Pagina 213 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI indi DEL VICEPRESIDENTE LUIGI RAMPONI INDICE Pag. Audizione del generale Giovanni Verdicchio, direttore della DIA, e del dottor Gianni De Gennaro, direttore della Criminalpol: Parenti Tiziana, Presidente ........... 215, 230, 239, 240 245, 247, 250, 251 Ramponi Luigi, Presidente ............. 226, 232, 234, 239 Ayala Giuseppe .................................. 235, 242 Bargone Antonio ...................................... 233 Bertoni Raffaele ........................... 215, 233, 234 235, 236, 250, 251 Bonsanti Alessandra ............................. 236, 248 Campus Gianvittorio ............................. 237, 238 Cusimano Vito ................................... 238, 239 De Gennaro Gianni, Direttore della Criminalpol ......................... 215, 240, 242, 244 245, 247, 248, 249, 250 Doppio Giuseppe ...................................... 239 Imposimato Ferdinando ........................... 226, 230 Grimaldi Tullio ............................ 232, 244, 245 Mattarella Sergio .......................... 226, 239, 245 Scivoletto Concetto ............................. 237, 249 Stajano Corrado ................................. 236, 249 Tripodi Girolamo ................. 231, 232, 239, 240, 248 Verdicchio Giovanni, Direttore della DIA ............. 217 226, 244, 245, 247, 248, 250, 251 Violante Luciano ........................... 238, 240, 247 Pagina 214 Pagina 215 La seduta comincia alle 9,40. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Audizione del generale Giovanni Verdicchio, direttore della DIA, e del dottor Gianni De Gennaro, direttore della Criminalpol. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del generale Giovanni Verdicchio, direttore della DIA, e del dottor Gianni De Gennaro, direttore della Criminalpol. Prima di dare la parola ai nostri ospiti, avverto i colleghi che presso la segreteria della Commissione sono disponibili le bozze dei resoconti stenografici relativi alle sedute del 15, 19 e 27 settembre 1994. Coloro che desiderano rivedere i loro interventi per apportarvi eventuali correzioni sono invitati a farlo entro il limite di cinque giorni da oggi, quindi entro mercoledì prossimo. Dopo tale data, si passerà alla redazione definitiva del resoconto stenografico. Vorrei poi manifestare rammarico alla Commissione per quanto è avvenuto l'altro ieri, al termine della riunione dell'ufficio di presidenza, in quanto - come avevo già detto ad alcuni colleghi che si sono fermati fino a tardi l'altra sera per l'audizione del generale Berlenghi - si sono verificate indiscrezioni di stampa inopportune relative a quanto si era detto nella sede di ufficio di presidenza, mentre quanto viene detto in tale sede non può essere riferito all'esterno, come sapete. Vorrei che questo episodio non avesse a ripetersi, anche perché alcune delle notizie riferite erano, fra l'altro, inesatte o fuorvianti. Faccio pertanto presente ai componenti l'ufficio di presidenza la necessità di rispettare le più essenziali norme di correttezza e di riservatezza, che sono fondamentali per il proficuo svolgimento dei lavori. Vi ringrazio anticipatamente poiché sono sicura, e me lo auguro, che manterrete la riservatezza, elemento effettivamente essenziale per una Commissione come la nostra. RAFFAELE BERTONI. Quando le notizie sono segrete, questo è giusto; per il resto, credo che ognuno sia libero di dire quello che vuole, anche il presidente. PRESIDENTE. Io non ho parlato assolutamente di quanto è avvenuto nella sede dell'ufficio di presidenza; di altre cose, credo che ognuno di noi sia libero di parlare, non di quanto stabilito in quella sede. Passiamo all'oggetto dell'audizione, che riguarderà i seguenti temi: prospettive delle attuali strutture e coordinamento con l'azione dell'autorità giudiziaria, risultati dell'attività investigativa e attualità del sistema di analisi della criminalità. Dopo le relazioni introduttive, i membri della Commissione potranno rivolgere quesiti ai nostri ospiti, che replicheranno al termine degli interventi. Do quindi la parola al dottor De Gennaro. GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol. Desidero innanzitutto ringraziare il presidente ed i membri della Commissione per l'opportunità che mi viene offerta con l'odierna audizione. Non ho predisposto una relazione dettagliata sugli argomenti oggetto dell'audizione, in quanto su di essi si soffermerà in termini più ampi il generale Verdicchio, Pagina 216 direttore della DIA. Se mi consentite, vorrei soffermarmi su alcuni temi specifici, rendendomi comunque completamente disponibile rispetto alle domande che vorrete rivolgermi, anche in relazione ad interventi precedentemente svolti in questa sede, in particolare quello del capo della polizia, laddove potessi, da un punto di vista maggiormente tecnico, integrare o specificare meglio alcuni dei concetti che, per necessità di sintesi, sono stati resi dal capo della polizia in termini più di strategia che di tattica. Per quanto riguarda la mia funzione di vicedirettore generale della pubblica sicurezza e direttore centrale della polizia criminale, come ha già ribadito il capo della polizia e come aveva accennato il ministro degli interni, essa è tesa, anche in virtù della norma di legge che prevede l'istituzione del mio incarico, a cercare di rendere sinergici nel modo migliore possibile gli sforzi investigativi, a livello sia territoriale sia centrale. Si tratta di un'attività specialistica, che deve andare ad integrarsi e deve interagire con le conoscenze dirette e immediate, nonché gli interventi sul territorio svolti da tutti gli organismi investigativi. Questa funzione attiene soprattutto ad un'attività di raccordo fra il momento specialistico - mi riferisco naturalmente, in particolare, all'attività di contrasto della criminalità mafiosa - cioè le iniziative dell'organo specializzato, la Direzione investigativa antimafia, e le iniziative di tipo investigativo che vengono svolte dagli organismi territoriali e da altri organismi specializzati in materia attualmente operanti. Desidero sottolineare, in questa fase introduttiva, il concetto di interazione, cui facevo riferimento, fra i due momenti investigativi. E' nostra convinzione che l'attività investigativa diretta sul territorio, anche negli spazi di interesse coperti dal punto di vista della giurisdizione, debba essere effettuata dalle strutture investigative che operano nello specifico territorio e in quegli spazi, in quanto esse conoscono perfettamente l'ambiente in cui devono operare e naturalmente controllano la serie di informazioni che quotidianamente acquisiscono. Il capo della polizia faceva riferimento anche ad un'attività più semplice, al controllo di una persona agli arresti domiciliari, come ad un momento di presenza sul territorio; una presenza non soltanto per l'osservazione e il pattugliamento, ma un po' più attenta, sia pure nella ricerca di un indirizzo che si deve controllare. Mi riferisco, quindi, ad un'immediatezza, ad una cognizione del personale investigativo sul territorio, sull'ambiente e sul contesto in cui si muove. Questo tipo di presenza è fonte inesauribile di informazioni, momento conoscitivo del contesto ambientale, prima base di raccolta di dati che può garantire e meglio favorire l'intervento dello specialista. Il ministro dell'interno ha parlato di specializzazione delle strutture investigative ed allo stesso tempo di decentramento, laddove mi sembra si volesse ribadire la necessità di una presenza specializzata e qualificata, che conosca la materia, che abbia una visione d'insieme di tutta la realtà criminale su cui si va ad operare, che abbia un momento conoscitivo delle diverse sfaccettature della problematica, la quale però non può prescindere dalla conoscenza diretta, dalle informazioni che vengono dal territorio. Il potenziamento e soprattutto la migliore efficienza degli organismi investigativi costituiscono anche una forma di prevenzione, che deriva essenzialmente da tutta quell'attività investigativa preliminare, anche volta alla ricerca di una notitia criminis, la quale consente di anticipare talvolta la commissione di un reato, o anche, proprio a causa della presenza fisica, di costituire una forma di deterrente per chi si accinga a commettere un reato. Non è un caso che molte volte questa attività investigativa, soltanto apparentemente di valenza minore, è servita a sventare reati molto più gravi che erano in preparazione. E' molto importante non disperdere tutte le informazioni che via via, anche in modo apparentemente discontinuo, vengono ad acquisirsi in virtù di un'attività investigativa che, ripeto, può sembrare di valenza minore; non è, però, tale in quanto può costituire un supporto Pagina 217 molto importante per tutta l'attività degli organismi specializzati. Quando ho svolto la funzione di direttore della DIA su questo sono stato molto attento: questi organismi specializzati devono operare nell'ambito della materia di propria competenza onde evitare qualsiasi forma di duplicazione, oltre quelle che già possono essersi realizzate per la strutturazione stessa del comparto investigativo. La legge istitutiva della Direzione investigativa antimafia, all'articolo 1, istituisce, per volontà del legislatore, qualcosa di ancora più importante, cioè il consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata, che ha, come si può vedere dalla stessa formulazione della norma, compiti particolarmente importanti quali quelli di individuare gli obiettivi e le risorse e stabilire priorità. Tutto questo sotto la responsabilità e la presidenza del ministro dell'interno. Direi perciò che la legge istitutiva della DIA ha anche una valenza per l'istituzione del consiglio generale, proprio per realizzare un momento di raccordo a livello strategico. Inoltre - su questo si soffermerà nel dettaglio il collega che attualmente svolge l'incarico di direttore della DIA - la legge stabilisce una stretta competenza per materia per questo organismo investigativo. Credo sia l'unico caso di un organismo investigativo, in questa tematica, che trovi la sua specializzazione nella legge stessa, nel senso che la materia su cui possono intervenire gli operatori di polizia che costituiscono l'organico della DIA è predefinita dal legislatore. In altre parole, a monte del singolo delitto, deve esserci un'ipotesi di reato di associazione di stampo mafioso riconducibile al momento ben identificato dalle fattispecie di cui all'articolo 416-bis. Signor presidente, se ritiene posso aggiungere qualcosa a proposito di dubbi e questioni poste nel corso dell'audizione del capo della polizia. In particolare, mi preme rispondere ad una domanda formulata al capo della polizia in ordine al numero delle informative fornite dalle strutture del dipartimento per l'applicazione dell'articolo 41-bis. La discrasia rilevabile in proposito è solo apparente perché le 1301 informative erano riferite anche ad informazioni reiterate in occasione di nuovo provvedimento emesso dal ministro di grazia e giustizia sullo stesso soggetto a scadenza del provvedimento precedente. Posso essere più preciso: di queste informative (desidero evidenziare il supporto che diamo, come dipartimento della pubblica sicurezza, al momento conoscitivo sulla pericolosità del soggetto), 496 sono state fornite nel 1993 e 805 nel 1994. La differenza temporale evidenzia la necessità sorta di aggiornare la situazione sulla pericolosità dei soggetti: in realtà le informative riguardavano in tutto circa 500 persone fisiche, per cui non vi è una discrasia numerica tra le informative e i soggetti destinatari del dato. Mi fermerei qui per non togliere spazio alla relazione del direttore della DIA che sarà ampia e dettagliata e susciterà probabilmente la necessità di un'integrazione conoscitiva attraverso le domande che verranno formulate. Naturalmente rimango a disposizione dei commissari per eventuali chiarimenti basati sulla mia esperienza pregressa ed attuale. GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. Signor presidente, le consegno copia della relazione che mi accingo a leggere. Mi sia consentito preliminarmente rivolgere un doveroso ringraziamento per l'opportunità che mi è stata offerta di riferire dinanzi ad un consesso così autorevole sullo status quo dell'organismo di cui ho assunto di recente la direzione e sulle linee programmatiche alle quali intendo ispirare il mandato che il ministro dell'interno mi ha affidato. L'esigenza di uno stretto e continuo rapporto tra l'Assemblea parlamentare e la DIA, è stata sancita, anche sotto il profilo formale, dallo stesso legislatore che ha fatto obbligo al ministro dell'interno di riferire al Parlamento, con cadenza semestrale, sull'attività svolta e sui risultati conseguiti dall'organismo e, con cadenza annuale, sull'andamento del fenomeno mafioso. Sino ad oggi sono state presentate Pagina 218 cinque relazioni semestrali, dalla lettura delle quali appare evidente come la DIA abbia già assunto una precisa e spiccata fisionomia sotto il profilo sia strutturale sia operativo. Infatti, il numero e la rilevanza delle operazioni sinora effettuate, la crescente attività investigativa ed informativa, ormai estesa sull'intero territorio nazionale ed anche in ambito internazionale, l'assetto organizzativo raggiunto testimoniano - credo adeguatamente - la funzionalità dell'istituzione. Ritengo pertanto che il compito che mi attende, anche se tutt'altro che agevole e sicuramente irto di difficoltà, sia, almeno per certi versi, meno arduo di quello che avevano di fronte i vertici della DIA nel dicembre 1992, allorquando il direttore e il vicedirettore pro tempore, generale Tavormina e dottor De Gennaro, vennero ascoltati dalla Commissione antimafia sugli indirizzi e sulle linee di sviluppo che intendevano imprimere all'allora nascente organismo investigativo. Sono stati due anni - e mi preme ribadirlo - di lavoro duro ma entusiasmante, contrassegnati da molteplici difficoltà di ordine logistico ed organizzativo, non peraltro del tutto superate, durante i quali il personale della DIA ha ampiamente dimostrato di possedere le qualità necessarie per affrontare un'opera così impegnativa. La decisione di costituire la DIA, pur maturata in un periodo caratterizzato da una violenta offensiva delle cosche mafiose, non può inquadrarsi in una logica emergenziale bensì in una nuova strategia antimafia. Una strategia che poneva al centro non più le singole manifestazioni delittuose ma l'organizzazione mafiosa in quanto tale, con il preciso obiettivo di disarticolarla e colpirla proprio nei suoi punti di forza, nella sua struttura organizzativa e nei suoi interessi finanziari. Da qui la decisione di dare vita ad un ufficio che potesse riunire le migliori energie investigative disponibili all'interno delle forze di polizia e operare contestualmente ed in tempi operativamente utili sull'intero territorio nazionale ed all'estero, perseguendo le organizzazioni criminali in tutte le attività illecite ed in tutte le loro ramificazioni territoriali. Per tali motivi la DIA non è un ufficio di coordinamento tout court, né un'autonoma forza di polizia ma è una struttura interforze in cui l'integrazione fra le tre forze di polizia si risolve in unità ordinamentale: una sorta di task force che sfrutta al meglio le loro energie. Nell'ufficio hanno trovato compiuta esplicitazione i principi della specializzazione funzionale, essendogli stato attribuito il compito di concentrarsi, senza alcuna dispersione di risorse, su un unico obiettivo strategico: la lotta al crimine mafioso. La specializzazione diventa pertanto, nella DIA, criterio informatore dell'intera organizzazione, unificando il momento della teoria e quello della prassi, dell'attività informativa e di quella investigativa, che costituiscono il fondamento di nuove e più avanzate metodologie operative, in cui lo studio preventivo del fenomeno criminale diventa ipotesi d'indagine. L'analista e l'investigatore, entrambi specializzati nel settore di competenza, costituiscono così i due momenti essenziali, strettamente interconnessi, di una più moderna tecnica investigativa, la cui attuazione comporta il superamento di consolidate abitudini. In luogo della logica del risultato immediato sono state privilegiate le ragioni di un'attività investigativa concentrata nel perseguimento sistematico dell'obiettivo, che punta ad acquisire ed elaborare tutte le informazioni necessarie per ricostruire con precisione le strategie, gli obiettivi e i metodi delle associazioni mafiose, per giungere poi a recidere le radici e le contiguità delle stesse, senza farsi distrarre da fatti contingenti, né subire alcuna limitazione di natura territoriale. L'organismo, come detto, presenta una spiccata proiezione in ambito internazionale, è articolato in modo flessibile sull'intero territorio nazionale ed è capace di contrapporsi con decisione al fenomeno mafioso, ovunque esso si manifesti, prefigurando un sistema investigativo integrato in cui organi centrali, articolati verticalmente per competenza e composti da personale Pagina 219 specializzato, si affiancano e si integrano con le strutture tradizionali di polizia a competenza generale. La DIA rappresenta una novità anche rispetto agli altri servizi interforze: ciò sia per l'accentuata caratterizzazione operativa, sia per una più spiccata fisionomia organizzativa e funzionale. La connotazione interforze della DIA deve essere intesa non come sommatoria o giustapposizione di esperienze diverse, ma come necessario momento di sintesi tendente a favorire la nascita di una nuova cultura investigativa omogenea e di un forte senso di appartenenza all'organismo. Qualsiasi ipotesi di revisione ordinamentale della DIA che intendesse privilegiare un solo versante dei suoi compiti istituzionali a scapito di altri, ad esempio quello delle investigazioni preventive, oppure riproporre un modulo istituzionale imperniato essenzialmente sulla funzione di coordinamento, sortirebbe sicuramente effetti negativi sulla funzionalità e l'efficacia della struttura ricalcando, peraltro, esperienze passate, quale quella dell'Alto commissario, che si sono rivelate inadeguate a fronteggiare la complessità e le dimensioni assunte dal fenomeno mafioso. Credo risulti evidente il ruolo centrale attribuito dall'ordinamento alla Direzione investigativa antimafia in tema di delitti di associazione di tipo mafioso o comunque ricollegabili all'associazione medesima. Tale posizione è desumibile, tra l'altro, dal fatto stesso che essa è chiamata in modo esplicito dalla legge a svolgere specificamente le indagini in questa materia. Nella medesima legge è altresì previsto l'obbligo di cooperazione, in virtù del quale "tutti gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria debbono fornire ogni possibile cooperazione al personale investigativo della DIA". Si è dunque inteso costruire un sistema integrato di contrasto al crimine mafioso - cui ha fatto riferimento anche il ministro dell'interno nel corso della recente audizione - articolato su diversi livelli, dove ad un organismo altamente specializzato e privo di una competenza territoriale predeterminata, si affiancano sia le tradizionali strutture investigative polifunzionali a competenza territoriale ripartita, sia i servizi centrali ed interprovinciali, che già svolgono, all'interno delle rispettive amministrazioni, compiti investigativi, operativi e di collegamento. Il signor ministro dell'interno ha, tra l'altro, sottolineato l'esigenza di una riorganizzazione complessiva dell'intero comparto della sicurezza che si muova sui binari della specializzazione e che, senza ricorrere ad artificiose sperimentazioni, valorizzi e potenzi tutte le strutture esistenti, evitando, nel contempo, "parcellizzazioni di energie investigative e nuovi antagonismi nei medesimi settori di competenza". Sono certo che la DIA potrà svolgere in piena sintonia con gli indirizzi prospettati dal ministro, in modo sempre più compiuto, il proprio ruolo di ufficio specializzato nella prospettiva di un moderno e nuovo sistema investigativo che, ricalcando il modello delle agenzie federali statunitensi, riconosca agli specialisti il potere-dovere di affiancarsi ed integrarsi, nei casi in cui ciò sia ritenuto utile, all'azione degli altri organismi investigativi di polizia giudiziaria a competenza generale. Non si tratta, dunque, di attribuire alla DIA una competenza esclusiva nella materia, ma di riconoscerle una posizione di primazia, rispetto a qualsiasi altra struttura investigativa, nella conduzione delle indagini sulla criminalità mafiosa in tutti quei casi in cui venga deciso nelle sedi competenti il suo intervento, in ragione degli elevati apporti di specializzazione richiesti o della necessità di svolgere mirate azioni di collegamento investigativo. La legge n. 410 del 1991 ha stabilito che al vertice della DIA sia posto un direttore tecnico-operativo con una specifica esperienza nella lotta alla criminalità organizzata, al quale compete la definizione degli indirizzi strategici dell'organismo nonché la gestione e l'impiego del personale. Egli partecipa inoltre alle riunioni del consiglio generale. Responsabile generale della DIA è il capo della polizia, direttore generale della pubblica sicurezza, su delega del ministro dell'interno. Il direttore della DIA si avvale della collaborazione Pagina 220 di due vicedirettori, ai quali sono affidate, rispettivamente, la responsabilità in materia di attività operativa e di quella gestionale-amministrativa. Ad uno di essi sono affidate le funzioni vicarie. La soluzione adottata scaturisce anche dal fatto che, con un provvedimento normativo risalente al dicembre 1993, è stata attribuita all'organismo un'ampia autonomia gestionale, sotto il profilo contabile ed amministrativo, che le permette di avvalersi di procedure rapide e semplificate, necessarie per far fronte nel modo più efficace alle crescenti esigenze operative e logistiche. In relazione a ciò, sono stati appositamente costituiti due uffici centrali, amministrazione e ragioneria, cui è stato affidato il compito di predisporre la preparazione e la programmazione del quadro complessivo di spesa nonché la celere trattazione di tutti gli affari di natura tecnico-contabile. La legge n. 410 del 1991 ha fissato alcuni principi fondamentali attinenti all'assetto ordinativo ed al funzionamento della Direzione, prevedendo che la stessa dovesse essere organizzata "secondo moduli rispondenti alla diversificazione dei settori di investigazione e alla specificità degli ordinamenti delle forze di polizia interessate" e che, "nella prima fase", fosse articolata in tre reparti: reparto investigazioni preventive; reparto investigazioni giudiziarie; reparto relazioni internazionali ai fini investigativi. Il legislatore ha demandato poi al ministro dell'interno, sentito il Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata, il compito di meglio definire le attribuzioni dei reparti e di adeguare contestualmente la struttura organizzativa dell'organismo alle esigenze di volta in volta insorgenti. Il ministro dell'interno, con proprio decreto del 19 novembre 1991, ha delineato una prima articolazione della DIA, definendo le competenze dei reparti ed affiancando agli stessi un ufficio gabinetto, con compiti diversificati di carattere organizzativo e gestionale. Contestualmente è stata prevista l'istituzione delle prime articolazioni territoriali, denominate centri operativi, dislocate a Palermo, Reggio Calabria, Roma, Napoli, Bari e Milano, a loro volta suddivise in una o più sezioni, con il compito di svolgere "specifiche attività di polizia giudiziaria relative a delitti di tipo mafioso o comunque ricollegabili all'associazione medesima". Al reparto investigazioni preventive compete l'acquisizione e l'analisi di informazioni e notizie concernenti la criminalità organizzata con particolare riguardo alle connotazioni strutturali delle organizzazioni criminali, comprese quelle straniere operanti in Italia, alle loro articolazioni e ai collegamenti sul piano interno e internazionale. A tale reparto sono state altresì demandate le investigazioni concernenti gli obiettivi e le modalità operative delle organizzazioni criminali e il tipo di attività illegali svolte dalle medesime. Con decreto ministeriale del 1^ febbraio 1994 è stato stabilito che rientra nelle dirette responsabilità del capo del I reparto "lo svolgimento di studi e ricerche, avvalendosi anche della consulenza di esperti esterni all'amministrazione. Il reparto investigazioni giudiziarie svolge un'azione di pianificazione, programmazione e verifica di risultati in ordine alle indagini di polizia giudiziaria e gestisce le operazioni in forma coordinata, con particolare riguardo alle indagini collegate. Il reparto, nelle sue articolazioni divisionali e periferiche, costituisce servizio di polizia giudiziaria del quale può disporre il procuratore nazionale antimafia. Esso si articola in quattro divisioni che ripartiscono le competenze in relazione alle diverse organizzazioni mafiose. Infine, il reparto relazioni internazionali, articolato in due divisioni, ha il compito di mantenere i rapporti con le forze di polizia estere nonché con le organizzazioni sovranazionali, qual è ad esempio l'Europol, anche per un reciproco scambio di informazioni sui fenomeni criminali attinenti direttamente od indirettamente al nostro paese. Pianifica, inoltre, l'impiego del personale della DIA impegnato all'estero, fornendo allo stesso il necessario supporto info-operativo. La concreta sperimentazione dei moduli organizzativi e funzionali delineati ha Pagina 221 evidenziato la necessità di meglio definire le competenze dei reparti nonché di provvedere alla costituzione di nuovi uffici centrali, anche in relazione ai crescenti impegni istituzionali assunti dalla Direzione in seguito alla delega al direttore della DIA delle competenze già attribuite all'Alto commissario per la lotta contro la delinquenza mafiosa, che ricomprendono, tra l'altro, la facoltà di accesso presso istituti bancari e di intermediazione bancaria ed il potere di avanzare proposte per l'applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali. Tale esigenza è stata soddisfatta con il decreto ministeriale del 27 aprile 1993, che ha disposto una integrazione delle funzioni spettanti ai reparti e, soprattutto, l'istituzione degli uffici "ispettivo", "addestramento studi e legislazione" e "informatica". Inoltre, con recente decreto del ministro dell'interno del 30 marzo 1994 è stato istituito, tra l'altro, l'ufficio supporti tecnico-investigativi, con il compito di assicurare il sostegno alle attività di investigazione mediante "la gestione di idonee strumentazioni tecnologiche e lo studio per l'acquisizione delle relative risorse". In tale contesto va evidenziata infine l'istituzione, nell'ambito dei reparti investigazioni preventive ed investigazioni giudiziarie, di due nuove divisioni specializzate nel contrasto al fenomeno dell'infiltrazione della criminalità mafiosa nei settori economici e finanziari. Per quanto riguarda il personale, ho in animo di potenziare il comparto dell'addestramento, che in un organismo specializzato come la DIA deve assumere rilevanza centrale anche al fine di rafforzare ulteriormente l'identità di appartenenza all'istituzione e di favorire una crescente integrazione tra le varie professionalità presenti al suo interno. Un rilievo del tutto particolare sarà dato alla formazione di quadri specializzati nel settore finanziario e delle indagini patrimoniali, proseguendo le positive esperienze già avviate che hanno visto la fattiva collaborazione della Banca d'Italia, dell'UIC, della CONSOB, dell'ISVAP e di altre importanti istituzioni operanti nel settore. L'impegno della Direzione dovrà inoltre concentrarsi sulla formazione degli analisti, una figura complessa e nuova in Italia: proprio in questi giorni ha avuto inizio un importante corso addestrativo indirizzato alla formazione di questa specifica figura professionale, tenuto da esperti della DEA statunitense, al quale partecipano funzionari ed ufficiali della Direzione già destinati a tale specifico impegno. E' mia intenzione, altresì, imprimere ulteriore impulso all'informatizzazione della DIA, sia al fine di dare compiuta attuazione al progetto, in avanzata fase di realizzazione, di office automation, sia al fine di incrementare l'attività di sostegno alle indagini ed alla analisi delle informazioni, che ha permesso di ottenere positivi risultati soprattutto nell'ambito dei progetti di cooperazione internazionale. Un settore che intendo valorizzare ulteriormente è quello relativo all'impiego e all'utilizzazione dei supporti tecnico-investigativi. Sotto questo profilo, grande attenzione verrà riservata non solo allo studio ed all'acquisizione delle strumentazioni tecnologiche, con particolare riferimento a quelle attinenti all'armamento, alla microfotografia ed alle intercettazioni telefoniche ed ambientali, ma anche alla formazione del personale specializzato nel settore, nell'intento di poter disporre nel breve periodo di vere e proprie task forces di pronto intervento, composte da specialisti che sappiano coadiuvare e sostenere, con la massima competenza e con altrettanta rapidità di intervento, le attività operative sviluppate sul territorio. La lotta alla delinquenza mafiosa impone un continuo aggiornamento delle tecniche e delle modalità di contrasto: l'attività investigativa ha bisogno non solo di investigatori bravi, coraggiosi e fedeli alle istituzioni, ma anche di strumentazioni sofisticate, di crescente specializzazione professionale, di modelli organizzativi moderni e manageriali. La creazione di un'articolazione periferica della DIA può essere considerata un passo determinante nell'evoluzione dell'assetto Pagina 222 strutturale dell'organismo, in ragione della necessità di costituire dei punti di appoggio per le investigazioni e soprattutto di assicurare una costante presenza in quelle zone particolarmente sensibili al fenomeno mafioso. L'esigenza di una bilanciata distinzione organizzativa e metodologica che, nell'ambito dello stesso centro, differenzi il momento dell'informazione dal momento operativo e la contestuale necessità di evitare schemi organizzativi rigidamente intesi hanno indotto a configurare un assetto dei centri basato su tre distinte aree di competenza relative alle indagini preventive, a quelle giudiziarie, nonché alle problematiche di carattere tecnico-logistico, organizzativo ed amministrativo. La caratteristica fondamentale delle articolazioni periferiche consiste nel fatto che, pur essendo organismi localizzati territorialmente, non è stato loro attribuito un carattere di territorialità, in quanto sin dal momento iniziale si è inteso improntarli a criteri di flessibilità di impiego e di duttilità di intervento. Da ciò consegue che non possono essere considerati servizi di polizia giudiziaria ai sensi del codice di procedura penale. I centri operativi, per quanto concerne l'attività investigativa, fanno riferimento direttamente al reparto investigazioni giudiziarie, che ne coordina l'impiego nel quadro delle direttive emanate dal procuratore nazionale antimafia, ma rispondono altresì delle attività svolte e dell'utilizzo delle risorse, nei diversificati settori di competenza, agli altri reparti, al gabinetto e agli uffici centrali della direzione. La struttura periferica della DIA prevede oggi dodici centri operativi nelle sedi di Torino, Padova, Genova, Milano, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Catania e Caltanissetta e sei sezioni distaccate nelle sedi di Agrigento, Trapani, Catanzaro, Lecce, Salerno e Trieste. E' allo studio l'ipotesi di procedere, in prospettiva, all'apertura di un centro operativo nell'ambito di ciascun distretto di corte d'appello, anche al fine di raccordare in modo ancor più efficace l'azione della DIA con quella dei magistrati addetti alle direzioni distrettuali antimafia. Per quanto riguarda la dotazione di personale, all'iniziale assegnazione di personale direttivo si è provveduto attraverso un concorso unico nazionale per titoli. Inoltre, con decreto interministeriale del 29 dicembre 1992, si è stabilita, dando formale attuazione a specifica norma, l'assegnazione alla DIA di un contingente di personale dei servizi centrali ed interprovinciali, nella misura di 4 funzionari o ufficiali, di 58 sottufficiali e 18 graduati e militari con qualifiche corrispondenti, per complessive 80 unità per ciascuna forza di polizia. Lo scioglimento anticipato dell'ufficio dell'alto commissario ha determinato poi il passaggio ope legis alla DIA del personale in servizio presso quell'ufficio alla data del 31 dicembre 1992. L'attuale dotazione organica, determinata con decreto ministeriale del 15 aprile 1994, è di circa 1.400 unità, in gran parte già assegnate dalle amministrazioni di appartenenza. In particolare, risultano in servizio alla DIA circa 250 funzionari ed ufficiali e poco meno di 1.000 unità di personale di polizia appartenenti alle qualifiche intermedie ed esecutive. Le restanti unità sono rappresentate dal personale dei ruoli tecnico-scientifici della polizia di Stato e dei ruoli dell'amministrazione civile dell'interno. Sono state previste specifiche dotazioni organiche per ciascuna forza di polizia, articolate in 4 fasce (dirigenziali, direttive, intermedie ed esecutive), in modo da assicurare un'effettiva presenza paritaria alle 3 principali componenti dell'organismo investigativo. Una funzione importante - soprattutto in seguito al riconoscimento dell'autonomia amministrativa - viene svolta anche dal personale dell'amministrazione civile dell'interno, destinato alla gestione tecnico-logistica ed alle attività di natura contabile ed amministrativa, e da quello della polizia di Stato appartenente ai ruoli tecnico-scientifici, cui spetta il compito di svolgere delicate funzioni di supporto alle attività investigative, assicurando un elevato apporto di competenza e specializzazione professionale. Si pensi alle indagini balistiche, alle intercettazioni Pagina 223 telefoniche ed ambientali, al supporto informatico e via dicendo. Si sta valutando l'opportunità di proporre un adeguamento della forza organica, nel duplice intento di rafforzare le articolazioni periferiche e di allargare la fascia del personale esecutivo. Gran parte dei centri operativi occupano ormai da tempo sedi che possono essere definite stabili. E' tuttavia in corso un ulteriore ed intenso sforzo volto ad acquisire nuove sedi e rendere ancora più funzionali e sicure quelle esistenti. E' stato avviato anche un complessivo programma di potenziamento delle dotazioni, che prevede, fra l'altro, l'acquisizione di automezzi e di moderni sistemi di telecomunicazione. Passando all'esame di un altro argomento posto all'ordine del giorno della presente audizione, che fa riferimento all'attualità dei sistemi di analisi delle fenomenologie criminali mafiose, mi preme evidenziare che il reparto investigazioni preventive costituisce l'unico ufficio nel panorama delle istituzioni della sicurezza che sia preposto in via esclusiva all'analisi ed alla riflessione sistematica sull'andamento della criminalità organizzata di tipo mafioso. Si tratta di uno degli elementi più innovativi del progetto DIA e costituisce un'importante applicazione del principio della specializzazione funzionale che ne ha ispirato la creazione. La politica di contrasto avviata negli ultimi due anni, infatti, si è mossa nella direzione di una sempre maggiore specializzazione delle attività investigative e di intelligence antimafia, distinguendole nettamente sia da quelle caratteristiche di organi polifunzionali, che intervengono nella repressione e prevenzione di tutti i reati previsti dal codice penale, sia da quelle proprie dei servizi di informazione e di sicurezza. Il sistema di intelligence, così come è stato recentemente strutturato, si sviluppa in diverse fasi. La prima consiste nell'individuazione delle tematiche da approfondire e cioè dei raggruppamenti criminali, delle attività illecite, dei contesti socio-territoriali, degli eventi delittuosi ai quali dedicare un'indagine dettagliata e mirata. Una volta individuati gli obiettivi da raggiungere, inizia la fase di raccolta concreta delle informazioni: in parte esse vengono estratte dalle fonti investigativo-giudiziarie già disponibili, in parte sono acquisite tramite l'attivazione delle ramificazioni periferiche della DIA o sopralluoghi diretti del personale del reparto. La terza fase consiste nella selezione, nell'analisi e nel collegamento delle informazioni raccolte al fine di identificare le articolazioni, le dimensioni economiche, le risorse di un soggetto o di un mercato illecito ed elaborare ipotesi sull'andamento futuro della fattispecie criminale in esame. La quarta ed ultima fase, infine, comporta l'utilizzazione concreta delle informazioni in funzione dell'adozione di un provvedimento di natura preventiva da parte della divisione a ciò preposta o dell'attivazione di un'investigazione giudiziaria da parte del II reparto e dei centri periferici. L'attività di analisi, tuttavia, non esaurisce il suo compito in ambiti meramente conoscitivi in quanto ha il precipuo scopo di monitorare costantemente l'evoluzione del fenomeno mafioso, al fine di prevederne e di prevenirne i possibili sviluppi, individuando e suggerendo agli investigatori gli obiettivi su cui concentrare la propria iniziativa. L'attività di intelligence condotta ha una valenza tattica ed una valenza strategica. La prima si riferisce ad una specifica attività criminale ed è finalizzata a fornire supporti conoscitivi, ad esempio, per avviare immediate indagini di polizia giudiziaria, per elaborare proposte di misure di prevenzione personali e patrimoniali o per proporre l'applicazione del soggiorno di custodia cautelare (articolo 25-quater della legge n. 356 del 1992). Alla dimensione tattica dell'intelligence afferisce anche il lavoro dell'attività di analisi cosiddetta antiriciclaggio, che gestisce i poteri di accesso e di accertamento, presso istituti bancari e finanziari pubblici e privati, del direttore della DIA. Pagina 224 L'attività di intelligence, invece, acquista una valenza strategica quando tende essenzialmente a formare un quadro complessivo di conoscenza del fenomeno criminale e delle sue probabili linee evolutive. Lo scopo non è tanto di attivare nell'immediato un'indagine quanto di offrire agli investigatori un quadro di riferimento complessivo in modo che questi ultimi possano meglio orientare e programmare le loro attività operative. L'intelligence antimafia, sia nella sua dimensione tattica che strategica, è diretta a stimolare un'azione di polizia giudiziaria immediata o futura ed è quindi, per sua natura, "empirica", costretta da vincoli cogenti di concretezza e di fondatezza nei fatti e nelle prove, a differenza dell'intelligence dei servizi di sicurezza che ha un'impostazione prevalentemente generale o generica poiché volta all'individuazione di fattori di pericolosità all'interno o all'esterno della nazione, da portare all'attenzione dei responsabili politici, prevedendo solo raramente uno sbocco di tipo operativo. Non è certo possibile in questa sede procedere nel dettaglio alla disamina del lavoro sviluppato dagli analisti della DIA in questi ultimi due anni: tutti gli elaborati prodotti, le cui sintesi sono contenute nelle relazioni semestrali, sono naturalmente a disposizione della Commissione parlamentare antimafia e la DIA è pronta a sviluppare, in uno spirito di massima e doverosa collaborazione, eventuali approfondimenti che dovessero essere ritenuti necessari ai fini dell'espletamento dei propri compiti istituzionali. Ritengo, tuttavia, particolarmente interessante focalizzare l'attenzione su alcuni progetti di cooperazione internazionale avviati dalla DIA: il primo è concepito nell'ottica di svolgere un'adeguata azione di intelligence bilaterale con l'FBI statunitense ed il secondo, attuato con la collaborazione dell'Ufficio federale criminale tedesco (BKA), è finalizzato a raccogliere una vasta rete di informazioni sugli italiani appartenenti ad organizzazioni criminali mafiose che hanno riferimenti in Germania. Il progetto con gli Stati Uniti è diretto a realizzare un interscambio informativo sulle maggiori organizzazioni mafiose, in particolare su Cosa nostra, con più specifico riferimento a soggetti affiliati o comunque collegati alle "famiglie" italiane trasferitesi negli Stati Uniti per sottrarsi alle indagini ed alla cattura o per rinsaldare legami con la criminalità americana. La DIA e l'FBI hanno costituito uno stabile gruppo di lavoro, in cui i titolari dei rispettivi uffici informatici hanno creato, per la prima volta, collegamenti diretti. Un secondo progetto in fase di avanzata realizzazione col BKA tedesco dovrà parallelamente soddisfare, oltre alle già citate finalità operative, esigenze di natura strategica, consentendo la valutazione e la comprensione del fenomeno di infiltrazione in Germania di organizzazioni di stampo mafioso, al fine di predisporre un'adeguata attività di prevenzione generale e di contrasto. Tale progetto è stato l'antesignano di un nuovo modo di intendere la lotta alla criminalità mafiosa, vista non semplicemente come attività di indagine scaturente dall'accadimento specifico, ma come pianificazione di una più ampia strategia di contrasto, che abbia riguardo alle ramificazioni internazionali del fenomeno mafioso, nonché al flusso di uomini e traffici illeciti tra le località di provenienza ed i territori esteri eletti quali scenari di azione. E' stato infine recentemente perfezionato un accordo con l'Agenzia federale statunitense dell'Immigration and naturalization service per dar vita ad un ulteriore progetto, che si prefigge di realizzare un monitoraggio, il più ampio possibile, sugli italiani che si sono resi responsabili di reati contro la legge sull'immigrazione negli Stati Uniti, al fine di verificare l'eventuale presenza, fra essi, di persone denunciate, condannate e ricercate in Italia per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso. Va detto, in conclusione, che nel contrasto al riciclaggio di denaro sporco ed al diffuso fenomeno dell'infiltrazione mafiosa Pagina 225 nell'economia, la DIA ha intrapreso verifiche complessive tendenti a conoscere i movimenti patrimoniali e immobiliari intervenuti negli ultimi anni, soprattutto in alcuni grandi centri, con particolare riferimento all'attività di appropriazione di esercizi commerciali da parte della malavita organizzata, e una penetrante attività investigativa atta all'individuazione dei flussi finanziari illeciti e delle modalità di reinvestimento dei capitali riciclati in attività finanziarie. Nella sfera più direttamente attinente alle attività di polizia giudiziaria, la DIA ha il compito di effettuare indagini "... relative esclusivamente a delitti di associazione di tipo mafioso o comunque ricollegabili all'associazione medesima". La norma dunque non conferisce all'Ufficio una competenza esclusiva sulla materia, ma si limita ad individuare una categoria di delitti, invero estremamente ampia e non predeterminabile, nel cui ambito è legittimato l'intervento dell'organismo investigativo. Il legislatore, a differenza di quanto sancito per le investigazioni preventive, non ha ritenuto di dover specificare in cosa consistessero le investigazioni giudiziarie, essendo evidente che le stesse coincidono con le indagini di polizia giudiziaria disciplinate dal codice di procedura penale. Si tratta quindi di un'attività diretta di indagine che viene attribuita alla DIA, il cui campo d'azione è delimitato ratione materiae. E' evidente che tali investigazioni, siano esse di iniziativa o delegate dall'autorità giudiziaria, si devono svolgere sotto la direzione delle procure distrettuali, risolvendosi in atti procedimentali destinati a confluire nella fase processuale vera e propria. Sino ad oggi l'intesa ed il coordinamento con tali organi sono stati completi; i rapporti si sono sviluppati in un proficuo quadro lavorativo, che ha permesso di conseguire positivi risultati. Purtroppo non sempre è stato possibile, per ragioni riconducibili alla limitatezza della rete di uffici territoriali e delle risorse di uomini e di mezzi di cui la DIA dispone, accedere a tutte le richieste avanzate dalle direzioni distrettuali antimafia e sviluppare appieno ed in modo conseguenziale tutte le possibilità che possono scaturire da una ancor più compiuta azione sinergica tra i due uffici. Parimenti positive e caratterizzate da una reciproca fattiva collaborazione sono state le relazioni con il procuratore nazionale antimafia, che si sono sviluppate nella cornice delineata dal legislatore. Nel quadro di una più ampia cooperazione istituzionale, la Direzione non ha mancato di fornire il suo apporto anche sotto il profilo informativo e di analisi, ogni qual volta lo stesso sia stato richiesto dai magistrati della Direzione nazionale antimafia. Occorre tuttavia sottolineare che la DIA, in cui si concentrano attività di polizia di sicurezza e di polizia giudiziaria, si pone sotto il profilo istituzionale come momento talora propedeutico talora ausiliario rispetto agli ambiti di intervento dell'autorità giudiziaria, dipendendo, per quanto riguarda la definizione delle strategie di prevenzione anticrimine, dal ministro dell'interno, che esercita tale funzione di indirizzo attraverso il Consiglio generale per la lotta alla delinquenza mafiosa. La definizione normativa dei compiti istituzionali della DIA non ha determinato soltanto inevitabili riflessi sull'assetto ordinamentale dell'Ufficio, ma soprattutto ha consentito di avviare la sperimentazione di nuovi e più avanzati metodi di lavoro, fondati sull'interconnessione tra le investigazioni giudiziarie e quelle preventive. L'introduzione di nuove e peculiari metodologie operative, imperniate sulla continua interazione tra il momento dell'acquisizione conoscitiva e quello più strettamente investigativo, ha favorito, infatti, lo sviluppo di un'azione di contrasto sistematica ed efficace ed ha trovato ampia e positiva applicazione anche in organismi esteri analoghi. La sintesi della fase conoscitiva rappresenta, come detto, il punto di partenza per le attività investigative, che, a loro volta, si concentrano soprattutto sui soggetti e sul contesto del reato associativo, puntando Pagina 226 ad individuare le responsabilità, i ruoli, le attitudini degli affiliati e la valenza criminale delle associazioni, per giungere solo successivamente alla ricostruzione dei singoli fatti delittuosi ed alla individuazione dei responsabili. Nel quadro di una più generale pianificazione strategica delle attività, l'azione di contrasto si sviluppa contro obiettivi preventivamente individuati, che vengono aggrediti nel loro insieme, procedendo poi all'immediata verifica della congruità delle iniziative assunte rispetto agli obiettivi prefissati, in un processo di costante e fecondo confronto fra le elaborazioni degli analisti e le risultanze investigative. Per tale motivo la DIA si è dotata di meccanismi interni capaci di ricondurre le singole vicende delittuose in ambiti valutativi più generali, ove si tende a far convergere, in tempi operativamente utili, tutte le informazioni sulle caratteristiche strutturali e funzionali del fenomeno criminale oggetto di indagine. Questo compito viene svolto dal reparto investigazioni giudiziarie che, come struttura centralizzata di programmazione e di verifica delle attività investigative, si avvale dei centri operativi. L'azione repressiva, che è stata indirizzata sino ad oggi prevalentemente contro le articolazioni "militari" delle cosche, deve compiere (e su questo punto concentrerò in modo particolare la mia attenzione)... LUIGI RAMPONI. Terroristiche, non militari. GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. E' un termine - l'ho riportato tra virgolette - molto usato in questo specifico contesto. Giustamente il generale Ramponi, come me, non intende associare il nobile termine "militare" all'ala cosiddetta militarista della mafia! LUIGI RAMPONI. Diciamo "terroristica"; questi non fanno i militari, fanno i terroristi! GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. Si vuole soltanto esprimere un concetto di potenza ... SERGIO MATTARELLA. Nel senso di armata! ALESSANDRA BONSANTI. Ormai fa parte del linguaggio! GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. L'azione repressiva deve dunque compiere un salto di qualità per tentare di individuare le aree di collusione e di contiguità dei sodalizi, colpendo i referenti delle cosche che ancora si annidano nel mondo delle professioni, nelle amministrazioni pubbliche e nel circuito bancario e finanziario. FERDINANDO IMPOSIMATO. E la politica? GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. E' tutta politica, questa! Lei pensa forse che il mondo delle professioni, delle amministrazioni pubbliche, il circuito bancario e finanziario non sia politica? La politica dà l'orientamento a queste istituzioni! Per rispetto verso questo consesso non mi sono permesso di parlare di politica! LUIGI RAMPONI. Nulla vieta di considerare anche la politica! GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. Ne parlerò più avanti. In tale ottica è necessario individuare le disponibilità finanziarie e le attività economiche delle cosche, la cui rilevanza è testimoniata dai numerosi canali di riciclaggio accertati e dai rilevanti investimenti registrati in taluni settori dell'economia, ed allargare la base territoriale delle indagini, indirizzandole verso quelle aree del centro-nord ove le organizzazioni mafiose hanno ormai reinvestito gran parte delle loro ricchezze. Una più incisiva azione di contrasto alle formazioni mafiose potrà essere realizzata, da un lato, confiscando beni illecitamente acquisiti e sottraendo cespiti patrimoniali indispensabili per la sopravvivenza delle organizzazioni stesse e, dall'altro, attraverso un'intensa attività preventiva che analizzi i flussi finanziari, anche Pagina 227 prescindendo dalla commissione di specifiche ipotesi di reato. Proprio in questa prospettiva, sono state recentemente predisposte - come già detto in altra parte della presente relazione - nuove articolazioni nell'ambito del reparto investigazioni preventive e del reparto investigazioni giudiziarie, cui affidare gli specifici compiti di individuare i flussi illeciti di ricchezza e di aggredire in modo sistematico e pianificato i patrimoni dei mafiosi, utilizzando tutti gli strumenti normativi esistenti ed in particolare i poteri attribuiti al direttore della DIA, quale l'accesso presso banche, istituti di credito ed intermediari finanziari o l'effettuazione di operazioni sotto copertura anti-riciclaggio. Nell'ambito delle investigazioni giudiziarie, l'attività della DIA ha consentito di raggiungere, specie nell'ultimo periodo, notevoli successi nella lotta al crimine organizzato, con il parziale conseguimento di alcuni degli obiettivi strategici individuati dal Consiglio generale per la lotta al crimine organizzato. Nel 1993 sono state coordinate 38 operazioni, a cui sono da aggiungere le 26 concluse nei primi otto mesi del corrente anno. Tali iniziative - portate a termine dopo complesse indagini svoltesi precipuamente in Sicilia, Calabria, Campania, Puglia, Lombardia, Lazio, Toscana e Liguria, ma coinvolgenti anche altre regioni - hanno consentito l'emissione, sempre nel decorso anno, di 1.444 provvedimenti restrittivi a carico di altrettanti affiliati ad organizzazioni di tipo mafioso. A questi provvedimenti se ne sono aggiunti altri 916 adottati dalla competenti autorità giudiziarie nei primi otto mesi del 1994. Al conseguimento di questi risultati ha contribuito anche l'apporto fornito dai collaboratori di giustizia affidati alla DIA. In proposito va rilevato che lo stato di detenzione extracarceraria di alcuni di questi presso strutture della direzione ha determinato un cospicuo assorbimento di personale e di mezzi, riproponendo in modo pressante l'esigenza di esonerare il personale della DIA dalla tutela e dall'assistenza dei collaboratori e di scindere in modo ancor più netto i compiti di protezione da quelli più propriamente investigativi. Con questo ribadisco un concetto maturato negli anni e non solo una mia opinione. Va comunque evidenziato che la DIA, pur non trascurando l'essenziale contributo offerto dai predetti collaboratori, non ha omesso di attivare, attraverso un ponderato utilizzo di fonti confidenziali ed indagini di iniziativa, complesse inchieste nei confronti della criminalità organizzata. Il programma di sviluppo delle iniziative in itinere si conferma in crescita, come testimonia il costante incremento delle operazioni in corso: attualmente 106, contro le 85 del primo semestre 1993 e le 28 del dicembre 1992. Nell'ambito dell'attività investigativa sviluppata nei confronti delle organizzazioni mafiose siciliane, che ha portato complessivamente all'emissione di 519 provvedimenti nel corso di 23 operazioni, la DIA, pur senza tralasciare la pianificazione e l'attivazione di operazioni contro tutta la grande criminalità organizzata, ha posto specifica - e, per certi versi, necessitata - attenzione alle cosche di Cosa nostra che avevano sconvolto l'opinione pubblica con le efferate stragi perpetrate a Palermo in danno dei giudici Falcone e Borsellino e con i successivi attentati dell'anno 1993 di Roma, Milano e Firenze. Grazie ad un intenso lavoro investigativo al quale gli investigatori della DIA hanno offerto un contributo decisivo, è stato possibile, già negli ultimi mesi del 1993, conseguire i primi importanti esiti investigativi, in particolar modo per quanto concerne le stragi di Capaci e di via D'Amelio. Tali indagini hanno permesso di ricostruire nel dettaglio le dinamiche delle varie fasi degli attentati e di individuare gli assassini dei giudici, i compartecipi, nonché i mandanti di entrambi i delitti. Si è avuta così conferma che gli stessi erano stati consumati per espressa decisione dei vertici di Cosa nostra ed in particolare per volere del suo capo, Salvatore Riina. La successiva attività investigativa, confermando l'unicità del disegno criminoso e Pagina 228 la sua connotazione mafiosa, ha permesso di individuare anche i responsabili degli attentati di Roma, nei cui confronti la locale procura della Repubblica ha richiesto numerosi ordini di custodia cautelare. Nel complesso può affermarsi che è emerso un quadro dai contorni definiti in ordine alle modalità attuative degli attentati, alla responsabilità di esecutori e mandanti ed alle finalità che gli stessi si ripromettevano di perseguire. Anche se si tratta di indagini ancora in corso di svolgimento, suscettibili di ulteriori sviluppi, può sin d'ora affermarsi che grazie ad uno straordinario e concorde impegno di tutti gli organi dello Stato è stato possibile respingere la violente offensiva delle cosche criminali. Attualmente, dopo una stagione di aperta conflittualità con le istituzioni, Cosa nostra siciliana, sicuramente duramente colpita ed in seria difficoltà, sembra aver iniziato a perseguire, anche per necessità, una diversa strategia che, in luogo degli strumenti della violenza, del terrore e della sfida aperta allo Stato, preferisce avvalersi di quelli più insidiosi dell'intimidazione locale e dell'infiltrazione dei falsi pentiti, nel tentativo di riguadagnare le posizioni di potere perdute. Non può comunque escludersi che tale disegno criminale, ove non raggiunga gli obiettivi prefissati, possa comportare nuovamente il ricorso ad azioni apertamente terroristiche, finalizzate all'eliminazione di soggetti che costituiscono a vario titolo simboli dell'impegno antimafia. Se tale lavoro investigativo è stato quello che ha suscitato il più ampio plauso da parte dell'opinione pubblica, le iniziative che hanno positivamente sperimentato la nuova metodologia operativa della DIA sono state molte altre. Per tutte, valga citare l'operazione, dal grande impatto psicologico, che ha consentito di assicurare alla giustizia gli autori dell'omicidio dell'imprenditore Libero Grassi, assurto a simbolo del mondo imprenditoriale siciliano che vuole respingere le intimidazioni mafiose. L'attenzione riservata dagli organi di informazione e dall'opinione pubblica alla mafia siciliana, le cui vicende hanno ormai una risonanza internazionale, non deve indurre a sottovalutare il peso e l'importanza delle altre organizzazioni mafiose, prima fra tutte la 'ndrangheta calabrese. Le inchieste svolte dalla direzione nei suoi confronti sono state particolarmente penetranti ed hanno portato, in poco più di due anni, alla conclusione di 15 operazioni, con conseguente emissione di oltre 800 ordinanze di custodia cautelare. Le stesse hanno permesso di acquisire piena consapevolezza delle potenzialità criminali delle famiglie mafiose sviluppatesi in provincia di Reggio Calabria. Nel panorama delle numerose iniziative investigative portate a termine contro la 'ndrangheta, ritengo particolarmente rilevante quella denominata "Siderno group", che ha reso possibile accertare l'esistenza di una vasta organizzazione criminale, composta da emigrati calabresi provenienti da Siderno e dai paesi limitrofi, con articolazioni in Canada, Stati Uniti ed Australia, che ha movimentato per anni ingenti carichi di droga in almeno tre continenti. L'indagine è proseguita con la costituzione a Toronto di un gruppo di lavoro permanente, composto da funzionari della DIA e degli altri organismi esteri interessati, in modo tale da garantire uno sviluppo concordato delle ulteriori investigazioni in varie parti del mondo, con un costante scambio di notizie idoneo a non disperdere alcuna risorsa informativa. Tra le iniziative più recenti, risalenti allo scorso mese di agosto, va rammentato il sequestro preventivo di oltre 40 miliardi chiesto ed ottenuto dalla DIA nei confronti di beni riferibili alla pericolosa cosca dei Labate di Reggio Calabria. Nelle indagini si è riuscito ad evidenziare come le imprese gestite dal sodalizio criminale non costituissero soltanto un complesso criminoso destinato al riciclaggio, ma anche uno strumento essenziale per la realizzazione delle condotte criminali. L'intenso lavoro investigativo svolto nell'attività di contrasto alle organizzazioni camorristiche dal 1992 ad oggi ha consentito di portare a termine 10 Pagina 229 operazioni e di dare esecuzione a 249 ordini di custodia cautelare. Le investigazioni, sia quelle già concluse che quelle in avanzata fase di gestione, hanno dimostrato come la camorra, apparentemente meno sanguinaria delle similari organizzazioni dell'Italia meridionale, tenda innanzitutto ad aprirsi notevoli varchi all'interno dell'amministrazione pubblica e nella gestione dei pubblici appalti. Particolare rilievo ha assunto la collaborazione fornita da personaggi in precedenza inseriti ai vertici della camorra, le cui dichiarazioni, debitamente riscontrate, hanno permesso alla magistratura di avviare procedimenti penali a carico di esponenti politici, di magistrati ed anche di appartenenti alle forze dell'ordine. Il crescente sviluppo dell'economia verificatosi in Puglia negli ultimi anni è coinciso con una trasformazione delle associazioni criminali, che hanno velocemente adeguato la propria struttura, legata prevalentemente ad una economia rurale, ad imitazione delle più note ed articolate organizzazioni mafiose dell'Italia meridionale, stringendo con le stesse veri e propri accordi o addirittura operando congiuntamente nel perseguimento di comuni disegni criminosi. Nel quadro di un'ampia strategia anticrimine dal 1992 ad oggi, la DIA ha rivolto la sua attenzione a tale organizzazione avviando una intensa attività investigativa che ha consentito di concludere 14 operazioni, con l'esecuzione di 760 provvedimenti restrittivi nei confronti di altrettanti affiliati a detta organizzazione criminale. Non sono stati trascurati - mi preme sottolinearlo - i sodalizi criminali di natura mafiosa presenti anche nelle regioni centrali e settentrionali. Al riguardo sono state sviluppate numerose iniziative che hanno portato, da ultimo, alla cattura di alcuni pericolosi latitanti, in possesso di un rilevante arsenale di armi, evasi in occasione della nota fuga dal carcere di Padova. Sin dalla sua nascita, la DIA, attraverso il reparto all'uopo delegato, ha dato il massimo impulso all'attività di indagine in campo internazionale, nel fondato convincimento che la cooperazione tra gli organismi investigativi dei vari paesi rappresenti il principale strumento per combattere l'espansione della criminalità organizzata di stampo mafioso, le cui illecite attività non conoscono frontiere. Le frontiere le conoscono soltanto l'autorità giudiziaria e la polizia. A tal fine la DIA da una parte si è preoccupata di rafforzare ed incrementare ulteriormente i rapporti già in atto con le agenzie investigative estere, dall'altra ha avviato contatti bilaterali e plurilaterali per ampliare gli orizzonti info-operativi. Questa strategia si è dimostrata vincente, come dimostrano i numerosi e lusinghieri risultati sinora conseguiti, sia sotto l'aspetto squisitamente operativo che sotto quello della pianificazione investigativa ad ampio respiro, consolidando proficui rapporti di reciproca collaborazione con sempre più numerosi omologhi organismi esteri, sempre nel rigoroso rispetto delle proprie competenze istituzionali. Proficui contatti, che hanno favorito lo scambio di reciproche esperienze, sono stati tenuti con l' FBI (Federal Bureau of Investigation) statunitense, l' NCIS (National Criminal Intelligence Service) inglese, il BKA (BundesKriminalAmt) tedesco, il CRI (Centrale Recherche Informatienst) olandese, la Polizia federale australiana, l'EDOK (Ufficio specializzato austriaco per la lotta alla criminalità organizzata) ed il TRACFIN (ufficio specializzato francese, competente in materia di riciclaggio). Sono ormai numerose le indagini già concluse nelle quali ha assunto un valore determinante la collaborazione internazionale tra agenzie investigative. Rimanendo al solo caso del FBI, basti citare la collaborazione fornita dagli americani nelle indagini sulle stragi di Capaci e di via D'Amelio, l'adesione al gruppo di lavoro sul "Siderno group" e la collaborazione nelle indagini connesse al processo svoltosi negli Stati Uniti contro John Gambino. Sono stati, inoltre, incrementati rapporti di cooperazione info-operativa con gli organismi investigativi esteri, concentrando l'attenzione sull'aspetto più Pagina 230 peculiare della DIA; quello delle indagini preventive internazionali. Il tema dell'espansione del fenomeno concernente la criminalità organizzata si è arricchito, di recente, di un nuovo capitolo, relativo ai paesi dell'est europeo. Per fare fronte al sempre più preoccupante fenomeno dell'interscambio criminoso tra le cosche italiane e quelle dell'Europa orientale, si sono moltiplicati gli incontri con gli organismi investigativi dei paesi direttamente interessati. In tale contesto va inquadrato l'incontro quadrilaterale tra DIA, BKA, FBI e HVOK del ministero dell'interno russo, svoltosi in Germania, a Wiesbaden, dal 19 al 22 luglio scorso, al quale ho personalmente partecipato. I lavori, ai quali ha anche presenziato, su sua richiesta, una delegazione della polizia federale canadese, sono serviti tra l'altro per mettere a confronto le esperienze investigative dei paesi partecipanti e fare il punto sulla lotta alla criminalità organizzata nei rispettivi territori. Inoltre, sono stati approfonditi i temi relativi al traffico delle sostanze stupefacenti, al riciclaggio ed ai collegamenti esistenti tra le organizzazioni criminali dell'Europa occidentale e quelle dei paesi dell'est. E' emerso, tra l'altro, che organizzazioni criminali russe, già molto attive, specie nelle attività di riciclaggio, in Germania, in Canada e nei paesi del Benelux, sarebbero in procinto di espandersi su nuovi territori dell'Europa occidentale. L'incontro ha consentito di far emergere l'attualità e pericolosità del sistema mafioso ed ha rafforzato il convincimento della necessità di un effettivo e concreto accordo info-operativo, consacrato nella sottoscrizione di una comune dichiarazione di intenti. Tale atto, superata la fase, ormai già realizzata, della attivazione di canali diretti di comunicazione tra Mosca, Washington, Wiesbaden e Roma, ha trovato il suo momento qualificante nella costituzione di un gruppo di intelligence con il compito di raccogliere, elaborare ed analizzare sistematicamente le informazioni disponibili nei paesi partecipanti in ordine ai gruppi criminali attivi in campo internazionale, con lo scopo precipuo di condurre indagini coordinate. In sede di riunione quadrangolare, la DIA ha potuto far valere, nonostante la sua giovane età, la propria specifica esperienza, maturata attraverso originali iniziative di analisi ed investigazioni preventive, inaugurate già da tempo con la collaborazione degli organismi investigativi tedeschi e statunitensi, di cui ho già parlato. Ho terminato la mia esposizione e mi scuso se mi sono dilungato nella prospettazione delle tematiche di interesse. Ho giudicato, tuttavia, doveroso fornire alle signorie loro un quadro informativo il più possibile completo ed aggiornato sulla DIA, sui risultati conseguiti, sull'attualità del suo sistema di intelligence e sulle sue prospettive, cercando, in particolare, di evidenziare le linee programmatiche che caratterizzeranno il mio mandato, nel segno di una armonica e convinta continuità con gli indirizzi strategici perseguiti dai precedenti direttori. PRESIDENTE. Ringrazio il generale Verdicchio. Passiamo alle domande. FERDINANDO IMPOSIMATO. Innanzitutto ringrazio il dottor De Gennaro ed il generale Verdicchio, i quali hanno svolto una relazione molto puntuale, anche se purtroppo il tema del rapporto tra mafia e politica non è stato approfondito; comunque questo formerà oggetto forse di ulteriori relazioni. Mi preme formulare una domanda in ordine agli attentati, ai quali hanno già fatto riferimento il ministro Maroni in precedenza ed il dottor De Gennaro oggi, perché è un tema che viene sempre affrontato con molta genericità. Credo che bisognerebbe cercare di fornire alla Commissione elementi più precisi per quanto riguarda sia le persone che hanno organizzato questi attentati, sia gli obiettivi degli attentati, sia il modo in cui questi attentati sono stati sventati. Si tratta di un tema del quale la Commissione non può non essere informata, anche per capire se la preziosa opera di neutralizzazione di fatti di Pagina 231 estrema gravità sia da attribuire alla collaborazione dei cosiddetti pentiti oppure ad altre attività investigative. Desidererei cioè che da parte dei due responsabili che abbiamo sentito venisse una risposta un po' più esauriente (magari con la segretezza che il caso richiede) sul problema degli attentati. Vorrei inoltre cercare di sollecitare delle risposte riguardanti il coinvolgimento di organi istituzionali nei rapporti tra mafia e politica (ne ha fatto cenno il generale Verdicchio, il nuovo capo della DIA, al quale formuliamo i migliori auguri) sia pure nel rispetto della segretezza delle indagini. Però non è possibile che molto spesso i giornali parlino di cose di cui la Commissione antimafia deve venire a conoscenza soltanto in un secondo momento. Fermo restando, quindi, l'obbligo per i componenti la Commissione antimafia di mantenere il riserbo su tutte le notizie di cui siamo informati, anche su questi rapporti che sono stati accertati dalla DIA sarebbe opportuno avere risposte un po' più esaurienti. GIROLAMO TRIPODI. Abbiamo ascoltato le relazioni del direttore della Criminalpol, dottor De Gennaro, e del direttore della DIA, generale Verdicchio, ed abbiamo acquisito molte informazioni, relative anche al ruolo della Direzione investigativa antimafia. Tutti riconosciamo i risultati che fino a questo momento sono stati raggiunti grazie all'impegno della DIA. Vorremmo sapere quale sia oggi, dopo le operazioni che sono state elencate anche dal generale Verdicchio, la realtà criminale e mafiosa. Noi che veniamo da zone ad alto rischio, come la Calabria, la Sicilia, la Campania, la Puglia, cioè dalle zone maggiormente colpite dalla presenza mafiosa, vorremmo conoscere quale sia oggi la situazione attuale della presenza delle organizzazioni mafiose dopo questi risultati, dopo queste operazioni; è una domanda che abbiamo posto anche ad altri e sulla quale insistiamo. Chiedo se non si evidenzino elementi di preoccupazione in ordine ad una ripresa dell'organizzazione criminale, del controllo del territorio, anche attraverso forme nuove, ma che comunque denotano che la mafia è in ripresa, dopo i colpi che ha subìto anche a seguito del grande impegno della DIA. Questa è la prima domanda. La seconda domanda, collegata a quella precedente, riguarda una situazione di stallo che si sta registrando per quanto concerne la cattura dei latitanti. Non è che la cattura di Riina abbia sconfitto l'esercito di latitanti esistente in ogni regione; vi sono ancora latitanti potenti, sia siciliani, quelli che hanno sostituito la direzione della cupola - se l'hanno sostituita, ancora non lo sappiamo esattamente - dopo la cattura di Riina, sia in altre zone del paese. Vorremmo quindi sapere cosa sia accaduto e perché non si registri lo stesso impegno, la stessa tensione in ordine alla cattura dei latitanti, che poi rappresentano uno dei punti chiave della presenza sul territorio e quindi dell'organizzazione dell'attività criminale e delle stesse cosche. La terza domanda si ricollega al fatto che il generale Verdicchio ha parlato di individuazione di penetrazioni di falsi pentiti nell'ambito dell'azione condotta e dei risultati ottenuti a seguito della collaborazione del pentiti. Vorremmo avere, se possibile, qualche dato più preciso, non solo quelli di cui abbiamo avuto notizia dai giornali e che riguardano ciò che è avvenuto a Napoli; vorremmo sapere qualcosa di più, se il fenomeno è più esteso e come avviene. Chiediamo quale sia, in questa strategia, la peculiarità dell'intervento dei falsi pentiti e quale sia l'obiettivo. Certamente, l'obiettivo è quello di contribuire alla manovra in corso tendente a delegittimare il ruolo dei pentiti e questo strumento che è stato decisivo nella battaglia contro la criminalità organizzata. E' in atto una manovra molto vasta; le vicende che avevano portato alla rimozione, per così dire alla cacciata - non sappiamo se poi è stata realizzata - di due personalità impegnate nella lotta alla criminalità organizzata, come il dottor Pagina 232 Vigna ed il dottor Grasso, dalla commissione centrale sui pentiti... LUIGI RAMPONI. E' già stata smentita. GIROLAMO TRIPODI. E' stata smentita, ma non basta, vogliamo avere maggiori chiarimenti, perché la notizia è stata diffusa. Vorrei conoscere l'opinione del dottor De Gennaro e del generale Verdicchio sui pentiti, se cioè dobbiamo andare avanti su questa strada, respingendo le manovre tendenti a delegittimare l'azione contro la criminalità, oppure se dobbiamo intraprendere nuove iniziative. In quest'ultimo caso, a mio avviso, si realizzerebbe l'obiettivo di quelli che non vogliono più combattere la mafia. Il dottor De Gennaro, dopo il trasferimento dalla DIA, è stato nominato capo della Criminalpol; vorrei sapere come viene realizzato il coordinamento tra la DIA, i ROS dei carabinieri, lo SCO della polizia e il GICO della Guardia di finanza. Il suo ruolo le consente di svolgere anche l'incarico di coordinamento di queste forze autonome? Il generale Verdicchio ha esposto in modo dettagliato il ruolo e la normativa della legge istitutiva della DIA, che abbiamo contribuito ad elaborare e poi ad approvare; mi sembra che essa preveda che la DIA svolga autonomamente attività di investigazione, oltre che su delega dell'autorità giudiziaria. Recentemente, in un incontro a Reggio Calabria, abbiamo ascoltato il vicedirigente della DIA, il quale ha dichiarato che fino a questo momento ha operato soltanto su delega. Vorrei sapere se ciò si verifichi da per tutto e, se così non è, vorrei che mi dicesse dove si riscontrino altri elementi di confusione. Infine vorrei avere maggiori informazioni sull'azione della direzione nazionale rispetto alle sedi periferiche in materia di coordinamento e se vengono impartite disposizioni dettagliate sul modo di operare. TULLIO GRIMALDI. Il generale Verdicchio ha svolto una eccellente parafrasi della legge istitutiva della DIA, senza dubbio utile, ma forse non necessaria in questa sede, visto che essa è stata approvata dal Parlamento. Mi chiedo se, rispetto all'esposizione che lei ha fatto della dislocazione delle forze e dell'articolazione dei vari uffici, non vi sia un contrasto con lo spirito che ha dettato l'approvazione della legge istitutiva della DIA. Sembrerebbe, dal testo della legge, che i compiti di intelligence, cioè di investigazione preventiva, debbano essere i compiti principali ai quali fanno da supporto gli strumenti di investigazione giudiziaria, altrimenti la DIA non sarebbe altro che una superpolizia. A questo proposito le domando se è vero che su 1.400 effettivi della DIA (notizie che ho ricevuto da fonti interne) soltanto 60-70 ufficiali sono utilizzati in attività di intelligence, mentre tutti gli altri svolgono compiti di investigazione giudiziaria, che dovrebbero essere demandati ai normali corpi di polizia. Inoltre vorrei sapere se le risulta che i rapporti fra la DIA e la direzione nazionale antimafia siano pressoché inesistenti; in particolare vorrei sapere quali operazioni siano state svolte su delega della DIA e come siano state utilizzate le attività di investigazione rispetto ad operazioni condotte dalla DNA. Dislocare sul territorio nuclei della DIA in collegamento con le direzioni distrettuali antimafia non fa altro che confondere e sovrapporre le funzioni di investigazione di polizia giudiziaria con quelle di investigazione giudiziaria. Per quanto riguarda la gestione dei pentiti, o collaboratori della giustizia che dir si voglia, vorrei sapere se essa sia demandata alla DIA, peraltro da una disposizione interna, perché non mi risulta che ciò sia previsto in una legge; mi pare che oggi anche il direttore della DIA si sia detto contrario a che la gestione di quei soggetti sia affidata alla DIA, che ha tutt'altri compiti. Viceversa la loro protezione dovrebbe essere attribuita ad altri organi, sotto la direzione dell'autorità giudiziaria che svolge anche le investigazioni sul loro conto. Come abbiamo detto al ministro, e ripetuto più volte, dovremmo attuare una Pagina 233 strategia globale di lotta al crimine in cui la DIA dovrebbe divenire una sorta di cervello investigativo con il compito di redigere una mappa ricognitiva sulla penetrazione delle organizzazioni criminali in tutti i settori della vita del paese. ANTONIO BARGONE. La prima domanda riguarda lo stato attuale della lotta alla mafia. Vorrei ricordare che in questa sede il ministro Maroni ha parlato di una strategia terroristica ed ha anche lanciato un'allarme per il prossimo autunno, che poi in qualche modo, nelle successive audizioni, è stato ridimensionato. Il procuratore nazionale antimafia ha parlato di un calo di tensione nella lotta alla mafia, facendo anche riferimento all'esigenza di una maggiore collegialità da parte delle istituzioni, e del Governo in particolare, nella lotta alla mafia, che non deve essere delegata soltanto al ministro Maroni. Da tutto ciò ho tratto l'impressione che le idee non siano chiare; perciò vorrei sapere dal dottor De Gennaro e dal generale Verdicchio se abbiano elementi, alla luce delle investigazioni e delle iniziative in corso, per affermare che per il prossimo autunno sia probabile un'offensiva della mafia e se essa si accompagni ad un tentativo di ritrovare uno spazio, un'accordo, con il potere politico. PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI RAMPONI ANTONIO BARGONE. Vorrei sapere se questo calo di tensione potrebbe essere interpretato come il segnale che il rapporto sinergico che si è realizzato negli anni precedenti, nel periodo della coabitazione - come ha osservato la precedente Commissione antimafia -, si stia ricostituendo. La seconda domanda riguarda l'organizzazione; il ministro Maroni ha parlato di un progetto per la riorganizzazione del servizio di sicurezza e della possibilità di assegnare un ruolo diverso alla Criminalpol ed alle squadre mobili, facendo chiaro riferimento al decentramento ed alla professionalizzazione. Non mi è chiaro quale dovrebbe essere il ruolo della Criminalpol, se, come dice il ministro, si sta progettando di rilanciarne il ruolo ed il rapporto con la DIA. A proposito di quest'ultima, la relazione parla di una sua primazia; vorrei sapere come si intenda garantirla, perché o la DIA interviene direttamente, oppure, se non viene attuata la disposizione legislativa che prevede la confluenza dei ROS, GICO, SCO e così via, si porrà un problema di coordinamento, affinché la DIA possa svolgere quei compiti istituzionali che la legge stessa prevedeva. Tutto questo mi sembra venga in qualche modo ostacolato da una confusa definizione legislativa dei ruoli di ciascuno, ma anche da alcune situazioni di fatto che si sono create. Ciò mi pare particolarmente grave, soprattutto per quanto riguarda l'azione di contrasto all'economia criminale; su questo versante c'è bisogno di professionalizzazione e di svolgere indagini particolarmente delicate, anche attraverso l'uso di strumenti molto sofisticati. Naturalmente, se manca il coordinamento, ma vi è sovrapposizione tra le varie attività, le conseguenze saranno negative o comunque potrà verificarsi una dispersione del lavoro svolto. Quindi, vorrei sapere come si intende risolvere il problema del coordinamento per quanto concerne il ruolo della DIA in rapporto alla Criminalpol. Infine, dalla relazione risulta che il responsabile generale della DIA, il capo della polizia ed il direttore generale della PS operano su delega del ministro dell'interno. Questa previsione si riferisce al quadro legislativo vigente, però il ministro ha anche detto che la DIA deve dipendere gerarchicamente dalla Criminalpol e svolgere, all'interno di un ruolo diverso e più vasto della Criminalpol stessa, un'attività investigativa. Che significa ciò? Su questo punto le idee sono chiare? Lo chiedo al dottor De Gennaro perché il ministro Maroni ha detto di aver affidato a lui il compito di articolare questo progetto. RAFFAELE BERTONI. Il generale Verdicchio è intervenuto specificamente sul problema dei collaboratori di giustizia; pertanto voglio rivolgere a lui ed al prefetto Pagina 234 De Gennaro una domanda relativa alle dichiarazioni che ieri tutti i giornali attribuivano al sottosegretario per l'interno Marianna Li Calzi. Secondo l'intervistata sarebbe in preparazione un decreto ministeriale con cui, tra l'altro, si subordinerebbe il programma di protezione dei pentiti ad una loro preventiva "dichiarazione d'intenti" circa il complesso delle rivelazioni che i pentiti stessi intendono fare. In questo modo, con una fonte normativa assolutamente impropria, si pongono le premesse per stabilire che i collaboratori di giustizia debbono subito rivelare ciò che sanno, per escludere che notizie rivelate in un secondo momento siano rilevanti processualmente. Questa decisione - non solo a mio avviso - sarebbe estremamente grave. E' parimenti estremamente grave la dichiarazione dell'onorevole Li Calzi, perché si accompagna a messaggi ed interventi di vario tipo, per ora frammentari, spesso equivoci, tuttavia unificati da un disegno unitario diretto a screditare la validità del contributo che i collaboratori della giustizia hanno dato e danno nella lotta contro la mafia. Chiedo allora al dottor De Gennaro e al generale Verdicchio se concordino con un'ipotesi di questo genere, o se invece ritengano che i collaboratori della giustizia, in qualsiasi momento rendano le loro dichiarazioni (come ha detto Siclari), debbano essere valutati con la professionalità necessaria da parte degli inquirenti e degli organi della magistratura e se le loro informazioni possano essere accettate come elementi di prova nei confronti dei mafiosi accusati. Il generale Verdicchio ha fatto esplicito riferimento alla camorra. A tale proposito, rivolgo una domanda molto semplice, alla quale però vorrei avere una risposta altrettanto semplice: perché la polizia non ha mai localizzato un commissariato di polizia a Napoli, nei Quartieri, dove fino a poco tempo fa dominava il clan Mariano e dove ora (lasciatemelo dire perché qualcosa in proposito ne so anch'io) dominano indisturbati gli eredi di quel clan? Perché non si impone al prefetto Improta e al questore Lo Masso di prevedere un commissariato di polizia nei Quartieri? Spero che i nostri due interlocutori sappiano cosa sono i Quartieri di Napoli. Certamente lo sanno, ma non come me! Aggiungo che in ordine al primo punto su cui mi sono soffermato, invierò, insieme ad altri colleghi, una lettera alla presidenza perché assuma le opportune iniziative al fine di conoscere l'opinione del ministro Maroni a proposito delle dichiarazioni del suo sottosegretario. Naturalmente l'ufficio di presidenza ne dovrà informare la Commissione ed io mi pregerò di comunicare all'esterno quale sia stata la decisione assunta; non credo risulti da alcuna norma regolamentare che questo organo sia tenuto al rispetto del segreto. Se vi è poi una promessa che la democrazia non ha mantenuto è proprio quella del rispetto del principio del "pubblico in pubblico". Francamente mi sembra eccessivo che si predichi qui la regola in base alla quale si dovrebbe mantenere segreta persino l'attività di un organo della Commissione. PRESIDENTE. Ma su questo dobbiamo essere tutti d'accordo, non c'è bisogno di istituire un ufficio, un comitato... RAFFAELE BERTONI. Ognuno può riferire quello che ha ascoltato. Se la Commissione decide di rendere segreto un fatto, una notizia o un documento, nessuno di noi si permetterà di parlarne, ma fino a quando ciò non avverrà, ritengo di poter rendere note le notizie acquisite in Commissione. PRESIDENTE. Ha ragione, senatore Bertoni, basta che il presidente non abbia affermato che non è il caso di divulgare determinate notizie; se poi un'ora dopo le medesime notizie sono divulgate... RAFFAELE BERTONI. Certo, è cosa diversa se si tratta di notizie segrete. PRESIDENTE. Voglio solo chiarire che si tratta di una questione di impegno personale, che poi potremo definire al nostro interno. Pagina 235 RAFFAELE BERTONI. Allora è una questione di comunicazione preliminare da parte del presidente circa la segretezza di talune informazioni. Mi dispiace che l'onorevole Parenti non presieda in questo momento la Commissione. GIUSEPPE AYALA. Per quanto mi sia sforzato, non riesco a trovare una domanda che non sia già stata posta dai colleghi che mi hanno preceduto, il che alleggerirà di molto il mio intervento. Al di là della battuta, mi piacerebbe costituisse oggetto delle risposte che ci verranno fornite il quesito che si è diffuso (i nostri ospiti lo sanno meglio di me), a torto o a ragione, anche negli ambienti operativi e che posso così sintetizzare: la DIA è di fatto diventata una quarta polizia, oppure no? E' questo il problema centrale, che non attiene, come è stato già accennato, ai rapporti del servizio investigativo preventivo o di quello internazionale, ma riguarda il servizio investigativo giudiziario (con le varie sigle, che è inutile ripetere perché le conosciamo ormai tutti a memoria, appartenenti a diverse amministrazioni) e nell'ambito del Ministero dell'interno i rapporti, che anche l'onorevole Bargone richiamava, tra DIA e Criminalpol, con particolare riguardo al nuovo progetto sul quale vorremmo saperne di più. La seconda questione che vorrei porre riguarda i pentiti. PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI GIUSEPPE AYALA. Ciascuna persona ragionevole non può non concordare sul fatto che non guasterebbe che i problemi di tutela e protezione dei pentiti fossero affidati ad un organismo del tipo dei marshall americani, che hanno proprio questo specifico compito ma non certamente quelli di polizia giudiziaria. Molto spesso, ciò che in linea di principio appare migliore, si arresta di fronte a difficoltà oggettive; ma allora, secondo voi, ammesso che si dovesse costituire ex novo questo tipo di servizio, che non mi risulta esista, che tipo di organico comporterebbe? Qualcuno sostiene che ci vorrebbero almeno diecimila uomini per gestire il totale dei pentiti, dei familiari e probabilmente anche dei testimoni. Se questo dovesse rispondere a verità si porrebbe un grosso problema e sicuramente non si arriverebbe mai a questo tipo di alternativa che a mio avviso sarebbe ottimale; in questo caso, infatti, non si risolverebbe il problema della gestione di pentiti da parte di organismi che hanno anche compiti di polizia giudiziaria, su cui peraltro molti non concordano e probabilmente in linea di principio è giusto che sia così. Il ministro Maroni ha lanciato l'allarme sugli attentati (per la verità ha parlato di timore di attentati); a tale proposito vorrei sapere quale sia, a giudizio dei nostri ospiti, lo stato attuale degli equilibri interni a Cosa nostra e il ruolo che Riina riveste, se lo riveste ancora, malgrado la sua cattura, giunta dopo 23 anni di latitanza trascorsi a Palermo, ed anche malgrado l'articolo 41-bis della legge sull'ordinamento penitenziario, che saggiamente gli è stato applicato. Dico questo perché a suo tempo mi convinsi (tant'è vero che ne chiesi l'assoluzione nel pubblico dibattimento) che Luciano Liggio, del quale si diceva che Riina e Provenzano fossero i suoi luogotenenti, da anni non contasse più niente. Al momento di chiederne la condanna, dopo 14 anni costanti di detenzione, francamente non me la sono sentita (si fosse trattato di qualche delitto specifico il discorso sarebbe stato naturalmente diverso) e ne chiesi quindi l'assoluzione. Certamente questo non è un dato incoraggiante perché, se Riina non è più pericoloso, ci sarà qualcun'altro che magari è ancora peggio di lui, forse più sanguinario. Ho posto la questione per cercare di capire quale sia l'assetto interno a Cosa nostra, anche in considerazione del fatto che dopo dieci anni di impegno costante nel settore, da tre anni sono ormai fuori dall'aspetto operativo delle indagini, anche se seguo sempre l'evoluzione del fenomeno, com'è mio dovere anche in qualità di componente di questa Commissione. Su questo aspetto, quindi, vorrei conoscere il Pagina 236 pensiero dei nostri ospiti e le informazioni a loro disposizione. Lei, generale Verdicchio, ha poi fatto un riferimento scontato, che io condivido, al rischio dei falsi pentiti. E' inutile ora ripercorrere episodi che lei ha vissuto in prima persona; vorrei solo sapere se questo suo riferimento de plano, considerata la sua competenza nella materia, sia dato per scontato (ma non lo è per me), o se invece sia frutto di informazioni precise. Chiedo, in sostanza, se avete elementi precisi e concreti (non voglio sapere i nomi) per affermare che esiste una strategia attuale della mafia volta ad infiltrare tra i pentiti veri, che sono sicuramente la maggioranza, anche quelli falsi, nell'ambito di un disegno di delegittimazione complessiva. Vi è, cioè, un problema di delegittimazione esterna, che fa capo anche ad esponenti politici ed un problema di delegittimazione interna, che sfrutterebbe il canale dei falsi pentiti. Vorrei, infine, rivolgere una domanda riassuntiva anche per colmare quei vuoti sicuramente presenti nel mio intervento. Considerato che tra i compiti della nostra Commissione vi è anche quello della verifica dello stato attuale della legislazione antimafia, cosa ritenete utile si debba fare sul piano normativo per rendere nel complesso più efficienti i compiti istituzionali della DIA e della polizia giudiziaria? PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI RAMPONI ALESSANDRA BONSANTI. Vorrei soffermarmi sul problema generale dell'attuale strategia di Cosa nostra; se possibile, poi, vorrei si facesse un ulteriore approfondimento su un'altra questione. Nella sua relazione il generale Verdicchio sostiene che la diversa strategia del vertice della mafia si avvale dell'intimidazione locale e dell'infiltrazione dei falsi pentiti. A tale proposito, vorrei anch'io sapere se esistano casi concreti di infiltrati, non di falsi pentiti... RAFFAELE BERTONI. Questo è il punto! ALESSANDRA BONSANTI. Vorrei sapere se esistano casi di infiltrati dalla mafia con lo scopo di dare false informazioni, voglio solo sapere se esistono, non chi sono. Nella relazione si dice anche che l'infiltrazione di falsi pentiti è volta a riguadagnare le posizioni di potere perdute e che, ove non si raggiungessero gli obiettivi prefissati, si ricorrerebbe ad azioni terroristiche, cioè all'eliminazione di soggetti che in prima persona costituiscono un simbolo e magari anche un rischio dell'impegno antimafia. Cosa significa l'espressione "nel tentativo di riguadagnare le posizioni di potere perdute"? E' possibile approfondire questo concetto? E' incluso in esso anche il ricatto che ha subito lo Stato sul 41-bis e sui pentiti? Vorrei poi passare all'argomento dei denari illeciti, cioè del riciclaggio. Vorrei chiedere ad entrambi i nostri interlocutori notizia di quanto accade intorno ai centri storici. Si sa, in particolare, chi e cosa si muova attorno al centro storico di Palermo? E' stato anche detto che vi sarebbero interessi che riguardano l'informazione. Anche su questo mi piacerebbe avere qualche dato più preciso: ci si riferisce ad impianti, quali ripetitori, oppure televisioni private? Mi piacerebbe, ripeto, che si approfondisse tale questione, così come quella relativa al traffico di armi, che spesso viene dimenticata. Si pone poi il problema dei collegamenti tra la mafia e le logge segrete della massoneria. Vorrei sapere in che modo si stia procedendo in questo ambito e se voi riteniate, come mi pare di capire ritenga il dottor Cordova, che la legislazione attuale non aiuti lo scioglimento di tali logge. Vorrei quindi sapere cosa ritenete si debba fare per facilitare il vostro compito e se siate in possesso di qualche notizia precisa sul centro di controspionaggio di Firenze che per vent'anni è stato affidato alla stessa persona, Mannucci Benincasa, attualmente inquisito. CORRADO STAJANO. Qual è, dottor De Gennaro, secondo la sua profonda esperienza, il giudizio di pericolosità su Pagina 237 Cosa nostra oggi? In che momento siamo? Osservando il passato, poi, è sempre facile storicizzare, ma adesso si può dire che le spine di Cosa nostra, gli strumenti del ricatto politico, siano i pentiti e il 41-bis? CONCETTO SCIVOLETTO. Pongo brevemente quattro domande. In primo luogo, sul terreno generale, l'attuale fase della lotta contro la mafia - è stato detto anche da altri colleghi - è caratterizzata da un'apparente calma o comunque dalla mancanza di atti eclatanti e, a mio avviso, da un reale movimento delle cosche mafiose. Si attenua l'azione dello Stato nei confronti della lotta contro la mafia? Sta cercando, la mafia, di consolidare nuove interlocuzioni politiche oppure è in difficoltà rispetto ai colpi ricevuti negli ultimi anni, e quindi punta in qualche modo a delegittimare gli strumenti utilizzati nella lotta condotta dallo Stato? Oppure sta organizzando nuove strategie di intervento nella società italiana? La seconda questione riguarda le zone cosiddette tranquille; in ogni realtà regionale - per esempio in Sicilia - o nel contesto nazionale esistono zone che vengono storicamente definite tranquille. A mio giudizio, queste zone - penso ad alcune province siciliane, da Ragusa ad Enna, ma anche a talune aree del nord - acquistano un ruolo sempre più strategico in rapporto ad una funzione sia di retrovia logistica sia di aree indisturbate di reinvestimento. Quali sono in merito le valutazioni dei nostri illustri ospiti, che ringrazio per aver accolto il nostro invito e per le relazioni che hanno svolto? Ritengono che l'attenzione rivolta dallo Stato in queste aree e l'azione di contrasto siano adeguate e sufficienti? La terza questione concerne l'usura. Parlo non del fenomeno antico ma di quello attuale, caratterizzato da una virulenza drammatica. Rispetto a questo problema mi permetto di formulare le seguenti domande: come va valutato, sul terreno qualitativo e su quello quantitativo, l'apporto di capitali sporchi, di provenienza illecita, al fenomeno dell'usura? Vi sono state una fase ed una motivazione particolari, per cui ad un certo punto la mafia ha deciso di utilizzare anche questo canale, cioè di riciclare risorse illecite tramite l'usura? L'ultima questione riguarda i piani regolatori generali: sono in corso le procedure di elaborazione o di varianti generali a tali piani, per quanto mi risulta, in moltissimi comuni siciliani e meridionali. Queste procedure costituiscono, secondo voi, occasione specifica - non generica - per attività finanziarie mafiose, vale a dire di riciclaggio, puntando alla trasformazione di aree inedificabili in aree edificabili? Esistono in proposito elementi e dati precisi? GIANVITTORIO CAMPUS. Mi associo anch'io ai complimenti ed ai ringraziamenti nei confronti del dottor De Gennaro e del generale Verdicchio, non tanto per le considerazioni svolte oggi quanto per ciò che hanno fatto finora per contrastare la mafia e per tutelare lo Stato, con la speranza di poterli ringraziare ancora per quanto faranno in futuro. Porrò due domande; la prima si riallaccia ad un aspetto già sollevato. E' per noi fondamentale poter discutere dei rapporti tra mafia e politica; si è parlato di potenziamento, di miglioramento e di necessità di maggiore repressione e prevenzione: allora forse qualcosa impediva una completa funzionalità della DIA e degli altri apparati preposti alla lotta alla mafia. Riallacciandomi anche a quanto affermato dall'onorevole Ayala, siamo qui per sapere cosa vi occorra per poter condurre la lotta anche e soprattutto a livello delle connivenze, o meglio dello strettissimo intreccio tra mafia e politica. La nostra è una Commissione composta di parlamentari forti di un mandato ricevuto direttamente da chi ci ha eletti, e sentiamo ancora di più il dovere di tutelare la società civile che ci ha delegato a rappresentarla; siamo qui anche per esprimere a voi, che siete in trincea, un senso di serenità e per darvi assicurazione circa la possibilità di lavorare senza alcuna costrizione politica, proprio perché non esistono più, e non devono più esistere, né santuari né aree protette. Voi Pagina 238 dovete sapere di avere da parte della classe politica l'assoluta libertà di agire contro uomini che hanno fatto politica, che hanno governato e che potrebbero tornare a farlo se noi non riusciremo a stroncare la connivenza tra mafia e politica. Si tratta di un aspetto fondamentale. Aspettiamo eventualmente da voi, come diceva l'onorevole Ayala, dei consigli su ciò che il Parlamento ed il Governo dovranno fare per garantirvi ancora più strumenti per colpire questa parte, che purtroppo per tanti anni non è stata colpita e che solo ora si inizia ad indagare e ad incriminare. PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI GIANVITTORIO CAMPUS. La seconda domanda è molto breve e specifica: vorreisapere chi siano i collaboratori esterni - mi riferisco non ai pentiti, ma ai collaboratori tecnici, cui ha accennato il generale Verdicchio parlando del dipartimento studi e ricerche della DIA -, quale sia il loro compito e soprattutto quale sia il loro costo e la loro efficacia. VITO CUSIMANO. Debbo ripetere alcune considerazioni già svolte, perché ognuno di noi rappresenta una parte politica e quindi deve esprimere esattamente il proprio pensiero. Ringrazio innanzitutto il prefetto De Gennaro ed il generale Verdicchio per le loro relazioni (ho molto apprezzato i risultati ottenuti in così poco tempo), ed auguro loro buon lavoro per il futuro. Una cosa mi preoccupa, ed è il problema del controllo del territorio: un precedente commissario antimafia, in diverse interviste e in diversi contatti con forze politiche, ha dichiarato la necessità di iniziare a riconquistare il controllo del territorio, prevedendo la sconfitta della mafia oltre l'anno 2000 e preoccupando così moltissimo le vittime dell'attacco della mafia. Il generale Verdicchio ha parlato di appropriazione di attività commerciali da parte di organizzazioni criminali, ed è la cosa più semplice, perché in mancanza di un controllo statale, il territorio viene controllato dalla criminalità organizzata. Quest'ultima impone tra l'altro una propria tassa, la cosiddetta protezione, non solo all'attività commerciale, ma anche alla piccola e media industria; la mafia è arrivata a chiedere il pagamento di una tassa anche per le attività imprenditoriali e professionali. E' questo l'aspetto fondamentale. D'altro canto - voi siete molto esperti, mentre io sono un dilettante - se molti latitanti non vengono catturati è perché restano nel proprio territorio, perché godono della protezione (con l'iniziale maiuscola). Abbiamo anche appreso che la protezione è non solo delle cosche ma anche forse - anzi, senza il forse - dei politici, tanto che la magistratura in quest'ultimo periodo ha denunziato alcuni politici anche con responsabilità ministeriali per connivenza con la criminalità organizzata. La totale riconquista del territorio da parte dello Stato, dunque, costituisce il fattore più importante per distruggere la mafia. Quando e come, secondo i nostri cortesi interlocutori, si potrà ottenere questo obiettivo, risolvendo così tutti i problemi che angosciano la gente delle regioni a rischio? La seconda domanda è la seguente: in Sicilia sono stati sciolti oltre 50 consigli comunali perché non hanno approvato i piani regolatori generali, e sono in via di scioglimento altri 100 consigli comunali sempre per lo stesso motivo. Non adottare il piano regolatore generale significa non dare certezza al cittadino, ed in mancanza di una normativa certa evidentemente subentra la criminalità politica oppure quella organizzata, perché la legge è quella del più forte; non esistendo una legge uguale per tutti, ci si affida a questi strumenti. Ha indagato la DIA in ordine a tali problemi? Molte volte infatti vi sono lottizzazioni fasulle e concessioni edilizie in aree in cui non potrebbero assolutamente essere rilasciate: si tratta di una struttura economico-criminale che favorisce le cosche della criminalità organizzata. LUCIANO VIOLANTE. Collega Cusimano, si riferiva alla Sicilia? Pagina 239 VITO CUSIMANO. Sì. LUIGI RAMPONI. Intervengo solo per una precisazione perché, come è già stato detto, le domande sono più che esaurienti. Durante la visita a Reggio Calabria ho chiesto al vicedirettore della DIA se avesse ricevuto qualche input dalla magistratura in ordine alla questione relativa alla signora Cordopatri, e la risposta è stata negativa; non siamo però entrati assolutamente nel merito... GIROLAMO TRIPODI. L'ho fatta io questa domanda. LUIGI RAMPONI. In privato? GIROLAMO TRIPODI. No. LUIGI RAMPONI. Non mi risulta, o non ricordo, che abbia detto che il centro... GIROLAMO TRIPODI. Ho domandato se abbiano svolto indagini autonome... PRESIDENTE. Comunque, vi sono i resoconti stenografici. LUIGI RAMPONI. D'accordo, c'è il resoconto stenografico, e agli atti voglio che rimanga la mia affermazione che non siamo entrati nel merito dell'attività del centro, né tantomeno sul fatto... GIROLAMO TRIPODI. Questo lo dice lei! LUIGI RAMPONI. Lo dico io, con lo stesso diritto con il quale l'ha detto lei! Il vicedirettore della DIA di Reggio Calabria non è entrato nel merito dell'attività della DIA e non ha fatto alcuna precisazione circa l'attività investigativa in proprio, da una parte, e di polizia giudiziaria, dall'altra. Questo è quanto a me risulta. PRESIDENTE. Questo è quanto ha detto il senatore Ramponi; poi vedremo. GIROLAMO TRIPODI. Non è un'invenzione. Che interesse avrei a dire il contrario? SERGIO MATTARELLA. Ringrazio il dottor De Gennaro e il generale Verdicchio per le loro considerazioni. Poiché molti colleghi hanno posto domande, sarebbe superfluo riproporre argomentazioni già trattate. Mi rivolgo innanzitutto al dottor De Gennaro. La mia non vuole essere né una precisazione né un'obiezione, semmai una sottolineatura adesiva (così si può dire) rispetto ad un'osservazione riguardante la presenza sul territorio, secondo una considerazione del capo della polizia in questa sede. Una presenza sul territorio che, più che fisicamente massiccia e magari sorda o cieca, sia conoscenza del territorio e capacità di intervenire tempestivamente. Ritengo che per acquisire quell'indispensabile ingrediente rappresentato dal consenso della gente, che si è faticato a conquistare intorno alle istituzioni nella lotta alla mafia, bisogna evitare sia la sensazione di impotenza, ossia una presenza formalmente spiegata e forte che però non riesce a comprendere ed interpretare, sia le iniziative generalizzate nelle quali non si individua, rispetto alla cittadinanza, lo specifico mafioso. Una conoscenza approfondita del territorio ed una tempestiva capacità di intervento visibile, credo siano due elementi di un'interpretazione moderna ed efficace della presenza sul territorio. Al generale Verdicchio vorrei porre una domanda. Qualche collega si è soffermato sulla sua affermazione circa la primazia della DIA: perché ha sentito il bisogno di affermarla? Vi sono problemi di coordinamento? La stessa domanda le rivolgo riguardo ad una sua considerazione iniziale sul rischio di mutamenti in relazione all'ordinamento della DIA: perché ha avvertito il bisogno di mettere in guardia circa possibili mutamenti dei compiti della DIA? Vi sono rischi e prospettive del genere? GIUSEPPE DOPPIO. Vorrei rivolgere un quesito telegrafico al generale Verdicchio: il collegamento della mafia con i sodalizi criminali nelle regioni del nord Italia - mi riferisco, per esempio, alle bande Pagina 240 criminali della riva del Brenta nel Veneto - secondo i dati in suo possesso è un fenomeno statico, in diminuzione oppure in crescita ? LUCIANO VIOLANTE. Vorrei conoscere dal prefetto De Gennaro e dal generale Verdicchio quali siano gli attuali caratteri delle organizzazioni mafiose; in altri termini la fase qual è? C'è una tendenza alla riconquista silenziosa del territorio? Vi sono progetti o sono in preparazione - come mi pare abbia detto il ministro - attentati eclatanti al fine di indurre ad una contrattazione? Vi è un rapporto continuativo tra le stragi, i gravi omicidi e gli attentati della primavera scorsa ed altri in preparazione, come emerge da qualche provvedimento giurisdizionale? Nel senso che vi è una strategia del tipo "se vuoi fare la pace, prepara la guerra", cioè vai ad un attacco durissimo se vuoi costringere gli altri a contrattare. Questa è la fase oppure ne stiamo attraversando una di carattere diverso? PRESIDENTE. Do la parola al dottor De Gennaro per la replica, fermo restando che se qualche risposta dovesse essere riservata sarà disattivato il circuito chiuso. GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol. La ringrazio, signor presidente. Le domande che ci sono state rivolte sono molte ed alcune si sovrappongono; se ciò potrà essere utile per i lavori che lei dirige, signor presidente, avremmo concordato con il collega Verdicchio di dare ognuno una risposta complessiva, integrando la parte di competenza di ciascuno. Ad un certo punto mi permetterò di chiederle di essere riservato su una risposta. La domanda più ricorrente, in senso orizzontale, concerne lo stato della criminalità mafiosa, anzi l'accento credo sia riferito alla Cosa nostra siciliana, se non ho capito male. GIROLAMO TRIPODI. No, anche alle altre organizzazioni. GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol. Comunque, la risposta sarà più ampia. Mi sono riferito alla Cosa nostra siciliana perché mi sembra sia stato ricorrente il riferimento agli attentati. In argomento, forte dell'esperienza acquisita alla DIA che ho diretto fino ad un mese fa, validamente affiancato dal generale Verdicchio, vicedirettore della struttura, vorrei rifarmi alle conoscenze in quella veste, in quella funzione. Penso di poter dire, non soltanto come valutazione tecnica di tipo personale, ma anche come riscontro di natura investigativa - senza svelare assolutamente fatti che sono suscettibili di accertamenti in sede giudiziaria o investigativa - che vi è una situazione di attuale, apparente calma da parte della criminalità mafiosa. Non è soltanto apparenza, ma è anche, in più casi, un momento di debolezza dell'organizzazione mafiosa. Questo non esclude la pericolosità dell'organizzazione e l'attualità, in termini assoluti, dei problemi del controllo e del contrasto dell'organizzazione: ripeto, mi riferisco ai problemi siciliani. Durante la sua audizione il capo della polizia sul tema ha indicato dei fatti abbastanza concreti e precisi. Ha condiviso - ed io mi associo - il fatto che l'attività stragistica e terroristica imputata all'organizzazione siciliana Cosa nostra, risalente agli anni 1992-1993, fosse da ricondurre ad un'azione di aggressione contro lo Stato per rispondere a quelle che erano la pressione di carattere istituzionale, la fermezza e la determinazione, che non sono assolutamente diminuite. A proposito dei latitanti - oggetto di una domanda - vorrei chiarire alcuni punti, perché sembra quasi che dopo l'arresto di Salvatore Riina non sia stato arrestato più nessuno. Mi pare che qualche volta - vorrei anche fornire dati certi - ci si fermi ai nomi, dimenticando che ve ne sono stati anche altri, altrettanto importanti e pericolosi. Sarò esauriente nel prosieguo. Sullo stato di salute della criminalità mafiosa, il contrasto alla criminalità organizzata in Sicilia riveste un'assoluta attualità; Pagina 241 si registra un momento di apparente non aggressione, ma vi è comunque una forte debolezza. Il capo della polizia ricordava il notevole numero di defezioni tra le file dell'organizzazione; defezioni intese come tradimento dell'organizzazione, quanto meno delle regole dell'omertà. Questo, pur essendo un indice di debolezza, non è l'unico a cui si deve far riferimento, perché non conosciamo, e non possiamo assolutamente conoscere in termini di certezza, il numero di quanti invece confluiscono, giorno dopo giorno, nelle file dell'organizzazione mafiosa. Se si fa riferimento alla figura di Riina come un capo - attualmente capo - e se, come l'onorevole Ayala ricordava, si pensa che in carcere si perde l'immediatezza di comando (a maggior ragione nel caso di Salvatore Riina sottoposto a vincoli detentivi a cui non era sottoposto Luciano Liggio, per riprendere l'esempio dell'onorevole Ayala), bisogna estendere il discorso oltre Riina. Certamente costui non potrà avere l'immediatezza di comando, altrimenti significherebbe che le misure restrittive tendenti ad impedire la permanenza di legami o contatti tra il detenuto mafioso e il mondo criminale a cui faceva riferimento, sarebbero state vane. Ammettere che Salvatore Riina, in questo momento possa esercitare il proprio ruolo di comando, significherebbe ammettere che il vincolo dell'articolo 41-bis nei suoi confronti non ha funzionato, e sarebbe una contraddizione. Credo che forse si identifichi il personaggio per la parte criminale che rappresenta, perciò bisogna ricordare - come ha fatto il capo della polizia - che personaggi come Provenzano, Bagarella e Brusca, tutti e tre facenti parte del gruppo più intimamente legato a Salvatore Riina, sono tuttora in libertà. In questo senso allora si può parlare di una sorta di attuale forza e potere di Salvatore Riina non esercitata direttamente, ma attraverso personaggi a lui legati. Ho detto questo perché se tali personaggi sono tuttora in condizione di delinquere, è chiaro che, per quanto hanno dimostrato nel recentissimo passato, per la loro determinata volontà di delinquere - che dai riscontri investigativi finora acquisiti è emersa - e per la possibilità di agire, determinano ed individuano un grosso potenziale di pericolo dell'organizzazione stessa. Lo stesso dicasi in termini più estesi per quanto riguarda le altre organizzazioni criminali dove magari, a differenza che in Sicilia, si registrano manifestazioni costanti e quotidiane di fatti o di aggressioni violenti. Il controllo del territorio - mi riferisco sempre alla domanda posta dal senatore Tripodi - non è stato ripreso dalla mafia dopo i colpi subiti. E' uno dei connotati dell'azione mafiosa e della criminalità organizzata la possibilità di esercitare il proprio potere attraverso una serie di azioni delittuose che consentono il controllo del territorio. In proposito, anticipo una risposta sull'usura. Non bisogna dimenticare la maggiore incisività delinquenziale dell'estorsione rispetto all'usura. L'estorsione operata in danno di persone, vittime innocenti della pressione criminale, consente di esercitare in modo più evidente, come pressione concreta, una forma di controllo del territorio. Devo aggiungere che anche l'usura, sia pur in modo indiretto, consente una forma di controllo del territorio (intendo riferirmi a questi tipi di reati commessi da organizzazioni criminali, non dal singolo piccolo gruppo delinquenziale o dal singolo individuo) nella misura in cui si tratta di una immissione di denaro che permette di rilevare un esercizio commerciale - soprattutto se si tratta di piccoli esercizi - che diventa un bene diretto del gruppo criminale. Può anche succedere che il criminale, aderente ad una organizzazione di tipo mafioso, eserciti una piccola sfera di influenza sul territorio. A questo punto, diventa anch'essa una forma di controllo del territorio, anche se meno diretta rispetto alle estorsioni. A ciò si deve contrapporre, come dicevamo, un'azione capillare, costante, in termini investigativi, come ricordava l'onorevole Mattarella riferendosi all'introduzione Pagina 242 della mia relazione. Altrettanto capillare deve essere la presenza investigativa e tale obiettivo si può raggiungere con efficienti ed efficaci strutture investigative sul territorio, che assicurano continuità e quotidianità di intervento, con l'importante acquisizione di una miriade di dati che possono poi essere sfruttati come base conoscitiva per gli interventi di organismi maggiormente specializzati. GIUSEPPE AYALA. Mi scusi l'interruzione, dottor De Gennaro, vorrei sapere, a proposito dell'usura e dell'estorsione, se sia mai emerso un collegamento tra i due fenomeni. Questi, a mio parere, sono strettamente connessi tra loro: è mai risultato qualcosa in proposito? E' una mia supposizione. GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol. Credo che si possa senz'altro parlare, in molti casi, di un'identità soggettiva tra chi commette l'uno e l'altro delitto; naturalmente, può esservi anche un'identità di vittima, nella misura in cui l'estorsione può rappresentare un elemento di pressione allo scopo di mettere in difficoltà il commerciante o l'imprenditore. Ho sentito che vi è stato un caso particolare - se non erro, verificatosi a Palermo - in cui il piccolo imprenditore o il commerciante subiva l'estorsione, dopo di che aveva bisogno, naturalmente, di denaro e si doveva rivolgere ad un interlocutore che gli offrisse denaro in modo agevole; in seguito è emerso dalle indagini che estortore ed usuraio erano la stessa persona, che da un lato, attraverso l'estorsione, riceveva denaro e metteva in difficoltà l'imprenditore e, dall'altro, gli dava denaro a tasso usurario. In questo caso, come si vede, vi è una coincidenza tra i due reati. Sono, comunque, entrambi delitti che denotano una forma di controllo del territorio. Contro di essi, quindi, bisogna intervenire in modo ampio e generalizzato, facendo ricorso a quelle strutture investigative che hanno più diretta conoscenza dell'ambiente e del territorio su cui operano; è su di esse che bisogna far leva per ricostituire e mantenere quel rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini, cui faceva riferimento l'onorevole Mattarella, che si ottiene tramite una continuità d'intervento. E' chiaro che l'organismo specializzato può intervenire in un momento non di sovrapposizione, ma di maggiore efficienza di contrasto, quando si tratta di incidere su aspetti più ampi del fenomeno, per esempio su società o gruppi di società finanziarie. In questi casi, infatti, si richiede una maggiore disponibilità di risorse in termini di conoscenze investigative, che si acquisiscono dal diretto controllo del territorio e dalla specializzazione che l'organismo ha potuto maturare. Desidero completare la risposta agli interrogativi posti dall'onorevole Tripodi sui latitanti. Non lo dico assolutamente con spirito di polemica, ma ai fini di una costruttiva conoscenza: dopo Riina sono stati arrestati molti latitanti importanti, basterebbe ricordare Santapaola, ma ve ne sono tanti altri. Nel 1994, tra mafia, camorra, 'ndrangheta e Sacra corona unita, sono stati arrestati 133 latitanti di spicco: non sono pochi. E' inutile citare tutti i nomi, ma posso trasmettere l'elenco degli arrestati, corredato dalle date degli arresti e dalla valenza dei singoli personaggi. E' vero - sono stato io stesso a riconoscerlo - che vi sono personaggi particolarmente pericolosi - anche in Calabria, nella zona della Locride - che debbono essere ancora assicurati alla giustizia, ma abbiamo anche osservato che questi latitanti si muovono nel territorio di loro pertinenza: quasi tutti, tranne rare eccezioni, sono stati arrestati a casa loro. Mi sembra che anche a proposito di Brusca vi siano informazioni convergenti su una sua possibile presenza in alcune zone del territorio, ma si tratta di aree di difficilissima penetrazione, in cui l'investigazione richiede tempi lunghi. A proposito di questi personaggi, comunque, possiamo dire che, sebbene per ben ventitré anni Riina non sia stato arrestato, alla fine è caduto e lo stesso avverrà per Provenzano e per altri, man mano che il cerchio investigativo si restringerà. E' stato chiamato in causa il ruolo svolto dal vicedirettore generale della pubblica sicurezza, che è anche direttore centrale Pagina 243 della polizia criminale. L'articolo 4 della legge n. 410 del 1991 dispone chiaramente, al comma 6, che proprio "Al fine di assicurare i collegamenti tra la DIA e gli altri uffici, reparti e strutture delle forze di polizia, ivi compresi i servizi di cui all'articolo 12 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (...)", ossia, i cosiddetti servizi speciali delle singole forze di polizia, è istituita la figura del vicedirettore generale della pubblica sicurezza, direttore centrale della polizia criminale. La finalità, quindi, viene indicata proprio dal legislatore ed in questa linea, secondo le indicazioni fornite anche dal ministro Maroni, cercherò di svolgere l'attività di interazione e di raccordo tra le diverse strutture investigative. Al di là della DIA, infatti, che ha una sua valenza in una materia specifica, quella della lotta alla criminalità mafiosa, la direzione centrale della polizia criminale (che è, come la DIA, inserita nel dipartimento di pubblica sicurezza e perciò sottoposta alla strategica supervisione del capo della polizia) ha proprio questa funzione di raccordo, di stimolo e di determinazione delle strategie investigative che debbono essere attuate. Credo che il capo della polizia, nel suo intervento, abbia detto con assoluta fermezza che sarà sua intenzione portare avanti questo tipo di iniziative, per garantire la massima sinergia tra le strutture investigative. Ciò proprio nella filosofia, cui ho accennato, di realizzare una sempre maggiore efficienza delle strutture operanti sul territorio, che costituiscono, non mi stancherò mai di ripeterlo, uno strumento importantissimo proprio per "spossessare" le organizzazioni criminali del territorio. Il senatore Bertoni invocava una presenza sul territorio con queste finalità: ma quella presenza, costituita da un'efficace squadra mobile o reparto operativo o commissariato, certamente non serve a scardinare la criminalità organizzata di tipo camorristico nel suo complesso oppure a spezzare i raccordi tra il clan dei Mariano, che sta ai Quartieri, ed un gruppo camorristico che opera, per esempio, ad Afragola o ad Acerra. Si tratta di due momenti diversi: uno è quello del controllo immediato del territorio da parte di quelle strutture investigative che hanno con esso una interazione diretta e l'altro quello delle strutture specializzate, che debbono avere in qualche modo una visione più ampia. Desidero rispondere al senatore Grimaldi. L'articolo 3 della legge n. 410 del 1991, da lui ricordata, affida due compiti alla Direzione investigativa antimafia e chi applica la legge (io l'ho fatto fino ad un mese fa, il generale Verdicchio, attuale direttore, credo continuerà a farlo) si rifà ai dettami del legislatore. Il primo è un compito di investigazione preventiva, la cui natura viene spiegata nel secondo comma dell'articolo 3, proprio perché non vi è un'altra fonte normativa a cui rifarsi, essendo una vera innovazione quella di inserire l'indagine preventiva nei compiti che deve svolgere un organismo investigativo. A tale compito se ne affianca un altro, descritto nel seguente modo dall'articolo 3, comma 1: "(...) nonché di effettuare indagini di polizia giudiziaria relative esclusivamente a delitti di associazione di tipo mafioso o comunque ricollegabili all'associazione medesima" il che, come dicevo in precedenza, deve prevedere una competenza per materia e l'esistenza del delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale. Come dicevo, in relazione all'investigazione preventiva, il legislatore ha ritenuto di dover specificare a che cosa facesse riferimento, perché la natura delle indagini di polizia giudiziaria è direttamente desumibile dal codice di procedura penale. L'articolo 3, al comma 2, stabilisce pertanto quanto segue: "Formano oggetto delle attività di investigazione preventiva della Direzione investigativa antimafia le connotazioni strutturali, le articolazioni e i collegamenti interni e internazionali delle organizzazioni criminali, gli obiettivi e le modalità operative di dette organizzazioni, nonché ogni altra forma di manifestazione delittuosa alle stesse riconducibile ivi compreso il fenomeno delle estorsioni". In altri termini, sono due gli aspetti sui quali agisce la DIA. Non so se si debba parlare di superpolizia o di polizia specializzata, ma certamente il legislatore ha inteso mettere la DIA, come organismo specializzato, Pagina 244 in una posizione diversa rispetto a tutti gli altri organismi investigativi, anche preesistenti. Sempre nell'articolo 3, al comma 4, si fa riferimento innanzitutto al fatto che "Tutti gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria debbono fornire ogni possibile cooperazione", proprio nel senso di immediatezza di collaborazione sotto l'aspetto operativo ed anche informativo. Inoltre, si fa riferimento, nel caso in cui si svolgano indagini collegate, all'obbligo, per i servizi specializzati delle forze di polizia, di fornire al personale investigativo della DIA "(...) tutti gli elementi informativi ed investigativi di cui siano venuti comunque in possesso" e si stabilisce, altresì, che quei servizi siano "(...) tenuti a svolgere, congiuntamente con il predetto personale, gli accertamenti e le attività investigative eventualmente richieste". Non vi è, in proposito, un obbligo di reciprocità, per cui la lettura e l'interpretazione della norma lasciano intendere che vi sia una posizione di specializzazione: è a quest'ultima che credo il collega Verdicchio intendesse riferirsi quando ha parlato di "primazia di intervento", una volta che interviene lo specialista. E' chiaro che il numero di 1.400 persone è irrisorio rispetto alle 200 mila o 300 mila unità dell'organico delle forze di polizia in genere. A maggior ragione, ciò evidenzia ancora di più come il ruolo di specialista o dell'organismo specializzato non debba essere generalizzato ma limitato a momenti importanti e significativi o di particolare pericolo. Da questo punto di vista, il direttore della DIA ha precisato che si tratta di attività da svolgere non in via esclusiva, considerato che l'obbligo che il legislatore assegna alla DIA è di fare esclusivamente ciò e di non andare al di fuori della propria materia. TULLIO GRIMALDI. Io non avevo chiesto che lei mi chiarisse la legge... GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol. Ma io devo rispondere solo sul fatto che sia una superpolizia... TULLIO GRIMALDI. Questo avviene se i compiti di polizia giudiziaria sono esclusivi e prevalenti rispetto a quelli di intelligence che mi sembra, invece, il legislatore volesse privilegiare. Avevo chiesto, poi, se è vero che soltanto 60 o 70 effettivi siano destinati ai compiti di intelligence. Le risulta questo? Certo, di polizie ne abbiamo tante, anche con specializzazioni (abbiamo la polizia giudiziaria, le squadre mobili, eccetera)... GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol. Non mi sembra che, in termini quantitativi, la legge dia prevalenza all'uno o all'altro compito e comunque è detto in termini quanto meno generici. Premesso che su questo non credo che nell'ultimo mese sia modificato l'assetto - ma in merito potrà rispondere il generale Verdicchio - devo dire che il primo reparto investigazioni preventivo della DIA è formato da 60 o 70 uomini, quasi tutti ufficiali. Credo che in nessun altro organismo vi sia un numero tale di persone con gradi che vanno da quello di capitano a quello di tenente colonnello; per di più, in quel reparto vi sono capidivisione che sono colonnelli e che si dedicano soltanto ed esclusivamente ad alcuni aspetti d'investigazione preventiva. Inoltre, in tutti i centri operativi vi è una sezione che ripropone, come proiezione sul territorio, un'attività di analisi e d'indagine preventiva. Quindi, se non sono intervenute modifiche da un mese a questa parte, credo che una grossa energia sia già destinata ad un'attività di analisi in termini qualitativi, perché, effettivamente, il lavoro di studio delle carte e di analisi dei documenti, è stato affidato ad un livello qualitativo superiore. Non so se sono stato esauriente nella risposta, ma è un termine di qualità... TULLIO GRIMALDI. Vedremo i risultati. GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. Abbiamo fatto riferimento anche a grossi progetti di analisi in campo internazionale e bisogna dire che essi Pagina 245 hanno conferito alla DIA l'ammirazione di organismi di polizia internazionale di altissimo livello, come l'FBI, il BKA e il NCIS. Quindi, è quella l'attività di analisi preventiva. Ritengo che spesso si confonda l'attività di analisi con quella di iniziativa, attività questa che un corpo di pura forza di polizia esercita anche durante lo svolgimento di una delega dell'autorità giudiziaria. Dunque, non offre il suo apporto di iniziativa all'autorità giudiziaria quando viene delegato a svolgere un'indagine? Anziché essere una polizia specializzata si ridurrebbe a svolgere meri riscontri. La risposta che è stata data al senatore Tripodi, non dal vicedirettore della DIA, ma dal vicedirettore del centro operativo di Reggio Calabria, forse voleva essere orientata in questo senso. TULLIO GRIMALDI. Non volevo dare suggerimenti alla Direzione investigativa antimafia... GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. No, lei sta dando suggerimenti... TULLIO GRIMALDI. La mia domanda era sull'effettività di ciò che si sta facendo. Poi i risultati si vedranno. PRESIDENTE. Forse, il collega Grimaldi voleva sapere se i risultati erano sufficienti. SERGIO MATTARELLA. Il rapporto che il generale ha detto essere, sostanzialmente, di uno a quattro tra ufficiali e funzionari e gli altri uomini addetti è più alto o più basso rispetto a quello dei corpi di polizia? GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol. Credo che un rapporto di uno a quattro non ci sia in nessun'altra parte, né vi sia, in una concentrazione così ristretta di uomini, una qualità di questo livello intellettivo e culturale, che si presume sia patrimonio dei funzionari direttivi e degli ufficiali. Voglio poi chiarire, per debito di risposta, che da parte della DIA nessun'operazione di polizia è stata svolta su delega della procura nazionale, perché essa non può farne alcuna, in quanto, non essendo un organismo inquirente, non ha capacità di questo tipo. Invece, dalla procura nazionale sono stati assegnati una serie di incarichi alla Direzione investigativa antimafia in tema di analisi, di informazioni, non di polizia giudiziaria; inoltre, compatibilmente con tutte le richieste che provengono anche dalla Commissione antimafia e da altri organismi - a proposito delle quali il direttore della DIA ha già detto di essere a totale disposizione - sono state date risposte in termini di documenti di analisi che, naturalmente, sono a disposizione di tutti, perché non sono riservati o segreti come indagini. L'ultima domanda atteneva alla gestione dei pentiti. Non vi è un affidamento specifico alla DIA, se non dall'autorità giudiziaria: come a tutti gli altri organismi di polizia giudiziaria è il magistrato che richiede - quindi non chiede - l'espletamento di determinate attività, normalmente in relazione all'indagine che si sta svolgendo. E' un problema, che personalmente ho già posto come direttore della DIA e sul quale risponderò adesso come vicecapo della polizia, ma anche come direttore centrale della polizia criminale, da cui dipende il servizio centrale di protezione dei testimoni (è stato chiesto - altra domanda - in che termini intendiamo riorganizzare secondo le direttive impartite dal capo della polizia). Vorrei adesso riprendere il discorso sulla filosofia della protezione per rispondere all'onorevole Ayala a proposito del personale destinato a tale compito. Il capo della polizia ha indicato una strategia: organizzare il sistema di protezione in termini di sicurezza correlata alla riservatezza e alla segretezza, cioè con un'azione che consenta di mimetizzare il soggetto a rischio nel contesto del vivere sociale, al contempo garantendogli al massimo l'anonimato. Parlando di sicurezza non vi è un codice che prescriva in che modo sia possibile Pagina 246 attuarla, perché sia i fattori ambientali sia quelli soggettivi, che dipendono da persona a persona, sono tantissimi, per cui per ognuno si dovrebbero prevedere accorgimenti specifici. In questo caso, quindi, il principio ispiratore è quello della riservatezza, la quale non può essere garantita per un obiettivo particolarmente esposto, cioè per chi svolge una funzione per la quale deve muoversi in modo totalmente scoperto. In questi casi direi che è necessaria una protezione corporale, quasi ad personam, con mezzi blindati, con scorte. Invece, nei casi in cui quest'esigenza non ricorra, la filosofia è quella di rendere il soggetto teoricamente invisibile al possibile attentatore. Ma per fare questo gli strumenti che servono non sono tanto la forza, la vigilanza e la tutela, quanto quelli in grado di garantire il reinserimento nell'anonimato, che il legislatore ha previsto e che sono in fase di attuazione. Il servizio centrale di protezione può tranquillamente adempiere all'organizzazione di questi strumenti di protezione e per fare ciò non serve un numero di persone enorme, anche se deve essere naturalmente correlato al numero dei soggetti da proteggere. Devo dire, infatti, che alcune disfunzioni rilevate nel servizio protezione sono dovute al fatto che, quando esso è stato istituito, le persone da proteggere erano già decine e decine, forse centinaia. Dunque, è chiaro che ci vuole tempo per mettere a punto gli organici e le metodologie da applicare. Occorre soprattutto stabilire quelle sinergie, cui si è richiamato anche il capo della polizia nel suo intervento, con altri enti istituzionali, con altri ministeri, con i comuni, con le USL, eccetera; in pratica, con tutti quegli enti che devono interagire con questo organismo e il Ministero dell'interno per creare una cortina di segretezza e di anonimato. E' difficile quantificare un numero, ma esso è correlato alle esigenze che via via vengono a concretizzarsi. Vi è invece un problema, sollevato prima dal direttore della DIA, cioè quello della detenzione extracarceraria, la quale impone invece una vigilanza, sia pure ridotta, perché deve impedire di rendere evidente il luogo di detenzione e al malintenzionato di individuare l'obiettivo. La detenzione extracarceraria impone una vigilanza continuata trattandosi di uno stato di detenzione a tutti gli effetti. Essa comporta quindi un grosso dispendio di energie, che non deve essere assolutamente a carico degli organismi investigativi, pena il decadimento della loro specializzazione anche a livello territoriale; come dicevo prima, infatti, le squadre mobili o i reparti operativi sarebbero depauperati di decine di uomini che verrebbero destinati esclusivamente alla vigilanza fisica del detenuto in detenzione extracarceraria. Mi sembra che ci si stia muovendo su questa linea per ridurre al massimo questo tipo di realtà. A tal fine, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria si sta attrezzando per offrire sempre più luoghi idonei ad una custodia protetta e compatibile anche con le esigenze della magistratura inquirente, la quale ha esigenze continue per gli interrogatori e per gli atti istruttori che devono essere svolti. L'onorevole Bargone ha chiesto un chiarimento a proposito del ruolo della Criminalpol anche in relazione alle parole ed alle affermazioni del ministro dell'interno. Credo di averlo in qualche modo indicato, anche se in termini progettuali. In ogni caso, anche qui si tratta di applicare correttamente ed esattamente il dettato normativo. La direzione centrale della polizia criminale ha la possibilità, per le prerogative che le derivano, sia dalla legge n. 121 del 1981 sia dalle ulteriori modifiche intervenute, di cercare di individuare tutti i metodi di raccordo per uno scambio sempre maggiore di informazioni tra tutti gli organismi investigativi. E' chiaro che devono essere messe a punto le metodologie circa il modo in cui questo scambio di informazioni possa avvenire, anche perché, come ricordava il capo della polizia, vi è tutta la fase dell'attività investigativa preliminare per l'acquisizione di informazioni che portano ad individuare la notizia di reato, la quale è di difficile coordinamento, se non con un forte scambio di informazioni o con l'individuazione Pagina 247 di strumenti normativi - che non è compito di noi tecnici, ma del Governo e del Parlamento - che consentano di far ciò nel modo migliore. Per quanto riguarda l'attività investigativa svolta dalla DIA, alla quale ha già fatto cenno il generale Verdicchio, mi piacerebbe ricordare che a seguito di un'attività di iniziativa - non per smentire il nostro funzionario, ammesso che lo abbia detto - non certamente delegata dall'autorità giudiziaria, è stato individuato il covo di due degli autori della strage di Capaci, o presunti autori dal momento non abbiamo una sentenza di condanna. Si tratta del covo in cui si erano resi irreperibili e clandestini Di Matteo e La Barbera, se non sbaglio. Su un'attività puramente investigativa e di iniziativa è stato possibile inserire un ascolto ambientale che ha dato un'importante spinta alle indagini successive. Mi permetto di ricordarlo come caso più evidente ed eclatante. Il senatore Cusimano ha chiesto informazioni in ordine al problema del controllo e della riconquista del territorio, in merito al quale credevo in parte di aver risposto proprio facendo riferimento all'attività investigativa puntuale, sempre più incisiva da svolgere sul territorio. Non vorrei aver dimenticato qualcosa. LUCIANO VIOLANTE. Dottor De Gennaro, le chiedevo della fase in cui ci troviamo. GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol. La fase attuale, per quanto riguarda Cosa nostra siciliana in particolare, può essere di riorganizzazione e di ripristino all'interno dell'organizzazione di quelle norme che ne hanno regolato la vita in genere e di ripristino delle risorse umane. Il generale Verdicchio ha citato prima il numero di arrestati o di provvedimenti di cattura derivanti dalle indagini svolte dalla direzione investigativa antimafia, che rappresentano soltanto una parte rispetto a tutti i provvedimenti giudiziari e agli arresti eseguiti dalle forze di polizia nel loro complesso. Tutto ciò ha creato nell'organizzazione mafiosa la necessità (è un'opinione del tutto personale, sulla base dell'esperienza specifica acquisita sul punto) di riorganizzare e rimpinguare tali risorse. Se il presidente consente potrei aggiungere qualche ulteriore elemento in forma riservata. PRESIDENTE. Accogliendo la richiesta del dottor De Gennaro, proseguiamo i nostri lavori in seduta segreta. Se non vi sono obiezioni, dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno. (La Commissione procede in seduta segreta). PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno. Se il generale Verdicchio deve ancora integrare alcune risposte, può intervenire. GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. Credo che il dottor De Gennaro abbia già dato esauriente risposta alla quasi totalità delle domande, comunque gradirei precisare che negli ultimi venti giorni certamente non si è modificata la struttura della DIA soprattutto per quanto riguarda l'impiego del personale nelle indagini preventive ed in quelle di polizia giudiziaria. Ovviamente le indagini preventive potranno dare un frutto più qualificato allorché avremo avuto la possibilità di addestrare adeguatamente il personale. Abbiamo già precisato che la figura dell'analista è una figura nuova nel mondo della sicurezza italiana e per questo la DIA, avendo anche l'apporto qualificato e generoso di agenzie straniere, soprattutto della DEA, ha svolto già dei corsi di base e si propone (ho detto che lunedì scorso è iniziato uno di questi corsi) di svolgere corsi più avanzati. Quindi, non è tanto una questione di numeri ma soprattutto di qualità del personale da impiegare. Ritengo sia anche necessario operare una distinzione tra quelle che sono le indagini preventive che normalmente studiano il fenomeno complessivo e quelle di iniziativa. Come ho già detto prima e come ha precisato molto Pagina 248 bene il dottor De Gennaro, anche durante lo svolgimento di un'attività delegata si può svolgere un'attività di iniziativa qualificante come quella che ha riguardato la strage di Capaci. Per quanto riguarda la DIA quale quarta forza di polizia, nella mia relazione ho detto che la DIA non è un ufficio di coordinamento tout court né un'autonoma forza di polizia, ma una struttura interforze in cui l'integrazione tra le tre forze di polizia si risolve in unità ordinamentale; una sorta di task force che sfrutta al meglio le loro energie. La DIA non potrebbe essere una forza di polizia in quanto le sue risorse non le possono certamente consentire di svolgere attività che competono ad una forza di polizia. Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Mattarella, posso dire che non ho voluto mettere le mani avanti ma soltanto illustrare una situazione. Tutta l'insistenza sulle indagini preventive evidentemente tende ad un obiettivo. In giro c'è la voce di limitare l'attività della DIA, facendola propendere più verso le indagini preventive, verso l'attività di intelligence. Ho perciò ritenuto doveroso far presente, prendendo ad esempio una struttura che è stata recentemente sciolta, che qualunque modifica agli attuali compiti istituzionali della DIA potrebbe comprometterne l'efficienza. Un commissario, ora non presente, mi ha posto una domanda in ordine ai collaboratori esterni alla DIA. La legge lo prevede. Noi siamo alla ricerca di idonee professionalità per contribuire ad un'analisi più profonda, più complessiva del fenomeno mafioso ed anche per avere un apporto nella redazione del rapporto annuale sul fenomeno. Non mi avventuro ad elencare i collaboratori esterni, ma posso assicurare che non sono molti e che non costano moltissimo. Attualmente è in corso una revisione completa perché si è formato nell'ambito del I reparto una unità organica della quale faranno parte soprattutto giovani ricercatori che potranno mettere la DIA più facilmente a contatto con gli enti che istituzionalmente svolgono determinate funzioni nel campo della statistica, della sociologia, della criminologia, del diritto. Posso assicurare che l'importo che viene speso per questi collaboratori esterni è del tutto limitato. Non ritengo di dover aggiungere altre risposte. Per quanto riguarda il regolamento che deve disciplinare la collaborazione dei cosiddetti pentiti, non mi sembra che rientri nella nostra competenza, anche perché la situazione è de iure condendo. ALESSANDRA BONSANTI. Vi abbiamo rivolto alcune domande molto precise, sulle quali vorremmo una risposta, passando, se necessario, alla seduta segreta. Vorremmo che fossero approfonditi i temi relativi alle aree di destinazione degli investimenti collegati a capitali illeciti, in particolare con riferimento ai centri storici, all'informazione, al traffico di armi, alla massoneria e al problema di pentiti e dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario. GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol. Chiedo scusa, perché avevo appuntato alcune domande sul retro del foglio. Per quanto riguarda falsi pentiti e infiltrati della mafia, il generale Verdicchio ha già risposto osservando che si tratta di un rischio rispetto al quale occorre sempre attenzione. GIROLAMO TRIPODI. Sembra che vi siano, in concreto, elementi molto precisi. GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. Io ho formulato soltanto un'ipotesi di strategia della mafia. GIROLAMO TRIPODI. Per questo mi ero permesso di domandare se vi siano elementi più specifici. GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. No. GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol. Non ho conoscenza diretta delle indagini sul centro storico di Palermo; a meno che non possa rispondere il direttore della DIA, posso soltanto riservarmi Pagina 249 di riferire in futuro elementi, se disponibili. Anche per quanto riguarda l'informazione, non ne ho una diretta cognizione. Con riferimento al traffico d'armi, quando ero direttore della DIA, avevo chiesto di svolgere un'attività di analisi, in termini di investigazione preventiva: abbiamo svolto un lungo lavoro, che abbiamo trasmesso anche al procuratore nazionale, in ordine alla situazione del traffico d'armi, naturalmente analizzando dati che derivavano da fatti già conosciuti (sequestri di armi, interventi effettuati, persone arrestate divise per regione e per qualità e tipo di armi). Si tratta di uno dei lavori cui facevo prima riferimento, nell'ambito dell'attività di analisi che - come accennavo all'onorevole Grimaldi - deve essere svolta da persone che abbiano una conoscenza culturale approfondita e per il quale occorre puntare sulla qualità più che sulla quantità della ricerca. Questa ricerca e il documento analitico redatto dal reparto investigazioni preventive della DIA ha evidenziato come sia stata svolta una grossa attività investigativa, con notevoli risultati, per quanto riguarda il traffico di armi. Non ho conoscenza di specifiche indagini in corso: so, però, che lo sviluppo di questo tipo di indagini era fra gli obiettivi indicati agli uffici che operano in Puglia, dove più facilmente si può verificare questo tipo di traffico, per la possibile attività di contrabbandieri, verso le coste della Iugoslavia e dell'Albania, sulle quali vi è una maggiore possibilità di circolazione di armi, anche per i conflitti in corso. Mi risulta, quindi, che questo tipo di indagini rientrava nelle strategie che erano state avviate. Per quanto riguarda i rapporti tra mafia e logge segrete, se non erro, vi sono istruttorie in corso presso la procura di Palermo; l'ho letto, anche se non ne ho cognizione diretta. Eventualmente, il generale Verdicchio potrà fornirvi ulteriori elementi. Non ho nessun elemento sul centro di spionaggio di Firenze, in ordine al quale bisognerebbe interrogare il competente direttore dei servizi. Con riferimento all'opportunità di nuove norme per favorire lo scioglimento delle logge segrete, immagino che il magistrato che se ne sta occupando si sarà espresso sul punto. So, comunque, che nel nostro paese vi sono tante norme che ci offrono strumenti investigativi utili per il nostro lavoro; tuttavia, non avendo mai svolto personalmente né un'indagine né un'istruttoria su tale problema, non saprei indicare se siano necessarie nuove norme. CORRADO STAJANO. Le ricordo un'altra domanda: il pericolo costituito dai pentiti e dall'articolo 41-bis rappresentano un tema centrale nell'interesse politico di Cosa nostra. GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol. Senatore Stajano, penso di avere risposto prima con riferimento al giudizio di pericolosità su Cosa nostra oggi. Personalmente ritengo che non soltanto i pentiti (che, come abbiamo ripetutamente affermato, hanno costituito un momento di infezione del tessuto criminale mafioso, con la violazione della regola dell'omertà su cui la struttura criminale basava la sua potenza) e l'applicazione del regime carcerario particolarmente duro (che tende al limitare ed impedire i collegamenti fra il detenuto e il mondo criminale a lui contiguo ma ancora operante all'esterno), ma anche tutte le indagini svolte, tutti i risultati investigativi e soprattutto l'avere individuato una pista investigativa per i delitti più importanti, con l'acquisizione dei primi riscontri, sia pure in termini istruttori - se mi si consente l'espressione non propriamente tecnica - e non ancora di condanne a fine giudizio, siano una serie di elementi che costituiscono notevoli spine nel fianco per l'organizzazione criminale. CONCETTO SCIVOLETTO. Vorrei sollecitare una risposta dei nostri ospiti su due questioni che avevo posto. La prima riguarda le zone apparentemente tranquille di alcune parti del territorio meridionale (ma non solo meridionale), alle Pagina 250 quali, ritengo, la criminalità organizzata assegna una funzione strategica come aree indisturbate per il reinvestimento di capitali illeciti e come retrovia logistico. Avevo chiesto una valutazione sull'adeguatezza dell'attenzione dello Stato verso tali aree. Una mia seconda specifica domanda riguardava i piani regolatori generali in corso di elaborazione. Sembra, infatti, che la mafia intenda investire i propri capitali illeciti nell'acquisto di aree oggi non edificabili, che successivamente, dopo la definizione dei piani regolatori o l'approvazione delle varianti generali, potrebbero diventare edificabili. Avevo pertanto chiesto se questo problema fosse adeguatamente "attenzionato" e se al riguardo risultassero elementi e dati specifici. GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. Per quanto riguarda l'attenzione generale nelle zone a cui lei si riferisce, vi sono le forze istituzionali territoriali che ovviamente svolgono la loro attività, sicuramente con molta attenzione, visto che tali zone sono rimaste sufficientemente indenni dal fenomeno mafioso. E' chiaro, però, che normalmente si va a pascolare dove il terreno è più adatto: per questo motivo cerchiamo, soprattutto con le indagini preventive, di studiare complessivamente il fenomeno e le organizzazioni, per controllare dove svolgano la loro attività e verso quali settori, anche economici, si indirizzino. Le aree cui lei si riferiva, quindi, non vengono considerate completamente libere dal fenomeno criminale mafioso e sono sufficientemente "attenzionate" da parte nostra. Per quanto riguarda i piani regolatori, è chiaro che essi coinvolgono grandissimi interessi economici, soprattutto in certe zone, per cui interessa anche le grandi consorterie criminali. Con riferimento specifico alla Sicilia, la DIA non ha svolto indagini mirate: è comunque uno dei fenomeni cui dedichiamo una particolare attenzione, per quanto riguarda non soltanto la parte dei piani regolatori relativa a nuovi terreni da rendere edificabili, ma anche la ristrutturazione dei centri storici. Anche nella mia relazione, facevo presente che teniamo in debito conto tutte le grandi acquisizioni immobiliari che avvengono nei grossi centri e cerchiamo, nei limiti del possibile, di valutare i flussi finanziari. Ovviamente, però, non bisogna dimenticare che la nostra è un'attività di polizia, per cui ha bisogno sia della collaborazione di tutte le istituzioni finanziarie sia di quelle dei cittadini. Talvolta si pensa che studiando complessivamente i flussi finanziari si possano avere indicazioni immediate e precise: quando ci troviamo di fronte a dieci fenomeni, possiamo riscontrare le differenziazioni e le qualificazioni particolari di ciascuno di essi; quando, però, ci troviamo di fronte a mille fenomeni, abbiamo a che fare con una sorta di elenco telefonico. I movimenti di capitale, soprattutto laddove bisogna approvare un nuovo piano regolatore (anche per quello che è successo in passato) o procedere a grandi ristrutturazioni dei centri storici, sono oggetto di particolare attenzione da parte della DIA. RAFFAELE BERTONI. Dato che dovremo ascoltare i capi del SISDE e del SISMI, sarebbe opportuno che voi integraste le vostre considerazioni con i rapporti e la reciproca collaborazione tra i due. GIANNI DE GENNARO, Direttore della Criminalpol. La legge cui ho fatto riferimento più volte, la n. 410, assegna un compito di raccordo dell'attività dei servizi con quella delle strutture investigative. Informazioni ed informative dei servizi ci arrivano e vengono veicolate verso gli organismi investigativi che le devono sviluppare, tutte le volte che le medesime abbiano una valenza e la possibilità di essere ulteriormente riscontrate ed ampliate, o di avviare un'attività investigativa. PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi ricordo che il dottor De Gennaro ha fatto presente di dover partire con urgenza per Reggio Calabria. Pagina 251 RAFFAELE BERTONI. Non ho ricevuto una risposta sulle opinioni dell'onorevole Li Calzi, a proposito del pentito che non dovrebbe parlare a rate. GIOVANNI VERDICCHIO, Direttore della DIA. Credo di essere io il responsabile della mancata risposta, poiché ho detto che si tratta di lavori in corso. Si tratta di de iure condendo, per cui ritengo che non siamo tenuti ad esprimere una valutazione sulle opinioni di un sottosegretario di Stato. D'altra parte, non abbiamo neanche elementi di conoscenza tali da poter dare un giudizio tecnico. RAFFAELE BERTONI. Se i lavori in corso non si fermano mentre sono in corso si finirà in un baratro! PRESIDENTE. Ringrazio il generale Verdicchio e il dottor De Gennaro per il loro prezioso contributo. Sull'ordine dei lavori. PRESIDENTE. Comunico ai colleghi il calendario dei lavori della Commissione per il periodo dal 4 al 7 ottobre: martedì 4 ottobre alle 9,30 svolgeremo l'audizione del comandante generale dell'Arma dei carabinieri e alle 17,30 l'audizione dei direttori del SISDE e del SISMI; per mercoledì 5 ottobre alle 17 sono previsti l'esame del regolamento interno e, al termine, l'ufficio di presidenza allargato ai rappresentanti dei gruppi. Venerdì 7 ottobre svolgeremo alle 9,30 l'audizione del Governatore della Banca d'Italia e alle 11, 30 l'audizione del comandante dei ROS. Il presidente del Consiglio ed il ministro delle finanze, a causa di impegni, potranno essere ascoltati solo la settimana successiva. La seduta termina alle 13,10.