Pagina 455 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI INDICE Pag. Audizione del presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze, dottor Alessandro Margara: Parenti Tiziana, Presidente &&P 457, 462, 463 465, 466, 470 Bertoni Raffaele ..................... 466, 467, 468, 469 Caselli Flavio ....................................... 468 Margara Alessandro, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze ..................... 457, 462, 463 465, 466, 467, 468, 469, 470 Peruzzotti Luigi ..................................... 464 Scozzari Giuseppe .................................... 468 Simeone Alberto ........................... 468, 469, 470 Tripodi Girolamo ..................................... 462 Pagina 456 Pagina 457 La seduta comincia alle 18,15. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Audizione del presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze, dottor Alessandro Margara. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze, dottor Alessandro Margara, il capostipite degli esperti nei problemi del settore carcerario in merito all'applicazione dell'articolo 41-bis. Chiedo perciò al nostro ospite di illustrarci l'esperienza del tribunale di sorveglianza da lui presieduto con riferimento alla normativa in questione ed alle problematiche ad essa attinenti. ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Se mi è consentito, signor presidente, vorrei leggere le due schede che ho predisposto e che intendo consegnare alla Commissione, ferma restando la mia disponibilità per qualsiasi chiarimento. Complessivamente si tratta di cinque pagine che riguardano rispettivamente un'analisi critica dell'articolo 41-bis, comma 2, e considerazioni sulla concreta applicazione di tale articolo nei vari periodi della stessa, successivamente all'emanazione del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306. E' pacifica l'esigenza che gli appartenenti alla criminalità organizzata siano sottoposti ad un regime detentivo di particolare sorveglianza, che impedisca agli stessi la possibilità di organizzare aggregazioni interne e collegamenti esterni. Si deve però ricordare la giurisprudenza costituzionale sulla norma in questione, rappresentata dalle due sentenze della Corte costituzionale n. 349 e n. 410 del 1993, che hanno escluso la incostituzionalità della norma, ma con importanti chiarimenti sul suo significato e la sua portata. Sintetizzo la mia valutazione dell'articolo 41-bis, comma 2, affermando che tale norma rappresenta un mezzo inadeguato per raggiungere lo scopo indicato in premessa, cioè un regime di particolare sorveglianza e sicurezza nei confronti degli appartenenti alla criminalità organizzata in carcere; quello scopo può essere più efficacemente perseguito in altro modo. Ritengo che l'adozione della norma eccezionale in questione nel decreto-legge n. 306 del 1992, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, avesse le seguenti ragioni. Occorreva uno strumento normativo, che aveva il suo precedente nell'abrogato articolo 90 della legge sull'ordinamento penitenziario, che avesse queste caratteristiche: consentire ad un organo politico o amministrativo di definire una disciplina detentiva speciale per gli appartenenti alla criminalità organizzata; consentire allo stesso organo l'individuazione di tali soggetti in modo agevole e rapido; escludere ogni forma di controllo giurisdizionale su tali decisioni e scelte. La linea difensiva dell'Avvocatura dello Stato nelle procedure costituzionali sorte in merito a tale forma conferma questa valutazione, affermando che non c'è possibilità di controllo giurisdizionale. La seconda ragione è che il sistema normativo della massima sicurezza o sorveglianza particolare, previsto dagli articoli 14-bis e seguenti della legge Pagina 458 sull'ordinamento penitenziario, non aveva affatto queste caratteristiche e, tra l'altro, prevedeva anche uno specifico controllo giurisdizionale. Si tratta comunque di una norma scarsamente efficace, tanto che raramente si fa ricorso alla stessa. L'ultima ragione è che la risposta concreta dell'organizzazione penitenziaria nei confronti dei soggetti in parola era debole: gli stessi, quantomeno in certe realtà, fruivano di spazi di manovra sicuramente pericolosi. Ebbene, le due sentenze costituzionali citate chiariscono che l'articolo 41-bis, comma 2, non può affatto funzionare così come era stato pensato. Cercherò di individuare i punti essenziali della giurisprudenza costituzionale in questione. Innanzitutto l'articolo 41-bis, che la sentenza n. 349 del 1993 definisce "certamente di non felice formulazione", deve essere interpretato "in modo aderente al dettato costituzionale", e quindi attribuisce al ministro di grazia e giustizia la sospensione delle sole regole ed istituti che si riferiscono al regime di detenzione in senso stretto e non può toccare alcuno dei diritti che pure sopravvivono in capo al soggetto detenuto (un esempio è il controllo sulla corrispondenza). Inoltre, il provvedimento del ministro doveva fornire adeguata motivazione delle ragioni delle restrizioni apportate al regime ordinario. Inoltre, "i provvedimenti ministeriali debbono comunque recare una puntuale motivazione per ciascuno dei detenuti cui sono rivolti" e ciò deve avvenire "in modo da consentire (...) all'interessato un'effettiva tutela giurisdizionale" che la sentenza n. 410 del 1993 ha individuato nell'articolo 14-ter, quello appunto previsto per la sorveglianza particolare decisa dal tribunale di sorveglianza. Mi sembra chiaro che la norma sopravvive in modo assai diverso da come era stata pensata: invece di un mezzo agile e inappellabile, si ha uno strumento di gestione complessa e sottoposto a specifico controllo giurisdizionale. Se l'esigenza dell'articolo 41-bis è stata avvertita come conseguenza dell'inefficacia del sistema normativo di massima sicurezza o sorveglianza particolare, di cui agli articoli 14-bis e seguenti, mi parrebbe assai più logico, anziché pensare ad una normativa eccezionale e di "non felice formulazione", che ha bisogno di tante precisazioni e limitazioni per essere mantenuta, ripensare una normativa ordinaria della massima sicurezza, più agile ed efficace di quella attualmente prevista. Ricordo soltanto che nell'iniziale disegno di legge presentato da Gozzini ed altri nel 1983, da cui si arrivò alla cosiddetta legge Gozzini del 1986, il sistema normativo di massima sicurezza era stato pensato in modo assai diverso, incentrato in sostanza non su un controllo immediato sui provvedimenti di assegnazione alla massima sicurezza, ma su un controllo successivo circa la permanenza nella stessa. Potrebbero porsi problemi sulla costituzionalità di un tale sistema, anche in ragione della giurisprudenza costituzionale ora maturata, problemi però verosimilmente non insolubili. Si tratterebbe di ragionarci sopra. Si noti che il seguire la strada della revisione della normativa ordinaria in materia di massima sicurezza presenterebbe il vantaggio, rispetto alla normativa eccezionale in questione, di poter prevedere con legge le disposizioni specifiche alla massima sicurezza: la violazione della riserva di legge in certe materie, se regolate con il provvedimento ministeriale, sarebbe superata, mentre oggi non lo è. Infine, si potrebbe avere un sistema di massima sicurezza trasparente e controllabile, come è inevitabile che sia secondo la giurisprudenza costituzionale, anziché il sistema clandestino e incontrollabile che si è sempre avuto. La terza ragione dell'introduzione dell'articolo 41-bis, secondo quanto ho detto all'inizio, era la debolezza della risposta organizzativa penitenziaria nei confronti dei soggetti che ci interessano. Non credo che sia una via molto efficace quella di dare maggiore forza alla legge, quando la sua applicazione è debole. La risposta organizzativa penitenziaria può non essere debole: in effetti quella iniziale, subito dopo il decreto-legge 8 giugno 1992, Pagina 459 n. 306, è stata a mio avviso anche troppo forte; vi furono sicuramente eccessi nel primo periodo a Pianosa, non so se altrove. Non credo, comunque, che sia impossibile una risposta forte, legale e giusta, che affronti però con realismo gli aspetti pratici delle situazioni, anziché seguire la via di fuga delle risposte simboliche, la scelta ad esempio di istituti-simbolo. In questa visione realistica delle cose - è con la realtà che si devono fare i conti - potrei ricordare due punti: nulla vieta di prevedere, nell'ambito di un nuovo regime normativo della massima sicurezza, un regime specifico e differenziato interno alla stessa, per particolari situazioni e per determinati soggetti. Si deve essere consapevoli che qualunque sistema ha comunque il suo punto debole nei continui spostamenti dei soggetti, sia per ragioni di giustizia sia per altre ragioni (particolarmente d'ordine sanitario): sui costi di vario genere di questi spostamenti e sui rischi relativi alla sicurezza che presentano, bisogna ammettere che incidono fortemente le localizzazioni degli istituti. La seconda parte dell'appunto concerne considerazioni sulla concreta applicazione dell'articolo 41-bis, comma 2. Distinguo tre periodi di applicazione: il primo interessa il primo anno, dalla metà del 1992 alla metà del 1993; il secondo interessa il secondo anno, dalla metà del 1993 alla metà del 1994; il terzo infine è il periodo attuale. La distinzione fra i vari periodi è utile, anche se costringe a qualche schematizzazione. Il primo periodo ha caratteristiche peculiari, che ritengo di poter individuare nel modo seguente. Parlo dall'angolo visuale di chi ha gestito e gestisce l'ordinamento penitenziario: i decreti-legge del 1992 e del 1993 hanno comportato una forte contrazione della nostra possibilità di agire. Anche l'articolo 41-bis, come altre norme di decretazione d'urgenza degli anni 1991 e 1992, è stato utilizzato per fare terra bruciata intorno non alla criminalità organizzata, ma alla riforma penitenziaria nei confronti dei condannati a pene medie e alte, anche di chi era ormai detenuto da molti anni e che aveva da tempo iniziato corretti percorsi penitenziari. Si trattò indubbiamente di un'applicazione non propria di una norma - anche l'articolo 41-bis venne applicato in questa fase di richiamo alla severità nell'ambito degli istituti di pena - che però si prestava, per la sua "non felice formulazione", come ha detto la Corte costituzionale, a possibili deviazioni. L'articolo 41-bis, comma 2, fu così applicato a molti di quei detenuti che rientravano nella larga previsione di tale articolo e per i quali si realizzava una riduzione secca degli spazi penitenziari. Molti di questi soggetti piombavano all'improvviso da una disciplina che già prevedeva proiezioni esterne ad un'altra di massima sicurezza. E in generale non era emerso alcun collegamento fra queste persone e la criminalità organizzata. L'individuazione dei soggetti era fatta in base a schede distribuite alle singole direzioni di istituto che, operando sulle stesse, davano indicazioni sommarie, che l'amministrazione penitenziaria centrale valutava per decidere sulla applicazione dell'articolo 41-bis, comma 2. Tale norma venne applicata con un provvedimento a motivazione unica, nella quale era identica anche la parte riferita ai singoli casi, che si riduceva a rilevare che, in base alle notizie acquisite e riferite anche dai singoli organi periferici dell'amministrazione penitenziaria, si doveva concludere che ciascuno dei soggetti interessati evidenziava una pericolosità concreta e tale da potersi ipotizzare un collegamento attuale con organizzazioni criminali e la capacità di impartire direttive alle stesse o quanto meno di mantenere legami pregiudizievoli per l'ordine pubblico e la sicurezza degli istituti penitenziari. Posso rinviare ad alcuni di tali provvedimenti (che allego), dalle cui motivazioni emergono le situazioni sopra indicate. E' utile introdurre il secondo periodo di applicazione dell'articolo 41-bis con la citazione di una relazione fatta dal dottor Calabria, magistrato addetto all'ufficio del DAP (dipartimento amministrazione penitenziaria). Si legge nella sua relazione: "Dall'entrata in vigore della legge e fino Pagina 460 ad oggi (28 aprile 1994), il numero massimo dei detenuti contemporaneamente sottoposti a tale regime ha raggiunto, tra la fine del 1992 e il primo semestre del 1993, le 1.232 unità. Con la collaborazione delle autorità giudiziarie inquirenti e delle forze di polizia, e tenuto conto della giurisprudenza della Corte costituzionale, nonché di numerosi tribunali di sorveglianza, tale numero si è ridotto a sole 460 unità". Credo che il numero sia rimasto stazionario da un po' di tempo. Di qui le osservazioni che seguono. Si dice, da fonte non sospetta (il DAP), quello che non è emerso nelle comunicazioni che da varie fonti sono venute alla stampa. C'è stato un primo periodo di applicazione non propria della norma. Se da 1.232 unità si è scesi a 460, effettivamente l'applicazione iniziale non è stata propria. Si è arrivati ad un più adeguato sistema di applicazione, tenendo conto di vari elementi fra i quali anche la giurisprudenza costituzionale e quella dei tribunale di sorveglianza, che hanno svolto la funzione di controllo giurisdizionale che dovevano svolgere, portando l'amministrazione su un terreno più proprio di applicazione normativa. Non sono state decisioni stravaganti anche se mi rendo conto che si possa immaginare che ciò sia avvenuto; sono state decisioni che dovevamo prendere in una materia che ci era attribuita. I provvedimenti ministeriali di questo secondo periodo sono stati caratterizzati da motivazioni specifiche per i singoli soggetti, anche se costruiti per relationem a schede informative dei vari organi centrali di polizia. Nel provvedimento, in cui si parla di tante cose, c'è la menzione di una serie di note di polizia e il relativo rinvio, con schede distinte, in cui si parla di ciascun soggetto. Questo è stato indubbiamente un passo avanti. I provvedimenti avevano una motivazione in senso proprio, anziché esserne del tutto privi, come nella prima fase. Va comunque rilevato che le note informative in questione erano abbastanza povere, sovente riferivano dati che erano superati da successivi sviluppi giudiziari e comunque non raccoglievano notizie che potevano essere reperite agevolmente se si fossero seguite le vicende giudiziarie in corso o già concluse. Si trattava, in sostanza, di informative di carattere burocratico, non certo indice della esistenza di un sistema informativo aggiornato e completo sulla criminalità organizzata. Si è dovuto ricorrere così ad altri elementi, desumibili dalla documentazione raccolta aliunde (in particolare da quella esistente nei fascicoli penitenziari, ai quali erano anche allegati i provvedimenti di custodia cautelare), con ciò in sostanza forzando i confini della nostra funzione, che avrebbe dovuto limitarsi alla valutazione della adeguatezza della motivazione dei provvedimenti reclamati e che invece si allargava alla integrazione di motivazioni povere e insufficienti. Siamo alla fase attuale. Si possono fare due osservazioni. In tale fase cominciano ad apparire, accanto a provvedimenti motivati con lo stesso sistema di quelli della seconda fase, per relationem alle note di polizia, anche alcuni provvedimenti con una vera e propria motivazione specifica e dettagliata sul singolo interessato. Ciò non può essere visto che con favore da chi esercita una funzione di controllo, in quanto non fa che agevolare la funzione stessa e finalmente fa sì che noi la esercitiamo come dobbiamo. A seguito del ricorso della procura generale di Firenze la Corte di cassazione, nel luglio scorso, ha deciso che non dobbiamo integrare, ricercando altri elementi, il provvedimento che noi controlliamo. Dobbiamo verificare se quel provvedimento è motivato adeguatamente e per questo non dobbiamo svolgere ricerche altrove. Emerge poi un grave problema. Nei casi in cui il reclamo è stato respinto e dal tribunale di sorveglianza è stata confermata l'applicazione dell'articolo 41-bis, comma 2, escluse alcune limitazioni contenute nel provvedimento ministeriale, si assiste alla proroga dell'applicazione della norma con tutte le limitazioni precedenti, comprese quelle dichiarate inefficaci. Ciò frustra in effetti il controllo del tribunale di sorveglianza. Sul punto tornerò successivamente. Pagina 461 Dal complesso dell'attività svolta in questo campo si possono ricavare alcuni problemi emergenti. Si è detto che è necessaria una motivazione specifica e individualizzata in questi provvedimenti: ma su che cosa? Che cosa legittima l'applicazione dell'articolo 41-bis, comma 2? Anche questo è un problema che abbiamo dovuto risolvere per conto nostro. Dalle esigenze di ordine e sicurezza pubblica indicate dalla norma si è ritenuto che la stessa dovesse essenzialmente riferirsi ai capi e ai quadri intermedi delle organizzazioni criminali, che avevano quella capacità di mantenere le aggregazioni interne ed i collegamenti esterni per neutralizzare la quale la norma è stata scritta. E' un problema che si è aperto nelle decisioni del tribunale di sorveglianza cui appartengo e che ha portato ad escludere la conferma dell'applicazione a chi si riteneva avesse solo un ruolo puramente esecutivo. L'amministrazione penitenziaria ha avvertito la difficoltà di eseguire i provvedimenti dei tribunali di sorveglianza che, pur rigettando il reclamo in ordine all'applicazione della norma, dichiaravano l'inefficacia di alcune limitazioni previste dal decreto ministeriale (in sostanza, vari punti venivano ritoccati in quanto dichiarati inefficaci così come contenuti nel decreto ministeriale). Da ciò emergono vari punti problematici. Il primo punto è se questa materia possa essere affrontata dai tribunali di sorveglianza. Ho citato le norme secondo le quali questo accertamento può essere effettuato dai tribunali di sorveglianza. Su questo la procura generale di Firenze ha fatto impugnazione davanti alla Corte di cassazione, la quale non ha ancora deciso. Ciò comporta inevitabilmente diversità di pronunce, diversità di trattamenti (c'è chi presenta reclamo, chi non lo presenta, i tribunali che decidono sono diversi e decidono diversamente). In pratica si assiste a situazioni nelle quali in uno stesso istituto un soggetto si vede escluse alcune limitazioni a differenza di altri. Si tratta di un problema che deve essere affrontato e che dimostra come la norma funzioni con fatica. Infine, si sta assistendo alla reiterazione dei provvedimenti con rinnovazione delle stesse limitazioni già previste. Il provvedimento del tribunale di sorveglianza, provvedimento giurisdizionale, che deve essere eseguito, che fine fa? Ciò non realizza l'inadempimento dell'atto dovuto di esecuzione del provvedimento giurisdizionale? La fatica con la quale si sta arrivando a motivazioni specifiche e individualizzate dei provvedimenti applicativi della norma in questione fa ritenere che manchi tuttora una raccolta sistematica di tutte le possibili notizie, comprese quelle ricavabili dal carcere (riferimenti esterni ed interni, versamenti di denaro fatti o ricevuti, colloqui avuti), che confermino o meno l'attualità dei collegamenti dei singoli soggetti con la criminalità organizzata e il ruolo svolto dagli stessi all'interno di questa. Se tale banca dati esiste, non ne è stato consentito l'accesso. Se non esiste, è impossibile istituirla? Si tenga conto che l'esigenza della conoscenza effettiva di permanenti collegamenti criminali dei detenuti consentirebbe di lavorare in modo più adeguato in una serie di materie più vasta di quella contenuta nel solo articolo 41-bis, comma 2. Basti pensare alla casistica di tutto l'articolo 4-bis, nelle varie proposizioni del comma 1, che prevede accertamenti informativi assolutamente burocratici e insufficienti, mentre noi avremmo bisogno di saperne di più. Con l'articolo 4-bis, anche se è stato presentato con l'esigenza di fornire più informazioni alla magistratura di sorveglianza, si è avuta una riduzione delle conoscenze. Infatti, dalle stazioni dell'Arma dei carabinieri prima avevamo risposte concrete e significative, mentre ora le questure rispondono con le schede del CED, dalle quali ricaviamo poco, così come ricaviamo poco dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, il quale fornisce risposte generiche, come è inevitabile che avvenga dal momento che non si tratta di un organo informativo. Pagina 462 All'inizio si è detto che il decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, fece terra bruciata non solo intorno alla criminalità organizzata, ma in genere intorno alla legge sull'ordinamento penitenziario nella zona delle pene medio-alte. Nel mentre non può che essere confermata qui l'esigenza di ribadire ed anzi rendere più efficace la lotta contro le aggregazioni criminali oggi operanti, non si dovrebbe aggiustare il tiro nei confronti degli altri, consentendo, pur se con speciali cautele, di tornare a parlare di applicazione della legge penitenziaria per coloro che non hanno mai appartenuto o che incontestabilmente non appartengono più alle aggregazioni criminali? Anche a questo riguardo una sede informativa effettiva ed aggiornata sulle aggregazioni criminali potrebbe consentire di verificare che molti dei soggetti per cui è oggi precluso l'accesso ad ogni beneficio non hanno legami criminali attuali e significativi. Su questo punto unisco l'estratto di una relazione, svolta dal Consiglio superiore della magistratura nel corso di un seminario, in cui si ribadisce un ripensamento della strategia nei confronti della criminalità organizzata e della risposta differenziata nei confronti della restante parte dei detenuti con cui si può svolgere un discorso diverso da quello che invece si deve svolgere con la criminalità organizzata. GIROLAMO TRIPODI. Il dottor Margara nella sua relazione ha detto che il numero massimo dei detenuti contemporaneamente sottoposti al regime dell'articolo 41-bis, tra la fine del 1992 e il primo semestre del 1993, era di 1.232 unità, successivamente stabilizzatosi intorno alle 460 unità. Perché è avvenuto tutto ciò? Lei ha avanzato molte riserve e perplessità sulle norme applicative dell'articolo 41-bis, nonostante abbia detto che lo ritiene un utile strumento nella lotta contro la criminalità organizzata. Vorremmo sapere il suo pensiero in ordine ad una proroga dell'articolo 41-bis e ad alcune eventuali sue modifiche. Poiché il numero dei soggetti ai quali si applicano le misure in questione si è ridotto ad un terzo di quelli inizialmente previsti, devono essere intervenuti provvedimenti di revoca (a meno che, ma non credo, le misure stesse non si siano esaurite per scadenza dei termini). Vorrei un chiarimento in proposito: se il soggetto è pericoloso e continua ad essere tale, chi suggerisce, chi propone la revoca? Il ministro, il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, la questura? Vorrei un chiarimento perché si tratta di un aspetto assai importante. Abbiamo chiesto la sua cortese collaborazione proprio perché riteniamo che su questi temi vi sia molto da dire, anche perché negli ultimi anni l'articolo 41-bis per molti aspetti è stato svuotato. PRESIDENTE. In verità si tratta solo di due anni e mezzo. ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Il passaggio da 1.200 a 460 casi è descritto dal magistrato che opera presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ed è stato l'oggetto della revisione dei provvedimenti che credo venne operata dal ministro Conso. A quell'epoca i provvedimenti dei tribunali di sorveglianza erano stati pochissimi: adottammo i primi nel mese di marzo per dichiarare l'inefficacia di alcune applicazioni nei confronti di tre persone che non avevano nulla a che vedere con la criminalità organizzata (essendo state piuttosto "sconquassate" dal percorso seguito in carcere e avendo anche problemi di ordine psichico). Questi soggetti erano stati individuati (era questo il modo attraverso il quale inizialmente si operava) attraverso schede inviate dalle singole direzioni, che prevedevano alcuni spazi che riguardavano un giudizio di pericolosità molto generico. Ricordo che a Porto Azzurro vennero recluse in una sezione speciale - in ottemperanza all'articolo 41-bis- ventitré persone che non avevano connotati differenziali effettivi rispetto alle altre trecento che erano nell'istituto, essendo state individuate con questo sistema decisamente rozzo e con provvedimenti non motivati. Verso il maggio-giugno Pagina 463 del 1993 le misure sono state riviste e siamo arrivati al numero di 460, concentrato sui soggetti che si ritiene abbiano effettivi collegamenti con la criminalità organizzata o ne facciano effettivamente parte. Si è trattato, quindi, di un passaggio inevitabile per una gestione corretta della norma. Lei, senatore Tripodi, mi ha chiesto se la norma sia utile; le rispondo che è necessaria una normativa riguardante la massima sicurezza per gli appartenenti alla criminalità organizzata, ma l'articolo 41-bis non è la migliore; ve ne potrebbe essere una migliore, a mio avviso, prevedendo una normativa che ricostruisca ragionevolmente un sistema di massima sicurezza. E' questo che occorre, lo abbiamo sempre detto. Il primo progetto Gozzini (che nasceva da un precedente progetto dei magistrati di sorveglianza fatto in un seminario organizzato dal CSM e del quale bisognerebbe oggi verificare la costituzionalità) prevedeva l'assegnazione agli istituti di massima sicurezza con provvedimento dell'amministrazione penitenziaria, che esplicitamente nella normativa non era soggetto a controllo. Inoltre, si stabiliva che la permanenza dopo un certo periodo (e si può discutere quanto si vuole circa la durata del periodo) dovesse essere sottoposta a controllo, nel senso che dopo un certo periodo di tempo l'interessato aveva il diritto di portare la sua situazione dinnanzi al tribunale di sorveglianza, il quale poteva valutare se quell'assegnazione fosse o meno corretta. Un sistema ordinario di massima sicurezza consente di specificare i motivi per i quali si applicano determinate norme. Attualmente è tutto molto generico. Cosa statuisce l'articolo 41-bis? Per quale motivo si può oppure non si può applicare ai mafiosi di infimo rango? La norma non dà risposte concrete in questo senso. Invece un sistema di massima sicurezza, ridisegnato, ripensato ragionevolmente, potrebbe rispondere in maniera più efficace, oltre a fornire uno strumento di applicazione corretto. Non possiamo continuare ad applicare norme per le quali viene lasciato a noi il compito non di dare, bensì di inventare risposte, come in qualche modo siamo stati costretti a fare. PRESIDENTE. Quale sarebbe allora la sua proposta? ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. La mia proposta è quella di riscrivere gli articoli 14-bis e seguenti, relativi alla sorveglianza particolare, che non funzionano. Quegli articoli - per dirla con parole ormai "consumate" - sono garantisti, e lo sono anche troppo, anche perché prevedono che il provvedimento di applicazione sia complesso, richiedendo il concorso di molti operatori (coinvolge anche gli esperti dell'osservazione e trattamento). Ciò comporta che il provvedimento non sia semplice, dal momento che è predisposto in sede un po' periferica, cioè dalle singole direzioni: questo è un altro limite notevole perché su questi soggetti la scelta dovrebbe essere operata da parte degli organi centrali dell'amministrazione. Ora la decisione è dell'amministrazione centrale, tuttavia vi è tutta una preparazione precedente. L'imponente controllo giurisdizionale, di legittimità e di merito, non ha mai funzionato perché di solito i provvedimenti assunti dall'amministrazione non erano ineccepibili, i tribunali di sorveglianza ne annullavano parecchi e in pratica, lentamente, l'articolo 14-bis non è stato più applicato: ogni tanto per combinazione - rarae aves- viene applicato un po' come capita, nel senso che non si sa bene per quale motivo sia stato applicato. Occorre quindi riscriverlo per delineare un sistema di massima sicurezza che funzioni. Occorre tener presente che il sistema di massima sicurezza esiste dal 1977 e che si è combattuto per renderlo trasparente, cioè per capire chi dovesse esservi destinato. La legge Gozzini del 1986 ha previsto norme che funzionano male; perciò il sistema continua ad essere quello di prima, cioè quello riservato all'amministrazione, che faceva ciò che riteneva fosse meglio, anche se non le ingiustizie. E' grave, tuttavia, destinare qualcuno in regime di Pagina 464 massima sicurezza se poi non vi è alcun controllo sulla sua permanenza; negli anni ottanta si è accertato che talune persone erano state recluse dal 1977 nelle strutture di massima sicurezza e non si sapeva perché dal momento che non avevano assolutamente il requisito della significativa pericolosità. Bisognerebbe - ripeto - riscrivere la norma, partendo da questi dati, stabilendo cioè i casi nei quali applicare il regime di massima sicurezza. L'articolo 41-bis ci dà un suggerimento, ma nelle previsioni di cui all'articolo 14-bis (cioè i casi per i quali si doveva essere sottoposti a sorveglianza particolare), il particolare rilievo da dare al reato di criminalità organizzata non era previsto e va invece introdotto. E' necessario recuperare l'articolo 41-bis, ma per farlo funzionare effettivamente. Bisogna inoltre stabilire per legge quali debbano essere le materie - ed in questo modo non vi sarebbe l'attacco alle singole limitazioni che introduce il ministro, come accade già ora, per la verità, ma si possono rivedere anche quelle norme - ,previste se non erro nell'articolo 14-quater, per le quali si può derogare. Modifichiamo allora quella parte, stabilendo più rigorosamente quali debbano essere queste materie. I colloqui sono importanti, come lo è la corrispondenza: parliamo di queste materie, stabiliamo per legge un quadro di riferimento in modo che l'amministrazione non sia costretta ad inventare risposte. Stabiliamo infine per legge anche il reclamo, cioè il modo del controllo, già previsto dall'articolo 14-ter. Dovremmo modificare anche quella norma, tornando al primo progetto Gozzini che prevedeva il controllo non sull'avvio (che potrebbe essere libero da parte dell'amministrazione), ma sulla permanenza, vale a dire dopo un periodo ragionevolmente breve di permanenza, in modo che l'amministrazione sia libera di mandare un soggetto, senza intralci attinenti al controllo, ad una struttura di massima sicurezza. Dopo che questo sia avvenuto - ripeto, senza intralci - il controllo può realizzarsi attraverso un ricorso dell'interessato al tribunale di sorveglianza, investito del controllo sulla ragionevolezza o meno dell'assegnazione alla struttura di massima sicurezza. Si può, in sostanza, riscrivere una ragionevole disciplina della massima sicurezza che serva a tutti, che faccia uscire - ripeto - la massima sicurezza dalla clandestinità (la definiamo così) in cui è stata in tutti questi anni e che serva più efficacemente dell'articolo 41-bis, il quale ormai, con tutti questi controlli, è un'arma spuntata. Non so se ci si rende conto che si può rinnovare quanto si vuole, ma si tratta di una disciplina che non funziona. Certo, determinate persone restano dove sono: anche dopo un'eventuale modifica, i personaggi con cui abbiamo avuto a che fare a Pianosa difficilmente si potranno rimandare nel circuito ordinario: queste persone restano lì. L'altro problema sarà quello di disciplinare (o meno), ma comunque pensare ragionevolmente alle strutture di massima sicurezza: gli istituti di questo tipo (Pianosa, Asinara, ma ce ne sono anche sulla terra ferma) hanno costi notevoli. Certo, hanno una valenza simbolica - lo dico un po' polemicamente - ma non è con i simboli che si danno risposte a gente che ragiona poco simbolicamente e molto concretamente. In conclusione, penso si possa riscrivere una normativa sulla massima sicurezza, che sia operativa, efficace, e molto più valida di una norma eccezionale. Mi riferisco cioè ad una norma generale, molto più valida di una norma eccezionale, che risponda e risponderà per sempre (anche se tutte le norme sono soggette a modifica) al problema della massima sicurezza. LUIGI PERUZZOTTI. Vorrei avanzare una proposta un po' provocatoria, che però non esula dai compiti della nostra Commissione. Perché non ci facciamo carico, presidente, di riscrivere la normativa, così come ci è stato suggerito e spiegato dal presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze? Questo non esula dai compiti della nostra Commissione, anzi sarebbe forse la prima volta che proponiamo agli altri colleghi parlamentari di fare qualcosa di veramente serio e concreto per Pagina 465 risolvere questo problema. Sarebbe anche un segnale preciso nei confronti di chi dovrebbe affrontare i problemi di giustizia in modo più radicale e concreto. PRESIDENTE. Certo. Il dottor Margara ha detto che le strutture di massima sicurezza sono costose e non sufficienti. ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Questo è un altro tasto delicato. Noi insistiamo, come sapete, sulle limitazioni che attengono ai momenti di contatto delle persone con gli strumenti di comunicazione (il telefono, la lettera, il colloquio), però le vie d'uscita e di collegamento sono infinite e lo sono tanto più se consideriamo che la permanenza in quella determinata sede è precaria, interrotta. Questa gente subisce processi da tutte le parti e generalmente a lunga distanza, con traduzioni complesse che spesso vengono effettuate con mezzi eccezionali. La loro permanenza sulle isole comporta un sacrificio notevole ed un'organizzazione complessa: a Pianosa ci sono un presidio dei carabinieri ed uno della polizia, nonché personale penitenziario che riguarda la sola diramazione Agrippa, oltre a quello che concerne tutto il resto dell'istituto, che ha dimensione completamente diversa, dal momento che, prima che intervenisse questo tipo di organizzazione completamente diversa, era un carcere libero, in cui la gente andava a lavorare dalla mattina alla sera. Non so quanto sia utile, dicevo, concentrare tutto in alcuni istituti, specialmente per quanto riguarda quelli situati nelle isole. Sarebbe forse preferibile un decentramento in molte piccole strutture, in cui il numero dei detenuti speciali fosse ridotto e gli spostamenti limitati. Capisco che ciò comporterebbe la necessità di chiedersi se tali piccole strutture possano essere realizzate in Sicilia, in Calabria ed in Campania. Si potrebbe però trattare di sezioni di istituti. A Livorno, per esempio, c'è una sezione di massima sicurezza che non rientra tra quelle riservate ai detenuti sottoposti al regime di cui all'articolo 41-bis, ma che è da sempre una struttura di massima sicurezza, in cui sono stati reclusi i "pezzi da novanta" del passato, che sono tuttora personaggi di grande spessore, siano o meno sottoposti al regime dell'articolo 41-bis (alcuni, infatti, sottostanno a tale regime, perché anche a Sollicciano c'è stato qualcuno di questi detenuti). Certamente, sorgeranno dei problemi, ma bisogna valutare realisticamente - insisto - in che modo sia possibile affrontare e contenere i rischi determinati dai continui spostamenti di questi soggetti. Certo, se si intendono evitare gli spostamenti, come si dice da parte di qualcuno, e risolvere così il problema... si è parlato, in proposito, anche di processo a distanza: potrebbe essere una forma di risposta al problema esistente. Però finché questi personaggi devono spostarsi, i collegamenti creano problemi, anche perché determinano contatti con molte persone e, negli istituti di passaggio, non vi è l'attenzione cui sono invece sottoposti nelle sezioni di massima sicurezza. Insomma, si moltiplicano i punti deboli in cui la comunicazione può riprendere fiato. Anche nei processi, per esempio, questi soggetti si trovano accanto ai loro correi. E' necessario, insomma, riflettere su tutti questi problemi e cercare una soluzione. Sotto questo profilo, una rete distribuita sul territorio sarebbe forse più efficace delle grosse concentrazioni in alcuni carceri. PRESIDENTE. Ce ne sono pochi di istituti penitenziari che hanno queste strutture? ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Sono cinque, se non sbaglio: l'Asinara, Pianosa, Ancona, Cuneo... PRESIDENTE. Mi scusi, volevo sapere se vi siano altri istituti penitenziari in cui esistono sezioni di massima sicurezza. ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Attualmente vi sono istituti che hanno accolto soggetti sottoposti al regime dell'articolo Pagina 466 41-bis ed hanno organizzato per loro una forma di separazione, ma non si tratta di vere e proprie sezioni ad hoc. L'istituto di Sollicciano, ad esempio, ha ospitato spesso casi un po' complessi. Per esempio, Totuccio Contorno è stato ospitato in tale carcere, in una sezione che, per la verità, era stata creata per un solo soggetto, ossia il terrorista nero Delle Chiaie. Sono, insomma, situazioni sulle quali si deve riflettere. PRESIDENTE. Quindi, quella sezione era prevista per una sola persona? ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Sì, perché si poneva il problema dell'isolamento assoluto e Contorno era sorvegliato 24 ore su 24. La sezione, comunque, veniva utilizzata per una sola persona, ma avrebbe potuto ospitarne anche dieci o dodici. PRESIDENTE. Quindi, gli altri istituti penitenziari non offrono alcuna garanzia durante gli spostamenti e nei periodi di permanenza per i processi. ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Vi è la massima sorveglianza, le direzioni ed il personale sono allertati, ma quelli con cui abbiamo a che fare sono personaggi capaci e spesso i percorsi che seguono sono noti, per cui non credo sia impossibile per loro creare dei punti di contatto. Inoltre, ci sono i processi, che rappresentano una sede in cui il rapporto è inevitabile. PRESIDENTE. Quando, in queste sezioni speciali o comunque particolarmente sorvegliate, viene disposto l'isolamento, come viene inteso? Ho saputo, infatti, di casi abbastanza singolari di isolamento in otto. E' possibile una cosa del genere? ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Per quanto riguarda Pianosa, posso dire che... PRESIDENTE. Non mi riferisco tanto a Pianosa, quanto ai carceri in cui i detenuti si soffermano durante i processi. ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. E' possibile che questo accada, anche se indubbiamente è un'anomalia: anche in questo caso però, bisogna fare i conti con le anomalie necessarie, perché se un carcere è pieno e lo è anche la sezione di isolamento, non si può fare molto. Magari si provvede a mettere insieme un detenuto per mafia con qualche extracomunitario, che si suppone non abbia rapporti... PRESIDENTE. No, nel caso cui ho fatto riferimento si trattava di otto soggetti tutti capimafia. ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Beh, questo è un po' improbabile. PRESIDENTE. E' successo, mi hanno riferito che è accaduto. ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. E' possibile, fa parte di quegli incerti che, purtroppo, accadono nei trasferimenti, ma ovviamente si tratta di una cosa mal fatta. PRESIDENTE. Penso che nella riscrittura della normativa, sarebbe forse più adeguato, in prospettiva, rendere questa norma generale. ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Ho sentito parlare dell'ipotesi di convertire in norma permanente l'articolo 41-bis, ma non so se il progetto sia effettivamente in questi termini, oppure se si tratti di una proroga. PRESIDENTE. Per adesso, si parla della proroga. RAFFAELE BERTONI. Presso la Commissione giustizia è stata approvata la proroga per cinque anni, fino al 1999. Pagina 467 ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Quindi, si tratta di una proroga della norma eccezionale. RAFFAELE BERTONI. Non è una norma eccezionale: la mafia è eccezionale. ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Si, l'ho definita eccezionale in quanto norma a termine e nata con un provvedimento d'urgenza. Per quanto riguarda la mafia, non vi è dubbio che sia eccezionale, però si tratta di un'eccezionalità non dico "ordinaria", ma certamente di lunga durata: probabilmente, quindi, una normativa ordinaria risponderebbe più efficacemente ad una situazione di questo tipo. RAFFAELE BERTONI. Esiste, però, lo stesso ostacolo cui lei faceva riferimento, proprio perché la Corte costituzionale ha ritenuto necessario un controllo giurisdizionale sul provvedimento amministrativo. Non è possibile prevedere un intervento dell'autorità giudiziaria solo per controllare la permanenza della pericolosità; è necessario prevederlo, come adesso è dettato dalle sentenze della Corte costituzionale che lei ha ricordato, sul provvedimento emanato dal Ministero. D'altra parte, il Ministero dispone di tutte le regole scritte nella sentenza della Corte costituzionale per motivare questi provvedimenti, con le limitazioni che la Corte consente e con l'esclusione di quelle che non ammette, cosicché si trova in condizione di sindacare e controllare questi provvedimenti, confermandoli, nella maggior parte dei casi. Per quanto riguarda gli istituti di pena come Pianosa e l'Asinara, mi permetto di rilevare che, se sono così sgraditi ai nostri nemici, evidentemente devono essere graditi a noi. Se, insomma, i mafiosi protestano tanto contro l'Asinara e Pianosa, evidentemente noi non possiamo mettere in discussione questi istituti, anche perché, come lo stesso dottor Margara ha ricordato, negli altri istituti è ben difficile assicurare le restrizioni volute dalla legge e consentite dalla Costituzione. Con la detenzione in tali istituti, quindi, i provvedimenti finiscono per rimanere lettera morta. Io sono un garantista, ma non nei confronti della mafia. ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Le sue obiezioni sono molto serie, senatore Bertoni, ma quello del controllo è solo uno dei problemi, poiché gli altri sono rappresentati dalla previsione delle ragioni per cui... Sotto questo profilo, è utile avere un indirizzo per chi emette i provvedimenti applicativi della normativa di massima sicurezza, nonché un'indicazione normativa sulle materie su cui si può intervenire, che può rendere più forte la posizione dell'amministrazione, perché in alcune situazioni potrebbe essere autorizzata a fare ciò che, da sola, non le sarebbe possibile. Per quanto riguarda il controllo, l'obiezione è molto seria, non c'è dubbio: il controllo deve avvenire sull'assegnazione. Personalmente ho qualche dubbio, perché anche quella sulla permanenza è una forma di controllo. Potremmo costruirlo come vogliamo, con una specie di provvedimento urgente, valido per un certo periodo - che potrebbe non essere breve - e che consenta all'amministrazione di avere mano libera, il che a mio avviso è utile in alcune situazioni, perché il controllo su tutto può risultare pesante. Se al termine del periodo di urgenza si realizza un controllo, può essere salvato il principio del controllo sulla situazione. Si tratta di costruire un'articolazione di questo genere. Quello degli istituti come Pianosa e l'Asinara è un punto delicato; è vero che i detenuti non li gradiscono... RAFFAELE BERTONI. Non dobbiamo cedere, su questo punto. ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Non li gradiscono anche per l'esistenza di alcuni aspetti che non sempre ci fanno onore, come rappresentanti dello Stato. Pagina 468 RAFFAELE BERTONI. Ho visto recentemente l'istituto di Pianosa: è un bel carcere, se ci fosse a Napoli un bel carcere come quello... ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Beh, ad esempio rende estremamente difficile il rapporto legittimo con i familiari e con i difensori. GIUSEPPE SCOZZARI. I soggetti che vi vengono destinati non stanno facendo il servizio militare! ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Intendo dire che i colloqui sono concessi, ma non se ne può usufruire perché vi sono difficoltà di collegamento. FLAVIO CASELLI. Sono stato a Pianosa due o tre mesi fa durante una missione della Commissione giustizia della Camera e posso dire che, a mio avviso, si tratta di strutture altamente meritorie, per vari motivi. Innanzitutto sono bei carceri, che hanno un ottimo clima - non dimentichiamolo - pur essendo ovviamente caratterizzati da forti precauzioni. La qualità del personale è ottima, come ho constatato di persona. Rimane il problema del colloquio con i familiari: tuttavia, avendo ascoltato alcuni detenuti, abbiamo riscontrato non tanto un problema di collegamento, o di difficoltà finanziarie delle famiglie per raggiungere il posto, ma un rifiuto da parte loro di un determinato tipo di colloquio. Lei, dottor Margara, conosce meglio di me la mentalità di questi particolari criminali: effettivamente, sono loro stessi che rifiutano certe condizioni e per questo si lamentano delle difficoltà nei rapporti con le famiglie. Tuttavia, come si osservava, è vero anche che non stanno facendo il servizio militare: alcune possibilità vengono loro assicurate, anche se i controlli sono rigidi. Personalmente, però, ritengo che un carcere di questo genere soddisfi pienamente quelle che sono le esigenze: d'altro canto, si tratta di pochi istituti, che a mio avviso sono idonei allo scopo. Questa è la mia opinione. ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Vi sono, però, molti prezzi, cioè quelli cui ho accennato, che riguardano il personale, l'aspetto organizzativo... FLAVIO CASELLI. Ma quali prezzi paga la società per questi signori? ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Comunque, il problema della localizzazione va affrontato ma è organizzativo e successivo a quello normativo: ho l'impressione che se si affrontasse quest'ultimo nei termini cui accennavo, con una revisione della disciplina normativa sulla massima sicurezza, si darebbe una risposta più efficace e che si sottrarrebbe anche alle discussioni. Potrebbe essere, cioè, una risposta con la stessa efficacia ma che si sottrae al conflitto fra persone di ottima volontà da una parte e dall'altra, che tuttavia non sono d'accordo su questo punto e mostrano, a mio avviso, una crepa nell'atteggiamento verso la mafia che una risposta normativa complessiva ed ordinaria potrebbe superare. Alla discussione fra 41-bis sì, 41-bis no, la risposta è una normativa che sostituisca il 41-bis ed abbia un'efficacia maggiore e più incontrovertibile, perché meno discutibile. ALBERTO SIMEONE. Mi riaggancio immediatamente, caro presidente... Mi posso arrogare il diritto di aggettivarla con il caro, perché ho avuto occasione più di una volta di svolgere discussioni davanti al tribunale che ella presiede, davvero con grossa umanità e capacità: la mia non è un'adulazione, ma una constatazione, perché l'ho potuto verificare in più di un'occasione. Voglio dunque collegarmi immediatamente alla sua ultima affermazione circa una rivisitazione dell'articolo 41-bis per renderlo molto più efficace di quanto sia oggi: in che senso, quindi, va rivisitato secondo il suo punto di vista? Pagina 469 ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. E' una domanda, o sta già dando una risposta? ALBERTO SIMEONE. Io non do una risposta: premetto che non sono contrario all'articolo 41-bis, perché ritengo che esso abbia mostrato di poter produrre qualche risultato, quanto meno deterrente. Cosa pensa lei di un'ulteriore estensione dell'articolo 41-bis anche a detenuti per reati non così gravi come quelli previsti dall'articolo 416-bis? ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Quando accenno all'esigenza di riscrivere la disciplina sulla massima sicurezza, un'implicazione è anche quella cui lei fa riferimento. In pratica, una normativa che ricorda all'incirca più l'articolo 41-bis che l'attuale articolo 14-bis può essere estesa ad altri soggetti che non sono quelli per i quali l'articolo 41-bis è stato scritto. Il problema esiste ed è quello che da sempre caratterizza la questione della massima sicurezza, che in realtà non è mai scomparsa ed è sempre esistita. Il circuito è sostanzialmente rimasto: una volta conclusa la vigenza dell'articolo 90 (dal 1983 non è stato più applicato), il quale faceva sì che vi fossero carceri definiti differenziati, si è passati ai cosiddetti carceri ex differenziati, che stavano negli stessi luoghi di prima, anche se era cambiato il regime. RAFFAELE BERTONI. Era clandestino; dopo il 41-bis no. ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Tuttavia, con un regime ordinario generale si portano all'evidenza ed al controllo effettivo, anche giurisdizionale, le situazioni che da sempre sono rimaste, invece, clandestine e che vi sono ancora. Quella di Livorno, per esempio, è una sezione di massima sicurezza, alla quale si viene mandati con un provvedimento del DAP e dalla quale si esce non con un normale trasferimento ma con un provvedimento dello stesso DAP, che decide che una certa persona non deve più stare in quella sezione. E' vero, quindi: ad un certo momento, abbiamo un regime più esteso. Personalmente ipotizzo che si possano avere anche, nell'ambito della massima sicurezza, delle differenziazioni di regime: questo è sicuramente possibile; vi possono essere istituti più o meno rigidi, a seconda che ve ne sia più o meno bisogno in relazione alle persone interessate. Tuttavia, ad un certo momento, si arriva alla chiarificazione della massima sicurezza, che diventa un fatto chiaro e controllato. La Corte costituzionale, d'altronde, ha stabilito che si debba trattare di un fatto chiaro e controllato con riferimento all'articolo 41-bis, e dovremmo ispirarci al medesimo principio in generale, e non soltanto per quanto riguarda questo specifico articolo. ALBERTO SIMEONE. Presidente Margara, le chiedo ancora: non crede che una differenziazione penitenziaria dei detenuti (a parte quelli a cui è applicato l'articolo 41-bis), ossia una netta separazione fra i detenuti in base ai reati commessi, possa portare ad un miglioramento da un punto di vista sociale, sotto l'aspetto del crimine? Anche alla luce degli ultimi avvenimenti e della commistione fra detenuti normali e politici, lei non pensa che una differenziazione carceraria, tenendo in un certo settore determinati detenuti che abbiano compiuto certi reati ed in altri settori detenuti che abbiano compiuto diversi reati, possa migliorare anche il sistema carcerario? Teniamo presente che - almeno per la mia esperienza, che è ormai notevole - la commistione produce altri reati e strane alleanze, anche fra la delinquenza comune e politica. La sua esperienza come presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze le fa intravedere possibili soluzioni al problema di un'indifferenziata detenzione? ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. E' noto che vi siano i problemi cui accenna l'onorevole Simeone, fra l'altro per gli avvenimenti emersi recentemente anche se Pagina 470 riferiti ad una data precedente. Le carceri di massima sicurezza degli anni settanta-ottanta erano effettivamente luoghi di aggregazione "diplomatica" di spezzoni criminali di vario genere e matrice; ora, per la verità, mi sembra che l'operazione sia più selettiva. A Pianosa, per esempio, vi sono camorristi, anche di grosso rilievo, oltre ai mafiosi che sono la maggior parte: ormai, però, i politici sono praticamente fuori dal circuito, ad eccezione degli irriducibili e delle ultime leve, che tuttavia si trovano in zone molto diverse. Il collegamento fra organizzazioni criminali diverse, comunque, può esservi: probabilmente, quindi, bisognerebbe affrontare il problema. Se si tratta di una guerra, bisogna farla con i generali che stiano attenti a come si muovono le truppe ed occorre porsi effettivamente questi problemi. E' accettabile che i camorristi stiano insieme con i mafiosi? Serve o no? Il carcere di Pianosa, per esempio, ha due grandi padiglioni, ognuno dei quali diviso in tre sezioni, ciascuna delle quali divisa in tre settori: consente, quindi, una serie di separazioni interne, che possono essere notevoli. In quell'istituto, quindi, se si vuole affrontare quello che è effettivamente un problema, lo si potrebbe risolvere. ALBERTO SIMEONE. Presidente, l'ordinamento penitenziario così come è oggi strutturato soddisfa ampiamente le esigenze della politica criminale, oppure no? Personalmente non parlerei di rivisitazione legata soltanto all'articolo 41-bis; mi sembrerebbe piuttosto opportuna una rivisitazione generale dell'intero ordinamento penitenziario, anche considerata la situazione attuale. PRESIDENTE. Onorevole Simeone, non possiamo allargare eccessivamente il discorso. ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. L'ultimo punto della relazione che abbiamo consegnato alla Commissione è dedicato proprio a tale problema: vi è, infatti, anche un nostro notevole interesse al riguardo. Noi vorremmo che la rivisitazione fosse complessiva, perché sono arrivati decreti con la tecnica normativa - anche sommaria - che li contraddistingue: essi hanno creato una notevole confusione, per cui in pratica bisognerà probabilmente rivedere tutto, se esiste la volontà di farlo, per non creare ulteriori ingiustizie. A questo punto, infatti, vi è qualcosa fuori dal circuito della criminalità organizzata che suona come un'ingiustizia, proprio per l'effetto tuttora perdurante di quei decreti in certe situazioni. ALBERTO SIMEONE. Se il presidente della Commissione mi consente un'ultima chiosa, ho l'impressione che a volte ci troviamo di fronte al timore che certe proposte o certe affermazioni possano ledere le cosiddette convenzioni sociali: siamo spesso, insomma, schiavi delle convenzioni sociali e quindi evitiamo di affrontare i problemi e di portarli a soluzione. ALESSANDRO MARGARA, Presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Speriamo di non avere questo tipo di remore! PRESIDENTE. Ringrazio il presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze, dottor Alessandro Margara, il cui contributo è stato per noi molto utile. La seduta termina alle 19,25.