Pag. 441 AUDIZIONE DEL DOTTOR GIOVANNI TINEBRA, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA DI CALTANISSETTA PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Audizione del dottor Giovanni Tinebra, procuratore della Repubblica di Caltanissetta: Violante Luciano, Presidente ....... 443, 444, 445, 448, 449 450, 451, 452, 456, 457, 463, 464, 465, 466 Bargone Antonio ........................................ 458 Biondi Alfredo .......................... 445, 448, 456, 457 Borghezio Mario ........................................ 465 Boso Enzo ......................................... 448, 451 Butini Ivo ............................................. 461 Buttitta Antonino ...................................... 462 Calvi Maurizio ......................................... 465 D'Amelio Saverio ....................................... 463 Folena Pietro ..................................... 455, 456 Frasca Salvatore .................................. 463, 464 Galasso Alfredo ................................... 460, 464 Giordano Francesco Paolo, Sostituto procuratore della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta .................................. 449, 450 Pag. 442 Imposimato Ferdinando ........................ 452, 454, 463 Matteoli Altero .............................. 448, 454, 464 Petralia Carmelo, Sostituto procuratore della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta ..................................... 451, 453 Polino Francesco, Sostituto procuratore della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta ..................................... 450, 451 Ricciuti Romeo ......................................... 454 Riggio Vito ............................................ 459 Scalia Massimo ......................................... 464 Scotti Vincenzo ........................................ 458 Sorice Vincenzo ........................................ 452 Taradash Marco .................................... 447, 453 Tinebra Giovanni, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta .................. 443, 444, 445 447, 448, 449, 452, 466 Tripodi Girolamo ....................................... 459 Zuffa Grazia ........................................... 462 Pag. 443 La seduta comincia alle 15,30. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Audizione del dottor Giovanni Tinebra, procuratore della Repubblica di Caltanissetta. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Giovanni Tinebra, procuratore della Repubblica di Caltanissetta. Oltre al procuratore sono presenti alcuni sostituti che fanno parte della procura distrettuale. Do subito la parola al procuratore che ha ben presenti le esigenze della Commissione: oltre alle informazioni di carattere generale, gradiremmo avere notizie sull'operazione portata a termine di recente. La seduta è pubblica ma, se i magistrati presenti ritengono che per taluni aspetti delle loro dichiarazioni sia necessaria la seduta segreta, possono farne richiesta. GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. Desidero preliminarmente porgere le mie scuse alla Commissione per il ritardo con cui sono arrivato, ma abbiamo dovuto condurre in porto un'operazione di una certa importanza. Per la stessa ragione ho chiesto al presidente di rinviare ad oggi l'audizione prevista per venerdì scorso. Non so se la Commissione desideri avere un quadro dell'attuale situazione delle strutture della procura oppure se preferisca passare direttamente alla esposizione dei recenti fatti. PRESIDENTE. Abbiamo già avuto una nota esauriente sulla situazione generale, per cui potremmo passare direttamente ai fatti. GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. L'argomento per il quale siamo stati convocati è strettamente connesso all'operazione che di recente abbiamo portato a termine, operazione che mette in luce in modo particolare la direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta. Siamo abituati ad un certo tipo di operazioni (l'avvio fu dato da Giovanni Falcone) però, per un certo periodo, è sembrato che Cosa nostra, dal punto di vista della presenza nel territorio (che permea con la sua influenza nefasta diversi strati del vivere sociale) fosse non dico una prerogativa di certe zone ma prevalentemente radicata in alcune zone della Sicilia. In altre, come il centro e quindi le province di Caltanissetta ed Enna, si avvertiva qualcosa, ma a livello processuale non si riusciva a fare molto perché mancava l'ausilio, ormai indispensabile, dei pentiti, che hanno dato un nuovo corso alla nostra ricerca affannosa della verità e rappresentano un'insostituibile fonte di indicazione di temi di indagine. Ci siamo avvalsi e ci avvaliamo dei pentiti per focalizzare i temi d'indagine, per cercare di capire quale sia la chiave di lettura di certi fatti apparentemente slegati ed infine per tradurre tutto ciò in realtà processuali, ove e quando riusciamo a trovare il riscontro. Fino a ieri, le province di Caltanissetta ed Enna non sembravano destare molto Pag. 444 interesse dal punto di vista della presenza del fenomeno mafioso. Ad un certo punto, però, è "venuto fuori" un pentito che ci ha fornito un esauriente spaccato dell'organizzazione di Cosa nostra prevalentemente a Caltanissetta ed Enna e delle sue ramificazioni in tutta la Sicilia, fuori di essa e fuori dall'Italia. Abbiamo considerato questo personaggio un pentito "doc" perché proviene da una famiglia mafiosa per tradizione; inoltre, è stato sempre vicino ai capi, essendo anche lui un capo e, si è pentito per motivazioni ideologiche (lo dico con un sorriso, perché parlare di ideologie in certi casi fa un po' sorridere). Intendo dire che si tratta di un pentito che non riconosce più, nella consorteria criminale della quale si trova a far parte, la Cosa nostra di un tempo, quella fatta in un certo modo, che seguiva certe regole e salvaguardava vita, salute e patrimonio dei suoi adepti contro gli attacchi esterni; quella che aveva nell'illegalità tutta una serie di regole, scritte e non, che venivano pedissequamente rispettate. Lui non si riconosce nell'attuale Cosa nostra, non si riconosce più nella sequela di omicidi, a volte anche inutili, dai quali si vede contornato; inoltre, è gravemente scioccato dall'uccisione di un suo amico intimo; si sente pesantemente minacciato nella sua libertà e cerca scuse per non far parte di un commando di killer; fortunatamente per noi, è stato arrestato per altri fatti e durante la sua detenzione, dopo avere visto in televisione la tragedia della strage di Capaci ed aver ascoltato l'implorazione della vedova Schifano, ha deciso di "saltare il fosso" e di confessare. PRESIDENTE. Di recente? GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. Sì. Questa è la più recente acquisizione in tema di pentiti di mafia: disponiamo ora di una persona che ci parla di Cosa nostra fino all'aprile di quest'anno e perciò va tenuta grandemente non in considerazione ma sotto osservazione perché, a differenza della maggior parte dei pentiti che ci siamo trovati a compulsare, a sentire o a leggere - pentiti che ci parlano di Cosa nostra con riferimento a fatti di anni addietro o da un punto di osservazione che si trova all'interno di un carcere - è stato attivo in ogni senso come capo di Cosa nostra fino all'aprile di quest'anno. PRESIDENTE. Sta parlando del secondo? GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. No, del primo. Il secondo lo abbiamo trovato per strada - nel vero senso della parola - nel corso di un'altra azione (quando ci si muove, si trovano le cose). La storia probabilmente può interessarvi ma non vorrei andare fuori tema: si stavano cercando delle armi, che si sapeva dove fossero, che dovevano servire alla famiglia criminale di un paesino dell'ennese per effettuare una vendetta. Si è, quindi, trovato l'arsenale e si sono trovati anche alcuni personaggi uno dei quali, quasi subito, è crollato e si è pentito. Attualmente sta collaborando; non è della stessa portata del primo però ci sta dando una grossissima mano nella ricostruzione della struttura di Cosa nostra dell'ennese. Queste sono le basi sulle quali abbiamo iniziato l'indagine sui fatti di Cosa nostra nel territorio della direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta. Leonardo Messina è stato ricchissimo di particolari. Spero di non doverlo fare spesso, ma dovrò trattenermi nel dare le risposte alle vostre domande perché i fatti che ci ha raccontato sono ancora oggetto di indagini da sviluppare, per cui non potrò essere molto preciso. Comunque, spero di potervi offrire un quadro d'insieme sufficientemente ben delineato. Egli ci ha spiegato come si muove Cosa nostra e che cosa è diventata oggi; ci ha parlato delle novità strutturali rispetto alla realtà di ieri. Parte delle cose che ci ha detto si conoscono già perché sono apparse sulla stampa (le solite "indiscrezioni" che tanto ci tormentano e che molte volte "bruciano" determinati Pag. 445 esiti delle indagini). Cosa nostra oggi è governata dai corleonesi, chiamati così non perché facciano parte della famiglia di Corleone, ma perché da essa proviene la ventata di egemonizzazione di Cosa nostra. Essi hanno sovvertito le regole tradizionali che riguardano soprattutto la competenza per territorio. Ogni insediamento di Cosa nostra coincide con la cellula-base che è la famiglia e può comprendere uno o più paesi; all'interno della famiglia vi è il capofamiglia, il rappresentante alla commissione provinciale, un vicecapo, un consigliere e dei capidecina, vale a dire i capi delle varie squadre di soldati (gli uomini d'onore). Più famiglie fanno parte di un mandamento, che non coincide con la provincia amministrativa ma è, di solito, un raggruppamento di comuni; più mandamenti nell'alveo della stessa provincia compongono la commissione provinciale; ogni commissione provinciale ha un rappresentante alla commissione regionale, quella che volgarmente viene chiamata "cupola" (se ad un mafioso parlate di "cupola", si arrabbia perché per loro esiste la "commissione regionale"). PRESIDENTE. O interprovinciale. GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. No, regionale. La commissione regionale è l'organo di coordinamento al vertice in Sicilia e serve per coordinare le attività delle famiglie nelle varie province, per prendere accordi per i principali affari condotti da più famiglie di più province o di più mandamenti, per assumere le decisioni più importanti. Leonardo Messina ci ha anche detto - non abbiamo motivo di non credergli anche perché abbiamo avuto talune piccole risultanze in positivo sui fatti dei quali sto per parlarvi - che vi è una commissione nazionale; questa non è di Cosa nostra ma è una sorta di stanza di compensazione nella quale i rappresentanti delle consorterie criminali operanti nel nostro povero paese si incontrano per discutere affari in comune. Il riscontro che abbiamo trovato a proposito dell'esistenza della commissione nazionale consiste nel fatto che vi sono dei legami piuttosto concreti e forti tra 'ndrangheta calabrese e Cosa nostra siciliana. Si dice addirittura che possono esservi uomini d'onore siciliani affiliati alla 'ndrangheta: in altre parole, la stessa persona può avere due cariche diverse nelle due consorterie. PRESIDENTE. Una "doppia tessera"? GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. Praticamente, una doppia tessera. ALFREDO BIONDI. Possono scambiarsi il ruolo anche dal punto di vista operativo? GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. Certamente, e fanno "affari". Ciò significa commerciare in droga, estorcere denaro, uccidere persone, condizionare appalti. ALFREDO BIONDI. Possono servirsi degli uomini anche per le operazioni? GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. Per esempio, Leonardo Messina ci ha detto - questo è un elemento che vi posso anticipare e che ha trovato un minimo di riscontro - che i killer preferibilmente usati all'interno della provincia di Caltanissetta provengono o da un paesino dell'interno oppure dal siracusano. Loro fanno molti affari con la 'ndrangheta calabrese. PRESIDENTE. Quelli di Caltanissetta? GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. Sì, quelli di Caltanissetta. Tornando al discorso dell'organizzazione, vi è anche una cosiddetta commissione mondiale, che dovrebbe rappresentare una stanza di compensazione tra le varie internazionali o multinazionali del Pag. 446 crimine. Totò Riina ne farebbe parte a pieno titolo ed anche il famoso Piddo Madonia dovrebbe farne parte con pieno diritto. Queste sono, però, notizie che vi do senza assumere alcun tipo di paternità in merito alla loro sicurezza: per quanto riguarda la commissione nazionale abbiamo trovato qualche riscontro, ma per il resto dobbiamo per ora accontentarci di quanto ci viene riferito e prenderlo come tema di indagine, niente di più. Tornando a Leonardo Messina, questi ci ha illustrato l'attività di Cosa nostra nella provincia di Caltanissetta, che fondamentalmente si articola in tre filoni principali. Il primo è ovviamente quello delle estorsioni: è uno sport comunemente praticato da Cosa nostra, anzi, si comincia da lì per poi salire di grado nell'organizzazione. Il secondo filone, un po' più specializzato e sofisticato, riguarda il mondo degli appalti. A questo proposito, Leonardo Messina afferma che, per un verso o per l'altro, non vi è ditta che non paghi qualcosa a Cosa nostra. Anche in questo caso, però, devo mettervi sull'avviso in merito all'attendibilità di tali affermazioni: noi abbiamo soltanto la prova che qualcosa c'è, ma non sappiamo ancora se abbia una configurazione così totalizzante, ossia quali proporzioni abbia nel sociale. Sicuramente il mondo degli appalti reca vantaggi monetari a Cosa nostra. Messina ci ha parlato, innanzitutto, di due livelli diversi. Il primo è quello dei grandi appalti a livello regionale; secondo le sue indicazioni, l'ambasciatore di Cosa nostra in quel mondo sarebbe proprio il Siino, a carico del quale è in corso un processo a Palermo, nel quale credo che Leonardo Messina debba essere chiamato a testimoniare. Per quanto concerne, invece, il mondo di Caltanissetta, che è poi quello che riguarda più da vicino la mia procura, afferma che era lui l'uomo di fiducia di Cosa nostra che doveva pilotare gli appalti. Che significa pilotare gli appalti? Messina ci ha riferito che esistono delle imprese (i cui titolari non devono essere necessariamente uomini d'onore, possono essere anche fiancheggiatori) inserite nell'organigramma di Cosa nostra dal momento che hanno una determinata utilità. Esse ricevono appalti mercé l'interessamento di Cosa nostra e, secondo un piano che Cosa nostra predispone, in compenso forniscono servizi: offrono posti di lavoro o il mantenimento alle famiglie degli uomini d'onore quando sono detenuti, oppure somme di denaro e via di seguito. Vi sono, invece, altre ditte le quali non sono organicamente inserite nell'ambito di Cosa nostra, ma usufruiscono del suo aiuto per ottenere vantaggi: nel caso in questione, vi è una contrattazione del tipo "ti faccio avere l'appalto e tu mi dai la tangente". Esistono, infine, altre imprese le quali non fanno parte dell'organigramma di Cosa nostra, non sono con questa in rapporti d'affari, ma debbono pagare per non subire danneggiamenti degli impianti o addirittura omicidi. Inoltre, Leonardo Messina ha affermato che vi sono ditte che non hanno bisogno di Cosa nostra per ottenere finanziamenti o appalti, ma pagano lo stesso perché, nel momento in cui vanno in un paese della Sicilia - qualunque esso sia - e aprono un cantiere, esse debbono mettersi d'accordo con i rappresentanti locali di Cosa nostra, altrimenti non possono lavorare. E' questo il mondo degli appalti quale ce lo ha delineato Leonardo Messina. Devo dire che è un mondo abbastanza sconcertante di cui, per certi versi, si intuiva, si sospettava la presenza ed in merito al quale le indagini sono ancora in corso, per cui non posso essere più preciso; posso soltanto ripetere che il fenomeno, così come ci è stato descritto, sicuramente esiste ed è ben radicato, ma non siamo assolutamente in grado di dire, allo stato, quali siano le sue proporzioni. Vorrei fare una pausa nella mia esposizione per comunicare alla Commissione che mi sono fatto accompagnare dai tre colleghi Carmelo Petralia, Francesco Paolo Giordano e Francesco Polino che fanno parte della direzione distrettuale antimafia. Questa è composta anche da altri tre magistrati ed io amo chiamarla "la legione straniera", perché, come Pag. 447 sapete, soltanto un magistrato, allo stato, fa parte dell'organico della procura, gli altri sono tutti colleghi che, dietro loro richiesta, sono venuti a darci il contributo della loro professionalità; debbo dirvi francamente che, senza di loro, non avremmo potuto fare assolutamente nulla. Si tratta di un gruppo validissimo ed estremamente affiatato, lavoriamo d'amore e d'accordo, con totale interscambio di notizie, parità di ruoli ed unanimità di intenti. Stavo dicendo al presidente che abbiamo predisposto una piccola relazione che vorrei consegnare alla Commissione, nella quale abbiamo cercato di essere più chiari possibile, compatibilmente con le nostre esigenze di riservatezza. Passando a parlare del rapporto tra mafia e politica... MARCO TARADASH. Mi scusi, ha parlato di estorsioni e appalti: la droga non c'è? GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. La droga, ormai, si dà per scontata, è fisiologica, non è neanche il caso di parlarne. Vi è stato un grande salto di qualità nell'ambito di Cosa nostra, grazie proprio all'avvento dei corleonesi (di questo non vi ho parlato - forse è il caso che mi ci soffermi un attimo - ma purtroppo le cose da dire sono tante). Prima la droga non era ammessa, ma tollerata, nel senso che le famiglie ufficialmente non la trattavano, però gli uomini d'onore potevano tranquillamente commerciare in droga come, dove e quando volevano. Ormai, anche questa mistificante parvenza di perbenismo è stata abbandonata: trafficano abbondantemente in droga in tutto il mondo e pare (almeno stando a quanto dice Messina, ed abbiamo anche dei riscontri) che proprio la famiglia di San Cataldo fosse una delle più intraprendenti, essendo stata tra le prime in Sicilia ad imbastire un traffico su scala internazionale. Mi accorgo che forse ho lasciato incompleto il discorso relativo all'organigramma di Cosa nostra. La struttura tradizionale è quella che ho delineato, ma qualcosa è accaduto in questi anni con l'avvento dei corleonesi. Questi hanno tentato, riuscendovi, di imporre il loro predominio in quella che era una specie di unione federativa, nel senso che nelle varie commissioni i rappresentanti delle famiglie e dei mandamenti, eletti dalla base, contribuivano alla formazione delle decisioni. Con l'avvento dei corleonesi tutto ciò è stato spazzato via, perché la volontà di Totò Riina o la si accetta con le buone, oppure con le cattive. Tra l'altro Riina, proprio per inserirsi nel tessuto delle famiglie, già da molto tempo usa affiliare alla sua famiglia appartenenti a famiglie diverse, con il vincolo del segreto, in modo da poter essere sempre al corrente di ciò che accade dovunque, senza che gli altri siano consapevoli di tale sua conoscenza. Non solo, ma ha introdotto anche la figura del cosiddetto "ambasciatore", ossia una specie di suo rappresentante plenipotenziario con l'incarico ufficiale di recarsi a trattare direttamente gli affari, le missioni, le uccisioni da effettuare, senza prima avere, come era invece prescritto dalle regole della mafia, l'assenso del capo della famiglia locale. Non si può, cioè, commettere un omicidio a Caltanissetta se il capofamiglia di quella città non ne è preventivamente informato e non dà il suo consenso: gli ambasciatori di cui ho parlato, invece, sono assolutamente sciolti da questo vincolo di informazione e di attesa di un permesso. Tutto ciò ha portato ad un certo sgretolamento della coesione, perché all'interno di Cosa nostra vi sono due anime, quella tradizionale e questa - chiamiamola così - moderna. Tale processo di sgretolamento è stato accentuato (e proprio in questo speriamo per portare avanti il nostro lavoro, lo dico molto chiaramente) da due fattori, diversi ma convergenti. Il primo è rappresentato dal fatto che proprio il commercio della droga, che è l'affare più importante di ogni tempo, per essere portato avanti ha bisogno di manovalanza che, a causa del notevole numero di persone necessario, si Pag. 448 è costretti a cercare anche al di fuori delle famiglie. Ciò ha portato alcune conseguenze. La maggiore forza delle famiglie di Cosa nostra era rappresentata dal fatto che la famiglia di sangue coincideva con la famiglia mafiosa, quindi il legame mafioso è anche un fortissimo legame di sangue, che non si può tradire. Invece, con l'introduzione nelle famiglie mafiose anche di elementi esterni alla famiglia di sangue, il vincolo è diventato molto più debole. Accanto a questo fattore di disgregazione vi è il fenomeno delle cosiddette "stidde". Queste sono aggregazioni criminali di base, quasi spontanee, catalizzate dagli uomini d'onore messi da parte o usciti dalle famiglie, quelli che non si riconoscono più in Cosa nostra o che questa allontana per qualche torto. Questi costituiscono le stidde, raccolgono attorno a sé giovani criminali, li fanno crescere e maturare e gestiscono anche loro attività criminali. I rapporti tra le stidde e Cosa nostra sono quasi sempre conflittuali; possono anche collaborare per la gestione di affari in comune, ma di solito si trovano in conflitto. La situazione di Gela è proprio un esempio tipico della guerra tra le stidde e le famiglie di Cosa nostra. Tra l'altro le stidde, da un po' di tempo a questa parte, comprendendo di non avere scampo, da sole, contro un monolite come Cosa nostra, hanno cominciato a confederarsi, in modo da contrapporre forza a forza. E' questo, quindi, il quadro di fondo, nel quale i pentiti rappresentano per noi un supporto eccezionale; noi andiamo avanti con le nostre azioni tentando, chiaramente, di far luce e di trovare altra gente che, messa alle strette, con le prospettive che ho indicato, si possa pentire aiutandoci nel nostro lavoro. Ovviamente, lo ripeto, noi lavoriamo soltanto su quanto riusciamo a riscontrare, anche perché la gestione di un pentito porta con sé sempre grosse sacche di pericolo che si possano incolpare degli innocenti, innescare vendette e così via. Il tema è stato talmente sviscerato che non credo sia il caso di parlarne ancora a persone esperte come voi. Riallacciandomi al discorso che stavo facendo, torno ai rapporti tra mafia e politica. Ho letto sui giornali che questa Commissione ha ascoltato Buscetta e credo che egli vi abbia detto una grande verità: non c'è terzo livello, nel senso che non esistono uno o più politici al di sopra della mafia; è quest'ultima che manovra alcuni politici. Comprendere questo aspetto ci dà anche l'idea della potenza di tale organizzazione. La mafia decide: questo picciotto è un uomo d'onore, è laureato, ha cultura, si presenta bene, ne facciamo un politico, i voti li abbiamo e possiamo portarlo nell'amministrazione locale, in quella regionale o in Parlamento. PRESIDENTE. Anche in Parlamento? GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. Anche in Parlamento. ENZO BOSO. Perché è rimasto così allibito, signor presidente? GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. Non credo che il presidente sia allibito. ALTERO MATTEOLI. Mi scusi, ma possono inserirsi anche nella magistratura? GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. Il magistrato è un uomo, non credo sia un marziano. Ovviamente, lo stesso discorso va fatto per tutte le sfere delle istituzioni, fermo restando che per entrare in magistratura vi è un esame che, in certo qual modo, dovrebbe ... ALFREDO BIONDI. Dovrebbero essere picciotti troppo bravi, per entrare in magistratura. GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. Il problema, Pag. 449 onorevole Biondi, è che purtroppo molti picciotti sono troppo bravi, spesso più bravi di noi. La seconda ipotesi è quella di un uomo politico non mafioso che chiede aiuto a Cosa nostra per la sua campagna elettorale. Qui è molto difficile operare il discrimine tra ciò che è lecito (è il caso di colui che chiede voti e basta) e ciò che è illecito (colui che in campagna elettorale chiede i voti dietro compenso). PRESIDENTE. Sono due cose diverse. GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. Sono due cose completamente diverse. La terza ipotesi, infine, è quella dell'uomo politico il quale, pur non facendo parte di Cosa nostra, è talmente vicino ad essa che ne riceve un aiuto concreto (il guardaspalle, l'autista, la garanzia di tranquillità nel corso della campagna elettorale e via dicendo). In sostanza si crea un rapporto di dare-avere: "Ti do i voti in cambio dell'appoggio che fornirai quando servirà". PRESIDENTE. Avete avuto verifiche per così dire della restituzione di favori dal politico al mafioso? GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. Allo stato, no. Debbo dire, che per quanto riguarda questa parte, siamo fermi, anche per motivi di carattere tecnico che non posso esternare in questa sede perché il segreto me lo vieta. Questo è l'organigramma che ci è stato disegnato e ci è stato offerto anche con una certa dovizia di particolari. PRESIDENTE. I magistrati che accompagnano il dottor Tinebra hanno qualcosa da precisare o da aggiungere in relazione alle specifiche indagini? FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. Credo che la relazione del procuratore Tinebra sia stata abbastanza esauriente nella sua sinteticità. C'è da precisare, semmai, un aspetto emerso attraverso una serie di indagini collegate, mi riferisco al discorso degli appalti. Vi sono due settori nei quali interviene l'organizzazione denominata Cosa nostra, sia pure con modalità e finalità diverse. In un primo settore di appalti di un certo rilievo, l'organizzazione di Cosa nostra finisce addirittura per incidere profondamente anche nel sistema dell'aggiudicazione, oltre che in quello delle imposizioni delle forniture, dei subappalti e così via. In un secondo settore, viceversa, l'organizzazione di Cosa nostra interviene nella fase esecutiva, laddove sono già avvenute le gare e vi è stata l'aggiudicazione. Questa organizzazione - dato ormai acquisito attraverso la collaborazione di vari pentiti - esercita una sorta di sovranità territoriale, ma questi due settori non solo non confliggono tra loro ma interagiscono e sono integrativi l'uno dell'altro. E' questo il dato più recente che abbiamo acquisito, ma sul quale non posso essere più specifico dal momento che vi sono indagini in corso. PRESIDENTE. Può chiarire meglio quest'ultimo aspetto delle due connessioni, dottor Giordano? FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. I due grandi settori, sostanzialmente, sono le facce di una stessa medaglia. PRESIDENTE. Ma quali sarebbero i due grandi settori? FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. Come ho già detto, in un primo settore Cosa nostra interviene in maniera totalizzante anche nella fase della scelta e addirittura dell'aggiudicazione (su questo abbiamo dei riscontri). PRESIDENTE. Anche quando si tratta di lavori nazionali? Pag. 450 FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. E' questo l'aspetto importante sul quale non posso essere più preciso. PRESIDENTE. Ho capito. FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. C'è poi un secondo settore in cui Cosa nostra interviene nel momento dell'esecuzione dei lavori. Questo è il settore che lei ha definito "nazionale". PRESIDENTE. Nella fase dell'esecuzione, quindi, l'intervento di Cosa nostra può riguardare anche lavori nazionali, purché si facciano in Sicilia. FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. Esatto, purché si facciano in Sicilia. PRESIDENTE. In Sicilia o in provincia di Caltanissetta? FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. Abbiamo delle acquisizioni per quanto riguarda in particolare la provincia di Caltanissetta; si può presumere che questo riguardi tutta la Sicilia. PRESIDENTE. L'altro aspetto riguarda invece soltanto i lavori non nazionali? FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. Regionali o provinciali. PRESIDENTE. Regionali o provinciali di una certa importanza, chiaramente? FRANCESCO PAOLO GIORDANO, Sostituto procuratore della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. Certamente di una certa importanza, non lavori di poco conto. FRANCESCO POLINO, Sostituto procuratore della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. Vorrei approfondire il problema relativo a Gela. Il procuratore Tinebra ha già detto che Cosa nostra ha due anime: quella tradizionale, per intenderci, e quella degli "stiddari" e "stiddaruoli", come vengono chiamati gli appartenenti alle cosche emergenti. Naturalmente anche a Gela si manifesta questo fenomeno: da un lato la mafia tradizionale con Piddu Madonia, dall'altro gli "stiddari", le cosche emergenti, gli Iannì Cavallo. Ci sono stati periodi di contrasto acceso tra i due gruppi; a tale proposito, ricordo la cosiddetta guerra di mafia degli anni 1988-1989-1990, che ha provocato oltre 100 morti e il cui apice è stata la famosa strage del 27 novembre 1990. A quel punto, i due gruppi hanno capito che era meglio arrivare ad un armistizio, ad una sorta di pax. PRESIDENTE. C'è stato infatti un crollo degli omicidi. FRANCESCO POLINO, Sostituto procuratore della procura distrattuale antimafia di Caltanissetta. In effetti nel 1991 e nel 1992 vi sono stati soltanto quattro, cinque omicidi. Abbiamo la prova di questo armistizio nel fenomeno delle estorsioni che a Gela è totalizzante (credo che ne sia soggetto l'80, 90 per cento dei commercianti). Nel maggio di questo anno, nella contrada Scavone (il cosiddetto Bronx di Gela) durante una perquisizione sono state trovate armi e stupefacenti e, ancor più interessante, un libro mastro dove un contabile delle cosche annotava in maniera certosina le entrate e le uscite. Da questo libro risulta che esattori appartenenti ad entrambe le cosche, con cadenza mensile, si recavano presso l'esercizio commerciale e ritiravano il cosiddetto pizzo. In questo libro mastro ci sono i nomi di almeno 40 commercianti, poi identificati, di cui 20 hanno collaborato affermando chiaramente Pag. 451 che esponenti di entrambi i gruppi criminosi andavano a compiere le estorsioni. Gli altri 20 commercianti che non hanno collaborato sono stati denunciati per favoreggiamento. Questa è la prova che nell'ultimo anno e mezzo è in atto una sorta di armistizio. ENZO BOSO. L'estorsione è rappresentata da una quota fissa? FRANCESCO POLINO, Sostituto procuratore della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. Sì. Nel libro mastro, infatti, vi sono pagine riferite ad ogni mese sempre con una quota fissa. Ci sono poi le cosiddette entrate una tantum, per esempio in occasione delle festività di Natale, Pasqua o ferragosto. Nella pagina riferita alle uscite sono poi annotati gli onorari per avvocati, il mantenimento di detenuti e naturalmente il compenso per i singoli affiliati che compiono determinate attività criminose. Negli ultimi mesi le cosche hanno indubbiamente sentito sul collo "il fiato" della giustizia: nel mese scorso ci sono stati 50 arresti per associazione mafiosa ed estorsione ed è probabile - almeno noi lo interpretiamo così - che l'ultimo omicidio del commerciante Giordano, abbia avuto un impatto notevole. Con tale gesto, infatti, ignoti hanno voluto intimidire tutti coloro che avevano collaborato ed anche quei 20 commercianti che non avevano voluto collaborare e che a questo punto difficilmente collaboreranno. CARMELO PETRALIA, Sostituto procuratore della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. Ritengo di non dover aggiungere nulla di nuovo; credo soltanto di dover sottolineare ancora una volta - mi riallaccio a quanto affermato dal procuratore Tinebra - l'importanza del fenomeno del pentitismo. Difficilmente, infatti, si sarebbe potuti giungere a questa operazione (che, è inutile nasconderlo, ci dà una soddisfazione notevole dal punto di vista professionale e come cittadini) se non vi fosse stata la presenza di un personaggio come Leonardo Messina, i cui tratti vi sono stati già delineati dal procuratore Tinebra. Si è poi aggiunta la presenza di un altro individuo - un accenno in questo senso è stato fatto poc'anzi - il cui ruolo, nell'ambito processuale, è stato di non scarsa importanza dal momento che per molti versi ha contribuito a fornire un riscontro, che abbiamo valorizzato con il criterio della doppia chiamata in correità, ad alcune delle affermazioni accusatorie del Messina, quindi è stato estremamente proficuo. Per altro verso, le dichiarazioni di questo nuovo collaboratore sono tuttora in fase di sviluppo ed elaborazione, nonché di acquisizione perché non ne è ancora terminata la verbalizzazione. E' già in atto, dunque, e si protrarrà nelle prossime settimane l'attività di ricerca dei riscontri sulle dichiarazioni di questo giovane uomo d'onore della famiglia di Enna a seguito delle quali riteniamo di poter continuare sulla strada oggi intrapresa. Il succo di questo discorso è che tutta la normativa più recente, anche quella ispirata da Giovanni Falcone, è indirizzata nel senso di incentivare il fenomeno del pentitismo e sta dando vistosamente i suoi frutti. Si tratta, dunque, di una normativa che merita non soltanto di rimanere tale ma, nei limiti del possibile (e mi rivolgo a dei parlamentari) di essere approfondita e ampliata affinché - se si verificheranno fenomeni di proselitismo, come ci auguriamo, anche tra le persone oggetto di questi provvedimenti restrittivi - possa esservi qualcuno che decida di "saltare il fosso". Se ciò dovesse verificarsi - ripeto - sarà merito anche di questa normativa. PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai colleghi che desiderano porre le domande, vorrei informare la Commissione sulla prossima riunione. Poiché giovedì si terranno votazioni importanti, sia alla Camera sia al Senato, proporrei di rinviare l'audizione del pentito Spatola. Vorrei inoltre ricordare che venerdì prossimo saranno ospiti del seminario che Pag. 452 si terrà al Senato i capi della polizia spagnola, francese, tedesca e italiana. Poiché la settimana prossima, come sapete, non vi saranno sedute alla Camera, riterrei opportuno, se i colleghi sono d'accordo, non convocare la Commissione, ma tenere una seduta dell'ufficio di Presidenza, allargato ai capigruppo, giovedì mattina alle 10. VINCENZO SORICE. Voglio limitarmi a richiamare soltanto un aspetto della relazione, trattato in modo abbastanza ampio, riguardante il rapporto tra politica e mafia. Si tratta di un argomento che interessa particolarmente i giornalisti e l'opinione pubblica; credo che anche i cosiddetti pentiti, per i quali questa legislazione "premiale", che ci riporta indietro ai tempi delle brigate rosse, costituisce un incentivo, sanno che su questa ricerca si registra una certa morbosità da parte del pubblico. Signor procuratore, lei ha fatto tre dichiarazioni che mi hanno lasciato alquanto perplesso: ha affermato che il rapporto tra politica e mafia può essere di tre tipi; nel primo caso il picciotto si laurea, diventa politico, si presenta alle elezioni e può addirittura diventare magistrato. PRESIDENTE. Può anche non laurearsi! VINCENZO SORICE. Il secondo caso riguarda l'appoggio richiesto; il candidato si presenta alle elezioni, chiedendo alla "cupola" o alla mafia di essere appoggiato. Il terzo caso si riferisce all'appoggio di fatto; il candidato, inconsciamente, durante la sua campagna elettorale viene scelto - ha detto lei - dalla "cupola" o dalla mafia e viene sostenuto. Lei ha citato soltanto tre ipotesi, ma in questo periodo si sta sviluppando un'ipotesi di reato prevista dalla legge elettorale del 1957. Nel momento in cui cominciano a "fioccare", soprattutto nella zona dove la mafia è più presente, avvisi di garanzia per il voto di scambio, devo immaginare che voi abbiate precisi riscontri (se in merito a ciò esiste il segreto istruttorio non vado oltre nella mia domanda), altrimenti rischiereste di sollevare un enorme polverone. Non so se può rispondere, ma ritengo che nel momento in cui vengono comunicati gli avvisi di garanzia per l'ipotesi di reato di voto di scambio vi siano possibilità di verifica. Su un secondo punto, cui faceva riferimento anche il presidente, vorrei un chiarimento; mi riferisco ai motivi per i quali si darebbe un certo appoggio ad un politico a livello nazionale (lo stesso sostegno ad un candidato locale - il sindaco, l'amministratore - garantisce un ritorno immediato). A livello nazionale si possono effettuare riscontri in modo da avere una visione completa del problema? FERDINANDO IMPOSIMATO. Le leggi sono appoggiate da più parlamentari, non soltanto da quelli che ne sono avvantaggiati! GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. La maggior parte delle domande che mi sono state rivolte non possono trovare, in questo momento, una risposta per ovvi motivi di segretezza; tuttavia vorrei chiarire un punto che riguarda la scelta di metodo operata dalla nostra procura. Siamo molto attenti a non sollevare inutili polveroni, ci muoviamo sempre sul sicuro, mai sulle sabbie mobili; ovviamente la nostra attività deve tenere conto di determinate garanzie che non ci permettono di andare oltre con le indagini, se prima non azioniamo dei meccanismi di difesa costituzionale. Leonardo Messina è stato quanto mai preciso: Cosa nostra ha una sola ideologia, la sua, e non si appoggia a questo o a quel partito. La scelta politica è effettuata, di volta in volta, alla luce delle esigenze di Cosa nostra. Non credo di poter dire altro. Pag. 453 CARMELO PETRALIA, Sostituto procuratore della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta. Non intervengo per polemizzare, ma soltanto per portare il discorso sul binario di una maggiore aderenza alla realtà storica. Mi è parso di avvertire nella domanda dell'onorevole Sorice una sorta di perplessità circa l'attendibilità delle dichiarazioni dei collaboranti, allorché parlano di rapporti tra organizzazioni criminose e mondo politico, posto che si tratterebbe dell'argomento che più "tira" e, dunque, li renderebbe maggiormente appetibili ed interessanti agli inquirenti e all'opinione pubblica. Vorrei soltanto far notare un dato di comune conoscenza, ossia che quasi tutti i collaboranti, da quelli storici tradizionali agli ultimi di cui ci stiamo occupando (anche in base alla mia precedente esperienza presso la procura distrettuale) sono stati sempre estremamente cauti e restii ad affrontare il problema dei rapporti tra la loro organizzazione criminosa di appartenenza ed il mondo politico. Potremmo quasi dire che volutamente, formalmente, ufficialmente, quando si arrivava alla questione dei rapporti tra mafia e politica - a volte l'abbiamo dovuto perfino verbalizzare - si fermavano per ragioni di calcolo o di altra natura. Molto spesso ufficializzavano questa loro posizione con la frase: "Questo è un tasto che non voglio toccare"; "Questo è un argomento nel quale non mi voglio infilare"; "So che vado su un terreno minato e preferisco fermarmi e ve lo dico ufficialmente". Alcuni hanno fatto queste dichiarazioni, anche se in tempi più recenti vi è stato qualche cenno di apertura in tal senso. Ciò mi consente di ritenere che il filtro attraverso il quale facciamo passare le dichiarazioni che stiamo acquisendo sia quello della massima trasparenza ed attendibilità. Non si può assolutamente credere che possa esservi un'iniziativa non controllata del pentito nel riferire un argomento sul quale non abbia delle vere e proprie conoscenze. Vi è stata, e continua ad esservi, una notevole attenzione da parte dei pentiti nei confronti di questo argomento; riteniamo pertanto che le dichiarazioni dei collaboranti contengano una buona percentuale di affidabilità. MARCO TARADASH. A proposito della ripartizione dei rapporti tra mafia e politica credo utile avere presente questo schema, che tuttavia è abbastanza astratto. Mi interesserebbe invece capire il meccanismo degli appalti che è una delle fonti principali dei profitti mafiosi in quella zona; gli appalti che si aggiudica Cosa nostra, in modo totalizzante o parziale, sono ottenuti seguendo procedure legali, anche se con forme di intimidazione rispetto ad altri concorrenti, oppure no? E se sono ottenuti in modo illecito, è la legge sugli appalti che favorisce questo modo di inserimento? E' possibile allora, modificando la legge, ridurre la capacità di infiltrazione mafiosa all'interno del sistema degli appalti? Questo è il punto importante. L'altra questione riguarda il traffico della droga; è giusto che i magistrati diano per scontato il fatto che esso costituisca il più grande affare di tutti i secoli, ma non è altrettanto giusto che arrivi alle stesse conclusioni una Commissione politica di un Parlamento che ha votato quella legge, la quale ha consegnato al mercato criminale il traffico della droga. Dobbiamo invece domandarci se la legislazione non debba essere modificata, poiché non possiamo accettare, senza discuterne, che il traffico di stupefacenti sia l'affare degli affari di tutti i secoli. Nella ristrutturazione che è intervenuta all'interno di Cosa nostra, siete in grado di dire in che modo abbia inciso il traffico della droga? La necessità di nazionalizzare ed internazionalizzare le relazioni con organizzazioni criminali italiane e di altri paesi ha portato effettivamente a questa ristrutturazione per cui oggi abbiamo una commissione nazionale, anche se non in termini di fantapolitica? Pag. 454 E' evidente che un centro di decisione nazionale, per stabilire chi opera a Verona e chi a Milano (che è il reale centro della compravendita), dovrà pur esserci rispetto ai boss siciliani; lo stesso avviene per gli affari che si svolgono in Europa orientale o in Colombia. Quindi, sarebbe utile capire in che modo Cosa nostra abbia affinato le sue tecniche ed i suoi meccanismi; anche il fenomeno della crescita della violenza è comune sia al Bronx (dove è diffuso il crack), sia alle organizzazioni criminali, perché esiste un calcolo profitti e costi che alimenta la violenza e crea enormi sofferenze generalizzate. ROMEO RICCIUTI. Vorrei che la questione del rapporto tra mafia e magistratura venisse approfondita, visto che ieri il pentito Buscetta ha toccato più volte l'argomento, sfiorandolo appena. Egli ha affermato per altro, senza essere contraddetto, che tutti i processi di mafia, svoltisi in passato, sono stati "aggiustati". Ciò vuol dire che esisteva tale rapporto, mentre qui non emerge niente di concreto e positivo; d'altronde vi sono magistrati che operano in prima linea e che stanno ottenendo risultati eccellenti e da loro potremmo avere maggiori informazioni. Ho notato che vi è una notevole presenza di magistrati siciliani in quelle procure: hanno forse una particolare sensibilità? A questo si deve il successo che si sta ottenendo in questi ultimi tempi? Si tratta di avere un'intelligenza particolare per capire fenomeni del genere e questa potrebbe essere un'intuizione formidabile che ci fa seguire un filone che fino ad oggi era stato trascurato, ma che sta dando risultati lodevoli. Sono davvero felice che oggi magistrati di questo calibro abbiano portato in Commissione, oltre alla loro tradizionale competenza, un clamoroso successo che ci fa stare più tranquilli, anche se non ci fa certamente abbassare la guardia. FERDINANDO IMPOSIMATO. Vorrei ringraziare i colleghi per l'esauriente ed interessante esposizione dei fatti; in particolare per quanto riguarda il rapporto mafia e politica, vorrei sapere se i mafiosi, oltre agli appalti, alle concessioni ed altri tipi di vantaggi, si possono prefiggere altre controprestazioni, nel senso, per esempio, di favori giudiziari oppure di leggi favorevoli (qualche pentito ha parlato del sostegno alla legge n. 64 del 1986); ricordo, in proposito, di aver letto il verbale della deposizione di un pentito e dell'interesse che la mafia avrebbe avuto nei riguardi dell'approvazione di tale legge. In secondo luogo chiedo, se è possibile e sempre senza violare il segreto istruttorio, di sapere se l'iniziativa del voto di scambio, che ritengo un fatto di eccezionale gravità, anche perché molto spesso è un voto di ricatto, parta dai politici o dai mafiosi e se, in questo scambio, vi siano intermediari o meno. Vorrei sapere anche se, a vostro avviso, il reato del voto di scambio, così come attualmente formulato da una legge del 1957, con una previsione di tre anni di reclusione, sia rispondente alla gravità del fenomeno. Vorrei poi fare un'ultima considerazione, abbastanza rilevante dopo quello che il dottor Tinebra ha detto in riferimento alla questione dell'ideologia, per cui alcuni pentiti collaborerebbero per una loro crisi ideologica. Ritengo che questo fatto sia eccezionalmente importante. Già Falcone aveva reso questa dichiarazione nel corso di un convegno: in sostanza, il punto di forza della mafia non è costituito soltanto dall'apparato militare ma anche dall'ideologia, cioé dal consenso popolare che essa riesce a riscuotere. Vorrei sapere, inoltre, dal dottor Tinebra se in questo senso occorra assumere iniziative dirette a favorire la dissociazione, cioè a provocare tale crisi ideologica, che purtroppo ancora oggi manca, nel senso che molti mafiosi sono convinti della positività delle azioni, delle iniziative, delle ideologie mafiose. ALTERO MATTEOLI. Anch'io vorrei ringraziare il dottor Tinebra e i procuratori che sono intevenuti, perché in pochi Pag. 455 minuti hanno delineato un quadro che ci ha consentito, quanto meno mi ha consentito, di capire bene il problema. Vorrei rivolgere loro tre domande. Innanzitutto, dalle audizioni che abbiano effettuato fino a questo momento è emersa la ferocia di un personaggio come Riina, il che potrebbe far pensare ad una mafia più rozza, più sanguinaria: anche la mafia attuale pratica l'esercizio dell'inserimento nelle istituzioni di uomini d'onore laureati, come il dottor Tinebra ha detto? Sembrerebbe più difficile per una mafia di questo tipo poter ottenere questi risultati. La seconda domanda riguarda i rapporti tra mafia, politica e massoneria, argomento che è emerso in questi ultimi tempi. Ho scorso, avendola avuto soltanto qualche minuto fa, la relazione del dottor Tinebra e ho constatato che, a conclusione di essa, vi è un capitolo dal quale parrebbe di capire che solo attraverso il caso Sindona si sia maturato il convincimento di tale intreccio. E' così oppure vi sono altri casi, i quali possono farci capire che tale intreccio esista? In larga parte del territorio della Sicilia, sicuramente nelle zone in cui operano i nostri interlocutori, mancano le industrie e il terziario non ha decollato, quindi la ricchezza viene distribuita attraverso i lavori pubblici dalla burocrazia o deriva dai contributi pubblici; dunque vi è la necessità da parte della mafia di intercettare tale ricchezza per realizzare guadagni. Ora, tale ricchezza al 95 per cento può provenire da tre livelli: dalla CEE, dal Parlamento attraverso le leggi, o dal Palazzo dei Normanni. Pertanto, i mafiosi debbono disporre di un'informazione precisa per poterla intercettare. Questi canali di informazione sono sempre gli stessi, cioé i politici o i funzionari di un certo livello, oppure le fonti di informazione della mafia sono variegate? Il dottor Tinebra ha parlato - ci ha fatto piacere - di un pool formato da uomini capaci nella sua procura e quindi, da questo punto di vista, lo Stato ha soddisfatto le necessità del territorio: dal punto di vista delle strutture può dire altrettanto? PIETRO FOLENA. Vorrei avere un chiarimento sul peso, nell'ambito di Cosa nostra regionale, di Piddu Madonia. Nelle indiscrezioni apparse sui giornali si parlava di Madonia quasi come del "numero due", mentre qualcun altro lo ha considerato come il figlioccio di Totò Riina. Mi pare abbastanza nuovo e interessante il quadro delineato della mafia nell'ennese. Se ne era parlato anche in altre circostanze, perché quella di Enna era una delle province già rappresentate nella commissione regionale di Cosa nostra, stando a quello che affermano pure i pentiti di altra generazione. Anche in questo caso vorrei, tenuto sempre conto del riserbo che impongono le indagini, ottenere un quadro più organico sull'organizzazione, il ruolo, il peso e l'influenza della mafia in provincia di Enna. La terza questione riguarda il delitto Lima. Queste audizioni e la sessione della Commissione dedicata al tema riguardante l'intreccio tra mafia e politica si sono tenute all'indomani dell'ordinanza dei giudici palermitani sul delitto Lima e quindi delle rivelazioni di alcuni pentiti in merito al delitto stesso. I membri della Commissione hanno letto, pur con alcuni omissis, una parte consistente di tali rivelazioni, anche quelle del pentito Messina, anche se si tratta soltanto di alcune pagine in rapporto a tale delitto. Vorrei conoscere in modo più preciso, in rapporto alla provincia di Caltanissetta, se il ruolo che l'onorevole Lima esercitava nell'ambito dei rapporti con Cosa nostra fosse quello di garante del potere politico, anche perché permetteva di entrare nel potere politico nazionale; in sostanza, se avesse delle ricadute dirette, che voi avete potuto riscontrare, anche in provincia di Caltanissetta. Vorrei insomma conoscere i collegamenti con tale provincia. Sempre in relazione al rapporto tra mafia e politica, vorrei sapere se il pentito Messina o altri pentiti abbiano Pag. 456 indicato un ambito di partiti o di correnti di partiti entro i quali sceglievano o nei quali avevano i loro candidati. Il pentito Calderone e anche il pentito Buscetta hanno affermato che la mafia non vota per i partiti estremi. L'unico lavoro che faceva, famiglia per famiglia, la mafia palermitana era quello di dire che non si doveva votare per i comunisti. ALFREDO BIONDI. Come partito estremo, con tutto il rispetto, te lo raccomando! PRESIDENTE. Era un dato tralatizio! PIETRO FOLENA. Sono convinzioni dei pentiti, i quali non sono molto informati sul carattere assolutamente revisionistico e socialdemocratico dell'azione che il partito comunista ha esercitato per molti decenni! Visto che abbiamo, da Messina e da altri pentiti, un quadro recentissimo (fino all'aprile di quest'anno, come diceva il procuratore Tinebra), siamo di fronte a novità rispetto a questa scelta o a questo orientamento generale per alcuni partiti. Se non ricordo male, nelle rivelazioni del pentito Messina si fa riferimento anche alla possibilità di un voto "a dispetto", dato a candidati del partito socialista e del partito radicale - per l'appunto - a dispetto. Vorrei dunque un chiarimento anche su questo aspetto, per capire se la mafia organizzi il proprio consenso elettorale anche in questa forma. Rispetto alla tripartizione esposta dal procuratore Tinebra e in base alle informazioni in suo possesso, vorrei sapere in quale delle tre categorie collocherebbe l'onorevole Lima, Vito Ciancimino, l'onorevole Filippo Butera, per non parlare di persone che sono oggetto di indagini, che hanno ricevuto recentemente avvisi di garanzia o questa notte o questa mattina. Infine, leggo su una nota di un'agenzia di stampa che Beniamino Maira - da non confondere con l'onorevole Raimondo Maira - è stato arrestato questa notte o questa mattina: se non ricordo male, egli era il presidente della banca di San Cataldo, che era stata disciolta dalla Banca d'Italia a metà degli anni ottanta perché si sospetttava che fosse utilizzata dalla mafia per il riciclaggio di denaro sporco. Anzi, in quell'epoca si parlò della possibilità che la mafia catanese (Nitto Santapaola e via dicendo) riciclasse parte del proprio denaro nella banca di San Cataldo. Vorrei sapere, sempre rispettando il segreto istruttorio, se Beniamino Maira sia massone. Leggo nelle agenzie di stampa che egli avrebbe ospitato Sindona: per quel che riguarda la presenza di Sindona in provincia di Caltanissetta, eravamo rimasti al notaio Cordaro. Vorrei sapere se, da questo punto di vista, ci possano essere indicati scenari nuovi. Infine, mi soffermo sull'inchiesta Siino-appalti, in relazione alla quale si celebra il processo a Palermo. Vorrei un giudizio da parte della procura di Caltanissetta sull'attendibilità del pentito Li Pera, visto che si è discusso molto su tale questione. Non lo chiedo solo e tanto in riferimento a quel lato dell'inchiesta che sappiamo essere presso la procura di Caltanissetta, bensì rispetto allo scenario sugli appalti che è stato disegnato e che ha trovato, da quello che capisco, una parte di riscontro anche dal punto di vista delle rivelazioni che avete raccolto dal pentito Messina. Per quanto riguarda il sistema di relazioni, quest'ultima inchiesta disegna un quadro di relazioni mafia-impresa-affari-politica molto articolato e complesso. Forse è la prima volta che abbiamo, per quanto riguarda un solo aspetto, un quadro così vasto. Vorrei sapere se in questo sistema di relazioni siano previsti degli agganci alla regione, soprattutto per quanto riguarda il ruolo e la funzione dei progettisti nel mercato degli appalti. Sappiamo quanto sia importante, per accedere a certi finanziamenti della regione, poter contare su un progettista che, chiavi in mano, offra al sistema degli enti locali, unità sanitarie comprese, dei progetti già finanziati. Vorrei sapere se vi siano dei riscontri anche su questo versante. Pag. 457 ALFREDO BIONDI. Anch'io non in modo rituale sottolineo con grande piacere quanto abbiamo ascoltato in quest'aula e che ha accompagnato la relazione, perché tutto ciò costituisce una prova di impegno e di qualità nello stesso, il che non sempre avviene. Vorrei formulare una domanda alquanto generale, anche se non generica. Nelle occasioni in cui vivo certi processi, noto una differenza notevole di livello culturale da parte delle persone che sono incriminate o che possono essere state condannate, rispetto all'entità degli affari che sono in grado di controllare, ai legami anche di carattere bancario e internazionale che sono richiesti non solo per la gestione di affari, ma anche per il riciclaggio di denaro. Osservo anche la tecnicità e molte volte la necessità di studio degli appalti anche nella fase in cui si interviene solo in esecuzione, negli appalti più consistenti, o addirittura nella gestione di essi (anche gli appalti regionali possono avere una certa dimensione). La curiosità che ho è la seguente: come fanno queste persone, il cui livello culturale abbiamo spesso constatato, ad avere la capacità di raccordare una serie di elementi? Vi sono "consigliori" professionali nel mondo dell'avvocatura e dei settori più tecnici, come il commercialistico o il bancario? Vi è infatti l'inesplorato continente dei modi in cui il denaro finisce nelle banche, al quale i magistrati dell'accusa si dovrebbero forse dedicare di più, con una curiosità analoga alla mia. Passando ad un aspetto più specifico, riguardo al quale Buscetta ha fornito una risposta ieri, vorrei sapere se, quando si "compra" un politico, facendo balenare o addirittura assicurando il successo elettorale, la scelta venga compiuta dalla famiglia, dalla commissione provinciale, interprovinciale o regionale, oppure venga effettuata dal singolo mafioso, magari di un certo livello, utilizzando la propria iniziativa privata, i propri collegamenti, la propria sensibilità per capire se il politico contattato sia più o meno "friabile". Se la scelta avviene in questo secondo modo, per iniziativa privata del singolo e non delle famiglie, come ha sostenuto Buscetta, il singolo deve avvertire le famiglie di aver comprato il sindaco, il deputato regionale, o un altro soggetto politico che si sia dimostrato disponibile, affinché le famiglie, o le commissioni, sappiano che c'è un "santo in paradiso" che può essere utilizzato? Per quanto riguarda il segreto istruttorio, ricordato da Buscetta e dietro al quale vi siete giustamente trincerati (il che mi fa molto piacere, poiché non ho personalmente il dono della riservatezza, anche se vi è chi ne ha meno di me qui dentro), mi sono sempre chiesto se, voi ed anche i vostri colleghi, vi facciate carico del seguente problema: come riescano molte volte i giornali - l'ho constatato recentemente proprio in Sicilia - ad avere in anteprima gli elementi che non ci vengono riferiti per dovere di riservatezza. Quegli stessi elementi arrivano infatti ai giornali con una rapidità che, senza offesa, lascia immaginare l'esistenza di una talpa che fuoriesce dal buco nel terreno e riferisce al giornalista amico. Vi siete mai posto tale problema? E' un fenomeno molto grave, che riguarda non soltanto la reputazione personale ma anche l'efficacia delle indagini, che state ora salvaguardando anche di fronte ad una Commissione parlamentare. Infine, dato che un collega ha fatto il nome di un deputato regionale che assisto legalmente in un processo ancora da celebrare, voglio precisare che se per caso venisse fornita una risposta al riguardo, mi alzerei e mi allontanerei dalla Commissione poiché non vi è bisogno di svolgere processi in questa sede: li faccio già in casa ed il farli in trasferta mi darebbe fastidio, anche per la media inglese! PRESIDENTE. Siccome stiamo svolgendo una seduta pubblica, anche le informazioni su quel processo che i magistrati forniranno sono a disposizione del pubblico... ALBREDO BIONDI. Ma preferisco non conoscerle, perché, altrimenti, sarei indotto Pag. 458 ad interloquire. Preferirei allora allontanarmi dalla Commissione: l'astensione è sempre una bella cosa, la ricusazione no. ANTONIO BARGONE. Sono personalmente interessato ad un approfondimento relativo al rapporto fra la commissione interprovinciale e la commissione nazionale: al riguardo, infatti, abbiamo una novità indicata da Buscetta. In proposito, vorrei conoscere soprattutto il ruolo della politica nella commissione nazionale e sapere se le decisioni assunte dalla commissione interprovinciale valgano comunque anche per politici di livello nazionale disposti a concedere favori a Cosa nostra. Vorrei inoltre sapere, con riferimento al cuore della questione posta da Buscetta, se l'aggiustamento dei processi e l'impunità, che sono l'impegno maggiore assunto da Cosa nostra nei confronti degli affiliati, trovino uno sbocco e producano risultati attraverso la commissione nazionale, attraverso il rapporto con politici nazionali. Emerge questo elemento dalle vostre indagini? Un'altra questione riguarda il rapporto fra Cosa nostra-mondo della finanza e le modalità di riciclaggio del denaro sporco. In proposito, i pentiti che abbiamo ascoltato finora non sono stati molto utili poiché facevano riferimento ad una fase precedente; i pentiti più recenti, invece, hanno indicato modi e percorsi in relazione ai rapporti che vengono instaurati per realizzare il riciclaggio di denaro sporco proveniente dalle attività illecite? Passando al tema degli appalti, il procuratore Tinebra lo ha indicato come un filone non attinente ai rapporti mafia-politica. Vorrei quindi capire se le interferenze e le influenze nell'aggiudicazione degli appalti avvengano soltanto attraverso imprese organiche con Cosa nostra, oppure, per esempio, anche attraverso un favore che il candidato "costruito in batteria", oppure quello contiguo a Cosa nostra, può concedere per orientare l'appalto. Vorrei in particolare sapere se questo possa accadere attraverso terminali a livello nazionale, come ci è stato indicato dal pentito Buscetta. VINCENZO SCOTTI. Dato che le relazioni - in particolare quelle scritte - del procuratore della Repubblica e dei sostituti procuratori sono state estremamente puntuali e precise, indicando un'indagine molto accurata ed attenta, vorrei porre ad essi tre specifiche domande. La prima si richiama alla ricerca sul fatturato del crimine recentemente svolta dall'ISTAT. Vorrei infatti sapere se siate in grado di effettuare una stima sulla dimensione economica delle attività di Cosa nostra, con particolare riferimento ad estorsioni ed appalti nell'area considerata nell'ambito delle indagini in corso. Per esempio, per quanto riguarda Gela, avete parlato delle indicazioni contenute in un libro mastro. La mia domanda fa riferimento anche al numero degli affiliati a Cosa nostra nell'area considerata. Emergono elementi utili per costruire delle stime, al di là delle indagini giudiziarie? Ritengo infatti che tali elementi possano servire per un approfondimento relativo a Cosa nostra, non a Palermo ma nelle zone cosiddette povere e depresse della Sicilia interna. La seconda domanda riguarda non il rapporto mafia-politica cui avete fatto riferimento, ma il controllo del territorio. Dai pentiti sono stati forniti elementi in ordine alle modalità con le quali Cosa nostra controlla le amministrazioni locali, la pubblica amministrazione, il comportamento delle forze dell'ordine e di altre istituzioni dello Stato? Vi sono, in sostanza, informazioni sulle modalità di controllo del territorio? La terza ed ultima domanda riguarda la legislazione sui pentiti. Nella passata legislatura, siamo giunti a definire provvedimenti che tenevano conto delle valutazioni dei magistrati; il dottor Tinebra ha ricordato infatti il giudice Falcone. Vorrei in proposito sapere se, sulla base del lavoro che state compiendo e dei vostri contatti, riteniate efficaci quei provvedimenti oppure vi siano ulteriori elementi-chiave che possono essere introdotti. Pag. 459 Ricordo che qualche problema rimase irrisolto nel corso della discussione che si svolse in proposito, rinviandone la soluzione dopo la verifica del concreto funzionamento dei meccanismi predisposti: dato che ci troviamo in un momento favorevole da questo punto di vista e che ci poniamo l'obiettivo preciso di sgretolare l'organizzazione mafiosa, fornendovi gli strumenti per poterlo fare, vorrei sapere se vi siano suggerimenti da parte vostra al riguardo. Ritengo infatti che eventuali aggiustamenti, da introdurre subito, potrebbero essere estremamente utili. GIROLAMO TRIPODI. Desidero porre alcune domande ai magistrati presenti. La prima riguarda i rapporti fra Cosa nostra siciliana e 'ndrangheta calabrese, cui ha accennato il procuratore Tinebra. Al riguardo, vorrei sapere in particolare quale tipo di reclutamento venga effettuato per i killer utilizzati nei delitti più gravi e per l'uccisione dei mafiosi, nell'ambito della guerra fra le cosche mafiose e la Stella. Passando ad un'altra questione, il dottor Tinebra ha affermato che gli affari illeciti vengono realizzati soprattutto nel settore degli appalti, dove la mafia si serve dell'estorsione, attraverso le minacce dirette ad ottenere tangenti, oppure della "guardiania" o di altri analoghi rapporti. In altre province in cui è presente la mafia, invece, uno dei veicoli fondamentali per il controllo dei flussi finanziari è quello del subappalto. A parte il rapporto di appalto, nell'ambito del quale gli enti appaltanti si sono potuti servire di diverse forme di contratto, avete potuto compiere verifiche specifiche con riferimento al subappalto? Le cosche mafiose si muovono nel mondo del subappalto, fra l'altro, agendo in alcuni specifici settori, come la movimentazione di terra e la fornitura di inerti, nell'ambito dei quali riscontriamo la presenza di una sorta di imprenditoria mafiosa. L'altra domanda è relativa al voto di scambio, questione che vorremmo capire meglio perché si colloca proprio nel campo del rapporto tra mafia e politica. Vorremmo sapere come avvenga questo intreccio e, infine, se abbiate individuato anche un altro aspetto, ormai caratteristico sul territorio dove è maggiormente presente l'organizzazione criminale di tipo mafioso. Mi riferisco al rapporto tra mafia, affari e politica, nel senso che di questo intreccio fanno parte i mafiosi, che ottengono una parte degli utili illeciti, ed i politici che, oltre al voto - di cui abbiamo parlato - riescono ad ottenere ciò che potremmo definire il frutto della corruzione. Vorrei sapere, infine, se voi abbiate avuto notizie di fatti relativi al controllo del voto, altro aspetto questo che è molto importante. Spesso, cioè, la mafia non fa votare soltanto i propri affiliati o le famiglie ma, dove vi riesce, impone anche di votare a favore di un certo partito o candidato sia al comune, sia alla provincia, alla regione od al parlamento nazionale. Se possibile, vorremmo avere qualche informazione su questo tema. VITO RIGGIO. Mi associo volentieri ai ringraziamenti già espressi soprattutto per la chiarezza e la lucidità dell'esposizione, il che mi consente di approfittare della vostra presenza per fare una domanda direttamente connessa all'inizio di questa inchiesta: nell'ordinanza è scritto che gli omicidi Lima, Falcone e Borsellino avvengono nel contesto di una strategia eversiva di contrasto netto da parte di Cosa nostra nei confronti delle istituzioni. Come viene spiegato da Riina (se viene spiegato) - visto che voi avete avuto la possibilità di parlare con chi è stato inserito nell'organizzazione - il fatto che il contrasto abbia assunto questa ferocia, mentre era prevedibile che la reazione sarebbe stata quella di un disturbo complessivo, in particolare nei confronti di una mafia come quella che descrivete, che tende a governare il territorio e, quindi, gli appalti? Dal vertice di Cosa nostra è stata data qualche giustificazione in giro, in periferia? E questa giustificazione come presenta il rapporto con la politica nazionale? In altre parole, è accaduto Pag. 460 quello che è accaduto perché hanno tradito i vecchi referenti, perché erano state date assicurazioni che non sono state mantenute? Mi interesserebbe sapere, soprattutto da parte di un pentito che sembra essere inserito ad un livello autorevole e, quindi, in qualche modo a contatto con le decisioni (visto che questo inserimento forse si è protratto fino alle ultime elezioni dell'aprile 1992, o comunque in prossimità di questa data) se l'astio manifestato nei confronti dei provvedimenti legislativi e governativi assunti nell'ultimo periodo - grosso modo nell'ultimo triennio - abbiano dato vita a scelte di politiche alternative. Mi chiedo cioè se, come diceva l'onorevole Folena, quello che nel 1987 si manifestò come voto "a dispetto" abbia avuto qualche seguito. Vorrei avere, se possibile, una risposta da parte vostra su questo aspetto che è molto rilevante ai fini della nostra indagine. Voglio porre poi una domanda molto precisa sugli appalti. Lei, dottor Tinebra, ha fatto un'affermazione assai interessante quando ha detto che esiste un doppio livello. E' chiaro che per i grandi appalti, mancando le iscrizioni, non si può partecipare: quindi, si cerca di intervenire - o si interviene - in qualche modo, attraverso un qualche anello di congiungimento. Per i piccoli appalti (che poi probabilmente tanto piccoli non sono, perché riguardano i comuni, le USL e così via), da indagini sociologiche e politiche, pur senza riscontri, era emersa l'esistenza di una catena che va dalla richiesta del finanziamento fino alla combine. Questo ha fatto crescere l'imprenditoria mafiosa - perché a forza di partecipare agli appalti evidentemente si acquisiscono le iscrizioni - ed in che misura? Lei ci ha detto di non essere in grado di fare una stima sull'ampiezza del fenomeno. Ma vorrei sapere, alla luce di queste prime dichiarazioni, quale sia la dimensione del fenomeno, perché ciò è importante ai fini dell'azione di contrasto. Vorrei infine capire un po' meglio la questione del voto di scambio. Quella è una provincia, che io conosco, che vive tutta sul voto di scambio, nel senso che il livello delle raccomandazioni e delle sinergie è tale che non si può dire che è da una certa parte che si colloca chi non pratica il voto di scambio. Come si distingue, in che modo? Voi avete parlato di corresponsione di denaro, che è qualcosa di strano rispetto a quanto ci diceva fino a ieri Buscetta in ordine alla vecchia mafia. Vorrei sapere, cioè, in che modo si riesca a distinguere tra l'utilizzazione di servizi messi a disposizione e, invece, lo scambio che, purtroppo, per le condizioni socio-economiche della provincia (che voi stessi nella relazione descrivete) è diffuso. Questo diventa importante per capire - se potete fornirmelo - un elemento: voi dite che la mafia vota, ovviamente senza basi ideologiche, ma scegliendo le persone che hanno potere e che possono dare garanzie, in un arco ampio, sia pure limitato ai partiti di governo. Vorrei sapere se su ciò abbia potuto interferire - ed in che misura - il cambiamento di meccanismo elettorale che si è verificato nelle ultime elezioni, ossia il fatto di dover ormai votare soltanto per una persona e quindi di non poter distribuire il proprio pacchetto elettorale attraverso il meccanismo del voto multiplo. ALFREDO GALASSO. Vorrei affrontare tre questioni ed ascoltare l'opinione dei magistrati presenti: la prima riguarda i collaboratori della giustizia, i pentiti, nel senso che credo si debba discutere un doppio aspetto di questo che è ormai diventato un fenomeno, un dato. Il primo concerne la valutazione delle rivelazioni dei pentiti in quanto elemento di prova. Data la complessità dello scenario ed il fatto che costoro non parlano di un singolo episodio, ma raccontano una storia, dipingono uno scenario in maniera molto viva e - a quello che sento con piacere - anche aggiornata, vi è il problema di tradurre tutto questo in una serie di riscontri e, quindi, di controllare l'attendibilità dei singoli episodi. Ciò anche perché sarebbe grave se si determinasse nell'opinione pubblica (parlo di Pag. 461 un'apparenza, non di una realtà; sia ben chiaro che non voglio assolutamente inserire alcun elemento di dubbio o di polemica) la convinzione che la valutazione delle rivelazioni dei pentiti, in quanto elementi di prova, possa, come dire, obbedire a criteri diversi a seconda dei fatti e, soprattutto, dei personaggi. Cioè a dire che si procede molto rapidamente e sbrigativamente, quando si tratta di arrestare qualche mafioso, o qualche delinquente comune, inserito in questa terribile trama e poi, quando si parla di imprenditori, di politici, anche di magistrati si usa ... Vi è quindi un problema di valutazione rigorosa degli elementi: si tratta di un aspetto, tutto giudiziario, che sento però il dovere di segnalare qui come un possibile problema, che non riguarda ovviamente solo la procura di Caltanissetta, ma di questo stiamo parlando. Un altro aspetto che più ci interessa come Commissione parlamentare è il fenomeno in sé, la straordinaria novità di questo dato, il fatto cioè che, all'interno di questa struttura criminale così compatta, centenaria, si stia determinando una vera e propria frana. A questo proposito, credo che ieri Buscetta abbia fatto un'affermazione verissima, cioè che gli ultimi pentiti mostrano come si sia aperta una vera e propria falla nella struttura di Cosa nostra. Mi pongo allora - e vi pongo - questo interrogativo: data la dimensione che il fenomeno sta assumendo e la sua diffusione, anche in relazione al quadro che ci avete offerto con questa relazione (che ho letto sommariamente e che studierò attentamente), mi domando se Cosa nostra esista più, ossia se esista ancora Cosa nostra come l'abbiamo conosciuta all'epoca del maxiprocesso o se, in realtà, non si sia determinata un'evoluzione tanto profonda da produrre anche categorie di interpretazione e di lettura - politiche prima ancora che giudiziarie - diverse da quelle che abbiamo conosciuto. Mi pongo questo interrogativo per approntare rimedi utili. Infatti, se continuiamo a combattere la mafia come se essa sia sinonimo esclusivo di Cosa nostra, piuttosto che un sistema ramificato, adottiamo sistemi sbagliati. Da parte vostra, che state affrontando questo aspetto, vorrei avere un'opinione in proposito. Un'altra domanda che intendevo porre è già stata avanzata; mi limito quindi a ripeterla: sta emergendo - lo sentivamo ancora ieri da Buscetta - un quadro, ancora incerto ma significativo, di rapporti tra mafia e massoneria. Vorrei capire cosa significhi oggi tutto questo alla luce di quanto state constatando. Vi chiedo inoltre - anche se questa richiesta è marginale, o piuttosto eccentrica, rispetto alla discussione di oggi ed all'inchiesta che stiamo conducendo - se, ovviamente senza recare il minimo pregiudizio alle indagini, possiate dirci qualcosa sulle stragi di Capaci e di Palermo. Voi siete stati gravati di un peso straordinario, perché questi sono i processi del secolo. Vorrei sapere se siate attrezzati a sostenerlo dal punto di vista della struttura - sia dei giudici, sia del personale ausiliario - e, in particolare, se vi siano novità rispetto alla questione, che emerse con molta evidenza qualche tempo fa e di cui poi non abbiamo più sentito parlare, riguardante i famosi appunti ed il famoso diario di Giovanni Falcone. IVO BUTINI. Vorrei soffermarmi su quanto risulta a pagina 9 della relazione che ci ha consegnato il procuratore Tinebra. A proposito del rapporto tra la mafia e i candidati, tra la mafia e i politici, vengono fatte delle osservazioni che a me sembrano delle affermazioni. Innanzitutto si sostiene che l'obiettivo della mafia sarebbe il profitto. Quest'ultimo naturalmente ha una sua composizione, ma non è questo il momento di fare un'analisi del genere. C'è la consuetudine di differenziare l'appoggio elettorale sui candidati di aree diverse, anche allo scopo di compensare i risultati, visto che ci sono degli sconfitti e dei vincitori. Senza questa accortezza si potrebbe avere un'influenza negativa sull'assetto dei rapporti, che è l'obiettivo che attraverso questo voto si tende a conseguire. Pag. 462 In merito a quanto ho appena evidenziato mi sono posto alcune questioni sulle quali intendo richiamare l'attenzione del procuratore Tinebra e degli altri magistrati qui presenti. In base alla vostra esperienza, è il potere locale a prevalere negli orientamenti personali e di aree e quindi nella composizione delle maggioranze a livello locale? Esistono casi in cui si potrebbero immaginare opinioni di capi che prevalgono su altre? Vi possono essere altri elementi, magari dipendenti dalla composizione delle parti, che compongono il profitto: l'obiettivo di questa operazione? Si dà il caso di candidati che, pur appoggiati da Cosa nostra, non riescano a farsi eleggere: è evidente che ciò deve dipendere da qualcosa. In attesa di vostri chiarimenti su questo specifico aspetto, vorrei porre tre quesiti precisi. Il primo è il seguente: vi sono interventi elettorali esterni capaci di deviare il voto oppure di impedirne la realizzazione secondo lo schema prefissato? Passo al secondo quesito. Il voto deciso da Cosa nostra ha efficacia per alcuni degli appoggiati e non per altri? In caso affermativo, perché? Inoltre, ci sono elementi che si aggiungono o si tolgono a questa scelta e a questa presenza elettorale? Passo al terzo ed ultimo quesito. Si potrebbe immaginare una lotta tra gruppi mafiosi che nella dispersione dei candidati delle aree si sopraffanno gli uni con gli altri? GRAZIA ZUFFA. Vorrei sapere se sia possibile approfondire la descrizione fatta dal procuratore Tinebra a proposito delle tre modalità del rapporto tra mafia e politica. Quella descrittaci del procuratore di Caltanissetta è una tipologia. E' possibile tracciarne un profilo di evoluzione dinamica, al fine di conoscere, per esempio, quale sia oggi la modalità prevalente, o se esista una modalità emergente? Pongo tale quesito perché non mi pare di ricordare che il pentito Calderone, nel corso della sua audizione, abbia parlato della prima modalità. Questi, infatti, ha parlato di un rapporto in cui la mafia aveva bisogno dei politici e questi ultimi della mafia per l'assoluta incapacità di controllo sociale che aveva allora la mafia stessa. Tutti sappiamo che la descrizione di Calderone attiene a fatti accaduti molti anni addietro. ANTONINO BUTTITTA. Ho ascoltato considerazioni molto interessanti e trovo commendevole il fatto che siano state esposte con lucida sintesi, che mi permetterei di raccomandare ad alcuni colleghi (non mi riferisco a Pietro Folena perché è amico mio!). Il quadro che emerge da quanto è stato detto risulta assai vicino all'ambiente che si intende rappresentare, nel senso che per le conoscenze che alcuni di noi hanno perché sono nati e vivono in Sicilia, e per le conoscenze da parte di altri colleghi circa notizie riguardanti la realtà siciliana, credo di poter affermare che le cose che sono state dette non possano non essere omogenee alla realtà che è stata stasera qui rappresentata. C'è un elemento assolutamente nuovo rispetto a quanto sappiamo, che i colleghi si sono lasciati sfuggire ma che io trovo assai interessante. Mi riferisco alla notizia concernente una ipotizzata esistenza di una commissione nazionale. Ma perché giudico questa notizia estremamente interessante? La giudico tale non solo per la sua novità, che pure ci può aiutare (attesa l'attendibilità del collaboratore di giustizia che abbiamo dinanzi) a capire meglio la malavita - e non solo quella siciliana - e i rapporti tra Cosa nostra ed altre organizzazioni criminali, non solo del nostro paese, ma anche perché essa ci può aiutare - mi riallaccio al problema sollevato dal collega Galasso - a capire meglio l'identità e la psicologia di questi cosiddetti pentiti. Nessuno di coloro che abbiamo ascoltato - e si trattava di importanti esponenti di Cosa nostra - ci ha segnalato, fino a questo momento, se non erro, l'esistenza di una commissione nazionale o addirittura di una mondiale. Questo ci Pag. 463 pone il problema di cercare di capire meglio il messaggio che vogliono offrirci questi cosiddetti pentiti, cioè di capire meglio la loro identità, in ordine ad una loro possibile reticenza o ad una loro possibile inattendibilità rispetto a certi avvenimenti. In sostanza, ci troviamo dinanzi ad un elemento che risulta interessante non soltanto per una migliore conoscenza del fenomeno in esame ma anche ai fini di un approfondimento della identità del ruolo del pentito in quanto tale. In ogni caso, l'ipotizzata esistenza di una commissione nazionale costituisce un percorso che a mio avviso deve essere seguito. SAVERIO D'AMELIO. Dalla relazione del procuratore di Caltanissetta, dottor Tinebra, emerge che non vi è un terzo livello e che la cupola, intesa come vertice di Cosa nostra, è formata non da politici ma soltanto da mafiosi. Pare quindi di capire che non sia il politico a decidere ma Cosa nostra, la quale sceglie il politico, lo ingaggia, lo rende schiavo o comunque funzionale agli obiettivi della mafia. Quanto è emerso è vero in termini assoluti oppure esistono delle eccezioni, cioè dei politici che hanno comandato o comandano sulla mafia? A pagina 2 della relazione si dice testualmente: "Cosa nostra è una organizzazione tendenzialmente totalizzante e avvolgente ogni sostanza, dunque ogni attività economica e istituzionale, perché tende sostanzialmente a governare il territorio". Questa affermazione riflette, nella sostanza, quanto ha detto Buscetta e cioè che la mafia controllerebbe bene il territorio. Colgo tuttavia una discrasia tra questa affermazione della mafia totalizzante, capace di condizionare - per governare - le attività economiche e istituzionali, e l'affermazione che Buscetta ha fatto ieri, secondo cui tanti processi sarebbero stati "aggiustati". Mi chiedo allora, signor procuratore, come mai non vengano fuori i nomi di eventuali magistrati "aggiustatori". Ci troviamo dinanzi ad una forma di pudore dei cosiddetti pentiti o - peggio ancora - ad una "epurazione" delle confidenze dei pentiti? SALVATORE FRASCA. Mi scuso per essere arrivato in ritardo, ma ho dovuto presenziare all'apertura di un convegno organizzato dal mio gruppo parlamentare. Vorrei innanzitutto premettere che la nostra indagine deve essere completa e non può tralasciare alcun elemento. A mio avviso stiamo approfondendo correttamente il rapporto mafia-politica ma stiamo trascurando il rapporto mafia-istituzioni, ed è una lacuna che dobbiamo necessariamente colmare. Poiché il rapporto mafia-istituzioni esiste e la magistratura è un'istituzione del paese, vorrei sapere se i magistrati qui presenti, nel corso del loro pregevole lavoro, abbiano riscontrato casi di inquinamento della magistratura. Si tratta di cose di cui dobbiamo parlare; so, signor presidente, che in qualità di ex magistrato molto probabilmente vorrebbe stendere un velo pietoso... PRESIDENTE. Spero che scherzi. SALVATORE FRASCA. Sto scherzando, ci mancherebbe altro! La conosco come uomo di spirito e diversamente non avrei fatto questa battuta. Dicevo che occorre discutere dei casi di inquinamento della magistratura perché in questo nostro paese avvengono cose strane. Se si fa il nome di un politico, poiché viviamo in pieno maccartismo, il giorno dopo il mostro viene sbattuto in prima pagina; se però si fa il nome di un magistrato, la stampa non ne parla e tutti tacciamo. E' proprio questo lo scudo che deve cadere! In occasione dell'audizione del procuratore distrettuale di Palermo abbiamo ascoltato dichiarazioni... FERDINANDO IMPOSIMATO. Non è vero, sono stati fatti dei nomi. Cerchiamo di evitare le provocazioni! Pag. 464 SALVATORE FRASCA. Rispetto il collega Imposimato, ma desidero essere rispettato anch'io perché, diversamente, risponderò con dure parole ad ogni provocazione, anche perché nella lotta contro la mafia non mi sento certo inferiore a lui. Finiamola pertanto con queste primogeniture e con queste particolari sensibilità, che non hanno ragione di essere! Ho il diritto di porre le domande che ritengo di dover porre... PRESIDENTE. Le stiamo attendendo. SALVATORE FRASCA... a me stesso ed al Parlamento italiano di cui sono espressione! Che non vi sia ombra di casta che si lasci far prevalere! ALTERO MATTEOLI. Non ci tenere con l'animo sospeso! SALVATORE FRASCA. La domanda è già posta. Ho detto che vi sono stati casi di inquinamento nella magistratura e, quando sono stato interrotto, stavo appunto affermando che, in occasione dell'audizione del procuratore distrettuale di Palermo, è stato dichiarato che il disegno della mafia, in vista del maxiprocesso, era di attenuare la sentenza in secondo grado ed arrivare all'azzeramento del processo in sede di Cassazione, quindi si è gridato a bella posta al crucifige del presidente Carnevale (che io non conosco e che non voglio difendere). Tuttavia non è stato evidenziato come avrebbe meritato questo disegno della mafia che è stato attuato in sede di corte d'appello di Palermo. Su questo occorre iniziare a squarciare i veli della pietà e dell'omertà. ALFREDO GALASSO. Io non ho capito. SALVATORE FRASCA. Devo spiegarmi di nuovo? PRESIDENTE. No, abbiamo tutti capito. Se ce n'è bisogno chiarirò io questo aspetto. ALTERO MATTEOLI. Inoltre il presidente potrà interpretare il pensiero del senatore Frasca. SALVATORE FRASCA. Non c'è dubbio. Il presidente ha capito bene perché è intelligente. Bisogna stabilire princìpi egualitari anche nella formulazione delle domande: ho ascoltato alcuni interventi molto lunghi e noiosi, il che non deve più accadere; dobbiamo stabilire una metodologia dell'audizione che sia valida per tutti. Seconda domanda. Sono stati riscontrati collegamenti tra la mafia siciliana e quella calabrese? E, nel caso in cui siano stati riscontrati collegamenti di questa natura, sono emersi indizi che possano portarci a conoscere qualcosa di più in ordine all'assassinio Ligato? MASSIMO SCALIA. Mi permetto di complimentarmi con la procura della Repubblica di Caltanissetta per l'operazione della quale ho avuto notizia questa mattina dalla radio. Vorrei anzitutto rivolgere al procuratore Tinebra una richiesta che forse è già stata formulata, e cioè qual è la sua valutazione sull'attendibilità della confessione del pentito Li Pera e, in connessione con questo, sull'utilità e sull'efficacia del secondo rapporto ROS (spero che il presidente mi possa confermare che la Commissione ne è già in possesso o sta per acquisirlo, trattandosi di uno dei documenti che abbiamo richiesto). La seconda domanda che rivolgo al dottor Giordano concerne gli appalti. A me interessano, per completezza rispetto a quanto richiesto dal collega Riggio, i grossi appalti: anche a questo proposito il Li Pera descrive - almeno secondo le notizie di stampa - un meccanismo di suddivisione degli appalti che prevede una sorta di tavolo, non necessariamente materiale né obbligatoriamente configurante un'affluenza di personaggi intorno ad esso, in cui politici, pubblici amministratori, mafiosi ed imprese registrano e coordinano l'assegnazione degli appalti di decine e centinaia di miliardi. Poiché la lettura veloce della relazione non mi fa Pag. 465 intravedere tale livello, vorrei capire se questa versione riguardi maggiormente esperienze fatte dalla procura sulla base delle richieste avanzate o se essa non abbia una visione che tende a confermare questo tipo di meccanismo. Vorrei inoltre conoscere la valutazione dei nostri ospiti sul livello di consapevolezza che vi è nella parte sana (ammesso che ve ne sia rimasta) della pubblica amministrazione delle varie province siciliane sul fatto che questi appalti necessitano sempre di delibere comunali o regionali; ritengo quindi che qualcuno si dovrà pur porre qualche domanda senza dover aspettare le confessioni di Li Pera. La terza domanda è una valutazione in termini molto generali, perché mi rendo conto di come attenga a quello che giustamente è stato definito l'immane compito di indagare sulle stragi di Capaci e di via D'Amelio. Buscetta ieri ha fatto un'affermazione molto preoccupante, al di là di alcuni aspetti contraddittori relativi al fatto che la mafia sarebbe autonoma nelle sue decisioni ma che vi sarebbe qualcuno dietro Totò Riina, prospettando una sorta non di accordo ma di presa d'atto. Faccio un esempio riferendomi ai casi Falcone e Borsellino: la mafia intuisce qual è l'interlocutore politico, va da lui e dice "noi faremo questo", con una sorta di presa d'atto che non configura una commissione od un mandato, ma si muove nella logica del "tu ora sai e, se non mi dici niente, probabilmente mi coprirai rispetto a quello che intendo fare". Ciò configura un meccanismo complicato ed estremamente preoccupante, rispetto al quale, senza intervenire in questioni coperte da segreto istruttorio, credo che la procura di Caltanissetta abbia cominciato a farsi un'idea; pertanto, se il procuratore Tinebra potrà fornirci la sua valutazione, essa sarà per noi un elemento utile. MAURIZIO CALVI. Dall'audizione dei due pentiti Calderone e Buscetta abbiamo tratto il giudizio complessivamente unitario di una mafia che, in questa fase storica, rantola. Vorrei capire se questo giudizio è anche il vostro e vorrei sapere quali sono le difficoltà all'interno di Cosa nostra, da dove nascono, quali sono le nuove spinte e le nuove strategie e qual è la previsione, proveniente anche dai due pentiti, in ordine ad un ulteriore colpo di coda di Cosa nostra sul sistema politico istituzionale italiano, come proiezione di grandi obiettivi di carattere politico e di grande esaltazione dal punto di vista degli obiettivi stessi. Sarebbe altresì utile, ovviamente con la riservatezza che questa delicata indagine comporta, avere utili elementi di aggiornamento sugli omicidi Falcone e Borsellino. Abbiamo ascoltato le procure di Palermo, Catania ed ora Caltanissetta: mi chiedo se non sia possibile ottenere una comune riflessione di queste tre aree giuridiche, in modo da trarne un quadro più generale. Da parte nostra ci siamo già formati un'idea, ma in questa fase sarebbe utile, per la Commissione antimafia e per il Parlamento, conoscere le vostre riflessioni attraverso una relazione congiunta. MARIO BORGHEZIO. Nelle varie audizioni finora svolte abbiamo ricavato pochissime notizie concrete circa la penetrazione della mafia negli ambienti bancari e finanziari, mentre ritengo che anche in relazione alle indagini sui recenti omicidi questo aspetto non risulti secondario. Vorrei sapere se la procura distretturale è in grado di dirci qualcosa circa le scelte verso le quali vanno le operazioni finanziarie di Cosa nostra, tracciando almeno uno scenario di carattere generale. Vorrei altresì sapere se risultino elementi in ordine a connivenze o compromissioni di istituti bancari, specialmente quelli di piccole dimensioni come le casse di risparmio o le banche popolari, e quale sia il loro tasso di affidabilità anche in relazione ad eventuali indicazioni di nominativi di amministratori di nomina politica influenzati dalle cosche mafiose. PRESIDENTE. Prima di dare la parola al dottor Tinebra, vorrei sapere se è Pag. 466 possibile avere copia dei provvedimenti restrittivi eseguiti questa notte i quali, essendo stati comunicati agli interessati, dovrebbero essere pubblici. Vorrei inoltre informare i nostri ospiti che possono riservarsi di rispondere per iscritto alle domande che, considerato il loro tenore, comportino consultazioni di vistosi dossier. Vorrei infine manifestare il timore che quando si parla di commissione nazionale o mondiale, l'ascoltatore non sufficientemente esperto corra il rischio di confondere una procedura con un organismo, per cui potrebbero sorgere elementi di confusione. Da ultimo desidererei sapere se a Caltanissetta vi è un solo GIP il quale non so proprio come potrebbe interrogare ducento persone. Per quanto riguarda poi la questione Falcone-Borsellino, vorrei sapere se sono recentemente emerse informazioni in particolare in ordine ad un rapporto inviato dalla procura di Firenze concernente il traffico di armi. Naturalmente sarebbe utile alla Commissione sapere se siamo ancora nella fase preliminare delle indagini o se è stato raggiunto qualche obiettivo. Personalmente ritengo che la situazione sia diversa per i due casi. GIOVANNI TINEBRA, Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. Signor presidente, vorrei pregarla di proseguire i nostri lavori in seduta segreta, in quanto ho il timore di rivelare qualche dettaglio nella foga del mio intervento. PRESIDENTE. Sta bene. Da questo momento i nostri lavori continuano in seduta segreta. Dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno. (La Commissione procede in seduta segreta). PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo. Vorrei chiarire per chi ci ascolta la differenza tra commissione provinciale e regionale, da una parte, e commissione nazionale e mondiale, dall'altro, perché non vorrei che domani uscisse sui giornali che vi è una commissione mondiale, il che sarebbe un po' ridicolo. La commissione provinciale e la commissione regionale sono organismi attinenti alla struttura di Cosa nostra, come ha spiegato testé il procuratore dottor Tinebra, mentre la commissione nazionale e la commissione mondiale sono procedure d'intesa tra soggetti che si muovono sul territorio nazionale ed internazionale per concludere determinati affari. Da questo momento i nostri lavori continuano in seduta segreta. Dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno. (La Commissione procede in seduta segreta fino al termine, alle 19,5).