Pagina 165 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI INDICE Pag. Audizione del procuratore nazionale antimafia, dottor Bruno Siclari: Parenti Tiziana, Presidente ........... 167, 170, 172, 175 178, 179, 181, 185, 189, 190, 191 Arlacchi Giuseppe .................................... 178 Ayala Giuseppe ........................ 181, 183, 185, 190 Bargone Antonio ...................................... 190 Bertoni Raffaele ................. 172, 175, 178, 181, 183 Brutti Massimo ............................. 170, 172, 173 Del Prete Antonio .................................... 185 Ramponi Luigi .............................. 183, 189, 190 Scozzari Giuseppe ..................... 179, 180, 181, 185 Siclari Bruno, Procuratore nazionale antimafia .......................... 167, 172, 173, 175, 177 178, 179, 180, 181, 182, 183 184, 185, 186, 188, 189, 190 Simeone Alberto ...................................... 172 Stajano Corrado ...................................... 186 Tripodi Girolamo ........................... 174, 175, 177 Vendola Nichi ................................... 187, 189 Audizione del comandante generale della Guardia di finanza, generale Costantino Berlenghi: Parenti Tiziana, Presidente ................ 191, 197, 198 199, 204, 208 Arlacchi Giuseppe ............................... 199, 200 Bargone Antonio ...................................... 206 Berlenghi Costantino, Comandante generale della Guardia di finanza .............................. 191, 197, 198, 199 200, 202, 204, 206, 208 Florino Michele ...................................... 198 Ramponi Luigi ........................................ 208 Scopelliti Francesca ....................... 198, 201, 204 Scozzari Giuseppe ............................... 198, 199 Sui lavori della Commissione: Parenti Tiziana, Presidente ..................... 208, 209 210, 211, 212 Arlacchi Giuseppe .......................... 209, 210, 211 Bargone Antonio .................. 208, 209, 210, 211, 212 Florino Michele ...................................... 211 Ramponi Luigi .............................. 209, 210, 212 Scopelliti Francesca ................................. 211 Vendola Nichi ........................................ 211 Pagina 166 Pagina 167 La seduta comincia alle 17,50. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Audizione del procuratore nazionale antimafia, dottor Bruno Siclari. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del procuratore nazionale antimafia, dottor Bruno Siclari, che riferirà sui seguenti temi specifici: i rapporti tra le procure distrettuali antimafia e la Direzione nazionale antimafia e tra procure distrettuali e procure ordinarie, nonché l'istituzione dei tribunali distrettuali. Ovviamente, ciascuno poi amplierà, se crede, i temi in oggetto. Do quindi la parola al dottor Bruno Siclari, procuratore nazionale antimafia. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Credo di dover fare una premessa sulle funzioni del procuratore nazionale, necessaria per capire quel che dirò poi sui rapporti con le procure distrettuali. Il procuratore nazionale antimafia, in sintesi, ha queste funzioni. Innanzitutto, funzioni di impulso in relazione alla effettività del coordinamento: deve cioè garantire che le indagini che sono collegate si svolgano in modo coordinato. Ha inoltre il compito di garantire la funzionalità e l'impiego della polizia giudiziaria nelle sue diverse articolazioni, nonché quello di garantire la completezza e la tempestività delle investigazioni. Voi sapete che la legge istitutiva della Direzione nazionale antimafia è nata tra molte opposizioni e questo non ha certo giovato alla sua stesura. Le opposizioni erano determinate dal fatto che si vedeva nella figura del procuratore nazionale antimafia - ricordo che la legge ha istituito anche le direzioni distrettuali antimafia - un accentramento eccessivo di poteri e una verticalizzazione del pubblico ministero che non esiste nel nostro ordinamento, nel quale il pubblico ministero non ha una sovraordinazione vera e propria ma è piuttosto su un piano orizzontale, anche se esistono pubblici ministeri di diverso grado (presso la pretura, presso il tribunale, presso la corte d'appello e presso la Corte di cassazione). Ho detto che le opposizioni alla legge non hanno giovato, perché poi non si è inserito in essa tutto quello che si sarebbe dovuto prevedere, nel senso che dopo aver stabilito le funzioni del procuratore nazionale, quando si è trattato di indicare quel che il procuratore nazionale può concretamente fare si è detto ben poco. Sicché esistono margini di incertezza, per cui bisogna ricostruire le funzioni del procuratore tenendo conto della ratio della legge, delle funzioni che sono state indicate e da lì far derivare quel che il procuratore nazionale può fare. Devo confessare che io stesso ero inizialmente contrario. Devo aggiungere, però, che il progetto di legge conteneva previsioni assai più ampie di quelle approvate. Mi riferisco alla possibilità da parte del procuratore nazionale di fare addirittura piani di indagine, e di dare direttive in materia di investigazioni - vere e proprie direttive - alla cui obbedienza i procuratori distrettuali erano tenuti. La legge approvata non è certamente tra le più felici e quindi la Procura nazionale ha cominciato a lavorare in un ambiente che, se non era palesemente di ostilità, Pagina 168 era certamente non molto favorevole. E con una legge che era anche insufficiente, come mi sono sforzato, per sommi capi, di fare capire. Quindi, abbiamo avuto difficoltà iniziali, anche di una certa entità. Queste difficoltà non sono mai state palesate in maniera evidente; si trattava piuttosto di una mancanza di rapporti. La Procura nazionale, per svolgere la funzione di coordinamento delle indagini, deve conoscere tutti gli aspetti dei procedimenti in corso di svolgimento su tutto il territorio nazionale, perché altrimenti è impossibile coordinare. E' necessario che la Procura nazionale conosca più di ogni singola procura distrettuale; dall'insieme di queste notizie si possono ricavare le nozioni necessarie per effettuare il collegamento, a meno che il collegamento non debba essere fatto a rimorchio di indagini di fatto già collegate, per le quali cioè i magistrati sono già in collegamento. Ma non è certo questo il compito del procuratore nazionale, deve invece andare a trovare i collegamenti per poi coordinare le indagini. Se le notizie non sono trasmesse con tempestività alla Procura nazionale, ovviamente il procuratore non può esercitare questa funzione. E in un primo momento ho subito questa forma di ostilità, non evidente ma che nei fatti esisteva. Ho dovuto tenere molte riunioni con i procuratori distrettuali nel corso delle quali- spiegandoci vicendevolmente - siamo arrivati ad un accomodamento: hanno cominciato ad aprirsi, a capire che la Procura nazionale esisteva e doveva funzionare e che d'altra parte era necessario che funzionasse. Qui devo aprire una parentesi. In tema di collegamento la Procura nazionale è davvero necessaria, e non lo dico perché sono il procuratore nazionale ma - credetemi - nella mia qualità di magistrato: occorre continuamente collegare le indagini. Esistono infatti continuamente, per la semplice ragione che ormai le organizzazioni criminali si estendono su tutto il territorio, indagini che si vanno intersecando fra di loro; indagini per le quali i magistrati interessati non sanno assolutamente che altrove si procede nella stessa direzione. Decine di volte al giorno scopro episodi del genere. I magistrati delle procure distrettuali dopo qualche tempo si sono resi conto della necessità della Procura nazionale e quindi il rapporto ha cominciato a cambiare. Naturalmente, vorrete sapere com'è attualmente il rapporto: non presenta alcun tipo di difficoltà, se non quelle che sono oggettivamente nelle cose, perché le procure distrettuali hanno organici pressoché dappertutto insufficienti, incontrando quindi serie difficoltà. Naturalmente, questo si ripercuote sulla trasmissione degli atti, perché non riesco ad ottenere, se non con qualche difficoltà, la trasmissione degli atti nella loro immediatezza mentre - ripeto - è necessario disporne subito, per conoscere le indagini nel loro svolgimento e non quando sono finite, perché allora si può fare un ottimo archivio storico ma non si apporta assolutamente nulla ai procedimenti in corso. Ora i rapporti sono buoni, se non sotto quel profilo, ed io mi rendo conto che non posso chiedere più di questo. Per ottenere questo risultato, vi ho detto in breve che ho tenuto alcune riunioni, e per la verità non mi sono limitato a questo: ho cercato di organizzare la Procura in modo che potesse risultare più facilmente accetta ai procuratori distrettuali. Ho distribuito i venti sostituti assegnando a ciascuno una zona del territorio nazionale in maniera che la controllasse e che vi attingesse le notizie. Ho favorito in tutte le maniere le applicazioni, per far fronte alle necessità delle procure distrettuali, affinché tra i magistrati della Procura nazionale e quelli delle procure distrettuali si stabilissero rapporti, anche sul piano personale, più facili, che consentissero quindi ai magistrati alle mie dipendenze di avere tutte le notizie necessarie per svolgere le nostre funzioni. Ora mi posso ritenere abbastanza soddisfatto di come vanno le cose. Certo, potrebbero andare meglio se le procure distrettuali avessero più personale, e parlo non soltanto dei magistrati ma anche del personale amministrativo, che invece, purtroppo, difetta largamente. Pagina 169 Quali sono, in prospettiva, le cose sulle quali bisogna continuare ad agire per migliorare i rapporti? Io credo che, soprattutto, siano le riunioni con i procuratori distrettuali. Attraverso queste, attraverso il colloquio si possono chiarire molti degli equivoci che possono nascere in una materia del genere, molte delle incomprensioni che possono sorgere perché i magistrati sono molto gelosi del loro lavoro e spesso vedono anche nella semplice richiesta di un atto una manovra oscura da parte di altri. Ho tentato in tutte le maniere di superare questo problema. Abbiamo predisposto, inizialmente, un documento nel quale facevamo capire che ci volevamo esprimere con la massima trasparenza e la massima chiarezza. Ho personalmente consegnato tale documento alla Commissione antimafia dell'epoca e, leggendolo, potete verificare che ci eravamo espressi in termini tali da non lasciare alcun dubbio sul fatto che volevamo apparire certo non come degli ispettori ministeriali ma, al contrario, come colleghi che si ponevano accanto agli altri colleghi per dare ad essi una mano. Attualmente la situazione è assolutamente tranquilla, non desta alcuna preoccupazione ed io non ho alcuna pretesa da avanzare. Non vi nascondo, però, che in passato sono stato molte volte tentato di chiedere delle modifiche legislative che dicessero chiaramente quali sono i poteri del procuratore nazionale, cioè che il procuratore nazionale ha diritto di avere gli atti; perché se così non è egli non può esercitare le sue funzioni e non può sentirsi rispondere che gli atti sono segreti - per fortuna nessuno mi ha risposto così - o che per una qualunque ragione non possono essere trasmessi, perché è chiaro che dinanzi ad una risposta del genere non è in grado di fare ciò che dovrebbe fare. Per quanto riguarda i rapporti con le procure non distrettuali, devo dire che sono ottimi. Per la verità, ho scarsi rapporti con le procure non distrettuali, ma comunque quei pochi che ho sono ottimi. Direi che le procure non distrettuali vedono nella procura nazionale un punto di contatto, perché si sentono in qualche maniera declassate rispetto alle procure distrettuali e quindi guardano con favore alla Procura nazionale, che per loro significa riacquisto di prestigio. I rapporti tra le procure distrettuali e le procure non distrettuali sono, nella sostanza, buoni; però, come ho detto poc'anzi, in realtà le procure non distrettuali si sentono notevolmente declassate dall'attribuzione di competenza a quelle distrettuali. Io cerco di favorire l'applicazione di magistrati delle procure non distrettuali ai processi di mafia. Ho cominciato a farlo già quando ero procuratore generale di Palermo e sono stato il primo a fare questa operazione: tutte le volte che c'è stato un procedimento per un reato non verificatosi nella sede del distretto, ho cominciato ad applicare il magistrato della procura sul cui territorio si era verificato il reato perché questo potesse poi andare anche a sostenere l'accusa in dibattimento. La cosa ha funzionato abbastanza bene, nel senso che ha ridato interesse ai magistrati delle procure non distrettuali, i quali si sono visti assegnare processi interessanti, difficili, quindi tali da stimolare il loro orgoglio ed il loro amor proprio. Ha funzionato bene anche nella prospettiva del dibattimento, che invece crea moltissime difficoltà. In questo momento, la fase del dibattimento periferico costituisce una delle maggiori difficoltà per le procure distrettuali. Qui viene l'argomento dei tribunali distrettuali. I tribunali distrettuali nascono perché in alcune procure della Repubblica - alcune procure distrettuali, soprattutto - ci sono grandissime difficoltà a sostenere l'accusa nei tribunali periferici. Queste difficoltà sono di vario ordine; innanzitutto riguardano l'organico, nel senso che, talvolta, nei tribunali non distrettuali bisogna impegnare quattro o cinque magistrati. Faccio l'esempio di Catania: in questo momento il tribunale di Catania ha due magistrati della procura distrettuale impegnati a Siracusa in due corti d'assise ed ha un altro magistrato impegnato, se non sbaglio, a Caltagirone. Su cinque magistrati della Pagina 170 procura distrettuale, tre sono impegnati fuori della sede distrettuale e questo, naturalmente, determina grossissime difficoltà per condurre il lavoro di indagine. A questo aggiungete che in alcune sedi esiste per i magistrati un pericolo effettivo a trasferirsi nelle sedi non distrettuali. Per esempio, a Palermo, le cui due sedi non distrettuali più importanti sono quelle di Trapani ed Agrigento, è pericolosissimo per i magistrati che devono sostenere l'accusa andare avanti ed indietro: percorrono una strada obbligata, ad un certo orario (perché le udienze sono fissate in anticipo), e con una certa frequenza; poiché sono tutti dati notissimi potete immaginare a quali pericoli siano esposti questi magistrati. Le esigenze dei tribunali distrettuali derivano da questi due fatti: dai pericoli che corrono i magistrati e dalla dispersione di forze notevolissima che si ha nelle procure distrettuali per sostenere le accuse nei tribunali periferici. D'altra parte, la legge dice che, possibilmente, l'accusa deve essere sostenuta dallo stesso magistrato che ha svolto le indagini preliminari; quindi, tendenzialmente, deve essere il magistrato della procura distrettuale a sostenere l'accusa. So che si avanzano opposizioni notevoli ai tribunali distrettuali, perché anche tra i magistrati - sono molti coloro che la pensano in questo modo - c'è una certa tendenza che mira a non far modificare la diffusione sul territorio nazionale dei tribunali. Se posso esprimere il mio pensiero, forse non sarebbe inopportuno individuare soluzioni intermedie. Sarebbe opportuno creare i tribunali distrettuali; ma se questi trovassero grosse difficoltà, occorrerebbe immaginare soluzioni intermedie. Non ho compiuto uno specifico esame su questo aspetto, però si potrebbe, ad esempio, provare ad effettuare una specie di rimessione di procedimenti stabilendo, per i casi nei quali è consentito spostare il procedimento dalla sede periferica a quella centrale, parametri ben precisi in modo che il provvedimento non sia attaccabile sotto il profilo costituzionale. Certo è che quale che sia la soluzione che si vuole adottare, questa è urgente, in quanto si vanno aprendo proprio in questa epoca i grandi processi. E quasi nessun grande processo si svolge nella sede centrale; si svolgono quasi tutti nelle sedi periferiche, quindi occorre provvedere con urgenza a stabilire, in qualche modo, cosa si debba fare per fronteggiare questa situazione. Credo di avere, sia pure molto sommariamente, illustrato i temi per i quali ero stato chiamato a rispondere, ma naturalmente sono a disposizione per fornire tutte le spiegazioni che desiderate. PRESIDENTE. Passiamo alle domande dei commissari. MASSIMO BRUTTI. Ringrazio il procuratore nazionale Siclari per la sua esposizione, che mi pare tocchi i punti essenziali sui quali dobbiamo oggi discutere e, quanto meno, avviare la definizione di un orientamento comune. Il dottor Siclari ha ricordato le critiche e le discussioni che accompagnarono l'istituzione della Direzione nazionale antimafia. In realtà, vi era e vi è un nodo non sciolto che ha contribuito a creare problemi, soprattutto nel rapporto tra la Direzione nazionale e le procure distrettuali: è questo intreccio di competenze che riguardano l'investigazione, da un lato, ed il coordinamento ed il raccordo informativo, dall'altro. Credo che per un potenziamento della procura nazionale si debba puntare nettamente su questo secondo ordine di funzioni: il coordinamento tra le procure che svolgono direttamente l'investigazione, che avviano e compiono le indagini preliminari e, soprattutto, il raccordo informativo, che significa un insieme di strutture per l'accumulazione delle informazioni e per la loro distribuzione. Dico subito che, al di là delle iniziali critiche, oggi, dal nostro punto di vista, vi è un'esigenza inderogabile di potenziamento e di valorizzazione della Procura nazionale. Le critiche e le discussioni appartengono al passato. Noi oggi abbiamo una struttura con un vertice, con un capo Pagina 171 di questo ufficio che in questi anni si è impegnato; dare la sensazione - anche solo la sensazione - al nemico che si smobilita o che si attenuano la funzionalità ed il rilievo di un istituto di questa importanza sarebbe comunque un grave errore. Sappiamo che i capi dell'organizzazione mafiosa non aspettano altro per poter dire ai loro associati: vedete, abbiamo raggiunto questo risultato, lo Stato ha fatto marcia indietro su questo fronte. Quindi, un venir meno, un accartocciamento, un rinsecchimento della Procura nazionale sarebbe comunque un segno di sconfitta e di ripiegamento. Perciò dobbiamo compiere tutti gli sforzi possibili per dare funzionalità e rilievo a questa istituzione. Io credo si debba puntare molto sul raccordo informativo, sul coordinamento e, a questo proposito, voglio chiedere al procuratore nazionale quali passi siano stati compiuti nel settore dell'informatizzazione e se siano emersi fatti nuovi. Ricordo che presso la Procura nazionale vi era un gruppo di sostituti che, sotto la guida del procuratore nazionale, seguivano la problematica dell'informatizzazione: sono stati fatti passi in avanti? Il problema, infatti, è quello di acquisire in tempi reali tutte le informazioni che vengono dagli organi dell'investigazione, quindi da tutte le procure distrettuali; occorre acquisire questi dati, combinarli, organizzarli ed essere in grado in tempi reali di redistribuirli. Se ci manteniamo tutti fedeli all'impostazione - che mi pare largamente comune nella cultura di questi anni e condivisa dai migliori studiosi del fenomeno mafioso - che vi è una tendenza all'integrazione, all'iniziativa simultanea in diverse parti del territorio nazionale, ad una serie di intrecci e di alleanze, allora diventa molto importante, per esempio, disporre dei dati informativi che vengono dalle singole procure distrettuali delle zone di tradizionale insediamento mafioso, per poterli mettere a disposizione di quelle che investigano in altre zone, per poter intrecciare, combinare i dati e scambiare informazioni. Questa è una funzione importante della Procura nazionale e noi dobbiamo fare il possibile perché possa essere esercitata nel modo più adeguato. Quanto ai tribunali distrettuali, il procuratore nazionale ha ricordato come negli ultimi due anni sia stata sostenuta la necessità di giungere alla loro istituzione sulla base di ragioni prevalentemente connesse alla sicurezza ed alle modalità di utilizzo dei magistrati del pubblico ministero. Accanto a queste motivazioni, va considerato anche che i tribunali minori non ce la fanno a sostenere i grandi processi. In questi giorni, per esempio, sta per essere assegnato al tribunale di Agrigento un processo con 110 imputati. E' evidente che un procedimento del genere scardina la vita giudiziaria di quel tribunale ed impedisce lo svolgimento di altri processi penali, oltre a paralizzare completamente quelli civili. Sappiamo bene, fra l'altro, che nei tribunali minori si verifica una sorta di scambio tra i magistrati, i quali finiscono per fare un po' di tutto. In definitiva, assegnare un processo del genere ad un tribunale minore significa paralizzare la giustizia. Si tratta di un problema che comunque, per un verso o per l'altro, dobbiamo affrontare, o potenziando i tribunali minori o istituendo i tribunali distrettuali. Mi pare che vi sia un'urgenza che non possiamo ignorare e che va segnalata anzitutto al ministro di grazia e giustizia. Considero molto ragionevole la proposta del procuratore nazionale di ricorrere quanto è più possibile allo strumento dell'applicazione di magistrati di procure non distrettuali ai processi di mafia, anche per garantire un raccordo nel lavoro quotidiano tra procure distrettuali e non distrettuali, evitando così quella sensazione di declassamento e di frustrazione che può essere avvertita da alcuni magistrati di queste ultime. Infine, vorrei sottoporre all'attenzione del dottor Siclari la questione delle valutazioni che oggi si possono formulare in merito allo stato dei collaboratori di giustizia ed al loro rapporto con strutture investigative da un lato e strutture protettive dall'altro. A tale riguardo, vorrei anzitutto sapere se ad avviso del procuratore nazionale l'atteggiamento dei collaboratori di Pagina 172 giustizia sia oggi lo stesso di ieri oppure se vi sia un contraccolpo legato all'atteggiamento di sospetto più volte manifestato anche da fonti autorevoli e da uomini di Governo. Ho l'impressione che questo atteggiamento di sospetto, rinvenibile in molte irresponsabili dichiarazioni sulla necessità di porre mano alla legislazione sui pentiti al fine di stravolgerla, abbia già sortito un effetto nel rapporto con i collaboratori di giustizia. Si coglie un atteggiamento di sospetto che considero ingiustificato, anche perché in ultima analisi spetta ai magistrati ed a chi è preposto alle investigazioni, non certo agli uomini di Governo, il vaglio sulle dichiarazioni dei collaboratori. E' stata rilasciata un'intervista - che io considero grave per la sua leggerezza - dal sottosegretario all'interno onorevole Li Calzi, nel corso della quale si indicava in modo assai generico e vago l'obiettivo di una revisione complessiva della legislazione sui pentiti e si anticipavano alcune notizie - a mio avviso inquietanti - relative ad un decreto ministeriale (che tra l'altro, almeno stando alle dichiarazioni rilasciate nell'intervista, è di dubbia legittimità) che introdurrebbe una nuova regolamentazione, immagino relativa soltanto alla protezione dei pentiti dal momento che è questo l'ambito di competenza nel quale può intervenire un decreto ministeriale. Tutto questo, se dobbiamo credere a quanto dichiarato nel corso dell'intervista, porterebbe ad un esito paradossale: posto il criterio - del tutto discutibile - in base al quale il collaboratore di giustizia dovrebbe all'inizio della sua collaborazione dire tutto o, per lo meno, indicare o scrivere una specie di sommario o di indice con riguardo a ciò che egli intende dire in futuro, il fatto di introdurre dichiarazioni nuove non verrebbe considerato nella sede propria. Se un pentito introduce nel suo rapporto di collaborazione con la giustizia dichiarazioni nuove, il magistrato si formerà un'opinione e si chiederà: "Come mai dice questo soltanto adesso? C'è una ragione?". A quel punto, valuterà l'attendibilità delle dichiarazioni. Nell'intervista dalla quale si apprende del decreto ministeriale in elaborazione, invece, al fatto che il pentito rilasci nuove dichiarazioni viene collegata una decisione in ordine alla protezione del pentito stesso. L'effetto paradossale consisterebbe nel fatto che il pentito in itinere rilascia nuove dichiarazioni; a quel punto, quando per esempio chiama in causa un uomo politico, verrebbe meno la protezione. E' questo infatti l'unico settore nel quale può intervenire il decreto ministeriale ... PRESIDENTE. Senatore Brutti, mi dispiace interromperla ma vorrei ricordarle che alle 19 dovremo procedere all'audizione del generale Berlenghi. RAFFAELE BERTONI. Presidente, noi abbiamo aspettato fuori che si concludesse l'ufficio di presidenza. Vuol dire che aspetterà anche Berlenghi! PRESIDENTE. Vi prego di contenere e sintetizzare gli interventi. ALBERTO SIMEONE. Presidente, sono domande o conferenze? Chiariamolo una volta per tutte! Mi sembra che si stia esagerando! MASSIMO BRUTTI. Prendo atto che mi è stata tolta la parola ... PRESIDENTE. Non le ho tolto la parola. Io devo garantire l'ordinato svolgimento del dibattito perché, diversamente, se tutti parlano venti minuti... MASSIMO BRUTTI. Le domande che si possono rivolgere al procuratore nazionale o entrano nel merito oppure sono soltanto un flatus vocis! PRESIDENTE. Lei può entrare nel merito, ma la prego di farlo nel modo più sintetico possibile! MASSIMO BRUTTI. Confido nella capacità di intendere del procuratore nazionale, il quale sicuramente avrà capito a cosa miravano le mie domande. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Per quanto riguarda il coordinamento, concordo pienamente sul Pagina 173 fatto che la Procura nazionale si debba muovere soprattutto sotto questo profilo. D'altra parte, l'impulso alle indagini viene proprio dal coordinamento, dalla capacità di coordinare le indagini. L'impulso non può che realizzarsi in questa maniera per cui - ripeto - va privilegiato il coordinamento delle indagini. Il mio sforzo è tutto indirizzato in questa direzione. Tra l'altro sto cercando di coordinare le indagini che hanno un respiro nazionale. Ho cominciato a coordinare le indagini sulle stragi e sto cercando di coordinare quelle sul riciclaggio, settore in merito al quale abbiamo effettuato uno studio. Alla fase dello studio è seguita quella dell'azione ed attualmente ho individuato i più grossi processi di riciclaggio sul territorio, in maniera tale da poter coordinare le indagini relative a queste operazioni, ritenendo tra l'altro che sia facile rinvenire collegamenti in questa materia perché in genere i canali del riciclaggio vengono utilizzati non già per una sola operazione ma per più di una, realizzate da varie famiglie mafiose o da cosche calabresi. Quanto ai tribunali distrettuali, è verissimo che, oltre ai motivi da me indicati, vanno anche considerate le difficoltà in cui versano i tribunali locali. Questi ultimi hanno organici assolutamente insufficienti: quando essi vengono a trovarsi di fronte ad una realtà qual è quella di un processo che si presume duri un anno, finiscono per vedere bloccata la loro normale attività. Per quanto concerne i pentiti, vi sono stati momenti di difficoltà che hanno fatto seguito a varie dichiarazioni rilasciate sull'argomento (non intendo in questa sede fare riferimenti specifici all'una o all'altra dichiarazione). Dicevo che vi sono stati momenti di difficoltà. Io, per esempio, per due volte ho ricevuto sollecitazioni dai detenuti del carcere di Paliano (nel quale sono associati molti collaboratori), preoccupati di quello che accadeva, i quali volevano essere ascoltati da me per rappresentarmi i loro timori. Vi è stato un momento di smarrimento piuttosto pronunciato da parte dei collaboratori, che io ho colto attraverso i procuratori distrettuali. Fortunatamente le dichiarazioni in tema di pentiti sembrano essersi ridotte da qualche giorno e tutto sembra stia ritornando alla normalità. A tale proposito vorrei fare una considerazione, che reputo necessaria, in merito a quanto sta accadendo a proposito della camorra. Avrete tutti letto sui giornali le notizie riferite all'azione promossa all'epoca da don Riboldi. Oggi si è scoperto che vi era una manovra. Allora io misi in guardia sul pericolo che vi potesse essere una manovra e che bisognava agire con prudenza. In questa materia non basta la buona fede perché, nonostante questa, si corre il rischio di provocare danni enormi. Sul tema dei pentiti sarebbe bene che si parlasse il meno possibile. I pentiti sono persone che vivono con uno stato d'animo del tutto particolare perché hanno dovuto effettuare scelte che li pongono in una situazione di pericolo, scelte sicuramente difficili. Al di là del fatto che si tratti veramente di pentiti, resta la considerazione che, oggettivamente, le scelte da essi compiute sono difficili, perché li pongono al di fuori del gruppo di cui facevano parte e li collocano in una situazione di pericolo fisico. I pentiti sono, quindi, persone particolarmente sensibili per cui raccolgono con molta preoccupazione qualsiasi cosa si dica su di loro. Io stesso, che pure avrei da proporre qualche modifica alla legge sui pentiti, mi sono sempre ben guardato dall'affrontare questo argomento proprio per non generare ulteriori preoccupazioni. Si potrebbe pensare, per esempio - mi limito a pochi flash- ad una modifica delle norme sui pentiti al fine di rendere possibile un giudizio abbreviato anche in caso di ergastolo. Non vi è alcuna ragione per mantenere l'attuale sbarramento che non consente questa possibilità. MASSIMO BRUTTI. La sentenza della Corte era per eccesso di delega ... BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Qualche procura ha cercato di superare questo ostacolo affermando che si tratterebbe di una diminuente e non di una attenuante e che, in Pagina 174 presenza di diminuente, il reato non sarebbe più di ergastolo ... Si tratta di una tesi difficilmente sostenibile. Sempre in tema di pentiti, si potrebbe prevedere una norma che riguardi chi debba decidere sulla detenzione extracarceraria nel giudizio. Le norme attuali, infatti, disciplinano questo aspetto soltanto per quanto riguarda la fase delle indagini preliminari ma nulla prevedono con riferimento al processo già in corso. Tale situazione ha determinato alcune difficoltà. La corte d'assise di Siracusa, per esempio, si è rifiutata di entrare nel merito sostenendo la mancanza di competenza. Ad un certo punto non si sapeva chi dovesse dare l'autorizzazione alla detenzione extracarceraria! Ripeto: pur essendo cosciente che alcune iniziative vanno adottate in senso favorevole ai collaboratori di giustizia, non già quindi per rendere più difficile la loro esistenza, mi sono ben guardato dall'avanzare proposte di questo genere perché mi rendo conto che qualsiasi proposta può suscitare allarme, anche quando sia avanzata nella massima buona fede. Come ho già detto, credo che il momento di smarrimento sia ormai passato e che si sia recuperata una posizione di tranquillità. Dico questo anche perché i pentiti non insistono più per essere ascoltati da me. Si tratta comunque di un discorso molto delicato che va affrontato possibilmente con molta attenzione e riservatezza. Se alcune disposizioni della legge sui pentiti debbono essere modificate, lo si può fare; non dico certo che tutto sia immodificabile e che tutto vada perfettamente bene. Quanto ai rapporti tra i collaboratori di giustizia e i loro "gestori", credo che fino ad oggi - per quello che mi risulta - i pentiti siano stati gestiti nel modo in cui avrebbero dovuto esserlo. Non mi risulta alcun episodio di gestione da parte degli organi a ciò deputati che non sia perfettamente legale e che non rientri nella normalità. Motivi di scontentezza affiorano spesso da parte dei pentiti nei confronti del servizio di protezione. Debbo dire tuttavia che si tratta di motivi che, nella gran parte dei casi, trovano giustificazioni umane (qualche volta neppure quelle!). Penso, per esempio, a pretese di sussidi più consistenti a fronte di situazioni che sono prospettate come particolari (anche se talvolta non lo sono affatto), oltre che a pretese eccessive come, per esempio, quelle di chi non si accontenta dell'alloggio assegnato e chiede case più adeguate. Direi che nell'insieme, tenendo conto che in questo momento i collaboratori sono più di 880, le cose si svolgono ragionevolmente, senza grandi difficoltà. Il servizio di protezione gestisce come può questa massa, che si è fatta imponente, perché ai collaboratori veri e propri bisogna aggiungere le loro famiglie; siamo di fronte a circa 3.500 persone. Immaginate quali siano i bisogni di queste persone, le loro occorrenze, le loro necessità. Gestire tutto ciò è cosa particolarmente difficile, che impegna le forze di polizia le quali, per la verità, dovrebbero essere assegnate ad altri compiti. Mi rendo però conto che è difficile creare un servizio apposito per i collaboratori di giustizia, perché sarebbero necessarie, credo, almeno 10 mila unità - non sono un poliziotto e non so dare una quantificazione precisa - per sorvegliare, controllare e proteggere 3.500 persone. GIROLAMO TRIPODI. Mi rendo conto che i tempi sono insufficienti per sviluppare le nostre considerazioni sull'esposizione del procuratore nazionale antimafia, che ringrazio. Pertanto mi limiterò a porre alcune domande molto stringate. Certo, di fronte al dottor Siclari avremmo avuto bisogno di più tempo per maggiori approfondimenti, perché abbiamo la necessità non solo di conoscere il bilancio dell'attività della Procura nazionale antimafia, ma anche di discutere dello stato attuale della lotta alla criminalità. Vorrei anche domandare al dottor Siclari se sia a conoscenza di una ripresa dell'attività delle organizzazioni criminali e mafiose, nonostante i colpi che hanno subìto in passato, e se sia al corrente di un certo indebolimento dell'azione di contrasto - parlo in generale, perché l'impegno non è ovunque uguale - e se ciò costituisca un momento di stallo ovvero sia frutto Pagina 175 di una ripresa del controllo mafioso del territorio, ovvero ancora se sia dovuto ad altri fattori. Quanto all'insufficienza degli organici delle procure distrettuali - si tratta di situazioni di cui il procuratore Siclari si lamentava e che noi ben conosciamo - dobbiamo ricordare che in alcune sedi, come Reggio Calabria, ci sono cinque magistrati che si occupano di un territorio nel quale vivono 85 cosche mafiose di cui conosciamo la pericolosità, così come conosciamo i campi nei quali la mafia opera; una precedente Commissione antimafia aveva individuato nell'80 per cento la percentuale di controllo del territorio, ma la mafia nel frattempo è cresciuta. Il procuratore Siclari ha parlato della necessità di un adeguamento. Vorrei sapere se esistano proposte chiare e se il ministro abbia dato risposta. A Catanzaro è stata sospesa la celebrazione di processi e a Reggio Calabria sono previsti molti maxiprocessi: si rischia di non poterli celebrare e, per decorrenza dei termini, di mettere in libertà molti pericolosi mafiosi. Lei sa, dottor Siclari, che a dicembre scadrà il termine di carcerazione preventiva per l'ultimo dei Mammoliti, un noto personaggio della delinquenza mafiosa a livello nazionale ed internazionale. Vorrei perciò conoscere le proposte avanzate e quali siano state le risposte a questi problemi impellenti. L'ultima domanda riguarda l'articolo 41-bis. Credo che il problema sia di grande attualità perché sono in atto spinte per l'abolizione di questo articolo, mentre alcuni fatti dimostrano che la sua portata comincia a ridursi e che il medesimo è già per molti aspetti inoperante. La Procura nazionale antimafia, nell'ambito delle sue prerogative, ha un quadro della situazione e si è attivata per sapere se tale articolo venga rispettato o meno? Sappiamo, infatti, che non viene rispettato e che su questo piano vi è un allentamento dell'azione. Vorrei conoscere la sua opinione sull'opportunità di mantenere questo articolo ovvero di abrogarlo. Io ritengo che debba essere mantenuto. RAFFAELE BERTONI. Permanente. GIROLAMO TRIPODI. Valuteremo in quale forma. Quanto ai cosiddetti collaboratori di giustizia, lei ha detto che occorrono alcune modifiche. Credo che lei intendesse, con questa affermazione, proporre modifiche in senso migliorativo e che comunque ritenesse che tale istituto non dovesse essere toccato, perché rappresenta un deterrente molto forte, anche se può diventare oggetto di manovre o quanto altro. Dobbiamo continuare a farne un uso prezioso. PRESIDENTE. Senatore Tripodi, anche a lei devo rivolgere l'invito ad essere conciso, altrimenti dovremo rinviare l'audizione del generale Berlenghi. Le domande poi dovrebbero essere nuove, non sempre le medesime, perché così si diversificano i temi di risposta. GIROLAMO TRIPODI. Signor presidente, non ho ripetuto le domande e quindi non accetto questa critica. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Il bilancio della Procura nazionale e di quelle distrettuali - è difficile separare i due organismi - è certamente di gran lunga positivo. Sono stati raggiunti risultati finora mai conseguiti, anche se è vero che a ciò hanno contribuito anche altri elementi, quali le modifiche legislative intervenute nel frattempo e la tensione esistente nel paese in tema di lotta alla mafia. Certo è che realizzazioni come quelle fatte in questo periodo non si erano mai avute: sono state arrestate migliaia di persone, sono state sequestrate decine di migliaia di miliardi. Il percorso compiuto fa onore agli organi giudiziari che hanno espletato il lavoro. La Procura nazionale antimafia ha fatto la sua parte, quella che la legge le assegna, cioè il coordinamento delle indagini. Tutte le operazioni di cui sentite parlare e delle quali leggete sugli organi di stampa sono coordinate in qualche modo dalla Procura nazionale. Quindi, per Pagina 176 quello che mi riguarda, mi sento la coscienza tranquilla. Vorrei ora rispondere ad una domanda, che forse prima mi era sfuggita, relativa all'informatizzazione. Il processo è a buon punto e non ci sono stati lesinati mezzi per cui siamo riusciti a costruire un buon sistema informatico, nel quale immettiamo via via le notizie trasmesse dalle procure. Naturalmente, per avere un sistema perfetto occorrono uno o due anni, perché deve essere introdotta una grande mole di dati per avere risultati consistenti. Siamo però sulla buona strada. In questa realizzazione ho impegnato le forze di polizia, che fortunatamente mi sono venute incontro, e con il loro aiuto stiamo costruendo un sistema che dovrà essere esteso alle procure distrettuali; infatti, se queste non hanno una situazione analoga è difficile far funzionare il sistema. Credo che le ristrettezze economiche abbiano causato dei rinvii per cui, mentre prima si parlava di collegare le maggiori procure distrettuali entro l'anno, ora ci si limita soltanto ad alcune procure e per le altre si parla del 1995. Quanto all'attuale stato della lotta alla criminalità, la nostra azione e quella delle forze di polizia devono essere guardate con ottimismo. Non posso entrare nei particolari, ma vi posso dire che si stanno preparando ovunque operazioni e che saranno operazioni di grande portata. Si è però verificato un allentamento della tensione, non certo da parte delle forze di polizia, che non hanno abdicato in nessun momento ai loro doveri, né da parte dei magistrati. Mi riferisco ad un allentamento generale. Ho cercato più volte di farlo rilevare; ho spesso insistito sul fatto che la tensione deve essere alta per ottenere la collaborazione della collettività: il grande consenso alla lotta contro la mafia che si era manifestato da parte della collettività nelle varie zone del paese è andato calando. L'impegno delle forze di polizia no, ma la tensione sì e questo comporta conseguenze che a lungo andare possono ripercuotersi sulla lotta contro la criminalità. Quanto alle varie sedi giudiziarie, l'onorevole Tripodi ha parlato della situazione di Reggio Calabria, che non esito a definire un'autentica tragedia. Ho fatto tutto quello che era in mio potere e ben tre magistrati, su diciannove della Procura nazionale, sono applicati in quella città per cercare di portare un aiuto. Ma Reggio Calabria è in grave difficoltà: i magistrati ed il personale sono del tutto insufficienti; il tribunale non può far fronte ai processi, i GIP sono assolutamente insufficienti. Credo sia la città italiana più martoriata sotto il profilo giudiziario - e non lo dico perché sono calabrese -, ma nonostante questo sta facendo cose notevolissime. Nell'insieme le procure di Reggio Calabria e di Catanzaro stanno facendo cose pregevolissime. Certo, non si può rimanere a lungo in questa situazione perché se si va avanti così non si potranno celebrare i processi, saranno inevitabili le scarcerazioni, sarà necessario attendere mesi per adottare provvedimenti cautelari. So che il procuratore di Reggio Calabria ha avuto alcuni incontri per chiedere un aiuto al Ministero di grazia e giustizia; io ho fatto la mia parte e continuerò a farla nel senso di premere perché venga dato a Reggio quello cui ha diritto, ma naturalmente non posso andare oltre certi limiti e non spetta a me provvedere a situazioni di questo genere. Io non posso far altro che, come ho già fatto, inviare magistrati per fornire un aiuto: ne ho inviati tre a Reggio Calabria e uno a Catanzaro, su diciannove a mia disposizione. Altri quattro sono a Napoli per dare una mano alla procura napoletana. Per quanto riguarda l'articolo 41-bis, ho ripetuto più volte che esso va mantenuto in vita perché non possiamo rinunciarci. Tale articolo, infatti, dovrebbe rendere impossibile ai boss mantenere contatti con l'esterno, quei contatti che in passato, come risulta da innumerevoli processi, hanno consentito loro di continuare a fare i capi stando in carcere. Dico dovrebbe rendere impossibile perché, mentre questo articolo funziona nelle sedi in cui i boss sono normalmente detenuti, esso è molto meno efficace quando ci si Pagina 177 muove nelle sedi periferiche nelle quali questi signori vengono spesso trasferiti per la celebrazione dei numerosi processi nei quali sono imputati. Mi sono dato da fare affinché i detenuti tornino al più presto possibile nelle carceri di provenienza. Quest'estate, per esempio, mi sono prodigato affinché durante il periodo feriale venissero ricondotti nelle carceri alle quali sono normalmente assegnati. Ciò perché nelle sedi periferiche effettivamente non è possibile mantenere il rigore che è possibile avere nelle sedi naturali. Ho fatto per anni il magistrato di sorveglianza ed ho una certa esperienza di carceri: è molto difficile applicare l'articolo 41-bis nelle carceri di Reggio Calabria o di Catanzaro. GIROLAMO TRIPODI. O di Palmi! BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. O di Palmi. Bisognerebbe, quindi, cercare di fare i processi ricorrendo ai mezzi audiovisivi o ad altri mezzi, cercando di spostare i boss il meno possibile e di far gravare veramente su di loro l'articolo 41-bis, che essi considerano un peso insopportabile. Dovremmo sostenere anzi che tale articolo va mantenuto per il solo fatto che viene ritenuto insopportabile dagli interessati. Ho avuto modo di dire, in sede di Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, che se poi in questo articolo vi è qualcosa che va oltre i limiti del tollerabile (ma non mi pare che esso sia applicato in maniera tale da andare oltre i limiti dell'umanità) cerchiamo di rimediare. La norma però va mantenuta, perché è indispensabile, non fosse altro, lo ripeto, perché i boss vorrebbero che venisse modificata. Ormai è accertato, infatti, che sono stati compiuti attentati a causa dell'articolo 41-bis e dei collaboratori di giustizia: sono due frecce che dobbiamo mantenere ben conficcate nel cuore della criminalità. Altrettanto irrinunciabili sono i collaboratori di giustizia. Sono un vecchio magistrato e sono arrivato con qualche difficoltà ad accettare di ricorrere ai collaboratori di giustizia, perché dentro di me consideravo quasi immorale la loro utilizzazione. Sono però una necessità perché sono gli unici che possono descriverci dall'interno quello che accade e costituiscono un grandissimo pericolo per le organizzazioni criminali che esse non sanno fronteggiare e per sconfiggere il quale in questo momento darebbero qualsiasi cosa. Certamente è necessario migliorare la legge, ma quando ho accennato a questa questione mi riferivo a miglioramenti in senso più favorevole per i collaboratori di giustizia (e non certo al contrario). Per esempio, ho sempre sostenuto che non è possibile pretendere che il collaboratore dica tutto e subito; ciò mi pare assolutamente irragionevole per il semplice fatto che la mente umana non è capace di condensare tutto immediatamente. E' possibile, infatti, ricordare tutto quello che si è fatto in un giorno, ma ripercorrere dieci anni di carriera criminale mi sembra molto più difficile. Se a distanza di dieci anni chiedo a un pentito se per caso il giorno di Natale ha incontrato Mammoliti alla stazione ferroviaria, è possibile che egli risponda di sì e che quella notizia mi serva perché io ho notizia che Mammoliti era in quella stazione ferroviaria per commettere qualche azione criminale. Ma perché quel collaboratore avrebbe dovuto spontaneamente raccontare che aveva incontrato Mammoliti dieci anni prima alla stazione ferroviaria? Cosa avrebbe dovuto indurlo a raccontarlo, se nessuno gli avesse posto quella domanda? La gestione dei collaboratori è una questione di professionalità dei magistrati. In linea generale i magistrati dimostrano di possedere buone capacità professionali; senza entrare nei particolari posso assicuravi che ce ne è una prova di particolare rilievo in questo momento. Per nessun collaboratore si dà per definitivamente dimostrato che dica sempre la verità, nemmeno per quelli per così dire accreditati. Anche per questi ultimi, infatti, i magistrati hanno lo scrupolo di verificare se abbiano o meno detto la verità; anche se, avendo essi fatto una serie di dichiarazioni Pagina 178 già controllate, si potrebbe pensare di accettare de plano le loro informazioni, i magistrati, di fronte al minimo sospetto che potrebbero non aver detto la verità, si sforzano di verificare se abbiano mentito anche relativamente ad una sola circostanza. E' una questione di professionalità. Naturalmente non posso parlare di tutti i magistrati, ma nelle procure distrettuali per fortuna vi è una buona professionalità e generalmente questa è una condizione abbastanza uniforme. Può esserci stato qualche caso particolare nel quale non sono stati fatti tutti gli sforzi per accertare la verità, ma questa non è la normalità e non si può per questo pensare di cambiare la legge. Credo di essere in un osservatorio dal quale più di ogni altro posso valutare come sono stati utilizzati i collaboratori di giustizia: nella generalità dei casi mi sembra siano stati utilizzati bene, tutte le volte si è cercato con minuziosità di capire se hanno detto la verità o hanno mentito. RAFFAELE BERTONI. Non commetterò l'ingenuità di fare una premessa e di porre cinque domande, come risulta in modo preciso dal resoconto sommario di una precedente seduta. L'unica imprecisione riguarda il fatto che mi si qualifica deputato, invece che senatore. Sono lieto di essere senatore non foss'altro che perché non incontro tanto spesso Tiziana Maiolo. Questa sera, senza premesse, voglio rivolgere una domanda secca al procuratore Siclari. Le risulta che negli ultimi due anni si sia celebrato un processo o si sia svolta un'indagine per il reato di scambio elettorale politico-mafioso di cui all'articolo 416-ter? E se no, come è probabile, a suo giudizio questo dipende dal fatto che il reato prevede questo scambio solo quando venga dato all'associazione mafiosa denaro e non anche nel caso in cui vengano promessi appalti, finanziamenti, concessioni, impieghi pubblici o privati, come di norma accade? E se è così, è opportuna una modifica in questo senso dell'articolo 416-ter come nell'iniziale proposta parlamentare, purtroppo annegata dalla protervia del ministro Martelli? BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. A me non risulta che sia stato celebrato alcun processo. Certo, la norma è tale che una modifica legislativa sarebbe opportuna, perché difficilmente sulla base di quella attuale sarà possibile celebrare qualche processo, anche se indagini dirette ad accertare questo tipo di rapporti tra politici e famiglie mafiose o camorriste ci sono state e ci sono. Dubito, però, che si possa arrivare a qualche procedimento se la norma non viene modificata. GIUSEPPE ARLACCHI. Procuratore Siclari, lei ha citato una ricognizione effettuata dalla Procura nazionale antimafia dei maggiori processi per riciclaggio attualmente in corso. Vorrei chiederle di fornire alla Commissione una lista dei titoli di questi processi, poiché quest'argomento è uno di quelli dei quali intendiamo occuparci. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Se mi dà il tempo... PRESIDENTE. Non sono coperti dal segreto istruttorio? BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. In questo momento non sono in grado di dirlo, alcuni sono certamente coperti dal segreto. GIUSEPPE ARLACCHI. Naturalmente nei limiti del segreto istruttorio; ma anche avere soltanto la lista dei processi principali agevolerebbe molto il nostro lavoro. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Comprendo bene che quella del riciclaggio è una questione particolarmente importante. Se mi lascia il tempo di verificare cosa posso dire e cosa no, sono disponibilissimo a informare la Commissione. GIUSEPPE ARLACCHI. Vorrei rivolgerle un'altra domanda. Poiché la DIA e la Procura nazionale sono state istituite più Pagina 179 o meno nello stesso periodo, vorrei sapere quale bilancio lei fa, dopo due anni e mezzo di attività, del rapporto con la DIA. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. La DIA, in buona sostanza, all'inizio ha sofferto della stessa malattia della Procura nazionale: è stata lasciata a metà. Dopo aver istituito questo organismo interforze, infatti, non gli è stata data l'esclusiva in materia di reati di mafia. Ciò ha comportato qualche difficoltà iniziale. La DIA le ha superate brillantemente, anche perché nel settore operativo ha potuto conseguire risultati importanti. La DIA va mantenuta, rafforzata e portata a completamento; a mio giudizio deve diventare quello che dovrebbe essere, cioè un organismo interforze con competenze esclusive in materia di reati di criminalità organizzata, ed in particolare mafiosi. La DIA ha dato un'ottima prova di grande professionalità ed equilibrio in tutte le occasioni. Posso solo esprimere lodi nei confronti della Direzione investigativa antimafia, un organo ritenuto molto importante per le procure distrettuali, le quali, per le questioni più difficili, fanno capo alla DIA, riponendo in essa grande fiducia. GIUSEPPE SCOZZARI. Ho ascoltato con molta attenzione la relazione del procuratore; mi è sorto qualche dubbio per cui desidero avere alcuni ulteriori elementi. Debbo dire, comunque, che le risposte sono state così esaustive ed interessanti che prego il presidente della Commissione di inviare copia del resoconto alle colleghe Maiolo e Li Calzi - soprattutto alla seconda - affinché capiscano l'importanza... PRESIDENTE. Questo me lo può dire dopo. Ora procediamo a formulare le domande. GIUSEPPE SCOZZARI. La mia è una sollecitazione molto forte che intendo rivolgere alla presidenza di questa Commissione, perché le cose che ha detto il signor procuratore sono molto importanti e su di esse, a volte, le colleghe che ho citato hanno scherzato, facendo dichiarazioni avventate e creando quel clima incredibile di cui ha parlato il procuratore. Fatta questa premessa - della quale credo la presidenza debba prendere atto per le opportune iniziative - intendo chiedere al procuratore se la Direzione nazionale antimafia abbia effettuato, ed in che termini, il cosiddetto coordinamento fra le varie procure. Visto che molti hanno parlato, a volte a sproposito, di una sorta di fallimento del ruolo della Procura nazionale, vorrei sapere se essa sia stata in grado di coordinare e quindi se sia stata determinante nel raggiungimento di alcuni apprezzabili risultati investigativi e poi processuali. Ciò ovviamente nei limiti del segreto: chiediamo di avere notizie non su procedimenti in corso ma su ciò che è stato fatto. Lei ha detto che la situazione è abbastanza tranquilla, cioè che i magistrati, quantomeno quelli che fanno parte delle direzioni distrettuali antimafia, cominciano a fidarsi. Allora, mi chiedo se sia stato raggiunto un livello di coordinamento molto forte e se si intenda migliorarlo attraverso l'informatizzazione di cui parlava il senatore Brutti. Si parla di dibattimento periferico e di tribunali distrettuali. A tal proposito la sua risposta non mi è sembrata molto indicativa. Lei ha parlato di una soluzione intermedia, però purtroppo le soluzioni intermedie spesso risultano pasticciate. Vorrei sapere se il dottor Siclari sia d'accordo sull'istituzione di tribunali distrettuali antimafia e se ritenga che essi costituiscano veramente un passaggio importante per la celebrazione di grandi processi. Il collega Brutti ha citato Agrigento ed io ripeto che ad Agrigento si paventava un maxiprocesso con 60 imputati; oggi ne sono stati citati purtroppo 106: ciò significa che l'aula-bunker attrezzata per 60 imputati, oggi non è in grado di gestire questo maxiprocesso importantissimo che sarà celebrato alla fine dell'anno. Concludo il mio intervento, intrattenendomi su ciò che potrebbe fare a questo Pagina 180 riguardo la Commissione parlamentare antimafia. Vorremmo sapere dal procuratore quali siano i distretti più "caldi" che in questo momento stanno celebrando i processi di mafia più grossi (come diceva il collega Arlacchi). Vorremmo capire dove lo Stato debba accendere il proprio faro, dove la Commissione parlamentare possa essere utile, magari in quelle procure, in quei distretti giudiziari in cui oggi si nota solo una prima linea nella quale sono presenti i magistrati dell'antimafia, perché la società civile stenta a venir fuori; in fondo, la Procura nazionale antimafia non è altro che il sensore nazionale di quello che avviene nel territorio, dalla società civile, alla magistratura, alle istituzioni, ivi comprese quelle amministrative. Sui collaboratori di giustizia ritengo che le risposte del procuratore siano state abbastanza esaurienti. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Per quanto riguarda l'attività di coordinamento, devo ripetere ciò che ho detto molte volte. Quella della Procura nazionale non è un'attività mostrabile a tutti, perché il più delle volte si svolge in segreto. Mi spiego meglio. Coordino continuamente procedimenti; domani, ad esempio, devo coordinare un'operazione tra Reggio Calabria e Milano. Questa attività non figura in alcun modo, ma si svolge nel mio ufficio con i magistrati delle due procure che mi parleranno dei relativi problemi: ci metteremo d'accordo sul modo in cui procedere, sui tempi, sulle informazioni che reciprocamente si dovranno scambiare e su quelle che non devono essere dall'uno svelate perché potrebbero danneggiare l'azione dell'altro. Si tratta di attività che io e i miei magistrati svolgiamo continuamente, centinaia di volte; talvolta assumono un carattere più formale, ma ciò avviene proprio quando vi sono difficoltà di coordinamento, cioè quando devo impartire le direttive vere e proprie. Se non viene raggiunto un accordo, allora devo intervenire indicando ciò che si deve fare; solo in questo caso vi è un atto formale di cui rimane traccia. Le altre azioni, delle quali non rimane traccia, sono centinaia: ne ho svolta una ieri, ne svolgerò una domani e probabilmente mi capiterà di svolgerne qualcun'altra entro la fine della settimana (ho già ricevuto telefonate di colleghi che mi chiedono di farli incontrare con altri colleghi e di trovare l'accordo su operazioni in corso). GIUSEPPE SCOZZARI. Questo è importante, perché così si smentiscono le voci. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Ho detto all'inizio e ripeto, come magistrato e non come procuratore nazionale, che se non vi fosse un organo deputato al coordinamento bisognerebbe crearlo e, se fosse possibile, bisognerebbe crearlo anche all'interno di qualche ufficio giudiziario, perché anche qui si verificano episodi di mancato coordinamento. Citerò un peccato, senza dirvi il peccatore: qualche giorno fa ho verificato che il fatto che un nuovo collaboratore di giustizia - peraltro non nuovissimo, nel senso che parla da 20 o 25 giorni - avesse cominciato a parlare non era a conoscenza, nella stessa procura, di un collega che lo ha come imputato. Allora, il coordinamento forse bisogna farlo in maniera massiccia. L'onorevole Scozzari vuole sapere la mia opinione circa i tribunali distrettuali. Ne sono un sostenitore, però mi rendo conto che tra gli stessi magistrati non vi è una prevalente tendenza a favore dei tribunali distrettuali. Lo stesso Consiglio superiore della magistratura, in passato, si è diviso ed ha votato contro la loro istituzione. Allora ho suggerito quella che mi sembrava una soluzione intermedia: se è vero che le soluzioni devono essere sempre chiare e non lasciare dubbi, quella che ho indicato risolverebbe immediatamente il problema. Se si riuscisse a fare - e non sarebbe molto difficile - una norma in base alla quale i procedimenti che per il numero degli indagati, per il numero degli imputati, per la difficoltà di celebrarli in determinate sedi, metterebbero in crisi il tribunale interessato, potessero essere celebrati nel tribunale distrettuale, Pagina 181 stabilendo parametri ragionevoli, oggettivi ai quali fare riferimento... RAFFAELE BERTONI. E' contro il giudice naturale! BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Lo so che è contro il giudice naturale, però se si stabilissero dei parametri oggettivi, la questione dell'incostituzionalità si potrebbe superare. PRESIDENTE. Vanno riviste le competenze... BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Presidente, questo non è un argomento sul quale io abbia riflettuto in maniera particolare, perché non spettava a me. Ho solo pensato di dire qualcosa che potesse sbloccare la situazione. Volete sapere cosa penso veramente? Penso che con 50 magistrati il problema sarebbe risolto. Con 10 magistrati a Catania, 10 a Reggio Calabria, 10 a Palermo, 10 a Napoli... la questione sarebbe superata. Rimarrebbe solo il problema dell'esposizione al pericolo dei magistrati, mentre tutti gli altri sarebbero superati, per lo meno per le procure. Rimarrebbe inoltre il problema dei tribunali. Se è vero che questi sono in difficoltà è anche vero che lo sono pure quando si celebra il processo nella sede distrettuale, perché una sezione si dedica solo a quel processo e non fa più nulla dell'ordinario. Personalmente devo dire che i tribunali distrettuali sono necessari, però mi rendo conto di quanto sia difficile farli accettare (nel passato ho svolto un'azione volta a farli accettare, per cui conosco le difficoltà). D'altra parte, il problema non riguarda tutte le sedi d'Italia: a Venezia, ad esempio, il tribunale distrettuale non è necessario; certo, la sua istituzione non risulterebbe dannosa, ma non è necessaria. GIUSEPPE AYALA. Neppure ad Aosta! BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Torino, per esempio, non lo vuole. A Torino vi sono 17 sedi e, sapendo che sarei stato ascoltato dalla Commissione, mi hanno invitato a dire che non lo vogliono. Torino forse è il distretto che ha più sedi per cui non vuole i tribunali distrettuali. Certo qui i magistrati non corrono pericolo, neppure nei processi di mafia. Il problema è ad Agrigento, a Trapani! GIUSEPPE SCOZZARI. So che significa! BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Percorrere una strada la mattina e ripercorrerla la sera, significa esporsi al pericolo di morte. GIUSEPPE SCOZZARI. Dove sarebbe più necessario un aiuto della Commissione antimafia? BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. E' presto detto, perché le sedi nelle quali si devono celebrare questi processi sono Napoli, Reggio Calabria, Catania, Palermo, Salerno. In queste sedi si celebrano con difficoltà grossi processi. Ne ha anche Milano, ma non ha grandi problemi, in questo momento: sorgeranno in futuro. GIUSEPPE AYALA. Forse anche la Puglia. PRESIDENTE. Ricordo che la Commissione procederà poi all'audizione del generale Berlenghi, per cui invito i colleghi a non allontanarsi dall'aula. GIUSEPPE AYALA. Sarò molto breve, procuratore Siclari, perché i colleghi che mi hanno preceduto hanno affrontato alcuni temi che volevo porre alla sua attenzione. Le rivolgerò anzitutto una domanda di carattere generale, che attiene ad uno dei compiti istituzionali della nostra Commissione, cioè verificare il funzionamento della normativa specificamente varata dal Parlamento sul tema della lotta alla mafia. Poco fa, lei ha accennato all'opportunità di due nuove ipotesi normative in Pagina 182 tema di pentiti. E' superfluo dire che le condivido entrambe, perché l'esperienza acquisita suggerisce modifiche nel senso da lei auspicato. In fondo, dottor Siclari, la procura antimafia è nata con lei, è stato lei a portarla avanti per tanto tempo, e devo dire che con onestà intellettuale ha saputo superare le difficoltà iniziali sempre aggiornandoci sul suo modo di procedere. Dal punto di vista operativo, il problema è riconducibile al numero dei magistrati, e su questo versante sappiamo bene come superare ciò che non funziona. Sul versante normativo, invece, lei ritiene che possano essere introdotte due o tre novità legislative. Non ricordo le parole esatte, ma a me sembra che in un passaggio del suo intervento lei abbia parlato di una discrasia tra ciò che la legge prevede e il modo in cui è stata concretamente applicata. Considerando comunque che ogni legge è perfettibile, nonché il fatto che lei ha alle spalle un'esperienza che ha prodotto ottimi risultati, da parte sua, dottor Siclari, gradirei un contributo che sarebbe utilissimo per la Commissione: vorrei che lei ci suggerisse dal suo punto di vista, che è certo quello più importante su questo argomento, qualche idea sul funzionamento della Procura nazionale antimafia, a proposito della quale non c'è dubbio che bisogna garantire il massimo del potenziamento possibile. Premetto che all'inizio anch'io ero molto perplesso sulla nascita di tale organismo - mi sembra che ne parlammo a Palermo - ma allo stesso tempo ero convinto che avrebbe avuto un senso se fossero stati attuati anche i tribunali distrettuali, senza quel collegamento con il Parlamento che lei ha ricordato. Adesso che la Procura c'è e che (senza farle dei complimenti) è diretta molto bene, perché nei fatti ha dimostrato di funzionare, è probabile che, con ulteriori interventi, sia possibile rendere ancora più efficiente - come tutti ci auguriamo - quest'importante presidio per la lotta alla mafia. Se su questo lei potesse darci qualche indicazione, credo che fornirebbe un ottimo contributo al nostro lavoro. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Avrei vari temi da suggerire per quanto riguarda la Procura nazionale, ma avendo raggiunto non tanto tempo fa la tranquillità con i procuratori distrettuali, non vorrei rimettere in discussione il tutto e ricominciare una fase che mi sono gettato dietro le spalle. Certo, sin dall'inizio sarebbero occorse norme precise che specificassero i poteri del procuratore nazionale. Anziché dire che il procuratore nazionale raccoglie notizie, informazioni e dati sarebbe stato meglio specificare che poteva anche richiederli. Quando lo feci rilevare al ministro Conso, mi disse che ciò era insito nella legge, perché se il procuratore nazionale deve elaborare notizie, certo che ha il diritto di richiedere i dati. Però, mi sono anche sentito dire: "Sì, ma sulla base di quale norma?". Siccome tutto questo appartiene al passato, non vorrei riaprire ferite, considerato che certe cose me le sono gettate alle spalle e che ciò che devo avere i procuratori distrettuali me lo danno. Forse, qualcosa si potrebbe dire nell'ambito di una visione più vasta. Ormai credo sia evidente per tutti che l'avvenire della lotta alla mafia si combatte sul terreno del riciclaggio. Fino a quando in alcune regioni italiane continua a permanere una certa situazione economica e sociale, non è difficile trovare nuovi killer: se ne arrestiamo mille ne sorgeranno altri mille, e anche se fossero novecento si tratterebbe sempre di un numero rispettabile. La lotta deve essere condotta sotto il profilo patrimoniale, per cui è in questo settore che dobbiamo concentrare le forze e l'attenzione. Ma per fare ciò, per combattere il riciclaggio bisogna senz'altro rivedere la nostra legislazione, rimodernarla al fine di attuare un più incisivo controllo sulle banche, sulle finanziarie e via dicendo. Devo dire, comunque, che tutto sommato la nostra legislazione, assunta nel suo complesso, è imponente ed offre più possibilità di quelle di qualsiasi altro Stato: non ve ne sono altri che abbiano una legislazione così completa, perfetta, come la nostra. Pagina 183 Qualche falla esiste forse sotto il profilo del riciclaggio. Adesso, il nuovo articolo 12-quinquies suona bene e sembra aver coperto le falle che c'erano in precedenza, però non sarebbe inopportuna una legislazione che in qualche modo richiamasse a dei doveri più precisi gli istituti finanziari e tutti coloro che svolgono tale attività. In questo settore, dove vigono i grandi numeri, è difficile svolgere un'indagine specifica: non mi interessa sapere che il giorno 13 gennaio c'è stato un movimento di 50 miliardi su un determinato istituto bancario perché, a meno che non si tratti di un dato del tutto sconvolgente, esso non mi dice nulla. Invece, se rispetto a dati quotidiani di 10 miliardi ve n'è uno di 150 miliardi senza una giustificazione, senz'altro diventa importante. Ormai, sul settore finanziario la guerra alla mafia deve essere condotta in campo internazionale: dati oggettivi e processuali - quindi non soltanto giornalistici - indicano infatti contatti con la Russia e con i paesi dell'est. RAFFAELE BERTONI. Anche con la Svizzera. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Ma i contatti con la Svizzera sono tradizionali. Invece, non lo sono affatto quelli con i paesi dell'est, e ciò deve costituire motivo di grande preoccupazione. Quello che la Commissione antimafia certamente può fare è stabilire contatti con i procuratori generali degli altri paesi. Personalmente, l'ho fatto con quattro o cinque e mi riprometto di allargare il numero. Però, da questo punto di vista, la Commissione parlamentare può fare molto più di quanto posso fare io da solo. Il contatto non deve essere soltanto fra le varie polizie, ma tra i magistrati. Infatti, tutte le volte che mi sono incontrato con loro ho saputo cose che la polizia ignorava, ho avuto informazioni che la polizia non conosceva. Questo perché, come da noi, il livello per le notizie e per i procedimenti è diverso per la polizia e per i magistrati, e noi dobbiamo prepararci ad alzare tale livello. Il settore su cui intervenire è dunque quello del riciclaggio, sul quale la Commissione dovrebbe incidere sotto il profilo sia legislativo sia internazionale. Ormai, in Italia si fanno solo piccoli investimenti, perché quelli grandi avvengono all'estero. LUIGI RAMPONI. Purtroppo, non possiamo dirlo. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Lo possiamo dire sotto certi profili, in base alle informazioni che abbiamo dalle varie fonti e dai vari collaboratori. Certo, continuano a comprare a Cortina, continuano a comprare esercizi commerciali e a svolgere operazioni di questo genere, però i grandi flussi non sono questi ma quelli che vanno verso i paesi dell'est. GIUSEPPE AYALA. I controlli sono scarsi e l'economia è debole. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Certo, esistono tante buone ragioni perché possano introdursi in un sistema di quel genere. Non posso permettermi di dare consigli alla Commissione antimafia, però posso dire che da quanto ho suggerito ne trarrebbe giovamento la Procura nazionale. Ciò credo di poterlo dire legittimamente, perché un'azione della Commissione antimafia in tal senso offrirebbe a me la possibilità di disporre di una massa di informazioni su cui oggi non posso contare. LUIGI RAMPONI. Volevo chiedere esattamente ciò che ha chiesto l'onorevole Ayala, alle cui domande lei ha risposto, dottor Siclari, anche integrando qualche domanda rivolta da altri colleghi, nell'ambito di un discorso serio ed obiettivo. Con grande garbo, lei ha sottolineato le difficoltà iniziali e con altrettanto garbo ha detto che le cose stanno andando meglio, per cui si dichiara abbastanza soddisfatto. Dobbiamo valutare se effettivamente la norma dia la facoltà, a chi è investito di responsabilità, di condurre a termine quanto essa prevede. Ciò premesso, sposterei il discorso sul piano etico-morale, Pagina 184 senza con questo volerla coinvolgere in risposte difficili. All'inizio, lei ha fatto cenno alle difficoltà dovute alla divisione all'interno della magistratura. Diciamo che la Direzione nazionale antimafia e la Direzione investigativa antimafia nascono per un certo fallimento dell'alto commissario, nel senso che anche se le sue competenze non riguardavano la magistratura, era sorto proprio per rispondere unitariamente ad una minaccia. Le procure dovevano trasmettere i rapporti informativi all'alto commissario, ma ricordo che per averne una copia Sica doveva rivolgersi ai carabinieri o alla polizia. Quindi, la situazione era obiettivamente difficile. Nell'ambito della magistratura è stata accettata la necessità del coordinamento, prima di tutto in merito all'acquisizione della conoscenza cui lei ha fatto cenno? In base a quest'ultima, infatti, lei può svolgere il coordinamento (al di là delle problematiche relative al coordinamento di un procuratore con un altro). Oggi, non ritiene urgente e necessario - ammesso che sia necessario - avere un'indicazione cogente e precisa, considerato che la legge deve essere uguale per tutti, che definisca chiaramente le norme alle quali rispondere positivamente per attuare il coordinamento? Non credo che si possa ancora lasciare tutto all'interpretazione o alla sensazione di violazione della propria autonomia e di altri aspetti di carattere etico- morale. Consentitemi adesso di dire quello che non ho mai detto: condivido pienamente l'esigenza di maggiori controlli in materia di riciclaggio. Andrò a cercare quanto scrivevo nel 1989 per questa Commissione quand'ero a capo della Guardia di finanza: quanto scrivevo riecheggia pari pari tutto ciò che adesso sembra essere una scoperta o una presa di coscienza. La ringrazio anche per aver detto che è opportuna una normativa cogente per gli organi di intermediazione bancaria, parabancaria o finanziaria, perché altrimenti, da un lato, non daremmo ai magistrati l'ausilio che oggi il know how consente e la pericolosità della cosa merita e, dall'altro, non porteremmo quell'attacco che dobbiamo muovere nei confronti della componente economica della criminalità organizzata. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Il discorso che si riferisce ad eventuali modifiche della legge istitutiva della DNA non è semplice, perché parte da lontano, nel senso che il procuratore nazionale antimafia non si trova certamente in una posizione di sovraordinazione gerarchica rispetto ai procuratori distrettuali: non esiste, infatti, una differenziazione gerarchica tra procuratore nazionale e procuratori distrettuali, ma è previsto soltanto un potere di direttiva che rappresenta una novità assoluta per la magistratura. Mentre nel diritto pubblico il potere di direttiva è una nozione ormai accettata, per la magistratura esso costituisce una novità assoluta e se ne parla per la prima volta a proposito del procuratore nazionale antimafia. Questo ha dato luogo a tutti gli equivoci di cui ho parlato; non vi era una norma precisa, perché si faceva affidamento sul potere di direttiva che in fondo, nel diritto pubblico, viene esercitato tra uguali; tale potere può essere esercitato anche in via gerarchica, ma nell'ambito del diritto pubblico viene esercitato tra uguali, per cui è fondato in buona sostanza sul prestigio, sulla posizione di sovraordinazione che viene riconosciuta al procuratore nazionale antimafia. Da questa posizione così sfumata, che non aveva contorni precisi, sono derivate le difficoltà di cui ho parlato. Attualmente, in forza di una serie di circostanze e della capacità collettiva della Procura nazionale di porsi in un certo modo nei confronti dei colleghi, devo dire che attorno alla stessa Procura nazionale vi è un clima assolutamente favorevole, nel senso che i colleghi si rivolgono sempre più di frequente a me e ai miei sostituti per chiedere il nostro intervento in qualche vicenda. Allora, se in questo momento chiedessi di introdurre una norma in base alla quale ho il diritto di ricevere gli atti laddove di questa norma, a mio Pagina 185 avviso, non vi è bisogno, perché nell'ambito delle funzioni che devo svolgere ho implicitamente questo diritto, credo che un'operazione del genere si ritorcerebbe contro di me: giustamente, infatti, più di un procuratore direbbe: "Ma scusa, se non ti sto negando niente, perché hai chiesto questa norma di carattere cogente?". PRESIDENTE. Non è un fatto personale. GIUSEPPE AYALA. Lei ricoprirà ancora per molti anni la carica di procuratore nazionale antimafia, ma poi dovrà arrivare un suo successore che non è detto abbia le notorie capacità diplomatiche di Bruno Siclari. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Voglio sperare che il prossimo procuratore nazionale antimafia sarà migliore di Bruno Siclari e che quindi il Consiglio superiore della magistratura sia in grado di nominare un procuratore nazionale di grande prestigio, che non incontri neppure le difficoltà che ho dovuto affrontare io. GIUSEPPE SCOZZARI. Purché il ministro dia il concerto. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Devo però dire, in coscienza, che forse Giovanni Falcone avrebbe incontrato più difficoltà di me, proprio in forza del prestigio che aveva. GIUSEPPE AYALA. Sicuramente. PRESIDENTE. Forse in presenza di una normativa precisa si risolverebbero questi problemi. Non si può procedere con fatti personali. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Sembra che i colleghi abbiano finalmente compreso che queste norme si pongono nell'ottica di un rapporto tra eguali in cui, pur non essendovi una disposizione che li obbliga a tenere un certo comportamento, considerata la posizione di sovraordinazione del procuratore nazionale, essi devono rispettarla se non hanno giustificate ragioni per non farlo. Se devo riassumere i termini del problema, questa è l'ottica nella quale oggi si pone il problema stesso. ANTONIO DEL PRETE. Intervengo molto brevemente per sottolineare che ho apprezzato la relazione per la serenità con la quale il procuratore nazionale antimafia ha parlato a braccio e con toni pacati di problemi seri e gravi. Ho altresì apprezzato la serietà con la quale egli ha affrontato la storia della sua struttura, le iniziali ostilità, le leggi carenti, qualche esperienza non felice ed alcune insufficienze. Ciò mi aveva preoccupato, ma poi, per le risposte date alle domande, ho provato a farmene una ragione ed ho compreso la sua serenità di oggi. Detto questo, vorrei porre alcune domande circa i collaboratori di giustizia. Lei ha affermato, signor procuratore, che essi sono in qualche modo postulanti, petulanti, di non miti pretese; possono essere, quindi, calcolatori. Possono essere - questa è la mia domanda - elementi a rischio,destabilizzanti, attraverso rivelazioni a tempo? Ho fiducia nella professionalità dei magistrati che lei ha saggiamente ricordato; ciò nonostante, il rischio può sussistere? BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Non vorrei essere frainteso: quando ho parlato di petulanza intendevo dire che talvolta i collaboratori di giustizia sono petulanti. Fortunatamente si tratta di 3.800 persone e se fossero tutte petulanti non so come riusciremmo a tenerle a bada. Il rischio dell'insinuazione è comunque perennemente in agguato, e questo è ben presente nella mente di tutti i magistrati (e nelle forze di polizia vi è la stessa identica attenzione): sappiamo bene che questo pericolo è in agguato ed anzi, per dire la verità, ci aspettiamo che venga infiltrato qualcuno che ci riveli cento verità per poi dirci la centounesima bugia. Ci aspettiamo che questo avvenga e siamo molto accorti e coscienti di tale pericolo, che è reale e non evitabile, se non si vuole dimenticare Pagina 186 l'istituto, mettere da parte i collaboratori e non parlarne più. Devo però dire ancora una volta che la loro collaborazione è irrinunciabile, perché diversamente non sarebbe stato possibile aprire gli orizzonti che essi hanno aperto. Soltanto i collaboratori di giustizia, infatti, rendono possibile la conoscenza di quello che si verifica all'interno di un'organizzazione che è assolutamente segreta in virtù del timore che incute ai suoi associati. Allora, se il ricorso alla collaborazione è irrinunciabile, si deve accettare questo tipo di rischio e agire di conseguenza, con tutta l'accortezza che il caso merita. Ripeto: dal primo all'ultimo magistrato della Procura nazionale e delle procure distrettuali, siamo sempre tutti nello stato di massima allerta, aspettandoci che possa venire insinuato un collaboratore di giustizia il quale ci rivela delle grosse verità per poi, invece, gettarci "tra le gambe" una grossa bugia. Siamo tutti coscienti di questo pericolo, che però non credo possa essere evitato. CORRADO STAJANO. Lei ha parlato di bilancio positivo - si potrebbe dire - nonostante tutto, ed io non posso che prestarle fede. Ma il pericolo, dottor Siclari, è che la Procura nazionale antimafia dia di sé un'immagine di routine. Lei ha lasciato intuire bene quella che è l'altalena della lotta contro la mafia: se consideriamo quanto è accaduto dal 1982 ad oggi, possiamo constatare quanti alti e bassi vi siano stati anche nella coscienza popolare, dall'assassinio del generale Dalla Chiesa fino a oggi. Non so se adesso siamo in un momento alto, ma non lo credo. Un altro pericolo è che manchi, non appaia una strategia complessiva della Direzione nazionale antimafia e che non vi sia (parlo sempre dall'esterno) questa volontà di sperimentazione capace di indicare vie nuove. Lei ha parlato con grande franchezza dei problemi che devono averla inquietata in questi anni, problemi che nascono dal coordinamento tra la Direzione nazionale antimafia e le procure distrettuali. Esistono però problemi che vanno al di là di questi rapporti: mi riferisco ad una questione centrale nella lotta contro la mafia cui mi sembra abbia accennato rispondendo al senatore Brutti e all'onorevole Arlacchi: mi riferisco al riciclaggio ad opera delle grandi organizzazioni criminali, che va certamente al di là delle competenze territoriali. Mi è parso di capire che la Direzione nazionale antimafia sia ad un livello di studio, di raccolta di dati; è così? Vorrei saperne qualcosa di più. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Credo che la Procura nazionale abbia non soltanto studiato ma anche esplicitato una strategia e che la stia attuando. Quando ho fatto riferimento al riciclaggio non ho parlato di studio, o meglio ho spiegato che vi è stata una fase di studio di tale problema, alla quale è seguita e sta seguendo una fase concreta, non più di studio ma di ricerca dei collegamenti tra le varie ipotesi di riciclaggio che si vanno affacciando in tutto il paese. E' molto semplice esporre in poche parole la strategia della Procura nazionale, che è quella di cercare di snidare tutti i collegamenti esistenti tra le organizzazioni criminali nostrane (le cui operazioni sono abbastanza focalizzate e i cui membri stiamo progressivamente identificando) e le organizzazioni operanti all'estero, perché - questo sembra essere il dato più importante - vi è una certa unificazione del mercato criminale europeo. Stiamo allora cercando di identificare questo mercato criminale europeo, in particolare dal punto di vista del riciclaggio ma anche sotto un profilo più ampio, perché gli accordi in materia di riciclaggio arrivano dopo che tra le varie organizzazioni sono stati conclusi accordi di tutt'altro genere, per esempio riguardo al commercio di autovetture rubate con la Polonia o al traffico di droga e armi con la Romania, la ex Cecoslovacchia ed altri paesi dell'est. Quindi, la strategia della Procura nazionale è proiettata soprattutto in questo senso. Francamente, è difficile pensare, all'interno, a una strategia nuova, che possa indicare strade nuove. Stiamo assistendo Pagina 187 all'apparente sgretolamento delle varie organizzazioni, che si presenta abbastanza prepotentemente, ma anche all'espansione delle organizzazioni verso l'estero. Allora, credo che la strategia da seguire debba essere quella di identificare quali siano i rapporti che si vanno stabilendo con altri paesi, su che base si vadano stabilendo e quale sia l'apporto delle varie organizzazioni. Le idee cominciano a profilarsi in questa materia; non è più una fase soltanto di studio ma anche di ricerca abbastanza avanzata. In questa operazione devo poter contare sulla DIA, sul Servizio centrale operativo della polizia e sul ROS dei carabinieri, che sono gli organismi ai quali la Procura nazionale può far capo. Con la DIA, per una parte, e con queste altre due organizzazioni per le altre, stiamo cercando di mettere a fuoco questi argomenti. Questa è la strategia attuale della Procura. Non saprei suggerire sul piano nazionale una strategia del tutto nuova, del tutto particolare, se non quella di incoraggiare la collaborazione, di perseverare nell'azione di aggressione e di continua pressione sui gruppi criminali che abbiamo intrapreso e che sta dando i suoi frutti, perché ormai circa il 10 per cento delle persone arrestate in ogni operazione collabora. Quindi, l'operazione di aggressione sta dando esiti abbastanza imponenti. Però, strade nuove, locali, non saprei indicarle, mentre la Procura può individuarne riguardo ai nuovi rapporti che si vanno stabilendo, anche in conseguenza della pressione che ho ricordato: si tende a stabilire rapporti all'estero per cercare di spostarvi gli interessi delle organizzazioni. Ma vi sono anche organizzazioni che cercano di infiltrarsi da noi: le cinesi in particolare, anche se per il momento limitano la loro attività ai loro connazionali. Probabilmente, se la mafia lascia spazi aperti all'interno del nostro paese c'è il pericolo che questi spazi vengano occupati da altre organizzazioni criminali, se non stiamo attenti a portare avanti un'operazione in questo campo. E' ciò che stiamo cercando di realizzare: la nostra attenzione è polarizzata su questi aspetti. NICHI VENDOLA. Signor procuratore, ho conservato in questi anni una riserva di fondo sulla Procura nazionale antimafia, non frutto di dietrologia ma perché la procura nasceva dopo una sostanziale rimozione delle ragioni che avevano consentito lo smantellamento delle prime straordinarie esperienze di rete intelligente, di coordinamento del lavoro antimafia - diciamo tutta la vicenda del pool e della sostanziale cancellazione di quella esperienza - e perché poi conteneva dentro di sé il rischio, che è quello che a noi più fa paura, della subordinazione al potere politico. Devo dire con estrema sincerità che il modo con cui lei ha affrontato i problemi dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, della legislazione sui pentiti e dell'articolo 416-ter del codice penale - problema delicatissimo - mi rinfranca molto, anche perché è dimostrazione sul campo di una capacità di autonomia di giudizio. Detto questo, le due attività, i due poteri della Procura nazionale - di coordinamento e di impulso - sono entrambi straordinariamente importanti. In particolare, qualcuno di noi ha potuto verificare sul territorio gli effetti del potere di impulso. E' stato non soltanto, come si può banalmente intendere, una spinta alle indagini ma a volte è stato il tentativo di fuoriuscire dalle secche dell'immobilismo, dalla palude in cui alcuni tribunali - penso alla Puglia - avevano lasciato incancrenire, morire, indagini davvero scottanti. Con l'impulso vostro, per esempio, si è ripresa l'indagine sul rogo del Petruzzelli e su tante altre vicende. Non so se l'esperienza complessiva sia stata fallimentare o meno; non entro in questo dibattito. Ma al di là di un dibattito di questo genere faccio un'osservazione empirica: dalle mie parti la Procura nazionale ha assolto un ruolo straordinariamente importante. C'è un problema che mi turba. Molti le hanno posto la questione delle attività, sia di coordinamento sia soprattutto di impulso, relativamente all'economia criminale, alla mafia finanziaria, al problema del riciclaggio. Mi turba molto il fatto che l'ormai sterminata letteratura sul pentitismo, le narrazioni dei pentiti, se ci Pagina 188 raccontano molto, dall'interno, sull'universo delle organizzazioni criminali, rompono questo vincolo di segretezza, però si fermano sulla soglia della circolazione del denaro. Siamo in presenza di attività economiche che hanno un rilievo impressionante - credo che siano paragonabili ai bilanci di qualche nazione - però è difficile riuscire a capire effettivamente quale sia il movimento di circolazione, tanto più in una dinamica dell'economia mondiale che preme molto sull'acceleratore della finanziarizzazione. Lei sa che a questo livello diventa difficile trovare il corpo del reato, il corpo della formazione, della genesi di una determinata ricchezza illecita. Ecco, rispetto a questo livello del problema, che va molto oltre la dimensione del solo riciclaggio, quale può essere l'attività di coordinamento e di impulso? BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Per quel che riguarda le preoccupazioni che lei ha espresso in relazione alla nascita della Procura nazionale, credo che siano facilmente superabili pensando che se i pool hanno dato ottima prova occorreva, per così dire, un pool dei pool. In parole povere, ad un certo momento, i pool dovevano avere un punto di contatto, cioè la Procura nazionale, che solo in via straordinaria deve svolgere la funzione di impulso. Deve svolgere la funzione di impulso solo in modo straordinario, laddove ci sia un'inerzia delle indagini e solo in quel caso. Per il resto, deve fare il coordinamento, deve coordinare le indagini. L'impulso, ripeto, lo deve dare quando c'è inerzia nelle indagini. Intendiamoci: con molta prudenza, perché occorre che l'inerzia delle indagini sia provata, constatata, e non soltanto supposta, perché si rischia di intromettersi nell'attività del pubblico ministero del luogo. Quindi, occorre estrema prudenza. Per quel che riguarda il livello della collaborazione, è vero che esso si ferma agli assassini, alle operazioni militari e che sul riciclaggio l'apporto dato dai collaboratori è scarsissimo. Devo confessare che ho intenzione di riascoltare tutti i maggiori collaboratori attraverso colloqui investigativi - personalmente o tramite colleghi della Procura nazionale - per vedere se sono in grado di aggiungere qualcosa. Però, dispero molto di raggiungere risultati attraverso questa strada perché chi può parlare di queste cose sono i capi, cioè coloro che sanno come si sono svolte le maggiori operazioni; ma i capi fino a questo momento per la verità hanno parlato poco. Tra l'altro, devo dire che per quello che riguarda il fronte economico ognuno cerca di parlare il meno possibile, perché cerca di conservare qualcosa; come è intuibile, ognuno di loro pensa di conservare qualche ricchezza e quindi è un settore nel quale si tende a parlar poco. D'altra parte, non siamo neanche in grado di muovere grosse contestazioni, perché non conosciamo i fatti. Mentre c'è tutta una serie di elementi che riportano determinati fatti criminosi che si possono contestare al collaboratore per indurlo a dire la verità su quei fatti, sulle operazioni di carattere finanziario, non potendo contestare nulla, non siamo in condizioni di poterlo interrogare con efficacia. Coloro i quali conoscono queste operazioni hanno la tendenza a non parlarne perché cercano di conservare, per quanto è possibile, il proprio patrimonio. In questo settore non credo sia possibile arrivare a risultati attraverso i collaboratori; dispero molto che sia possibile farlo. Pertanto è necessario agire attraverso le indagini. Sono stati scritti fiumi di parole su come si devono svolgere le indagini patrimoniali. La verità è che le indagini patrimoniali fino ad oggi non sono state svolte come avrebbero dovuto essere fatte per il semplice motivo che un'indagine patrimoniale occupa un magistrato per anni e probabilmente senza risultati immediati. E i sostituti delle procure non sono in grado di seguire questo tipo di indagini perché devono star dietro alle indagini correnti e quindi queste le trascurano. Svolgere un'indagine patrimoniale significa ormai inseguire un'operazione attraverso tutto il mondo, perché ormai le operazioni sono fatte in parecchi paesi. Normalmente un magistrato di una procura non si può dedicare a queste indagini, che richiedono Pagina 189 mesi di accorte concatenazioni, di successivi piccoli passi. Ecco perché ho portato l'attenzione della Procura nazionale su questo settore in particolare, pensando che essa potrebbe realizzare quel che non possono fare le procure, che hanno un impegno quotidiano mentre la DNA non è assillata da altri procedimenti. Credo che solo così si possano svolgere le indagini patrimoniali, non sperando nelle dichiarazioni di futuri collaboratori. Potranno anche arrivare - non bisogna disperare - ma non si può sperare soltanto in un colpo di fortuna, bisogna avviare un discorso in maniera intelligente, cioè compiendo indagini che fino ad oggi non sono state fatte. Bisogna partire dal dato certo di un determinato versamento per risalire tutto il percorso che lo ha preceduto. Per esempio, in questo settore, un campo di possibilità di accertamento che si apre è quello delle misure di prevenzione. Le varie misure di prevenzione che sono state applicate nel passato sono state comminate in genere in funzione di dati riguardanti anche i patrimoni dei soggetti interessati. Quindi, riprendendo questi dati, collegando i vari fatti, bisogna poi risalire dal particolare al generale. Poi, c'è tutta l'attività investigativa di altro genere, fatta di intercettazioni, di infiltrati in un certo settore, dalla quale possiamo ricavare elementi che riguardano anche il riciclaggio, qualche volta anche per somme imponenti. PRESIDENTE. Ancora non esiste professionalità in questo campo. LUIGI RAMPONI. Va costruita. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Lo so, è una professionalità che non è facile da trovare. NICHI VENDOLA. Anche per gli ostacoli frapposti dalle banche. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Per farmi capire, farò il caso di un'operazione, che noi seguivamo, fatta all'estero. In questa operazione gli esperti della Banca d'Italia - assai competenti - hanno avuto difficoltà a capire cosa stessero facendo. E aggiungo che colui che stava compiendo l'operazione illecita era poco più che un ignorante. Ormai eseguono operazioni così sofisticate che, anche da parte di chi va a studiarle, occorre molta capacità, molta professionalità. In questo non è che io possa far conto su molti magistrati e su un grosso numero di agenti perché, in fondo, è solo la Guardia di finanza, e ad un certo livello, che è capace di fare questo lavoro, mentre le altre forze dell'ordine non sono abituate a seguirlo. Ecco, dunque, da dove derivano le difficoltà. Soprattutto, bisogna vincere la mentalità per cui queste indagini, nel passato, non sono mai state approfondite. Ci si limita a fare il sequestro dei beni del mafioso, senza procedere ad una ricerca vera. Ad esempio, nessuno ha mai preso e guardato "al microscopio" la famiglia Santapaola per raccogliere tutte le possibili notizie patrimoniali che la riguardano. PRESIDENTE. Neanche Totò Riina, mi sembra. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Totò Riina già costituisce un elemento a sé stante. Per il patrimonio di Totò Riina hanno fatto le indagini, ed anche bene, ma io parlo di qualcosa di diverso, di un'intera famiglia intesa non come famiglia genetica ma come cosca mafiosa. Cercare tutto quello che in Italia esiste, tutte le notizie che abbiamo su questioni patrimoniali e finanziarie che riguardano la famiglia Santapaola e metterle insieme per individuare un filo comune da cui risalire non è mai stato fatto e difficilmente può essere fatto da un magistrato. Lo dico perché ci vuole una professionalità molto accentuata e perché il magistrato non ha tempo di stare dietro a queste cose. Può invece farlo la Procura nazionale, che ha maggiore disponibilità di tempo; perlomeno può avviare il lavoro e svolgerlo insieme ai magistrati delle singole procure. Questo è ciò che io mi riprometto di fare in questo settore e che ho cominciato a fare, perché in questo momento Pagina 190 ho già due magistrati che stanno seguendo indagini di riciclaggio presso procure distrettuali della Repubblica. LUIGI RAMPONI. Né ci sono strumenti normativi che aiutino. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Anche all'estero, intendiamoci... Ci sono tutti quei paesi che costituiscono i paradisi fiscali ed altri paesi che, pur non essendo paradisi fiscali, frappongono tante di quelle difficoltà che è difficile poter eseguire un'indagine patrimoniale. Quindi, è un tema molto difficile, ma è su questo tema che ci dobbiamo misurare. Intendiamoci bene. GIUSEPPE AYALA. Ci sono paesi che neppure rispondono. PRESIDENTE. Come l'Austria, che non rispondeva mai. ANTONIO BARGONE. La mia domanda si riferisce ad una affermazione fatta dal dottor Siclari nella sua peraltro efficace e brillante esposizione. Egli ha parlato di calo di tensione nella lotta alla mafia: vorrei chiedere in che senso, cioè in quali settori e, soprattutto, a chi sia attribuibile, perché parlare di calo di tensione significa, naturalmente, lanciare un allarme che, in qualche modo, va raccolto dalla Commissione antimafia. Quindi vorrei chiederle, dottor Siclari, di essere più preciso su questo punto. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Parlando di calo di tensione mi riferivo - credo di averlo detto esplicitamente - alla collettività. Nella collettività c'è stato, a mio giudizio, un calo di tensione. Il riferimento - intendiamoci - non è del tutto generico. Il riferimento è al fatto che collaborazioni da parte della collettività che si stavano affacciando si sono spente. Quindi è una constatazione, non è soltanto una sensazione del procuratore nazionale. E' una constatazione: c'era, in alcune parti della Sicilia e della Calabria, una certa spinta della collettività a collaborare finalmente con le autorità per la lotta alla mafia e questa si è andata spegnendo. A cosa è dovuto? Credo sia dovuto a molti fattori. E' dovuto al fatto che siamo angosciati da una situazione economica che, naturalmente, fa pensare soprattutto a questo tipo di problemi e non ad altri che, per la maggior parte della gente, sono più lontani. E' dovuto al fatto che è cambiato il sistema e non c'è stata una immediata reazione da parte di coloro che appartengono al nuovo sistema. Mi riferisco ad un'immediata presa di posizione nel dire che occorreva continuare a combattere la criminalità organizzata e bisognava continuare a stare in alto con gli animi, che la tensione doveva essere forte. Non sto muovendo rimproveri, sto facendo delle constatazioni oggettive. Se poi dovessi dire da cosa traggo ancora questa sensazione, potrei dire che la traggo dal fatto che, da qualche tempo, vedo che si presta molta attenzione alle prostitute delle varie parti d'Italia e meno ai problemi che riguardano la criminalità. Aspettavo con grande ansia che si riformasse la Commissione antimafia proprio perché penso che la Commissione possa fare questa operazione. Non basta che parli soltanto il ministro dell'interno e che questi dica che vuole fare la lotta alla mafia. Vi deve essere qualcosa di più collettivo. PRESIDENTE. Anche più fattivo, se vogliamo. BRUNO SICLARI, Procuratore nazionale antimafia. Qualcuno mi dia ragione, se ho ragione: i mafiosi intendono le dichiarazioni del ministro dell'interno come un dovere che questi ha; ritengono che egli in questo modo faccia semplicemente il suo mestiere. Dico questo con tutto l'apprezzamento che ho - per carità! - per il ministro dell'interno. Lo apprezzo e sono io stesso a chiedergli di prendere posizione. Però questo è l'atteggiamento che egli deve avere proprio perché è il ministro dell'interno. Forse occorre che si dica più collegialmente e più collettivamente Pagina 191 che la lotta alla mafia deve essere fatta e deve essere perseguita con l'impegno con cui è stata portata avanti finora. Non dico queste cose con tono di rimprovero bensì come una constatazione e come una richiesta che una persona che segue questa lotta ha il dovere di fare. PRESIDENTE. Poiché non ci sono altri commissari che intendono formulare domande, ringrazio, a nome di tutta la Commissione, il procuratore Siclari per questa lunga audizione. Audizione del generale Costantino Berlenghi, comandante generale della Guardia di finanza. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del generale di corpo d'armata Costantino Berlenghi, comandante generale della Guardia di finanza. Tale audizione ha per oggetto le infiltrazioni della criminalità nelle attività economiche e sulla struttura di controllo dei movimenti finanziari, con particolare riferimento al problema del riciclaggio. Do la parola al generale Berlenghi per la relazione introduttiva. COSTANTINO BERLENGHI, Comandante generale della Guardia di finanza. La ringrazio, signor presidente e colgo l'occasione per salutare tutti i presenti. E' per me un'opportunità quella di poter affrontare il tema relativo alle infiltrazioni della criminalità nelle attività economiche e alla struttura di controllo dei movimenti finanziari, con particolare riferimento al problema del riciclaggio, nel senso che mi consente di fornire un esaustivo quadro di valutazione in una relazione che, con relativi allegati, depositerò - salvo diverso orientamento da parte del presidente - e con la quale potrò delineare, sia pure sinteticamente, il ruolo della Guardia di finanza nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata. Vorrei fare una premessa brevissima, con la quale mettere in evidenza che la legge di riordinamento del Corpo, la n. 189 del 1959, caratterizza la Guardia di finanza come organismo di polizia al quale è attribuita la tutela degli interessi erariali dello Stato. Questo attraverso un'attività di prevenzione, di ricerca e di denunzia degli illeciti di natura finanziaria, nonché mediante la vigilanza sull'applicazione delle disposizioni di interesse politico-economico. Per il raggiungimento di questi obiettivi il Corpo ha sviluppato dei moduli operativi standard (verifiche fiscali, investigazioni patrimoniali, eccetera) che sono stati collaudati nel tempo e che costituiscono ormai patrimonio culturale e professionale dei suoi appartenenti. Tuttavia, la sempre più accreditata convinzione della remuneratività di un'aggressione al crimine organizzato sul versante economico, oltre che facendo ricorso alle ordinarie e tradizionali tecniche di polizia, se da una parte ha determinato l'introduzione nel nostro ordinamento giuridico di norme di valenza straordinaria e totalmente innovative - tali da essere produttive di risultati di rilievo -, dall'altra, accentuando le cosiddette investigazioni economiche, ha comportato un sempre più assorbente coinvolgimento del personale del Corpo, proprio perché è istituzionalmente una polizia economico-finanziaria. L'importanza della componente economica del fenomeno criminale, gli strumenti attraverso i quali le organizzazioni perseguono i propri obiettivi, il coinvolgimento di strutture finanziarie ed imprenditoriali e l'attacco deciso contro l'economia sana del paese impongono professionalità e capacità investigative, che ritengo siano rinvenibili soprattutto nella Guardia di finanza, che è in grado, con le sue potestà e con l'esperienza operativa, di incidere con efficacia sui flussi finanziari e sui patrimoni illecitamente acquisiti. In altri termini, la Guardia di finanza è "attratta" dal legislatore nel quadro del contrasto al crimine organizzato di stampo mafioso, per la sua capacità di investigazione documentale sotto il profilo economico-finanziario. La Guardia di finanza svolge un ruolo di polizia giudiziaria "specializzata", impegnata sul versante della ricostruzione finanziaria delle attività criminose. Tutto ciò trova emblematica Pagina 192 conferma in tutte le inchieste condotte negli ultimi tempi. Il particolare ruolo svolto dalla Guardia di finanza è stato riconosciuto anche dal Ministero dell'interno, in occasione dell'emanazione del decreto del 22 gennaio 1992, quando, nel disciplinare il coordinamento tra le forze di polizia, gli è stata attribuita una prevalente competenza nel contrasto ai fenomeni criminosi, con particolare riguardo al riciclaggio ed alle frodi comunitarie, compreso il contrabbando. E' vero che la massima funzionalità del sistema nella lotta alla criminalità organizzata si raggiunge con il coordinamento di tutte le forze di polizia, ma è altrettanto vero che ognuna di esse deve ottimizzare il proprio ruolo. Sotto questo profilo, il ruolo della Guardia di finanza consiste nell'aggredire il crimine economico nei "santuari" dove questo si cela e, soprattutto, nel cogliere il momento di vulnerabilità nel processo di "pulizia" del denaro sporco. Passando ad affrontare lo specifico problema dell'infiltrazione della criminalità nelle attività economiche, ritengo di dover sottolineare il fatto che la realtà economica mondiale è in continua trasformazione e presenta aspetti legati ad un sistema finanziario internazionale aperto, con ampi movimenti di capitali, diffusione capillare di servizi bancari e parabancari, utilizzo di forme spesso inusuali nella raccolta del risparmio, adozione di strumenti diversificati nell'erogazione del credito. In pratica, da un mercato protetto si è passati ad un mercato concorrenziale ed internazionalmente integrato. In tale contesto si trova ad operare anche la criminalità, specie quella organizzata che, assunti i caratteri tipici di un'impresa multinazionale, è in grado non solo di turbare il sistema economico nel suo complesso ma anche di inquinare le stesse attività imprenditoriali. Infatti, la "ragione economica", nell'evoluzione del sistema criminale, si è progressivamente estesa ai più disparati settori suscettibili di garantire elevati profitti e celare l'origine illecita degli investimenti. Probabilmente non è possibile procedere ad una esatta, oggettiva quantificazione e qualificazione dell'entità del fenomeno in esame, considerata sia la mutevolezza dei termini adottati in risposta alle variazioni dell'economia ed agli strumenti introdotti dallo Stato per combattere le varie forze delinquenziali sia, soprattutto, la mancanza di appositi ed idonei sensori, fattori questi che spesso non ci consentono di avere sufficienti parametri di riferimento. D'altro canto, anche le indagini condotte dalle associazioni di categoria hanno portato a stime non univoche e significativamente differenziate. A tale proposito ricordo che la FIPE (Federazione italiana pubblici esercizi), con riferimento al 1993, è pervenuta alla conclusione che il patrimonio illecito detenuto dalla criminalità organizzata ed il volume di affari annuo dalla stessa realizzato possano essere valutati, rispettivamente, in 400 mila miliardi e in 109 mila miliardi di lire. La Confcommercio, di contro, ha stimato i traffici illeciti in 230 mila miliardi e gli investimenti in attività economiche in circa 44 mila miliardi. Da parte sua, il CENSIS (Centro studi investimenti sociali) aveva determinato, per il 1988, la dimensione dell'illecito in circa 100 mila miliardi ed il patrimonio di matrice mafiosa in 4800 miliardi. Non mi soffermo su questi dati, ma non posso fare a meno di constatare come vi siano differenziazioni molto consistenti che non consentono di configurare una stima sufficientemente precisa. A fronte dell'accettazione del principio di carattere generale in base al quale la grande disponibilità di denaro delle organizzazioni criminali consente a queste ultime di operare in regime di privilegio rispetto alla concorrenza, con possibilità di investimento in tutti i settori economici, la quantificazione del fenomeno resta tuttora una operazione molto ardua. Per ciò che concerne i settori di investimento (sui quali non mi soffermo, anche perché sono ben noti a tutti), i comparti oggetto di impiego di fondi illeciti sono rappresentati soprattutto dai settori immobiliare, societario, finanziario, agricolo, dei servizi, dell'import-export, della grande distribuzione, dell'acquisto di opere d'arte, di oro e di altri metalli preziosi. Per ulteriori approfondimenti a Pagina 193 tale riguardo, rinvio alla relazione scritta che lascerò agli atti della Commissione. Risultati significativi abbiamo ottenuto nei sequestri operati nel 1993 ed all'inizio di quest'anno, relativamente a 255 aziende commerciali, per un valore complessivo di circa 274 miliardi di lire. Normalmente l'infiltrazione della criminalità nell'economia legale, con l'assunzione di un'apparente legittimità della ricchezza posseduta, è preceduta da due fasi. Una prima fase, che rappresenta il momento di maggior rischio, riguarda l'acquisto di beni mobili ed immobili, la concessione di prestiti, di finanziamenti, di sovvenzioni, scambi di moneta con istituti bancari, acquisti di azioni, obbligazioni e titoli di Stato. La seconda fase si sostanzia invece nella creazione di schermature allo scopo di allontanare giuridicamente il provento dalla fonte. Da tutto questo si desume che la difficoltà di individuare le forme di penetrazione della criminalità nel settore dell'economia deriva soprattutto dalla circostanza che i sistemi alla base della gestione dei capitali illegittimi poco o nulla differiscono da quelli impiegati per i capitali legittimi. La sola differenza di rilievo è data dall'origine dei patrimoni, atteso che, per finalità di evasione fiscale, è spesso necessario porre in essere attività di copertura analoghe a quelle riconducibili all'utilizzo di capitali leciti. Sistemi più "brutali" di condizionamento dell'economia sono invece da identificarsi nell'estorsione e nell'usura. Quest'ultima, in particolare, ha fatto registrare un trend ascendente e, per tale ragione, sta investendo il tessuto economico-sociale del paese in modo sempre più preoccupante. L'attuale recrudescenza del fenomeno è strettamente correlata all'andamento dell'economia nazionale. Una regola generale vuole, infatti, un costante riemergere dell'usura in misura direttamente proporzionale alla gravità dei cicli recessivi ed alle difficoltà di accesso al credito bancario. Numerosi sono i segnali che indicano il crescente interesse, anche in questo comparto, delle tradizionali aggregazioni di stampo mafioso. Non a caso, nel corso della precedente legislatura, la Commissione antimafia ha più volte sottolineato questa ingerenza. Inoltre, le risultanze investigative degli ultimi tempi ed alcune recenti audizioni della Commissione antimafia evidenziano il pericolo di una connessione fra la criminalità economica organizzata e l'attività di alcune società finanziarie. L'ingerenza del crimine organizzato nel settore dell'usura rileva, inoltre, anche in una fase successiva, vale a dire nell'attività di recupero dei crediti. Se è vero che la pratica dell'usura costituisce oggi uno dei canali privilegiati attraverso i quali la criminalità organizzata entra in affari, il dato saliente è costituito non tanto dalla riscossione dell'interesse usuraio quanto, piuttosto, dal porsi il fenomeno come strumentale all'acquisizione di imprese in crisi, mediante la formale conservazione della titolarità dell'impresa in capo all'esecutore e la materiale dipendenza dello stesso da un socio occulto. L'ingresso nel mercato dell'imprenditore mafioso, inoltre, tende ad incidere in chiave monopolistica sullo stesso, eliminando la concorrenza ed imponendo agli imprenditori, a monte o a valle del ciclo produttivo, l'utilizzo dei suoi prodotti e dei suoi servizi. Anche nel caso dell'usura, pertanto, la strategia criminale appare finalizzata all'affermazione o al consolidamento del controllo del territorio. Per quanto concerne la struttura di controllo dei movimenti finanziari con particolare riferimento al fenomeno del riciclaggio, l'azione della Guardia di finanza si è sviluppata con particolare riguardo alle forme di acquisizione delle disponibilità illecite ed alle fonti di finanziamento. Sotto questo aspetto rilevano innanzitutto le attività svolte in materia di riciclaggio, come manifestazione emblematica di riconversione dei valori illeciti acquisiti, nonché di repressione del contrabbando in ogni sua forma e, segnatamente, di tabacchi lavorati esteri e di traffico di stupefacenti. In relazione all'importante tematica dell'accertamento dei patrimoni illeciti, Pagina 194 occorre sottolineare la rilevanza che le organizzazioni criminali annettono all'aspetto economico-finanziario della loro attività illecita. Basti considerare l'enorme massa di denaro che deve essere gestita non solo per una sua utilizzazione nell'economia legale ma, soprattutto, per finanziare nuove imprese criminose. In entrambi i casi, l'imprenditoria criminale è vincolata dalla logica di mercato. Vi è una imprescindibile esigenza che costituisce anche un limite obiettivo: la ricchezza proveniente dall'associazionismo mafioso deve essere "ripulita". Per conseguire tale risultato occorre un circuito esterno rispetto all'organizzazione ed è in quella fase che, emergendo i flussi finanziari, si verifica la vulnerabilità che espone la criminalità organizzata al rischio di subire sequestri e confische. Tale realtà ha imposto al Corpo una revisione del suo assetto fondamentale (nel senso, cioè, di una modifica dell'ordinamento interno della Guardia di finanza) nonché una evoluzione nelle tecniche e nella professionalità, oltre ad un'accentuazione dell'attività repressiva e ad una intensificazione della cooperazione internazionale. Per quanto riguarda le revisioni ordinative, le linee direttrici seguite dalla Guardia di finanza hanno riguardato l'assunzione di provvedimenti con riferimento sia alle realtà locali sia ad una dimensione di tipo nazionale. Prima ancora che arrivassi al Corpo, erano già stati istituiti il Comando zona calabra ed il Nucleo regionale di polizia tributaria, entrambi con sede a Catanzaro. Tale soluzione si è resa necessaria per infittire la presenza del Corpo nell'area calabrese e per garantire il coordinamento di vertice delle indagini in sede regionale. Sul piano nazionale è stato costituito lo SCICO (Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata), la cui creazione ha fatto seguito alla precedente costituzione dei GICO (Gruppi investigativi sulla criminalità organizzata). In sostanza, la Guardia di finanza ha in un primo tempo costituito gruppi investigativi a livello regionale; in un secondo momento ha avvertito la necessità, anche per ottemperare alla normativa vigente, di prevedere un controllo unico a livello centrale. Per tale ragione è sorto lo SCICO. Il servizio è retto da un generale di brigata, dipende direttamente dal Comando generale, dispone complessivamente di circa 800 uomini (58 ufficiali, 577 sottufficiali e 158 appuntati e finanzieri, per un totale di 793 unità). Gli SCICO sono meno noti dei GICO, che sono a livello regionale ed hanno un'entità variabile in relazione alle esigenze della regione in cui operano, da un minimo di 30 ad un massimo di 85 in quello di Napoli e di 97 in quello di Palermo. Lo SCICO di Roma ha 170 uomini ed è in diretto collegamento con il procuratore nazionale antimafia; naturalmente i GICO lo sono con i procuratori distrettuali. Lo SCICO è retto da un generale di brigata e, ripeto, dipende direttamente dal comando generale. Corrisponde alle richieste del procuratore nazionale antimafia ed assicura il collegamento informativo, investigativo ed operativo con i servizi centrali delle altre forze di polizia (ROS e SCO, oltre che DIA). Raccorda a livello centrale gli elementi informativi acquisiti nell'ambito del corpo. Oltre alla costituzione degli SCICO e dei GICO, la Guardia di finanza ha provveduto alla revisione del nucleo di polizia tributaria che inizialmente era stato costituito per compiti di prevenzione, accertamento e repressione delle violazioni alla normativa valutaria. Questo nucleo speciale di polizia valutaria è composto da poco meno di duecento uomini ed oggi, a motivo dell'intervenuta liberalizzazione dei movimenti di capitali, agisce soprattutto nel settore dell'esecuzione di indagini nel settore finanziario e quindi è molto utile per la lotta contro la criminalità organizzata, anche per la consolidata esperienza acquisita nel campo degli accertamenti verso le banche. La revisione ordinamentale disposta nell'ambito del Corpo è stata oggetto di una apposita circolare che puntualizza le aree di intervento operativo, attribuisce un ruolo primario a quest'attività, stabilisce le ipotesi di intervento e prevede Pagina 195 la partecipazione a titolo di concorso o su delega di tutti i reparti del Corpo. Naturalmente, tutto questo è supportato da un appropriato ed adeguato interscambio informativo che avviene sia nell'ambito del Corpo sia con le altre forze di polizia. Sul versante dell'accertamento dei patrimoni illeciti, il Corpo ha sviluppato, sia di iniziativa sia a richiesta, un'intensa attività investigativa e repressiva rivolta soprattutto al sequestro delle ricchezze frutto di attività illecite. Nelle sue linee generali, l'obiettivo di tale attività è quello di individuare e comprimere le fonti di finanziamento illecito; investigare sui canali finanziari utilizzati per lo stazionamento e la successiva trasformazione dei capitali; intervenire sui mezzi e sulle forme del reimpiego. Particolare rilevanza assume, in proposito, il ruolo del nucleo speciale di polizia volontaria che è proiettato al controllo sull'intermediazione finanziaria mobiliare (SIM) ed al contrasto all'illecita utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio. A questo riguardo è stato portato a termine un puntuale censimento di tutti gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco ex articolo 106 del decreto legislativo 1^ settembre 1993, n. 385, che risultano essere complessivamente 21.143, i quali hanno segnalato complessivamente 29.991 attività, di cui 2.300 esercitate verso il pubblico. Questi dati sono riportati in un allegato alla relazione che consegnerò alla Commissione. A questo riguardo mi preme sottolineare l'obbligo della segnalazione alle autorità di polizia delle transazioni sospette; ritornerò sull'argomento con una proposta. Passando a considerare i risultati conseguiti, per quanto attiene al sequestro di beni e alle indagini condotte, nel periodo 1989-1992 la Guardia di finanza ha sequestrato beni per circa 420 miliardi, di cui circa 194 confiscati, ed ha svolto 4.897 indagini di sua iniziativa o a richiesta dei competenti organi. Nel periodo 1993-31 agosto 1994, i beni sequestrati sono saliti notevolmente: da 420 si è passati a 1.170 miliardi, in un anno e otto mesi, di cui 129 già confiscati. Le indagini attivate in questo periodo sono state 680. A questo proposito vorrei sottolineare che il sensibile incremento dei sequestri in questi ultimi due anni è stato reso possibile soprattutto per effetto delle norme di legge introdotte di recente in materia di trasferimento fraudolento di valori. Mi riferisco in particolare all'articolo 12-quinquies della legge n. 356 del 1992, successivamente modificato dalla legge n. 501 del 1994. E' nota la valenza di quest'ultima legge - in particolare mi riferisco all'introduzione nella legge n. 356 dell'articolo 12-sexies- che inverte il normale rapporto processuale e prevede che in caso di condanna per gravi delitti ben identificati, indicati diffusamente nella relazione, sia sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle utilità di cui il condannato, e non l'accusa, non possa giustificare la provenienza e di cui risulti essere titolare o avere la disponibilità. Per quanto riguarda la normativa antiriciclaggio, vorrei sottolineare provvedimenti ben noti quali la legge n. 197 del 1991, che riguarda la limitazione dell'uso del contante e dei titoli al portatore. Mi soffermo nel rilevare che le indagini condotte sono state 122, delle quali 31 ancora in corso; sono state denunciate 198 persone e sono stati colpiti da provvedimenti restrittivi 16 soggetti; gli importi o valori oggetto del reato di riciclaggio sono stati pari ad oltre 103 miliardi. Nell'allegato metto in evidenza le metodologie del riciclaggio sino ad ora scoperte dal Corpo, nonché alcuni dati relativi ad operazioni di particolare rilievo ed a specifici casi di riciclaggio che sono stati operativamente appurati (si tratta di 16 casi). Vorrei mettere in evidenza che dall'entrata in vigore della legge n. 197 del 1991 le segnalazioni di cosiddette operazioni sospette pervenute dalle questure al nucleo speciale di polizia tributaria ammontano complessivamente a 888. Nei primi tempi di applicazione della legge queste segnalazioni erano assai limitate; nel primo anno erano poche decine. Le cose oggi funzionano molto meglio, ma ciò non toglie che i dati non appaiano soddisfacenti; comunque gli Pagina 196 interventi maggiori sono stati registrati nel corso del 1993 e del 1994. L'approfondimento di tali segnalazioni ha permesso di riscontrare violazioni amministrative riferite a circa 165 miliardi; violazioni penali dell'ordine di 50 miliardi; fatturazioni per operazioni inesistenti nell'ordine di 263 miliardi. Non fornisco dati di dettaglio, ma vorrei mettere in evidenza come in questo settore vi sia molto da fare perché si dovrebbero trovare innovazioni legislative che comportino l'obbligo di segnalare operazioni sospette in determinati casi oggettivamente rilevanti, senza lasciare la facoltà all'operatore di banca di farlo di sua iniziativa. Tornerò su questo aspetto. Vorrei mettere in evidenza anche la cooperazione internazionale. Il riciclaggio è un fenomeno mondiale, che non può essere valutato in ambito nazionale perché si finisce con il vanificare ogni normativa di contrasto, anche la più rigorosa, se non si realizza un coinvolgimento mondiale nelle attività preventive e repressive. E' quanto la Guardia di finanza sta facendo, estendendo i rapporti con organismi esteri similari, ai quali ho già fatto cenno. Le linee propositive riguardano essenzialmente due questioni fondamentali: la modifica al regime delle segnalazioni per le cosiddette operazioni sospette; l'istituzione di una vera e propria banca dati. Quanto all'importanza di una coordinata e fattiva collaborazione per contrastare il riciclaggio, ricordo che è necessario il coinvolgimento attivo degli intermediari finanziari. Si rileva infatti che il sistema, così come ora congegnato, da un lato difficilmente può portare a risultati significativi in linea repressiva, dall'altro genera attività investigative dispendiose e, in molti casi, non idonee a raggiungere il fine. Occorre quindi compiere due tipi di scelte: la prima, è quella di rimodulare l'obbligo della segnalazione, riducendo o meglio annullando i vincoli soggettivi degli operatori e tutelando al massimo la riservatezza della segnalazione, allo scopo di creare delle condizioni potenzialmente più favorevoli per un massiccio afflusso delle segnalazioni stesse; in altri termini, oggettivizzare e rendere automatiche le segnalazioni mediante elaborazioni informatiche fondate su parametri di anormalità predeterminati. Questa impostazione consentirebbe di spersonalizzare la responsabilità della valutazione, eliminando i contenuti di soggettività e di discrezionalità oggi presenti, di assicurare una maggiore omogeneità di applicazione della norma, di evitare di esporre a rischio i singoli operatori bancari, di calibrare la massa delle segnalazioni sulla base dei parametri qualitativi e quantitativi adottati, che dovrebbero essere completamente ridefiniti sulla scorta delle esperienze maturate. Una seconda scelta, senza dubbio coraggiosa ma indubbiamente più trasparente, sarebbe quella di prevedere, una volta modificato l'attuale contesto normativo, la costituzione di una banca dati da gestire attraverso un sistema esperto che sia in grado di interfacciare le segnalazioni con altre disponibili in altre banche dati, al fine di far emergere situazioni anomale meritevoli di approfondimenti investigativi. La Guardia di finanza è idonea agli approfondimenti investigativi nelle indagini bancarie su dati che fanno pensare ad indici di rischio maggiori ed invece disperde le sue energie quando queste informazioni non vengono interfacciate e non consentono quindi di raggiungere risultati validi. Un altro argomento riguarda il centro per la repressione delle frodi comunitarie, istituito di recente, e la necessità di ottenere il conferimento ai militari del Corpo delle medesime potestà di intervento previste in materia fiscale. Le frodi comunitarie hanno indotto il comando generale a rimettere all'autorità di Governo uno schema di provvedimento normativo che riguarda l'istituzione di questo nucleo ed il conferimento di quelle potestà alle quali accennavo. Questo nucleo consentirebbe di ottenere risultati di rilievo partendo da scritture elementari, per risalire ai bilanci. La professionalità specifica e particolare della Guardia di finanza consente di ricercare e denunciare le evasioni e violazioni finanziarie che riguardano le frodi comunitarie mentre svolge la normale attività istituzionale, cioè i vari controlli fiscali che Pagina 197 le sono demandati. Questo anche perché è noto che le truffe in questo settore sono sempre legate alle frodi fiscali connesse a fatture per operazioni inesistenti. La mia proposta sarebbe di confermare quanto la Commissione antimafia della precedente legislatura aveva già proposto, cioè di individuare nella Guardia di finanza il referente naturale - senza voler invadere le competenze di altri organi centrali - al quale demandare in misura formale le attività che in via di fatto già stiamo svolgendo. Per quanto riguarda l'usura, sarebbe opportuno valutare la possibilità di estendere all'attività delittuosa di usura le disposizioni della legge n. 575 del 1965 che riguarda le indagini e l'applicazione di misure di prevenzione a carattere patrimoniale; di elevare i limiti edittali di pena in modo da consentire l'utilizzazione di tutti gli strumenti investigativi, mi riferisco in particolare alle intercettazioni; di prevedere anche per i reati di usura la possibilità di procedere alle operazioni cosiddette sotto copertura; di valutare la possibilità di prevedere maggiori forme di tutela legislativa per gli operatori di polizia che operano sotto copertura; di estendere anche ai comuni gli obblighi già previsti per i notai. Il quadro delineato consente di affermare che, nonostante la complessità del fenomeno delle infiltrazioni della criminalità nell'economia, importanti passi sono stati compiuti sia sul piano normativo sia su quello strutturale. In questo contesto si pongono i provvedimenti che anche la guardia di finanza ha assunto per affinare ulteriormente la propria organizzazione. E' tuttavia necessario, affinché l'azione di polizia criminale sia ancora più incisiva e adeguata, che le interconnessioni fra movimenti finanziari, frodi fiscali, frodi comunitarie e riciclaggio siano globalmente considerate e affrontate in un unico contesto. L'interconnessione delle attività criminali poste in essere dalla delinquenza organizzata è infatti un dato evidente; la vittoria dello Stato dipende direttamente dalla capacità di individuare questi legami, di attaccare su più fronti l'egemonia dell'illecito attraverso la predisposizione di ulteriori strumenti normativi di intervento, la rivisitazione delle modalità di inoltro delle segnalazioni sospette e la creazione di un'apposita banca dati centralizzata. Lascio alla Commissione copia della relazione e sono a disposizione per rispondere alle domande dei commissari. PRESIDENTE. Ci sono anche degli allegati alla sua relazione? COSTANTINO BERLENGHI, Comandante generale della Guardia di finanza. Sì, ci sono molti allegati che contengono tutti i dati. PRESIDENTE. Lei ha parlato di un'indagine sul riciclaggio. E' possibile avere la relativa documentazione? COSTANTINO BERLENGHI, Comandante generale della Guardia di finanza. Ho già presentato un documento sul riciclaggio nella presente legislatura... PRESIDENTE. Lei ha parlato di diverse indagini. COSTANTINO BERLENGHI, Comandante generale della Guardia di finanza. Ho qui degli allegati che contengono dati molto significativi; chiedo scusa se vi ho accennato solo rapidamente. Oltre a contenere tutti i dati, alcuni allegati mettono in evidenza le metodologie di riciclaggio individuate dalla Guardia di finanza. La prima è il quella realizzata attraverso società di comodo ed emissione di fatture per operazioni inesistenti; un'altra consiste nel riciclaggio di denaro proveniente da stupefacenti con la connivenza di funzionari di istituti di credito; vi è poi il riciclaggio attraverso compensazioni valutarie e una quarta forma di riciclaggio consistente in fittizie operazione commerciali con l'estero. Sono poi descritte operazioni, appena ultimate, relative a casi realmente accaduti per i quali i processi devono ancora cominciare; sono però precisati nomi e date. Vi è poi un allegato nel quale vengono Pagina 198 citati sedici casi di riciclaggio realmente verificatisi. PRESIDENTE. Si sono svolti dei processi? COSTANTINO BERLENGHI, Comandante generale della guardia di finanza. Vengono messi in evidenza i reati che hanno dato origine all'indagine e per ciascuno viene descritto il caso che si è verificato senza accennare all'attività processuale, che probabilmente non si è ancora svolta. MICHELE FLORINO. Presidente, vorrei fare una proposta sull'ordine dei lavori. L'audizione del procuratore Siclari si è protratta più a lungo del previsto, chiedo anzi scusa al generale Berlenghi ed ai suoi collaboratori per il tempo che hanno dovuto attendere. Poiché la relazione che abbiamo ascoltato è molto esauriente ed interessante e domani sarà a disposizione di tutti i colleghi, quindi anche di quelli assenti - anche se è vero che gli assenti hanno sempre torto - (inoltre, di questa seduta è redatto un resoconto stenografico), per un migliore andamento dei lavori della Commissione, per consentire la partecipazione di tutti, per mantenere alta quella tensione a cui faceva riferimento il procuratore Siclari, forse sarebbe opportuno prevedere una successiva audizione del generale Berlenghi nella quale porre più compiutamente le domande. PRESIDENTE. La tensione si tiene alta anche con la partecipazione, anche se l'ora è scomoda. FRANCESCA SCOPELLITI. Non siamo molti, quindi non credo che le domande e le relative risposte occuperanno molto tempo. Mi pare che chi è presente ed ha l'esigenza di rivolgere domande al generale debba poterlo fare. Se poi gli assenti, dopo aver letto la relazione, esprimeranno al presidente il desiderio di incontrarsi nuovamente con il generale Berlenghi, spero che il generale sarà così gentile da accettare un nuovo invito. PRESIDENTE. Mi sembra opportuno consentire ai colleghi presenti di formulare le domande, anche per correttezza nei confronti del generale che ci ha onorato della sua presenza. Propongo pertanto di proseguire l'audizione. Pongo in votazione tale proposta. (E' approvata). GIUSEPPE SCOZZARI. La relazione del generale Berlenghi è molto interessante, e sicuramente vi è bisogno di approfondirla. E' interessantissima la proposta sulle segnalazioni quasi automatiche delle operazioni sospette che garantirebbero l'anonimato all'operatore della banca, realizzando così una sorta di obiettivizzazione del meccanismo che tiene fuori gli operatori bancari. Nel momento in cui la segnalazione viene fatta, si avvia un'indagine, quindi c'è sempre l'individuazione dell'istituto che l'ha fatta. Attraverso quali strumenti si può garantire, in concreto, l'anonimato? L'altra domanda riguarda l'usura. Oggi la Commissione giustizia ha affrontato questo tema che presto arriverà all'esame del Parlamento. Innanzi tutto vorrei rassicurare il generale sul fatto che è stata ampliata l'attività delittuosa di usura nel senso che sono state previste delle aggravanti e, nel caso la nuova legge fosse approvata, questo reato sarebbe perseguito non più dalla procura presso la pretura, ma dalla procura presso il tribunale. Quindi gli strumenti investigativi disponibili saranno maggiori. Oggi si è verificato una sorta di scontro giuridico e politico sulla necessità di predeterminare o meno il tasso di fisso di usura. Secondo lei, è giusto lasciare alla discrezionalità del giudice l'individuazione del tasso usurario, prevedendo un'aggravante se si supera per esempio il quintuplo del tasso ufficiale di sconto, oppure sarebbe meglio prevedere sì l'aggravante in determinati casi, ma determinare anche gli elementi che individuano il reato semplice? Pagina 199 Personalmente ho proposto di stabilire che si configura l'usura se il tasso supera tre volte e mezzo il tasso effettivo annuo globale; l'aggravante si realizza nel momento in cui lo supera di cinque volte. Il Governo è orientato a prevedere solo l'aggravante; invece le associazioni territoriali ci hanno più volte invitato ad indicare un tasso fisso attraverso il quale individuare le cosiddette circostanze obiettive di punibilità nell'ambito delle quali scatta il reato di usura. Quale di queste soluzioni a suo parere è più utile ai fini investigativi? COSTANTINO BERLENGHI, Comandante generale della Guardia di finanza. Le sono grato per aver ricordato la mia proposta in ordine alla segnalazione delle operazioni sospette, che considero molto importante. Due anni fa ho partecipato ad un incontro con gli operatori bancari presso il Ministero dell'interno. In quella occasione veniva rappresentata la preoccupazione delle organizzazioni sindacali di categoria che il personale corresse rischi che andavano ben al di là delle normali responsabilità di un operatore bancario. Infatti, nel momento in cui un operatore bancario rende nota la sensazione che stia avvenendo qualcosa al di fuori delle regole, potrebbe divenire oggetto di vessazioni. Vi è invece la possibilità che operazioni sospette vengano segnalate automaticamente per via informatica al verificarsi di determinati parametri, estrapolando i dati che vengono recepiti da una apposita banca dati, in modo da poter conservare l'anonimato dell'operatore. Non sono un esperto di questi aspetti, ma credo non vi siano difficoltà nel realizzare questo sistema. Per quanto riguarda il reato di usura, la guardia di finanza è competente come le altre forze di polizia, ma non è particolarmente specializzata. In una riunione al Ministero dell'interno ne abbiamo discusso a lungo. In questa riunione siamo stati abbastanza dubbiosi, ma la conclusione è stata quella di lasciare alla discrezionalità del giudice l'interpretazione del reato. Però sono favorevole a legare ad una quantificazione l'aggravante (ritengo che ciò sia molto importante). Propendo per questa soluzione piuttosto che per l'altra, anche se mi rendo conto che potrebbe essere precisato il valore del reato di usura nei termini che lei aveva citato. PRESIDENTE. Potrebbe essere anche più favorevole. GIUSEPPE SCOZZARI. Stiamo studiando questo aspetto in Commissione giustizia. PRESIDENTE. Tutto dipende dalla disponibilità economica della persona. GIUSEPPE ARLACCHI. Farò un'osservazione e due brevi domande. L'osservazione riguarda le cifre iniziali da lei citate nel corso della sua esposizione, concernenti il fatturato dell'economia criminale italiana, basate su informazioni provenienti da diverse fonti, come la federazione italiana pubblici esercizi. Vorrei invitare la Guardia di finanza da lei rappresentata a farsi partecipe di quello che io chiamerei un movimento deflazionista che io ed altri studiosi abbiamo fondato anni fa e che si propone lo scopo di sgonfiare le cifre che queste organizzazioni, meritorie per molti aspetti ma che non hanno spesso alcuna competenza nel campo dell'economia e dell'economia criminale, lanciano periodicamente in una gara "a chi fa la cifra più grossa". Come lei sa, 400 mila miliardi rappresentano circa un terzo del reddito nazionale: si tratta di una cifra assolutamente irrealistica, di dimensioni tali che se anche per ipotesi fosse vera dovremmo andarcene tutti a casa. Sarebbe bene in questo campo esercitare un'azione critica e vigile. So che la Guardia di finanza per quanto riguarda, ad esempio, le cifre relative al mercato della droga ha svolto in passato questa azione deflazionistica e calmieratrice in documenti ufficiali, purtroppo poco letti, la cui scarsa diffusione e conoscenza contribuisce a far lievitare le cifre oltre ogni ragionevole misura. Dico questo anche ai colleghi che mi sentiranno fare discorsi simili molto spesso; d'altronde ho studiato l'argomento Pagina 200 e vi assicuro che non giova ad alcuno indicare cifre di queste dimensioni che, oltre a non essere realisticamente fondate, inducono all'impotenza e allo scoraggiamento nei confronti del fenomeno, che certamente ha dimensioni economiche ragguardevolissime ma che, comunque, non sono tali da essere fuori della portata di un'azione di contrasto seria da parte di una comunità organizzata. Chiudo la parentesi su questa mia osservazione che ha un aspetto ironico e scherzoso e le rivolgo due domande. La banca dati alla quale far affluire le informazioni sulle diverse transazioni e soprattutto su quelle sospette so che in passato è stata oggetto di una certa critica e di una controversia (credo che allora fosse proprio il generale Ramponi a dirigere la Guardia di finanza). Comunque, il problema viene sollevato periodicamente ma poi questa banca dati non si riesce a concretizzare per varie ragioni (in passato per una certa opposizione delle banche). Ho appreso dalla sua relazione che ancora oggi non esiste. Che cosa dobbiamo fare per ottenerla? La seconda domanda riguarda i GICO e gli SCICO. Lei ha appena dichiarato che riguardano 800 uomini, una cifra molto consistente, paragonabile, per dimensioni, a quelle dei ROS o della DIA (la DIA è superiore e i ROS lievemente superiori a questa cifra). Questi uomini vengono impiegati lungo le direttive da lei illustrate della specializzazione crescente della Guardia di finanza nei reati di tipo economico-finanziario, o vengono impiegati in indagini a largo raggio sulla criminalità organizzata? Nel primo caso avremmo un uso in linea con i compiti della Guardia di finanza, nel secondo vi è il rischio di un'accentuazione di quella competizione deleteria tra troppi organismi investigativi nel campo della criminalità organizzata, che il Parlamento e le leggi degli ultimi anni cercano di scoraggiare. Come vengono impiegati gli uomini dei GICO e degli SCICO? COSTANTINO BERLENGHI. Comandante generale della Guardia di finanza. In merito alla sua osservazione iniziale - mi perdoni - ero portato a sorridere perché quello che lei osservava in riferimento ad altri, sicuramente accade per emulazione anche nell'ambito delle forze di polizia. Ritengo che sia fondamentale evitare di "sparare" cifre eccessivamente alte che non corrispondono alla realtà. La Guardia di finanza ha come riferimento i valori catastali che credo siano i più realistici. Se ci fosse un orientamento interforze comune potrebbero essere considerati i dati catastali moltiplicati per X, però non è assolutamente il caso di "sparare" cifre, come fanno altre organizzazioni. I dati che ho esposto riguardano esclusivamente la Guardia di finanza, quindi sono sicuramente - e lei lo sa - poco significativi. Quelli più interessanti sono i dati globali che si realizzano a livello di Ministero dell'interno da parte di tutte le forze di polizia congiuntamente. Sento parlare di banca dati da molto tempo; in particolare lei ha citato il mio predecessore che ha già affrontato questo problema. Ritengo che la banca dati potrebbe essere gestita dalla Guardia di finanza, che potrebbe utilizzare i dati anche per questioni non strettamente connesse con la criminalità organizzata. Altrimenti, essa potrebbe essere collocata nell'ambito del Ministero del tesoro. Mi è stato accennato che in questo caso essa potrebbe essere collocata nell'Ufficio italiano cambi. Da quanto mi risulta da contatti intervenuti non di recente, il Ministero del tesoro ha l'intenzione di realizzarla. Bisogna però vedere come realizzarla e come interconnetterla con tutti gli altri dati, perché una banca dati non collegata con l'attività investigativa delle forze di polizia sarebbe poco produttiva e non ci consentirebbe di intervenire a ragion veduta. Si tratta di una questione che deve essere oggetto di attenzione e che il legislatore dovrà affrontare. GIUSEPPE ARLACCHI. Dovremo occuparcene anche noi. COSTANTINO BERLENGHI. Comandante generale della Guardia di finanza. Pagina 201 Penso di sì. Sono comunque convinto di questa necessità ed in particolare dell'utilità dell'informatica che oggi ci consente di avere sensori di rischio molto indicativi per l'attività investigativa. Per quanto riguarda i GICO e gli SCICO, lei sa bene che la Guardia di finanza, quando è stata istituita la direzione investigativa antimafia, è stata presente nella misura di un terzo, insieme con le altre forze di polizia. La Guardia di finanza è molto più piccola delle altre forze ed ha una presenza percentuale rispetto a carabinieri e polizia dello Stato dell'ordine del 20 per cento del totale, mentre le altre sono sull'ordine del 40 per cento. La Guardia di finanza è circa la metà dei carabinieri e della polizia di Stato e alla DIA partecipa nella misura di un terzo: in questo momento, si tratta nel complesso di 367 uomini, 75 ufficiali, 203 sottufficiali, 89 appuntati e finanzieri. La Guardia di finanza si onora anche di avere il direttore della DIA. Che cosa è accaduto nell'ambito della Guardia di finanza? Anzitutto abbiamo dovuto depauperare i GICO per destinare personale alla DIA. I GICO, che esistevano nell'ambito del corpo, hanno dovuto cedere personale alla DIA e poi sono stati ricostituiti. Quelli che vi ho riferito sono dati organici: il personale della Guardia di finanza in questo momento all'interno dei GICO è sull'ordine del 70-75 percento dell'organico; si dovrà procedere ad un potenziamento e miglioramento, in particolare sotto l'aspetto della capacità professionale. Sono comunque convinto che delle due soluzioni che lei prospettava in merito all'impiego del personale, non si possa considerare che la prima, quella che lei indicava come l'unica produttiva di risultati per la lotta alla criminalità organizzata. La competenza dei GICO e degli SCICO deve essere esclusivamente rivolta ad operazioni mirate nella lotta alla criminalità organizzata, ovviamente anche avvalendosi di tutte le notizie che possono arrivare, ivi comprese quelle provenienti dall'interno del corpo. Personalmente vedo volentieri il GICO operare direttamente nell'ambito della Guardia di finanza piuttosto che distaccato dalle unità operative del corpo. Ciò perché sicuramente il GICO è per la Guardia di finanza un punto di riferimento al quale far affluire tutte le notizie utili per la lotta al crimine economico. Ritengo che questo sia molto importante, perché il GICO, nell'ambito del corpo, è produttivo di notevoli risultati anche per le notizie che arrivano dall'interno del corpo stesso. Ovviamente queste notizie devono poi essere date alla DIA che può farne l'uso che ritiene opportuno, demandando ai GICO o ad altre unità specialistiche le attività da svolgere in relazione alle professionalità e alle esigenze che si riscontrano. FRANCESCA SCOPELLITI. So bene di aprire una parentesi forse poco piacevole, però credo che in questa fase sia importante dirsi tutto e offrire certezze non solo sulle indagini e sulle linee propositive - su cui la relazione è stata ampiamente esaustiva - ma anche sulla moralità di chi è deputato a portare avanti queste inchieste e queste indagini. In poche parole, guai a perdere la fiducia anche dell'opinione pubblica per chi si adopera tanto nella difesa della società. Sono cronaca recente i casi di corruzione che - ahimè - hanno visto come protagonisti anche uomini della Guardia di finanza. Addirittura il sostituto procuratore di Milano, Davigo, ha usato un'espressione abbastanza criticabile quando ha detto che l'Italia andrà ribaltata "come un calzino" perché la Guardia di finanza non possa più essere corrotta. Se casi di corruzione come quelli di cui abbiamo letto sui giornali avvengono nelle città, in situazioni ed occasioni normali, non eccezionali, cioè in una vita normale, quindi non eccezionale, quando ciò accade nell'ambito della lotta alla criminalità organizzata, dove gli uomini della Guardia di finanza sono chiamati a svolgere le loro indagini, la corruzione rischia di trovare un terreno ancora più fertile. Credo che in questo pericolo possa più facilmente incorrere soprattutto chi è sensibile al fascino del denaro, chi sa che Pagina 202 l'organizzazione criminale e la malavita hanno una disponibilità maggiore rispetto a chiunque altro. Dunque, il pericolo esiste, perché per motivi di servizio gli uomini delle fiamme gialle sono a stretto contatto con certi ambienti. Viene da chiedersi, in poche parole, chi controlli il controllore. Le chiedo pertanto quali provvedimenti si sia pensato di assumere in tal senso per evitare che casi simili possano verificarsi non solo per le inchieste tipo Tangentopoli ma - cosa ancora più grave - per quelle attinenti alla lotta alla mafia. L'altra domanda che desidero rivolgerle è relativa ad una mia perplessità. Quando lei parla delle modifiche al regime di segnalazione di operazioni sospette, se non ho inteso male auspica la possibilità che vengano attuate tutte le segnalazioni di operazioni bancarie che non convincono l'operatore della banca. Non c'è il rischio che il bancario diventi quasi giudice? In una realtà come quella dell'Italia meridionale, quindi dei piccoli centri comunali, dove tutti si conoscono e dove si vive di grande amicizia o di grandi odii, non c'è il rischio di procedere quasi per dispetto, non per conoscenza reale né per giudizio sereno? Non vorrei che anche in questo campo si innestasse il principio della delazione addirittura gratuita. La ringrazio. COSTANTINO BERLENGHI, Comandante generale della Guardia di finanza. Sono io a ringraziarla per le domande che mi ha rivolto, in particolare per la prima. Senza dubbio, il problema è molto importante. Il fenomeno corruttivo al quale lei si riferisce - parliamo di Milano - per la Guardia di finanza è apparso senz'altro di dimensioni insospettabili. Ciò non tanto per il numero delle persone coinvolte, quanto per la concentrazione in un nucleo - quello di Milano - e per le modalità con cui si è verificato. Sono state coinvolte alcune decine di persone, però quanto è accaduto è di gravità estrema perché non è la pattuglia o le pattuglie che hanno avuto problemi di corruzione o di concussione. Preciso subito che per la Guardia di finanza entrambi i reati sono gravissimi e che sarà poi il giudice a decidere la responsabilità di coloro che risulteranno colpevoli. Ripeto, comunque, che per la Guardia di finanza non vi è differenza. Ciò che è grave è che sono saltati i controlli interni: sono saltate le responsabilità di controllo dei sovraordinati, perché alcuni di essi erano corresponsabili, collusi; non era soltanto la pattuglia ad avere responsabilità dirette, ma anche colui o coloro che dovevano controllare. Ovviamente, le responsabilità le accerteranno i giudici. Si tratta di un fenomeno che non si registra altrove, anche se non c'è dubbio che problemi simili hanno riguardato tutto il paese, tutte le amministrazioni dello Stato, tutte le forze di polizia, quindi ogni ambiente. Naturalmente, questo non giustifica nessuno, tanto meno i finanzieri. Però, quest'ultimo è forse più a rischio di tutti, come lei sottolineava: è colui che, in un certo qual senso, deve andare a mettere le mani in tasca al contribuente per costringerlo a pagare il dovuto, e senz'altro la lusinga del denaro, che non lo giustifica, è molto forte. A questa lusinga gli esseri umani possono anche cedere, ma non posso in alcun modo pensare che ciò trovi giustificazione nell'ambito della Guardia di finanza. Tutto ciò a cosa ci costringe? A rivisitare l'intera organizzazione e a modificare le procedure operative. Da questo punto di vista, ho nominato una commissione d'inchiesta, le cui risultanze saranno oggetto di attenta valutazione, la quale considera solo l'aspetto amministrativo della questione: controlla se le regole sono state rispettate - ovviamente presumo di no - e allo stesso tempo considera se sia o meno opportuno inserirne di nuove. Personalmente, credo di sì perché anche se le regole non sono state rispettate vi saranno, sicuramente, nuove modalità da introdurre. Oggi, per esempio, vi è una lunga permanenza di personale a Milano, dove soltanto il trasferimento e l'alloggio possono comportare grosse difficoltà per un nucleo familiare; ebbene, non potremo più tollerare lunghissime permanenze, oppure potremo farlo solo per determinati incarichi, Pagina 203 ma non per quelli ad alto rischio: le persone che agiranno nel settore delle verifiche fiscali, per esempio, potranno restare a Milano, ma passeranno ad una diversa attività operativa o comunque ad un'attività sicuramente necessaria nell'ambito della Guardia di finanza. Occorrerà - e lo stiamo già facendo - assumere provvedimenti immediati a lungo e medio termine. Per quanto riguarda i primi, ho dovuto trasferire molte persone, nonché assegnare nuove forze: a Milano ho demandato moltissimi giovani sottufficiali appena usciti dalle scuole di reclutamento e i risultati sono stati molto validi. Uno di tali sottufficiali è proprio il brigadiere Di Giovanni, il quale, denunciando il maresciallo Nanocchio, ha dato il via all'inchiesta che ben conosciamo. Al brigadiere Di Giovanni, che è stato inserito in una nuova pattuglia, è stata offerta una somma di 2 milioni e mezzo per vedere se cedeva alla tentazione. Egli ha rifiutato, ha segnalato il fatto ai suoi superiori, i quali ne hanno informato l'autorità giudiziaria, ovviamente senza coprire nessuno. Come è noto, nonostante le persone presumibilmente corrotte - sono alcune decine, quindi non tante - la Guardia di finanza ha continuato ad operare con il pool di mani pulite. Infatti, tranne i pochi uomini sotto inchiesta, gli uomini che lavorano con il pool continuano, nonostante tutto, a godere della sua stima. Cosa dobbiamo fare? Per esempio, cambiare gli uomini delle pattuglie, perché anche se in un primo tempo è probabile che i risultati saranno meno validi dal punto di vista della redditività dei controlli fiscali, ciò contribuirà ad offrire maggiori garanzie nel settore della moralità. Dobbiamo movimentare il personale più spesso. Dovremmo trovare dei correttivi, a proposito dei quali, anche se non mi è possibile sottolinearne molti, voglio ricordarne uno in particolare. A parte ciò che deciderà il Parlamento per quanto attiene al servizio interno di sicurezza, che il ministro delle finanze ha proposto e che dovrà essere rivisitato in base ad un'attenta valutazione della legittimità dell'applicazione delle proposte stesse in relazione alla norma costituzionale, deve essere considerato anche un discorso di carattere generale. Personalmente vedrei esteso tale discorso non al personale militare e civile del Ministero delle finanze, ma a tutta l'amministrazione dello Stato, per quanto riguarda ciò che il Parlamento dovrà decidere circa il modo in cui controllare la moralità degli uomini. Nell'ambito della Guardia di finanza, ho già deciso di istituire controlli interni: soprattutto per le persone a rischio, essi riguarderanno le loro acquisizioni dal punto di vista catastale, il loro reddito, il loro tenore di vita. Tutto ciò è oggetto di attenta valutazione perché non è facile controllare la moralità degli uomini della Guardia di finanza, considerato che sono disseminati sul territorio e che in alcune realtà, come quella di Milano, sono dei pendolari. Comunque, questo servizio interno, in aggiunta a quello che il Parlamento deciderà per l'amministrazione finanziaria, e forse per tutte le amministrazioni dello Stato, sarà sicuramente introdotto. Non so se ho risposto esaurientamente, ma vorrei ribadire che sono poche decine i soggetti coinvolti nelle inchieste e che la Guardia di finanza è composta da 60-65 mila uomini. Nonostante ciò che è accaduto a Milano, nonostante la Guardia di finanza sia ancora sulle prime pagine dei giornali, posso garantire che essa opera in maniera stupenda in tanti altri settori, e di ciò troviamo conferma tutti i giorni anche sulla stampa. Nella relazione vengono sottolineati i risultati positivi raggiunti, per cui mi auguro che essi vengano riconosciuti a chi al Corpo dedica tutto sé stesso con professionalità e con assoluta dedizione. Per quanto riguarda la sua seconda domanda, senatrice Scopelliti, devo chiederle scusa perché non sono stato chiaro. Forse, mi sono espresso molto male. Ciò che volevo evitare è proprio quello che lei teme. In questo momento, l'operatore bancario deve, sia pure sulla base di un decalogo emanato dalla Banca d'Italia, valutare personalmente, come se fosse un giudice, l'opportunità o meno di segnalare l'operazione Pagina 204 esistente. Questo è proprio ciò che io non vorrei. Desidererei invece che l'operatore bancario fosse costretto a segnalare i casi solo in corrispondenza di determinati parametri oggettivi che a ciò lo obblighino automaticamente. Il mio ragionamento arriva al limite di dire - ammesso che sia possibile - che non deve essere tanto l'operatore di banca quanto il sistema informatico a rilevare i sensori che si scostano dalla normalità, ciò per evitare che l'operatore bancario possa attuare scelte che in certe aree del sud Italia, per esempio, sono più difficili di quanto si possa immaginare. PRESIDENTE. Uno dei momenti più difficili, che può ingenerare anche momenti di corruzione, è quello degli accertamenti per le verifiche fiscali, perché in genere sono lunghissimi e comportano (anche se non per volontà di qualcuno), il blocco dell'azienda, del piccolo commerciante o dell'imprenditore medio o piccolo. Negli Stati Uniti è già stato individuato un sistema diverso per le verifiche fiscali, che sono comunque severe e comportano pene più elevate rispetto alle nostre. Poiché questo è il momento senz'altro più a rischio, non si può operare in modo diverso? Non necessariamente chi è addetto a verifiche di questo tipo deve permanere nell'azienda o nel negozio, perché tranquillamente potrebbe esaminare altrove la documentazione che gli interessa. Ciò consentirebbe di non alterare in alcun modo l'attività dei soggetti interessati al controllo e di portare avanti ugualmente la verifica. Oltre tutto, bisogna tener conto del fatto che, anche previo avviso, taluni documenti sono immodificabili, come i documenti contabili, le fatture e così via; quindi, il contribuente potrebbe essere avvisato che dopo quindici giorni o un mese sarà sottoposto alla verifica fiscale per la quale deve preparare tutta la documentazione. FRANCESCA SCOPELLITI. Che cosa avviene negli Stati Uniti? PRESIDENTE. I documenti vengono presi ed esaminati; se si riscontrano reati, vengono comminate pene severissime, perché si tratta di reati contro lo Stato. Questo sarebbe, a mio avviso, un modo di procedere più incisivo rispetto allo smistamento continuo di persone sul territorio, anche perché spesso ciò non è possibile o comunque comporta costi effettivamente molto elevati (oltre al fatto che tutti si sentirebbero in qualche modo sospettati). Non crede che si potrebbe arrivare ad un sistema del genere? COSTANTINO BERLENGHI, Comandante generale della Guardia di finanza. Sono profondamente convinto di sì. Chiedo scusa, ma potrei invadere leggermente il campo di competenza del ministro delle finanze, anche se spero di non farlo. PRESIDENTE. Lei potrebbe esprimere semplicemente una sua opinione. COSTANTINO BERLENGHI, Comandante generale della Guardia di finanza. Sono comunque profondamente d'accordo. Il sistema fiscale italiano è, tutto sommato, vessatorio e deve essere modificato. Il fatto che sia vessatorio consente a colui il quale è sensibile alla corruzione di cedere alla lusinga in termini che potrei esemplificare: un'impresa che ottiene in un anno un utile di 10 miliardi deve pagare, tra IRPEG, ILOR e IVA, circa il 71 per cento; ciò significa che su 10 miliardi deve versarne allo Stato più di 7. L'arrivo di un controllore (il quale poi non si presenta tutti gli anni) può indurre l'imprenditore a trovare un modo per "addomesticare" la verifica fiscale e risolvere il problema con un enorme guadagno a danno dello Stato. Se il fisco introducesse nuove regole, evidentemente queste opportunità sarebbero molto inferiori e la corruzione o la concussione non assumerebbero una portata così rilevante. So che il ministro delle finanze - l'ha già detto più volte - ha in animo di proporre l'introduzione di un sistema fiscale nuovo, che sia molto più vicino al contribuente. Per Pagina 205 quanto mi riguarda, sottolineo l'aspetto relativo alla Guardia di finanza. Con un fisco più equo e strutturato in maniera diversa (il ministro delle finanze usa l'espressione "dal centro alla periferia", perseguendo quello che egli definisce federalismo fiscale, con un passaggio dalle imposte dirette a quelle indirette e con altre misure che sottoporrà all'attenzione del Parlamento) il problema potrebbe essere in parte risolto. Per quanto riguarda la Guardia di finanza, occorre evidentemente una maggiore trasparenza nei rapporti con il contribuente: per esempio, come diceva il presidente, si potrebbe segnalare in anticipo allo stesso contribuente chi va ad effettuare i controlli e quali tipi di controlli effettuerà; si potrebbero altresì intensificare i rapporti con le autorità locali, ed in particolare con i rappresentanti di categoria (Confcommercio, Confartigianato e così via), oltre ad istituire uffici di relazioni con il pubblico, in modo da dare il più possibile notizie, e individuare un modo in cui, al momento dell'accesso presso il contribuente, quest'ultimo sia informato anche in merito a dati che possono riguardare la durata della permanenza o altro. Questa permanenza può essere notevolmente ridotta se il fisco cambia mentalità, nel senso di non basare la questione soltanto sul controllo dei documenti reperiti presso l'azienda, ma basandosi su studi di settore che già da tempo i vari ministri succedutisi hanno sottoposto ad attenta valutazione e che si sta cercando di poter realizzare. Ritengo che questo possa essere un sistema nuovo, che consentirebbe al fisco nel suo complesso, e alla Guardia di finanza in particolare, di operare molto meglio, più speditamente e con maggiore trasparenza. Tra coloro che sono stati arrestati negli ultimi tempi (non so quale sia la verità, ma sarà il giudice a stabilirlo) ve ne sono alcuni che sostengono di aver ricevuto denaro dall'imprenditore soltanto perché la presenza presso la sua azienda è stata discreta o di minor durata rispetto a quella prevista. Si tratterebbe di una presenza discreta che è stata premiata senza che il verificatore abbia commesso nulla che sia penalmente rilevante nel senso di agevolare il contribuente. Questo è tutto da verificare e comunque la gravità del fatto che l'operatore si sia tramutato da controllore in una sorta di consulente non può essere certamente sminuita. ANTONIO BARGONE. Prima di porre tre brevissime domande, non posso fare a meno di rilevare che spero che l'approccio al problema sollevato dalla collega Scopelliti non sia così semplicistico: non credo, infatti, che sia solo un problema di sistema fiscale, perché altrimenti la stessa collega avrebbe ragione nel dire che le occasioni sarebbero molto maggiori nel corso delle indagini sulla criminalità organizzata. Tra l'altro, in questo settore il denaro circola in misura maggiore e non è neppure di provenienza lecita, per cui vi sono possibilità anche maggiori. Ritengo quindi (questa è una mia riflessione) che proprio perché la Guardia di finanza è un corpo che agisce sul territorio con grande incisività ed efficacia, queste sacche di corruzione debbano essere eliminate anche attraverso un approfondimento maggiore, che non sia collegato soltanto alle questioni attinenti al sistema fiscale. Tali questioni vanno certamente valutate su altro versante; però il fatto di parlare di un'occasione per la corruzione può essere una valutazione del problema, ma certamente piuttosto superficiale rispetto alle questioni che vi sono dentro; questa è la mia opinione. Passando alle tre domande che desidero porre, vorrei chiedere al comandante della Guardia di finanza quale livello di collaborazione vi sia da parte delle banche, ed anche da parte della Banca d'Italia. Abbiamo rilevato più volte che le banche coprono operazioni illecite; per moltissimo tempo abbiamo creduto che fossero soltanto gli istituti parafinanziari a svolgere le operazioni più sporche da questo punto di vista, ma invece vi sono anche le banche. Del resto, il ruolo svolto, per esempio, nell'ambito del fenomeno dell'usura dimostra che in questa direzione i controlli sono scarsi. Pagina 206 Lei ha probabilmente ragione nel momento in cui afferma che forse sarebbe necessaria una modifica legislativa con riferimento alle denunce di queste operazioni. Tuttavia, siamo in presenza di questa legislazione e vorrei sapere che tipo di collaborazione venga offerta dalle banche, perché si tratta di un aspetto particolarmente importante. Per quanto riguarda il contrabbando, vorrei sapere se da parte della Guardia di finanza vi sia una valutazione del mutamento delle caratteristiche di questa attività illecita, soprattutto in presenza del conflitto iugoslavo e delle vicende albanesi, e se il contrabbando dei tabacchi lavorati esteri si intrecci sempre più con il traffico di armi e con quello di immigrati, che in questo momento è particolarmente rilevante. La terza questione che intendo sollevare riguarda lo SCICO e il GICO (il primo è il servizio nazionale, il secondo quello regionale). COSTANTINO BERLENGHI, Comandante generale della Guardia di finanza. Tutti i GICO dipendono dallo SCICO. ANTONIO BARGONE. Vorrei chiedere, al riguardo, quale sia il rapporto con la DIA e soprattutto (l'ho già chiesto al ministro Maroni e al capo della polizia) se l'applicazione della legge istitutiva della DIA sia ancora possibile. Sia il ministro dell'interno sia il capo della polizia mi hanno già risposto di no, dicendomi che l'ipotesi di far confluire ROS, SCO e GICO nella DIA è allo stato irrealizzabile. Resta però il problema del coordinamento; lei ritiene che a questo punto vi sia un sufficiente livello di coordinamento (su questo aspetto vorrei una valutazione realistica) o che invece (proprio perché non è avvenuta la confluenza ma non vi è stato neppure, da questo punto di vista, un salto di qualità del coordinamento) vi sia una sovrapposizione di indagini e di attività che in qualche modo rende dispersiva anche l'azione di contrasto nei confronti della criminalità organizzata? COSTANTINO BERLENGHI, Comandante generale della Guardia di finanza. Per quanto riguarda la sua osservazione iniziale, non posso fare altro che chiedere scusa, perché in realtà, parlando soltanto del settore della fiscalità, non intendevo dare la sensazione di affrontare la questione in termini riduttivi. Evidentemente ero forse condizionato da episodi recenti e sono comunque pienamente consapevole che la questione da lei sollevata deve essere valutata ben più a largo raggio, in tutti i settori della fiscalità, non solo attribuendo queste colpe all'iniquità del fisco e tenendo sempre presenti anche e soprattutto i riferimenti che lei ha fatto alla criminalità organizzata. Mi sono espresso male e sono perfettamente d'accordo con quanto lei ha affermato. Per quanto riguarda la collaborazione con le banche, non sono in grado di dirle molto, ma ritengo che all'inizio, quando è entrata in vigore questa normativa, vi fosse ben poca collaborazione; successivamente, dopo che il Ministero del tesoro ha diramato il decalogo (nella mia relazione ho fatto riferimento, in particolare, al 1993 e al 1994) questa collaborazione è aumentata. Come dicevo prima, si tratta di una collaborazione che non mi entusiasma, dal momento che la Guardia di finanza è riuscita ad ottenere 888 segnalazioni in tutto, che credo siano molto poche rispetto a quelle che avremmo potuto ottenere. Non vi è dubbio che le operazioni sporche possano passare anche attraverso il sistema bancario. Nelle riunioni alle quali ho partecipato con l'Associazione bancaria, questo di fatto veniva escluso, ma episodi di cui siamo venuti a conoscenza anche dalla cronaca dimostrano invece come ciò sia realmente accaduto, e non in piccole proporzioni. La mia proposta si pone l'obiettivo che la collaborazione diventi un fatto pressoché automatico, imposto da dati di riferimento oggettivi (mi perdoni se non so dirle altro). Per quanto riguarda il contrabbando, un tempo esso veniva considerato - non so se a torto o a ragione, forse anche a ragione - qualcosa dalla pericolosità sociale Pagina 207 molto limitata. Nel tempo, però, il contrabbando, richiedendo grandissimi investimenti di denaro, poco alla volta è stato associato alla criminalità, ed alla criminalità organizzata. Colui che vende al minuto tabacchi lavorati esteri appartiene ad una manovalanza che, per gradini successivi, può essere reclutata anche per atti criminali di rilievo. Il contrabbando di tabacchi lavorati esteri si associa sicuramente al traffico di stupefacenti. Si associa sicuramente, in questi ultimi tempi, al trasporto di extracomunitari, che abbiamo fermato a centinaia e che vengono trasportati con ogni mezzo, in particolare con gli scafi blu - che oggi non sono blu ma bianchi - che dall'Albania arrivano in pochissimo tempo alle vicine coste italiane (un normale scafo blu porta anche una trentina di persone, come possiamo apprendere dai mezzi di comunicazione, televisione compresa). Sicuramente è un problema molto grave. Non ho molti dati relativi al traffico di armi, ma evidentemente anch'esso può avvenire tranquillamente per ragioni di contrabbando. Sicuramente i mezzi contrabbandieri vengono utilizzati qualche volta anche per forzare l'embargo verso la ex Iugoslavia, portando carburanti sull'altra costa adriatica e riportando nel viaggio di ritorno ogni cosa, soprattutto tabacchi lavorati esteri ma anche extracomunitari e droga (non ho elementi precisi per quanto riguarda le armi, anche se nella mia relazione sono allegati i dati relativi alle armi sequestrate). Per quanto riguarda il contrabbando, posso mettere in evidenza che in passato l'Albania aveva due basi stabili per tale scopo a Durazzo e a Valona, che successivamente sono state - a quanto mi risulta - smantellate. Però, oggi arriva soprattutto dal Montenegro, nonché da navi madri che vengono a stazionare nell'Adriatico in acque internazionali e alle quali i motoscafi vanno a rifornirsi. Sempre in questo settore, le norme introdotte sono abbastanza produttive di risultati, nel senso che la possibilità di sequestrare i mezzi contrabbandieri ci ha consentito di ottenere risultati di rilievo, che hanno portato a debellare o perlomeno a ridurre notevolmente l'entità del contrabbando. Sequestrare il mezzo contrabbandiere, poterlo dipingere dei colori della Guardia di finanza, potervi scrivere "Guardia di finanza" e poterlo utilizzare contro gli stessi contrabbandieri è stato un deterrente di grande rilievo. Non ho allegato alla relazione i dati relativi al contrabbando ma posso fornirli in qualsiasi momento. Il settore del contrabbando in questi ultimi anni ha avuto un'oscillazione abbastanza notevole, in particolare siamo passati dal sequestro di 517 tonnellate nel 1989 ad una punta massima di 1.176 tonnellate nel 1991, passando attraverso una lieve attenuazione nel 1992, per tornare alle 1.063 tonnellate nel 1993, per arrivare ad una fortissima attenuazione nel 1994 con il sequestro di sole 392 tonnellate. Peraltro, laddove il tabacco è stato sequestrato in maniera altalenante, quello che abbiamo rilevato essere consumato in frode è stato ugualmente molto: in 6 anni vi è stato un sequestro complessivo, o una rilevazione di consumo in frode, dell'ordine di 11.900 tonnellate, una quantità veramente cospicua. Passo alla terza domanda, che riguarda lo SCICO e i GICO e i loro rapporti con la DIA. Personalmente - forse l'ho appena accennato - ritengo che non sia opportuno che il GICO - mi riferisco al GICO della Guardia di finanza ma ritengo che anche le altre forze di polizia pensino la stessa cosa - confluisca completamente nella DIA. Ho detto che il GICO, rimanendo nell'ambito della Guardia di finanza, può operare a favore della DIA - i GICO sono direttamente collegati con le procure distrettuali e con la procura antimafia e quindi anche con la DIA - e quindi fornire tutti gli elementi che servono per la lotta alla criminalità organizzata. Rimanendo nell'ambito del Corpo, il GICO riesce ad acquisire maggiore operatività e a conservare elevata professionalità, proprio ricevendo dati da parte dei comandi del Corpo. Staccare il GICO dal Corpo, facendolo confluire completamente nella DIA, penso che farebbe ottenere risultati meno validi. D'altra parte, quando è Pagina 208 stato disposto di far confluire nella DIA parte del GICO lo abbiamo fatto, ed abbiamo ricostituito il GICO perché lo riteniamo indispensabile per raggiungere i risultati voluti. Il coordinamento. Si tratta di un obiettivo sicuramente difficile, che non è facile realizzare, ma ritengo che il coordinamento oggi esistente tra le forze di polizia sia di grande rilievo e che non vi siano grandi sovrapposizioni. E' una questione che dipende più dagli uomini che dalle regole. Ritengo che i risultati siano soddisfacenti. Spetterà poi al legislatore tener conto di tutte le risultanze ed eventualmente prendere decisioni che possano essere in linea o meno con questo mio pensiero. PRESIDENTE. Può inviarci gli altri dati sul contrabbando? COSTANTINO BERLENGHI, Comandante generale della Guardia di finanza. Senz'altro. LUIGI RAMPONI. Ho sentito dire che il comandante avrebbe partecipato a una riunione dei sindacati dei bancari... COSTANTINO BERLENGHI, Comandante generale della Guardia di finanza. Una riunione dell'ABI. LUIGI RAMPONI. Benissimo, meglio ancora. Ad una riunione dell'ABI, dove evidentemente emergeva il fatto che i funzionari di banca vogliono fare i funzionari di banca e non i poliziotti; avete capito cosa intendo. Quando comandavo la Guardia di finanza e ipotizzai una legge per realizzare le misure richieste anche dal collega Arlacchi (facendo ricorso all'informatica, cioè in modo assolutamente segreto e sicuro) furono proprio il tesoro e l'ABI a proporre che si facesse come gli inglesi. Il sistema, dunque, è stato copiato dagli inglesi (ed io ho portato ai rappresentanti dell'ABI il libretto rosso degli inglesi, ma questo appartiene ad un altro contesto). Osservai all'epoca che l'importante era che il sistema funzionasse. Adesso sento dire che l'ABI sostiene che questo è un dramma. COSTANTINO BERLENGHI, Comandante generale della Guardia di finanza. Quanto ho affermato risale al 1992. Potrei essere disinformato. LUIGI RAMPONI. Non importa, perché sostenevamo proprio questo, cioè che non era pensabile che, specie in certe aree, i funzionari di banca potessero assumersi la responsabilità di essere loro ad indicare i cittadini da controllare. Si riuscì finalmente a stabilire che movimentazioni in contante potevano essere limitate solo a cifre inferiori ai 20 milioni, come ben sapete (ma noi proponevamo dieci), ma credo che chiunque si sia recato in banca abbia ricevuto il cortese suggerimento, nel caso di movimenti superiori ai 20 milioni, di ricorrere ad assegni di importo leggermente inferiore a quella cifra. Dico questo perché occorre la partecipazione di tutti, bisogna rendersi conto di quale terribile minaccia è quella per la quale è stata costituita questa Commissione e che è necessario combatterla! PRESIDENTE. Ringrazio il comandante generale della Guardia di finanza. Sui lavori della Commissione. PRESIDENTE. L'onorevole Bargone ha chiesto di intervenire sui lavori della Commissione. ANTONIO BARGONE. Si è appreso da notizie di stampa che è iniziata la procedura di sostituzione del dottor Grasso e del dottor Vigna nella commissione per la valutazione del programmi di protezione dei collaboratori di giustizia. PRESIDENTE. Non ne sono a conoscenza, però. Ieri il capo della polizia ha detto che non lo sapeva. ANTONIO BARGONE. Appunto. Diciamo che si è tutto risolto nel frattempo. Devo segnalare il fatto che né il ministro dell'interno né il ministro di grazia e giustizia ci hanno detto niente, nonostante Pagina 209 questa fosse una procedura già iniziata da tempo. GIUSEPPE ARLACCHI. Può precisare la notizia? ANTONIO BARGONE. La notizia è che è iniziata la procedura di sostituzione del dottor Grasso e del dottor Vigna nella commissione... PRESIDENTE. Chi l'ha detto? GIUSEPPE ARLACCHI. E' stata verificata? ANTONIO BARGONE. Notizie di stampa che ho verificato essere vere. Tra l'altro, ho avuto poi un colloquio con il ministro dell'interno. Siccome avevo preannunciato la richiesta, che ora formalizzo, che il ministro dell'interno torni qui a precisare meglio i termini della questione, egli mi ha comunicato di essere assolutamente disponibile a chiarire quello che è successo nel frattempo. Quindi, adesso formalizzo questa richiesta, perché tra l'altro è successo che la Commissione non è stata messa a conoscenza... GIUSEPPE ARLACCHI. A chiarire l'episodio della sostituzione? PRESIDENTE. Possiamo sindacare sulla sostituzione? Non lo so. Questo è un diritto, una responsabilità del ministro dell'interno. ANTONIO BARGONE. Non dobbiamo sindacare. Siccome abbiamo ascoltato il ministro dell'interno e il ministro di grazia e giustizia, affrontando queste questioni, e non c'è stato detto niente in proposito, credo ci sia stata una mancanza di rispetto nei confronti della Commissione e che si possa riparare riascoltando il ministro dell'interno su questo punto. Questa è la richiesta che formalizzo. LUIGI RAMPONI. Chiedo un chiarimento: nel momento in cui questa commissione è stata costituita era necessario il parere della Commissione antimafia? ANTONIO BARGONE. No. LUIGI RAMPONI. Allora perché cambiamenti interni dovrebbero riguardarci? ANTONIO BARGONE. Non è un cambiamento interno. Si tratta di una commissione pubblica, non interna. LUIGI RAMPONI. Parlo di sostituzioni. Chiedo se è previsto che al momento della costituzione di quell'organismo la nostra Commissione debba esprimere un parere. ANTONIO BARGONE. Non mi riferisco al parere sulle persone ma al funzionamento della commissione: non si capisce bene perché ci sia la sostituzione di due magistrati, tra l'altro valorosissimi, che svolgono indagini... PRESIDENTE. Non vorrei che questo interferisse con l'attività del Governo. GIUSEPPE ARLACCHI. Occorre accertare la notizia. Se è vera si tratta di un fatto che ha gravità notevole e di cui la Commissione antimafia non può non occuparsi. ANTONIO BARGONE. E' stato accertato: la notizia è vera. PRESIDENTE. Noi non possiamo sindacare le scelte del ministro. Proprio oggi abbiamo detto che non potevamo neanche vedere un progetto per non interferire sull'attività governativa, adesso non possiamo occuparci di una sostituzione di cui non conosciamo neanche il motivo. Bisognerebbe accertare... ANTONIO BARGONE. La mia richiesta può essere accolta o respinta. Non si tratta di accertare niente, perché è già stato accertato. GIUSEPPE ARLACCHI. Il problema è che un'autorità superiore, che ha potere di nomina e di revoca di questi due commissari, abbia compiuto questa scelta. Per quel che so io circa il funzionamento di quella commissione, i magistrati Pagina 210 vengono nominati dal ministro di grazia e giustizia e non dal ministro dell'interno. ANTONIO BARGONE. Dal ministro dell'interno con il concerto del ministro di grazia e giustizia. GIUSEPPE ARLACCHI. Allora accertiamo come si sono svolte le cose, dopodiché sono favorevole a che la Commissione antimafia se ne occupi. PRESIDENTE. Procederemo dunque ad un accertamento, per quello che ci compete. ANTONIO BARGONE. Scusate, ma non dobbiamo accertare niente. Ho appena finito di parlare con il ministro dell'interno: è tutto accertato, soltanto che a seguito di una protesta che è arrivata da più parti c'è un re melius perpensa da parte del ministro il quale, però, secondo me, deve venirci a dire perché non ne ha parlato in Commissione antimafia, nonostante questa fosse una delle questioni sulle quali la Commissione si è soffermata più a lungo. Tenuto conto dell'ora tarda e del fatto che siamo pochi, ritengo che si possa dare mandato al presidente di verificare la questione con il ministro dell'interno e, nel caso lo ritenga opportuno, di invitarlo a precisare davanti alla nostra Commissione i termini della questione. Sto parlando del funzionamento della commissione. PRESIDENTE. Non vorrei che la cosa avesse un risalto eccessivo. ANTONIO BARGONE. L'ha già avuto il risalto, presidente, perché ne sono piene le agenzie di stampa. PRESIDENTE. Non conosco i fatti e quindi ritengo che vadano accertati, ma in modo formale. Le cose colloquiali, infatti, mi piacciono poco. Chiederò al ministro una relazione scritta. I contatti telefonici mi fanno pensare a una cosa abborracciata. ANTONIO BARGONE. Quando si dà mandato al presidente, questi può assumere notizie e informazioni nel modo che ritiene più opportuno. Sulla base di tali informazioni si deciderà, poi, se ascoltare il ministro o chiedergli una relazione che puntualizzi quanto avvenuto e fughi le preoccupazioni sul comportamento della commissione. LUIGI RAMPONI. Anche a me non piacciono le cose abborracciate. Vorrei capire bene, per cortesia, quale attività svolga la commissione in questione perché, onestamente, non lo so. GIUSEPPE ARLACCHI. Gestisce il programma di protezione. LUIGI RAMPONI. Bene, allora mi chiedo: se andiamo su questa strada, quando il ministro dell'interno cambierà il capo della polizia, il capo della DIA o di una delle strutture che fanno capo a lui, noi chiederemo regolarmente, ogni volta, di avere spiegazioni al riguardo? ANTONIO BARGONE. L'abbiamo chiesto, infatti. PRESIDENTE. L'abbiamo chiesto sul funzionamento, non sulle persone. LUIGI RAMPONI. Vediamo anche la prospettiva futura. Un conto è quando il ministro viene qui, per cui a nessuno è proibito di formulare domande, un altro conto è fare un discorso quale quello che state facendo ora: abbiamo avuto notizia di una sostituzione e vogliamo saperne il perché. A me sembra una interferenza che a noi non compete assolutamente, anche perché supponiamo che il ministro ci risponda che Tizio e Caio sono stati sostituiti con Filano e Martino; cosa diremmo noi, che Filano e Martino non ci vanno bene? A me non pare che abbiamo questa competenza, a meno che l'incarico non fosse assegnato a qualcuno sul quale abbiamo seri dubbi. Ma che su ogni cambiamento in un organismo dello Stato noi si debba avere questa facoltà io non sono d'accordo. PRESIDENTE. Possiamo intervenire sulla funzionalità della commissione, ma Pagina 211 sui nomi no, perché si potrebbe dare l'impressione che alcuni hanno interesse a che vengano fatti certi nomi, altri a che vengano fatti nomi diversi. ANTONIO BARGONE. Ho spiegato che non si tratta di un problema di nomi ma del funzionamento della commissione. PRESIDENTE. Altri due magistrati potrebbero essere altrettanto funzionali, come si fa a metterlo in dubbio? GIUSEPPE ARLACCHI. Noi non possiamo occuparci di ogni nomina che avviene ai vertici, massimi e intermedi, degli apparati dello Stato: questo è senza dubbio vero. Ma nel caso specifico, se i fatti si sono svolti nei termini indicati dal collega Bargone, non si tratta di un fatto qualunque: si tratta di due magistrati molto noti, di grande prestigio, che fanno parte di una commissione assolutamente cruciale per la gestione del programma di protezione, per cui mi sembra legittimo porre un interrogativo al quale si può dare risposta attraverso chiarimenti da parte del ministro. E' giusto il principio che non possiamo fare questo ogni volta, ma quando si tratta di cambiamenti di grande significato, che possono modificare il senso di una politica, dobbiamo avere chiarimenti. Se la Commissione antimafia fosse esistita quando si sono verificati gli avvicendamenti al Viminale, penso che nessuno si sarebbe opposto a chiedere per quale ragione venivano fatti quegli avvicendamenti a vasto raggio. PRESIDENTE. Questo è previsto dalla legge istitutiva della nostra Commissione? Io credo di no (Commenti). Se cambia un ministro noi non andiamo a chiedere il motivo, cambia e basta. GIUSEPPE ARLACCHI. Se fosse cambiato l'intero vertice della sicurezza sarebbe un fatto di grande rilevanza. PRESIDENTE. Ma noi non possiamo mettere in dubbio che chi viene dopo sia peggiore di chi c'era prima. Queste sono scelte e responsabilità governative. ANTONIO BARGONE. Nessuno lo mette in dubbio. MICHELE FLORINO. Collega Bargone, si può aprire un dibattito politico sulla questione ma non è questa la sede per farlo. A nessun parlamentare manca la possibilità di presentare al ministro un documento ispettivo con cui chiedere chiarimenti, ma non è questa la sede (Commenti). PRESIDENTE. La legge istitutiva della Commissione antimafia parla di indirizzi, dice che noi dobbiamo valutare l'efficacia degli strumenti, non le persone (Commenti). NICHI VENDOLA. Desidero fare, presidente, due osservazioni sulla proposta avanzata dal collega Bargone. La prima è che si tratta di una vicenda che chiama in causa, in qualche modo, il problema dei pentiti. Domani la questione sarà su tutti i giornali, probabilmente su di essa si animerà una discussione e noi rischiamo di fare la figura di una Commissione antimafia che non si occupa di ciò che coinvolge, e probabilmente turba, l'opinione pubblica del paese. Seconda osservazione. Ho ascoltato con attenzione quanto ci ha detto questa sera il dottor Siclari proprio sul fatto che segnali lanciati con un certo grado di superficialità - diciamo così - possono produrre un'inibizione nella lotta contro la mafia e nell'incoraggiamento alla collaborazione da parte dei pentiti, quelli che ci sono e, speriamo, quelli che ci saranno. Allora, di una vicenda di questo genere, che rischia di impattare terribilmente proprio sul problema di cui ci ha parlato Siclari, perché non dovremmo discutere? FRANCESCA SCOPELLITI. Desidero avanzare alla presidenza la proposta di accogliere comunque la segnalazione fatta dall'onorevole Bargone, dandole l'importanza che essa merita, nel momento in cui il presidente avrà sentito il ministro dell'interno. Soltanto a quel punto avremo degli elementi di valutazione per poter Pagina 212 decidere se metterla all'ordine del giorno della prossima seduta oppure no. Su una cosa sono d'accordo con il presidente: noi non possiamo discutere sui nomi, perché non abbiamo alcun potere di censura o di plauso. ANTONIO BARGONE. Sono d'accordo con la collega. PRESIDENTE. Poiché non vi sono obiezioni, raccoglierò le informazioni dal ministro e riferirò alla Commissione, però non vorrei che facessimo cose che vanno al di là delle nostre competenze. Poco fa, a proposito della possibilità di prendere visione di un regolamento, l'onorevole Bargone ha parlato di interferenze; ora, leggendo la legge istitutiva risulta chiaro che noi possiamo pronunciarci sugli indirizzi, non sulle persone (Vivi commenti). LUIGI RAMPONI. Se avessero messo nella commissione Siclari o qualcun altro... Non ci sono forse magistrati all'altezza di Vigna e di Grasso? ANTONIO BARGONE. Allora ce lo vengano a dire. PRESIDENTE. Non possiamo discutere anche sulla validità dei magistrati! Non possiamo fare l'"esame" ad un magistrato per stabilire se sia migliore o peggiore dell'altro: si tratterebbe di una terribile intromissione. Mi considero allora delegata nel senso precedentemente indicato dalla collega Scopelliti, ovviamente nei limiti consentiti dalla legge. La seduta termina alle 22,20.