Pagina 79 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI indi DEL VICEPRESIDENTE GIUSEPPE ARLACCHI INDICE Pag. Comunicazioni del ministro di grazia e giustizia, onorevole Alfredo Biondi, sulla situazione dell'ordinamento giudiziario e dell'ordinamento penitenziario, con particolare riferimento alle misure di contrasto della criminalità organizzata: Parenti Tiziana, Presidente ........... 81, 86, 87, 94, 95 98, 99, 103, 108, 109, 111, 113, 115, 116, 117 Arlacchi Giuseppe, Presidente ............... 91, 107, 116 Ayala Giuseppe 92, 101, 116, 117 Bargone Antonio ...................................... 104 Bertoni Raffaele .................................. 92, 95 Biondi Alfredo, Ministro di grazia e giustizia ............ 81, 86, 87, 90, 91, 92, 93, 94, 95 96, 97, 99, 100, 101, 102, 103, 104 105, 107, 108, 109, 110, 113, 116, 117 Bonsanti Alessandra ........................ 108, 109, 110 Di Bella Saverio ................................. 95, 116 Imposimato Ferdinando ............................. 93, 94 Mattarella Sergio ..................................... 91 Meduri Renato ......................................... 94 Ramponi Luigi ........................................ 110 Scozzari Giuseppe ............... 94, 97, 98, 99, 100, 116 Stajano Corrado ...................................... 117 Tanzilli Flavio ...................................... 103 Violante Luciano ...................................... 86 Comunicazioni del presidente: Parenti Tiziana, Presidente ..................... 117, 118 119, 120, 121 Arlacchi Giuseppe ............................... 120, 121 Ayala Giuseppe ....................................... 119 Bonsanti Alessandra ........................ 118, 119, 121 Di Bella Saverio ........................... 118, 120, 121 Mattarella Sergio .................................... 119 Ramponi Luigi .............................. 118, 119, 121 Scozzari Giuseppe .................................... 119 Stajano Corrado ................................. 119, 120 Pagina 80 Pagina 81 La seduta comincia alle 16. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Comunicazioni del ministro di grazia e giustizia, onorevole Alfredo Biondi, sulla situazione dell'ordinamento giudiziario e dell'ordinamento penitenziario, con particolare riferimento alle misure di contrasto della criminalità organizzata. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca comunicazioni del ministro di grazia e giustizia, onorevole Alfredo Biondi, sulla situazione dell'ordinamento giudiziario e dell'ordinamento penitenziario, con particolare riferimento alle misure di contrasto della criminalità organizzata. Ancora più in particolare, l'audizione avrà riferimento alle specifiche problematiche legate all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, alla situazione dei collaboratori di giustizia (collaboratori e testi, ovviamente) nei processi di mafia e criminalità organizzata in genere, all'attività della Direzione nazionale antimafia e delle procure distrettuali e alle questioni attinenti ai tribunali distrettuali. Su questi temi darò ora la parola al ministro di grazia e giustizia, che svolgerà una relazione al termine della quale i commissari potranno rivolgere le loro domande, in modo il più possibile sintetico, alle quali il ministro risponderà immediatamente secondo l'ordine degli iscritti a parlare. Ricordo ai colleghi che potranno svolgere un solo intervento, con il quale porre una o più domande, per consentire a tutti di rivolgere quesiti e perché non ci siano accavallamenti di questioni e di interventi. Do quindi la parola al ministro Biondi. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Onorevoli senatori, onorevoli deputati, prima di tutto rivolgo un saluto e un augurio alla Commissione. So che avete lavorato molto; questa è la prima volta che ci incontriamo e sono molto lieto di stare insieme a voi per una prima - penso - occasione di scambio di opinioni, a disposizione come sono e sarò della presidente e di tutti voi per le necessità che venissero via via colte dalla Commissione, per le quali in ipotesi possa, secondo la vostra disponibilità, essere utile l'apporto del ministro di grazia e giustizia. E' importante che questa riunione si svolga proprio alla vigilia di un importante fatto giudiziario, dove il delitto è combattuto efficacemente dal diritto: si terrà domani l'udienza preliminare del processo per la strage di Capaci. Credo che questo sia un fatto molto importante da ricordare prima di ogni altra considerazione di ordine più specifico, che mi permetterò di leggere per non esondare come faccio di solito nel corso delle mie esposizioni. Desideravo ricordarlo perché anche questo è il risultato - e mi fa piacere averlo colto in alcune dichiarazioni del collega Maroni che mi sono state lette - di un proficuo e attivo lavoro investigativo e giudiziario. Questo ha consentito a tutti noi di cogliere un momento non solo di soddisfazione ma anche di convincimento che la battaglia che si conduce da parte delle forze dell'ordine e la rigorosa attività che compete all'autorità giudiziaria sollecitano Pagina 82 il ministro a dire una parola di apprezzamento e di valutazione positiva. Faccio questa affermazione ritenendo che quel che dobbiamo fare insieme, nei rispettivi ambiti, sia il consolidamento di un rapporto per la sicurezza dello Stato contro ogni forma criminosa e criminogena, come la mafia e le altre associazioni malavitose che fanno della loro attività uno strumento non solo di delitto, di violazione di norme di carattere penale, ma anche di ulteriore potenziale squilibrio sul piano economico, sociale e civile. Il perdurare di questo fenomeno richiede un'attenzione particolare, una severità particolare e una garanzia nella severità particolare, perché il rispetto delle regole - premessa dell'azione - porta lo stato di diritto a misure e comportamenti coerenti: da un lato, ad assicurare la sicurezza e, dall'altro, a determinare le garanzie che fanno della sicurezza una delle ragioni di contrasto forte contro la mafia, che fa del delitto la sua arma mentre noi del diritto facciamo la nostra arma di risposta, che non è meno efficace, se applicata. E' con questo spirito che partecipo a questa seduta e farò qualche riferimento in ordine all'impegno del Governo su questo versante. Anche nel discorso programmatico del Presidente del Consiglio, ripetuto poi in altre occasioni, la lotta al crimine organizzato costituisce impegno prioritario per il Governo, e ciò non solo per ragioni di ordine pubblico ma anche per ragioni politiche e istituzionali. Il crimine organizzato è nato e cresciuto in assenza di una vera democrazia liberale, di un vero Stato di diritto. Come osservavano sin dal 1876 Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, la mafia vive nell'incertezza del diritto. In questa delicata fase politico-istituzionale è necessaria perciò la massima determinazione per contrastare ogni tentativo da parte della malavita organizzata di inserirsi nel processo di crescita e di sviluppo della società italiana, consolidando le posizioni acquisite nel passato. I segnali purtroppo sono ancora allarmanti, soprattutto sul fronte della criminalità economica. La mafia oggi è capace di operare attraverso strumenti apparentemente legali, assorbendo all'interno del proprio impero economico attività imprenditoriali già messe in crisi dal taglieggiamento e dall'usura. Appare quindi evidente come Cosa nostra abbia interpretato questa delicata fase della vita del nostro paese come un'occasione, forse irripetibile, per inserirsi in un circuito economico-sociale ben più ampio di quelli nei quali è abituata ad operare. D'altra parte, lo Stato, proprio in virtù del processo di crescita civile e politica che caratterizza la nostra vita pubblica, ha un'occasione unica per stroncare ogni ambizione espansionistica di Cosa nostra. Il Governo perciò intende contrastare con la massima risolutezza quei fenomeni criminosi sorti e sviluppatesi in alcune regioni d'Italia, purtroppo anche in aree del territorio nazionale e internazionale diverse da quelle tradizionali, aree una volta ritenute immuni dalla penetrazione mafiosa, dove le associazioni criminogene e criminali hanno ormai consolidato strutture organizzative ispirandosi al modello di Cosa nostra. La malavita organizzata non si sviluppa più solo secondo il tradizionale modello verticistico ma segue un modello di espansione più complesso, caratterizzato da una capacità di penetrazione a tutti i livelli della vita socio-economica. Tra l'affiliazione e l'estraneità è cresciuta una zona grigia, nella quale è faticoso distinguere il lecito dall'illecito, l'abuso dal crimine. Solo la certezza del diritto e la cultura delle regole possono consentire alla comunità di estirpare questa mala pianta. L'attività di contrasto al crimine organizzato deve mirare soprattutto alla concreta interruzione del ciclo economico malavitoso, rafforzando nel contempo l'azione repressiva attraverso nuovi strumenti investigativi. La linea politica e giudiziaria che è stata seguita finora ha portato e porta a distinguere nel complesso delle attività criminali le manifestazioni malavitose che siano espressione di stabili e strutturali organizzazioni di tipo mafioso o di altro genere. Laddove il vincolo associativo si configura come condizione dell'esercizio dell'attività criminale, il legislatore è intervenuto per Pagina 83 agevolare la rescissione del rapporto criminoso tra la mafia e gli ambienti politici, istituzionali ed economici che si erano ad essa assoggettati (e forse lo sono ancora). Numerose leggi al riguardo sono state approvate nelle passate legislature: in materia penale, di organizzazione dello Stato e degli enti locali, di appalti e subappalti, del sistema bancario e finanziario. In relazione a questa esigenza sono nati nuovi soggetti istituzionali: la Direzione nazionale antimafia, la direzione distrettuale antimafia e la DIA, che costituiscono nel loro complesso una risposta o per lo meno un'indicazione strategica, anche dal punto di vista del coordinamento, che lo Stato ha scelto per individuare e confliggere contro la unitarietà del rapporto mafioso. Questa continuità può essere combattuta anche attraverso una maggiore concretizzazione delle strutture e attraverso modalità di articolazione e di esercizio dell'attività di queste organizzazioni. Sono passati più di due anni dall'istituzione della DNA e il periodo di sperimentazione del nuovo organismo ha fatto emergere problemi interpretativi e applicativi in ordine alle norme introdotte dal decreto-legge n. 367 del 20 novembre 1991, convertito nella legge n. 8 del 20 gennaio 1992. Già lo stesso procuratore nazionale antimafia, nell'audizione del 28 aprile 1993 proprio dinanzi a questa Commissione parlamentare, evidenziava l'esistenza di alcune questioni interpretative cui dà luogo l'attuale normativa e sottolineava altresì la rilevanza di alcuni temi quale quello concernente il cosiddetto accesso al collaborante ai fini del funzionamento della struttura. In estrema sintesi si elencano alcune delle più significative questioni riguardanti la materia. In primo luogo, non vi è univocità interpretativa sull'ambito temporale dell'esercizio dei poteri del procuratore nazionale. Secondo diversi procuratori della Repubblica, l'articolo 15 del decreto-legge n. 376 del 1991 va interpretato nel senso di escludere dall'ambito di applicazione del decreto i fatti di mafia accaduti prima della sua entrata in vigore, sottraendo così alla competenza della DNA una serie di indagini preliminari rientranti nella materia che la legge le attribuisce. Su questo punto è intervenuto il Consiglio superiore della magistratura, che proprio in una relazione abbastanza recente, del 26 gennaio 1994, sull'organizzazione ed il funzionamento della Direzione nazionale antimafia, auspica un intervento normativo diretto ad estendere a tutti i procedimenti pendenti per i reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, ivi compresi quelli iscritti in data anteriore al 20 novembre 1991, (giorno di entrata in vigore del decreto di modifica della norma codicistica), l'applicazione dell'articolo 371-bis del codice di procedura penale. Quanto al diritto di accesso del procuratore nazionale al registro delle notizie di reato ed alle banche dati delle direzioni distrettuali, l'interpretazione accolta da vari procuratori della Repubblica è quella di considerare come unico momento di esplicazione del potere di coordinamento soltanto l'acquisizione di notizie, informazioni e dati attinenti alla criminalità organizzata (articolo 371-bis, comma 3, lettera c) del codice di procedura penale), negando conseguentemente al procuratore nazionale la facoltà di acquisire gli atti dei procedimenti per fatti di mafia. Su questo punto, il Consiglio superiore della magistratura, nella stessa relazione che ho già ricordato, affronta espressamente il tema contestando la linea seguita da alcuni procuratori distrettuali, auspicando interventi normativi diretti a: una ridefinizione del testo dell'articolo 371-bis per una sua più decisa armonizzazione con le essenziali funzioni di coordinamento, anche attraverso il chiarimento di precisi limiti di eventuali attività meramente promozionali della Procura nazionale antimafia, in particolare delineando con maggiore precisione i limiti dei poteri di impulso; una netta e chiara affermazione del pieno e non limitato diritto di accesso al contenuto degli atti di indagine da parte della Direzione nazionale antimafia. Passando ai rapporti tra procuratori ordinari e procuratori distrettuali, vi sono problemi di coordinamento fra le procure Pagina 84 ordinarie e le direzioni distrettuali: accade per esempio che si verifichino contrasti circa la facoltà dei procuratori distrettuali di delegare l'assunzione di atti al procuratore ordinario, come prevede l'articolo 370, nonché sul diritto del primo a conoscere fatti aventi connotati di mafiosità avvenuti nel territorio della procura ordinaria. Ciò incide anche sul funzionamento degli organi di polizia giudiziaria, che nel trasmettere l'informativa del reato possono incontrare difficoltà nell'individuare la competenza dell'uno o dell'altro organo. Criteri differenti di ripartizione degli affari fra le due procure vengono praticati dai vari uffici, e ciò a causa della generica formulazione dell'ipotesi residuale di attribuzione delle indagini alla direzione distrettuale antimafia: infatti, secondo l'articolo 51, comma 3-bis, rientrano nella competenza della direzione distrettuale antimafia anche i reati connessi "al fine di agevolare l'attività" delle associazioni mafiose. Criterio questo, però, quanto mai aleatorio, anzi talvolta ipotetico, perché non si tratta del nesso teleologico, ma di qualsiasi reato che in qualsiasi modo non sia riconducibile a moventi meramente individuali dell'associato. Come rilevato dal Consiglio superiore della magistratura nel parere reso in ordine al disegno di legge sull'istituzione dei tribunali distrettuali, tale criterio, per essere concretamente applicabile, presupporrebbe un avanzato svolgimento delle indagini da parte della procura ordinaria, con trasferimento alla direzione distrettuale antimafia solo quando emerga tale nesso. Tuttavia bisogna riconoscere che la norma è stata applicata secondo i più vari accordi tra le direzioni distrettuali antimafia e le procure locali: trattazione diretta della procura locale e trasmissione alla direzione distrettuale antimafia non appena appaia il nesso, o, al contrario, iniziale trattazione di quest'ultima e successiva eventuale trasmissione alla prima quando il delitto non risulta nel contesto dell'associazione delittuosa. Appare quindi evidente che vi sono delle misure da assumere, ed io sarò molto lieto se anche da questa Commissione arriveranno indicazioni e valutazioni che mi consentano di svolgere (o direttamente o recependo iniziative che i singoli parlamentari potranno assumere) il mio compito al fine di rendere più chiaro, meno conflittuale e - come dice il Consiglio superiore - meno ambiguo questo rapporto e affinché questa actio finium regundorum, cioè questa verifica dei rispettivi confini, avvenga in modo che non si presti né a intromissioni né a esondamenti di competenze. Quanto ai colloqui investigativi, il potere di procedere ad essi è stato ed è oggetto di fondate perplessità, evidenziate dallo stesso CSM nella relazione già indicata. Si tratta di un potere "ibrido", privo di qualsiasi regolamentazione sia con riferimento alle modalità di documentazione sia con riguardo alla utilizzazione del materiale acquisito. Attribuendo al procuratore nazionale il potere di procedere ai colloqui investigativi gli si conferisce, nella sostanza, un potere di indagine che può apparire confliggente con gli altri suoi poteri, e pone un importante interrogativo sulla generale funzione del nuovo organismo, nato essenzialmente per finalità di impulso, servizio e coordinamento. Il CSM, su questo punto, ha adottato una posizione di grande cautela, ritenendo che il colloquio investigativo debba essere ricondotto nell'alveo della generale funzione di conoscenza che tende a realizzare l'autonomia informativa e con essa il presupposto necessario per una completa azione di individuazione e coordinamento delle indagini collegate delle varie direzioni distrettuali antimafia. Lo stesso CSM sollecitava inoltre un protocollo rigido di assunzione che non deve prescindere dalla verbalizzazione, come garanzia di trasparenza, rimettendo al legislatore la decisione sulla presenza del difensore e sulla eventuale regolamentazione dell'utilizzabilità dell'atto. I problemi sopra evidenziati non possono affrontarsi in modo isolato - questa è una mia conclusione - ma vanno ricondotti nel discorso generale riguardante gli assetti organizzativi e le forme di funzionamento Pagina 85 della Direzione nazionale antimafia; va purtuttavia osservato come nessuna modifica della normativa vigente può allo stato essere concepita se prima non vengano sentiti tutti i soggetti e gli operatori che per vario verso risulteranno interessati. E questo mi sembra - anche se non è necessario che io dia suggerimenti - un compito di raccordo e di verifica delle posizioni dei soggetti con competenze e ruoli diversi che questa Commissione potrebbe utilmente esperire, aiutando così il ministro ad assumere le misure che gli competono sulla base di uno spettro di valutazioni più ampio. Per quanto riguarda la banca dati della Direzione nazionale antimafia, essa è in fase di avanzata realizzazione: è una banca dati di tipo relazionale da collegare con i sistemi informatici delle procure distrettuali, consentendo così alla DNA, con la nuova rete informativa, di svolgere in modo efficace la sua funzione istituzionale di impulso e di coordinamento. Quanto ai tribunali distrettuali, nella passata legislatura è stato presentato il disegno di legge relativo alla determinazione della competenza per i dibattimenti concernenti i reati di criminalità organizzata. Il provvedimento veniva indicato come complemento necessario all'istituzione delle direzioni distrettuali antimafia e si proponeva di razionalizzare le energie esistenti, concentrando mezzi e risorse presso le città sede di corte d'appello, di valorizzare specifiche esperienze professionali, di tutelare la sicurezza di magistrati, detenuti e collaboratori di giustizia, di decongestionare, infine, gli uffici giudicanti non distrettuali. Dei tribunali distrettuali si è discusso in una delle ultime sedute del Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica - non so se ve ne abbia già parlato il ministro Maroni -, ove è stata presa in considerazione l'idea di inviare al Consiglio superiore della magistratura un nuovo schema di disegno di legge modificato nella parte relativa alla composizione del tribunale, che verrebbe costituito a rotazione dai giudici in servizio nell'ufficio giudiziario nel quale il tribunale distrettuale è istituito. L'iniziativa è scaturita dall'intento di ottenere un nuovo parere da parte del CSM, che sul primo disegno di legge si espresse in senso contrario all'istituzione del nuovo ufficio. Le proposizioni contrarie alla proposta di costituzione del nuovo organismo, nel parere del CSM, vengono così sintetizzate: primo, benché l'intervento risulti formalmente limitato ad una modifica della competenza territoriale per taluni reati, esso si iscrive comunque in una logica di tipo emergenziale, estranea ad una visione organica dell'ordinamento giudiziario ed anzi in contrasto con la prospettiva di favorire una presenza armonica e diffusa degli organi giurisdizionali sul territorio; secondo, accentrare le competenze presso determinati organi può comportare l'effetto negativo di dar vita ad una sorta di doppia magistratura: la prima affidataria dei processi di maggiore importanza e rilievo sociale, la seconda destinataria degli affari correnti, col rischio di provocare conflittualità all'interno degli uffici, demotivazioni e alterazioni nello stesso ruolo della giurisdizione; terzo, differenziare gli interventi giurisdizionali in relazione alla diversità dei soggetti e dei reati potrebbe condurre alla previsione di giurisdizioni diverse, in contrasto con il principio di unità della giurisdizione e con la natura di potere diffuso che da tale unità deriva e che ad essa è propria. Il proposto accentramento della competenza territoriale risponderebbe non già ad esigenze presenti sull'intero territorio nazionale bensì a situazioni particolari di taluni distretti, con conseguente inopportunità di tradurre in norma generale una sollecitazione nascente da spinte locali. Sempre secondo il Consiglio superiore, le esigenze di concentrazione, specializzazione, sicurezza ed efficienza possono trovare una diversa soluzione, più rispettosa del principio del giudice naturale, più compatibile con le necessità di razionalizzare l'organizzazione della giurisdizione sul territorio e più produttiva di cultura investigativa diffusa. A riguardo, viene fatto presente che la normativa istitutiva Pagina 86 della Direzione nazionale antimafia e delle direzioni distrettuali antimafia ha molteplici possibilità espansive, che occorre avere presenti e valutare a fondo prima di accedere a settoriali modifiche ordinamentali. In sostanza, si sostiene che il lavoro iniziato si trova ancora in una fase di sviluppo: ne consegue che gli interventi normativi finalizzati a contingentare tale lavoro potrebbero finire per limitarne le potenzialità espansive. L'istituzione dei cosiddetti tribunali distrettuali contribuirà ad accentuare l'elefantiasi dei grandi uffici, già oggi difficilmente governabili. Si pensi al caso di Napoli, dove si è dovuto ricorrere all'istituzione di un'apposito organismo per la gestione ordinaria degli immobili. Gli argomenti a sostegno, come quelli contrari, all'istituzione del nuovo ufficio sono certamente fondati su ragioni obiettivamente valide. LUCIANO VIOLANTE. Perché parla di nuovo ufficio? Si tratta solo di una modifica connessa alla competenza per territorio. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Certo, ma dal punto di vista della formazione di questo organismo occorrerà incidere sull'ordinamento giudiziario, in modo da destinare soggetti attualmente impiegati in una funzione e in un ruolo diversi ad una struttura che avrà la natura di un ufficio riassuntivo di una competenza più vasta che sarà attribuita. Non sarà un nuovo ufficio, ma si tratta comunque di competenze nuove. Mi pare che l'argomentazione evidenziata dal Consiglio superiore della magistratura... LUCIANO VIOLANTE. Mi scusi, ministro, ma questo è un punto importante. Forse parliamo di cose diverse... ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Io sto parlando dei tribunali distrettuali. PRESIDENTE. State parlando della stessa cosa, sia pure definendola in modo diverso. LUCIANO VIOLANTE. Il tribunale distrettuale implica soltanto competenza per territorio... ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Questo l'ho detto! LUCIANO VIOLANTE. ...poi i processi vengono distribuiti normalmente tra le singole sezioni. Quindi, non c'è un ufficio. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Attraverso la competenza si realizza una struttura che ha una natura diversa da quella precedente. LUCIANO VIOLANTE. Per i reati tributari e per quelli di borsa è così; eppure non vi è stata alcuna modifica! ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Io sto citando il parere del CSM... LUCIANO VIOLANTE. Lo conosciamo. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Va bene, lo conoscete, ma... LUCIANO VIOLANTE. Il problema è se il ministro pensa ad un nuovo ufficio o soltanto ad una competenza per territorio. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Questa non è la mia opinione, perché la mia opinione circa l'opportunità dei tribunali distrettuali non l'ho ancora espressa. Ho solo citato le valutazioni, che qualcuno considera positivamente, formulate dal CSM. Ho anche detto che nascerà da una iniziativa comune, che è stata messa in cantiere in seno al Comitato per l'ordine e per la sicurezza pubblica, una proposta che sottoporremo al parere del CSM. LUCIANO VIOLANTE. E' già stata trasmessa al CSM! Pagina 87 ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. E' stata mandata al CSM. Si tratta di un'impostazione che, dal punto di vista strutturale, non modifica un ufficio ma che invece comporta modifiche sotto il profilo della competenza; richiede quindi l'utilizzazione di soggetti che dovranno essere spostati da un'ufficio all'altro per avere la possibilità di svolgere il maggior numero di processi in un'area diversa rispetto a quella in cui questi ultimi potrebbero tenersi normalmente. PRESIDENTE. Eventuali osservazioni potranno essere rivolte al ministro al termine della sua relazione. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Appare opportuno inserire la problematica dei tribunali distrettuali nel contesto più ampio delle modifiche ordinamentali, per evitare i rischi di iniziative isolate e disancorate dalle linee di fondo che dovranno essere delineate dalle commissioni già costituite. Al riguardo, sono significativi i dati risultanti dall'attività di monitoraggio della Direzione generale degli affari penali con riferimento alle pendenze dei procedimenti penali per delitti di criminalità organizzata di stampo mafioso. Risulta, infatti, che nel 1993 presso gli uffici giudicanti pendono complessivamente 659 procedimenti per delitti di criminalità organizzata, di cui 495 (pari al 75,4 per cento) negli uffici sede di capoluogo di distretto e 164 (pari al 24,6 per cento) nei restanti uffici giudicanti. Da tali dati è possibile dedurre che, a fronte di modifiche strutturali e organizzative di portata complessa, quali quelle conseguenti alla necessità di rivedere gli organici dei tribunali locali, di dilatare quelli dei tribunali dei capoluoghi distrettuali e di moltiplicare presso tali sedi il numero delle corti di assise, l'effetto positivo per i sostituti delle direzioni distrettuali antimafia sembrerebbe assai modesto in rapporto al contenuto numero dei procedimenti da celebrare presso i tribunali periferici. Quanto al trattamento processuale e penitenziario dei collaboratori di giustizia, sotto l'aspetto processuale la questione delle verifiche sulle dichiarazione dei collaboratori va approfondita e studiata adeguatamente per stabilire se sia possibile pervenire a soluzioni più soddisfacenti e rigorose rispetto a quelle previste dall'articolo 192 del codice di procedura penale. E' indubbio, infatti, che il concetto di "riscontro" subisce troppo spesso difformi e non sempre condivisibili interpretazioni, anche se la professionalità e lo scrupolo della magistratura costituiscono una garanzia di obiettività rispetto alla difficile valutazione di questo elemento. Sotto l'aspetto del trattamento penitenziario, va attuata la separazione degli organi di investigazione da quelli di protezione, rivedendo nel suo complesso la disciplina elaborata dalla legge n. 82 del 1991, anche per ciò che riguarda i compiti della commissione centrale costituita d'intesa tra i Ministeri dell'interno e di grazia e giustizia. La materia dei collaboratori di giustizia è comunque oggetto di esame congiunto da parte dei Ministeri di grazia e giustizia e dell'interno i quali, nel gennaio 1994, hanno costituito un gruppo di lavoro composto da rappresentanti dell'uno e dell'altro dicastero. Il gruppo ha elaborato uno schema articolato riguardante la protezione dei collaboratori di giustizia, che sarà licenziato dopo gli opportuni e congiunti approfondimenti, non appena perverrà il parere della commissione centrale. Lo schema di provvedimento, previsto dall'articolo 10 del decreto legislativo n. 8 del 15 gennaio 1991, contiene alcune proposte significative, quali: la previsione che, prima della formulazione della proposta di programma di protezione, il procuratore della Repubblica acquisisca dal collaboratore di giustizia una dichiarazione (cosiddetta dichiarazione di intenti) contenente l'indicazione dei fatti rilevanti a sua conoscenza dei quali intende riferire e idonea, perciò, sia a consentire un primo esame sulla serietà e qualità del contributo sia a modulare consapevolmente gli interventi processuali e di protezione da adottare; la previsione che la dichiarazione di intenti sia trasmessa al procuratore antimafia perché Pagina 88 questi, grazie ai poteri di coordinamento e di conoscenza di cui dispone, favorisca i contatti con i magistrati delle diverse procure distrettuali eventualmente interessati alle dichiarazioni del collaboratore, coordinando l'utilizzazione processuale di queste ultime e valutando, infine, la rilevanza in relazione alle misure di protezione che dovranno essere deliberate dalla commissione. Le proposte contenute nel citato schema di regolamento, pur non avendo carattere esaustivo (ponendosi in sede di normazione secondaria), consentono di affrontare i temi processuali dell'utilizzazione e delle verifiche di attendibilità e costituiscono un primo passo verso la strada della "razionalizzazione" e del rafforzamento sistematico della normativa in tema di collaboratori di giustizia. Per quanto attiene all'ordinamento penitenziario, la politica penitenziaria sviluppata dall'attuale e dai precedenti governi negli ultimi anni ha operato una restrizione dell'ambito applicativo dei benefici penitenziari nei confronti dei soggetti condannati per delitti di natura mafiosa. Deroghe al regime di maggior rigore sono previste solo dinanzi ad un atteggiamento di collaborazione processuale indicativo dell'avvenuto superamento dei legami con le associazioni criminali di appartenenza. Può quindi dirsi che il regime penitenziario è particolarmente attento alle esigenze di sicurezza della collettività e che esso non merita attualmente, per i detenuti più pericolosi, alcuna revisione. Resta tuttavia l'opportunità di pensare ad una complessiva revisione delle norme ordinarie di ordinamento penitenziario per assicurare al sistema una maggiore organicità e ridurre il pesante sovraffollamento che impedisce qualsiasi seria politica di trattamento rieducativo. Di tali norme si è ritenuta necessaria una urgente anticipazione, specie per ciò che riguarda i presupposti e le caratteristiche di alcune misure alternative alla detenzione. Il disegno di legge in materia penitenziaria, attualmente all'esame del Governo, costituisce pertanto un primo passo - per la verità non ancora avanzato - verso l'obiettivo della razionalizzazione e, nel contempo, rappresenta una risposta ad alcune delle esigenze più impellenti del mondo delle carceri. Il fine principale delle nuove previsioni è quello di raggiungere negli istituti penitenziari un trattamento personalizzato attraverso la revisione dei presupposti di ammissibilità delle misure alternative, ancorandole ad una pericolosità attuale ed effettiva e sensibilizzando maggiormente la magistratura di sorveglianza e i centri di servizio sociale ad una più attenta osservazione, nel contempo potenziando e valorizzando il ruolo della polizia penitenziara. Si tratta comunque di ampliamenti che non contrastano con le esigenze di sicurezza della collettività, ma che possono ridurre le tensioni carcerarie ed il sovraffollamento degli istituti penitenziari. Le esigenze della sicurezza e quelle della garanzia, in una società come la nostra, rappresentano due facce della stessa medaglia ed esigono una realtà articolata che porti ad una modificazione significativa, anche attraverso l'adozione di circuiti differenziati. A tale riguardo va precisato che l'obiettivo da conseguire in tempi brevi è quello della netta separazione dei detenuti giudicabili dai definitivi e, all'interno delle due grandi aree, dei detenuti giovani e adulti meno pericolosi dagli ultraventicinquenni e più pericolosi. Dovrà essere altresì assicurata la diversificazione di istituti per detenuti comuni e istituti riservati a detenuti ad alto indice di pericolosità. Per quanto riguarda l'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (norme sull'ordinamento penitenziario), esso è applicabile nei confronti dei detenuti più pericolosi. Il nucleo originario della norma, costituito oggi dal primo comma, venne introdotto nel 1986 (con la cosiddetta legge Gozzini) per fronteggiare situazioni generiche ed episodiche di turbamento all'interno delle carceri. In origine, la ratio della norma era quella di porre rimedio a stati transitori di crisi di origine ambientale e non legati a particolari fenomeni di permanente illegalità, realizzata Pagina 89 nel circuito carcerario dalla criminalità organizzata. Ben diverse sono, invece, l'origine e la ratio della norma aggiuntiva (introdotta con il cosiddetto decreto legge Martelli nel 1992). Il secondo comma, infatti, si differenzia dal primo per due caratteristiche: mira a fronteggiare non già situazioni di emergenza interne alle carceri, ma piuttosto una situazione di pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica esterni (tanto che è espressamente previsto, e istituzionalizzato, il potere di richiesta del Ministero dell'interno); tale situazione di pericolo per l'ordine e la sicurezza è intimamente connessa al potere illegale esercitato, anche all'interno del sistema carcerario, da soggetti appartenenti alla criminalità organizzata, specie di tipo mafioso, ovvero da soggetti responsabili di altri gravissimi delitti, costituenti pure, normalmente, espressione del crimine organizzato. Il secondo comma dell'articolo 41-bis è quindi ancorato alla capacità della criminalità organizzata di infiltrarsi nel circuito penitenziario con indubbi pericoli per la tenuta della legalità all'interno delle carceri e con propagazione all'esterno di impulsi criminosi. La norma rappresenta perciò la risposta dello Stato ad una situazione di minaccia per la sicurezza interna ed esterna alle carceri, e la sua efficacia temporale (limitata a 3 anni) è geneticamente collegata al permanere del pericolo rilevato. Spetta, dunque, al Governo, nella sua collegialità, ed al Parlamento verificare lo stato della sicurezza, che non è, come già detto, solo quello dei e nei penitenziari, ma anche quello più generale della collettività (ed in questo senso deve essere acquisito anche il parere del ministro dell'interno), per decidere sulla proroga dell'efficacia della norma che, proprio per le sue connotazioni oggettive e per le ragioni che ne determinarono la nascita, non può che essere di natura temporanea, anche se non sembra il caso, in questo momento, di mettere in discussione la permanenza delle motivazioni che ne determinarono la previsione e che, purtroppo, sono tuttora sussistenti. Stamane ho saputo che è stata presentata una proposta di legge parlamentare per rendere - per così dire - definitiva la norma. Ho un'opinione che in questo momento non esprimo, ma apprezzo tutte le iniziative che consentono, nell'ambito di un confronto, di valutare il limite della protrazione e la necessità, in un momento come questo, di non abbassare la guardia né di dare la speranza che la guardia possa essere abbassata di fronte al perdurare di un pericolo la cui sussistenza è purtroppo ancora viva e produttiva di gravi rischi per la collettività in generale. Non vi sono, quindi, all'interno del Governo, problemi che non debbano essere valutati nella collegialità e nella responsabilità di non cedere a tentazioni che apparentemente possono sembrare legalitarie ma in realtà potrebbero determinare un grave rischio per il protrarsi delle condizioni che tuttora sussistono e che riceverebbero un'incentivazione nel caso in cui avessimo la debolezza di non rispondere in termini di grande fermezza. Questa è - lo ripeto - l'opinione del ministro guardasigilli; al momento opportuno, la confronterò con il ministro dell'interno e con gli altri responsabili della politica governativa ed avremo con il Parlamento il rapporto necessario per esaminare tutte le strutture e gli strumenti che potranno essere ritenuti validi nel momento in cui dovremo assumere una determinazione. Su un piano più strettamente operativo, va osservato che la giurisprudenza della Corte costituzionale, seguita poi dalla Corte di cassazione, prevede la reclamabilità e la sindacabilità dei provvedimenti con i quali l'amministrazione penitenziaria, ai sensi dell'articolo 41-bis, comma secondo, dell'ordinamento penitenziario, disponga la sospensione delle normali regole di trattamento nei confronti di determinati detenuti (quelli caratterizzati da questo tipo di potenzialità criminosa). Il reclamo, in applicazione analogica dell'articolo 14-ter del suddetto ordinamento, va proposto al competente tribunale di sorveglianza. Quest'ultimo, chiamato a pronunciarsi a seguito del reclamo, verifica, da un Pagina 90 lato, se il provvedimento possa essere ricollegato ai fatti ed alle situazioni addotti dal Ministero come causa del suo intervento e, dall'altro, se le limitazioni imposte appaiano funzionali al perseguimento dell'obiettivo finale dell'atto amministrativo. La disamina delle numerose pronunce della magistratura di sorveglianza in tema di legittimità dei provvedimenti adottati consente di rilevare alcuni elementi significativi, che desidero sottolineare in questa sede. In linea generale, viene affermata la legittimità del decreto di differenziazione, ritenendo in tal modo giustificato l'intervento del ministro. Vengono invece dichiarate inefficaci le limitazioni più significative, perché ritenute non idonee allo scopo sotteso alla ratio del provvedimento, che è quello di ridurre al minimo i contatti del detenuto con l'esterno, per evitare pericolose interferenze con attività criminali di tipo associativo, gestite in libertà da altri. Di norma sono dichiarati inefficaci: il divieto di corrispondenza telefonica con familiari e conviventi, perché si ritiene che la facoltà di audizione e di registrazione riduca il rischio di interferenze nell'attività delittuosa (si tratta di cose che nascono dalle interpretazioni giurisprudenziali e che segnalo solo perché la Commissione ne tenga conto); il divieto di colloqui ordinari con familiari e conviventi eccedenti il numero di uno al mese per la durata di un'ora, poiché le modalità del colloquio (vetri di separazione) e la possibilità di renderlo, oltre che visivo, anche auditivo non aumentano i pericoli di intervento criminale; il divieto di acquisto di generi alimentari che richiedono cottura, perché non si rileva alcun aggancio con le finalità perseguite dal provvedimento ministeriale; il limite di due ore per fruire del passaggio all'aria, poiché si ritiene che la prescrizione non abbia alcun riflesso sulla sicurezza esterna. Sulla base di queste valutazioni di ordine giurisprudenziale e attuativo e di tale orientamento, è stata segnalata la necessità di raccogliere ogni utile informazione, presso le autorità giudiziarie e di polizia, che possa servire a giustificare l'efficacia del provvedimento, in modo da motivarlo adeguatamente e renderlo insuscettibile di censura da parte degli organi giurisdizionali. Si tratta di un fatto molto importante al fine di evitare che, a causa dell'adozione di misure che possono avere un carattere meramente afflittivo, si metta in discussione il bene primario rappresentato dall'isolamento "stagno" del soggetto che può essere ancora pericoloso all'esterno. Su tale linea è impegnata l'amministrazione, che si pone come prioritari i problemi di sicurezza dei detenuti più pericolosi, e intende perciò assumere tutte le iniziative che si renderanno utili per evitare che questi detenuti possano provocare illeciti all'interno del carcere ovvero far entrare dall'esterno oggetti vietati e che essi possano svolgere opera di propaganda criminale o di proselitismo, offrendo protezione o aiuto ad altri detenuti, ovvero strumentalizzandoli o ricattandoli, acquisendo, in tal modo, rispetto o posizioni di supremazia o privilegio. In questo senso, si intende operare, come già detto, mediante la realizzazione di circuiti differenziati, che consentirà di separare questi detenuti dagli altri e, nel loro ambito, i capi dai gregari, nonché di custodire i capi, ossia coloro che hanno un grado più alto nella gerarchia militare, in istituti lontani dalle città e regioni di provenienza, perché ciò rende loro più difficili i collegamenti con gli ambienti sui quali esercitavano influenza e inoltre determina un serio colpo al loro "prestigio criminale". PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIUSEPPE ARLACCHI ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Proprio questo malinteso "prestigio criminale" è spesso una delle ragioni che avvincono ancora in stato di cattività coloro che possono, da questo abbassamento di prestigio, far derivare anche una minore capacità di adesione o di soggezione. Quella che ho fatto è una prima elencazione - forse un po' troppo minuziosa e Pagina 91 parziale - che quindi non è esaustiva dei problemi molto gravi che abbiamo di fronte e che dovremo affrontare, come ho detto all'inizio, insieme, con grande confidenza, reciproca fiducia e fattiva collaborazione. Vi ringrazio per l'attenzione. PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Biondi per la sua esposizione. SERGIO MATTARELLA. Vorrei chiedere al ministro soltanto un chiarimento, perché mi è parso di cogliere una differenza di opinione rispetto a quanto ha affermato questa mattina il ministro dell'interno circa il regime carcerario. Questa mattina il ministro Maroni ha sostenuto di essere favorevole ad una trasformazione in norma permanente e a regime della famosa disposizione di cui il ministro Biondi ci ha appena parlato, incontrando consensi negli interventi svolti in Commissione. Personalmente sono favorevole a quanto ha affermato questa mattina il ministro Maroni e desidero chiedere al ministro Biondi un chiarimento su un aspetto che non ho ben compreso: dapprima egli ha affermato che la norma in questione non può che essere di per sé transitoria e successivamente ha detto che non avrebbe espresso la sua opinione. Vorrei allora comprendere quale sia l'opinione del ministro e se egli non ritenga che una norma del genere, perennemente transitoria, possa provocare, tra le altre conseguenze negative del suo carattere transitorio, l'insorgere, ad ogni scadenza, di campagne intimidatorie, che dispongono degli strumenti delittuosi che ben conosciamo. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Premetto che ho soltanto letto notizie di agenzia, perché sono appena arrivato da Genova e non vi era stato tra noi alcun coordinamento sulla posizione relativa alla determinazione dello stato di permanenza della misura in questione. Quella del ministro Maroni è un'opinione rispettabile, e ho detto che le decisioni saranno assunte dal Governo nella sua collegialità. Quando ho affermato che si tratta di una norma che per sua natura è attualmente temporanea, ho detto qualcosa di ovvio e di lapalissiano: comunque, trattandosi di una norma a termine, essa potrà essere prorogata fissando un altro termine congruo oppure resa definitiva e permanente senza prevedere termini ad quem. PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Si tratta conseguentemente di un problema di carattere politico, che il Governo affronterà certamente; la mia opinione è che misure di questo tipo, che attengono ad una modalità con la quale nella vita carceraria si differenzia un soggetto dall'altro, obbediscono a motivi particolari che le legittimano ed anzi le impongono. Da questo punto di vista, non ho dubbi circa la necessità della reiterazione della norma. Quanto ai termini della stessa reiterazione, mi sarà consentito di avere un'opinione che evidenzierò dopo aver effettuato un'ulteriore valutazione, anche sulla base di ragionamenti e di dialoghi con altri colleghi all'interno e al di fuori del Governo. Allo stato, ritengo di poter dichiarare che le motivazioni che hanno reso presente e attivo l'articolo 41-bis e che permarranno fino alla scadenza del 1995, purtroppo sussistono tuttora; di conseguenza, quello della reiterazione non è un problema che si pone al Governo e al ministro di grazia e giustizia. L'entità della reiterazione formerà oggetto di una mia attenta considerazione, senza preclusioni ma anche senza anticipi di valutazioni che finora non ho compiuto. Apprezzo naturalmente l'opinione del ministro Maroni, che sonderò meglio nell'ambito dei rapporti intercorrenti tra noi; se poi mi formerò un'opinione più precisa verrò a riferirne in Parlamento o presso questa stessa Commissione, se sarò chiamato a risponderne. Pagina 92 GIUSEPPE AYALA. Portando questo discorso alle estreme conseguenze potremmo "temporizzare" l'articolo 416-bis del codice penale. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Mi sono riferito ad un nesso di temporaneità, non di usualità; alla scadenza una norma può essere o meno reiterata, ed io ritengo che debba essere reiterata. Quanto ai tempi, mi riservo una valutazione. Certamente, sarebbe bello se non vi fosse l'articolo 416-bis, naturalmente nel caso in cui la mafia fosse sconfitta definitivamente; il fatto stesso che si tratti di un articolo 416-bis significa che c'è un articolo 416. RAFFAELE BERTONI. Proprio su questo argomento ho presentato questa mattina un disegno di legge al Senato, come hanno fatto d'altra parte i colleghi progressisti alla Camera, che tende ad abrogare l'articolo 29 della legge del 1992 che fa cessare dopo tre anni - quindi nell'agosto prossimo - l'articolo 41-bis, in modo che quest'ultimo entri a regime. Nel rivolgere al ministro due domande, devo rilevare innanzitutto che mi sembra chiaro che il suddetto articolo 29 volle dare all'articolo 41-bis un carattere eccezionale; ma poiché la mafia esiste, evidentemente l'articolo 41-bis deve seguire la mafia stessa e non può ragionevolmente seguire una previsione di cessazione del fenomeno mafioso, tant'è vero che a due anni di distanza ci accorgiamo che la mafia non è affatto finita e che non è cessata la sua pericolosità né quella dei detenuti mafiosi. Chiedo allora al ministro Biondi una risposta precisa, che in sostanza egli ha dato, ma almeno per me (e credo anche per altri, visto che anche l'onorevole Ayala ha espresso un'opinione simile) non è soddisfacente. Allora, il punto centrale consiste nell'affermare che, fino a quando la mafia esisterà, vi sarà questo regime per i detenuti mafiosi; appena la mafia avrà cessato di essere pericolosa come è oggi, la legge potrà essere modificata. In caso contrario, si farà un'altra previsione che poi potrà rivelarsi sbagliata, con un grave pericolo, come giustamente rilevava l'onorevole Mattarella, per la credibilità dello Stato nei confronti dei mafiosi. Vi è poi un altro aspetto importante, su cui ho insistito nella relazione introduttiva al mio disegno di legge e che ora sottopongo al ministro: vorrei sapere se quest'ultimo ritenga che il disegno di legge si debba esaminare nell'imminenza della scadenza oppure subito, senza attendere la scadenza stessa. A mio avviso, infatti, se non si procede subito, si continuano a favorire le polemiche che falsi garantisti, a cominciare da Tiziana Maiolo, che ricopre una carica istituzionale importantissima, hanno messo in giro quest'anno, e soprattutto si fomentano e si favoriscono le aspettative dei mafiosi. Questo lo Stato non può permetterselo! Vorrei quindi dal ministro Biondi una risposta precisa circa l'opportunità di esaminare subito il disegno di legge, così come in modo preciso ci ha risposto il ministro Maroni il quale ha affermato che, per quanto lo riguarda, lo farebbe subito. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Senatore Bertoni, lei ritiene che le risposte precise siano quelle che corrispondono ai suoi desideri (Commenti del senatore Bertoni). Ho dato una risposta precisa. Ho letto del suo disegno di legge su notizie di agenzia e lo leggerò poi nella sua interezza, inclusa ovviamente la relazione introduttiva, che immagino sia, come sempre, convincente. Per quanto riguarda le determinazioni che il ministro di grazia e giustizia in questo momento intende assumere, si è trattato soltanto di un'anticipazione, perché la decisione competerà al Governo, sentito il ministro dell'interno, quando sarà il momento di farlo. Naturalmente, si potrà procedere anche prima, perché non è escluso che si possa decidere prima l'adozione di una norma che dia una maggiore, non garanzia, ma certezza, perché la garanzia circa la volontà del Governo di lottare contro la mafia non è seconda a Pagina 93 quella di nessuno, né quella del ministro è seconda a quella di altri, e non è con le declamazioni che si combatte la mafia. Credo nella mia vita privata di aver fatto qualcosa che lo dimostri. Comunque, il problema, che voglio superare da questo punto di vista, è che si tratta di stabilire se una legge che ha una scadenza debba averne un'altra successivamente, una volta reiterata. Esaminerò con tutta l'attenzione, non solo per rispetto delle opinioni altrui, l'utilità di uscire - come diceva il collega Mattarella - da una situazione in cui si creano rischi anche per le persone, perché non è detto che un ministro quando afferma che reitererà, come io farò, un decreto non corra rischi al pari degli altri: le minacce sono uguali per tutti. E c'è chi le riceve più di una volta in una settimana. Una indicazione che crei una cesura tra le diverse aspettative può darsi che sia essenziale. Ritengo doveroso in questa fase, parlando in una Commissione, dire che il ministro guardasigilli si farà carico di sottoporre al Governo una proposta di reiterazione, i cui termini saranno valutati collegialmente. Ovviamente, se ci sarà anche da parte del Parlamento una richiesta di decisione più ravvicinata, se il Governo stesso la riterrà utile, perché si possa procedere con maggiore speditezza, posso garantire che non ho alcun freno su questa linea di possibile ed ulteriore chiarimento. FERDINANDO IMPOSIMATO. Riprendo il discorso relativo all'articolo 41-bis per ricordare ai colleghi, e soprattutto a me stesso, due questioni. Come voi certamente ricorderete, c'è stata una presa di posizione del capo di Cosa nostra, Totò Riina, rispetto all'articolo 41-bis, e ciò mi sembra estremamente significativo. Vorrei ricordare che durante le indagini svolte dalla Commissione antimafia nel corso della XI legislatura è emerso in maniera abbastanza evidente che alcune delle stragi che sono state consumate negli anni 1992 e 1993, ma soprattutto nel 1993, si collegavano all'esigenza di indurre lo Stato a modificare il regime carcerario in ordine all'articolo 41-bis. Vorrei anche aggiungere che nella lotta al terrorismo il problema dell'isolamento dei terroristi ha portato a diversi omicidi, come quello di Tartaglione ed altri. Vedo, quindi, una strategia mafiosa diretta all'eliminazione dell'articolo 41-bis. Fatte queste osservazioni, che credo siano basate su dati ufficiali, vorrei sapere dal ministro - senza violare il segreto istruttorio, dal momento che gli organi di stampa ne hanno parlato - se è a conoscenza del fatto che da parte della DIA e di organi dell'autorità giudiziaria sono stati svolti accertamenti che hanno stabilito che alcune stragi sono state commesse proprio al fine di indurre lo Stato a modificare il regime carcerario ed abrogare l'articolo 41-bis. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Desidero rispondere dicendo che ho una conoscenza non ufficiale, non avendo avuto comunicazioni che mi abbiano messo in condizione di acquisire questi dati, tanto della DIA quanto dell'autorità giudiziaria, come riferiti dagli organi che lei ha ricordato. So che esistono motivazioni che attengono a questa finalità e possono avere avuto questo impulso, ed è per questo che mi sono permesso di dire poco fa, non con una battuta ma con la volontà di non ritenermi estraneo al problema o allergico alla sua soluzione anche più radicale, che ne terrò conto perché so che un'aspettativa determina uno stimolo, una domanda che si avvicina alla parte finale per ottenere magari una preoccupante posizione di attesa, che anch'io temo. Esaminerò, quindi, molto presto con il ministro Maroni, anche per la chiarezza con cui ha espresso le sue opinioni e con altri colleghi le misure da adottare in un aperto dialogo con il Parlamento, anche in relazione agli strumenti attivati. Si tratta infatti di un argomento che, come ho già detto altre volte, riguarda non soltanto il Governo, ma anche la sicurezza dell'intera collettività e che quindi coinvolge anche l'opposizione. Al riguardo non vedo alcuna differenziazione di ruoli e ritengo estremamente utile che ci sia apertura e - mi Pagina 94 sia permesso di dire - confidenza e fiducia sugli strumenti da adottare. Vorrei assicurare la Commissione che in merito non vi è alcuna posizione aprioristica. FERDINANDO IMPOSIMATO. Lo spero bene! ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Posso avere un'opinione sbagliata ma non per questo sono intriso dall'errore fino alla morte. RENATO MEDURI. Signor ministro, come lei sa, sono un senatore di Reggio Calabria. Lei ultimamente ha ricevuto, forse subito prima delle ferie estive, i membri del consiglio dell'ordine degli avvocati di Reggio Calabria che hanno protestato per l'assoluta carenza degli organici al palazzo di giustizia di Reggio Calabria. Credo che anche nella lotta alla mafia uno dei pilastri principali sia rappresentato dalla possibilità di rendere giustizia celere a tutti i cittadini anche per evitare che essi si rivolgano ad altre forme di giustizia. So che a volte vi è l'impossibilità di celebrare processi, e del resto difficoltà se ne incontrano nel palazzo di giustizia di Reggio come del resto in quello di Palmi. Ci troviamo in un territorio particolare e credo che una situazione di carenza di organico, ad esempio, nel palazzo di giustizia di Parma potrebbe sussistere senza creare i danni che determina in quello di Reggio Calabria. Come prima domanda le chiedo cosa intende fare lo Stato, il Governo, per sanare questa situazione con urgenza assoluta, privilegiandola rispetto ad altre. Vorrei anche sapere se il Governo non ritiene di cominciare a guardare ad una possibile riforma degli ordinamenti che preveda la temporaneità della presenza dei magistrati sul territorio. Ritengo che non sarebbe inopportuno se si pensasse a riformare le regole per unificarle a quelle che prevedono la sostituzione dei questori e dei prefetti o di altre autorità dello Stato a scadenze determinate. Una soluzione del genere, tra l'altro, eviterebbe al magistrato tutta una serie di difficoltà che nascono dalla sua permanenza, dall'inizio alla fine della carriera, sul territorio (Commenti del deputato Scozzari). PRESIDENTE. Ognuno ha diritto di esprimere le proprie opinioni senza per questo suscitare ilarità. GIUSEPPE SCOZZARI. Per carità! PRESIDENTE. Un minimo di rispetto! RENATO MEDURI. Un'attenzione particolare il Ministero di grazia e giustizia dovrebbe riservarla alla situazione carceraria di Reggio Calabria. Come è noto, a Reggio vi è un carcere costruito cento anni fa, che ha un organico assolutamente carente. Al pari di altre città italiane, a Reggio c'è stata una protesta per le condizioni assolutamente non civili in cui sono costrette a vivere le persone recluse nel carcere di quella città. Lei sa che a Reggio, come in altre città del sud, in estate si raggiungono temperature di 40 gradi all'ombra; quando ho visitato quel carcere, il direttore mi ha detto che la sera era costretto per carenze d'organico a far chiudere i blindati, impedendo così la circolazione di aria e determinando gravi difficoltà non solo per chi deve avere un regime carcerario duro ma anche per chi deve scontare una pena non particolarmente grave. Anche queste situazioni creano difficoltà e vanno osservate con un occhio particolare. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Per quello che si riferisce alla carenza di organici e alle difficoltà oggettive in cui purtroppo si trovano le carceri di Reggio Calabria ed anche di altre città, posso dire che in questi giorni ho preso contatto con il nuovo vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, in quanto, come è noto, in questa materia il ministro ha molte responsabilità e pochi poteri dal punto di vista attuativo e dispositivo. L'ultimo concorso non è ancora concluso per diversi motivi, tra i quali le difficoltà di natura economica che incontrano le commissioni, la mancanza del numero Pagina 95 legale dei commissari d'esame o altre situazioni penose che a volte si sono determinate, così come mi è stato riferito dal precedente vicepresidente. Comunque, tutte le misure che potranno servire ad accelerare un reclutamento più rapido, a sveltire e ad incentivare il completamento di organici saranno adottate nel modo più semplificato possibile, anche facendo ricorso ad uno screening informatico preliminare per concentrarsi poi su coloro che, avendo superato questo primo barrage, avranno la possibilità di essere più rapidamente assunti. Quanto alle zone dove la criminalità organizzata, ed anche disorganizzata, è molto forte e che per questo necessitano di una risposta giudiziaria, e non solo di polizia, più forte e più continua, farò tutto il possibile non limitandomi a fare ricorso al volontariato dei molti magistrati, soprattutto giovani, che hanno scelto sedi disagiate. Quei giudici, che qualcuno ha chiamato "giudici ragazzini", in realtà hanno assunto posizioni pericolose, rischiose, di prima linea. Quindi, se sarà possibile agire in quella direzione certamente lo farò, mentre non sarei d'accordo sul richiamato criterio della limitazione temporale, cogente, già prevista, come si trattasse di funzionari dello Stato. Si tratta, sì, di funzionari dello Stato, ma di altro livello, con altra funzione ed appartenenti ad un ordine che ha come essenzialità l'indipendenza, e quindi con la necessità che tutto ciò che attiene alla loro presenza e alla loro mobilità debba avvenire in modo migliore, magari modificando quella riforma del 1941 che, salvo le modifiche successive, è ormai antica ed antiquata, avendo di mira un nuovo dialogo con il Consiglio superiore della magistratura che ci consenta di utilizzare le professionalità e le capacità più idonee ad una società moderna, come la nostra, che non richiede che dalla culla alla tomba si debba stare nella stessa pretura. Questo problema va affrontato senza mettere in discussione il principio della inamovibilità che vuol essere un principio di garanzia per chi giudica ed anche per chi è giudicato, perché l'effetto dell'indipendenza è bilaterale. RAFFAELE BERTONI. Altrimenti figuriamoci Di Pietro dove starebbe a quest'ora! PRESIDENTE. Farebbe il ministro! ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Credo che il dottor Di Pietro stia bene dove sta. Quanto alla situazione carceraria di Reggio Calabria, purtroppo c'è da dire che è analoga a quella di altre città. La riforma del sistema carcerario non deve tradursi in una pezza colorata su questo o quel caso ma deve essere vista nel più ampio spettro di soluzioni. Anche dal punto di vista dell'attualità, si può intervenire con strutture particolari che stiamo cercando di mettere in cantiere - è proprio il caso di dire così - con il Ministero dei lavori pubblici, con un sistema più semplice di utilizzo di strutture prefabbricate o fabbricate in modo tale che possano aderire (ma non so se a Reggio Calabria sia possibile) a strutture carcerarie che abbiano una consistenza più significativa. Mi riferisco a strutture che possano essere realizzate per altri soggetti, per soddisfare cioè particolari e più limitate esigenze; pensiamo a chi ha la semilibertà, a soggetti per i quali vi è la possibilità di una soluzione che non affolli il carcere e liberi da quella asfissia carceraria che lei poco fa denunciava. In proposito vi è la volontà del Governo di agire in maniera coordinata: sto preparando un disegno di legge che porterò presto all'attenzione del Consiglio dei ministri. Mi riferisco non al provvedimento limitato ai problemi della modifica della carcerazione in custodia domiciliare per determinati, piccoli, limitati reati, ma ad un provvedimento che abbia un significato più vasto per rendere meno angosciosa la vita di chi sta in carcere a titolo diverso e per dividere in maniera efficace chi è in attesa di giudizio da chi è in esecuzione di pena e chi ha una sanzione di un livello da chi ne ha una di diverso livello. Pagina 96 SAVERIO DI BELLA. Onorevole ministro, lei ha inviato - spero senza volerlo - una serie di segnali negativi sulla volontà effettiva di questo Governo di combattere la mafia. Ne cito solo due. Il primo è il comportamento da lei tenuto, in occasione della visita a Palermo, nei confronti dei magistrati. Il secondo è il silenzio, salvo mia ignoranza, da lei mantenuto in relazione alle vicende di un magistrato - in questo caso di Catanzaro - che, per motivi di sicurezza, è stato invitato a dormire in carcere. Questi segnali sono importanti anche alla luce di quello che è stato ricordato sulle dichiarazioni di Totò Riina in merito al 41-bis, nel senso che ogni esitazione, ogni apparente mancanza di volontà decisa di combattere la malavita viene letta dalla mafia come propensione al dialogo. Siccome abbiamo una serie di precedenti di ministri di grazia e giustizia che invitavano a convivere con la mafia (le dichiarazioni di Vassalli), credo che tutto questo debba essere tenuto presente. Vengo alla domanda. Nella legge finanziaria per il 1994, nonostante i vuoti esistenti negli organici della magistratura, il Governo di allora prevedeva tre anni per la conclusione dei concorsi. Il Governo attuale intende rispettare quei tempi? Abbreviarli? Allungarli? Quali risorse finanziarie pensa di destinare alla giustizia perché questa possa essere in grado di combattere efficacemente la mafia? Il problema dell'affollamento delle carceri è drammatico anche per le carceri minorili. Tenendo conto della gravità della situazione ed anche del fatto che se non li recuperiamo noi, come società civile, questi ragazzi finiscono per essere avviati definitivamente alla malavita, quali iniziative immediate il Governo intende assumere in questa direzione? ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Per quanto attiene ai segnali che lei ha creduto di cogliere in un fatto vergognosamente falso, che ho già smentito sui giornali accusando il giornalista che l'ha scritto di falso ideologico (trattasi del giornalista D'Avanzo della Repubblica che aveva travisato totalmente il mio contemporaneo incontro con la magistratura e con l'avvocatura di Palermo insieme nell'aula magna del palazzo di giustizia), debbo precisare - rispondo su questo perché lei considera un elemento negativo un fatto che io invece giudico altamente positivo e qualificante una delle mie prime esperienze ministeriali - che a Palermo, presso la Fondazione Falcone, dove mi ero recato per discutere un problema riguardante uno dei temi oggi affrontati, quello dei collaboranti di giustizia, ho avuto il piacere, andando a braccetto con il procuratore generale della corte d'appello di Palermo, di recarmi prima nella sua stanza insieme con tutti i magistrati, e poi con loro per il corridoio del palazzo, che ero solito frequentare anche come avvocato difensore di parte civile in un processo piuttosto importante, forse a lei noto, quello cioè in difesa della famiglia Dalla Chiesa. In quella occasione, dicevo, mi sono portato nell'aula magna dove erano seduti insieme avvocati e magistrati. In platea era seduto Caselli; accanto a me c'erano il procuratore generale e il presidente del tribunale; ho rivolto a tutti lo stesso discorso. Questo è l'atto da me compiuto, che ha avuto la comprensione e anche, diciamolo francamente, l'espressa solidarietà dei magistrati presenti. Le invierò le lettere di protesta per quell'articolo, lettere che mi hanno inviato i magistrati; gliele farò avere per sua cultura, che non si deve fermare alla facciata prima di elevare sospetti nei confronti di un ministro e di un galantuomo come me. Su questo penso di poter rispondere in tal modo, fugando qualsiasi dubbio al riguardo. Per quanto riguarda il magistrato di Catanzaro, segnalo che il mio ministero se ne è occupato immediatamente. Non ho fatto proclami pubblici, ma mi sono attivato per conoscere la situazione in cui il magistrato si era trovato ad operare e purtroppo la scelta del magistrato - così mi è stato detto - ha corrisposto ad una sua valutazione, nemmeno comunicata in anticipo, per cui non l'ho potuta né frenare né anticipare. Si è trattato di una decisione Pagina 97 che il giudice ha assunto in base alla sua sensibilità e, se volete, anche in base alla sua legittima preoccupazione. Rispetto ad essa non posso dire altro che si tratta di una scelta personale, sulla quale non mi permetterei mai di esprimere un giudizio. Come cittadino, prima ancora che come ministro, sono dispiaciuto che un magistrato che lavora in quelle condizioni e con quei rischi debba trovare come extrema ratio tale soluzione, ma questo è un fatto di polizia, di controllo e, se volete, anche di reciproca sensibilità tra gli organi di sicurezza locali e le condizioni in cui il magistrato è chiamato ad operare. Ci tengo, anche sul piano personale ed umano, che lei su questo punto non abbia il dubbio che ciò possa avere incentivato la mafia ad avere un occhio di riguardo nei miei confronti. Vi assicuro che non ce l'ha di riguardo, e che ha un altro occhio da cui mi debbo difendere, talvolta anche con qualche difficoltà. Per quanto riguarda i concorsi, ho già detto che ho preso immediatamente contatti con il Consiglio superiore al fine di studiare tutte le misure incentivanti e quindi anche, occorrendo, di adottare tutti i mezzi necessari per rendere più rapidi i tempi, cioè il triennio (che io ritengo si debba e si possa ridurre), eventualmente anche dotando, come dicevo prima, gli esaminatori di mezzi diversi da quelli con i quali oggi è talvolta difficile assolvere ad un ufficio di quel rilievo. In merito al bilancio della giustizia, che in parte è connesso ai problemi già ricordati, ho dichiarato più di una volta, nel Consiglio dei ministri ed in due interventi svolti prima alla Camera e poi al Senato illustrando il programma sulla giustizia, che chiederò al Governo, se possibile, il raddoppio dell'attuale misero stanziamento, pari all'1 per cento del PIL. Ho fatto svolgere anche un'indagine per vedere come mai, nonostante la miseria dell'1 per cento, vi siano residui passivi; il risultato è stato che la spesa risulta difficile, e ciò per la lentezza delle procedure e la farraginosità della modulistica, insomma per un insieme di cause che purtroppo vanificano anche la buona volontà, pur - ripeto - nella scarsezza dei mezzi a disposizione. Al riguardo intendo dunque assicurarle che il Governo presterà la massima attenzione perché con la legge finanziaria non solo si eviti un'ulteriore strangolamento, ma si allenti il laccio e si lasci respirare il polmone della giustizia. GIUSEPPE SCOZZARI. Onorevole ministro, ormai grazie alle audizioni presso la Commissione giustizia ed in questa sede, ci vediamo per fortuna spesso. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Ne sono contento anch'io. GIUSEPPE SCOZZARI. Signor ministro, non condivido alcune sue affermazioni, quando dice che riferirà al Governo, che non esprime il suo giudizio, che trattasi di decisioni... ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Vorrei precisare - perché lei possa essere, se possibile, da questo punto di vista, tranquillo e perché io non sembri ambiguo - che io non posso ora dire se la misura di rinnovazione del termine potrà essere prefissata in una data oppure divenire definitiva, come suggerisce nella sua proposta di legge il senatore Bertone. Preciso che non ho la possibilità di dirlo in questo momento; ho acquisito gli elementi che il ministro dell'interno Maroni, che ha certamente elementi di valutazione molto rilevanti a questo fine, potrà fornire nella sede dei nostri rapporti, nel Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, oppure ancora di più nel Consiglio dei ministri. Quando avrò questi elementi, mi formerò una opinione più precisa di quella che ho ora; però è precisa quella che ho ora in ordine al non venir meno delle motivazioni che hanno determinato allora il 41-bis, motivazioni che, permanendo, debbono portare alla sua proroga. GIUSEPPE SCOZZARI. Continuo nel sottolineare che non chiediamo qui, come non abbiamo chiesto questa mattina, la volontà ed il parere del Governo inteso come istituzione, nella sua collegialità; abbiamo chiesto il parere e la volontà di un Pagina 98 uomo che fa parte del Governo e del quale questa Commissione, visto che si tratta della sua audizione quale esponente del Governo, desidera conoscere le volontà ed il modo in cui egli si comporterà nel Consiglio dei ministri quando si parlerà del 41-bis e di quant'altro riguarda la mafia. La mafia in fondo vive anche di gestualità, di segnali, che possono essere più o meno palesi. L'incertezza è per la mafia un segnale fortissimo. La sua incertezza, onorevole ministro, contrapposta alla certezza di un altro ministro, crea una situazione di obiettivo imbarazzo nel paese, una situazione di obiettiva scopertura del ministro che è certo rispetto a quello che è incerto. Maroni oggi ha detto - e mi dispiace che non abbia elementi così precisi come li ha lui - una cosa molto semplice: il primario obiettivo è quello di garantire l'effettivo isolamento dal mondo esterno dei principali capimafia, nonché di incidere sulla loro posizione carismatica. Il 41-bis- lo chiarisco a me stesso - è il pilastro attraverso il quale lo Stato ha cercato di recidere i legami tra coloro che sono stati arrestati ed il mondo esterno, i legami che, prima della vigenza del 41-bis esistevano e consentivano alla mafia di continuare ad essere potente all'interno e all'esterno del carcere. Il ministro Maroni ha poi precisato che egli si adopererà perché il Parlamento mantenga questa linea di fermezza, la cui efficacia viene testimoniata anche dagli elementi conoscitivi raccolti nell'ambito di recenti attività investigative. Perché il ministro di grazia e giustizia non conosce gli elementi raccolti nell'ambito di recenti attività investigative? Noi progressisti siamo forse oggi un po' ostinati nell'insistere su tale argomento, ma abbiamo capito che questo è uno degli istituti fondamentali attraverso i quali si fa capire alla mafia qual è l'orientamento dello Stato. Si tratta peraltro di elementi sulla base dei quali alcuni boss mafiosi possono o meno decidersi a collaborare con lo Stato. La provvisorietà alimenta speranze nei boss mafiosi, la definitività certamente induce comportamenti, atteggiamenti ed uno stato psicologico diversi rispetto all'incertezza. Ecco perché chiediamo chiarezza al ministro di grazia e giustizia; ecco perché non mi sento di condividere l'atteggiamento di chi dice di volersi confrontare nell'ambito del Governo per anticipare eventualmente il provvedimento rispetto alla scadenza o per renderlo definitivo. In fondo, se sconfiggiamo la mafia, il 41-bis non avrà più modo di essere applicato anche se fosse reso definitivo nel sistema penitenziario; comunque, lo si potrebbe successivamente abrogare. La verità è un'altra, signor ministro: molte volte nella maggioranza gli orientamenti, le dichiarazioni e le valutazioni di alcuni esponenti sono stati gravemente contrastanti. Mi riferisco alle gravissime dichiarazioni che, sui collaboratori di giustizia, sul 41-bis, sulla chiusura o apertura delle carceri di Pianosa e dell'Asinara - chiedo che il ministro di grazia e giustizia esprima le proprie valutazioni su questi argomenti, dica cioè se queste carceri debbono essere chiuse per consentire ad altri di costruire e cementificare le coste o se, considerato qual è il problema delle carceri, dobbiamo mantenerle - fa sovente purtroppo il presidente della Commissione giustizia. Non è il presidente di una commissione qualsiasi! Dico allora, come primo punto: qual è la volontà del ministro Biondi in materia di carceri (Pianosa, l'Asinara)? Qual è la volontà del ministro Biondi non rispetto alla costruzione di nuove carceri, ma rispetto alla possibilità di utilizzare le nuove carceri che sono già state costruite? Palermo ed Agrigento sono i primi esempi che mi vengono in mente. Occorre tener presente che una delle questioni che a volte fa perdere credibilità allo Stato è proprio la mancanza di incisività e di prontezza. PRESIDENTE. Onorevole Scozzari, la prego di attenersi alla formulazione di domande. GIUSEPPE SCOZZARI. Sto formulando domande, presidente. Pagina 99 Per quanto riguarda la confisca dei beni mafiosi e la loro utilizzazione a fini sociali, i tempi sono troppo lunghi, signor ministro. Cosa intende fare il Governo e cosa intende fare il ministro di grazia e giustizia per ridurli? Il tempo medio è di quattro anni. Questa mattina ho rivolto la stessa domanda al ministro dell'interno; evidentemente vi sono temi che coincidono rispetto alle competenze dei due ministeri. Cosa pensa, inoltre, signor ministro, dell'istituzione dei tribunali distrettuali antimafia? PRESIDENTE. Lo ha già detto! Faccia una domanda specifica perché non può riprendere l'intero argomento! GIUSEPPE SCOZZARI. Ho ascoltato più la relazione del Consiglio superiore della magistratura che la volontà del ministro. Infine, cosa intende fare il Governo in materia di depenalizzazione? PRESIDENTE. La depenalizzazione non è un argomento che rientra nella competenza della Commissione. Vorrei pregare tutti i colleghi di rivolgere le loro domande su argomenti attinenti al merito dell'audizione. GIUSEPPE SCOZZARI. Lo sto facendo, se me lo consente! Sgravare alcune procure della Repubblica di reati di carattere chiaramente amministrativo può consentire di meglio utilizzare i magistrati nella lotta alla mafia... PRESIDENTE. In tribunale no, onorevole Scozzari! Non ci sono reati che si possano depenalizzare in tribunale. GIUSEPPE SCOZZARI. Signor giudice, per fortuna... PRESIDENTE. Non mi chiami signor giudice! GIUSEPPE SCOZZARI. Signor presidente, io sono un avvocato, lei è un magistrato, si è trattato di un lapsus (Si ride). L'organico della magistratura non riceve al suo interno una rigorosa attribuzione dei compiti. A me fa paura che dai banchi della maggioranza vengano moniti nel senso di omologare il regime dei giudici - mi riferisco al collega di alleanza nazionale - a quello dei questori e dei prefetti. Il giudice naturale è precostituito per legge, mi pare dica la Costituzione; ritengo allora che il Governo debba essere estremamente chiaro in materia, visto che all'interno della maggioranza si fanno questi gravissimi svarioni. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Tante domande sono connesse tra loro. Parto dalla prima: ripeto che l'opinione del ministro Biondi (che è il ministro di grazia e giustizia) è un'opinione che deve collimare, non a titolo personale ma istituzionale, con quella del Governo di cui fa parte e di cui è espressione per il settore della giustizia. Ho ascoltato il pregevole parere dell'onorevole Maroni, ministro dell'interno, che riveste una posizione istituzionale diversa da quella del ministro della giustizia sotto il profilo delle competenze, che trovano però sede di comune confronto nel Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica. Ho letto una nota di agenzia secondo la quale il 27 settembre egli porrà il problema; quando esso sarà posto, nell'ambito delle mie responsabilità, esprimerò il mio giudizio. Innanzitutto tale mio giudizio è favorevole al mantenimento del vincolo posto dall'articolo 41-bis. Quanto ai tempi, come ho già detto, non ho ora un'opinione (se vuole, onorevole Scozzari, anche di tipo personale) circa la definitività di una rimozione di questa che era una misura di carattere temporaneo. Riconosco - aggiungo purtroppo - che le cause che hanno determinato questa misura, che incide sulla par condicio di chi sta in carcere, permangono ancora in termini di pericolosità criminosa e criminogena. Ho enunciato nella mia lettura, forse non interessante, che gli argomenti che militano a favore di essa non solo permangono, Pagina 100 ma si riferiscono anche ad un malinteso prestigio che circonda chi dimostra di avere qualche santo in paradiso e di poter sperare di poter rimuovere una misura che potrà essere o meno modificata. Questo è uno degli elementi che possono giovare alla impostazione data poc'anzi dal senatore Bertoni e da altri colleghi. E' un argomento molto forte e ne terrò conto. Non ritengo tuttavia obbligatorio per il ministro della giustizia, a differenza di quanto ha ritenuto di fare il ministro dell'interno, esternare la mia personale opinione. Peraltro, penso che occorra una pausa di riflessione che verta non sull'an ma sul quantum. Si tratta quindi di un problema che valuterò nel momento in cui riterrò opportuno farlo. Se ne parleremo in Parlamento, non vi è dubbio che il Governo dovrà dire la sua parola, che dovrà essere coordinata. Quanto ai colleghi di maggioranza che rivestono cariche importanti (lo sono tutte ma intendo soprattutto istituzionali), questo problema riguarda l'opinione e la sensibilità di ciascuno ed io non ho l'abitudine di esprimere giudizi su alcuno, né di maggioranza né di opposizione. Per quanto attiene alla questione carceraria dal punto di vista della depenalizzazione, ho proposto, relativamente a reati diversi da quelli che trattiamo in questa sede, il massimo livello di impegno in tal senso. Stiamo facendo uno studio di quali possibilità di depenalizzazione restino ancora praticabili. Si tratta di una "cimosa" molto stretta. Anche recentemente ho presentato al Consiglio dei ministri un disegno di legge (ora all'attenzione del ministro Mastella) per talune norme che si riferiscono al lavoro. Ma si tratta anche in questo caso di misure a doppio taglio, perché in certi casi si rischia, favorendo la depenalizzazione, di impoverire la tutela della sicurezza dei lavoratori. Mi sono chiesto quindi se fosse giusto o meno depenalizzare. Il Parlamento avrà modo di valutare, ma ho voluto rilevare che a volte si può incidere su settori per i quali la quantità di processi depenalizzati non è poi elevata mentre l'effetto psicologico può essere devastante per il mondo del lavoro. Ho fatto questo esempio per dire quali siano le questioni che si pongono per ciascuno di noi quando affronta un problema così rilevante. GIUSEPPE SCOZZARI. Per quanto riguarda Pianosa e l'Asinara? ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Quando sentii dire al ministro dell'ambiente Matteoli che sarebbe stato bene che tali carceri venissero abbandonate, non per renderle appetibili alla speculazione - spero proprio di no! - ma per consentire una maggiore fruibilità delle isole (con la costituzione di parchi ed aree protette; essendo stato ministro dell'ecologia ho particolare sensibilità per questi argomenti), dissi che mi pareva una buona idea. Naturalmente però ciò significa costruire carceri, quando sarà possibile farlo, in aree diverse, sicure ed impermeabili. Ho usato la parola "stagne" riguardo alla possibilità dell'andata e del ritorno di notizie, di uomini, di mezzi e di strumenti che rendono possibile l'aggressività anche di chi è recluso in carcere, utilizzando i picciotti che sono rimasti fuori. Sarei contento se si potesse determinare una situazione migliore, ma allo stato non vedo come sarebbe possibile modificare una realtà che è l'unica capace di garantire un isolamento che per ora ha dimostrato la sua efficacia. Ritengo che non ci si debba confrontare sulla volontà di mantenere una condizione di sicurezza e di inviolabilità della realtà carceraria quando essa è prodromica alla commissione di altri reati. Su questo gradirei almeno le attenuanti generiche, se non l'assoluzione. GIUSEPPE SCOZZARI. E le carceri costruite, ministro? ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Ho parlato anche con il ministro Radice di una serie di progetti che possa consentire il ricorso ad una realtà modulare relativamente a situazioni carcerarie di nuova o di fresca costruzione in aree che consentano incastri di strutture diverse, più facilmente realizzabili e destinabili, Pagina 101 in situazioni di minore necessità di sicurezza. Mi riferisco, ad esempio, all'area dei tossicodipendenti, a coloro che devono scontare una pena minore, ai delinquenti minorili che possono ricevere una custodia diversificata. Quando parlo di realtà minorile intendo riferirmi ai giovani criminali che possano avere un trattamento diverso. Questo si può fare, e si può fare con un provvedimento che consenta l'immediatezza, anche superando limiti e vincoli attualmente esistenti nella contabilità dello Stato al fine di assumere una determinazione legislativa di più rapida e pronta attuazione. Si tratta di questioni che stiamo esaminando: gli uffici sono all'opera e spero di potervi dare in breve tempo indicazioni e proposte precise, presentando un disegno di legge in materia. GIUSEPPE AYALA. Sono costretto a porre molto rapidamente le mie domande, avendo condiviso la decisione dell'ufficio di presidenza di porre questioni molto secche e concisamente, invitando il ministro a rispondere con altrettanta brevità. Naturalmente, non voglio fare un appunto al ministro. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Sono qua solo io! (Si ride). GIUSEPPE AYALA. Circa il problema dell'articolo 41-bis evito, grazie al collega Scozzari, di porre la domanda concernente l'Asinara che avevo predisposto. Le tue osservazioni, ministro, sono comunque assai tranquillizzanti. Tutti desidereremmo che si potessero costruire nuove carceri capaci di garantire quanto garantiscono queste isole. Avrei voluto vivere in un paese in cui all'Asinara non avessero dovuto finirci Falcone e Borsellino eppure ci stettero per più di un mese, quasi un mese e mezzo. Ma erano tempi particolari! Le tue osservazioni sull'articolo 41-bis mi hanno non solo tranquillizzato, ma, conoscendoti, anche confortato circa il fatto che di qui al 27 sarai sicuramente d'accordo per una proroga dell'articolo 41-bis da approvare subito e tale da rendere definitiva la misura. Per quanto riguarda le nuove carceri, vi è tra queste il carcere di Palermo. Ebbene, ho assistito ad una cosa incredibile per tutti noi. Sai dell'enorme questione determinatasi a Palermo a causa del problema dei ricoveri ospedalieri (indagini che non portarono a niente, condotte anche dal Ministero della giustizia). Ora, apprendemmo tutti con soddisfazione, in sede di progettazione del nuovo carcere (la materia è quasi importante quanto quella dell'articolo 41-bis ai fini della rottura dei collegamenti con l'esterno), che era prevista la realizzazione di un centro clinico specializzato interno ad esso. Ciò per evitare i ricoveri finti, la possibilità del ricorso al reparto speciale dell'ospedale civico e l'enorme facilità di contatti con l'esterno (sull'argomento esiste una letteratura). Ebbene, signor ministro, voglio informarti del fatto, attivando il tuo senso di responsabilità nel dartene conoscenza, che, mentre il carcere è quasi finito, il centro clinico specializzato non è stato ancora neanche finanziato. La materia riguarda ovviamente anche il ministro dei lavori pubblici; ti prego pertanto di prendere un appunto in merito. Ritengo che tu possa dare un utile e concreto contributo rispetto al problema. Hai opportunamente citato le dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio dei ministri e le enunciazioni in esse contenute in materia di giustizia e di risposta alla criminalità organizzata. Ebbene, ricordo che esse contenevano un'affermazione circa la necessità di cambiare la legge sui pentiti. Vorrei sapere se questo argomento è ancora attuale e se il ministro della giustizia è sensibile ad esso. In particolare, il riferimento all'articolo 192 del codice di procedura penale (è superfluo dire che evidentemente ti riferivi al terzo comma) è attuale e in quali termini? Vi è un'iniziativa del Governo in materia? Vorremmo esserne informati. Mi sono trovato due o tre volte a confrontarmi con un sottosegretario del tuo Ministero, l'ottimo Contestabile, che su certi punti dice una cosa giustissima. Ne Pagina 102 dice anche altre, per carità! Non mi fate fare apprezzamenti che non voglio fare. Si nomina sunt consequentia rerum è un disastro! Ma ovviamente in questo caso non lo sono. Ebbene, spesso mi sono sentito controbattere dal sottosegretario Contestabile con un accenno all'argomento dell'incredibile durata dei processi, alla lentezza della giustizia ed a quant'altro. Ed alle mie ovvie rimostranze circa il fatto che si tratti di problemi del Governo e non della magistratura né del cittadino comune, mi è stato risposto una prima volta "noi siamo al Governo da due mesi" ed una seconda volta "noi siamo al Governo da tre mesi"; adesso da quattro. Voglio sapere da Alfredo Biondi se abbia messo a punto o stia lavorando, come ritengo (un aspetto per me importante è il rapporto con il CSM e tu mi hai anticipato dicendo che tale rapporto è buono, fatto questo che credo giovi molto alla causa comune), ad una strategia che tenda, attraverso mezzi normativi ma anche strumentali, a fare qualcosa di serio per accelerare i tempi dei processi. Ribadisco di riferirmi ad interventi di tipo normativo oltre che strutturale perché non vi è dubbio che la lunghezza dei processi produce una ricaduta anche sul protrarsi della custodia cautelare e quindi sulla situazione carceraria, oltre a non soddisfare le esigenze di giustizia. Qualcuno disse tempo fa che non vi è peggiore giustizia della tardiva giustizia. Si chiamava Jhering, come tutti sappiamo. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Per quanto riguarda il carcere di Palermo, segnalo che dovrebbe essere già pronto, in quanto mancano misure puramente attuative, per esempio per ciò che attiene agli arredi. Per il nuovo carcere di Palermo, ho dato incarico al dottor Capriotti del DAP non solo di assumere tutte le informazioni sul perché di questa lentezza, ma anche di capire se sia necessario approvare una legge speciale - come quella per il palazzo di giustizia di Napoli - per creare le condizioni che consentano di fare subito ciò che lentamente si sta facendo con gli appalti e con tutte quelle misure che, pur essendo sacrosante, risultano però frenanti. Voglio comunque tranquillizzare l'onorevole Ayala dicendo che su tale problema sono disponibile a dare un colpo all'acceleratore piuttosto che al freno. In merito al centro clinico, ho preso nota delle sue osservazioni per appurare se vi siano negligenze addirittura di tipo operativo e di finanziamento. Aggiungo che me ne ha parlato anche il ministro Costa, al quale avevo chiesto di inviarmi un appunto, perché credo che egli si sia recato di persona sul posto. Comunque, assicuro che mi interesserò immediatamente della questione del centro clinico. Per ciò che attiene alla legge sui pentiti, voglio precisare che sia il ministro Maroni sia io sia il Comitato abbiamo soltanto consentito che si procedesse, con gli stessi soggetti e con la stessa intenzione, a dar vita ad una normativa di carattere meramente regolamentare, di modo che vi sia una razionalizzazione effettiva tra la fase in cui il pentito è a disposizione dell'autorità giudiziaria e quella in cui la custodia si rende necessaria. In quell'ambito a suo tempo vi è stata la proposta, tramite la dichiarazione di intenti ricordata, di destinare al procuratore generale antimafia il compito di una più viva e diretta possibilità di assunzione degli elementi iniziali. Si tratta però di un'ipotesi che non è stata ancora valutata nella sua correlazione con le indagini; infatti, mi sembra che proprio dal procuratore Caselli fu paventato il rischio - di cui io tenni conto - che una divaricazione, una gestione del pentito da parte di un soggetto che non ha l'attitudine ad acquisirne direttamente e meglio le potenzialità espressive e dichiarative potesse costituire un freno anziché un'accelerazione. Quindi, non vi è alcuna intenzione di far nulla che renda meno agevole l'acquisizione del pentito, salvo naturalmente controllare, con questa dichiarazione d'intenti, la proiezione che il pentimento ha. Ciò al fine di ottenere una migliore visione della serietà della dichiarazione e per un minor rischio processuale: una dichiarazione affrettatamente acquisita o espressa in termini di accettazione acritica potrebbe veramente inquinare il Pagina 103 processo, conseguentemente legittimando, come è accaduto in molti casi, elementi di critica a posteriori. In merito all'articolo 192 del codice di procedura penale, mi limiterò soltanto ad un commento: ho detto che non avevo in cantiere alcuna norma, ma auspico che si possa individuare - mi rendo conto però che è difficile - qualcosa che superi il libero apprezzamento, il confronto tra le parti e tutto quello che è previsto attualmente. Molte volte mi è capitato, anche nella mia esperienza professionale, di trovare che in alcune giurisprudenze vi siano differenziazioni di valutazione, le quali sono giunte fino ai supremi sindacatori. Sarebbe auspicabile una maggiore specificazione, ma già mentre lo dico mi rendo conto di quanto sia difficile raggiungerla. Ripeto, ho fatto solo un accenno, che non vuole incrinare nulla. La vera garanzia sta nella professionalità, nella serietà e nell'attendibilità del magistrato cui è demandato questo grande dovere del controllo. Sulla lunghezza dei processi, lasciatemi dire che, rispetto a Mussolini, il quale diceva "Abbiamo pazientato quarant'anni, ora basta!", sia io sia il sottosegretario Contestabile siamo al Ministero di grazia e giustizia da quattro mesi. Nei confronti delle lentezze della giustizia, di pazienza il popolo italiano ne ha avuta, per cui, se è vero che oggi tutti noi ci rendiamo conto che occorre procedere più speditamente, non possiamo però calzare gli stivali delle sette leghe perché è cambiato il Governo. Possiamo soltanto tentare di fare insieme - ripeto, insieme - un'opera di razionalizzazione, a proposito della quale forse qualche errore dal punto di vista dell'immedesimazione è stato compiuto da tutte le funzioni istituzionali. Va detto, francamente, che la lunghezza dei processi è anche conseguente alla dislocazione della magistratura sul territorio e, a volte, all'attività di impugnazione che esiste nel nostro paese. Tante cose vanno riviste per coordinare la sicurezza alla garanzia. So che ciò è molto difficile da realizzare, perché non è facile privare un imputato del diritto di impugnare la sentenza: è difficile persino farlo accedere ai riti abbreviati e uscire dalla posizione di negazione. Si tratta di una cultura che nel nostro paese riguarda l'intera collettività, non solo gli avvocati, i magistrati o gli imputati, cioè i cosiddetti soggetti addetti ai lavori. In questo senso, vi sono state norme di carattere processuale che hanno modificato il codice, ma mi permetto di dire che talune norme, che sono state molto criticate, possono consentire un avvicinamento all'accettazione della responsabilità, alla restituzione del maltolto, alla eliminazione del soggetto che ha determinato sgomento nella collettività violando norme morali assieme a norme giuridiche e anche le attendibilità personali dalle quali è dipeso un affidamento incauto. Su uno strumento a ciò preposto ho constatato che vi sono opinioni di diversa natura, per cui credo che, quando esse avranno la possibilità di confrontarsi con le mie, troveremo una formula che invogli ad accedere più rapidamente - come qualche collega del gruppo progressista ha fatto - al rito abbreviato: è necessario consentire una possibilità che invogli al patteggiamento e, quindi, all'accettazione della responsabilità. E' auspicabile che gli altri processi avvengano con tutta l'attenzione e la velocità resi possibili da un ordinamento giudiziario più articolato. PRESIDENTE. Ma questo per i processi di mafia o in generale? ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. In generale. PRESIDENTE. Atteniamoci agli argomenti, altrimenti divaghiamo troppo. FLAVIO TANZILLI. Sempre a proposito dell'articolo 41-bis, signor ministro, ricordo che in occasione di una visita della Commissione giustizia al carcere di massima sicurezza di Pianosa abbiamo avuto modo di notare che numerosi detenuti erano assenti per partecipare ai processi. Il problema è che nel momento in cui vengono tradotti in posti diversi dal carcere di massima sicurezza, essi non sottostanno più a quel regime a cui dovrebbero essere Pagina 104 sottoposti, bensì semplicemente a quello ordinario. Il problema che va affrontato è quindi quello di non offrire a questi detenuti l'occasione di stravolgere la ratio giustificatrice dell'articolo 41-bis, cioè la possibilità di avere collegamenti con l'esterno. A suo avviso, signor ministro, quali correttivi devono essere assunti? ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Si tratta di un problema serio, perché il trasferimento delle carceri dalle isole comporta uomini, mezzi e strumenti, oltre a quelli necessari per inserire i detenuti in un'altra realtà carceraria. Purtroppo, dal punto di vista del regime cui è assoggettato il detenuto, nella fase processuale questa "tenuta stagna" è molto più difficile da realizzarsi rispetto alla fase in cui si è dentro il carcere: è facile che spostandosi si possano avere occasioni, sia pure indirette, di incontri o di copresenze nelle stesse realtà carcerarie dove non vi è lo stesso rigore nell'attuazione delle misure. Per esempio, quando nel corso del processo Riina ebbe ad esprimersi, a mio modo di vedere, un po' liberamente, qualcuno osservò che poteva farlo perché le misure non permanevano nel momento in cui si svolgeva il dibattimento. La mia opinione è diversa e l'ho anche espressa pubblicamente. Dal punto di vista della verifica delle condizioni, e quindi della permanenza di questo dovere di controllo e di non agibilità ad altri del detenuto, credo che le misure debbano essere assunte con grande rigore. Uno dei motivi per cui si dice che i tribunali distrettuali potrebbero avere una maggiore efficacia è che si potrebbe costruire, nella sede in cui il tribunale agisce, un carcere adeguato ed averne un'utilizzazione - com'è successo nel processo di Palermo - che consenta l'immediatezza della presenza e la sicurezza che dal carcere alla sede processuale non vi siano immissioni di altri o possibilità di inserzioni che limitino i vincoli del 41-bis. Questo è uno degli elementi che mi aveva portato a ritenere - naturalmente ci stiamo ragionando sopra - che la differenziazione delle carceri e la costruzione delle carceri speciali possano dare la possibilità di realizzare la traduzione e il ritorno di detenuti sottoposti a regime di massima sicurezza con maggiore velocità, cosa estremamente difficile da ottenere con le carceri ordinarie. Comunque, le assicuro che tale questione sarà oggetto, della mia attenta valutazione. ANTONIO BARGONE. Desidero collegarmi molto brevemente alle cose dette dal ministro nell'ultima parte della risposta al collega Ayala. Questo Governo si è proposto un ruolo di rottura, di discontinuità rispetto al passato. Ho avuto la fortuna - o la sfortuna, dipende dai punti di vista - di sentire molti ministri della giustizia nel corso di questi anni. Parto da una premessa e poi formulo una domanda. Mi pare che questo Governo - naturalmente prescindo dalla qualità delle persone, parlo degli indirizzi di Governo - non si discosti affatto dalla politica del passato. C'è una tendenza a spingere il dibattito sempre verso modifiche legislative; nella prima parte di questo dibattito ci si è addirittura spinti ad ipotizzare proposte di modifiche gravi - poi rientrate - come quelle che riguardavano la questione dei pentiti e l'articolo 41-bis, e non si è parlato affatto della giustizia come servizio. Lo dico perché anche nella relazione di questa sera non è stato presente questo elemento, nemmeno come indicazione strategica. Anche se il Governo è in carica da quattro mesi, dovrebbe farci capire qual è il suo programma strategico perché la giustizia diventi qualcosa di diverso da quel che è stato nel passato. Ciò vale soprattutto riguardo alla criminalità organizzata, perché il rapporto di fiducia con i cittadini si è rotto, soprattutto con il mancato funzionamento della giustizia come servizio. Bisogna dire che ci sono alcune realtà del paese in cui la sostituzione della criminalità organizzata allo Stato è avvenuta soprattutto nell'ambito giudiziario; si vedano, per esempio, i casi della giustizia civile (recupero crediti, divisioni, eccetera), dove agisce soprattutto il boss criminale e non la giustizia. Pagina 105 Perciò dire che bisogna fare presto i processi e che "siamo qui da quattro mesi", va bene e ne prendo atto. Qual è però il progetto del Governo perché la giustizia diventi un servizio che funziona e, anche rispetto al fenomeno della criminalità organizzata, un'istituzione che dà fiducia ai cittadini? Per esempio, nella legge finanziaria c'è un orientamento del Governo per aumentare l'incidenza della spesa per la giustizia fino al 3 per cento del bilancio dello Stato? Lo dico provocatoriamente, però è chiaro che non si può parlare della possibilità di far svolgere rapidamente i processi soltanto modificando il codice di procedura! Questo è assurdo! E' una logica vecchia, una logica emergenziale! E la logica emergenziale porta sempre ad una discussione che nel migliore dei casi - proprio perché sorgono divisioni sulle possibili proposte modificative della legge, in particolare quando sono modificative dell'ordinamento giudiziario - lancia segnali di insicurezza dello Stato nei confronti della criminalità organizzata, cosa che peraltro è avvenuta. Chiedo quindi al ministro se rispetto a questo problema - che secondo me è fondamentale e che pone la questione giustizia, rispetto al rapporto con il cittadino e al fenomeno della criminalità organizzata, come uno snodo importantissimo - vi sia una strategia che punti, sia pure nel tempo ma in modo chiaro, a rendere giustizia, perché il rendere giustizia è un argine fortissimo nei confronti della criminalità organizzata, e soprattutto è un modo per prosciugare il brodo di coltura dentro il quale la criminalità organizzata si alimenta. E' chiaro che siamo portati naturalmente a discutere solo della giustizia penale e dei processi che si svolgono nei confronti della criminalità organizzata, perché questa è la nostra competenza più immediata; però è evidente che se rispetto a tale problema vogliamo un'apertura che ci faccia uscire dalla logica vecchia ed emergenziale e ci ponga in un'ottica nuova, allora dobbiamo pensare alla giustizia come servizio e quindi come strumento per rinsaldare il rapporto con il cittadino. Invece, ministro, vedo che di tutto ciò non si parla. Non c'è una strategia del Governo su questo aspetto - non l'ho sentita, forse mi è sfuggita - e, siccome siamo alla vigilia della finanziaria, ho il timore di dover assistere per l'ennesima volta - sono in Parlamento dal 1987 - ad una finanziaria in cui la giustizia è la cenerentola ed a un dibattito che si svolge tutto in un ambito ristrettissimo, in cui l'unico spazio è quello di modificare le norme già esistenti e soprattutto quelle procedurali, spesso con contrapposizioni anche ideologiche, lasciando sullo sfondo il funzionamento della giustizia, che invece è la cosa che più importa ai cittadini. Questo è il senso della mia domanda. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. E' una domanda molto vasta. Mi permetto di dire di essere stato abbastanza leale verso il Parlamento ed anche verso i miei doveri - credo di essere il primo ministro ad averlo fatto - nel presentare tempestivamente una relazione al Parlamento, dopo aver avuto il tempo di fare un consuntivo delle cose importanti che ci sono da fare e di quelle che pensavo di poter fare. Alla Camera e al Senato ho svolto due discorsi che hanno trovato qualche modesto, ma per me molto significativo, consenso da parte della maggioranza e qualche più rilevante consenso da parte dell'opposizione. Ho descritto una strategia che attiene non a misure particolari - che pure avevo evidenziato, sia sulla custodia cautelare sia sul patteggiamento: cose su cui si può discutere e si è discusso, anche con qualche prevenzione - ma ad un tessuto generale, costituito da un riordinamento delle procedure, comprese quelle civili, non solo con la fissazione di una scansione temporale a ottobre e a dicembre per il giudice di pace e per la prima riforma del codice di procedure civile, ma anche con una visione più organica, che il Ministero ha allo studio, di una riforma generale del codice di procedura civile, anche con il ricorso a misure alternative, pattizie, che consentano di abbreviare i termini incredibili, biblici, della durata dei Pagina 106 processi. Questo anche per evitare, come diceva lei, che alla giustizia civile si sostituisca la giustizia "incivile" di quelli che fanno i bonari - ma non tanto - compositori di vicende, che entrano nel cuore dei problemi della gente, che transigono in modo iugulatorio, che si sostituiscono allo Stato. E' una misura più generale che ho enunciato nella fase in cui potevo enunciarla. Anche per il processo penale non mi sono limitato a dire quel che ho detto (e ho anche proposto) in tema di custodia cautelare. Rimango della stessa opinione: che la custodia cautelare sia una misura eccezionale rispetto alla regola. Credo che da questo punto di vista una velocizzazione dei processi consenta di ricorrere quando è necessario alla custodia cautelare, in maniera non temporalmente così lunga da renderla una specie di acconto sulla pena da scontare, una specie di acconto certo su una res dubia. Credo altresì che questo discorso troverà più concordia di quanto non si creda quando sarà affrontato non in termini schematici come lo ho affrontato io e su cui posso fare tutte le autocritiche (che insieme alle critiche che ho ricevuto, non cambierebbe molto il peso sulla bilancia). Tuttavia, pensavo di poter incidere anche in questo senso non per quei quattro, cinque, sette od otto che in controluce sono stati visti nel decreto ma nei confronti di quei molti militi ignoti che sono usciti dal carcere - 2730 - e che non erano nè colletti bianchi né grand commis dello Stato ma poveracci che stavano in carcere in attesa di giudizio e che i giudici non hanno poi ricatturato (il che significa che forse non era una misura parziale, come qualcuno ha ritenuto con qualche fretta e approssimazione di dichiarare). Riconosco che questo era un argomento solo parziale, ma sono convinto che una riforma delle norme processuali che consenta di decongestionare il processo - come proprio in quest'aula si riteneva all'entrata in vigore del codice Vassalli -, cioè di arrivare al dibattimento per il 10, 20, 25 per cento al massimo dei processi e di eliminare tutto ciò che è possibile eliminare, possa far sì che nel penale (tanto per i processi di mafia, quanto per quelli non di mafia ma altrettanto gravi e per quelli meno gravi, che pure turbano la gente, della criminalità delle periferie) la sanzione colpisca in modo incisivo e rapido, come la gente vuole. Sulla fiducia nella giustizia, mi permetto di dire che ho un'opinione del tutto contraria. La gente ora ha fiducia nella giustizia; forse non ha fiducia nel Governo e nella classe politica, ma nella giustizia ha fiducia. Questo è un merito dei magistrati. Mi permetto di dire che l'indice di gradimento della giustizia, intesa come attendibilità degli uomini che vi si dedicano, è molto elevato. Questo è un patrimonio molto rilevante che va conservato. Si possono muovere critiche su questo o su quell'atteggiamento ma non su questo valore, che è sopraggiunto, perché non era tale prima. Sono vecchio e posso paragonare come era prima a come è ora: ora la gente ha fiducia nella giustizia; semmai non ha fiducia negli strumenti, nel servizio che la giustizia riesce a rendere, per gli strumenti di cui la dotiamo. Ho già detto in Consiglio dei ministri e ripeterò in sede di finanziaria che la dotazione di mezzi alla giustizia deve essere meno parsimoniosa di quello che è avvenuto per altre realtà molto importanti ma non altrettanto vitali nella realtà di oggi. Da questo punto di vista, se ho taciuto qui, non ho taciuto in altre occasioni su questo argomento; basta forse una sommaria rilettura dei miei discorsi alla Camera e al Senato per osservare che una strategia sulla giustizia l'avevo indicata. Ho poi avuto delle pause derivanti da difficoltà politiche, perché affrontando questi temi si affrontano anche le diversità che anche nelle migliori famiglie sussistono quando si devono prendere decisioni non da tutti condivise con lo stesso spirito. Io le affronto con uno spirito liberale, che significa dare a ciascuno il suo, avere anche il dubbio della legittimità o dell'opportunità dei propri comportamenti; altri hanno visioni diverse che bisogna raccordare. Ecco perché ritengo che un collegamento più forte - che intendo avere - con Pagina 107 il Parlamento mi potrà consentire di confrontare le poche cose che posso adunare nell'ambito delle disponibilità di oggi e quelle maggiori che potrò avere domani. Comunque, posso garantire l'onorevole Bargone che questo tema della dotazione, al servizio di una giustizia attendibile, di strumenti adeguati è una delle ragioni per le quali sento più forte l'impegno in questa fase della mia vita politica e anche personale. GIUSEPPE ARLACCHI. La mia è una domanda un po' monotona perché rientra nel tema dell'articolo 41-bis ma in compenso è breve. Essa riguarda un aspetto che non è stato affrontato: l'applicazione concreta di questa misura con riferimento alle condizioni detentive. Quest'estate, preoccupato da una serie di notizie di stampa ma anche da dichiarazioni di autorità e di parlamentari circa il verificarsi di episodi di maltrattamento, di violenza, di eccesso di zelo nell'applicazione del dispositivo dell'articolo in questione, mi sono recato sull'isola dell'Asinara dove, utilizzando i miei poteri ispettivi di parlamentare, ho visitato gran parte delle celle del carcere in cui sono detenuti i principali esponenti di Cosa nostra, 'ndrangheta e camorra. Ho conversato con diversi di loro a proposito delle condizioni di detenzione ed ho verificato di persona la situazione generale, carceraria, logistica e così via. Ho potuto così riscontrare una condizione detentiva indubbiamente dura ma che, se confrontata alla media delle situazioni detentive ordinarie per quanto riguarda alcuni standard elementari come l'affollamento delle celle, la qualità della vita, la temperatura (la mia visita si svolgeva in piena estate), l'accesso all'informazione, la possibilità di guardare la televisione, di ricevere giornali, di leggere libri, era indubbiamente migliore per molti aspetti. Non ho trovato sovraffollamento, perché nelle celle vi erano al massimo tre o quattro detenuti; ho riscontrato che le celle sono grandi e ben areate e che la qualità del vitto è decisamente discreta; ho trovato nello stesso tempo le forti limitazioni derivanti dalla legge che erano oggetto delle lamentele dei detenuti. Soprattutto, non ho trovato nessun detenuto appartenente ai vertici di Cosa nostra che mi abbia minimamente confermato l'esistenza o il verificarsi di episodi di maltrattamento a danno suo o di altri. Mi hanno tutti detto che il carcere prevede condizioni di detenzione dure, ma che non esiste alcun problema di rapporto negativo, di scontro, di conflitto con le guardie carcerarie e con la direzione. Da questo punto di vista, quindi, sono rimasto rassicurato, anche se i detenuti hanno ovviamente molto insistito sui gravi disagi sofferti nel contatto con i familiari, disagi derivanti anche dalla distanza dell'isola dell'Asinara dal continente; mi hanno quindi confermato che l'articolo 41-bis ha funzionato e funziona molto bene. La mia domanda è molto semplice: poiché le voci che riportavo all'inizio del mio intervento continuano ad essere diffuse - non so con quali intenti -, le chiedo se a lei risultino fondate. Può anche darsi che vi sia stata una manipolazione, o una messinscena organizzata apposta per il mio arrivo, non so, ma vorrei sapere se le risultino episodi di maltrattamento, di tortura, di eccesso di zelo nelle carceri ordinarie e speciali nelle quali viene applicato l'articolo 41-bis. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Le sono innanzitutto grato per la testimonianza che conferma i dati che ho acquisito attraverso relazioni che hanno la caratteristica dell'ufficialità, anche se qualche volta qualcuno dubita della sincerità nell'ufficialità. Per le informazioni che ho anch'io assunto direttamente, vi è in effetti una corrispondenza con la durezza insita nel regime in sé, dal punto di vista non solo logistico e dei rapporti interpersonali con i familiari ma anche per le difficoltà, da qualcuno lamentate, di mantenere i rapporti con gli avvocati, con riferimento al diritto di difesa stabilito in termini di possibilità, e quindi anche di mezzi e di disponibilità di tempo. Tale argomento, però, attiene non alla durezza in sé ma alle modalità con le quali il rapporto Pagina 108 si instaura nell'esecuzione delle norme previste dalla legge. Credo comunque di poter escludere che mi siano stati segnalati rapporti vessatori o di carattere punitivo, che pure in passato sono stati talvolta denunciati, non soltanto al ministro ma anche all'autorità giudiziaria. Personalmente non ho avuto alcuna particolare segnalazione in questo periodo, altrimenti avrei ovviamente svolto le opportune inchieste e avanzato le denunce per questo tipo di violazioni dei diritti umani e talvolta anche del codice penale, per quanto avvenute all'interno del carcere. Da questo punto di vista confermo che non vi è stata una realtà dura perché indurita in termini di sopraffazione. Per quanto attiene invece alle modalità di attuazione della legge, mi sono permesso di leggere prima, forse un po' noiosamente, alcune considerazioni delle autorità di sorveglianza, anche in ordine alla possibilità di rendere meno dura quella che già può essere considerata una situazione di inutile afflittività. Quest'ultima è stata in qualche caso rilevata nelle motivazioni dei giudici di sorveglianza con riferimento all'ora d'aria, alla possibilità di prepararsi un pasto caldo e un caffè da soli, o di avere determinati piccoli vantaggi della vita interna al carcere di cui godono gli altri detenuti e che vengono invece negati al detenuto soggetto all'articolo 41-bis, senza che ciò incida sulla finalità di questo tipo particolare di carcerazione, quella cioè di impedire le relazioni all'esterno - come abbiamo più volte evidenziato - e la possibilità di protrazione dell'attività criminosa. Si tratta, a volte, di misure che potrebbero anche essere evitate senza che questo grande interesse dello Stato venga compromesso. Posso comunque affermare - ripeto - che le norme dell'articolo 41-bis vengono applicate con rigore ma con nessuna particolare crudeltà. Rimangono poi i problemi legati alla lontananza dai familiari e ad altre difficoltà, ma si tratta di questioni che non si possono affrontare in questo momento, per quanto attiene alle isole, dovendosi attendere la realizzazione altrove di carceri che abbiano le stesse caratteristiche di sicurezza. ALESSANDRA BONSANTI. Mi scuso con il ministro se insisto sul tema dell'articolo 41-bis, ma siccome so che domani qualcuno se la prenderà con i giornalisti che scriveranno: "41-bis: scontro in Commissione tra Maroni e Biondi", le rivolgo una domanda precisa, alla quale potrà rispondermi con un sì o con un no ... ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Non vi è stato né un incontro né uno scontro! ALESSANDRA BONSANTI. Aspetti la mia domanda precisa: lei è pronto a sostenere il ministro Maroni, il quale chiederà che subito l'articolo 41-bis diventi definitivo? Mi dica sì o no. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Subito vuol dire da stasera? ALESSANDRA BONSANTI. No, vuol dire dal prossimo 27, quando si svolgerà questo incontro. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Se mi convincerò della bontà della misura, lo farò senza bisogno di incentivazioni. ALESSANDRA BONSANTI. Aggiungo un altro paio di domande altrettanto precise. Mi sembra che lei fosse l'avvocato difensore di Scarantino ... ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. No, non so nemmeno chi sia. ALESSANDRA BONSANTI. E' una notizia che ho letto... ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Mi avevano avvisato telefonicamente, ma non ho avuto il piacere di conoscerlo né prima, né dopo, né durante. PRESIDENTE. Non mi sembra, comunque, che le domande personali siano rilevanti in questa sede. Il fatto che il ministro fosse o meno difensore di Scarantino Pagina 109 esula dal nostro interesse, che è di carattere istituzionale. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Se lo fossi stato, comunque, non sarebbe cambiato il fatto che essere un avvocato difensore non è ancora un reato. ALESSANDRA BONSANTI. Passando ad un'altra domanda: lei sa che esiste un problema molto serio di intrecci fra massoneria deviata e mafia, in relazione al quale si pone anche il problema dello scioglimento di alcune logge segrete, sulle quali però è molto difficile intervenire, anche da un punto di vista legislativo. In proposito, lei considera sufficiente l'attuale legge del 1981 per sciogliere le logge segrete, oppure concorda con alcuni magistrati, come Cordova e Vigna, per quanto riguarda la necessità di introdurre qualche strumento più efficace? Non mi interessa assolutamente sapere se lei sia o meno massone... ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Non lo sono! ALESSANDRA BONSANTI. Ho detto che non mi interessa... PRESIDENTE. Non insistiamo sulle domande personali! ALESSANDRA BONSANTI. Certo: d'altronde alcuni lo dicono, altri no. Comunque mi interessa sapere se il ministro sarebbe disposto a sostenere una legislazione più precisa per quanto riguarda lo scioglimento delle logge segrete. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Basta così? ALESSANDRA BONSANTI. Se vuole, le parlo di Cordopatri... ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Prego. ALESSANDRA BONSANTI. Lei conosce il caso della baronessa Cordopatri di Reggio Calabria. Si pone un problema di uso abusivo dei terreni e degli immobili da parte della 'ndrangheta. Le domando quindi: cosa sta facendo? Lei pensa che si possa intervenire per risolvere al più presto i contenziosi aperti al riguardo? Intende compiere una verifica sull'utilizzazione dei fondi CEE a sostegno dell'agricoltura, che pare siano andati direttamente anche alle organizzazioni di Mammoliti e di altri? ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Rispondendo subito sul caso Cordopatri, preciso che ho avuto da vari colleghi comunicazioni verbali, anche precise, relative a tale situazione. Sono state presentate alcune interrogazioni al riguardo ed un collega che fa parte di questa Commissione ha promesso di farmi avere una documentazione più precisa; ho già detto che, anche sulla base di essa, potrò rispondere agli strumenti del sindacato ispettivo e compiere gli opportuni accertamenti, eventualmente anche al fine di valutare le misure da proporre per una modifica delle leggi vigenti, se non idonee. Per quanto riguarda le associazioni segrete ed in particolare quelle in ipotesi deviate, non ho allo studio alcuna modifica della legge attualmente vigente. Ciò non toglie che, se dal lavoro di questa Commissione, da altri impulsi che possono giungere dal Parlamento o da verifiche che io stesso posso promuovere, si evidenziasse che il legame stretto in determinati casi fra la malavita organizzata e le logge deviate non è episodico ma ha un carattere di contiguità di maggiore rilievo, potrebbero risultare opportune misure idonee a svolgere un compito di ordine non solo preventivo ma anche repressivo. Del resto, se si stabilisse questo rapporto, le leggi vigenti non richiederebbero una specialità ma una possibilità di indagine più corrispondente all'entità del rischio che la società corre per questo non casto connubio. Sono pertanto disponibile ad esaminare in tal caso le opportune modifiche. Allo stato, però, non ho allo studio alcuna ipotesi specifica. Per quanto riguarda le domande che mi sono state rivolte sul piano personale e professionale, confermo quanto avevo già Pagina 110 fatto chiarire telefonicamente. Del resto, talvolta circolano delle voci che sono malevole per il solo fatto che vengono indirizzate ad un ministro che prima faceva l'avvocato e che potrebbe aver avuto la fiducia di clienti o avere consentito l'accesso al proprio ufficio a persone alle quali, però, sostengo che si può dire di sì... ALESSANDRA BONSANTI. Non vi era alcun intento malevolo! ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Voglio essere molto chiaro: a certe cause si può dire di sì o di no; non è vero che la difesa sia obbligatoria. Non sono d'accordo con coloro che sostengono che la difesa è obbligatoria: la difesa è una garanzia per la lealtà della vita processuale e quindi ogni avvocato che si assume l'incarico di difendere ha una dignità che non è assimilabile, né per osmosi né per altro motivo, a quella che può essere la personalità del cliente. Non è, però, che uno possa fare tutte le cause: vi sono cause che ho accettato ed altre che non ho accettato. Non posso dire che non ho accettato una causa che non mi è stata nemmeno proposta, né prima, né durante, né dopo. LUIGI RAMPONI. Signor ministro, vorrei sapere se nell'ambito della magistratura lei abbia riscontrato, con particolare riferimento all'attività investigativa che ha per oggetto la criminalità organizzata, una obiettiva difficoltà nell'esercitare il controllo sulle movimentazioni finanziarie e nell'acquisire elementi atti a seguire i processi di reimpiego soprattutto dei grandi capitali che ormai da tempo sono acquisiti dalla criminalità organizzata. Qual è a tale riguardo l'opinione dei magistrati, cioè dei veri operatori del suo ministero? Le hanno denunciato una obiettività difficoltà e, ove ciò sia accaduto, gliene hanno indicate le motivazioni? ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. La difficoltà è in re ipsa, stante l'attitudine delle organizzazioni criminali a procedere avvalendosi di professionisti spesso compiacenti e di società di intermediazione che svolgono un ruolo di depistaggio, di occultamento, di costruzione di situazioni che non consentono una facile ed immediata penetrazione. Io ho avuto sempre un riscontro positivo circa la possibilità per i magistrati di giungere - grazie alla loro abilità e professionalità, supportata dall'azione della polizia giudiziaria e, in particolare, della Guardia di finanza - ad individuare fenomeni come quelli da lei rilevati, senatore Ramponi, anche all'estero ed in zone molto difficili, e di scoprire le filiali - se così possiamo definirle - della realtà malavitosa che si tramuta in realtà economica, finanziaria e di capitali. Tutto questo avviene senza che si riscontrino grandi difficoltà. Certo, vanno considerati problemi di carattere internazionale che attengono alla diversità dei regimi bancari, ai differenti tipi di collaborazione ed alle diverse sensibilità di alcuni Stati rispetto ad altri. In questo senso, nel corso di grandi confronti internazionali vertenti su questa materia, si è manifestata l'esigenza di promuovere iniziative anche a livello di Unione europea. Analoga esigenza è stata avvertita dai ministri della giustizia e dell'interno chiamati frequentemente a lavorare congiuntamente nell'ambito delle istituzioni internazionali. In particolare, è stata sottolineata l'opportunità di rendere più agevole la cooperazione giudiziaria nonché l'accesso a determinate zone difficilmente espugnabili (veri e propri santuari). In definitiva, comunque, si tratta più di una difficoltà tecnica e collegata a rapporti di reciprocità che non di una insufficienza dei mezzi di indagine. Dico questo anche sotto il profilo del coordinamento, che credo sia oggi più forte che in passato. Ciò non significa che in tale direzione non possano essere conseguiti ulteriori miglioramenti. Ritornando alla sua domanda, senatore Ramponi, le confermo che i miei uffici non mi hanno segnalato e le relazioni predisposte dall'ufficio ispettivo, nelle ipotesi in cui siano state manifestate doglianze, non hanno mai fatto rilevare presenti motivazioni di particolare e più grave difficoltà rispetto a quelle riscontrabili in re ipsa in una materia, per così dire, molto scivolosa e difficilmente penetrabile. Del Pagina 111 resto, onorevole collega, la sua esperienza in materia è certamente più vasta della mia. Credo che dovremo lavorare per intraprendere nuove iniziative e per dotarci di nuovi mezzi. Se si considera quanto tempo ha avuto la mafia per lavorare in un settore - come dire? - tanto appetitoso, qual è quello in cui, utilizzando mezzi sporchi attraverso il riciclaggio, si arriva ad attingere ad economie a volte anche tanto lontane dalla nostra (mi riferisco anche ai paesi dell'est), e che talvolta vi è la difficoltà di collegare le strutture di indagine a nostra disposizione con i mezzi di solidarietà e di collegamento nelle indagini che non esistono in tutti gli Stati (e che a mio avviso vanno attivati), si comprende che nuove iniziative sono necessarie. A Malta, del resto, si è svolta una conferenza sulla corruzione nel corso della quale la relazione del ministro che vi sta parlando è stata approvata all'unanimità. Un'altra conferenza si è tenuta recentemente a Courmayeur e un'altra ancora si svolgerà a Napoli il 21 novembre, sotto l'egida dell'ONU, con la partecipazione di tutti i paesi interessati alla lotta contro il terrorismo. Questo appuntamento potrà rappresentare un punto di riferimento, anche perché da colloqui diretti che ho avuto con i ministri di grazia e giustizia degli altri paesi è emersa la volontà di agire e la consapevolezza che il problema, per affrontare il quale l'Italia ha dato un certo impulso, ha una dimensione internazionale. PRESIDENTE. Anch'io, ministro, vorrei rivolgerle alcune domande in merito all'articolo 41-bis della legge sull'ordinamento penitenziario ed alla questione dei collaboranti di giustizia. Non intendo certo chiederle di esprimere le sue dichiarazioni di intenti, così come molte volte è stato invitato a fare. Penso piuttosto che il problema si possa porre in termini diversi: invece di affrontare sempre il discorso sulle leggi speciali, sarebbe importante inserire in un quadro più generale e più ampio i sistemi differenziati di carcerazione, ponendo come sistema generale (anche nell'ipotesi in cui la consistenza numerica della criminalità organizzata dovesse ridursi: non possiamo escludere che si possa registrare un ripresa del terrorismo o del fenomeno dei sequestri di persona) una normativa che differenzi le situazioni di massima pericolosità che - ripeto - richiedono un regime carcerario differenziato dalle altre. Tale differenziazione, d'altra parte, sarebbe necessaria anche per i livelli di minore potenzialità criminale e dovrebbe essere collegata anche all'indicazione di sistemi alternativi di custodia (non necessariamente deve trattarsi del carcere), che oggi si impongono in particolare per i tossicodipendenti e per gli extracomunitari. Una normativa di questo tipo, che disciplini il problema della strutturazione carceraria, sarebbe molto più importante di una proroga triennale oppure dell'inserimento definitivo nel nostro ordinamento dell'articolo 41-bis, che resterebbe comunque non collegato agli altri problemi di necessaria differenziazione del regime carcerario. Piuttosto che proporre un discorso un po' propagandistico ispirato alla richiesta "vogliamo il 41-bis!", sarebbe invece auspicabile la definizione di un sistema carcerario ispirato ad un regime differenziato che tenga presente, con l'obiettivo di garantire la difesa della società, la posizione diversa di coloro i quali presentano una elevata potenzialità criminale. Per quanto riguarda i collaboratori di giustizia, credo che i relativi problemi non siano stati sufficientemente affrontati. Ci troviamo anzitutto di fronte ad una questione di protezione che dovrebbe essere considerata fin dall'inizio. Il primo punto è di stabilire se, prima ancora che si sia arrivati ad un adeguato accertamento di quanto riferito dal collaborante, il sistema debba consistere nella misura immediata della libertà o, invece, nella detenzione. Ho ascoltato diversi magistrati, alcuni dei quali sostengono che, almeno fino ai riscontri necessari da eseguirsi sulle dichiarazioni rese (senza perciò arrivare alla sentenza di primo grado), sarebbe opportuno prevedere una continuità nella custodia cautelare, anche se da applicarsi in luoghi idonei, separati dagli altri e Pagina 112 muniti di particolari sistemi di protezione. Signor ministro, non ritiene necessario - così come avviene negli Stati Uniti - che fin dal primo momento il collaborante sia protetto da un personale diverso da quello che deve provvedere alle indagini e ai riscontri sulle dichiarazioni rese? Tale sistema si adotterebbe per tutto il periodo della protezione, al punto che nessuno dovrebbe sapere dove si trova una certa persona o se essa abbia o meno una nuova identità. Oggi invece si registra una situazione notevolmente preoccupante in quanto la protezione viene garantita a livello locale dalle stazioni dei carabinieri o dalle questure, con un'avvicendamento di fax tra ministeri ed enti locali che certamente non giova alla riservatezza e che a mio avviso potrebbe dar luogo a grossi problemi a livello di sicurezza. A suo parere, non sarebbe necessario rivedere e razionalizzare l'attuale sistema prima che si verifichino situazioni molto gravi? Per quanto riguarda gli stanziamenti finalizzati al mantenimento di queste persone (che sono non solo collaboranti che abbiano commesso reati, ma anche testimoni che probabilmente si sono esposti allo stesso modo o forse di più), registriamo già numerose lamentele per la modestia dell'entità dell'assegno offerto dallo Stato e per la disparità che a volte si determina tra i trattamenti dei diversi pentiti. In tale settore si stanno creando situazioni che potrebbero in qualche modo intralciare i processi. Se si tiene conto che queste persone sono abbastanza giovani, che hanno moglie e figli, che si trovano ad affrontare moltissimi problemi, che incontrano difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro... Sappiamo anche che ottenere il cambiamento del nome e del cognome non è certo facile. Tra l'altro, a mio avviso, risulta ancora più difficile tenere in qualche modo riservata questa variazione, proprio perché essa non risale al momento dell'inizio della collaborazione. In che modo il ministro e il Governo intendono agire in questo settore? I collaboranti di giustizia sono ormai quasi 800 e speriamo che tale numero si incrementi, sempre che ovviamente si tratti di collaboranti di qualche livello. Come si pensa di provvedere alla situazione futura di queste numerose persone e alla loro sistemazione nella società, ove questi ritengano e scelgano di rimanere in Italia e non si rechino all'estero? Vorrei inoltre chiedere al ministro se sia stato eseguito un monitoraggio per stabilire se gli 800 collaboranti siano tutti imputati per reati di mafia o se vi sia stato un certo allargamento ed allentamento nel senso che anche persone che hanno collaborato per fatti non di mafia o comunque di criminalità organizzata di un certo spessore abbiano poi goduto permanentemente del trattamento previsto. Il ministro ritiene necessario, per coloro i quali collaborano con riferimento a reati privi di particolare gravità, operare un mantenimento del trattamento limitato nel tempo? Per quanto riguarda la velocizzazione dei processi, penso che si registri un forte rallentamento non tanto per effetto del codice attuale, che in qualche modo può comunque avere influito, ma perché - almeno per quanto ho potuto constatare fino a pochi mesi fa - vi è un grosso problema di demotivazione e di allentamento. Ormai si è creata una scala di priorità, che da un certo punto di vista può essere anche considerata giusta ma che comunque deve in qualche modo far riflettere. Soltanto per i processi relativi a reati contro la pubblica amministrazione (che oggi hanno una particolare risonanza mentre una volta si svolgevano in tempi tali da essere prescritti) e per quelli riguardanti la criminalità organizzata si riscontra uno svolgimento più celere. Al contrario, tutti gli altri processi - che spesso non sono di scarso rilievo e che non sempre sono lontani, da un punto di vista della continuità, dalla criminalità organizzata - subiscono rallentamenti che a mio avviso sono dovuti ad un inceppamento della macchina giudiziaria legato sicuramente agli scarsi strumenti a disposizione ma anche ad una demotivazione che penso potrebbe anche incrementarsi. Constatiamo, per esempio, come nei rapporti tra le procure distrettuali e le procure ordinarie emerga molto Pagina 113 spesso una conflittualità che talvolta pregiudica addirittura la conoscenza di fatti di effettiva criminalità organizzata, proprio perché la procura ordinaria si sente in qualche modo depotenziata e messa da parte rispetto allo svolgimento di un lavoro quotidiano che spesso è faticoso, così come lo è quello delle altre procure. Talvolta assistiamo, ad esempio, alla mancata contestazione di un titolo di reato al fine di evitare che il processo venga poi trasferito alla procura distrettuale. Si corre anche il rischio che per i tribunali distrettuali, per quanto la loro utilità sia evidente per motivi logistici, si creino disparità tali per cui la giustizia finirebbe per esistere soltanto con riferimento ad alcuni reati, connessi non soltanto al settore penale ma anche e soprattutto a quello civile. In definitiva, signor ministro, vorrei sapere cosa intenda fare per riportare il tutto alla sua propria fisiologia e per agevolare una maggiore collaborazione tra gli uffici giudiziari. Le chiedo, infine, se anche nella rilettura dei rapporti tra DDA, DNA e procure ordinarie - eventualmente tra tribunali ordinali e distrettuali - non vi sia la possibilità di un raccordo tale che consenta una maggiore collaborazione, un minore livello di conflittualità tra gli uffici, una più efficace produttività nei processi e nell'attività giudiziaria. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Mi è stata posta una serie di domande molto interessanti alle quali risponderò partendo dalla questione del confine esistente tra l'articolo 41-bis e quelli che ho definito circuiti differenziati. Credo che vi sia, al riguardo, la differenza che separa una norma speciale (tale essa era), con una durata nel tempo, da principi generali che possono trovare attuazione nella generalità e diversità di situazioni - che mi sono permesso di enunciare in termini forse un po' sintetici - nelle quali può trovare attuazione quel principio di permanenza della misura che impedisce il protrarsi e quindi la prosecuzione di azioni criminose, nonché il mantenimento del prestigio e delle funzioni di capo o di boss; nello stesso tempo, va considerata una realtà generale nella quale tale differenza si collochi come un criterio di specialità, inserito però in un discorso più organico. Considero questa come un'esigenza strutturale del sistema penitenziario, che va rivisto nel suo complesso; può quindi crearsi all'interno di questa realtà una situazione caratterizzata dalla necessità di misure che attengano a un tipo di reato, di soggetto o a comportamenti che abbiano bisogno, in questa differenziazione, di una condizione più generale; questo è, a mio avviso, un criterio al quale occorre attenersi ed è anche quello che grosso modo avevo evidenziato nella mia relazione. Ma siccome l'articolo 41-bis scadrà, non possiamo neppure dare ora la sensazione che, "aspettando Godot", si possa nel frattempo creare un'area nella quale l'indifferenza rispetto all'importanza del tema o la lentezza nell'attuazione di misure denotino una riduzione dell'impegno. PRESIDENTE. Il discorso era riferito al futuro. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Sono d'accordo, nel senso che occorre ora adottare una misura e inquadrarla in un ambito più vasto, in cui potrà essere una parte rispetto a un tutto. E' altresì necessario creare un'organizzazione diversa e maggiormente idonea ad offrire garanzie anche rispetto agli effetti negativi di una minore attenzione verso la vita carceraria, che in passato vi è stata ed alla quale l'articolo 41-bis ha ovviato in termini di specialità. Il discorso sta diventando di vivissima e premente attualità non perché qualcuno ne faccia strumento di propaganda - non credo questo - anche se comunque può sempre servire a creare quelle differenze che possono esistere in ogni uomo e in ogni compagine tra chi vede le cose con l'occhio del presbite e chi con l'occhio del miope. Da parte mia, soffro più di presbitismo che di miopia, per cui sono convinto che adotterò le misure con la necessaria gradualità e attenzione ai problemi generali, non agli effetti speciali. Pagina 114 Per quanto attiene ai collaboranti di giustizia, ricordo che già il precedente Governo (in particolare, il ministro Conso), in sede di Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, aveva costituito un gruppo di lavoro che si è occupato proprio di tale questione ed anche di problemi particolari, che attengono alle modalità di protezione ed alla differenziazione della fase processuale, nella quale però l'attività di protezione può essere più efficace se svolta fin dall'inizio dagli stessi soggetti. Questo è uno degli studi in corso, che mi auguro giungano presto ad una conclusione positiva. Per la parte in cui, oltre quest'ambito, si potranno individuare altre soluzioni, sono assolutamente convinto che sia necessario (potremo forse procedere insieme) adottare questa misura che oggi non può essere individuata con precisione, perché si colpirebbe la possibilità selettiva che può sussistere nella fase iniziale del pentimento circa la necessità che il dichiarante resti in carcere oppure in un altro posto, affinché le dichiarazioni possano essere accolte con maggiore possibilità di verificarne l'attendibilità, ma anche con minor timore nell'esprimerle. Questo è l'argomento che milita a favore di coloro i quali sostengono che per il dichiarante si può anche prevedere una sede di custodia diversa da quella carceraria. Se, una volta tanto, posso esprimere un mio parere, rilevo che sono d'accordo con la presidente nell'affermare che in certi casi, fino a quando non vi è una più precisa verificabilità della base di attendibilità, la realtà carceraria può consentire ugualmente lo svolgimento delle indagini. Non si deve, quindi, far uscire subito il pentito dal carcere per il solo fatto che collabora, quasi si trattasse di un premio di incoraggiamento, ma occorre prevedere misure tali da garantire al tempo stesso la sicurezza e la verifica dell'attendibilità. Ecco perché si è parlato di un "programma di pentimento", di una linea di riferimento che, affidata anche alla valutazione del procuratore nazionale antimafia, consenta relativamente al tempo e all'entità delle dichiarazioni, che esse non siano utilizzate soltanto in rapporto ad una vicenda ma che, se vi è una linea di riferimento più complessiva, ne possano usufruire anche altri uffici giudiziari. Quindi, credo che un obiettivo da perseguire sia quello di razionalizzare il sistema sia della custodia sia dell'assunzione delle dichiarazioni, rendendole più attendibili e nello stesso tempo più sicure quanto alla persona ed alle modalità di acquisizione. Nella riunione del 27 settembre del Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, si parlerà anche di tali argomenti, perché su questo è possibile portare avanti un lavoro che, pur non essendo ancora di carattere legislativo, può creare i prodromi di un'attuazione più sicura delle misure, oltre a consentire di valutare le possibilità di differenziazione di soggetti che sono certamente diversi. Dal punto di vista della diversità, occorre evitare che vi siano pentiti di serie A e altri di serie B, con riferimento alle misure di sostegno finanziario alle famiglie, anche per evitare che coloro i quali non hanno tale possibilità rimangano scoperti nel momento in cui rischiano di più. Il problema va studiato di concerto dal ministro di grazia e giustizia e da quello dell'interno, evidentemente con mezzi diversificati a seconda dei casi, ma sulla base di una valutazione collegata all'effetto che si intende produrre e non all'ottenimento, in un caso o nell'altro, di un sostegno processuale che si incentiva e poi, per così dire, si usa e si getta, il che può essere molto pericoloso dal punto di vista della vita del pentito, della sua famiglia, nonché dell'utilizzazione delle dichiarazioni che, se il pentito viene deluso, possono essere rese diversamente nei vari gradi del giudizio, determinando problemi molto gravi. Quanto alla velocizzazione dei processi, sono certamente vere le osservazioni della presidente, ma è anche vero che è difficile stabilire il grado di demotivazione di qualcuno che, in periferia o altrove, si sente meno gratificato. Ricordo che, per il solo fatto di aver affermato che i giudici si distinguono solo per funzioni e non per nome e cognome, mi hanno detto che ho bacchettato questo o quello. E' necessaria Pagina 115 una forma di adempimento dei propri doveri meno legata agli effetti speciali, alla ridondanza esterna, e collegata, come avveniva un tempo, ad una manifestazione meno rumorosa dell'attività processuale; ma non si può rimproverare alla stampa, se il fatto è così clamoroso, che si abbia una risonanza diversa l'uno dall'altro. Spesso gli avvocati si sono vantati di avere clienti importanti, al punto di portare avanti la causa gratuitamente pur di vedere il proprio nome sui giornali, per cui conosco tali situazioni e non me ne faccio un cruccio. Però è anche vero che questo effetto di minore impegno può esserci, ma si tratta di un fatto che riguarda la deontologia del singolo ed è difficile stabilire i motivi per cui qualcuno si sente meno attivo o qualcun altro è eccessivamente attivo o troppo noto. Spero che da questo punto di vista si possa portare avanti un'azione volta a rendere i processi più rapidi, nel senso che si vada al dibattimento il minor numero di volte possibile - questa è una mia opinione - in modo che sia i processi grandi sia quelli medi sia quelli che creano (nessuno parla mai delle parti lese) un grande allarme sociale, particolare, personale anche nelle piccole realtà cosiddette periferiche, possano svolgersi più rapidamente. Quanto alla scala di priorità e ai rapporti di conflittualità tra la procura distrettuale e quella ordinaria, si tratta di un problema che esiste e mi sono permesso di enunciarlo anche nei riscontri su cui il Consiglio superiore della magistratura si è fatto carico di dare delle indicazioni. Ho voluto parlare con la bocca di chi ha esaminato tali questioni con spirito distaccato, non di parte, e sulla base di una panoramica molto più vasta di quella che potevo avere io su questo tema. Effettivamente, vi sono stati conflitti e resistenze ed esistono gelosie. Da parte mia, sarei propenso a valorizzare, più di quanto sia stato fatto finora, il compito del procuratore nazionale antimafia con riferimento alla sua funzione di impulso, di coordinamento e di conoscenza, che qualche volta non gli viene attribuita volentieri. Credo che ciò consentirebbe di sollecitare quelle collaborazioni, di stimolare quelle iniziative e di assolvere ai compiti che sono stati attribuiti al procuratore nazionale antimafia anche sotto il profilo avocativo. Questa è, a mio avviso, una delle misure che possono essere considerate utili e importanti. PRESIDENTE. Desidero fare soltanto un'integrazione che riguarda il lavoro della Commissione. Forse non ho parlato delle problematiche che i giudici di sorveglianza stanno aprendo sulla revoca della misura prevista dall'articolo 41-bis su istanza del sottoposto alla misura stessa. Vorrei chiedere al ministro di inviare alla Commissione una documentazione sui provvedimenti degli uffici di sorveglianza, perché l'ufficio di presidenza della Commissione ha deciso di raccogliere, dagli stessi uffici di sorveglianza, la documentazione relativa alle problematiche connesse all'articolo 41-bis, con riferimento al numero dei sottoposti a tale misura e a tutto quello che è stato disposto in merito. A tal fine abbiamo bisogno anche di una documentazione da parte del ministro, perché le case circondariali del genere sono molto più numerose delle isole. Chiedo inoltre al ministro Biondi, come ho già fatto questa mattina con il ministro dell'interno, di inviarci una documentazione sui collaboratori di giustizia, e quindi sul trattamento al quale sono sottoposti fin dall'inizio a livello di protezione, nonché sulla spesa complessiva dello Stato e sulla sua ripartizione tra i diversi collaboranti. Vorrei inoltre sapere se vi sia eventualmente qualche proposta di razionalizzazione, di aumento della spesa, o comunque che cosa si propone per il futuro, quali problemi si siano incontrati nel cambiamento di nome, soprattutto con riferimento a quelli che a mio avviso sta ponendo, o almeno dovrebbe porre, il fatto che alla protezione provvedano organi territoriali. Vorrei sapere quali siano gli organi territoriali e soprattutto quale protezione assicurino, oltre a presentarsi sotto casa del collaborante in divisa e con la macchina provvista di lampeggiatore. Pagina 116 Vorremmo inoltre acquisire dati non sulla distribuzione nel territorio dei collaboranti ma sui luoghi nei quali sono avvenuti i reati, quindi sulla collocazione dei reati stessi sul territorio rispetto ai collaboranti, a livello statistico e senza l'indicazione di nomi e cognomi, nonché sapere quali reati vengano imputati, ossia se si è trattato per tutti dell'articolo 416-bis o anche di altro titolo di reato. Vi è poi la questione del regolamento sul trattamento dei pentiti, sul quale non esprimeremo il nostro parere, ma che vorremmo comunque conoscere, sia pure non ufficialmente. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Si riferisce anche alle proposte in itinere? PRESIDENTE. Sì, anche alle proposte in itinere, perché ci aiutano nel nostro studio. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Va bene, signor presidente. SAVERIO DI BELLA. A proposito dei collaboratori di giustizia, rientro tra quei cittadini che restano perplessi nel momento in cui si rendono conto che a volte si assiste a delle telenovelas, per cui gli stessi collaboratori di giustizia dicono una parte della verità, qualche anno dopo ne dicono un'altra parte, poi un'altra ancora e così via. Vorrei che da questo punto di vista si procedesse "all'americana", in modo serio, non solo prevedendo le misure necessarie per tutelarli ma anche per far capire loro che il rapporto con la giustizia è un rapporto serio, perché abbiamo a che fare con una realtà drammatica. Occorre procedere con serietà estrema. PRESIDENTE. Certo. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. E' uno dei problemi che avevo avanzato durante un incontro a Palermo, parlando delle confessioni "a rate". Ayala sa benissimo che, essendo mutate le condizioni politiche di un paese, un pentito che prima non dichiarava può farlo dopo. E' difficile contingentarlo. Comunque, il programma di pentimento dovrebbe tendere proprio a realizzare subito una escursione sui temi di disponibilità. GIUSEPPE AYALA. E' un problema di grandissima delicatezza la cui esigenza è da tutti avvertita. La vicenda Buscetta... PRESIDENTE. Le problematiche che si aprono possono essere diverse. GIUSEPPE ARLACCHI. ... presuppone che questa serietà non ci sia stata, ed allora va motivata, spiegata. PRESIDENTE. Non è questa la sede per aprire polemiche; che almeno sia prevista per il futuro. La Direzione nazionale antimafia dovrebbe avere più potere sul parere da dare in ordine al programma di pentimento, se effettivamente esiste. Dovendo avere la Direzione nazionale antimafia un quadro completo e mi auguro lo abbia... GIUSEPPE SCOZZARI. Non può. PRESIDENTE. Non so se possa o non possa, ma avendo questo quadro complessivo ha anche la possibilità, rispetto alla procura distrettuale di un determinato luogo, di sapere se il nome fatto da quel collaborante può o meno destare perplessità e quindi necessitare di una maggiore attenzione. Quindi, sarebbe molto più utile un parere di questo genere piuttosto che una commissione chiamata ad esprimere un parere di natura amministrativa. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. A volte anticipando un argomento si può dare una errata sensazione; si tratta di un problema che si presta a diverse letture, quale, ad esempio, quella di garantire la possibilità processuale di avere subito una dichiarazione o una serie di dichiarazioni che possano risolvere una serie di casi. Nessuno più del magistrato può avere la percezione della attendibilità di chi parla, grazie anche ai controlli che può effettuare, e naturalmente con la Pagina 117 prudenza che mi auguro ci sia sempre in casi di questo genere. GIUSEPPE AYALA. All'inizio si è partiti con un collaborante, sia pure molto importante, e sembrava incredibile, ed oggi si gestiscono ottocento collaboranti e non credo siano tutti calunniatori! PRESIDENTE. E' necessario verificare lo spessore di ognuno. GIUSEPPE AYALA. Adesso c'è bisogno di una pausa di riflessione per migliorare il sistema. PRESIDENTE. Ho usato il termine "spessore" perché - poi lo verificheremo nei numeri - non tutti sono collaboranti di mafia, in quanto molto spesso si tratta di reati di altra natura (Commenti del deputato Ayala). Il crimine organizzato è la mafia. Tuttavia, sarà bene verificare quanti sono effettivamente i collaboranti in tema di organizzazioni mafiose (Commenti del senatore Ramponi). GIUSEPPE AYALA. Senza i confidenti la polizia non fa nulla, lo sappiamo tutti! ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Chi vive nelle città di porto sa a chi vengono rilasciate le licenze di pubblica sicurezza. CORRADO STAJANO. Questo problema grave e delicato va al di là del sistema giuridico. Non si può dire ad una persona che se intende collaborare deve farlo ora o mai più. Una situazione di questo genere coinvolge non solo il momento politico, ma anche l'animo umano e la nostra diversità. L'uomo muta, l'uomo è differente di anno in anno. Stabilire delle demarcazioni così forti credo sia umanamente impossibile. Bisogna ascoltare e naturalmente sarà compito del magistrato fare le opportune verifiche. In tema di mafia la figura del pentito compare sulla scena nel 1984 con Buscetta, mentre nel 1973, quando compare Vitale, nessuno gli crede, tanto appare incredibile il fenomeno. Se si fosse ascoltato Vitale quanti morti e quanto dolore innocente si sarebbe evitato! GIUSEPPE AYALA. Era pazzo per noi, non per loro, tant'è vero che hanno aspettato dieci anni e poi lo hanno ammazzato. CORRADO STAJANO. Era tutto vero quello che aveva detto. PRESIDENTE. Si tratta di un problema delicato che bisogna affrontare con molta attenzione. Ringrazio il ministro Biondi. ALFREDO BIONDI, Ministro di grazia e giustizia. Sono io che ringrazio la Commissione. Ho cercato di rispondere nel modo più sincero, cosa che del resto non mi è né inusuale né difficile; può darsi che non abbia soddisfatto, ma non in termini di chiarezza per ciò che pensavo e penso. Come ho detto all'inizio e ripetuto in diverse occasioni, sono sempre a disposizione non solo per la parte documentale ma anche tutte le volte che la Commissione riterrà di avere uno scambio di opinione, eventualmente anche in sede di ufficio di presidenza. PRESIDENTE. Grazie. Comunicazioni del presidente. PRESIDENTE. Comunico che l'ufficio di presidenza, riunitosi nel pomeriggio, ha deliberato - anche considerando che il lunedì è la giornata di minore affluenza dei commissari - di recarsi lunedì 26 settembre a Reggio Calabria per assumere informazioni sulla vicenda della baronessa Cordopatri dal questore, dal prefetto, dal procuratore della Repubblica e dal comandante dell'Arma dei carabinieri, oltre che dalla stessa baronessa. A questo riguardo il ministro Tremonti mi ha fatto sapere telefonicamente che non è in possesso della documentazione inerente alla situazione fiscale della baronessa Cordopatri e che quindi non è in grado di prendere una decisione. Mi ha detto che un'eventuale decisione di sospensione Pagina 118 è molto complessa a causa della legislazione vigente in materia, assicurandomi tuttavia che bloccherà la situazione. Ha dato assicurazione che, una volta avuta la documentazione, la richiesta avrà seguito. Mi ha detto che non ci sarà alcun problema, e credo che ciò possa essere sufficiente. ALESSANDRA BONSANTI. Sarebbe opportuno che ci fosse qualcosa di scritto. PRESIDENTE. Certamente la cosa sarà messa per iscritto. Ho detto al ministro che nella giornata di martedì gli porterò la documentazione affinché provveda immediatamente. Mi ha assicurato per quello che lo riguarda, essendo già informato, sia pure genericamente, della situazione. SAVERIO DI BELLA. Sarebbe opportuno avere una comunicazione per via istituzionale, attraverso il prefetto. PRESIDENTE. Invieremo un comunicato al prefetto del luogo, riguardo all'impegno del ministro, affinché l'istanza della baronessa Cordopatri venga accolta. L'ufficio di presidenza allargato ai rappresentanti dei gruppi è convocato alle 15 di mercoledì 28 settembre per cominciare ad affrontare la formulazione del programma. Ricordo ai membri della Commissione che eventuali proposte di modifica al regolamento interno provvisorio devono essere presentate entro la giornata di martedì 27 settembre. L'ufficio di presidenza ha altresì deliberato che la Commissione, nel pomeriggio di martedì 27 settembre, alle 16-16,30, proceda all'audizione del capo della polizia e alle 18-18,30 del comandante generale dell'Arma dei carabinieri. Sempre mercoledì, la Commissione dovrebbe svolgere le audizioni del ministro delle finanze alle 17,30, e del comandante generale della Guardia di finanza alle 19. Il ministro delle finanze ha però fatto presente la necessità di rinviare la propria audizione a dopo il 30 settembre essendo in corso l'esame della legge finanziaria. Venerdì 30 settembre alle 9,30 è stata fissata l'audizione del direttore della DIA e del capo della Criminalpol e alle 11,30 quella del capo della DNA. L'ufficio di presidenza ha ritenuto di dover sentire anche il governatore della Banca d'Italia (al quale il ministro Maroni ha fatto più volte riferimento) con riferimento al problema della criminalità economica, che affronteremo più approfonditamente. Assieme al ministro delle finanze, sarebbe opportuno ascoltare anche il governatore della Banca d'Italia per avere un quadro più completo della situazione. SAVERIO DI BELLA. Vorrei sapere se a Reggio Calabria vada soltanto l'ufficio di presidenza. PRESIDENTE. Si è deciso in questo senso. LUIGI RAMPONI. Mercoledì potremmo ascoltare il capo della DNA e il direttore della DIA. PRESIDENTE. Però il dottor De Gennaro, capo della Criminalpol, è l'ex direttore della DIA; pertanto ascoltandolo insieme al suo successore potremmo avere un quadro più completo, che altrimenti risulterebbe spezzettato. Possiamo però anticipare a mercoledì pomeriggio l'audizione del capo della DNA. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito. (Così rimane stabilito). ALESSANDRA BONSANTI. Vorrei sapere perché si è deciso che a Reggio Calabria deve andare l'ufficio di presidenza. PRESIDENTE. Non è escluso nessuno. ALESSANDRA BONSANTI. Se un commissario vuole, può andare? PRESIDENTE. L'ufficio di presidenza è composto da cinque membri, che rappresentano un po' tutto l'arco delle forze parlamentari e, dunque, per evitare di appesantire la delegazione con un numero eccessivo di parlamentari, trattandosi peraltro Pagina 119 di audizioni riservate, si è ritenuto che limitare la delegazione all'ufficio di presidenza stesso consentisse un lavoro più veloce. GIUSEPPE SCOZZARI. Speriamo che non diventi un'abitudine. PRESIDENTE. Non l'ho deciso io; così è stato concordato in ufficio di presidenza. Possiamo anche cambiare e decidere che ci vadano altre quattro persone. LUIGI RAMPONI. Vi sono anche i due parlamentari del collegio. ALESSANDRA BONSANTI. Non è un problema personale. PRESIDENTE. E' un problema di organizzazione. La prossima volta si potrà decidere diversamente: non si tratta di una decisione vincolante. Ovviamente, in Calabria si reca l'ufficio di presidenza non in quanto tale, ma come rappresentanza della Commissione. Naturalmente la delegazione riferirà poi alla Commissione nella seduta successiva; mercoledì, quindi, vi sarà una relazione in proposito. CORRADO STAJANO. D'accordo, il problema è di non creare una differenziazione tra l'ufficio di presidenza che decide oligarchicamente e la Commissione. PRESIDENTE. Non si tratta di una decisione oligarchica, ma di una scelta di organizzazione del lavoro. Il problema era anche quello di avere l'organo più istituzionale per dare maggiore risalto all'incontro. GIUSEPPE AYALA. Una volta vigeva la regola per cui non partecipava il deputato eletto nei luoghi in cui la Commissione si recava. PRESIDENTE. Anche questo potrebbe essere un criterio; oggi abbiamo deciso il contrario. GIUSEPPE SCOZZARI. Premesso che non intendo andare in Calabria, ritengo che se un membro della Commissione avanza formale richiesta di partecipazione al presidente, questa non possa essere rifiutata. PRESIDENTE. Certo, non si tratta di un criterio di esclusione, è solo un problema di praticità. Non possiamo andare con una delegazione di quindici membri perché si appesantirebbe il lavoro. Ritengo che le delegazioni non possano essere composte da più di cinque membri e ciò, ripeto, proprio per assicurare maggiore snellezza alle nostre iniziative. Ripeto che si tratta solo di un problema di organizzazione; possiamo anche decidere un criterio di rotazione tra i membri della Commissione. GIUSEPPE SCOZZARI. Se le pervengono delle richieste, dunque, le valuterà? PRESIDENTE. Certo, nessuno è escluso, vorrei comunque ribadire le ragioni di praticità, nel rispetto dei criteri di rappresentanza, alla base della scelta dell'ufficio di presidenza. SERGIO MATTARELLA. Vorrei invitare i colleghi a non sopravvalutare la questione. Non si tratta di una delegazione che si rechi sul posto per esaminare le condizioni generali e parlare con le autorità del luogo e con i vari addetti: si tratta di un accertamento puntuale su un caso specifico e probabilmente è utile che esso venga compiuto dall'ufficio di presidenza in quanto tale. Se vi è un gruppo che dovrebbe dolersi di questo, dovrebbe essere il mio che ha una certa consistenza e non è presente nell'ufficio di presidenza, mentre gli altri, direttamente o indirettamente, vi sono rappresentati. Perché l'accertamento sia puntuale non mi sembra neanche opportuno che sia fatto da una delegazione molto nutrita. L'ufficio di presidenza in quanto tale mi sembra il più adatto; non come delegazione perché, ripeto, si tratta di un accertamento puntuale su un fatto specifico. CORRADO STAJANO. Non ho l'ambizione di un viaggio a Reggio Calabria, anche perché ho avuto processi dolorosi per Pagina 120 libri scritti proprio a proposito di questa regione, e per questo mi sento di poter esprimere un giudizio sgombro da altre considerazioni. Il problema è generale. Temo che si crei una differenziazione tra l'ufficio di presidenza e i membri della Commissione. Lei, signor presidente, ha usato due parole: "maggiore autorevolezza" e per questo... PRESIDENTE. Intendevo autorevolezza in termini istituzionali. CORRADO STAJANO. ... ho usato l'aggettivo "oligarchico". Questo punto importante va deciso un po' da tutti perché si possono creare delle frizioni-frazioni. Credo che non avrete nulla in contrario. Non credo che in questo modo vi sia una maggiore autorevolezza. Si possono fissare dei criteri; in alcuni casi può darsi effettivamente che la Commissione abbia maggiore autorevolezza se rappresentata dal presidente o dai vicepresidenti. PRESIDENTE. Non ho parlato di autorevolezza in questo senso. CORRADO STAJANO. D'accordo, la decisione è stata assunta, però parliamone. (Commenti del deputato Bonsanti). PRESIDENTE. Ciascuno lavora nell'ambito delle proprie competenze. Io non ho la possibilità di obbligare il ministro Tremonti a fare alcunché. Posso fare un intervento a nome della Commissione, ma evidentemente ognuno ha le proprie responsabilità. Le parole del ministro mi sembra siano state molto chiare. Non vedo perché si debba avere una sfiducia che sarebbe preconcetta. GIUSEPPE ARLACCHI. L'impegno del ministro va reso pubblico. PRESIDENTE. Mi impegno a diramare un comunicato. SAVERIO DI BELLA. La mia preoccupazione rispetto al ministro Tremonti nasce da una constatazione. Mi è sembrato sorprendente che il ministro non abbia elementi. La baronessa avrà presentato la dichiarazione dei redditi l'anno scorso e dunque saranno disponibili tutti i dati catastali, eccetera. PRESIDENTE. Non è così chiaro, neanche al catasto. Lo so con certezza perché mi sono informata. Al catasto non risultano i terreni della signora. Come ha detto il ministro, la situazione è obiettivamente di una certa complessità. SAVERIO DI BELLA. Saranno ancora intestati al fratello ucciso, ma risulteranno. PRESIDENTE. No, purtroppo. Al catasto non risultano chiaramente gli elementi riferiti ai terreni. Accerteremo tutti questi elementi e li porteremo a conoscenza del ministro, il quale ha già dato assicurazioni che comunque interverrà; per un intervento più preciso, però, ha bisogno di alcuni elementi. SAVERIO DI BELLA. La discussione sulla composizione della delegazione deriva dalla diversa impressione che abbiamo circa ciò che la delegazione stessa andrà a fare. Io ho compreso che la delegazione andrà ad esprimere solidarietà... PRESIDENTE. Niente affatto. Non amo queste espressioni semplicistiche. Ho già detto che la delegazione andrà ad ascoltare il prefetto, il questore, il procuratore della Repubblica, il comandante dei carabinieri ed anche la signora e quanti hanno responsabilità istituzionali. Non andiamo a sentirli per esprimere solidarietà ma perché ci spieghino la situazione. SAVERIO DI BELLA. Credo che una regola occorra fissarla, perché decidere che di questo tipo di delegazione fanno parte o meno i parlamentari della regione nella quale gli incontri si svolgono è rilevante. Nella regione Calabria, infatti, è stato eletto, ad esempio, il senatore Meduri, il quale non è presente in questo momento ma è certamente interessato a sapere in che modo sarà composta la delegazione. Pagina 121 LUIGI RAMPONI. Saranno presenti tutti e due i senatori del luogo. PRESIDENTE. Sì, ma non obbligatoriamente. Se vogliono intervenire, possono farlo. SAVERIO DI BELLA. Io sono il terzo componente della Commissione eletto in Calabria e, se andranno gli altri due, andrò anch'io; diversamente non andrò neppure io. Intendo dire che occorre chiarire se saranno presenti i membri della Commissione originari della regione, perché se ne saranno presenti due e mancherà il terzo, questo fatto potrà essere letto in un certo modo. Se l'indicazione della presidenza è che i membri della Commissione rappresentanti della regione possono intervenire, giacché due colleghi hanno già manifestato la volontà di partecipare, verrò anch'io. Se viceversa l'indicazione, per mille comprensibili motivi, è un'altra, non verrà alcuno. PRESIDENTE. Ritengo che per questa volta si possa seguire il criterio della partecipazione, ovviamente non obbligatoria. Per il futuro vedremo. ALESSANDRA BONSANTI. Le chiederei, signor presidente, di informarsi se la signora ha sospeso lo sciopero della fame. Mi sembra infatti che sia decisa a non interrompere il digiuno fino a che non intervenga un atto formale. PRESIDENTE. Faremo così. GIUSEPPE ARLACCHI. Non vi è un atto formale, ma vi è un impegno pubblico. PRESIDENTE. Vorrei pregare infine i colleghi presenti di non rendere dichiarazioni su questo argomento. Concorderemo questa sera il testo con il ministro e poi dirameremo un comunicato che manderemo alla signora, al ministro e agli organi di stampa. La seduta termina alle 20.