiche del 1987 Salvatore Riina
intervenne personalmente con notevole impegno e determinazione per indurre
tutti gli esponenti di "Cosa Nostra" di Palermo a sostenere elettoralmente il
partito socialista italiano. A tal fine Riina convoco' un'apposita riunione che
si svolse in una villa che fu procuratadallo stesso Cancemi su richiesta di
Domenico Mimmo Ganci, il figlio di Raffaele Ganci allora capo del mandamento
della Noce.
AVV.SBACCHI:
Signor Presidente, chiedo scusa, si riprende a leggere. Io non
so ...
PRESIDENTE:
Questa e' una esposizione delle richieste di prova, e'
un'anticipazione. Lo fate qua, ormai questa non e' piu' esposizione
introduttiva, scusate!
P.M.:
Terro' conto delle indicazioni. Mi atterro' alla indicazione dei fatti
...
PRESIDENTE:
Questa e' una richiesta di ammissione di prove. Gia' siamo in
questa fase, secondo il Tribunale.
P.M.:
... dei fatti che l'accusa ...
PRESIDENTE:
Perche' vede, lo stesso fatto viene ripetuto per ogni teste che
vi proponete di esaminare. Quindi non e' piu' una narrazione del fatto! E' la
quarta volta che si parla delle interferenze di "Cosa Nostra" nelle
consultazioni elettorali. Quindi per ogni teste ... quindi e' una richiesta di
ammissione di prove! Perche' nel fatto basta una sola volta a riferire il
fatto. Ecco, per la cognizione del Tribunale. E' legittimo, pero' e' richiesta
di ammissione di prove. Siamo in questa seconda fase.
P.M.:
Indichero' questi fatti diversi e specifici che verranno provati
attraverso queste testimonianze che non si identificano per nulla con i fatti
di cui si e' parlato poc'anzi. In particolare, il fatto che si intende
dimostrare qui e' che si tratto' di una riunione di commissione. E quindi
dimostreremo, attraverso la presenza di determinati personaggi a questa
riunione quale fu il contenuto di questa riunione, fatto specifico di cui non
si e' parlato in precedenza. In particolare, si', ci si propone di dimostrare
che a questa riunione erano presenti Salvatore Cancemi in rappresentanza del
mandamento di Porta Nuova, Domenico Ganci, che allora sostituiva il padre
Raffaele detenuto in rappresentanza del mandamento della Noce, Baldassare Di
Maggio che in quel momento sostituiva Bernardo Brusca agli arresti domiciliari
in rappresentanza del mandamento di San Giuseppe Jato, Antonino Madonia che
allora sostituiva il padre Francesco Madonia in stato di detenzione in
rappresentanza del mandamento di Resuttana, Salvatore Biondino che allora
sostituiva Giuseppe Giacomo Gambino detenuto in rappresentanza del mandamento
di San Lorenzo, e naturalmente era presente anche Salvatore Riina. Nel contesto
di quella riunione, e qui verra' ... si cerchera' di dimostrare un fatto piu'
specifico di quello che verra' riferito da altre fonti di prova, si parlo'
anche specificamente dei candidati, di alcuni candidati da votare, candidati
appartenenti alla lista del partito socialista italiano, e questi candidati
erano l'Onorevole Martelli, l'Onorevole Fiorino e l'Onorevole Turi Lombardo.
Quando i partecipanti alla riunione, alcuni di questi chiesero un motivo di
questo mutamento di linea politica dell'organizzazione, Riina spiego' che vi
era un interessamento dell'Onorevole Martelli per talune riforme legislative,
in particolare quella riguardante il nuovo codice di procedura penale, e
un'altra riforma che era considerata con favore era quella in canitere per una
nuova regolamentazione delle misure di prevenzione. Riina aveva avuto dei
contatti, cosi' egli disse, con Fiorino e Lombardo attraverso persone che egli
non indico'. Come si e' detto, a riscontro di questi fatti, che emergeranno
gia' dalla testimonianza del Cancemi, il quale personalmente partecipo' come si
e' detto ad una riunione di commissione, perche' quella era una riunione di
commissione, verra' fornito dalla testimonianza dello stesso Caludio Martelli.
Risultera' infatti attraverso la testimonianza dell'ex Ministro della
Giustizia, che la sua candidatura a Palermo per le elezioni del 1987 gli era
stata proposta proprio dagli Onorevoli Filippo Fiorino, lo stesso parlamentare
di cui parlo' Riina nella riunione di Commissione, e da Giuseppe Reina, i quali
erano andati a trovare Martelli a Roma prospettandogli una linea di
rinnovamento del partito socialista italiano in Sicilia.
AVV.SBACCHI:
Signor Presidente le chiedo scusa, io non mi oriento piu'. Io
non sono in condizione di seguire un filo, perche' che cosa e'? Se e'
relazione, se e' tema di prova, se e' racconto, se e' la lettura del Pubblico
Ministero ... Bisogna dare una corretta sintesi di quello che sono i fatti, non
gia' raccontare come sta avvenendo in questa sede tutto quello che dovrebbe
essere per una parte tema di prove che tra l'altro dovrebbe essere indicato
genericamente, e per l'altra parte dire quali sono le indicazioni diciamo di
massima che il processo offre. Non e' altro la relazione introduttiva, Signor
Presidente. Io sono sgomento.
P.M.:
Se il Presidente mi da' la parola, vorrei dire che la funzione della
memoria che l'ufficio ha depositato stamane, era esclusivamente indirizzata
alla cortesia della difesa, perche' si cercava di far comprendere il nostro
punto di vista che e' esattamente diverso da quello teste' prospettato a nostro
giudizio del tutto infondato da parte della difesa. Cioe' abbiamo cercato di
spiegare che dalla ...
PRESIDENTE:
Pubblico Ministero, qua interessa il punto di vista del
Tribunale, e il punto di vista del .... Perche' ormai c'e' una decisione, e'
intervenuta una decisione del Tribunale.
P.M.:
Signor Presidente ...
PRESIDENTE:
Il punto di vista della difesa e il punto di vista del Pubblico
Ministero non interessano piu'. Bisogna tener conto di questa decisione.
P.M.:
Il Pubblico Ministero si sta attenendo rigorosamente alla ordinanza
del Tribunale. La difesa ... e cioe' non sta riferendo in nessun modo ne'
testualmente ne' indirettamente il contenuto di dichiarazioni, ma sta indicando
fatti. Qui, a questo punto, la difesa vorrebbe che venisse espunta dalla
esposizione del Pubblico Ministero addirittura tutta la indicazione dei fatti
che il Pubblico Ministero si propone di dimostrare. Vorrebbe cioe' che il
Pubblico Ministero si limitasse ad indicare i temi di prova. Abbiamo gia' visto
... e questo non ha nulla a che vedere con le prescrizioni imposte dal
Tribunale ...
PRESIDENTE:
Nella relazione introduttiva deve indicare i fatti oggetto della
imputazione, non i temi di prova. I temi di prova e' un fatto successivo. Io
non lo so come bisogna chiarire le cose. Io a questo punto non lo so
piu'.
P.M.:
Nella memoria e' gia' detto che una cosa e' il capo di imputazione,
altra cosa sono i temi di prova, altra cosa sono le circostanze dedotte in
lista, altra cosa sono i fatti che costituiscono il contenuto dell'esposizione.
Se il contenuto della esposizione si dovesse identificare con le circostanze
dedotte in lista o si dovesse identificare con la illustrazione del capo di
imputazione, non si comprenderebbe affatto quale funzione dovreebbe avere la
esposizione introduttiva nel sistema, perche' non avrebbe, e questo e' il
giudizio della difesa, che una funzione identica a quella di altri istituti. Mi
sembra che qui si e' accuratamente evitato, e con uno sforzo di notevole
sintesi, di fare quello che nelle altre esposizioni si fa, e quello che
...
PRESIDENTE:
Lasci stare le altre esposizioni. Qua siamo in questo
procedimento, dove il Tribunale ha emesso quella ordinanza.
P.M.:
Presidente io ritengo che se non si da' all'accusa la possibilita'
quanto meno di indicare i fatti storici che ...
PRESIDENTE:
Ma si', infatti questo nessuno dice niente su
questo.
P.M.:
No, mi pare che ...
PRESIDENTE:
No, neanche la difesa. Purche' i fatti non siano ripetuti piu'
volte secondo le dichiarazioni dei vari collaboranti. Questo e' il
problema.
P.M.:
Presidente, mi permetto rispettosamente di fare osservare ...
PRESIDENTE:
Delle elezioni dell'87 ne abbiamo parlato tutta la mattinata.
P.M.:
No, Presidente.
PRESIDENTE:
Si', tre, quattro volte, perche' ogni collaborante parla di queste elezioni.
P.M.:
Presidente, la obiezione della difesa e' scattata quando l'accusa ha
affermato che la candidatura a Martelli era stata proposta dagli Onorevoli
Fiorino e Reina. Vorrei sapere questo fatto quando era stato detto prima, e se
costituisce ripetizione di ...
PRESIDENTE:
Pubblico Ministero, evitiamo le polemiche. Se ci saranno altre interruzioni, il Tribunale sara' costretto a fare una nuova ordinanza.
Prego.
P.M.:
Altro fatto che ci si propone di dimostrare attraverso la testimonianza del Cwncemi e' quel che avvenne dopo queste elezioni, e cioe' che Riina muto' nuovamente opinione, non apparve soddisfatto della linea politica del partito socialista italiano e nelle consultazioni politiche successive imparti' nuovamente la disposizione di votare per la Democrazia Cristiana o per
quegli altri partiti che le famiglie liberamente avessero deciso di sostenere.
Evidentemente cosa era successo? E questo si dimostrera' attraverso questa ed
altra testimonianza. Che l'improvviso ed inopinato mutamento di rotta politica
dell'organizzazione deciso in occasione delle elezioni politiche dell'87 era
stato nuovamente ribaltato. Era intervenuto un nuovo patto quindi dopo le
elezioni politiche del 1987 tra l'organizzazione e gli antichi referenti
politici, i quali non avevano sottovalutato il segnale loro inviato in
occasione delle elezioni del 1987. Verra' quindi evidenziata con chiarezza
dall'accusa attraverso questa ed altre testimonianze, la ragione di un
avvenimento, come quello dell'incontro a Palermo nella casa di Ignazio Salvo
tra il supremo capo di "Cosa Nostra" Salvatore Riina, ed il supremo referente
politico nazionale dell'organizzazione. A causa del mutato atteggiamento di
"Cosa Nostra" sul piano elettorale, le sorti del potere andreottiano in
Sicilia, e quindi anche in Italia per l'incidenza percentuale che il gruppo
siciliano aveva nella corrente nazionale, erano in grave pericolo. Occorreva
rassicurare Riina, ma questi non si accontentava piu' delle facili promesse
dell'Onorevole Lima. Occorreva una garanzia ...
AVV.SBACCHI:
Le chiedo scusa, a me dispiace interrompere. Sono noioso. Qua
si inseriscono commenti, non si riferiscono fatti, Presidente. Io sono
costretto ancora una volta a segnalare questo.
PRESIDENTE:
Facciamo una pausa di dieci minuti.
P.M.:
E allora il Pubblico Ministero rinunzia a trattare ulteriormente i
fatti costituenti oggetto del tema probatorio attinenti alle elezioni politiche
del 1987 e ai fatti successivi, visto che e' impossibile proseguire, e passa ad
un altro tema probatorio che ci si propone di dimostrare attraverso le
testimonianze del Cancemi e i relativi riscontri con specifico riferimento ai
fatti riguardanti i rapporti intrattenuti e sviluppati da "Cosa Nostra" in
Sicilia ed in particolare a Palermo come esponenti del mondo politico. Cioe'
quel tessuto di rapporti la cui dimostrazione e' a giudizio dell'accusa e
secondo l'itinerario probatorio ricostruttivo che essa si propone di seguire in
questo dibattimento, la cui dimostrazione dicevo e' necessaria per comprendere
la ragione di eventi particolarmente significativi che attengono al capo di
imputazione. In particolare, attraverso queste testimonianze, si dimostrera'
che inizialmente e diciamo nell'immediato dopoguerra, l'orientamento di "Cosa
Nostra", le direttive dei capi della organizzazione per quanto riguarda i
rapporti col mondo politico, erano quelle di sostenere i partiti di centro, con
esclusione delle due opposizioni, l'opposizione di sinistra e l'opposizione di
destra. Negli anni '50 il veto per cosi' dire, la pregiudiziale negativa della
organizzazione riguardava i partiti di estrema destra, cioe' che si
richiamavano alla ideologia fascista, e i partiti di sinistra includendo in
questi il partito socialista italiano. Che cosa succede dopo? Questo e' il
clima del primo dopoguerra e questa pregiudiziale verra' riferita da
testimonianze come quelle di Buscetta e di Calderone. Poi il panorama muta. Il
panorama muta perche' a seguito di una nuova sistemazione degli equilibri di
potere interni al mondo politico, e a seguito del superamento del periodo della
guerra fredda, l'orientamento di "Cosa Nostra", l'orientamento favorevole di
"Cosa Nostra" si estende anche a forze politiche che dapprima erano
pregiudizialmente escluse. Cosi' si spiega anche il fatto che nel 1987 vi sia
stata una direttiva dell'organizzazione per votare un partito, il partito
socialista italiano, che negli anni '50 era considerato invece un partito
nemico. In particolare al centro di questa attenzione, di questo sostegno della
organizzazione, e' il partito piu' importante, cioe' il partito che in quella
fase storica costituisce l'asse portante del sistema di potere politico. Questo
per chiarire che ... e per evitare fraintendimenti nella concrezione dei fatti
che verranno ricostruiti dall'accusa, per chiarire che non c'e' mai stato ne'
mai c'e', ci sara', nulla di ideologico negli orientamenti della organizzazione
criminale, per chiarire ancora una volta che le decisioni per cosi' dire di
politica esterna della organizzazione non riguardano questo o quel partito, ma
determinati componenti che vengono ritenute e sono storicamente diverse, che
vengono ritenute volta per volta funzionali agli interessi della
organizzazione. Ritornando quindi al periodo del quale parlera' in particolare
il Cancemi, e per quanto riguarda il periodo iniziale delle sue conoscenze, si
esporra' e si dimostrera' che in questo periodo anteriore erano particolarmente
sostenuti elettoralmente da "Cosa Nostra" ad esempio gli Onorevoli Giovanni
Gioia, Salvo Lima e Vincenzo Carollo. Successivamente, un importante tramite
fra l'organizzazione, in particolare Riina ed il mondo politico, fu
rappresentato dai fratelli Buscemi, in particolare Salvatore Buscemi, imputato
e condannato nel Maxiprocesso, capo del mandamento di Passo di Rigano, e il di
lui fratello Antonino Buscemi, un noto imprenditore proprietario della societa'
Calcestruzzi. Per quanto riguarda il tema probatorio delle aspettative,
definiamole cosi', delle aspettative riposte da tutti i capi di "Cosa Nostra"
per un lungo periodo nel cosiddetto aggiustamento del maxiprocesso, cioe' nel
cosiddetto esito favorevole alla organizzazione del maxiprocesso, attraverso la
testimonianza di Cancemi si evidensiera' che personalmente Riina assicuro' agli
altri vertici della organizzazione che egli stesso si interessava di
raggiungere questo obiettivo attraverso in particolare l'Onorevole Lima. Si
evidenziera' ancora che l'Onorevole Lima era nelle mani dei Buscemi, cioe' di
quegli stessi personaggi che Cancemi in questa fase piu' recente, siamo appunto
nella seconda meta' degli anni '80, costituiscono il principale tramite tra
l'ala corleonese della organizzazione ed il mondo politico. Per quanto riguarda
i modi in cui Riina sarebbe arrivato alla Cassazione, il Cancemi potra'
riferire che il canale seguito era quello dell'Onorevole Lima e quindi
dell'Onorevole Andreotti. Questo punto in particolare potra' costituire oggetto
di riscontro in questo dibattimento attraverso tutte le testimonianze, non di
collaboratori di giustizia, ma di testimoni la piu' gran parte appartenenti al
mondo politico, i quali fornirano la prova della esistenza di un collaudato
canale tra l'imputato di questo processo, il Senatore Andreotti, e gli ambienti
giudiziari romani, in particolare la Corte di Cassazione, collaudato canale
rappresentato da Claudio Vitalone, quel Vitalone che secondo quanto risultera'
dalle ... risulta gia' dalle dichiarazioni di Sabrdella, che si trovano
inserite nel fascicolo del dibattimento, e secondo quanto risultera' da altre
testimonianze, tra cui in particolare quella di Claudio Martelli, quel Vitalone
dicevo che era considerato la longa manus di Andreotti negli ambienti
giudiziari romani e in particolare nei riguardi del Presidente Carnevale. Quel
Vitalone che, secondo altre plurime testimonianze che verranno formate in
questo dibattimento, era inoltre legatissimo fin dalla prima meta' degli anni
'70 e in periodo in cui era ancora Magistrato e svolgeva le funzioni di
Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, quel
Vitalone dicevo che era legatissimo ai cugini Antonino ed Ignazio Salvo.
Attraverso la testimonianza del Cancemi inoltre verra' evidenziato un episodio
specifico attinente ad un incontro e a un colloquio che si svolse tra lo stesso
Cancemi e Raffaele Ganci nel periodo in cui Cancemi era latitante e Ganci
andava periodicamente a trovarlo nel suo rifugio. In quel periodo la stampa
dava ampia risonanza alle dichiarazioni che erano state rese pubbliche di
Baldassare Di Maggio sull'asserito incontro tra il Senatore Andreotti e Riina,
e soprattutto sul particolare del bacio che Riina aveva dato ad Andreotti e che
naturalmente era stato comprensibilmente enfatizzato questo particolare, questo
dettaglio dagli organi di informazione. Cancemi per primo aveva manifestato una
istintiva incredulita' nei confronti di quello specifico episodio pensando che
il Di Maggio avesse raccontato delle fandonie. Fu interrotto da Raffaele Ganci,
quel capo mandamento della Noce che era uno degli uomini piu' vicini a
Salvatore Riina e che infatti ...
AVV.SBACCHI:
Presidente, chiedo scusa, se dobbiamo sentire il raccontino di
questa storia, o dobbiamo ...
PRESIDENTE:
Sta riferendo un fatto in questa circostanza, Avvocato Sbacchi.
Prego, Pubblico Ministero.
P.M.:
Io potrei anche rinunziare perche' l'intendimento dell'ufficio del
Pubblico Ministero e' senza dubbio quello della celerita' e della ...
PRESIDENTE:
Andiamo avanti, Pubblico Ministero, andi