Pag. 31 COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, GIULIANO AMATO E DEL MINISTRO DELL'INTERNO, NICOLA MANCINO, SULLO STATO ATTUALE DELLA LOTTA ALLA MAFIA PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Comunicazioni del Presidente del Consiglio, Giuliano Amato e del ministro dell'interno, Nicola Mancino, sullo stato attuale della lotta alla mafia: Violante Luciano, Presidente ........................ 33, 39 43, 45, 48, 60, 63, 65, 70, 74 Acciaro Giancarlo ....................................... 54 Amato Giuliano, Presidente del Consiglio dei ministri ................ 33, 39, 40, 56, 60, 62, 63, 64, 65 Bargone Antonio ..................................... 49, 50 Biondi Alfredo .......................................... 57 Borghezio Mario ..................................... 64, 68 Boso Enzo ........................................... 52, 53 Brutti Massimo .......................................... 66 Cabras Paolo ............................ 50, 52, 62, 64, 68 Calvi Maurizio .......................................... 49 D'Amato Carlo ........................................... 65 Florino Michele ..................................... 43, 48 Folena Pietro ........................................... 67 Frasca Salvatore ........................................ 52 Galasso Alfredo ......................................... 54 Grasso Gaetano .......................................... 69 Mancino Nicola, Ministro dell'interno ........... 40, 43, 44 45, 48, 50, 70, 72, 73 Matteoli Altero ..................................... 53, 56 Riggio Vito ............................................. 64 Rossi Luigi ............................................. 53 Sorice Vincenzo ......................................... 65 Taradash Marco .......................................... 59 Tripodi Girolamo ............................ 58, 64, 72, 73 Sui lavori della Commissione: Violante Luciano, Presidente ............................ 33 Sulla pubblicità dei lavori: Violante Luciano, Presidente ............................ 33 Pag. 32 Pag. 33 La seduta comincia alle 16,45. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Sulla pubblicità dei lavori. PRESIDENTE. Informo la Commissione che, ai sensi dell'articolo 13 del regolamento interno, la pubblicità delle sedute sarà di norma assicurata anche mediante l'impianto audiovisivo a circuito chiuso, salvo che non si faccia richiesta di seduta segreta. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito. (Così rimane stabilito). Sui lavori della Commissione. PRESIDENTE. Comunico alla Commissione che ciascun gruppo dovrà designare i componenti della rappresentanza che dovrà recarsi a Messina all'incontro con le associazioni antiracket, il prossimo martedì; faccio presente che per ragioni di trasporto aereo la delegazione dovrà essere formata da una decina di componenti. Comunicazioni del Presidente del Consiglio, Giuliano Amato, e del ministro dell'interno, Nicola Mancino, sullo stato attuale della lotta alla mafia. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca comunicazioni del Presidente del Consiglio, Giuliano Amato, e del ministro dell'interno, Nicola Mancino, sullo stato attuale della lotta alla mafia. Ringrazio il Presidente del Consiglio e il ministro dell'interno per essere intervenuti e do subito la parola al Presidente Amato. GIULIANO AMATO, Presidente del Consiglio dei ministri. Signor presidente, colleghi parlamentari, vi ringrazio in primo luogo per aver invitato me e il ministro dell'interno a quella che, se non sbaglio, è la prima riunione di lavoro della Commissione dopo il suo insediamento. Desidero rallegrarmi con il presidente perché sono sicuro che dietro la sua guida la Commissione continuerà l'utilissimo lavoro già svolto con il presidente Chiaromonte, ora passato ad altro incarico che sono certo assolverà con le medesime capacità ed il medesimo equilibrio con cui ha operato nel ruolo ora ricoperto dall'amico Violante. La Commissione, tra l'altro, è, forse ancor più di altre Commissioni parlamentari, un interlocutore continuo ed interattivo del Governo (fatto ovvio nel rapporto tra Governo e Parlamento, ma che non esclude la constatazione di rapporti particolarmente sottolineati). E' questo, infatti, un rapporto particolarmente sottolineato dall'esperienza, dal lavoro che è stato fatto, dalle analisi che sono venute dalla Commissione, dalla proposte che queste analisi hanno permesso di formulare e dagli esiti normativi che il Governo e il Parlamento ne hanno poi in più occasioni ricavato. Il lavoro e l'impegno che finora il nostro Governo (che ha una vita breve, di soli due mesi e mezzo) è riuscito a svolgere nella lotta alla criminalità organizzata hanno dato risultati positivi di cui non è giusto che ci attribuiamo interamente Pag. 34 il merito; se, infatti, esiste un settore nel quale il pregresso ha rappresentato una base positiva sulla quale si è potuto costruire ciò che nel nostro presente è avvenuto, questo è proprio il settore della lotta alla criminalità organizzata. Erano in precedenza intervenuti, prima del nostro arrivo, sforzi di riorganizzazione, sforzi di organizzazione, sforzi di impostazione di nuova normazione che in parte, come spesso accade, erano rimasti alla fase del lavoro che non ha ancora raggiunto il suo esito. Alcuni esiti si sono verificati quando siamo sopraggiunti ed è giusto da parte nostra dare atto di una capacità che si era via via manifestata che, in qualche caso, ci ha consentito di raccogliere semplicemente i frutti di un lavoro precedentemente iniziato; in qualche altro caso, invece, abbiamo impostato noi il lavoro ottenendone risultati. Nonostante questo, è un dato di fatto che gli episodi nuovi, gravi e violenti con i quali ci siamo trovati a misurarci nei brevi mesi della nostra esistenza, e la recrudescenza dei fenomeni, con i due spaventosi delitti che si sono verificati a Palermo, ci hanno inizialmente dato la sensazione di una sorta di arretramento della capacità di fronteggiare tali episodi, facendo generare poi, nel corso di un'estate piena di preoccupazioni su tanti altri fronti, ipotesi diverse: è davvero mafia? E' la mafia che sta utilizzando tecniche nuove oppure la presenza di tali nuove tecniche è espressiva di un fenomeno esso stesso nuovo e diverso? Anche teorie formulate dall'ex ministro Scotti e da me riprese, di per sé ragionevolmente possibili, come quella che il delitto Falcone sia stato commesso a Palermo ma deciso al di fuori di quella città, ancorché potessero semplicemente significare che l'organizzazione mafiosa non è isolana ma ha ormai una dimensione internazionale, sono state intese anche come ipotesi di connessione tra mafia ed altri fenomeni di destabilizzazione: che vi sia qualcuno interessato a destabilizzare l'Europa e quindi intenda destabilizzare l'Italia per avere effetti in Europa. E' stata un'estate durante la quale la gravità di questi episodi ha anche portato alla formulazione di ipotesi ancor più gravi di quanto per noi (e basta e avanza) lo sia di per sé la forza intrinseca dell'organizzazione mafiosa. Devo dire che, per scrupolo, ho cercato di fare gli accertamenti possibili in merito alle varie ipotesi, anche perché rispetto ad esse compiere accertamenti non è semplice. Posso dirvi in tutta coscienza che quel che ho potuto accertare mi ha portato ad escludere che quelle ipotesi avessero un fondamento, anche solo per "brandelli". Concordo, in tal senso, con quanto affermato ieri a Palermo dal ministro della giustizia, il quale ha ricondotto la criminalità mafiosa alla criminalità mafiosa, quand'anche questa sia grande, possente e non solo isolana o nazionale. Credo sia giusto quanto affermato dal ministro di grazia e giustizia: per quello che ho potuto capire e accertare, non è stato portato nulla alla mia attenzione che possa provare quelle ipotesi. Tali ipotesi - lo ripeto - hanno concorso a rendere particolarmente difficile ed ansiosa l'estate che abbiamo vissuto nonché la costruzione di nuove ed ulteriori barriere nei confronti del fenomeno criminale. Il Governo ed il Parlamento sono tuttavia riusciti insieme a costruire queste nuove barriere nei mesi scorsi, con risultati che possiamo al momento ritenere soddisfacenti. E' anche pericoloso usare queste espressioni. Tempo fa un giornalista americano mi ha chiesto se ritenessi che avessimo vinto: gli ho risposto di tornare indietro negli anni, a quando nel suo paese venne arrestato Al Capone: fu vinta allora una guerra o una battaglia? Che cosa accadde? In realtà, noi ci troviamo oggi un po' in quella condizione. Abbiamo riportato significativi successi in questi mesi. Possiamo dire che è meglio così e che siamo sulla strada giusta, ma non oso dire niente di più, perché sarebbe imprudente farlo. Certo, mi sento nella condizione di chi, combattendo una guerra lunga e defatigante, animato dalla convinzione di doverla vincere, ha ottenuto buoni risultati; ma si Pag. 35 tratta di una guerra ancora in corso e che deve continuare con mezzi ed attenzione crescenti, non decrescenti. Cosa ci ha aiutato a raggiungere i risultati che finora abbiamo conseguito? Quali sono i problemi che restano tuttora aperti e sui quali credo che più di me possa soffermarsi il ministro dell'interno, esponendoveli in termini ancor più intrinseci alla tematica che stiamo affrontando? Posso dire, senza retorica, che senz'altro ci ha aiutato il clima che è progressivamente cambiato soprattutto in Sicilia, ma non solo in questa regione, negli atteggiamenti collettivi di fronte al fenomeno mafioso. E' indiscutibile che non si combatte la mafia né la criminalità organizzata soltanto con manifestazioni popolari o sollecitando i cittadini a solidarizzare con le istituzioni; ma non v'è dubbio che se tutto ciò esiste, magari manifestandosi in misura sempre più crescente, l'isolamento del fenomeno mafioso - che è compito delle istituzioni realizzare - diviene più facile, e in talune circostanze diviene possibile (il che non significa più facile, perché in assenza delle condizioni che ho sopra ricordato non sarebbe neanche possibile). Valuto quindi positivamente il fatto che attraverso fenomeni diversi - ribellioni individuali, coraggio civile di singoli, manifestazioni collettive - si sia determinata una situazione in cui l'antico e forte usbergo della mafia - che nei cerchi più ristretti significa collusione e collaborazione, mentre nei cerchi più lontani significa silenzio - sia venuto a restringersi. E' questo che ci ha molto aiutato nel nostro lavoro. Ma ci ha aiutato anche il lavoro di impostazione, che era venuto anche dalla Commissione antimafia nella precedente legislatura, di una normativa più forte nei confronti del fenomeno mafioso. E' da tale normativa che sono derivati gli strumenti - tra questi, alcuni volti all'isolamento dei mafiosi -, che hanno avuto la loro premessa in quel fattore collettivo e civile di cui prima parlavo. Devo sottolineare che ciò ha rappresentato un salto importante nell'impostazione giuridica del nostro sistema di difesa, nonostante gli equivoci e le difficoltà che abbiamo dovuto superare. Personalmente, ero tra coloro che non avrebbero accettato con facilità che il codice di procedura penale di nuova impostazione venisse, nel suo insieme, stravolto, cancellato o modificato per tutti i reati o per tutti i procedimenti in ragione di questa esigenza. Ma non potevamo non renderci conto che questa eccezionale esigenza non riusciva ad essere adeguatamente soddisfatta tramite la normalità del nuovo codice di procedura penale. Quest'estate Governo e Parlamento hanno così compiuto insieme una scelta che considero importante e positiva, quella di prendere atto che dovevamo adottare una normativa in parte diversa anche sul piano processuale, per quanto attiene alla prova, al trattamento di chi collabora e per tutti gli altri aspetti che tutti voi ben conoscete, almeno chi ha fatto parte della precedente Commissione, la quale ha lavorato in tal senso proprio sul piano tecnico. Ritengo che la scelta compiuta, che reputo necessaria, sia costituzionalmente corretta, anche perché essa ha a suo fondamento una vecchia (risale infatti a trenta anni fa) decisione della Corte costituzionale, la quale ammise che di fronte al fenomeno mafioso lo Stato è legittimato ad usare strumenti a cui non potrebbe far ricorso nella normalità della trattazione delle altre fattispecie penali. E oggi siamo in presenza non di singoli fatti criminosi ma proprio di fatti criminosi attraverso i quali si esprime un'organizzazione che, essendo caratterizzata da una forte carica antistatuale, risulta pericolosa per le istituzioni e non soltanto per quella parte della convivenza che di volta in volta può essere colpita da singoli reati. E' importante che tale scelta sia stata compiuta insieme e che sia avvenuta in un certo modo, probabilmente nuovo per le nostre abitudini. Infatti, abbiamo evitato di impantanarci in lunghissime discussioni circa l'opportunità o meno di leggi eccezionali (discussioni Pag. 36 che spesso portano alla conclusione di se medesime e a nessun'altra conclusione operativa) e abbiamo creato un binario distinto per questi fatti. Saranno poi i giuristi e gli altri a decidere di che cosa si tratti, ma di questa scelta sono convinto, ritengo che sia giusta e che abbia già molto influito sui risultati che abbiamo raggiunto. Del resto - lo dico senza retorica - credo tutti sappiano che Borsellino stava correndo nel suo lavoro proprio per il timore che le norme contenute in un decreto non venissero convertite dal Parlamento e conseguentemente lo privassero della possibilità di acquisire le prove su cui stava lavorando. Ciò è noto, mi risulta per testimonianza personale diretta, per cui ne sono assolutamente certo. Chi non è d'accordo potrà dire che Borsellino sbagliava, ma per quanto mi riguarda è un dato di fatto su cui non ho il minimo dubbio: questo era ciò che lui pensava, questo era ciò che lo stava portando a lavorare con particolare intensità in quegli ultimi giorni della sua vita. Prova, protezione dei pentiti, isolamento dei detenuti mafiosi per staccarli dal loro hinterland, possibilità di ingresso negli stabilimenti penali con orecchie capaci di ascoltare costituiscono tutto ciò che il Parlamento ci ha autorizzati a fare e che subito i Ministeri dell'interno e di grazia e giustizia hanno posto in atto. Abbiamo anche provveduto ad articolare meglio il controllo del territorio, il che rappresenta un altro fattore importante in una situazione sociale peculiare qual è quella di Palermo e di altre aree siciliane. Si può discutere a lungo sull'uso di uomini provenienti dalle forze armate per compiti di ordine pubblico. Ma è un dato di fatto che essi, agli ordini del prefetto, abbiano contribuito - e stanno contribuendo - all'esercizio del compito, che non è militare, di rafforzare i nostri presidi a tutela di obiettivi specifici e di zone più vaste, per il controllo delle quali ci saremmo trovati in difficoltà disponendo esclusivamente degli uomini delle forze dell'ordine. Queste ultime, per altro, sono state interessate da un rafforzamento generale: abbiamo inviato uomini dell'esercito ma anche più uomini dei carabinieri, della pubblica sicurezza e della stessa Guardia di finanza. Gli effetti si sono visti, perché nelle zone interessate si è registrata, negli ultimi mesi, non solo una diminuzione del numero degli omicidi e di altri delitti, ma anche un incremento delle denunce e del numero dei soggetti deferiti alla magistratura. A questo lavoro hanno concorso e stanno concorrendo anche i servizi di sicurezza, a proposito dei quali aggiungo che, dopo l'entrata in vigore della legge n. 410, sta avvenendo un cambiamento: i servizi si stanno nuovamente orientando verso la criminalità organizzata, seguendo una strada che giudico positivamente. Ricordo che molti anni fa, quando me ne occupavo personalmente - anche se in parte -, sia il Parlamento sia il Governo manifestarono la preoccupazione opposta, cioè quella di fare in modo che della criminalità ordinaria si occupassero soltanto la pubblica sicurezza ed i carabinieri e che i servizi si concentrassero su altri fenomeni. La legge n. 410, quindi, richiedendo ai servizi, giustamente, di scendere su questo terreno, ha implicato una sorta di inversione di rotta che ha comportato per i servizi stessi la riorganizzazione dei loro centri e corsi di formazione del personale, nonché una diversa attenzione nell'analisi dei fenomeni. Il lavoro compiuto comincia a dare i suoi frutti, tanto che li constatiamo quotidianamente: i fenomeni mafiosi e di criminalità organizzata non sono più oggetto solo di analisi nazionali, proprio perché, per esempio, si cerca di capire le loro connessioni ed i loro rapporti con i flussi del narcotraffico dell'est, del sud e dell'ovest. Entrambi i servizi ci offrono informative specifiche sui vari aspetti connessi alla criminalità organizzata. Vi sono operazioni conclusesi positivamente grazie a tali informative, a proposito delle quali voglio sottolineare che non si tratta di notizie di polizia giudiziaria ma di informative che devono essere vagliate, per valutarne la utilizzabilità ai fini penali, Pag. 37 da parte dei giudici e di coloro ai quali i giudici stessi affidano compiti di polizia giudiziaria. Non v'è dubbio che in concreto il riscontro c'è stato, ed è noto - anche troppo - che l'operazione Green ice si deve, in gran parte, al lavoro dei servizi e a ciò che essi avevano preparato. Vorrei adesso soffermarmi sui problemi tuttora aperti e che rivestono una particolare importanza. Ve ne sono diversi, ma vorrei sottolinearvene soltanto tre, nonostante sia certo che già li conosciate. Il primo è relativo al coordinamento, non solo con i paesi europei ma anche con altre nazioni, e alle armonizzazioni legislative di cui tale coordinamento può necessitare da più punti di vista. Dico subito che già si è fatto molto e che da anni il Ministero dell'interno sta costruendo rapporti bilaterali e multilaterali: proprio alcuni giorni fa siamo quasi giunti ad un punto di operatività per Europol - la quale rappresenta, in qualche modo, il braccio di polizia di Maastricht - , nel senso che i ministri dell'interno e della giustizia hanno posto le basi per la sua realizzazione. E' comunque indiscutibile che soltanto da poco tempo alcuni dei nostri partners si siano resi conto del fatto che il problema non riguarda soltanto l'Italia ma anche loro, e nella stessa misura in cui interessa noi. Negli Stati Uniti la situazione è conosciuta benissimo, tanto che la collaborazione con gli americani è una di quelle più tradizionalmente avviate. E' assolutamente necessario che con la Francia, la Germania ed altri paesi vi siano rapporti dello stesso tipo e vi sia - perché può e deve esservi - una omogeneizzazione legislativa. Non possiamo assolutamente gestire il fenomeno con una legislazione giustamente severa (per cogliere il riciclaggio e per definire i flussi di finanza sporca) se i nostri partners europei, nei confronti dei quali vi è un generale principio di libertà di movimento dei capitali, non hanno una legislazione dello stesso tipo. Ciò significa che questi paesi si scaricano addosso un problema ben più grave, perché è evidente che i grandi filoni della criminalità organizzata a questo punto baipassano l'Italia, che diventa il luogo più difficile da attraversare sul piano finanziario, e portano i loro flussi direttamente fuori, aggravando la situazione negli altri paesi. Questo è un problema che esiste e che deve essere assolutamente risolto nel modo migliore, perché la collaborazione operativa nella quale sono impegnati i Ministeri dell'interno e di grazia e giustizia incontra dei limiti se il tessuto normativo non è omogeneo. Sollevo la seconda delicatissima questione, non come Presidente del Consiglio ma come persona che ha un passato ed una propria posizione sull'argomento (ovviamente, in questa sede la sollevo come Presidente del Consiglio). Dell'argomento mi sono occupato e ritengo giusto, anche se è doloroso, affrontarlo: mi riferisco all' incompatibilità culturale che si è venuta a determinare tra le misure di prevenzione ed il giudice chiamato ad applicarle. Sono tra coloro che hanno speso molti anni della propria vita per sostenere l'incostituzionalità delle misure di prevenzione; pertanto, se affrontiamo la questione dal punto di vista del diritto, mi è assolutamente difficile cambiare opinione. Ho scritto molto sul tema ma poi ho finito con il riconoscere che comunque, quando un istituto si radica in un sistema normativo, vuol dire che ha prevalso un principio di effettività. Rimane ferma la mia convinzione che nella storia dei primi vent'anni della Repubblica più che adattarsi le misure di prevenzione alla Costituzione sia stata questa ad adattarsi alle prime. Vi è stato, in effetti, un adattamento reciproco, che si è ridotto però alla riserva di giurisdizione perché i presupposti sostanziali delle misure di prevenzione hanno continuato a rappresentare un punto interrogativo rispetto ad esigenze di tipicità e legalità di una fattispecie comunque sanzionatoria e legata ad un giudizio di disvalore sulla persona. Sono consapevole di tutto questo e credo - lo dico senza iattanza - che pochi Pag. 38 possano insegnarmi qualcosa sull'argomento perché vi ho riflettuto troppo; tuttavia, al punto in cui siamo arrivati, le misure di prevenzione - che sono utili se riescono a diradare quel tessuto di solidarietà di primo e di secondo livello che il criminale mafioso trova intorno a sé e che tanto lo facilita ad avere un dominio del territorio con il quale non riesce a competere lo Stato - vengono portate, dall'applicazione giudiziale, davanti ad un soggetto che fortunatamente in quaranta anni si è abituato al fatto che si può colpire un soggetto solo in presenza di prove. Quarant'anni fa il problema non si sarebbe posto in questi termini perché i giudici di allora, abituati ad una cultura predemocratica, sentivano molto meno l'esigenza della prova rispetto a quanto la sentano oggi coloro che alcuni anni fa sono stati nostri allievi nelle università, sono cresciuti in questo clima e ritengono di non poter applicare la sanzione se non in presenza della prova. SAVERIO D'AMELIO. A giudicare dagli ultimi eventi ... GIULIANO AMATO, Presidente del Consiglio dei ministri. Vi sono sempre problemi, ma in questa sede ne stiamo affrontando uno diverso. Se, quando si applica una misura di prevenzione, si usa la medesima cultura della prova che si fa valere durante un ordinario giudizio penale, la misura di prevenzione viene proposta dall'autorità di pubblica sicurezza ma non viene applicata dal giudice: questa è l'esperienza; se consideriamo ciò che è avvenuto in questi anni in Sicilia, ce ne accorgiamo, al di là delle eventuali omissioni da parte dell'amministrazione (sia chiaro che non sto accusando nessuno). Se fossi giudice e mi venisse chiesto di applicare una misura di prevenzione, credo che anch'io avvertirei la stessa difficoltà: non essendo sufficientemente provato il presupposto, probabilmente rifiuterei di applicare la misura e non mi sentirei colpevole di omissione. Credo che delle misure di prevenzione, che personalmente non ho mai amato e non amerò mai, abbiamo tuttora bisogno nella logica di quella sentenza della Corte costituzionale che appunto di esse si occupò trent'anni fa. Quando la prima legge che estese alla lotta antimafia la legge del 1956 venne sottoposta al vaglio della Corte, questa, nutrendo i dubbi che tutti avevamo allora sulla legittimità costituzionale delle misure, sostenne che, nella lotta alla mafia, simili strumenti possono essere irrinunciabili. Se è così, essi devono funzionare, anche se si possono eventualmente studiare forme diverse. Pongo la questione come un quesito perché, quando arriva il momento della decisione, il Governo deve assumere la sua responsabilità e, come ha fatto l'estate scorsa, adottare gli strumenti normativi che ritiene necessari. Però, in nome di una collaborazione che vi è sempre stata, mi permetto di chiedere anche a voi di riflettere su questo tema e, prima che il Governo assuma le sue responsabilità, di trovare una occasione per affrontarlo insieme. Come dicevo, possono esservi forme diverse in quel punto di ambivalente equilibrio rappresentato nel nostro sistema (uso la storia nelle sue stratificazioni e non per giudicarla) dal procuratore della Repubblica o dal pubblico ministero. Non dimentichiamo che, nel decreto che il Parlamento ha approvato la scorsa estate, un organo del pubblico ministero - il procuratore nazionale antimafia - è stato investito del potere di deliberare la massima delle misure di prevenzione. E' una previsione contenuta in una legge della Repubblica. Si tratta di un punto di ambivalente equilibrio, perché per i ragazzi delle università è difficile comprendere cosa sia il pubblico ministero, un soggetto a due facce, che possono essere entrambe utilizzate. Ciò è già accaduto in una legge della Repubblica; comunque possono esservi anche altre soluzioni, come quella di prevedere l'applicazione esecutiva da parte dell'autorità di pubblica sicurezza, salvo revisione in un secondo momento da parte di organi giudiziari. Non voglio assumere alcuna soluzione, ma so che, Pag. 39 lavorandoci, può essere importante affrontare la questione per non frustrare uno strumento ed i funzionari pubblici che sono oggi impegnati nella sua utilizzazione in Sicilia. Il terzo problema che devo segnalare (ma non avrei bisogno di farlo) è quello del rapporto tra mafia, politica ed amministrazione, problema al quale si è cercato di dare qualche soluzione, prima dell'insediamento dell'attuale Governo, con la disciplina, più volte applicata, che investe lo scioglimento di consigli comunali. E' una strada sulla quale dobbiamo continuare a lavorare ma ve ne sono molte altre. Un lavoro viene anche condotto dalle due Camere e dalla Commissione bicamerale per le riforme istituzionali sul riordinamento delle discipline elettorali ed in genere sugli assetti istituzionali. Riterrei opportuno che la Commissione antimafia esprima, in termini non formali - non credo che ciò possa essere previsto - ma sostanziali, un parere sui congegni elettorali ed istituzionali che in altre sedi parlamentari sono in corso di elaborazione, per verificarne la maggiore o minore idoneità a sterilizzare infiltrazioni mafiose ovvero a favorirle (lo dico paradossalmente). Ho letto le varie ipotesi prospettate che prevedono l'elezione diretta dei sindaci, istituto nei confronti del quale ho sempre espresso il favore del Governo. Ritenendo la materia di competenza del Parlamento, ci siamo astenuti dall'assumere una posizione, salvo dichiarare fin da ora la nostra disponibilità a favorire l'entrata in vigore più rapida possibile delle soluzioni che risultino condivise. Senza esprimermi nel merito, riterrei utile che la Commissione antimafia valutasse, dal suo punto di vista, le soluzioni delle quali si parla e si esprimesse a proposito del potenziale di difesa dall'infiltrazione mafiosa che un'ipotesi a differenza di un'altra o come un'altra può contenere. Lo stesso può dirsi a proposito delle leggi elettorali nazionali. A mio avviso, è sbagliato inventare o praticare meccanismi istituzionali ai quali occorre ex post mettere una "pezza antimafia" che finisce per creare problemi. In alcuni casi nei quali è stato revocato l'elettorato passivo a dei cittadini mi sono trovato a disagio di fronte alla Costituzione della Repubblica; ho finito poi pro quota per accettarli, sempre in nome dell'eccezionalità del nemico che abbiamo davanti. Però, se a ciò si pensasse mentre il congegno (la legge elettorale) viene predisposto, non avremmo i problemi che ci troviamo davanti quando interveniamo ex post. Siccome ora stiamo attraversando una fase che è comunque costituente per il sistema elettorale locale e nazionale, mi permetto sommessamente di suggerire ai membri della Commissione di occuparsene dal punto di vista istituzionale che loro è proprio. Oggi tutti sostengono, giustamente, che le leggi elettorali non debbano essere più viste in funzione soltanto del tipo di maggioranza che permettono di formare, ma anche della quantità di quattrini che permettono di risparmiare nelle spese elettorali. Questa è un' angolatura giusta, che è entrata nella valutazione dei congegni elettorali: a mio avviso, tale valutazione va integrata anche attraverso l'ulteriore angolatura che ho illustrato. Concludo, ringraziando il presidente e la Commissione. PRESIDENTE. Anch'io ringrazio il Presidente del Consiglio dei ministri. Debbo fare una notazione brevissima. Mi pare che, in materia di misure di prevenzione, il Parlamento stia assumendo un orientamento favorevole a quelle patrimoniali, ma con una forte disincentivazione per quelle personali. La polemica del passato si rivolgeva a quelle personali, più che a quelle patrimoniali. Ora anche il ministro dell'interno ci dirà se, ad avviso del Governo, vi sia l'esigenza di rinverdire le misure di prevenzione personale oppure si tratti di utilizzare lo strumento solo per colpire i patrimoni di sospetta origine mafiosa. GIULIANO AMATO, Presidente del Consiglio dei ministri. Lascio questa valutazione Pag. 40 al ministro dell'interno, anche se essa appartiene soprattutto alla Commissione. Mi permetto di osservare, sul piano giuridico, che, anche se il problema è più grave ovviamente per le misure di prevenzione personale, sussiste comunque anche per quelle patrimoniali, poiché queste si reggono in realtà sullo stesso "semivuoto d'aria". PAOLO CABRAS. Le misure di prevenzione patrimoniale sono più efficaci. GIULIANO AMATO, Presidente del Consiglio dei ministri. Non sto ponendo questo problema. A mio avviso, si pone comunque quello che ho sollevato, anche se lo avvertiamo in maniera meno grave per le misure di prevenzione patrimoniale. NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Ritengo doveroso anche da parte mia rivolgere un saluto e un augurio di buon lavoro al presidente, ai componenti dell'ufficio di presidenza e ai deputati e senatori che fanno parte di una Commissione che svolge un'attività certo autonoma, ma che comunque interferirà in particolare nel lavoro del ministro dell'interno. La Commissione antimafia ha un duplice compito. In primo luogo, essa può procedere all'accertamento della capacità di funzionamento della legislazione anticrimine, con conseguente possibilità di proposte di revisione, come del resto è avvenuto nella passata legislatura; in secondo luogo, ha un potere di approfondimento e di indagine sul territorio in un settore che ci vede particolarmente esposti e perciò particolarmente impegnati. Nel corso della lettura della relazione che avverto il bisogno di rendere alla Commissione, mi soffermerò in particolare su alcuni aspetti: altri potranno essere approfonditi nel corso della discussione successiva. Profonda trasformazione della struttura, delle modalità di presenza dell'organizzazione complessiva della criminalità organizzata, evoluzione progressiva e ormai matura della mafia da rurale a urbana, salto di qualità con la razionalizzazione e la programmazione delle attività malavitose e soprattutto con l'impostazione dei processi di ripulitura del denaro sporco, fino alla costituzione di un impero economico in cerca di legittimazione attraverso la sistemazione dei profitti nei circuiti finanziari e produttivi, capacità di condizionamento e di infiltrazione nel tessuto del potere locale e, per converso, inarrestabile internazionalizzazione delle strutture non solo per la gestione coordinata di canali sicuri per il mercato della droga, ma anche per la collocazione diversificata dei capitali, spietata scelta degli uomini da eliminare, culminata negli assassini di Falcone e Borsellino, i due magistrati che prima e meglio di altri avevano intuito tempi e modi di questa evoluzione e strade nuove per un'effettiva opera di incisiva repressione: la sfida allo Stato era entrata in una fase nuova, in un certo senso ultimativa del consolidarsi del contropotere criminale. Tutti questi elementi, esposti scheletricamente, imponevano e impongono un deciso cambio di strategia nei confronti della mafia e il passaggio da una posizione meramente difensiva ad una fase dinamica di attacco, che importasse un affinamento degli strumenti legislativi di diritto sostanziale e processuale e una riorganizzazione e ridefinizione di quelli operativi. Il processo, già in atto da qualche anno, come ha giustamente sottolineato il Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Giuliano Amato, negli ultimi tempi ha avuto un'accelerazione, favorita da un lato dalla responsabile consapevolezza delle forze politiche e dei gruppi parlamentari, che ha permesso significative innovazioni normative, dall'altro dal risveglio della coscienza civile, che gradualmente va trasformando lo sdegno silenzioso e improduttivo dei tempi andati in partecipazione attiva, con punte di coraggiose testimonianze alla lotta al crimine. In questo clima politico e sociale sono maturati negli ultimi tempi successi significativi, Pag. 41 che sembrano concretare un'inversione di tendenza. Ho adoperato il termine "sembrano", perché è giusto ed opportuno sottolineare che si tratta di una ipotesi. In sintesi. Nel primo semestre di quest'anno si è registrato, rispetto all'analogo periodo del 1991, un decremento generale di delittuosità pari al 12 per cento; tale indice, se è rapportato ai delitti più gravi, cioè omicidi e rapine, si attesta sul 21 per cento. La flessione generale si riflette, sugli stessi parametri, anche nelle regioni a rischio, segnatamente in Sicilia, e sulla scorta dei dati operativi raccolti a tutt'agosto trova, più che conferma, una rassicurante accentuazione. Parallelamente cresce il numero dei soggetti denunciati all'autorità giudiziaria in misura pari all'11 per cento e di quelli arrestati, in misura pari al 21 per cento. Dall'inizio dell'anno alla fine di agosto la lotta alla droga, anche per effetto dei nuovi poteri conferiti alla magistratura e alla polizia giudiziaria con gli istituti delle "consegne controllate" e degli "acquisti simulati", ha registrato il sequestro di quasi 18 mila chilogrammi di sostanze stupefacenti (circa il doppio dei quantitativi sottratti al mercato nello stesso periodo del 1991) e l'arresto di 18.239 persone implicate nel traffico e nello spaccio, tremila in più rispetto all'anno scorso. La pesantezza della condizione penitenziaria, registrata nell'ultimo periodo, è anche un effetto di questo incremento di arresti. In tema di inchieste sui sequestri estorsivi, delle sei avviate su altrettanti episodi nel 1992, tre si sono concluse con l'arresto di nove responsabili e per sequestri consumati negli anni precedenti sono state tratte in arresto 24 persone. Significativo è il numero delle associazioni di tipo mafioso scoperte, 27, dal 1^ luglio al 30 settembre di quest'anno e il numero dei componenti, 605, deferiti all'autorità giudiziaria, che vanno a sommarsi ai 310 sodalizi scoperti e a 3.755 affiliati denunciati dal 1^ gennaio 1991 al giugno di quest'anno. Non ho evidenziato le cifre nella comunicazione alla Commissione soltanto per ragioni statistiche, ma perché ritengo siano rilevanti e comunque degne di una riflessione da parte della Commissione stessa. Notevole è il successo registrato nell'opera di localizzazione e cattura dei latitanti. L'attivazione di appositi gruppi operativi in ogni provincia, coordinati dal centro e in grado di muoversi con prontezza anche all'estero, ha agevolato l'arresto di latitanti di alta pericolosità tra i quali i camorristi Gionta, Bifulco, Mariano, Mallardo, Belforte, De Feo, D'Alessio, Alfieri; i mafiosi Garozzo, Madonia, Vernengo Pietro ed Antonio, Mangion, Miano, Madonia, i tre fratelli Cuntrera, Libri, i calabresi Pesce, Costa, Mazzaferro, Andricciola, Jerinò, Pagliuso, Campolo, Giampaolo e, da ultimo, Abbatino, che è il massimo esponente della banda cosiddetta della Magliana. Non si tratta di successi episodici. Il "gruppo integrato interforze" presso l'Alto Commissariato ha gestito un programma finalizzato alla cattura dei soggetti più pericolosi e ancora irreperibili, con il supporto, per i profili informatici, di un'apposita sezione della banca dati. L'esame del problema, operato dal Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata, ha portato alla ripartizione tra le forze di polizia dell'attività di ricerca dei latitanti. E' un'esperienza che ho giudicato e giudico positiva, da portare avanti anche con maggiore determinazione. Per favorire la pianificazione della specifica attività è in corso la distribuzione, da parte del dipartimento di pubblica sicurezza, di due opuscoli riguardanti i ricercati per fatti di criminalità organizzata e per sequestri di persona, con riferimento a 306 soggetti. Né va taciuta, soprattutto perché è il risultato di una collaborazione internazionale che va sotto molti aspetti rinsaldata, come ha detto il Presidente del Consiglio, l'operazione Green ice, che il 25 settembre ha portato simultaneamente in USA, Colombia, Canada, Spagna, Inghilterra e Italia, all'arresto di 202 trafficanti Pag. 42 internazionali di droga fra i maggiori, una vera holding del riciclaggio. L'opera informativa del SISDE, la collaborazione effettiva con la DEA statunitense e il Servizio centrale operativo del dipartimento di pubblica sicurezza hanno portato a sgominare un'organizzazione di impianto sofisticato e modernissimo e a recidere, in particolare, i canali di riciclaggio in cui si convogliavano gli interessi delle cosche mafiose, camorristiche e calabresi con i cartelli colombiani. Di questo avvenimento è stato dato maggior risalto negli Stati Uniti per la rilevanza dell'operazione, anche in relazione alla quantità degli arrestati ed un po' meno in Italia, anche se tale notizia è stata favorevolmente accolta all'interno del nostro paese. Essa è stata diffusa anche attraverso una conferenza stampa, tenuta in contemporanea dal ministro dell'interno in Italia e dal ministro della giustizia in America. Si è detto, di fronte a questi fatti, che la lotta istituzionale alla mafia stia vivendo uno dei suoi momenti più alti. Si è contemporaneamente affacciato il dubbio che possa trattarsi di una stagione felice ed effimera, una sorta di risposta obbligata allo sgomento e allo sdegno per l'assassinio di Falcone e Borsellino, destinata ad essere risucchiata col tempo nel grigiore dell'ordinaria amministrazione. Non è così, almeno la speranza è che non sia così. A determinare il trend migliorativo ha concorso in modo deciso l'attuazione di un persistente impegno di lotta delle forze dell'ordine, la cui opera è stata sostenuta da convinte forme di raccordo interistituzionale e da numerosi provvedimenti normativi che, concretando una legislazione differenziata, sostanziale e processuale, fra reato comune e reato di mafia, hanno fornito a magistratura e forze dell'ordine strumenti nuovi ed agili d'intervento, liberi dalle pastoie di un garantismo formale esasperato e generalizzato. E' in questa nuova realtà normativa ed organizzativa che si è delineata la strategia di attacco che va realizzandosi concretamente in questi ultimi tempi. Possiamo così individuare i punti operativi. Primo: rafforzamento dei presidi delle forze dell'ordine per il controllo del territorio. In Sicilia operano ordinariamente oltre 24 mila unità tra polizia, carabinieri e Guardia di finanza; ad esse sono stati recentemente aggiunti ulteriori contingenti: 1.200 appartenenti alla polizia di Stato, 1.030 ai carabinieri e 100 alla Guardia di finanza. A Palermo si è realizzato rispetto al 1987 un aumento di personale impiegato del 38 per cento; naturalmente si tratta di un'esperienza che non può essere estesa in altre regioni, tenendo conto delle difficoltà ma anche del blocco dei contingenti relativi. Secondo: utilizzo dell'esercito in funzione di vigilanza esterna degli istituti di pena, degli uffici giudiziari e delle abitazioni di magistrati e persone a rischio, nonché per la vigilanza mobile dei tratti stradali, autostradali e ferroviari. Si tratta di un'esperienza che, se ha suscitato qualche polemica, si è rivelata in Sicilia ed in Sardegna decisamente positiva. Se da un lato ha restituito interamente le forze dell'ordine ai più incisivi servizi di istituto, dall'altro ha costituito elemento non marginale del calo verticale della microcriminalità nelle due regioni e, di conseguenza, dell'inaridirsi dei campi di reclutamento tipici delle nuove leve della malavita. Da qui anche l'isolamento e la rottura di solidarietà che si sono verificate all'interno della mafia. E' un'esperienza che può essere allargata anche ad altre regioni ad elevato tasso di criminalità, sia pure con modalità diverse, quando occorra, che non comportino però attività di polizia giudiziaria. Terzo: privilegio ed intensificazione dell'azione di intelligence, sia quella affidata agli organismi ordinari di polizia collocati sul territorio, sia quella devoluta alle strutture specializzate nelle inchieste sul crimine organizzato, esercitando un forte inserimento ambientale supportato dal lavoro informativo dei servizi di sicurezza, che, in piena coerenza con le prescrizioni di legge, devono svolgere Pag. 43 ogni attività finalizzata a tenere al riparo la collettività "da ogni pericolo o forma di eversione dei gruppi criminali organizzati che minacciano le istituzioni e lo sviluppo della civile convivenza". Quarto: intensificazione, secondo le modalità organizzative già illustrate, dell'attività di localizzazione e cattura dei latitanti. Quinto: utilizzo crescente e coordinato delle opportunità, offerte dalla legge n. 356 del 1992, dei "colloqui investigativi" con detenuti ed internati e dell'ampliamento della gamma di intercettazioni, sia investigative sia preventive, ricorrendo a sofisticate strumentazioni tecnologiche. Questo è un punto sul quale vi è un giudizio fortemente positivo del ministro dell'interno, perché ha consentito, consente e credo consentirà un ulteriore contributo in termini di collaborazione e di intercettazione di alcuni colloqui che hanno consentito la cattura di molti latitanti. Sesto: rivisitazione delle strutture investigative per adeguarle alla nuova organizzazione giudiziaria, che ha visto la costituzione delle procure distrettuali. E' stata avviata la costituzione del XV centro interprovinciale Criminalpol di Trieste e di sezioni distaccate a Messina, Caltanissetta, Salerno e Lecce. Si tratta di organismi cui è elettivamente affidato lo sviluppo delle indagini sui più gravi delitti in un'ottica di raccordo funzionale con il servizio centrale operativo della polizia di Stato e con la DIA. Settimo: per lo sfruttamento massimo e più diffuso possibile delle legislazione premiale (questo è un altro punto rilevante) nei confronti di soggetti, liberi o detenuti, disposti a fornire elementi di conoscenza per la ricostruzione del mosaico delle attività delittuose del crimine organizzato, assicurazione pronta e totale di ogni forma di protezione prevista dalla legge. L'utilizzo prudente e responsabile del pentitismo è una delle indicazioni centrali della lezione di Falcone e Borsellino. Oltre e più dei benefici penitenziari, per renderlo efficace e possibile l'opera di protezione deve risultare effettiva e costante e posso assicurare alla Commissione che effettiva e costante è quest'opera da parte degli organi del dipartimento. Ottavo: la scelta di restringere al minimo lo spazio di raccordo tra mafiosi ed ambiente di provenienza, di evitare la paradossale ma concreta possibilità che gli stabilimenti penitenziari divenissero centri direzionali del crimine si è attuata, d'intesa con il ministro di grazia e giustizia, con il concentramento degli elementi di spicco e di maggiore pericolosità in carceri di massima sicurezza, dove sono assoggettati a strettissima e permanente vigilanza pur nel rispetto dei principi fondamentali che disciplinano il momento custodiale, nei termini in cui è stato ridisegnato e con le modifiche intervenute sul regime penitenziario. MICHELE FLORINO. Corrisponde al vero che il boss Carmine Alfieri è detenuto nel carcere di Ariano Irpino, contrariamente a quanto stabilito dal superdecreto, che teorizzava l'allontamento dei boss dai luoghi di residenza? Lo domando visto che lei si sofferma su questo aspetto fondamentale. NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Non ho una conoscenza diretta, so soltanto - per notizia che probabilmente ha percorso gli stessi canali che hanno consentito a lei, senatore Florino, di avere questa informazione - che nei primissimi giorni si diceva che fosse stato portato nel carcere speciale di Ariano Irpino. Da allora non ho più notizia. Posso dire solo questo. MICHELE FLORINO. Lei è il ministro dell'interno ... NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Ma non svolgo attività di sindacato sui penitenziari! PRESIDENTE. I colleghi che hanno intenzione di porre domande possono farlo alla fine dell'esposizione del ministro. Pag. 44 NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Nono: continuità rigorosa nell'azione di accertamento dell'infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto democratico di assemblee ed amministrazioni elettive. Lo scioglimento di 42 consigli comunali (e non è poco, anche per le dimensioni dei comuni) in cui corposo era il sospetto di inquinamento è la dimostrazione evidente di una volontà precisa, non condizionabile ad interessi di parte di alcun genere. Non mi sfugge l'osservazione del Presidente Amato su questo punto particolare, perché certo c'è da valutare che lo scioglimento del consiglio comunale travolge non solo i responsabili di collusioni, ma anche coloro che responsabili non sono. Questo è un problema di estrema delicatezza in un regime democratico e va valutato attentamente: non smentisco la rilevanza e l'importanza della norma, ma neppure mi sfuggono le sue conseguenze applicative nei confronti di tante persone per bene che si trovano, solo per caso, coinvolte in un giudizio severo di scioglimento per collusione con attività malavitose. Decimo: inasprimento deciso dell'aggressione ai patrimoni mafiosi. E' questa una delle linee portanti della strategia: colpire la ricchezza illecita significa da un lato minare il segno esteriore e più vistoso del potere mafioso, dall'altro comprimere una condizione concreta della sua operatività. E' perfettamente rispondente al vero il rilievo fatto dalla Commissione antimafia nella passata legislatura sul basso livello di applicazione, dopo un primo periodo di risultati apprezzabili, delle norme della legge Rognoni-La Torre. La ragione principale del fenomeno è da ricercarsi nell'estrema raffinatezza delle tecniche adottate dagli indiziati di mafiosità per eludere le misure: intestazioni incrociate, esportazioni di capitali, impianti in altri paesi di attività economiche e di copertura, reti sofisticate di società finanziarie. Le misure, con la legge n. 356, sono ora aggiornate e nettamente rafforzate. E' oggi possibile svolgere approfonditi accertamenti sui patrimoni sospetti (questo è un mio cruccio quasi quotidiano) fino a sottoporli ad amministrazione controllata senza dover provare la partecipazione del titolare ad associazioni di tipo mafioso; e si può giungere alla confisca dei beni e dei valori frutto di improvvisi arricchimenti di cui non sia dimostrata la legittimità di provenienza o che risultino fittiziamente intestati a terzi per eludere le misure antimafia e le norme antiriciclaggio. In questo delicato ed importantissimo settore concordo con le critiche espresse dal ministro Martelli ieri a Palermo e sono convinto dell'opportunità di rivedere la legislazione sostanziale e processuale (dobbiamo fare una riflessione: affido questo messaggio alla Commissione antimafia). Si sono già avuti i primi risultati: sulla scorta dell'istituto del sequestro preventivo di cui all'articolo 12-quinquies della nuova normativa, il valore dei beni colpiti ha raggiunto quest'anno circa i 464 miliardi di lire. Naturalmente la cifra è sempre opinabile e soggetta o a supervalutazione o a sottovalutazione. Su questo piano è comunque necessario recuperare la collaborazione, finora fievole ed estremamente sporadica, del sistema bancario. Anche in questo campo sarà opportuna una riflessione per un eventuale adeguamento normativo, poiché credo che la norma sia abbastanza contorta. Per superare difficoltà applicative e, in ogni caso, per mobilitare energie ed acquisire supporti informativi preziosi, ho deciso di organizzare nel prossimo mese di dicembre, d'intesa con la Banca d'Italia e sotto l'egida dell'ABI e del Banco di Napoli, che era già stato investito della questione dal mio predecessore, onorevole Scotti, un convegno nazionale per gli operatori finanziari, in modo da coinvolgerli profondamente nell'azione volta ad individuare modalità, procedure adeguate e strumenti per colpire la ricchezza di dubbia provenienza. Naturalmente in questo settore la conseguenza di una legislazione un po' più rigida, meno permissiva ha provocato anche un dirottamento di capitali in altri paesi, che sono ben lieti di ospitare un capitale che Pag. 45 attraversando le Alpi da sporco diventa immediatamente pulito; questo è un problema che sto valutando ed approfondendo anche nelle relazioni internazionali con i colleghi ministri dell'interno di altri paesi. Così penso, sempre più intensamente, all'introduzione normativa dell'obbligo - al riguardo ho trovato anche ampia disponibilità in un convegno dei notai svoltosi a Capri - per notai ed ufficiali pubblici roganti, di notifica ad un organo, naturalmente da definire, di ogni atto di disposizione patrimoniale e di costituzione di società, per avere la possibilità immediata di controllo e di verifica. La strategia d'attacco rimarrebbe monca e deficiente se non si rispondesse all'internazionalizzazione del fenomeno mafia con una relazione di salda collaborazione degli Stati contro la minaccia della criminalità. A questo proposito ho recentemente sostenuto a Bruxelles, nel corso della riunione dei ministri dell'interno e della giustizia - vi ha già fatto cenno il Presidente Amato -, la necessità dell'armonizzazione della legislazione di tutti gli Stati membri. Nella circostanza è stato fatto altresì il punto delle misure che dovranno essere adottate per concordare un sistema ottimale di raccordo internazionale nello specifico settore. Esse possono essere così riassunte: instaurazione di contatti sistematici e reciproca comunicazione ed informazione tra i servizi di polizia criminale dei paesi comunitari, da effettuare anche mediante lo scambio di funzionari di collegamento nel rispetto delle raccomandazioni adottate nell'ambito del gruppo Trevi (è questo un tema che va ulteriormente sviluppato); sviluppo in tempi brevi dell'Europol; opportunità, più volte sottolineata dall'Italia, dell'armonizzazione delle legislazioni nazionali con particolare riguardo alla lotta alle associazioni criminali ed al riciclaggio, sulla scorta degli indirizzi espressi dalla normativa comunitaria e dalla Convenzione di Vienna; organizzazione di riunioni periodiche tra gli specialisti delle forze di polizia dei paesi CEE competenti in materia di lotta al crimine organizzato ed ai traffici di stupefacenti. A Bruxelles ho trovato grandissima disponibilità da parte di tutti i ministri dell'interno affinché si possano realizzare scambi informativi anche attraverso lo scambio di funzionari dei dipartimenti di pubblica sicurezza, in modo da verificare le opinioni e concordare i comportamenti. La dimensione planetaria del fenomeno implica l'instaurazione di contatti con paesi extracomunitari, europei e di altri continenti, per utili scambi di esperienza e per meglio controllare le rotte della droga; quest'ultimo è un problema che si presenta in maniera acuta in questo periodo, soprattutto nel centro-est europeo. E' un problema serio riguardante l'incentivo che la liberalizzazione dell'economia ha comportato nei confronti degli scambi di carattere monetario, scambi ai quali si è affiancato un dirottamento verso i paesi dell'est di capitali anche sporchi (non dico solo sporchi). E laddove arrivano capitali sporchi, successivamente arriverà anche l'organizzazione malavitosa, come dimostra l'esperienza di qualche paese comunitario, situato ai confini con l'ex blocco sovietico, che di una simile situazione in questi ultimi mesi sta facendo le spese. PRESIDENTE. Esiste un quadro degli italiani fermati o arrestati nei paesi dell'est per detenzione di stupefacenti o per riciclaggio? NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Non ho approfondito questo aspetto; mi riservo, comunque, di fornire alla Commissione i dati relativi. Nell'ambito del dipartimento della pubblica sicurezza è stato infine costituito un gruppo di lavoro interforze per l'analisi complessiva dei rapporti internazionali in materia di sicurezza, con peculiare riferimento alla cooperazione tra Stati comunitari. Pag. 46 Mi sembra doveroso, a questo punto, riferire sullo stato di attuazione della normativa costitutiva della Direzione investigativa antimafia. Ho portato con me una raccolta di atti, documenti e provvedimenti che lascio alla valutazione della Commissione; in essa vi sono tutte le assegnazioni intervenute a seguito di concorsi che sono stati regolarmente svolti e che, all'atto dell'assunzione della mia responsabilità, ho solo sottoscritto come ministro dell'interno. Darò conto alla Commissione anche di una serie di provvedimenti che sono stati adottati durante lo scorso mese di settembre e che hanno consentito di rafforzare la struttura e di dare avvio (così come avevo promesso in Parlamento con tre mesi di anticipo) all'attività operativa della DIA. Per agevolare l'avvio dell'operatività della DIA (che può contare allo stato sulla disponibilità di circa mille elementi specializzati), si è deciso di conferire priorità di intervento alle aree, già individuate, di Palermo, Trapani, Agrigento, dell'Alto Reggino, dell'Agro sarnese nocerino e di Milazzo. Si colloca in questa prospettiva la costituzione di un nucleo DIA presso la procura distrettuale di Caltanissetta nell'ambito delle indagini per le stragi di Capaci e di via d'Amelio. Il nucleo è stato istituito fin dallo scorso mese di luglio su richiesta dell'autorità giudiziaria e costituisce un punto unitario di riferimento per tutte le forze di polizia, oltre che un modello sperimentale per la conduzione di indagini su fatti criminosi di particolare complessità. In attuazione di quanto previsto dalla legge 7 agosto 1992, circa il trasferimento alla Direzione investigativa antimafia, a decorrere dal 1^ gennaio 1993, del personale, delle dotazioni immobiliari, dei mezzi e delle attrezzature tecnico-logistiche a disposizione dell'ufficio dell'Alto commissario (si tenga conto che tale istituto cessa di esistere con due anni di anticipo rispetto alle previsioni legislative all'atto della costituzione della DIA), nonché circa l'opportunità di esercitare la delega delle competenze attribuite al ministro dell'interno, già riconosciute all'Alto commissario, è stata costituita un'apposita commissione per analizzare le relative problematiche e prospettare ipotesi di soluzione. Al termine dei lavori, la commissione ha predisposto una serie di provvedimenti in bozza, che sono stati portati all'attenzione del Consiglio generale per la lotta al crimine organizzato. Per quanto riguarda il personale dell'Alto commissariato, di concerto con le amministrazioni interessate ed in armonia con quanto disposto dal legislatore, si è deciso di trasferire alla DIA tutto il personale, ad eccezione di quelle poche unità che, in ragione della qualifica o grado o funzione attribuite, non possono essere impiegate presso la DIA. In tal senso l'operazione di trasferimento riguarderà tutto il personale delle forze di polizia sino al grado di colonnello e sino alla qualifica di vicequestore, primo dirigente incluso. Riguarderà, altresì, il personale dell'amministrazione civile sino alla qualifica di direttore di sezione. Si è deciso, peraltro, di far affiancare a scopo addestrativo il personale che in atto si occupa della gestione dei collaboratori della giustizia (che poi passerebbero sotto la gestione del dipartimento) con altro personale delle forze di polizia, che sarà destinato al servizio istituito con analoga finalità presso la direzione centrale della polizia criminale. Per quanto riguarda le dotazioni immobiliari e relativi arredi (in questo caso ho operato uno "scippo" proprio allo scopo di consolidare la presenza della DIA), le attrezzature d'ufficio, i mezzi e le strumentazioni tecnico-logistiche, si è deciso il loro completo trasferimento a disposizione della DIA, tenendo conto di quanto non ritenuto funzionale alle specifiche esigenze investigative e che potrà essere destinato ad una migliore utilizzazione da parte degli organi di sicurezza e di polizia. In tema di poteri conferiti al ministro dal 1^ gennaio 1993 e che a quella data potranno essere delegati, si è deciso Pag. 47 di delegare al direttore della DIA i seguenti poteri: potere di accesso e di accertamento presso banche; potere di accesso ai dati ed alle informazioni esistenti nell'apposita sezione del centro elaborazione dati; potere di richiedere al tribunale territorialmente competente l'applicazione di una misura di prevenzione personale nei confronti di indiziati di mafiosità; facoltà di convocare qualsiasi persona avvalendosi dei poteri di cui all'articolo 15 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza; potere di disporre l'esecuzione delle operazioni sotto copertura di cui alla legge n. 356 del 1992; legittimazione a ricevere le comunicazioni da parte del SISMI e del SISDE quando riguardino fatti comunque connessi ad attività di tipo mafioso, fermo restando che i direttori dei servizi dovranno inviare contestualmente le medesime comunicazioni (come avviene ancora oggi) al dipartimento della pubblica sicurezza, ai comandi generali dell'Arma e della Guardia di finanza, quando vi siano aspetti che riguardino attività di competenza istituzionale delle medesime. Si è deciso poi di delegare ai prefetti di volta in volta: poteri di accesso ed accertamento presso gli enti pubblici, sempre in conformità al dettato della citata legge n. 356; facoltà di richiesta di notizie e documentazioni ad imprese e società appaltanti di opere pubbliche, ai funzionari responsabili ed agli organi di controllo; facoltà di comunicare alle autorità competenti al rilascio di licenze ed autorizzazioni i requisiti soggettivi necessari per il rinnovo, la sospensione o la revoca dei medesimi atti. Si è deciso ancora di delegare al direttore generale della pubblica sicurezza la competenza a ricevere le segnalazioni di operazioni sospette ai fini della lotta al riciclaggio, nonché la facoltà di richiesta di copie, rapporti, perizie ed informazioni all'autorità giudiziaria. Si è deciso, infine, di individuare il dipartimento della pubblica sicurezza come organo competente all'aggiornamento delle mappe delle organizzazioni criminali. Sono state già approntate le bozze dei provvedimenti relativi. Per quanto riguarda l'assegnazione alla DIA del personale dei servizi centrali interprovinciali (questo è un punto "caldo") della polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza, la commissione ultimerà entro il mese di ottobre i propri lavori, determinando criteri e modalità dell'assegnazione medesima, nonché fissando i contingenti del personale stesso che dovrà essere trasferito alla DIA. A questo proposito debbo dichiarare di aver riscontrato grandissima disponibilità da parte sia della polizia sia dei carabinieri sia della Guardia di finanza; naturalmente si deve tener conto che in Italia non vi è solo il crimine organizzato ma esiste anche altra delittuosità da combattere e quindi sono necessari corpi speciali. Ciò significa che privare la polizia di Stato o i carabinieri per intero dei corpi speciali apparirebbe un errore (a mio avviso lo sarebbe); bisogna rafforzare la DIA senza indebolire le forze dell'ordine. I risultati dei lavori della commissione saranno quindi sottoposti all'attenzione del Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata in una delle prossime riunioni. In tal modo si confida che entro il 15 novembre potranno essere predisposti in bozza i provvedimenti formali, per completare l'intera operazione di potenziamento della Direzione investigativa antimafia a decorrere dal 1^ gennaio 1993. Con l'inizio del prossimo anno il ministro si riserva di valutare la congruità delle strutture, delle attrezzature e del personale per eventuali provvedimenti di carattere formale da presentare in Parlamento o di carattere più propriamente esecutivo ed attuativo, secondo la legge istitutiva della DIA che affida poteri di organizzazione del settore al ministro dell'interno. La creazione della direzione investigativa antimafia ha rappresentato un notevole sforzo sotto il profilo dell'armonizzazione delle strutture degli organi di polizia per superare le difficoltà che si sono riscontrate obiettivamente nell'attuazione Pag. 48 del coordinamento delle varie forze dell'ordine di tradizioni ed ordinamenti diversi. Coagulare in un unico momento organizzativo ed operativo l'attività di forze diverse, esaltando le capacità dei singoli corpi di polizia e valorizzandoli attraverso la convergenza verso obiettivi comuni, ha reso possibile anche raggiungere i risultati positivi che si sono già ottenuti. Mi sono mosso lungo questa strada per perfezionare ulteriormente il coordinamento ed ho proposto, con il disegno di legge attualmente all'esame del Senato della Repubblica di elevare, con la creazione di un segretariato generale, e di differenziare sotto il profilo delle specifiche responsabilità i compiti operativi e di direzione che spettano ai vertici dell'amministrazione della pubblica sicurezza. Di più non voglio aggiungere, perché si tratta di un disegno di legge ampiamente noto a questa Commissione - e non solo ad essa - nella quale anche confido affinché voglia promuovere tutte quelle iniziative che si ravvisino utili come contributo per una sollecita approvazione del disegno di legge. Signor presidente, onorevoli senatori, onorevoli deputati, ho inteso sottoporre alla vostra considerazione ed al vostro giudizio i dati salienti della situazione, le linee operative della nostra strategia, gli indici positivi di quella che sembra un'inversione di tendenza nella lotta alla mafia. Nessuna concessione all'ottimismo di maniera che sarebbe peraltro ingiustificato; vi rassegno, anzi, la consapevolezza che la lotta sarà lunga, dura e difficile ma non posso non sottolineare il clima di mobilitazione istituzionale che si è andato consolidando intorno al problema, un clima che sembra coinvolgere in qualche misura anche l'opinione pubblica e che comincia a condizionare positivamente il comportamento dei singoli cittadini. E' un momento importante, forse decisivo della grande sfida: se proseguiremo nell'opera intransigente, determinata, direi feroce di contrasto alla mafia, vedremo forse saldarsi (e sarebbe un fatto politico di grandissima importanza) la presenza operativa dello Stato con la partecipazione finalmente aperta della gente. I centomila di Palermo sono un esempio di questa grande mobilitazione: esprimo l'auspicio che possano esservi i centomila di Catania, di Napoli, di Bari, di Reggio Calabria, per portare l'esempio delle zone più esposte a questa esperienza criminale. Questa sarebbe la nuova frontiera determinante della lotta alla mafia. In questo processo, signor presidente, il contributo di approfondimento, di proposta e di stimolo che mi verrà dalla Commissione, risulterà certamente molto prezioso. PRESIDENTE. Comunico ai colleghi che Carmine Alfieri è detenuto a Pianosa. MICHELE FLORINO. Adesso sta a Pianosa ma è transitato per il carcere di Ariano Irpino. PRESIDENTE. Dal 6 ottobre è a Pianosa. MICHELE FLORINO. Insisto sul fatto che è transitato per Ariano Irpino. PRESIDENTE. Io non faccio né il direttore delle carceri né il ministro della giustizia; vi ho solo dato un'informazione. MICHELE FLORINO. Il ministro dell'interno lo dovrebbe sapere. NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Io devo sapere soltanto che è stato portato in un carcere. PRESIDENTE. Senatore Florino, il ministro dell'interno è già carico di sue responsabilità e non vorrei aggiungerne delle altre, certo non quella di sapere dove stanno i detenuti; anzi, qualche volta è meglio che non lo sappia. Poiché vi sono molti iscritti a parlare, darò la parola ad un oratore per gruppo e quindi agli altri, invitando i colleghi a contenere i propri interventi nell'ambito di cinque minuti, visto che nella seduta odierna si debbono solo porre questioni, Pag. 49 mentre le analisi politiche - se verrà ritenuto opportuno svolgerle - formeranno oggetto di un'altra seduta. MAURIZIO CALVI. Signor presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, signor ministro, parlamentari senatori e deputati, molti lo hanno già definito l'autunno della mafia: decine di pentiti, arresti eccellenti, sequestri immobiliari per centinaia di miliardi hanno significato la risposta concreta dello Stato al paese "nero", all'antistato. L'operazione Green ice, del resto, ha inferto un colpo mortale alle cosche mafiose legate ai signori della coca; merito di una legislazione prontamente andata a regime che ha permesso finalmente un'offensiva a tutto campo. Ma se da una parte dobbiamo rallegrarci per una strategia concretizzata in maniera egregia dalle forze di polizia opportunamente coordinate, dall'altra resta il rammarico e lo sconcerto per quella sorta di malefico silenzio che, dopo le suggestioni dei primi giorni, inevitabilmente cala sui grandi delitti di mafia. Perché, signor presidente, signor ministro, non si dà la stessa accelerazione ai procedimenti, alle inchieste aperte da sempre? Le verità su coloro che hanno provocato le morti di Falcone e Borsellino, due magistrati coraggiosi, due memorie da non spegnere mai, non possono continuare ad essere affidate ad indagini infinite, forse destinate a dissolversi nel tempo. Le chiedo, signor presidente, di mantenere alta l'attenzione e la tensione sui grandi delitti insoluti, la stessa tensione che ha portato a raggiungere traguardi insperati nella lotta alla criminalità mafiosa. Lo Stato non può continuare a segnare il passo in questo campo, non può e non deve, soprattutto per non vanificare la memoria di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Chi, soprattutto in questa fase, sotto l'effetto di importanti risultati conseguiti negli ultimi mesi dagli apparati dello Stato contro il crimine organizzato di qualsiasi tendenza ed espressione, preannuncia nei prossimi due anni una sorta di resa della mafia sbaglia analisi, giudizi ed obiettivi, commettendo o facendo commettere così un errore colossale. La mafia, per la complessità e vastità del fenomeno sul piano interno e internazionale, è in grado di offrire un tasso di resistenza e di condizionamento che può essere anche considerato elemento inossidabile della stessa società italiana. L'esito di questa lotta dipende da tanti fattori, non solo dalla quantità dei mezzi che lo Stato mette a disposizione ma soprattutto dalla quantità e dalla qualità delle informazioni. PRESIDENTE. Senatore Calvi, ha ancora un minuto. MAURIZIO CALVI. La risposta della mafia, soprattutto sotto l'effetto di questi successi dello Stato, non tarderà, signor presidente. E' questa la tendenza che si manifesta in ogni parte della storia del nostro paese: non tarderà ad assumere (e assumerà) contorni e forme talmente esplosivi per la grande portata degli obiettivi scelti che infliggerà probabilmente allo Stato una ferita mortale; bisogna impedire che, in questa fase, il processo di enfatizzazione degli importanti risultati conseguiti ci faccia sottovalutare la pressione e il condizionamento della mafia o delle espressioni analoghe e di qualsiasi tendenza presenti nel territorio. In questa fase occorre soltanto un'opera di contenimento, perché non siamo ancora nella condizione di sconfiggere, sul piano interno ed internazionale, la mafia, che forse è il fenomeno criminale più duro da sconfiggere in questa fase storica. ANTONIO BARGONE. Mi limito a porre alcune questioni relative alla strategia antimafia, che secondo me dovrebbe essere molto più complessiva di quella illustrata in questa sede dal Presidente del Consiglio e dal ministro dell'interno; soprattutto, occorre maggiore attenzione sull'applicazione delle norme fin qui varate e a cui hanno fatto riferimento gli stessi rappresentanti del Governo. Pag. 50 Chiedo intanto a cosa si debba addebitare il ritardo nella messa a regime della legge sul riciclaggio, che manca delle norme di attuazione, soprattutto in considerazione del fatto che lo stesso ministro dell'interno ritiene - secondo me a ragione - che il cuore della strategia antimafia deve essere l'aggressione dell'economia criminale su cui crescono le fortune di ceti nuovi all'interno della nostra società. NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. La Corte dei conti ha registrato il decreto di regolamentazione delle procedure soltanto da due o tre giorni. ANTONIO BARGONE. Ne prendo atto e prendo atto anche del ritardo, lo stesso ritardo che ha riguardato il regolamento di attuazione del decreto antiracket, che è stato approvato soltanto qualche giorno fa. Manca ancora però una normativa che disciplini fino in fondo la materia, soprattutto per quanto riguarda la copertura assicurativa. Lo stesso discorso vale per la legge sui pentiti, che non ha trovato ancora applicazione per i ritardi nell'adozione dei decreti attuativi. Desidero anche segnalare una questione importantissima che la Commissione antimafia aveva già rilevato nella passata legislatura, cioè quella della devianza minorile. Si registra a questo proposito una disattenzione complessiva del Governo. Chiedo se non sia opportuno coinvolgere in maniera più organica il Ministero della pubblica istruzione, soprattutto per far argine contro l'evasione scolastica, e se non sia necessario dotare il territorio di strutture istituzionali alternative, che in questo momento mancano, per il recupero dei minori, che sono reimmessi nel circuito dell'illegalità subito dopo essere stati arrestati. Un'altra questione è quella delle risorse necessarie ad una strategia che si rispetti. Il disegno di legge finanziaria appena presentato contraddice questo principio se pensiamo che per la politica giudiziaria è stanziato soltanto lo 0,75 per cento del bilancio dello Stato. Dovremo quindi registrare ancora una carenza, un'assoluta inadeguatezza delle strutture giudiziarie, che in alcune realtà, soprattutto quelle meridionali, sono alla paralisi completa: addirittura, l'arresto di latitanti potrebbe costituire un momento di maggiore difficoltà, visto che dovranno essere celebrati i processi e che la situazione è particolarmente preoccupante. Il dottor Niccolò Amato, in un'audizione presso la Commissione giustizia della Camera, ha rilevato che trenta nuovi istituti carcerari già pronti non possono essere aperti perché manca il personale. In questo periodo le carceri sono strapiene, soprattutto a causa di alcune leggi che hanno in qualche modo provocato questo fenomeno: anche qui è necessaria maggiore attenzione nell'utilizzazione delle risorse. Sono stati sciolti quarantadue consigli comunali, con un provvedimento sollecitato anche dal PDS e che è uno strumento per bloccare la degenerazione che in quelle realtà si stava sviluppando. A fronte di un trauma per la democrazia - perché lo scioglimento di un consiglio comunale è comunque un trauma - non vi è stata da parte del Governo attenzione rispetto a quanto avvenuto successivamente. In alcuni comuni - Misterbianco, Marano, Gallipoli - la presenza dei commissari non ha garantito l'agibilità democratica, il ripristino della legalità, ma anzi ha ricostruito le condizioni per un rapporto con la criminalità organizzata. Chiedo quindi che il ministro dell'interno riferisca sulla situazione di questi quarantadue consigli comunali, soprattutto in riferimento all'utilizzazione delle risorse pubbliche e all'aggiudicazione degli appalti e delle forniture; e quali siano le condizioni che possono garantire il ripristino della legalità democratica in quei comuni. PAOLO CABRAS. Ringrazio il Presidente del Consiglio ed il ministro dell'interno per l'illustrazione esauriente che ci hanno fatto sui problemi che attengono alla lotta alla criminalità organizzata. Poiché l'impegno del Governo è particolarmente orientato a perseguire la gamma Pag. 51 molto articolata del crimine finanziario, occorre considerare il riciclaggio ma anche una serie di transazioni finanziarie e di operazioni che non hanno confini, anche se passano per l'Italia; mi riferisco all'investimento o al reinvestimento di denaro sporco in attività imprenditoriali, in società, in esercizi commerciali. Basti pensare a quanto è avvenuto dal 1980 in poi a Roma, dove la maggior parte dei ristoranti, dei bar, dei negozi di abbigliamento e di alberghi del centro storico, in particolare a Trastevere, attraverso il "combinato disposto" dell'attività della banda della Magliana (per fortuna Abbatino è stato restituito alle patrie galere) e di quella del cassiere della mafia Pippo Calò, con le altre connessioni, hanno subito questa sorte. L'ufficio di presidenza ha deciso oggi - la Commissione plenaria ne discuterà la prossima settimana - di avviare un'indagine per verificare l'attuazione della legge sul riciclaggio, una delle leggi importanti approvate dal Parlamento. Sappiamo già, però, per i dati che ci pervengono e per le informazioni che abbiamo assunto, che vi è una grande resistenza del sistema bancario, a fronte invece di una preoccupazione crescente degli organi direttivi della Banca d'Italia, consci che ci si deve rendere conto che lo strapotere della multinazionale mafia in termini finanziari è difficile da domare. In particolare, dato che si tratta di transazioni finanziarie, occorre certamente allertare tutti i servizi di informazione, della polizia e delle altre forze dell'ordine, ma è necessario anche dedicare particolare attenzione al ruolo dei servizi di sicurezza. Lei ne ha fatto cenno, onorevole Amato, mi consenta di dire forse con un certo ottimismo: io sono un po' più scettico, perché se nell'estate scorsa il Presidente del Senato prima e il ministro dell'interno poi si sono chiesti perché non si sia indagato a fondo sui rapporti tra Gelli e la mafia, e perché non si siano seguite le spericolate e continue operazioni di intermediazione finanziaria e di riciclaggio, per cifre assai ingenti, che lo stesso Gelli ammette nelle sue impudenti interviste alla stampa, bisogna dire che su questo terreno, che investe anche e soprattutto le informazioni che vanno oltre confine (quelle di competenza del SISMI), vi è stata quanto meno inerzia. Sono molto preoccupato. Lei dice che vi è stata una riorganizzazione e che si è provveduto ad un affinamento della professionalità dei servizi; non ho motivo di dubitarne, anzi non posso che compiacermene, però bisogna recuperare il tanto tempo perduto. I servizi sono stati un tempo inaffidabili, purtroppo, per le istituzioni democratiche. Temo che nel tempo successivo al recupero della credibilità e della legalità democratica i servizi sono stati inutili, il che è altrettanto grave e pericoloso. Dobbiamo avere la certezza che anche su questo versante così importante per la lotta sul fronte interno vi sia un nuovo e straordinario impegno da parte dei servizi. Ricordo che la legge istitutiva della DIA ha dato ai servizi una particolare funzione nelle attività informative proprio in relazione alla lotta antimafia: questa è stata la novità che ha fatto scattare l'esigenza di organizzazione e di aggiornamento professionale cui si riferiva il Presidente del Consiglio. Sempre in materia di operazioni internazionali, condividendo quanto affermato dal Presidente del Consiglio e dal ministro dell'interno circa la necessità di creare spazi giuridici comuni a livello europeo ed internazionale, voglio richiamare l'attenzione - e questo il Presidente del Consiglio lo può fare proprio nell'ambito della sua attività di impulso e di coordinamento - sul problema delle estradizioni. Ricordavo con alcuni colleghi che quando, alcuni anni fa, ci siamo recati in Venezuela ed abbiamo parlato con le massime autorità istituzionali di quel paese, abbiamo riscontrato grandi resistenze: i Cuntrera ci sono stati restituiti più per i buoni uffici della DEA che per l'efficacia dei trattati di estradizione, che rimangono impermeabili all'esigenza che ho sollevato. Sugli strumenti giuridici in tema di estradizione non mi sembra, infatti, che ci siano state significative Pag. 52 novità, come invece avevamo sollecitato con le autorità venezuelane. Da ultimo rilevo che va posto all'ordine del giorno il tema dell'intreccio fra la questione mafia e le riforme elettorali e istituzionali. Anch'io ritengo che, piuttosto che intervenire in maniera parcellare per interdire, per quanto possibile, l'infiltrazione della mafia nelle istituzioni locali e in genere il connubio mafia-politica, è necessario adottare riforme di carattere più generale tenendo presente questa esigenza. ENZO BOSO. Ma Gelli non dovrebbe essere già morto, visto che è stato messo in libertà perché era gravemente ammalato? PAOLO CABRAS. Non è stato messo in libertà da me ma dalle compiacenti autorità svizzere, o da altri probabilmente! Se fosse dipeso da me, sarebbe assicurato alla patrie galere da molto tempo! SALVATORE FRASCA. Signor presidente, signor Presidente del Consiglio, signor ministro dell'interno, poche battute, come si conviene in una seduta di questo genere. Vorrei sciogliere innanzi tutto un inno in difesa della mia regione. Onorevole ministro dell'interno, anche lei è caduto nell'errore in cui cadono tanti altri quando, parlando di un criminale calabrese, ha detto "il calabrese", mentre non si dice "il siciliano", "il pugliese", "il campano" e tanto meno "il milanese", "il torinese" o "il bolognese". Protesto contro questo modo di trattare la Calabria, perché potrebbe nascondere il tentativo di criminalizzare una regione che è altamente civile e consapevole della sua missione nell'ambito della vita del nostro paese. I risultati nella lotta contro la mafia e la criminalità organizzata ci sono stati, e di questo va dato atto al Governo e, se consentite, anche al Parlamento che ha approvato le leggi che erano necessarie. Giustamente il Presidente del Consiglio si poneva alcune preoccupazioni per quanto riguarda quella sorta di incompatibilità che effettivamente c'è. Però, onorevole Presidente del Consiglio, l'opinione pubblica (il popolo sovrano, diceva il Presidente Cossiga), in nome della quale noi dobbiamo parlare, vuole che lo Stato si comporti così come si è comportato nel corso degli ultimi mesi. Le misure di prevenzione devono dunque essere applicate e la maggiore attenzione deve essere dedicata al campo patrimoniale. Onorevole ministro dell'interno, lei ha dichiarato che sono stati sequestrati beni per 464 miliardi: che fine fanno? La legge Rognoni-La Torre nella sua prima edizione non lo prevedeva: le successive leggi lo prevedono? C'è sempre il pericolo che i beni confiscati tornino al mittente, quando invece possono essere impegnati, come alcune esaltanti esperienze effettuate dimostrano, nel campo sociale ed educativo dei cittadini. A proposito di misure preventive, mi ricollego immediatamente con i provvedimenti relativi all'applicazione della cosiddetta legge Scotti-Martelli per osservare che occorrerebbe sforzarsi di spiegare ai prefetti della Repubblica italiana che essi fanno parte di uno Stato di diritto, che non sono prefetti di un partito e che devono tenere comportamenti omogenei. Signor ministro dell'interno, al riguardo ho presentato una interrogazione nella quale potrà riscontrare le cose alle quali mi riferisco. Concludo rilevando che sarebbe opportuno che si istituisse, in analogia con altri provvedimenti da lei assunti, un nucleo DIA in Calabria per individuare i responsabili dell'assassinio dell'onorevole Ligato, sul quale è stata fatta cadere la coltre del silenzio, mentre noi abbiamo la consapevolezza che da indagini serie verrebbe fuori tutto un mondo affaristico-speculativo con un probabile intreccio tra pubblici poteri e criminalità organizzata e verrebbero fuori anche responsabilità connesse al traffico delle armi, nelle quali potrebbero essere implicati anche i nostri servizi segreti. Pag. 53 Occorre essere seri, concreti e tempestivi, tanto sul controllo del territorio quanto sul coordinamento delle forze dell'ordine. Potrei citare casi in cui nello stesso comune esistono due caserme dei carabinieri che dipendono da diverse compagnie e che non si scambiano i dati. E mi dispiace che fatti di questo genere, segnalati nel corso di un decennio (quindi la responsabilità non è sua, signor ministro dell'interno) sia al Ministero della difesa sia al Ministero dell'interno, non siano stati presi in considerazione e le cose siano state lasciate come prima. Non mi soffermo sulle preture o sulle circoscrizioni giudiziarie perché penso che sull'argomento occorrerà prevedere un apposito dibattito con il ministro di grazia e giustizia. Devo andare al Senato a sostenere il Governo, e di ciò mi scuso con il Presidente del Consiglio e con il ministro dell'interno; leggerò quindi sui resoconti di domani le risposte che verranno date alle modeste considerazioni che ho svolto. LUIGI ROSSI. Ringrazio il Presidente del Consiglio ed il ministro dell'interno di essere intervenuti ma ritenevo che dovesse essere presente anche il guardasigilli perché di sicuro su questa materia anch'egli ha qualcosa da dire. Il Presidente del Consiglio ha detto che stiamo assistendo ad un progressivo restringimento dell'omertà. Non mi pare, perché mentre ero in Sicilia per due comizi, la gente mi ha detto: "Non possiamo parlare perché abbiamo paura! Perché lo Stato non ci difende!". Per quanto riguarda i tre punti che ha toccato il Presidente del Consiglio, mi permetto di dissentire in questo senso: anch'io sono stato a Maastricht, a Parigi, a Londra, dove mi sono sentito dire da tutti quanti - e il turismo lo conferma - che l'Italia è una nazione a rischio, in cui quindi è difficile attuare un reale coordinamento contro la criminalità organizzata attraverso un'organizzazione di carattere internazionale. Sul secondo punto dichiaro che anche noi siamo contro la prevenzione: vogliamo le prove e il garantismo. Chiedo tuttavia al Presidente del Consiglio, che è un illustre professore universitario di diritto costituzionale, se giudica ancora ammissibile il secondo capoverso dell'articolo 27 della Costituzione, che recita che l'imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva. Questo è uno dei punti chiave sui quali richiamo l'attenzione del Governo e per la cui abolizione la lega ha presentato un progetto di legge non ancora preso in considerazione. ALTERO MATTEOLI. E qual è la proposta, quella di considerarlo colpevole prima del processo? LUIGI ROSSI. Di considerarlo colpevole dopo la prima sentenza! ENZO BOSO. E deve rimanere in galera finché non sono esperiti gli altri gradi di giudizio! Non deve essere rimesso in libertà, costringendo i carabinieri a corrergli appresso! ALTERO MATTEOLI. Ho semplicemente domandato quale fosse la soluzione prospettata nel progetto di legge presentato dalla lega nord. LUIGI ROSSI. A proposito dell'operazione Green ice ho letto recentemente un'intervista rilasciata da un criminologo americano nella quale egli afferma che, secondo le informazioni in suo possesso, in Italia i proventi della mafia siciliana ammonterebbero a 130 mila miliardi, derivanti per metà dalla droga e per metà dalle tangenti sugli appalti. Concordo anch'io con l'affermazione, fatta dal Presidente del Consiglio e dal ministro dell'interno, che abbiamo vinto una battaglia ma non abbiamo vinto la guerra; ma allo stesso tempo mi chiedo quali rapporti intercorrano attualmente tra la magistratura e le forze dell'ordine. Come è noto, a Karlsruhe, in Germania, esiste una procura che si interessa di tutti i particolari delitti che riguardano determinate forme di criminalità. Non Pag. 54 capisco perché la questione della superprocura non sia stata ancora affrontata. GIANCARLO ACCIARO. Signor presidente, signor Presidente del Consiglio, signor ministro dell'interno, colleghi, sarò rapidissimo, non volendo svolgere in questo momento considerazioni sulle esposizioni del Presidente del Consiglio e del ministro dell'interno, di cui credo sia necessario valutare bene alcuni passaggi. Vorrei invece soffermarmi sull'utilizzo delle carceri speciali, con particolare riferimento a Pianosa e all'isola dell'Asinara, dove due giorni fa ho compiuto una visita insieme con i colleghi della Commissione giustizia ed ho potuto constatare il movimento interno di trasferimento di detenuti. Se è vero che i detenuti per il reato di associazione di tipo mafioso, ai sensi dell'articolo 416-bis del codice penale, devono essere posti nella condizione di non potersi collegare con i centri operativi malavitosi della mafia, come mai all'interno di questi carceri ci sono personaggi famosi ed altri meno famosi che hanno quasi finito di scontare la pena? Ciò a mio giudizio porta ad una maggiore connessione tra di loro, perché durante le ore d'aria giornaliere possono crearsi opportunità di scambi di idee, soprattutto con i detenuti che escono dal carcere per essere condotti ai vari processi. Nella stessa serata di martedì scorso sono stati rimessi in libertà otto detenuti, alcuni dei quali certamente stavano in cella insieme con detenuti considerati molto importanti nell'organizzazione della mafia. Inoltre, l'improvvisazione riscontrata in questi carceri ha fatto sì che non si siano potute utilizzare le disposizioni impartite dal Ministero dell'interno per evitare ogni possibile incontro tra detenuti: a distanza di una settimana, nel carcere dell'Asinara si è constatato che ancora non si erano potute mettere in pratica le limitazioni ai possibili contatti tra detenuti, che quindi in un certo momento sono stati messi tutti insieme, con la possibilità di scambiare idee e strategie. Non mi soffermo sulla destinazione d'uso dell'Asinara come parco naturale, che affronteremo in altra sede, ma vorrei sapere se i due mesi circa di utilizzo di questi carceri speciali abbiano reso alle indagini e all'operato del Ministero le giuste informazioni e soprattutto abbiano prodotto il cadere del fenomeno omertoso da parte di questi detenuti considerati tanto pericolosi; vorrei cioè sapere se siano stati fatti passi avanti, considerate anche le considerevoli spese sostenute per il trasferimento di tali detenuti che, proprio in base all'articolo 416-bis, richiede scorte diverse da quelle comunemente usate, oltre ai costi aggiuntivi legati al fatto che si tratta comunque di due isole. ALFREDO GALASSO. Intendo porre, signor presidente, alcune questioni di carattere generale ed altre specifiche, scusandomi per la superficialità con la quale le esporrò. Vi è innanzitutto una questione di fondo che vorrei porre al Presidente del Consiglio. Io credo che quello dei rapporti tra mafia, politica, amministrazione e affari non sia uno dei problemi, ma il problema e, dalla discussione già avviata questa mattina, ritengo che in questi termini la nostra Commissione imposterà i propri lavori. Da tale questione di fondo derivano una serie di conseguenze: non è indifferente stabilire quale sia oggi l'asse dell'analisi e quindi dell'intervento. L'altra questione da porre riguarda la fase che viviamo in questo momento, che, a mio avviso, è segnata da una strategia alta da parte della mafia, direi quasi di annientamento, mentre da parte degli apparati repressivi dello Stato vi è solo qualche sussulto. Da questo punto di vista, credo occorra attrezzarsi e comprendere perché alcuni dei successi parziali conseguiti, che si condensano nella cattura dei latitanti, si siano verificati oggi e non prima; perché cioè - per intendersi - Madonia sia stato preso vicino Vicenza e non in Versilia dove ha soggiornato in albergo due mesi fa. Pag. 55 Se questo punto voglio anche porre una domanda al Presidente del Consiglio, il quale, dopo una delle tremende stragi che hanno insanguinato il nostro paese, ebbe a dire in televisione: "Lo Stato non è innocente". Cosa significa ed in che termini di analisi? Si tratta di una questione importante. La gente comune, la gente onesta, in Sicilia ed altrove, ha fatto tutto ciò che poteva. Ricordo, ad esempio, di aver partecipato ad una manifestazione sindacale dieci anni fa, dopo il delitto Dalla Chiesa, alla quale erano presenti circa 100 mila persone. La gente non parla non solo perché ha paura, ma perché finora non ha avuto ascolto. Questo è ciò che è accaduto nella realtà; non vorrei che ora rovesciassimo la prospettiva e credessimo che il problema si stia risolvendo perché la gente comincia a parlare. La gente ha ancora una sfiducia profonda, antica nei confronti dello Stato: questi sono i dati della situazione che ben conosce chi vive a contatto con la realtà. Affronterò ora un punto politico generale. Proprio perché il circuito della responsabilità politica non richiede quel contorno di garanzie costituzionali alle quali ha fatto cenno problematicamente il Presidente del Consiglio, credo che l'autotutela, cioè il circuito della responsabilità politica, debba essere attivato al massimo, mentre in questo periodo è stato atrofizzato. Come ho già avuto modo di affermare in sede di dibattito sulla fiducia, ciò significa che non è possibile che nel Governo vi sia qualcuno al di sotto e non al di sopra del sospetto, come il sottosegretario per il lavoro, e che contemporaneamente il ministro di grazia e giustizia apra anche su questo fronte un conflitto con una parte della magistratura. L'indipendenza e l'autonomia della magistratura sono elementi importanti per un Governo nel quale invece un ministro va avanti contemporaneamente sul piano dell'attacco a magistrati che sono notoriamente impegnati; questo è un altro punto politico fondamentale. Naturalmente ciò dipende dal fatto che la mafia non è solo Cosa nostra, se riteniamo che essa si esaurisca in Cosa nostra, abbiamo sbagliato analisi. La tragica sequenza di delitti politici, dal 1979 ad oggi, indica come tale analisi sia assolutamente improponibile. Vengo ora rapidamente ad alcune questioni specifiche. L'anno scorso abbiamo approvato dopo tanta fatica la legge n. 197 in ottemperanza a raccomandazioni che venivano dal GAFI, cioè dai vertici dei paesi più industrializzati: tutti riconoscono che questa legge è pressoché ferma. Piuttosto che pensare a cambiarla, come qualcuno sta cominciando a fare, sarebbe bene verificarne l'attuazione e vedere perché, d'intesa con il governatore della Banca d'Italia, le banche reagiscono negativamente; caso mai, se una modifica va fatta, non è certo quella di introdurre, come il GAFI ha proposto ed il Parlamento italiano non ha ancora approvato, l'abolizione totale del segreto bancario, che è una condizione necessaria perché ci sia trasparenza e limpidità nei circuiti finanziari. Per quanto riguarda le misure di prevenzione, credo debbano essere abolite quelle personali, che mi sembrano del tutto insufficienti, e, se è vera l'analisi fatta in questi anni, rafforzate al massimo quelle di carattere patrimoniale; queste ultime, però, vanno fondate su un principio generale, quello cioè che la illiceità o la indimostrabilità del titolo della ricchezza sono condizioni per il sequestro e la confisca; è questa la via più semplice e più limpida da questo punto di vista; si stabiliranno dopo quali siano i percorsi e le garanzie da adottare in questi casi, ma nel nostro ordinamento costituzionale il patrimonio e la proprietà hanno una garanzia ben inferiore a quella della sfera e della libertà personale. Per quanto riguarda la DIA , vi è un problema, onorevole ministro dell'interno: il coordinamento delle forze di polizia. Definiamo l'organo di coordinamento alto commissario, DIA o come vogliamo, ma da questo punto di vista la DIA è ben lontana dall'aver realizzato un coordinamento efficace delle forze di polizia. Sarà Pag. 56 perché vi è concorrenza o gelosia, sarà perché non vi sono i mezzi, ma si tratta di un dato grave e permanente. Non possiamo permetterci il medesimo rischio corso dieci anni fa con l'alto commissariato, quando abbiamo illuso il popolo italiano che si stava realizzando un coordinamento che in realtà non c'era o che quanto meno era come la tela di Penelope, per cui qualcuno costruiva di giorno ed altri disfacevano di notte. Chi ha, come me, dimestichezza con questi apparati, si rende conto che siamo ben lontani dai risultati che ci si prefiggeva. Lei, ministro Mancino, ha giustamente sottolineato due volte la questione delle scorte. Dopo quello che è successo, questo è diventato un problema politico di grande rilevanza, oltre che un problema umano di straordinaria dimensione. Non mi risulta che le scorte siano state effettivamente ridotte, come sarebbe stato necessario. Vi è un surplus di fatica per gli agenti delle scorte ed un problema di distribuzione. Credo però che il Governo ed i comitati di sicurezza siano in grado di stabilire chi siano effettivamente i soggetti a rischio. Non ho voglia di fare nomi o esempi: credo che il ministro abbia conoscenza di quali siano tuttora le scorte non necessarie e della necessità attuale di liberare uomini, mezzi, professionalità e strutture per tutelare gli obiettivi considerati effettivamente a rischio. ALTERO MATTEOLI. Mi limiterò ad alcune domande, come credo sia necessario fare in questa occasione. Desidero però fare una premessa, anche per chiedere scusa al ministro Mancino dell'interruzione fatta dal collega Florino quando ha ricordato il carcere in cui si trovava Carmine Alfieri. Noi riteniamo infatti importante che il ministro sappia in quali carceri si trovano determinati personaggi e boss della mafia e della camorra, se è vero, com'è vero, che nel supercarcere di Spoleto i clan camorristi Mariano, Licciardi, Mallardo, D'Alessandro e Alfieri hanno deciso l'uccisione della guardia carceraria avvenuta poi all'uscita del carcere di Secondigliano a Napoli; per fortuna che si è riusciti ad intervenire in tempo perché avevano deciso anche l'uccisione di alcuni magistrati. Ecco il perché dell'interruzione del collega Florino. Il Presidente del Consiglio ha fatto una relazione - se così posso definirla - ottimistica e non poteva fare altrimenti per il suo ruolo. Non gli chiederò da dove tragga il suo ottimismo o quanto ha detto sull'isolamento del fenomeno mafioso perché tutto ciò sarà oggetto di analisi in questa Commissione nelle prossime settimane. Desidero però porre alcune domande. L'organico delle forze di polizia è stato aumentato e il collega Galasso ha ricordato il problema delle scorte. Chi, come me, era in chiesa a Palermo per i funerali degli uomini della scorta del giudice Borsellino, ha vissuto un clima che spero di non incontrare più; in quella occasione infatti gli uomini delle scorte si sono scagliati contro gli agenti di polizia considerandoli dei privilegiati. E' sufficiente aumentare gli organici? E dando quale grado di preparazione? Non le sembra che l'aumento del numero degli agenti di per sé non abbia alcun significato? Sono stato recentemente a Pianosa, che si trova nella mia circoscrizione elettorale, ed ho potuto constatare le condizioni in cui vivono gli agenti di polizia penitenziaria. In quel carcere i detenuti, mafiosi o meno, vivono sicuramente meglio degli agenti. Come si intende operare per preparare gli agenti ad affrontare il grave compito loro assegnato? Il Presidente del Consiglio ha dimostrato grande ottimismo quando ha detto: ci dobbiamo spiegare il passato, ma attrezzarci per il futuro, riferendosi subito dopo ai servizi segreti. Le confesso, signor Presidente.. GIULIANO AMATO, Presidente del Consiglio dei ministri. Non è così. ALTERO MATTEOLI. Ha detto questa frase quando ha iniziato a parlare dei servizi segreti che si occupano del problema della mafia. Sarà stata una coincidenza; Pag. 57 non voglio dire che i due aspetti siano legati, comunque lei ha manifestato ottimismo per l'opera che svolgeranno i servizi segreti. Confesso - dicevo - che in quel momento ho sentito come un brivido nella schiena perché i servizi segreti, a mio avviso - non pretendo che sia anche il suo parere - negli ultimi quaranta anni hanno rappresentato in Italia un equivoco per essersi sempre messi al servizio non dello Stato ma dei partiti. Cosa le fa credere che per il presente e per il futuro sarà diverso? L'ultima domanda riguarda le banche. Potremmo proporre un provvedimento di iniziativa parlamentare, ma i tempi sarebbero lunghi; chiedo perciò se il Governo abbia pensato ad una iniziativa per far sì che le banche, che spesso sono luogo di equivoco, possano essere più trasparenti, soprattutto per quanto riguarda la lotta alla mafia. ALFREDO BIONDI. Vorrei innanzitutto scusarmi con il ministro Mancino per essere arrivato in ritardo; le mie sono parole di scusa sincera poiché sono sicuro che egli ha detto cose importanti. Mi riferirò, pertanto, ad una parte che ho ascoltato e che ho ascoltato con preoccupazione, poiché conosco il senso della misura del senatore Mancino quando afferma certe cose. Egli ha parlato di "collaborazioni flebili e sporadiche" del sistema bancario, in modo particolare in ordine all'esportazione di capitali presuntivamente provento di crimini. Si tratta di un punto molto delicato. Cosa significa "sporadico"? Vuol dire che normalmente non si collabora. Io non sono un idolatra di coloro i quali hanno il pregio della inamovibilità, della sicurezza e dell'assolutezza come ha, per esempio, il governatore della Banca d'Italia; chiunque lo vada a visitare, mostra un senso di grande riguardo. E' una delle poche autorità alla quale, anche a parte dei più critici commentatori italiani, vengono rivolte parole di ossequio come si faceva con i gran visir, che erano oggetto di salamelecchi ed inchini. Dunque, se l'attività con la quale il sistema bancario collabora è sporadica, come opera la vigilanza della Banca d'Italia, quando si apre un numero di sportelli al di sopra delle esigenze produttive ed imprenditoriali di zone che - purtroppo - non hanno un sistema economico talmente sviluppato da rendere essenziale questa proliferazione? E' stato fatto un esame di questo genere? Mi auguro che questa sporadicità e questa flebile rispondenza alle giustissime richieste di collaborazione del Governo potranno essere oggetto - quando il ministro o il Presidente del Consiglio lo riterranno - di una maggiore esplicitazione, proprio per evitare che il lavoro compiuto con tanta fatica e con tanta volontà innovatrice venga vanificato. Anche in questo sono un po' conservatore; non credo alle leggi speciali né alle sigle, ma credo - come il collega Galasso - alla collaborazione ed alla interazione delle forze di polizia. Molte volte, nonostante la buona volontà e la precisione di talune visioni normative dal punto di vista paradigmatico, tale collaborazione non si realizza nella concretezza dell'attività quotidiana. Anch'io ho qualche esperienza in proposito e non solo quelle che ho fatto - insieme al collega Galasso - nel grande processo svoltosi in Sicilia. La mia sensazione è che, se il sistema bancario non sempre corrisponde alle richieste e se le leggi trovano una certa difficoltà di attuazione, forse il compito di questa Commissione non è tanto quello di porre al Governo problemi che esso già si è posto e che sono di difficile soluzione; me ne rendo conto. Sarebbe veramente un compito spiacevole quello di sottolineare cose davanti alle quali, a volte, ci troviamo impotenti noi ed anche i ministri. Tutti i ministri dell'interno che si sono susseguiti in questo periodo non avevano certo cattive qualità personali; tuttavia, essi non sono riusciti a dominare la separatezza dei servizi, nonché la loro capacità di eseguire il compito, che avrebbero dovuto svolgere, di informazione e di sussidio alle indagini più formali che le forze di polizia debbono Pag. 58 portare a compimento. In altri termini, dovrebbe essere possibile un loro utilizzo che non sia - come abbiamo riscontrato da certi grandi processi per strage - molto ambiguo e qualche volta, addirittura, controproducente. Nel porre la domanda, dunque, non faccio una critica: prendo atto che il Governo ha messo il dito su una piaga, ma se non si usa la medicina la piaga può divenire purulenta. Ecco perché pongo una domanda su questa alternativa di considerazione e di desuetudine rispetto alla soluzione dei problemi relativi all'accertamento bancario. Personalmente sono favorevole (e, dicendo questo forse perderò gli ultimi voti che ottengo in Liguria, dove gli elettori sono forti risparmiatori) ad eliminare il segreto, che con le leggi vigenti è diventato il "segreto di Pulcinella". Infatti, tutti lo possono sapere e si fa ma non si dice: allora, diciamolo! Lo ha detto anche quel grande rivoluzionario che è Pininfarina: aboliamo il segreto bancario e facciamo in modo che le banche non debbano avere santuari speciali o cappelle votive per questo o quel gruppo! Così gli italiani, quando decideranno di risparmiare o investire, sapranno che quello che hanno in banca può essere conosciuto. Per quanto mi riguarda, gli accertamenti verrebbero fatti con sgomento, nonostante tanti anni di lavoro ma avendo lavorato sempre onestamente. GIROLAMO TRIPODI. Signor presidente, signor Presidente del Consiglio, signor ministro, sia io sia altri colleghi ci aspettavamo qualche cosa di più rispetto a quanto ci è stato comunicato oggi. In altre parole speravamo che ci fosse illustrata la situazione reale determinatasi dopo l'approvazione del decreto e delle tante leggi antimafia. Dico questo perché ci saremmo aspettati che tutti quegli arresti fossero avvenuti prima, soprattutto perché tutti sapevano dove si nascondevano i latitanti, dove alloggiavano, dove pernottavano e persino dove si sposavano ma non venivano mai catturati. In quelle zone la situazione, per molti aspetti, è peggiorata: la mafia continua a decidere su tutto e lo farà anche quando l'elezione del sindaco avverrà per suffragio diretto. Non vi è dubbio - lo ripeto - che la situazione si è aggravata; la democrazia non esiste e la mafia si è rafforzata. Le stragi avvenute a Palermo sono emblematiche perché, quando vi sono punti di resistenza, vengono travolti. Io non credo, signor Presidente del Consiglio, che le decine di arresti degli ultimi tempi siano stati rese possibili perché vi è stata una precisa volontà in tale senso; vorremmo che si continuasse in questa direzione e che quello attuale non fosse solo un momento spettacolare per dimostrare che ormai abbiamo cambiato rotta. Molti dubbi restano, soprattutto quando constatiamo che non vi è coerenza tra quanto si afferma e le azioni concrete che vengono realizzate. Come diceva poco fa il collega Galasso, proprio quei magistrati che si trovano in prima fila nella lotta contro la criminalità organizzata e che rischiano sono quelli che vengono presi sotto tiro: mi riferisco al procuratore della Repubblica di Palmi, dottor Cordova. Egli ha avuto il merito di smascherare intrecci tra mafia e politica e di mandare in prigione alcuni personaggi. Tanto è vero che, in questi giorni, a Palmi si celebrano tre grandi processi di mafia. Sono cose che non avvengono in altre zone del paese. Ebbene, nei confronti del dottor Cordova, in due anni, sono state ordinate quattro ispezioni, una delle quali nello scorso mese di agosto. Si tratta di una iniziativa assolutamente offensiva, tendente a delegittimare questo magistrato ad i suoi collaboratori, vale a dire quel pool di magistrati che, in questi anni, hanno messo a nudo i rapporti tra mafia, affari e politica, nonché tra mafia, politica e pubblica amministrazione; essi hanno messo in luce l'esistenza di collegamenti con il "capolinea" di Roma. Dunque, proprio questo pool è stato distrutto. Oggi, addirittura, ci troviamo di fronte al pericolo di veder saltare i tre processi! Non è ammissibile che venga condotta questa persecuzione nei confronti di quel magistrato. Pag. 59 Signor Presidente del Consiglio, ho presentato anche un'interrogazione su questo stesso tema: vorremmo che su di essa ci fornisse una risposta. Cosa intende fare per riconoscere l'operato di quel magistrato, che si trova al di sopra delle parti e che combatte veramente la mafia? Al ministro dell'interno, invece, vorrei rivolgere un'altra domanda. Lei ha sciolto il consiglio comunale di Reggio Calabria come si trattasse di una ordinaria applicazione dell'articolo 39 della legge n. 142 del 1990: ebbene, quel consiglio comunale, per ammissione dello stesso sindaco - ora agli arresti nell'ambito dell'inchiesta sulle tangenti - era implicato in intrecci con la mafia. Quindi quel consiglio presentava, senza dubbio, inquinamenti di quel tipo. Vorrei pertanto sapere come mai non si è tenuto conto del fatto che il consiglio comunale era inquinato e si è sciolto sulla base dell'articolo 39. MARCO TARADASH. Dobbiamo prendere atto che negli ultimi mesi l'azione dello Stato contro la mafia ha manifestato una maggiore efficienza, raggiungendo risultati concreti. Visto che mi trovo di fronte ai massimi responsabili politici del paese, vorrei chiedere se sia stata compiuta una valutazione non solo in termini di efficienza ma anche di efficacia. In altre parole, si può misurare il successo della lotta al crimine con l'aumento degli arresti e col sequestro delle droghe in circolazione o lo si deve misurare anche con la riduzione del crimine e delle droghe in circolazione? Parlo di droga perché il fenomeno mafioso nel nostro paese è in parte legato alla natura del sistema politico così come esso si è venuto configurando, e quindi all'intreccio ed alla frequente integrazione fra politica e la mafia; in altra parte esso è determinato da qualcosa che appartiene strettamente al fenomeno criminale organizzato del traffico di droga. Infatti, nei paesi europei e del resto del mondo, quando si parla di Europol e di Trevi, non si parla della mafia degli appalti ma di quella che si occupa del traffico della droga. Si tratta di quella mafia che, dalla Sicilia occidentale e dalle altre aree del meridione, ha esportato le organizzazioni criminali, insediandole nel resto del territorio nazionale ed anche al di fuori di esso. La mia domanda è la seguente: il Governo si domanda se la logica stessa del sistema proibizionista sulla droga renda inattaccabile il potere delle organizzazioni criminali, visto che non soltanto in Italia - con tutte le nostre debolezze - ma anche in paesi in cui l'amministrazione pubblica dispone di una maggiore efficacia non si è riusciti ad intaccare la crescita del potere criminale legata al traffico della droga e, tanto meno, a ridurre il fenomeno del riciclaggio? Nessun paese al mondo è riuscito a raggiungere risultati positivi - dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna - utilizzando le loro leggi migliori. Il problema, dunque, è proprio questo: il vicecomandante dell'Arma dei carabinieri lo ha recentemente riproposto e la segreteria del maggior sindacato di polizia lo aveva indicato. Credo che esso sia anche oggetto di attenzione da parte di questo Governo, visto che i tempi non sono nemmeno tanto larghi per poter fornire una risposta. Per quanto riguarda altri problemi, si è citato il fenomeno dei paesi dell'est ex comunisti, dove sta avvenendo qualcosa di terrificante, tanto che la Comunità economica europea si trova alle proprie spalle ciò che per gli Stati Uniti è l'America centrale, dove si stanno verificando fenomeni che sfuggono a qualsiasi possibilità di controllo; si tratta di un fatto legato al sistema politico del regime proibizionista. Il ministro dell'interno ha fatto riferimento, inoltre, all'aumento dei sequestri di droga. Ritengo però che sarebbe corretto chiarire anche che la quantità di 18 mila chilogrammi è riferita all'insieme delle sostanze stupefacenti sequestrate, nell'ambito delle quali la quantità di eroina è pari a circa 900 chilogrammi; se si considera che il consumo annuale medio in Italia di tale sostanza oscilla, secondo stime attendibili, tra i 45 e i 60 Pag. 60 mila chilogrammi, è evidente che si tratta di una goccia nel mare. E' necessario, quindi, indicare le giuste proporzioni. Il Presidente del Consiglio ha parlato spesso di punto di ambivalente equilibrio rispetto ad alcune norme che intaccano o violano la Costituzione. Il ministro dell'interno, usando il suo linguaggio, ha affermato che ci siamo liberati dalle pastoie di un garantismo esasperato e generalizzato. Vorrei, tuttavia, che si riflettesse anche su quanto sta avvenendo in rapporto alle violazioni o alle interferenze con la Costituzione; sono preoccupato anche dal fatto che nel nostro sistema di Stato di diritto si inseriscano poteri al di fuori di ogni controllo. Ho sentito elencare, per esempio, i poteri del direttore della DIA, alcuni dei quali mi spaventano abbastanza: egli, per esempio, può convocare qualsiasi persona; inoltre, attraverso un emendamento proposto indirettamente dal sottosegretario Murmura presso la Commissione giustizia si è cercato di dotare il direttore della DIA di un fondo riservato del quale non si sarebbe dovuta trovare alcuna traccia; si ipotizzava, infatti, una relazione al ministro dell'interno il quale avrebbe provveduto alla distruzione di quei fondi. Ritengo, pertanto, che si aprano dinanzi a noi percorsi pericolosi e che la Commissione antimafia dovrebbe valutare - se ne parlava questa mattina - quale sia il peso di una maggiore repressione, che comporta anche una maggiore efficacia, rispetto alle norme generali anch'esse da salvaguardare. PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio mi ha comunicato che prima delle ore 20 deve recarsi a Palazzo Chigi. Pertanto, dal momento che si è esaurito il primo giro di interventi di un rappresentante per gruppo, se i colleghi sono d'accordo, darei la parola al Presidente del Consiglio per consentirgli di svolgere la replica, mentre il ministro dell'interno risponderà successivamente sulle questioni più specifiche. GIULIANO AMATO, Presidente del Consiglio dei ministri. A questo punto, non ho molto da dire; avverto soltanto il dovere di aggiungere qualche considerazione su ciò che è stato affermato in merito ad alcuni temi generali, evitando però di entrare a questo punto nell'analisi del fenomeno mafioso per contrapporre la mia all'analisi di qualcun altro. In realtà, è proprio questo il rischio che si corre. Se vogliamo porci la domanda su quale sia il punto di partenza, ho il sospetto che essa rischi di diventare fuorviante (lo dico all'amico Galasso). Abbiamo ascoltato, tra l'altro, il collega Taradash affermare che in una fase storica come l'attuale gli enormi proventi originati dal traffico di droga sono il propellente che consente all'organizzazione mafiosa di penetrare con il suo potere in vari ambiti della società, che investono la politica, la finanza, le attività commerciali e, in generale, un "n" indefinito di attività a volte profittevoli ma a volte anche non profittevoli in quanto servono da copertura. Oggi si è indotti a sostenere, come egli afferma, che se facessimo scomparire gli enormi proventi originati dal traffico della droga daremmo un colpo letale alla mafia e probabilmente indeboliremmo anche la sua presa sulla politica. Questa è l'analisi che egli svolgerebbe. Non so se ciò sia corretto o scorretto, ma certamente rappresenta un punto di vista oggi molto rilevante. D'altra parte, è pur vero che la criminalità organizzata, la quale in Italia e in altri paesi si esprime storicamente nel fenomeno mafioso, finisce sempre per trovare attività attraverso le quali esercitare forme di controllo sia sulla politica sia sulla società. Questo spingerebbe dalla parte dell'osservazione dell'onorevole Galasso. Da parte mia, rifiuterei francamente di assumere un punto di partenza: dobbiamo fronteggiare un fenomeno con riferimento a diversi elementi. Il rapporto fra mafia e politica è certamente un punto cruciale; eviterei però di pormi l'interrogativo se sia o meno il primo. Si tratta comunque - lo ribadisco - di un punto cruciale, rispetto al quale l'intervento è più forte se la mafia è indebolita Pag. 61 nei suoi traffici. In ordine a tale aspetto, possiamo essere più forti se modifichiamo comportamenti e regole che consentono con maggiore facilità la contiguità tra politica e mafia. Nel momento in cui si sostiene che, se un determinato partito va al potere, l'infiltrazione è minore mentre è maggiore se ci va un altro, ci si addentra in una questione che soltanto gli elettori - e non io - sono in grado di risolvere. Se si afferma che un Governo e un Parlamento possono fare qualcosa per ridurre questa infiltrazione, sono d'accordo, in quanto ritengo che su questo terreno si possa lavorare, evidentemente in molti modi; alcuni di questi li abbiamo già trovati, occorre trovarne altri. Sono tra coloro che credono che una maggiore trasparenza nelle regole poste alla base dei rapporti tra autorità pubbliche e attività economiche ed una maggiore apertura dei mercati dell'offerta di imprese, di servizi, possa esserci di grande aiuto. Non ritengo, sotto questo profilo, che il trattamento del fenomeno mafioso debba essere diverso da quello di qualunque altra possibile "incrostazione" nei rapporti tra politica, gestione di enti locali e nazionali e operatori economici. Un mercato europeo nel quale non sia più possibile che certi servizi vengono affidati a determinate società locali ovvero a società costituite con capitale di un certo tipo anziché di un altro, certamente ci aiuterebbe. Al riguardo, l'onorevole Taradash potrebbe obiettare che se quei soggetti sono una grande potenza economica possono comparire attraverso una linda società monegasca, tedesca o francese, sostenendo in tal modo che questa non sarebbe una difesa assoluta e si porrebbero altri problemi. In quel modo, tuttavia, si può intanto cominciare ad eliminare le "incrostazioni" e ad aprire il gioco. A questo punto occorre tenere gli occhi aperti. In tale contesto si inserisce il secondo grande problema che abbiamo di fronte e su cui molti di voi si sono soffermati: in questo campo, ci si può affidare a normative che finiscono per essere restrittive delle attività oppure, al di là di un certo limite, si deve lavorare con personale qualificato e con una forte intelligence capace di comprendere ciò che sta accadendo? E' assolutamente impossibile, senza avere alle spalle una capacità di informazione, riuscire a capire se la quarta o la quinta società alla quale, attraverso una serie di passaggi, è stato fatto pervenire il denaro inizialmente sporco, sia ancora collegata o meno alla "sporcizia" di quel denaro e dei suoi titolari. Se si tenta di farlo con congegni di tipo dirigistico e di controllo, si rischia di bloccare le attività economiche. E' necessaria, invece, un'attività di intelligence, che può derivare dall'attività dei servizi segreti oppure dalla capacità di comprensione e di analisi di corpi come la Guardia di finanza. A questo punto, si pone un problema che nessun colpo di teatro normativo può affrontare e risolvere in modo definitivo: mi riferisco alla preparazione ed all'integrità del personale pubblico. Si tratta di una questione che abbiamo tutti presente, che non riusciremo mai a risolvere in un giorno, ma sulla quale possiamo lavorare. Possono farlo, in particolare, i servizi segreti, la cui qualità in passato è stata fonte di legittime riserve e preoccupazioni. Condivido, al riguardo, le osservazioni dell'onorevole Cabras, secondo cui siamo passati da servizi responsabili di svariate slealtà verso la Repubblica a servizi che, non essendo sleali, sono stati in molti casi inutili. Tutto ciò in effetti è accaduto e, sulla base di una visione provvidenziale della storia si potrebbe affermare: "Meglio inutili che sleali, così almeno non fanno danni!". Mi rendo conto che non rientra in una visione molto progressiva e riformista affermare che siamo a questo mondo per limitare i danni che ci causiamo ed in tal modo siamo soddisfatti. Il nostro compito, invece, è diverso e consiste nel cercare di ottenere risultati positivi oltre che nell'evitare danni. Pag. 62 Ricordo che abbiamo rinnovato la direzione dei servizi segreti, alla quale sono state designate persone caratterizzate (anche i precedenti responsabili lo erano) da una particolare attenzione all'efficienza operativa. Mi auguro che essi riescano nel loro compito. Dovete darmi atto che sarebbe ingeneroso, proprio in questo momento (non lo dico per esaltare un singolo episodio), non prendere atto dell'operazione Green ice e dell'apporto che essa ha ricevuto dai nostri servizi segreti. PAOLO CABRAS. E' iniziata molto prima! GIULIANO AMATO, Presidente del Consiglio dei ministri. Non intendevo addurne il merito a qualcuno. Comunque, oggi ho sentito dire sui servizi le stesse cose che sento dire da molto tempo, come se non vi fosse nulla di nuovo sotto il sole. E' stata condotta invece l'operazione Green ice, sulla quale si potrà osservare che una rondine non fa primavera (questo lo accetto) ma comunque la rondine ha volato, almeno l'abbiamo vista. E' possibile quindi che, se vi saranno altre rondini, l'inverno non sarà così freddo. Occorre in sostanza valorizzare il successo conseguito per ottenerne altri. Non ho bisogno di dirlo a questa Commissione, ma desidero rilevare in generale che nell'ambito dello Stato abbiamo bisogno di funzionari sempre più motivati e attenti agli scopi che prospettiamo loro. A volte, quando ne parliamo lo facciamo con un atteggiamento dal quale sembra trapelare una così generalizzata sfiducia nei loro confronti che si ottiene il risultato di demotivarli sempre più. Essi invece vanno spronati, inquadrati in parametri di valutazione dell'efficienza e della professionalità, ed occorre assumere nei loro confronti un atteggiamento dal quale traspaia la fiducia nella loro possibilità di concorrere al raggiungimento di risultati positivi. In caso contrario, ci "avviteremmo" tutti in una spirale negativa. Su questo terreno, una questione da affrontare senza peli sulla lingua (vi accennerò brevemente anche se riguarda il ministro dell'interno) è riferita al coordinamento. In ordine a tale aspetto, la difficoltà cui ci troviamo di fronte è rappresentata dal fatto che esistono due scuole che si contrappongono all'interno degli apparati. Attraverso il disegno di legge al quale faceva riferimento il ministro Mancino, quello relativo al segretariato generale, e attraverso l'intensificazione degli adempimenti per la costituzione della DIA, siamo partiti da una premessa, che si identifica in una delle due scuole, quella secondo cui è possibile ricondurre ad un momento unitario il lavoro di più corpi. Ma c'è un'altra scuola molto forte negli apparati di pubblica sicurezza, quella che sostiene: "La concorrenza tra di noi garantisce il risultato. E' positivo che non ci spartiamo i latitanti da catturare; è positivo che si apra la caccia ai latitanti importanti e cominci una corsa nella quale i singoli Corpi sono motivati dal fatto di correre in concorrenza con gli altri". PAOLO CABRAS. Questo succederebbe anche con il segretariato: o si unificano le forze di polizia o queste cose succederanno sempre. GIULIANO AMATO, Presidente del Consiglio dei ministri. Non sto dicendo che il segretariato sarebbe la soluzione, sto solo esponendo il problema. PAOLO CABRAS. Condivido lo scenario che lei sta illustrando. GIULIANO AMATO, Presidente del Consiglio dei ministri. I modelli organizzativi funzionano quando entrano nel cervello degli uomini che li devono applicare. Siamo qui, noi Governo e voi Commissione antimafia, davanti a questo problema. Come lo affrontiamo? Andiamo avanti senza avere un chiarimento esplicito, magari anche qua dentro, con i rappresentanti degli apparati sulla virtù della concorrenza in luogo del coordinamento? Questo è un problema che va Pag. 63 affrontato a viso aperto. I gruppi speciali è bene non fonderli in un unico gruppo, è bene che ciascuno dei tre Corpi mantenga il suo e lo faccia lavorare in concorrenza con l'altro: questo mi viene detto anche dai massimi vertici di taluni di questi Corpi. Siamo in grado di far prevalere un'ipotesi legislativa diversa se non abbiamo convinto di essa coloro che la dovranno applicare? E' un problema che abbiamo insieme, perché la legge la farà il Parlamento, non il Governo. Ci raccontiamo spesso che è essenziale occuparsi anche della fattibilità delle leggi e della loro copertura amministrativa; in questo caso il problema della copertura amministrativa è quello della identità della cultura espressa dalla legge e quella degli apparati che devono applicarla. Questo è un altro problema che dobbiamo affrontare. PRESIDENTE. L'esperienza del passato non è stata positiva. GIULIANO AMATO, Presidente del Consiglio dei ministri. Ne dobbiamo parlare. Quando sono diventato Presidente del Consiglio ho ricavato una chiara, personale impressione, che coincide esattamente con quella del presidente: i latitanti più "prestigiosi" - quelli che rappresentavano il premio della corsa - erano ancora latitanti, il che vuol dire che la corsa non stava portando ai risultati attesi. PRESIDENTE. I cani litigavano fra loro. GIULIANO AMATO, Presidente del Consiglio dei ministri. Esattamente. Il problema lo dobbiamo affrontare e lo dobbiamo affrontare probabilmente in modo aperto ed esplicito, perché se non lo affrontiamo in modo aperto ed esplicito finisce per crearsi un conflitto che viene vissuto dai Corpi in modo antagonista nei nostri confronti e si generano pericoli che non hanno alcun motivo di essere generati, perché è fuori dubbio la lealtà istituzionale di questi grandi Corpi dello Stato, che invece finirebbe per apparire in dubbio se sorgessero equivoci sul modo in cui ci vogliamo organizzare. Anche questo è un discorso che sarebbe bene affrontare esplicitamente, tutti insieme, per arrivare a convincerci. E' un altro passaggio di grande importanza. Altrettanto importante e delicata è la questione delle banche. Vedremo, insieme anche alla Banca d'Italia, qual è la strada migliore per far funzionare una legge dello Stato che oramai è in vigore e che dobbiamo far applicare. Mi si dice che le misure di prevenzione personale non servirebbero più. Questa opinione - sempre per parlare chiaro - non è condivisa dagli apparati di pubblica sicurezza. A loro avviso, una quota di utilità delle misure personali - che riguardano non tanto i titolari dei patrimoni quanto, se volete, il secondo, il terzo, il quarto rango, che costituiscono l'area omertosa non per paura ma per connivenza, collusione o convenienza, magari piccola - esiste ancora. Questo problema a mio avviso lo abbiamo ancora davanti, anche se certo riguarda uno degli aspetti minori. Permettetemi di dire un'ultima cosa, alla quale sono particolarmente sensibile come italiano; non condivido nulla di quel che ha detto l'onorevole Rossi. Sembrava di leggere un brutto giornale di un altro paese, uno di quelli che suggeriscono ai loro concittadini di non andare in Italia perché l'Italia è un paese pericoloso. Mi sono trovato insieme al cancelliere Kohl a discutere di queste vicende anche in presenza di giornalisti, notando l'esistenza di due fenomeni simmetrici che riguardano i nostri due paesi. L'Italia in Germania è troppo spesso dipinta da giornali locali come un paese che, almeno da una certa latitudine in giù, è interamente posseduto dalla mafia. Questo è ingiusto, è sbagliato ed è anche fonte di cattive conseguenze. Una delle idee che ho in mente è di riorganizzare le presenze turistiche a Palermo. Palermo è una delle città più belle d'Italia; ha un patrimonio artistico straordinario. Da ragazzo andavo religiosamente a Palermo Pag. 64 come a Firenze, perché erano i santuari di un giovane che imparava la storia dell'arte del suo paese e incontravo tanta gente che andava negli stessi pellegrinaggi. MARIO BORGHEZIO. Lei non ha letto l'intervista del console della Repubblica federale tedesca. GIULIANO AMATO, Presidente del Consiglio dei ministri. Oggi è un dato di fatto che Palermo è fuori dai circuiti turistici. La gente tutt'al più va a dormire una notte a Monreale, passa di corsa in un autobus chiuso. Dobbiamo fare in modo di riorganizzare una presenza turistica a Palermo. Secondo me, questo è un segno anche importante che quella città può essere vissuta per quello che è e per quello che deve essere e non per come altri vuole che venga vissuta. Non possiamo noi italiani accreditare quel tipo di immagine dell'Italia. Come non è giusto che noi italiani accreditiamo l'immagine di una Germania ormai preda di un nazismo risorgente. Essi hanno quel problema esattamente come noi abbiamo il problema mafioso. Però noi italiani non possiamo non riconoscere che la Germania è un paese molto più multirazziale del nostro, è un paese che sta ospitando centinaia di migliaia di persone di etnie diverse e ovviamente la presenza in tale quantità di persone di etnie diverse dà luogo a conflitti che noi in questo paese non vediamo anche perché non abbiamo una tale miscelazione in corso di razze, di religioni, di culture diverse. Questo non significa che i tedeschi non abbiano un problema nazista, ma lo hanno allo stesso modo in cui noi abbiamo un problema mafioso. MARIO BORGHEZIO. Ma non c'è una classe politica votata dai naziskin! Qui invece c'è una classe politica votata dalla mafia! PAOLO CABRAS. I naziskin votano anche in Germania. VITO RIGGIO. Che vuol dire classe politica? Che ci sono alcuni votati dalla mafia o che il Presidente del Consiglio è votato dalla mafia? MARIO BORGHEZIO. Fa parte della classe politica. GIULIANO AMATO, Presidente del Consiglio dei ministri. Caro collega, chiunque sta qui dentro è nel Palazzo ed è parte della classe politica. Mi spiace, io volevo porre dei problemi. Il gusto della polemica politica in questo momento non me lo tolgo, perché faccio un mestiere che mi onoro di fare lavorando per lo Stato e lasciando ad altri il gusto della polemica. MARIO BORGHEZIO. Lei ha distorto le parole dell'onorevole Rossi. GIULIANO AMATO, Presidente del Consiglio dei ministri. Io non ho distorto le parole dell'onorevole Rossi. Ma non rispondo su questo. Ho detto la mia e vi ringrazio. GIROLAMO TRIPODI. Aspettavo una risposta sulla domanda che le ho rivolto in merito alla persecuzione del ministro Martelli nei confronti del giudice Cordova. Sembra di assistere ad una contraddizione tra la politica che il Governo dice di voler fare e ciò che avviene nei fatti. GIULIANO AMATO, Presidente del Consiglio dei ministri. Vedo che la polemica tende ad essere il cuore del problema. Mi scusi, ma non ho preso nota delle domande, per cui me ne ero dimenticato. Su questo argomento non posso che prendere atto di ciò che ha fatto il mio ministro di grazia e giustizia e di ciò che sta facendo. Egli ha promosso delle inchieste sulla base di motivazioni che sono note, perché le ha espresse. GIROLAMO TRIPODI. Per lassismo. Pag. 65 GIULIANO AMATO, Presidente del Consiglio dei ministri. Egli ha dato una doppia motivazione: da un lato, di lassismo e, dall'altro, di eccesso persecutorio. I fatti sono quelli che il ministro di grazia e giustizia ha esposto. Vedremo a quali conclusioni si arriverà. Dubito, onorevole Tripodi, che in questo momento sarei in grado di arrivare alle sue conclusioni, che sono in realtà premesse. PRESIDENTE. In ogni caso abbiamo chiesto che ci siano inviate le relazioni ispettive. CARLO D'AMATO. Della questione si è occupata indirettamente la Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, esaminando la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell'onorevole Principe, sulla quale peraltro dovrà pronunciarsi l'Assemblea. PRESIDENTE. Ringrazio, non formalmente, il Presidente del Consiglio per aver partecipato a questa audizione. VINCENZO SORICE. A conclusione di questo incontro ormai un fatto è certo: è stata acclarata la presenza dello Stato, come è emerso dalle relazioni sia del Presidente del Consiglio sia del ministro dell'interno. Credo ci sia un clima di maggiore fiducia nei confronti dello Stato, ma questo non significa che si possa abbassare la guardia, anzi dobbiamo cercare di essere più vigili. Il successo è dovuto anche alla legislazione adottata dal Parlamento, anche se bisogna tenere presente che il Parlamento su questi temi è sempre caratterizzato da atteggiamenti schizofrenici. D'altra parte è sempre difficile raggiungere un equilibrio tra la garanzia della libertà del cittadino e la difesa della collettività. Molte volte il Governo imbocca una direzione suffragato da settori del Parlamento; poi cambia l'atmosfera e ne imbocca un'altra e si assiste a conclusioni come quella del decreto-legge per le elezioni a Monza e a Varese. Voglio solo sottoporre un problema particolare guardando più in prospettiva che non al fatto specifico. Il Presidente del Consiglio ha posto tre problemi ma io cercherò di evidenziare solo l'ultimo aspetto: il rapporto mafia, politica e pubblica amministrazione. E' un problema sul quale ognuno dà la propria interpretazione. Un fatto è certo: l'invasione del capitale nella politica, nei partiti e nelle istituzioni, indubbiamente ha creato un certo tipo di collegamento tra la politica e gli affari. E' un fatto ormai definito e sul quale credo che tutti i partiti debbano riflettere. Però vorrei sottoporre al ministro dell'interno un problema particolare, quello dei controlli. Dobbiamo renderci conto che non basta sciogliere i consigli comunali e concentrare la nostra attenzione solo su di essi. Quando definimmo gli organi di controllo prevalse l'orientamento di affidare ad essi il giudizio di legittimità. Non ci accorgiamo, però, che con il tempo siamo passati dal giudizio di legittimità al giudizio di merito degli organi di controllo. Vi è quindi il rischio di trasformare questi organi di controllo in organi di amministrazione attiva. E' questo un problema che va definito ed approfondito in termini reali. Vi è poi un secondo aspetto cui credo sia interessato direttamente il Presidente del Consiglio ed è quello dei tribunali amministrativi regionali, che va affrontato anche in merito alla legge delega. Non ci stiamo accorgendo che spesso i membri dei tribunali amministrativi regionali svolgono funzioni extra giudiziali, arbitrati, chiamati da grandi raggruppamenti imprenditoriali. Gli stessi si trovano poi a dover dirimere controversie tra questi grandi imprenditori, o raggruppamenti imprenditoriali, e la pubblica amministrazione. E' questo un problema che ci dobbiamo porre perché va attentamente analizzato. Bisogna anche dire che con l'approvazione della legge delega, come sapete, libereremo il TAR da tutti i problemi relativi al rapporto di diritto pubblico tra i dipendenti e la pubblica amministrazione, Pag. 66 gravando la magistratura ordinaria di questi processi (con una mole enorme di lavoro) e affidando al TAR solo i problemi concernenti i rapporti tra imprenditoria e pubblica amministrazione. Si tratta di un tema delicato che intendo sottoporre al ministro dell'interno chiedendo se non sia opportuna una relazione sullo stato di attuazione degli organi di controllo, in modo da pervenire ad una modificazione tale da dare una risposta alle preoccupazioni che si vanno evidenziando. Prima di concludere vorrei ricordare, in materia giudiziaria, la legislazione per la protezione dei pentiti, poiché occorre prendere atto della situazione. Il ministro dell'interno ha ben operato e ci complimentiamo per il lavoro che sta facendo e per gli indiziati che si trovano negli istituti penitenziari. Dobbiamo tuttavia renderci conto che tali istituti, essendo stracolmi, diventano fucine per l'incremento della criminalità organizzata, anche perché dall'interno esiste la possibilità di contattare l'esterno. Il problema non è dunque risolto e ritengo che in sede governativa esso vada affrontato in termini reali con riferimento al rifinanziamento delle strutture penitenziarie. MASSIMO BRUTTI. Ho ascoltato con una certa apprensione i riferimenti contenuti nelle relazioni del Presidente del Consiglio e del ministro dell'interno a nuovi interventi legislativi. Ritengo che in questi anni vi sia stata una sorta di inflazione legislativa sul terreno della lotta alla mafia. Alcune di queste norme risultano contradditorie tra loro, per cui penso che sarebbe necessaria una pausa di riflessione, nonché una verifica rispetto alla loro applicazione. Vorrei richiamare l'attenzione su un problema rispetto al quale sarebbero a mio avviso opportune un'indagine ed una relazione da parte del ministro dell'interno. Nelle disposizioni legislative degli ultimi anni sono state attribuite nuove competenze ai prefetti in modo che definirei alluvionale. Vi è stato il tentativo di attribuire alle prefetture poteri più efficienti di controllo e di governo della pubblica amministrazione. Le competenze dei prefetti sono ora numerose e varie poiché vanno dal rilascio delle certificazioni antimafia alle competenze attribuite dalla legge sulla droga a quelle, assai complesse ed articolate, che si riferiscono alla disciplina degli appalti. Alcune di queste competenze richiedevano e richiedono interventi da parte del Governo, come la definizione di regolamenti applicativi. Penso, per esempio, alle norme che dovevano essere emanate dal Governo per il controllo delle composizioni azionarie dei soggetti aggiudicatari di opere pubbliche, che ancora non sono state definite. Oltre alla necessità di una verifica e di un'analisi del funzionamento dei poteri attribuiti ai prefetti, pongo la questione di un adeguamento organizzativo e strutturale. Molte volte, infatti, questo accrescimento dei poteri non corrisponde ad una concreta idoneità all'esercizio dei poteri stessi. All'incremento delle funzioni non ha corrisposto un adeguamento organizzativo. Molte funzioni sono state poi affidate come compiti aggiuntivi agli organi di polizia e, prevalentemente, alla polizia di Stato. Noto poi un ritardo ed un vero e proprio inadempimento da parte del Governo per quel che riguarda le norme relative al riciclaggio del denaro sporco. Anche in questo caso la legge prevedeva un regolamento applicativo, un decreto del Presidente della Repubblica da emanarsi su proposta del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 55 del 1990 recante misure di modificazione alla legge Rognoni-La Torre. Tali norme applicative non sono intervenute in tempo ed ancora le stiamo aspettando. Vorrei porre, infine, una questione che avrei voluto sollevare alla presenza del Presidente del Consiglio; la porrò in ogni caso perché ritengo sia utile che rimanga traccia nei nostri lavori di una sollecitazione Pag. 67 in tal senso. Insieme ad altri colleghi del Senato, all'inizio del mese di giugno ho rivolto al Presidente del Consiglio un'interpellanza nella quale si chiedeva che si facesse luce sull'impiego di una struttura ormai nota, che aveva carattere di particolare riservatezza all'interno dei servizi segreti (la struttura Gladio), in Sicilia, a beneficio della lotta contro la criminalità organizzata. Ricordo che nella relazione di Gualtieri l'uso di questa struttura in Sicilia a beneficio della lotta contro la criminalità organizzata viene riportato a metà degli anni ottanta mentre il Presidente del Consiglio Andreotti nel gennaio del 1991 sottolineava il carattere improprio ed anomalo dell'impiego di questa struttura sul piano della lotta contro il traffico di droga e la mafia, addebitando tale scelta anomala ed impropria al direttore del SISMI, Martini. Sulla base dei fatti, per come si susseguirono allora, il licenziamento dell'ammiraglio Martini può essere ricollegato proprio a quella scelta e a quelle iniziative. Vorrei che si facesse luce su tutto questo e chiedo ancora una volta al Presidente del Consiglio di venire in Parlamento a spiegarci bene in che senso, perché e quando una rete informativa facente capo a Gladio è stata utilizzata in Sicilia. Credo che questa sia un'utile occasione anche per capire (si è parlato dell'uso dei servizi, della loro funzionalità e lealtà) a che cosa serve e che cosa significhi l'istituzione di un superconsulente in materia di servizi segreti presso la Presidenza del Consiglio. Si tratta, guarda caso, proprio di quell'ammiraglio Martini licenziato, a quanto sembra, per un uso anomalo ed improprio di Gladio in Sicilia sul terreno della "lotta contro la mafia". PIETRO FOLENA. Vorrei domandare innanzitutto al ministro un chiarimento sulla nota di variazione al bilancio della tabella 12, relativa al Ministero della difesa, concernente il potenziamento dei servizi dell'Arma dei carabinieri. Non è ancora pervenuta la nota aggiuntiva e dal Ministero della difesa hanno fatto sapere che arriverà forse lunedì; dovendo discutere martedì il bilancio in Commissione, perverrà dunque all'ultimo momento. Nella nota di variazione il capitolo 5031 relativo a spese per il potenziamento dei servizi dell'Arma dei carabinieri e, quindi, a tutti gli strumenti essenziali per il lavoro in prima linea, viene ridotto da 180 a 65 miliardi, con un taglio di 115 miliardi. Vorrei quindi sapere quale filosofia ispiri questo taglio e quali ne siano le ragioni: forse l'ottimismo manifestato nel corso di questa audizione dal ministro e dal Presidente del Consiglio. A proposito dell'attività di controllo del territorio abbiamo ascoltato i dati positivi relativi all'aumento degli organici in Sicilia, tuttavia credo che esista ancora un gravissimo problema di organizzazione concreta delle forze sul territorio e vorrei che il ministro si esprimesse a tale riguardo. Vi sono problemi strutturali non risolti e vorrei ricordare che sono stati solo la pronta reazione personale ed il coraggio del vicequestore Germanà ad evitare che a settembre dovessimo piangere un'altra tragedia. Faccio un esempio: se telefoniamo a quest'ora alla stazione dei carabinieri di Polizzi Generosa in provincia di Palermo, nelle Madonie (zona ad altissimo insediamento mafioso), risponde una segreteria telefonica che invita il cittadino a rivolgersi ai carabinieri di Cefalù; per raggiungere tale località, distante 60 chilometri, è necessaria un'ora e mezza percorrendo 20 chilometri di strada statale ed imboccando poi l'autostrada, due ore percorrendo la strada statale. E' facile comprendere come, in un paese che ha subìto attentati molto gravi, ciò rappresenti una disfunzione. Tale situazione si riproduce, in generale, su larga parte del territorio. Per quanto riguarda la polizia di Stato vi è l'annosa questione di scarsità di presenze su parte del territorio siciliano. Risale al 1988 la proposta di istituire accanto al commissariato di Niscemi, in Pag. 68 provincia di Caltanissetta, quello di Riesi, ma ciò non è mai avvenuto. Ricordo che Riesi rappresenta un punto fondamentale nel rapporto mafia-politica, attorno al quale sono ruotate alcune delle inchieste più recenti. Per ampliare il quadro delle informazioni che, peraltro, avevo già fornito al ministro nel corso dell'incontro del mese di agosto, ci risulta che in una parte consistente del territorio della provincia di Caltanissetta manchi a tutt'oggi la copertura radio per le macchine della polizia. Si tratta di una notevole disfunzione, se consideriamo che l'organizzazione mafiosa è capace di intercettare la telefonata con la quale il giudice Borsellino annuncia alla sorella la visita alla madre. Vorrei anche conoscere i dati relativi al potenziamento degli organici della polizia stradale. E' infatti del sindacato di polizia (SIULP) la denuncia che esistono intere zone, per esempio quella della strada statale tra Caltanissetta e Agrigento, che comprende aree ad altissima densità mafiosa, come Canicattì, in cui per 25 ore consecutive si è privi di qualsiasi forma di pattugliamento. La scarsità degli organici della polizia stradale costituisce un aspetto fondamentale perché la presenza dello Stato si misura anche in questo modo. Pensiamo, per esempio, anche al fatto che non esiste alcun punto di riferimento alla presenza dello Stato sull'autostrada che va da Palermo a Trapani o a Mazara del Vallo, non un distributore o altro, nonché pattugliamenti estremamente limitati. Ho ascoltato le cifre relative ai patrimoni. Sarebbe interessante conoscere l'incidenza dei sequestri di patrimoni decisi dal questore di Palermo, dottor Cinque, particolarmente significativi ed apprezzabili. Ciò dimostra che in presenza della volontà le cose possono essere fatte. Ci risulta, per esempio, che nella questura di Caltanissetta ed in quella di Agrigento sequestri di questo tipo non si fanno da moltissimo tempo. Si è anche parlato della questione centrale della mafia politica. Credo che occorra affrontare con decisione il problema delle forme di intervento nei confronti dei gravissimi casi di inquinamento. E' noto ed è stato richiamato in varie occasioni, per esempio nell'assemblea nazionale siciliana, il problema della presenza di diciannove deputati regionali oggetto di inchieste di qualche natura; rispetto a ciò non esistono possibilità di intervento poiché nella regione siciliana, a statuto speciale, non si può applicare la norma di sospensione come potrebbe avvenire per una regione a statuto ordinario. Credo che questo problema debba essere tenuto presente dal Governo e dal ministro dell'interno. Desidererei, infine, una sua risposta a proposito sia delle dichiarazioni del ministro Martelli, riferite al numero dei pentiti, sia delle rivelazioni, pubblicate da molti giornali, circa i nessi assai specifici tra organizzazioni mafiose e parlamentari nazionali, poiché è chiaro che sarebbe estremamente grave se essi trovassero conferma. MARIO BORGHEZIO. Non voglio dilungarmi sulle domande, in particolar modo rivolte dal collega Rossi, che non hanno avuto risposta da parte del Presidente del Consiglio, il quale ha preferito deviare su polemiche di natura squisitamente politica. Mi permetto di riconfermare l'impressione degli osservatori stranieri a proposito del nostro paese. Chi come me viene dal nord, proprio per ragioni geografiche ha la possibilità di instaurare frequenti relazioni con i cittadini degli altri paesi europei, e conseguentemente può conoscere meglio l'impatto che essi hanno con la realtà mafiosa del nostro paese. Mi chiedo se leggiate i giornali stranieri. Mi chiedo se li legga il Presidente del Consiglio. Forse preferisce non farlo... PAOLO CABRAS. Qualche dimestichezza con la stampa europea ce l'abbiamo anche noi! MARIO BORGHEZIO. Gli articoli dei giornali stranieri sono molto indicativi a Pag. 69 proposito della situazione del nostro paese, e certo non c'è da rallegrarsi del loro contenuto. Chi come noi ha sempre ritenuto che esistano due Italie, vede confermato il proprio pensiero dall'atteggiamento del Governo! Infatti, nell'esposizione resaci questa sera dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal ministro dell'interno constatiamo che i dati concreti sono assai scarsi, fatta eccezione per i 464 miliardi riferiti ai sequestri. A dire il vero qualche cosa sembra che si intenda fare anche sul versante dei beni immobiliari (forse perché sono più evidenti e quindi più facili da colpire), ma certo questo non significa esaminare a fondo l'economia mafiosa, a proposito della quale non vi è stato alcun tentativo di analisi. L'immagine della piovra è significativa, proprio perché i tentacoli della mafia sono tanti: i beni immobiliari, per esempio, ne rappresentano soltanto uno. Esistono tante altre branche della piovra mafiosa, una delle quali è quella finanziaria, che, stranamente, è stata del tutto trascurata nelle relazioni di questa sera. Non vi è stato neanche un approccio di analisi della penetrazione mafiosa nella Borsa italiana, nonostante la denuncia del dottor Bassetti, che non è certo un parvenu dell'ambiente, ma una persona competente. Ritengo che una analisi più approfondita andrebbe compiuta sul versante dell'alta finanza italiana. Dinanzi ad un Ligresti, che è oggetto di un'indagine particolarmente delicata, come non possiamo porci il problema dei rapporti tra alta finanza italiana, affari mafiosi e narcolire? E' possibile non interrogarsi a proposito del rapporto tra i pacchetti azionari delle grandi industrie italiane ed i capitali mafiosi? Pensate che esista la sola Borsa di Milano? Vi sono argomenti di cui non si parla mai, quasi siano coperti da un velo di riservatezza, quasi vi sia una sorta di pudore ad affrontarli. Invece, vorremmo che il Governo fosse più impudico, fosse meno irritabile alle nostre provocazioni, vorremmo che fosse più attivo nell'indagare su realtà che dovrebbero essere oggetto di indagini approfondite, quali, per esempio, quella del racket nazionale dell'usura. Da questo punto di vista, infatti, coloro che hanno contatti con le organizzazioni in difesa dei commercianti sanno benissimo quale sia la realtà. Roma, per esempio, è una città strozzata dall'usura, anch'essa gestita dalla mafia. Ma nelle mani di quest'ultima sono anche l'immigrazione clandestina e lo spaccio di droga nelle grandi città: a Torino, a Milano e a Genova, il commercio della droga è nelle mani della mafia di colore, alla quale è consentito di varcare clandestinamente i valichi di confine (figuriamoci cosa accadrà quando i valichi non esisteranno più!). Questa è la realtà, eppure su nessuno degli aspetti che ho evidenziato né il Presidente del Consiglio dei ministri né il ministro dell'interno hanno speso una parola! Gradiremmo pertanto qualche risposta. Lasciando agli esponenti di Governo la responsabilità del disegno ottimistico che ci hanno delineato, vorrei concludere formulando anch'io una domanda che si pongono tutti e che oggi è apparsa sui giornali della mia città, in un enorme paginone fatto pubblicare a pagamento dai commercianti del centro: "Come mai non c'è un Di Pietro a Torino"? Vorrei saperlo anch'io, e vorrei anche sapere perché non vi sia un Di Pietro neanche nei grandi capoluoghi di provincia della Sicilia, della Campania e della Calabria! PIETRO FOLENA. Li hanno ammazzati! GAETANO GRASSO. Ritengo che l'argomento della legislazione antiracket sia delicatissimo perché vi sono soggetti che collaborano con lo Stato e che per questo corrono seri rischi personali. La vicenda della legislazione antiracket si è distinta per contraddittorietà e ritardi, ma credo che il nodo del problema debba essere individuato nella necessità di capire che sarebbe estremamente pericoloso demotivare i soggetti Pag. 70 che tendono a collaborare con lo Stato. Da questo punto di vista, l'impressione che si è avuta fino a questo momento è che rispetto all'efficacia della legislazione la demotivazione è forte. La mia raccomandazione, pertanto, è quella di rendere attuativa la legge antiracket, ma aggiungo che così come essa è congegnata risulta di difficilissima applicazione. I soggetti imprenditori, per esempio, hanno bisogno di vedersi corrisposti i danni entro tempi molto brevi, altrimenti saranno posti al di fuori delle logiche di mercato. Ma da questo punto di vista il regolamento attuativo della legge antiracket prevede tempi lunghissimi. Inoltre, le compagnie di assicurazione non assicurano più il loro sostegno agli imprenditori a rischio. Credo che anche su questo terreno dovremmo intervenire per individuare una soluzione. Un ulteriore aspetto che voglio evidenziare è relativo alla tutela giuridica delle associazioni antiracket sorte di recente nel nostro paese, tenendo conto che sia le medesime sia le vittime che denunziano reati estorsivi nelle aule dei tribunali si trovano in situazioni disperate e che, assai spesso, i processi assumono le caratteristiche di un processo per stupro. Anche da questo punto di vista, gli impegni sono stati numerosi, ma finora non è venuto alcun segnale in direzione di un riconoscimento giuridico delle associazioni antiracket. Ritengo che risolvere i problemi che ho sopra evidenziato sia fondamentale per incoraggiare l'ulteriore espansione del fenomeno della ribellione ai racket. PRESIDENTE. Considerato che sono state poste questioni molto specifiche, prima di darle la parola, signor ministro, voglio dirle che, qualora lo ritenga opportuno, su talune di esse può riservarsi di inviarci una risposta scritta. NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Ho seguito attentamente gli interventi che si sono succeduti, e poiché essi stimolano una riflessione che adesso giudico inopportuna, sia per l'ora sia per l'assenza di alcuni interlocutori, al momento mi limiterò ad alcune osservazioni, salvo accordarci circa i modi ed i tempi per fornire le ulteriori risposte alle domande che mi sono state rivolte. Dico subito che non ho alcuna difficoltà ad incontrarmi nuovamente con la Commissione, sia perché oggi non potremmo esaurire l'"universo mondo" della criminalità organizzata sia perché le questioni che dobbiamo affrontare sono tante ed inquietanti. Per ciò che attiene a queste ultime, nonostante l'assenza del senatore Brutti, ritengo doverosa una precisazione. Non ho potuto fare il conto di tutte le leggi attinenti alla criminalità mafiosa (non so, quindi, se siano 113 o 114, come è stato ricordato poc'anzi), ma ritengo che, là dove si ravvisino difficoltà di carattere applicativo e talvolta anche di carattere interpretativo, di esse non si possa non investire il Parlamento, anche con il concorso rilevante della Commissione antimafia. Sin da quando ho assunto responsabilità ministeriali, ho posto l'accento sulla necessità di aggredire il patrimonio illecito immobiliare o mobiliare. Naturalmente, per poterlo fare è necessario constatare se le procedure (non le norme sostanziali, quindi) accompagnino l'obiettivo non solo dell'intervento sul patrimonio a fini cautelari, ma anche dell'intervento risolutivo a fini di confisca. Si tratta di processi lunghi, che comportano una procedura laboriosa, per altro strettamente collegata anche ai notevoli ritardi che si registrano nell'esaurimento delle varie fasi dei processi contro appartenenti alla criminalità organizzata. Dunque, si pone un problema serio non soltanto dal punto di vista dell'organizzazione dei lavori della giustizia, ma anche rispetto alla celerità dei tempi, che dobbiamo valutare con riferimento sia alle procedure sia all'obiettivo che si intende realizzare. Diversi parlamentari hanno sollevato il problema del crimine finanziario, a proposito del quale va precisato che, quando se ne parla,non vi sono attenzioni verso un settore e distrazioni verso altri. Pag. 71 Anche il problema della Borsa deve considerarsi serio. Si tratta di individuare strumenti operativi che consentano di colpire le varie direzioni in cui si estrinseca la criminalità finanziaria. A me sembra che sia il Presidente del Consiglio dei ministri sia il sottoscritto si siano soffermati su una questione particolare, chiedendo alla Commissione di fornire l'apporto di una propria riflessione su ciò che è necessario fare nei confronti delle banche. Non credo, infatti, che il problema sia riconducibile soltanto alla figura del Governatore della Banca d'Italia, perché in questo caso si potrebbe dire che i siciliani sanno perfettamente che sono stati chiusi molti sportelli bancari nell'area più esposta, quella di Trapani, dove erano sorti in gran numero. Non si tratta soltanto di un problema di vigilanza, quindi, perché quest'ultima non ha poteri maggiori rispetto a quelli dei singoli istituti bancari o della banche private. Il problema è che la parola "sospetto" non è facilmente riconducibile all'oggettività dell'indagine: vi è chi può sospettare di un capitale che si muove in direzione di una determinata banca, vi è chi può distrarsi, vi è chi può non avere sospetti, vi è chi preferisce essere più cauto e prudente, vi è chi teme le reazioni per eventuali denunce. Il problema è serio e non può essere risolto in termini meramente amministrativi. Credo che vi sia bisogno di un'attenzione maggiore per vedere se sia possibile controllare meglio il flusso finanziario che si registra non soltanto all'interno del territorio nazionale ma anche sul piano internazionale. Da un colloquio avuto con il Governatore della Banca d'Italia ho appreso che vi è un flusso notevole di capitale apparentemente sporco che viene dirottato verso altri paesi: alcuni Stati sono caratterizzati da una significativa liberalità e altri preferiscono il dirottamento in quella direzione. Spesso il lavaggio del denaro sporco avviene con l'attraversamento delle Alpi; ci troviamo di fronte ad alcuni paesi del centro e dell'est europeo che hanno un'enorme "fame" di capitali che notoriamente non hanno odore e che vengono calamitati in quelle zone con la costituzione di una serie di finanziarie collegate a livello internazionale. Sono convinto che sarebbe molto utile una riflessione corale da parte di una Commissione che dedica la sua attenzione a questi problemi in maniera specifica. Vorrei ora soffermarmi sulla questione dello scioglimento dei consigli comunali, sollevata dall'onorevole Tripodi. Nel corso di una riunione svoltasi in provincia di Caserta, mi è stato posto il problema della condizione delle amministrazioni straordinarie e delle difficoltà che anche i commissari incontrano nella gestione, sia pure ordinaria - non hanno competenze di carattere straordinario -, della transizione da una fase patologica che ha portato allo scioglimento ad una fase ordinaria e cioè al reinsediamento dei consigli comunali. La questione è seria perché la popolazione avverte la differenza che esiste tra l'intervento del commissario, privo di poteri se non quelli ordinari, e quello della precedente amministrazione, che operava in particolare nel settore delle opere pubbliche (la collusione è avvenuta prevalentemente in tale settore). Predisporrò l'attuazione di verifiche - come mi è stato suggerito - a Gallipoli, Misterbianco e Marano, dove si è verificata la sostituzione di alcuni commissari (che hanno abbandonato). La discussione svoltasi in Commissione ha rafforzato il mio convincimento a proposito della necessità di riflettere sulla condizione delle gestioni straordinarie conseguenti all'applicazione della legge antimafia in tema di collusione tra amministrazione elettiva e malavita organizzata. A me dispiace che non sia presente in questo momento l'onorevole Taradash perché il suo interessante intervento mi consente di fare una precisazione (non ho alcuna difficoltà ad affermare che spesso l'uso della parola tradisce il pensiero): non intendevo dire che vi è un eccesso di garantismo da rimuovere; conosco il valore Pag. 72 della garanzia ai fini della tenuta democratica, però tra garantismo e permissivismo mi pare che vi sia una differenza notevole ed io sono sempre stato e sono tuttora preoccupato dell'introduzione nell'ordinamento di un eccesso di permissivismo, che ha consentito lo svolgimento di attività ai limiti della norma penale, perciò non punibili ma non per questo irrilevanti in altri campi. Vorrei cogliere questa differenza tra garantismo e permissivismo. L'onorevole Taradash ha affermato che io parlo con il mio linguaggio: certo, ma non con il linguaggio di un ministro dell'interno irrispettoso delle garanzie costituzionali, semmai preoccupato per fasce di permissivismo che hanno creato una sorta di indifferenza nei confronti dei problemi della criminalità organizzata. Ascoltando la radio spesso si apprendeva che bande si erano scontrate tra di loro... GIROLAMO TRIPODI. E si diceva: "Meglio che si ammazzino tra di loro!". NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Anche questo. Nel parlare di Reggio Calabria, riferirò anche su Agrigento. Ho ricevuto una serie di interrogazioni e, per la verità, sarei ben lieto di fare una riflessione (suggeritami dal senatore Brutti) sulla funzione, il ruolo e la rilevanza dell'istituto prefettizio nell'attuale ordinamento. Se dovessi seguire tutte le interrogazioni parlamentari, dovrei sciogliere molti consigli comunali anche quando non ne ricorrono le condizioni. Naturalmente anche il ruolo del ministro dell'interno si è trasformato: si rischia di tornare al prefetto di polizia giolittiano; ma poiché questa non è e non vuole essere la mia intenzione, devo riferirmi ai rapporti ed alle relazioni. Nonostante tutto quello che si è letto sui giornali, non ho potuto rilevare interferenze fra la malavita organizzata e il consiglio comunale di Reggio Calabria. Si sono verificati episodi progressivi di corruzione, simili a quelli registrati a Milano, e non ho avuto alcuna difficoltà a procedere allo scioglimento anche in via induttiva, senatore Tripodi. GIROLAMO TRIPODI. Il vice sindaco è in galera da molti mesi per reati di cui all'articolo 416-bis. NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Si tratta di una sola persona: guai ad immaginare che per una sola persona si debba sciogliere, per ragioni di mafia, un consiglio comunale! Almeno per cinque anni avrei messo un suggello mafioso su un'intera popolazione! Peraltro, il prefetto di Reggio Calabria mi ha fatto rilevare che l'inefficienza amministrativa ha toccato non soltanto le varie maggioranze che si sono succedute nel tempo, ma anche l'opposizione, che non ha mai presentato, in termini di sindacato amministrativo, una mozione di sfiducia. Mi sono trovato quindi di fronte all'inefficienza complessiva di un organo collegiale (il consiglio comunale). Probabilmente qualche mese prima sarebbe stato diverso, ma quando si è dato vita alla nuova amministrazione, composta, almeno fino ad oggi, di persone intenzionate a ben rendere nei confronti della popolazione, non ho avuto alcuna difficoltà ad affermare che fosse preferibile una morte naturale piuttosto che una lenta agonia, peraltro in condizioni di notevoli difficoltà. Vi sono risorse non spese: occorre comprendere perché un consiglio comunale, investito di enormi responsabilità e di grandi poteri, non abbia utilizzato tali risorse. GIROLAMO TRIPODI. A causa degli intrecci tra mafia ed affari politici. NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Per quanto riguarda Agrigento, mi sono trovato nella stessa situazione. Ho chiesto all'alto commissario, ai carabinieri, al prefetto, alla polizia di Stato ed alla guardia di finanza: non vi è traccia di collegamenti! Mi domando - sempre nel rispetto delle garanzie costituzionali - se il ministro dell'interno, in assenza di un rapporto che sottolinei la collusione, Pag. 73 possa sciogliere un consiglio comunale per ragioni mafiose. Non sono in condizione di farlo, e mi dispiace di non poter corrispondere ad un desiderio di qualificazione di quelle amministrazioni comunali. GIROLAMO TRIPODI. Bisogna accertare come mai si comportino in quel modo. NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Personalmente approfitterei della denuncia fatta dall'onorevole Imposimato, perché sicuramente esiste il problema della distinzione netta dei ruoli e della confusione delle attività. Se ve n'è bisogno, occorre incidere con una norma più rigorosa. Sono tra coloro i quali pensano che un giudice del TAR sia come gli altri giudici ed abbia il dovere di astenersi da qualunque attività sulla quale è chiamato ad esprimere una valutazione che converge poi nel giudizio finale di un collegio. Anche la confusione dei ruoli dev'essere accertata, perché la trasparenza riguarda non solo la pubblica amministrazione, ma tutti i rapporti tra i vari poteri dello Stato. Concludo la mia replica, non certo organica, parlando dei poteri della DIA. Ho predisposto una bozza, che ho consegnato rispettosamente al presidente della Commissione antimafia ed ho inviato ai presidenti delle Commissioni affari costituzionali dei due rami del Parlamento. Devo però rilevare una contraddizione: tutti hanno appeso le proprie speranze di risoluzione della questione della criminalità all'attaccapanni della DIA, come se questa potesse fare tutto. Sono convinto che essa può fare molto, ma non certo tutto. All'atto dell'insediamento dei mille uomini di cui al decreto Scotti, ho esplicitato la seguente riflessione: "Dovete recidere il cordone ombelicale con i corpi di provenienza; non siete più carabinieri, poliziotti o guardie di finanza, perché la DIA è un organismo non interforze, ma nuovo, che riassume all'interno della propria struttura le varie esperienze, perdendo però qualunque collegamento con i corpi di origine". Così la DIA è stata concepita dal legislatore, così è stata definita nel corso dei vari contatti che ho avuto e così è configurata nei decreti attributivi di poteri e di funzioni. L'argomento mi consente di affrontare la questione sollevata dall'onorevole Galasso. Sono convinto che vi sia bisogno di un forte coordinamento e che la figura del segretario generale, prevista da un disegno di legge, debba rispondere alle esigenze complessive e non a quelle di un solo versante. Abbiamo 100 mila poliziotti, 100 mila carabinieri e 30 mila guardie di finanza: si tratta di 230 mila uomini che devono essere coordinati sul piano politico dal ministro dell'interno e sul piano burocratico da una figura diversa da quella dell'attuale direttore del dipartimento-capo della polizia, perché la polizia rappresenta uno dei tre corpi delle forze dell'ordine all'interno del nostro paese. Vi è bisogno di misura, di prudenza e di equilibri: non si può immaginare che alla prima occasione in cui il ministro dell'interno riceve, a richiesta, i due maggiori sindacati della polizia di Stato, si trova immediatamente di fronte ad un'offensiva polemica dei Cocer dei carabinieri e della Guardia di finanza, mentre uno dei due sindacati di polizia sottolinea che vi è scarsa collaborazione da parte del ministro dell'interno. Non mi preoccupo di questo giudizio, bensì della condizione complessiva: o noi scopriamo il velo e verifichiamo cosa non c'è dietro il concetto astratto del coordinamento, risolvendo così il problema; oppure dobbiamo compiere una valutazione di opportunità. Coloro i quali rispondono dell'ordine pubblico al paese, al Parlamento e al Governo non possono interessarsi soltanto della polizia di Stato; e poiché io sono ministro dell'interno e, in materia di ordine pubblico, devo tener conto non soltanto di uno dei tre corpi, ma di questi ultimi nel loro complesso, sono molto preoccupato. Ho vissuto questa esperienza da parlamentare e ora la vivo anche da ministro dell'interno; e ritengo che le buone regole di galateo, di finezza intellettuale, di Pag. 74 capacità, di equilibrio e di mediazione non possano coesistere in ogni tempo. Non ho alcuna difficoltà a dire che la polizia di Stato ha al suo vertice una personalità di grandissimo prestigio, però tutti gli uomini passano, le strutture restano. Io mi preoccupo di queste strutture, non per l'oggi, ma per il domani perché, se vogliamo far avanzare ancora di più l'offensiva dello Stato nei confronti della criminalità organizzata, dobbiamo pur postulare una qualche sovraintendenza di carattere tecnico e operativo. Il segretario generale non "tiene" in via gerarchica l'arma dei carabinieri, comprimendone l'autonomia ordinamentale. Lo stesso concetto è valido per la Guardia di finanza e per la polizia. Il segretario generale dovrebbe realizzare, anche in termini di gerarchia funzionale, quell'armonia di rapporti che consenta di riportare a sintesi un'opera difficile quale quella di mettere insieme esperienze che è giusto siano conservate in modo pluralistico, ma che, per pervenire ad una sintesi, ad avviso del Governo, necessitano di una figura di vertice. Ringrazio i membri della Commissione per l'attenzione. Pur avendo preso degli appunti, non credo di aver risposto a tutte le domande. Sono comunque a disposizione della Commissione per tutti i chiarimenti necessari, in qualunque momento dovesse ritenerlo opportuno. Vi sarei grato se le questioni esposte, autorevolmente dal Presidente del Consiglio e meno autorevolmente dal sottoscritto, formassero oggetto di una vostra valutazione complessiva. PRESIDENTE. Ringrazio molto il ministro dell'interno. In questa sede rappresentiamo diverse parti politiche e ogni membro della Commissione ha certamente le sue valutazioni, ma credo che nessuno possa contestare la disponibilità e lo sforzo di approfondimento che il ministro ha posto nella sua esposizione e nella sua replica. Il ministro ha anche confermato la proposta del Presidente del Consiglio di far sì che la Commissione affronti, nell'ambito delle sue competenze, il problema del coordinamento e gli altri problemi emersi. Invito i colleghi che hanno posto questioni specifiche alle quali il ministro non ha potuto dare risposta a far pervenire i quesiti alla presidenza, che provvederà a trasmetterli al ministro dell'interno, che potrà fornire le risposte specifiche in un lasso di tempo ragionevole. La Commissione è convocata giovedì 15 ottobre 1992, alle ore 11, per la valutazione e il voto sul programma di lavoro che guiderà il nostro impegno; l'ufficio di presidenza è convocato per le ore 9,30 dello stesso giorno. La seduta termina alle 20,35.