Pag. 505 AUDIZIONE DEL COLLABORATORE DELLA GIUSTIZIA LEONARDO MESSINA PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Sui lavori della Commissione: Violante Luciano, Presidente ...................... 507, 511 Borghezio Mario ........................................ 511 Brutti Massimo ......................................... 508 Buttitta Antonino ...................................... 508 Cafarelli Francesco .................................... 511 Ferrauto Romano ........................................ 509 Frasca Salvatore ....................................... 508 Fumagalli Carulli Ombretta ............................. 509 Galasso Alfredo ................................... 510, 511 Matteoli Altero ........................................ 509 Riggio Vito ............................................ 507 Scalia Massimo ......................................... 511 Taradash Marco .................................... 507, 511 Tripodi Girolamo ....................................... 509 Pag. 506 Audizione del collaboratore della giustizia Leonardo Messina: Violante Luciano, Presidente ...................... 512, 513 514, 515, 516, 517, 518, 519, 520, 521, 522, 523 524, 525, 526, 527, 528, 529, 530, 531, 532, 533 534, 535, 536, 537, 538, 539, 540, 541, 542, 543 544, 545, 546, 547, 548, 549, 550, 551, 552, 553 554, 555, 556, 557, 558, 559, 560, 561, 562, 563 564, 565, 566, 567, 568, 569, 570, 571, 572, 573 574, 575, 576, 577, 578, 579, 580, 581, 582, 583 584, 585, 589, 590, 591, 592, 593, 594, 595, 596 597, 598, 599, 600, 601, 602, 603, 604, 605, 606 607, 608, 609, 610, 611, 612, 613 Acciaro Giancarlo ................................. 580, 588 Bargone Antonio ........................................ 591 Borghezio Mario .................... 534, 541, 552, 586, 600 Brutti Massimo ............................... 585, 588, 590 Cabras Paolo .................. 534, 539, 592, 596, 597, 612 Calvi Maurizio .......................... 532, 553, 559, 584 D'Amato Carlo ..................................... 579, 606 De Matteo Aldo ......................................... 588 Ferrauto Romano .............................. 577, 600, 606 Folena Pietro ..................................... 538, 589 Frasca Salvatore ....................................... 584 Fumagalli Carulli Ombretta ............................. 536 Garofalo Carmine ....................................... 589 Galasso Alfredo .................... 537, 578, 582, 587, 588 Imposimato Ferdinando .................................. 586 Matteoli Altero .............................. 548, 549, 552 558, 559, 564, 582, 584, 585, 592, 594, 598, 599 602, 605 Messina Leonardo ........................ 512, 513, 514, 515 516, 517, 518, 519, 520, 521, 522, 523, 524, 525 526, 527, 528, 529, 530, 531, 532, 533, 534, 535 536, 537, 538, 539, 540, 541, 542, 543, 544, 545 546, 547, 548, 549, 550, 551, 552, 553, 554, 555 556, 557, 558, 559, 560, 561, 562, 563, 564, 565 566, 567, 568, 569, 570, 571, 572, 573, 574, 575 576, 577, 578, 579, 580, 581, 582, 583, 584, 593 594, 595, 596, 597, 598, 599, 600, 601, 602, 603 604, 605, 606, 607, 608, 609, 610, 611, 612, 613 Rapisarda Santi ................................... 591, 592 Riggio Vito .................................. 552, 592, 601 Scotti Vincenzo .............................. 584, 585, 592 Taradash Marco ............................... 531, 535, 549 550, 553, 560, 569, 573, 578 581, 585, 586, 593, 597, 598, 604, 605, 611 Tripodi Girolamo ............................. 575, 588, 592 Pag. 507 La seduta comincia alle 9,35. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Sui lavori della Commissione. PRESIDENTE. L'onorevole Taradash ha chiesto di parlare sui lavori della Commissione. MARCO TARADASH. Vorrei riproporre la questione che ho già sollevato nella precedente audizione di un collaboratore della giustizia. Non ho bisogno di vedere morti ammazzati per la strada per capire se ci sono regole dello Stato di diritto che devono essere rispettate. Ritengo che se abbiamo preso la decisione - che non condivido ma che è stata assunta da questa Commissione - di ascoltare i collaboratori della giustizia, dobbiamo farlo almeno con le stesse garanzie presunte attraverso le quali queste audizioni avvengono nelle aule di giustizia o in altri luoghi dove i pentiti vengono ascoltati; almeno con le garanzie presunte, perché poi per quanto riguarda quelle reali vediamo tutti i giorni ciò che succede. Il criterio della segretezza delle accuse dei pentiti dovrebbe regolare anche questo tipo di audizioni. E' un problema di metodo, non è un problema di nomi che vengono fatti, simpatici o antipatici, eccellenti o non eccellenti. Abbiamo dato pubblicamente notizia di alcuni nomi non eccellenti fatti dal pentito Buscetta e che sono stati caricati di diversi significati; poi non ci sono state reazioni perché non erano nomi eccellenti. A me non importa la verità o non verità delle accuse del pentito (in questa fase non spetta né a noi né ad altri verificarle), a me importa la credibilità delle istituzioni. Credo che il problema di questa Commissione parlamentare di inchiesta sia quello di arrivare a formarsi delle valutazioni fondate, senza lasciare sulla sua strada scorie che vanno ad inquinare la vita delle persone o delle istituzioni. Quindi, rinnovo la richiesta di non rendere pubblica l'audizione del collaboratore della giustizia che stiamo per ascoltare. PRESIDENTE. Altri colleghi intendono porre la stessa questione? Dico questo perché in base al nostro regolamento affinché la richiesta venga posta in votazione deve risultare appoggiata da almeno cinque membri della Commissione. VITO RIGGIO. Nella precedente occasione abbiamo assunto la decisione di rendere pubblica l'audizione del collaboratore della giustizia Buscetta sulla base della considerazione che era impossibile, considerate la natura e le caratteristiche di una Commissione parlamentare, garantire l'elemento della riservatezza, anche perché non c'era una volontà unanime di condurre le cose in questo modo. Devo dire al collega Taradash che sono d'accordo sul fatto che - nonostante si fosse ritenuto utile, ai fini della comprensione del fenomeno, ascoltare i collaboratori della giustizia - mai nessuno avrebbe immaginato che invece la sede della Commissione parlamentare potesse diventare, prima ancora di predisporre una relazione, uno strumento alternativo o aggiuntivo rispetto alle indagini dei Pag. 508 magistrati. Solo sulla base di queste considerazioni, tutti abbiamo deciso, almeno per quanto mi riguarda, di aderire a queste audizioni in questi termini. Ribadisco l'esigenza di trovare un modo che garantisca la riservatezza, ma contemporaneamente di impedire che nasca tra di noi l'idea che chi chiede la riservatezza lo faccia per una ragione che attiene alla difesa di interessi particolari. Ho aderito all'invito a partecipare a questa audizione, però la riservatezza, la garanzia del diritto delle persone alla loro dignità è sicuramente un problema all'ordine del giorno in questo paese e noi come Commissione parlamentare non possiamo non porlo. Sono qui perché credo che ci sia questa volontà da parte di tutti; se invece non ci fosse lo verificheremo e ognuno trarrà le sue considerazioni. ANTONINO BUTTITTA. Penso che quando si tratta una materia come questa, che investe il destino e la vita di esseri umani, non ci si possa far trascinare dalle passioni più o meno politiche e comunque in questa sede non ci si possa far trasportare da interessi di parte; né a favore del proprio partito né contro altri partiti o gruppi, né per polemizzare con i magistrati, i rappresentanti delle forze dell'ordine o i giornalisti, che fanno il loro mestiere, né per sottovalutare o sminuire la funzione dei cosiddetti collaboratori della giustizia, che hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo positivo. Penso però che, trattandosi di una materia così delicata e nei suoi esiti talora così drammatica, una deontologia o comunque il richiamo al senso della misura per tutti e per la stessa Commissione nelle sue rappresentazioni esterne sia assolutamente indispensabile. Mi associo pertanto alla richiesta del collega Taradash. SALVATORE FRASCA. Signor presidente, non possiamo vivere sul pianeta Terra senza accorgerci di quello che avviene nella realtà del nostro paese. Ci troviamo in una situazione drammatica, rispetto alla quale abbiamo il dovere di essere preoccupati, evitando nel contempo di allarmare con il nostro lavoro l'opinione pubblica; per questa ragione concordo sulla proposta avanzata dall'onorevole Taradash. MASSIMO BRUTTI. Considero ragionevole il richiamo fatto al senso della misura: vorrei che valutassimo il problema di fronte al quale ci troviamo con la stessa freddezza e la medesima attenzione con cui l'abbiamo affrontato nell'edizione precedente. Abbiamo ragionato, anche in base alla prima esperienza fatta con un collaboratore della giustizia, sui possibili rischi legati a formulazioni e dichiarazioni che riguardassero persone e ci siamo dati una regola: quella di ascoltare i collaboratori della giustizia in modo riservato, per cui mentre li sentiamo nessun altro deve sapere che cosa stiano dicendo - vi è anche un problema di autodisciplina, rispetto al quale non bisogna uscir fuori e rilasciare dichiarazioni -, e di decidere al termine dell'audizione che fare. Un organismo come la Commissione parlamentare antimafia ha anzitutto un dovere istituzionale: quello della trasparenza, di condurre i propri lavori e i propri accertamenti davanti agli occhi del paese. Anche questo è un aspetto importante. L'immagine di disgregazione di Cosa nostra offerta dai pentiti che parlano davanti a questa Commissione - così come è avvenuto in altri momenti della storia della criminalità organizzata - ha un significato civile che non è da sottovalutare. Vi è tuttavia un problema: quando la Commissione parlamentare antimafia si vale degli stessi poteri dell'autorità giudiziaria? Quando ha il dovere di osservare le cautele e le garanzie previste per le attività condotte dalla stessa autorità giudiziaria? Potremo valutare questo aspetto soltanto al termine dell'audizione ed eventualmente decidere di considerarla del tutto o parzialmente riservata. Teniamo ferma questa linea di comportamento, anche perché l'attualità ci insegue Pag. 509 con fatti drammatici e quelli che avvengono in questi giorni non sono probabilmente gli ultimi. La Commissione parlamentare antimafia, in quanto organismo istituzionale, deve mantenere la sua rotta, manifestare una perfetta autonomia rispetto ai fatti ed anche alle aggressioni provenienti dall'esterno. Non dobbiamo lasciarci condizionare ma avere una linea istituzionale ferma, che mi sembra sia già stata definita, e seguirla con coerenza. ROMANO FERRAUTO. La volta precedente siamo riusciti a raggiungere un punto di equilibrio tra due posizioni, l'una tesa come pregiudiziale a non rendere pubblica la seduta, l'altra tendente a trasferirla immediatamente sul piano esterno. Ritengo che il punto di equilibrio realizzato la volta precedente possa essere mantenuto anche per questa seduta, altrimenti daremmo all'esterno l'impressione di essere ondeggianti. In una occasione precedente sono stati dati anche nomi in pasto alla stampa e all'opinione pubblica, con gravi risultati sul piano della credibilità complessiva, per cui se dovessimo tornare indietro si assumerebbe una posizione che non condivido. GIROLAMO TRIPODI. Condivido la posizione assunta dal senatore Brutti e le valutazioni or ora espresse dal collega Ferrauto, perché non possiamo seguire due strade: sarebbe negativo per il prestigio e l'immagine della stessa Commissione. Nel momento in cui si dovesse decidere, come è stato proposto, di fissare fin dall'inizio una procedura diversa da quella adottata negli incontri precedenti si produrrebbero effetti negativi. Sono dunque dell'avviso che si debba procedere con coerenza sulla stessa linea seguita nel passato, esaminando alla fine l'opportunità di rendere la seduta totalmente o parzialmente pubblica. ALTERO MATTEOLI. Presidente, vado oltre rispetto a quanto sosteneva il senatore Brutti: sono dell'idea che sia necessario rendere immediatamente pubblica la seduta. Dico questo perché - so di dare una motivazione piuttosto debole - preferisco che i giornalisti ascoltino con le loro orecchie anziché ricevere le veline da qualcuno al termine della seduta. Questo infatti è quanto è avvenuto e avviene normalmente: basta ricordare che cosa è accaduto alla vigilia dell'audizione di Buscetta. Qualora la mia tesi non fosse accolta, in via subordinata voterei a favore della proposta avanzata dal senatore Brutti. OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Signor presidente, come già ho osservato nell'altra seduta vorrei far rilevare che non è questione di contenuto ma di metodo. Mi pare che in proposito abbia ragione il collega Taradash: il fatto di aver seguito nel passato una certa linea non significa che sia di per sé esatta. Vorrei domandare ai colleghi favorevoli al rinvio della decisione al termine dell'audizione sulla base di quali regole obiettive decideremo se renderla o meno pubblica, per sentirmi dire, per esempio, che si deciderà per la segretezza se emergeranno elementi coperti da segreto istruttorio o verranno indicati nomi. Mi pare che stiamo ragionando, oggi come l'ultima volta, senza avere come punto di riferimento un metodo basato su certe regole. Non è questione di contenuti. Certo abbiamo un dovere di trasparenza, ma abbiamo anche il dovere di mantenere riservate eventuali questioni coperte da segreto istruttorio e poiché questi pentiti - per quanto ne so, per quanto ne sappiamo - stanno collaborando con magistrati impegnati nello svolgimento di varie inchieste, come possiamo sapere se le informazioni qui date interferiscano o meno nei processi in corso? Non dispongo di tutti gli atti di questi processi, non posso immaginare fin d'ora quali tra gli elementi che eventualmente emergeranno siano coperti da segreto istruttorio. Rispetto alla considerazione espressa dall'onorevole Taradash - secondo il quale non è una questione di contenuto ma di metodo e tale metodo è imposto dal fatto che i collaboratori della giustizia Pag. 510 stanno collaborando con i magistrati - credo che la conclusione debba essere quella di cambiare rispetto a come abbiamo agito fino ad ora. Non mi pare che l'aver deciso in passato di deliberare al termine dell'audizione del pentito se renderla o meno pubblica rappresenti un precedente tale da far perdere credibilità alla Commissione una volta che sia stato abbandonato. Condivido le osservazioni dei colleghi i quali si fanno carico della preoccupazione di non assumere atteggiamenti ondeggianti, ma ritengo che sia soprattutto necessario non seguire metodi intrinsecamente sbagliati. ALFREDO GALASSO. Signor presidente, desidero ricordare che sono stato uno dei pochi a mettere in discussione criticamente la decisione di ascoltare i pentiti, o i collaboratori della giustizia, come pare adesso più precisamente si definiscano. Rivendico le ragioni che ho espresso allora e dico tuttavia che in questo momento mi sembra assolutamente fuori luogo mettere in discussione la prosecuzione di questo programma. Non c'è dubbio che, essendosi ieri suicidato il povero Mimmo Signorino, di fronte alla grancassa dei giornali di questa mattina potrebbero sorgere alcuni dubbi sulla opportunità per la Commissione di procedere come stabilito. Non ho la preoccupazione di seguire la grancassa, ma non sono affatto convinto che un gesto del genere, così tragico, possa essere determinato esclusivamente da una fuga di notizie. Mi sembrerebbe fuor di luogo che in una sede istituzionale così alta decidessimo in relazione a ciò. Quindi, il programma va sviluppato ulteriormente. Altro genere di dignità hanno le argomentazioni del collega Taradash, peraltro formulate già a suo tempo, ma che non mi sento di condividere. L'esperienza di questi anni mi porta a ritenere che è molto più utile sul piano istituzionale e sociale rendere la massima pubblicità e trasparenza a qualunque notizia piuttosto che il contrario. Innanzitutto per la ragione elementare che, fino a quando non si individua uno strumento talmente coattivo da rendere impossibile la fuga di notizie, tutto ciò finisce per tradursi in un danno e in una discriminazione del tipo di quelli lamentati dal collega Taradash. In secondo luogo, perché quella trattata è una materia tanto grave, tormentata e tragica verso la quale esiste solo un antidoto: il massimo della discussione e della conoscenza. Mi rendo conto che ci sono rischi gravi e che si possono produrre guasti, ma l'esperienza - ripeto - mi insegna che la segretezza, anche giustificata da nobilissime ragioni come quelle che riconosco al collega Taradash, è comunque produttiva di danni maggiori. Sono, pertanto, contrario a decidere ora sulla segretezza o meno della seduta. Abbiamo verbali in cui abbondano gli omissis, che rendono, come altre volte è accaduto, praticamente illeggibili tali deposizioni. Ritengo che il programma vada concluso il più rapidamente possibile: quanto meno ci faremo un'idea di cosa è oggi il pentitismo e non si tratta di piccola cosa. Per concludere, signor presidente, vorrei ricordare che siamo in una Commissione antimafia e non in un asilo d'infanzia e quindi ciascuno si deve assumere le proprie responsabilità, nei rapporti che si hanno con il mondo esterno, con i giornalisti, con gli altri colleghi, con i giudici, eccetera. In occasione dell'audizione di Buscetta mi sono state rivolte critiche, alle quali non ho neanche risposto, del tutto prive di consistenza. Prima della decisione della Commissione, mi ero limitato a fare una dichiarazione, che ritenevo importantissima, sulla deposizione in generale di Buscetta. Dal momento che viviamo in un determinato clima è bene che ciascuno si assuma la responsabilità di ciò che fa. Questo è il senso di una Commissione istituzionale, altrimenti si trasforma in un asilo d'infanzia, dove c'è l'allievo che rivela al direttore cosa sta facendo il compagno di banco. Per cortesia, qui stiamo parlando di tragedie! Pag. 511 FRANCESCO CAFARELLI. Pur essendo d'accordo con le motivazioni esposte dal collega Ferrauto, desidero aggiungere alcune considerazioni per coerenza con quello che abbiamo fatto fino ad ora; innanzitutto, perché sarebbe difficile spiegarne le ragioni all'esterno, per evitare che la Commissione si muova sulle emotività dettate dal mondo esterno e per dimostrare la nostra intesa con i magistrati. La volta scorsa il presidente ci ha rassicurato sull'assenso dei magistrati circa la nostra intenzione di ascoltare il collaboratore di giustizia Messina. Per queste considerazioni concordo sulla proposta formulata dal collega Ferrauto. MASSIMO SCALIA. Pur riconoscendo la nobiltà dei motivi che spingono il collega Taradash a formulare la sua proposta e militando nell'associazione che egli presiede, credo che il problema sollevato sia stato mal posto dal punto di vista della teoria dell'informazione e della comunicazione. Non vedo, infatti, come si possa fare appello alla segretezza dal momento che un gran numero di persone è presente ai lavori della Commissione. Non capisco come si possa non dare pubblicità quando sono presenti più di quaranta persone, del tutto onestamente incontrollabili rispetto alla rete di comunicazioni e relazioni che hanno all'esterno. Si tratta di un dato così elementare ed ovvio che gli stessi collaboratori di giustizia che vengono ascoltati dalla Commissione si guardano bene dal fornirci le notizie più importanti e si riservano di comunicarle in una sede molto più ristretta di fronte al magistrato. Se fosse stata accolta l'obiezione di metodo mossa dalla collega Fumagalli non si sarebbe dovuto procedere all'ascolto dei pentiti dal momento che si tratta di un problema irresolubile che, a mio modo di vedere, pecca di superdeterminazione, nel senso che lo stesso atteggiamento dei pentiti fa sì che le deposizioni in nostro possesso siano piene di omissis. Ritengo, anche se la cosa fa sorridere, che le istituzioni debbano svolgere una funzione pedagogica ed è molto ipocrita e molto italiano - talvolta mi vergogno di esserlo - il fatto che non si riesca ad avere quel livello di pubblicità e di comunicazione che esiste nei paesi civili. Lo stesso atteggiamento che muove il collega Brutti a me sembra dettato più da ragioni di compromesso che da altre motivazioni; tuttavia, ritengo si possa decidere alla fine dell'audizione sulla sua riservatezza o meno. MARIO BORGHEZIO. Concordo sulla proposta del collega Brutti e contesto che la scelta operata nel corso dell'audizione del collaboratore della giustizia Buscetta manchi di una logica. La regola alla quale dobbiamo attenerci è quella della trasparenza, naturalmente dopo il controllo della Commissione sugli argomenti trattati nel corso dei lavori, che non devono interferire con le indagini della magistratura. MARCO TARADASH. Allora, decidiamo subito sulla pubblicità. PRESIDENTE. Sono emerse tre posizioni. Porrò in votazione la prima, relativa alla segretezza della seduta, in quanto sostenuta da cinque colleghi, come prescritto dal regolamento; la seconda è favorevole ad adottare una decisione sulla segretezza o meno dell'audizione al termine della seduta; la terza, infine, è quella della seduta integralmente pubblica. Devo precisare, a fini di chiarezza, due questioni. In primo luogo, la vicenda del magistrato che si è ucciso è tragica, ma riguarda un pentito che è stato ascoltato in sede segreta ed il relativo verbale è tuttora segreto. Questo dobbiamo saperlo tutti... ALFREDO GALASSO. Quel pentito non è stato ascoltato da noi. PRESIDENTE. No, stavo solo facendo una precisazione in ordine alla distinzione tra seduta segreta e pubblica. Pag. 512 In secondo luogo, qualche giorno fa, la nostra Commissione ha approvato all'unanimità un documento nel quale viene distinto il profilo della responsabilità giudiziaria penale, che deve essere accertata dal giudice e che non ci interessa, ed il profilo di carattere politico, che riguarda invece specificamente la nostra Commissione. In questo senso, per un verso, non vi è un problema di concorrenzialità e, per un altro verso, i verbali di cui disponiamo, coperti da omissis, come ha ricordato qualche collega, ci sono stati consegnati spontaneamente dall'autorità giudiziaria, che non ha quindi ipotizzato alcuna interferenza. Le mie osservazioni sono finalizzate, come accennavo, a rendere chiaro il quadro nel quale ci muoviamo. Pongo ora in votazione la proposta Taradash di segretezza della seduta, sostenuta da cinque colleghi, come previsto dal nostro regolamento. (E' respinta). Pongo in votazione la proposta Matteoli di pubblicità della seduta. (E' respinta). Pongo in votazione la proposta Brutti, in base alla quale la Commissione si riserva di valutare dopo la conclusione dell'audizione se sia opportuno renderla pubblica ed eventualmente entro quali limiti. (E' approvata). Audizione del collaboratore della giustizia Leonardo Messina. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del collaboratore della giustizia Leonardo Messina. (Il signor Leonardo Messina viene introdotto nell'aula). PRESIDENTE. Buon giorno, signor Messina; lei è davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari. LEONARDO MESSINA. Buon giorno a tutti. PRESIDENTE. Può declinare le sue generalità? LEONARDO MESSINA. Sono Leonardo Messina, nato a San Cataldo il 22 settembre 1955. PRESIDENTE. Può proseguire? LEONARDO MESSINA. Sono un uomo d'onore dal 21 aprile 1982; sono stato affiliato nella famiglia di San Cataldo, davanti alla provincia mafiosa di Caltanissetta. Ho fatto alcuni anni come soldato, sono stato sottocapo della stessa famiglia: avevo il compito di rappresentarla, perché il rappresentante era anziano, aveva 84 anni, ed ho coadiuvato con il mandamento più importante della provincia di Caltanissetta, quello di Vallelunga. PRESIDENTE. Per quali ragioni ha deciso di uscire da Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Ho avuto problemi morali intorno al 1986-1987. PRESIDENTE. Può spiegarli alla Commissione? LEONARDO MESSINA. Sì. Intanto, mentre in precedenza stavo economicamente un po' più male, verso il 1986-1987, iniziai a stare discretamente, non per il rapporto che avevo con Cosa nostra. Vengo da una famiglia della Sicilia interna, dove non c'è una grande ricchezza, anche se, come famiglia, partecipiamo in tutti i traffici del mondo con la nostra quota. Le amicizie che mi sono creato mi hanno portato ad avere una visione lucida della vita e a capire molte cose del mio comportamento; andavo in ferie con persone che non appartenevano Pag. 513 alla mafia ma erano del mondo imprenditoriale, non imprenditori collusi, ma persone vicine o alla polizia o al SISDE o ad altro. Ho avuto un contatto con il SISDE nel 1986-1987 ed incominciai a volere, in un certo senso, uscire, ma non era possibile. Più avanti andavo con le amicizie e più il terrore di rimanere in Cosa nostra aumentava; oltre a questo ha giocato molto la perdita di tantissime persone. Certamente per tutti si tratta di mafiosi ed assassini, ma per me rappresentavano persone che vivevano con me; in questa serie di morti e di eventi che mi sono capitati intorno si faceva sempre più vivo in me il desiderio di cambiare atteggiamento e vita. A ciò si è aggiunta una serie di vicende sentimentali che mi hanno portato fuori dal mio mondo, a vivere decorosamente di lavoro; lavoravo in una miniera, anche se ero un capo della mafia che coadiuvava la provincia. Avevo amicizie in tre province, le più importanti della Sicilia centrale, cioè Agrigento, Caltanissetta ed Enna; ero compare del Ribisi e di altri che controllavano la provincia di Enna. Uscivo dal lavoro e andavo a casa, conducevo cioè una vita tranquilla, ma il terrore di essere chiamato o di apprendere che le persone accanto a me morivano uccise per la strada incominciò a convincermi, un po' perché non ero più l'uomo che era entrato in Cosa nostra, che avevo esaminato e continuavo a guardare attentamente in tutti i suoi processi. In effetti non avevo giurato di essere un assassino, bensì soltanto di appartenere ad una setta, perché Cosa nostra è una setta segreta. All'inizio ero infatuato, anche perché la mia è una famiglia che appartiene per tradizione a Cosa nostra ed io sono la settima generazione che fa parte di Cosa nostra; non sono stato affiliato perché ero un rapinatore o perché ero capace di uccidere, ma perché per tradizione familiare ero destinato a farne parte. Nei primi rapporti antimafia si parlerà sicuramente dei miei zii; ho inoltre sposato una donna del mio stesso ambiente, nipote del sotto capofamiglia di San Cataldo, quindi ero destinato a diventare un personaggio importante nel paese ed in un certo senso lo sono diventato. Quando sono diventato il personaggio del paese e della provincia non ero più l'uomo che voleva vivere da mafioso andando in giro per la Sicilia ad uccidere le persone. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione in che senso passava le vacanze insieme ad appartenenti delle forze di polizia o persone vicine al SISDE? LEONARDO MESSINA. Non erano delle vere e proprie vacanze. Si trattava di persone che hanno dei negozi, che hanno una vita tranquilla e che non appartengono al mondo di Cosa nostra, anche di gente politica pulita; sono diventato per caso amico di queste persone, che mi hanno portato ad avere contatti con il SISDE nel 1986-1987. Ho incontrato diverse volte queste persone, che allora volevano per lo più notizie sul terrorismo; qualcosa gli ho dato, ma non ho mai tradito Cosa nostra. I rapporti sono proseguiti perché questi uomini avevano in tasca un prezzario dei latitanti, ma io ero impaurito dal loro atteggiamento, che non era particolarmente attento alla mia salvaguardia. Essi volevano catturare dei latitanti non curandosi del modo: bisognava che io gli indicassi il posto, ma era assurdo, per me sarebbe stato come morire. Ho fornito indicazioni che essi non hanno seguito: avevo detto loro che occorreva seguire alcuni uomini per arrivare a prendere la commissione mondiale di Cosa nostra riunita. PRESIDENTE. Questi suoi rapporti non suscitavano nessuna reazione negli altri uomini d'onore? LEONARDO MESSINA. La Commissione antimafia mi vede oggi qua, in un ambiente estraneo al mio mondo, come un pesce fuori dall'acqua, ma io allora ero un personaggio, il rappresentante, il capo di una famiglia e l'uomo politico della famiglia, il quale tiene i contatti sia Pag. 514 con i politici e le imprese sia con i carabinieri e la polizia, a volte anche depistandoli. PRESIDENTE. Lei ha dichiarato di aver dato informazioni anche sul terrorismo. LEONARDO MESSINA. A quel tempo erano successe alcune cose, ed in particolare erano sparite delle mitragliette dalla questura di Varese; i sospetti erano sui sancataldesi e questi uomini mi avevano mostrato una fotografia con un impiegato civile della questura di Varese e le mitragliette le volevano da me, ma io avevo detto che non le avevo. Erano anche disposti a darmi dei soldi, ma poi hanno fatto un po' di caciara ... PRESIDENTE. Era solo questo l'episodio o ce ne sono stati altri? LEONARDO MESSINA. Hanno voluto indirizzi e numeri telefonici di Roma, che io gli ho fatto avere. PRESIDENTE. Di persone legate a Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Non ho mai dato informazioni alla polizia di persone appartenenti a Cosa nostra, ma le ho date circa i NAR ed altri gruppi armati. PRESIDENTE. Che lei conosceva come? LEONARDO MESSINA. Oltre ad essere un capo, sono stato circa sei anni in carcere e varie volte anche al soggiorno obbligato, perciò i miei spostamenti mi hanno portato a conoscere determinate persone; in carcere ho conosciuto anche dei terroristi. Tuttavia anche Cosa nostra, indipendentemente da me, conosce dei ragazzi appartenenti ai NAR di Roma. PRESIDENTE. Soltanto dei NAR o anche appartenenti ad altre organizzazioni terroristiche? LEONARDO MESSINA. In quella occasione, cioè quando ho avuto l'incontro, soltanto dei NAR. PRESIDENTE. Lei ha detto che Cosa nostra conosce attraverso i suoi uomini, che sono in carcere od altrove, appartenenti ai gruppi terroristici, indipendentemente dalla vicenda che ci ha spiegato. LEONARDO MESSINA. Indipendentemente da quella vicenda sono stato mandato al nord; sono arrivato a Roma e mi è venuto a prendere un uomo che appartiene ai NAR, così mi hanno detto. Quando siamo arrivati a Chianciano Terme ci hanno fermato i carabinieri e ci hanno segnalato; solo dopo ho saputo il nome del terrorista, prima non lo sapevo perché avevo solo l'ordine di arrivare a Fiumicino ed egli mi doveva riconoscere da un giornale. PRESIDENTE. Le è capitato di avere rapporti anche con terroristi delle Brigate rosse o di altre organizzazioni di questo tipo? LEONARDO MESSINA. No, ho conosciuto in carcere dei terroristi, che però sono lontani dal nostro comportamento; ho conosciuto Attilio Casaletti ed altri. Non hanno niente a che vedere, almeno nel periodo in cui li ho conosciuti, con Cosa nostra. PRESIDENTE. Quali sono le modalità di affiliazione a Cosa nostra, cioè come si entra a farne parte, dal punto di vista delle procedure formali? Vi sono delle cerimonie o qualcosa di particolare? LEONARDO MESSINA. Non è che uno la mattina si alza e dice "da oggi faccio parte di Cosa nostra"; è un tipo di atteggiamento. Ti seguono fin da bambino, ti crescono, ti allevano, ti insegnano a sparare, ad uccidere, a mettere le bombe, sei un robot: sei uno destinato. Ci sono anche uomini che entrano in Cosa nostra con il destino di diventare capi, ed è così. In Cosa nostra il primo approccio Pag. 515 è quello di "avvicinati"; dopo un periodo di avvicinamento, che può durare uno, cinque o vent'anni, dipende dalla persona, qualcuno ti infiltra e ti dice che è arrivata l'ora di entrare a far parte di Cosa nostra. Tuttavia, già quando ti chiamano, tu sai che quella è Cosa nostra, sai dove stai entrando, anche perché tu hai già servito per dieci anni questi uomini. Sai perfettamente qual è il discorso e comunque c'è sempre una persona che ti guida: ogni uomo d'onore ha circa cinque, dieci o quindici persone vicine, (ognuno non ciascuna famiglia). Però, tutti gli uomini d'onore hanno il dovere di comunicare all'intera famiglia i nomi degli avvicinati, perché devono sapere chi sono coloro che portano avanti gli interessi della famiglia stessa o di Cosa nostra. Dopo il periodo di iniziazione (i primi omicidi si compiono da avvicinati), c'è una riunione formale, la quale può essere o della provincia o del mandamento o della famiglia. Di solito, la riunione del paese per affiliare degli uomini è come una festa a cui partecipano tantissime persone. Posso descrivere perfettamente la mia affiliazione. Sono stato padrino di tanti altri affiliati... PRESIDENTE. Il padrino è colui che fa entrare .... LEONARDO MESSINA. Il padrino è quello che ti punge il dito. Quando entri trovi tante persone riunite. La persona che ti ha guidato, che ti ha osservato per conto della famiglia, si mette dietro di te e ti dice di scegliere un padrino. Ognuno sceglie il suo. C'è chi è molto furbo e per padrino sceglie il personaggio, cioè c'è chi sceglie il rappresentante o il capo mandamento (ma sono tutte cariche che non durano una vita). Cominciano a illustrarti tutti i problemi ma nessuno ti spiega le regole di Cosa nostra. Quest'ultime vanno interpretate, devi intuirle da solo, te le spiegheranno poi, a poco a poco. Quando hanno punto me, ero dinanzi alla provincia di allora di Caltanissetta. La provincia era riunita, c'erano i mandamenti, il rappresentante, il sottocapo e alcuni uomini della mia famiglia. Con il padrino alle mie spalle, mi sono rivolto alla provincia, mi sono state suggerite parole da dire, mi è stato posto in mano un santino bruciato, e dopo ho pronunciato queste parole: "Come brucia questa carne e come brucia questa carta deve bruciare la mia carne se tradisco Cosa nostra". Con il sangue uscito dal dito punto, viene imbrattato un santino che poi viene bruciato. Queste sono cose che sanno tutti, che da anni i giornali e i libri hanno già spiegato. Qualsiasi persona può pentirsi e dire di appartenere a Cosa nostra, perché il rituale è sempre quello, lo descrivono quotidianamente i giornali. Ma se uno appartiene a Cosa nostra sa tutto, sa che le fasi non sono solo queste. Anch'io ho scelto un padrino, e quando la cerimonia è terminata mi hanno abbracciato. Di solito, in questa circostanza si fanno regali sostanziosi. Quando le famiglie contano, dalla riunione si esce quasi ricchi (si possono ricevere cento o duecento milioni, oppure cinquanta, dieci o cinque milioni, dipende dalla portata e dalla ricchezza della famiglia). PRESIDENTE. Cosa intendeva dire quando ha detto che le cariche non durano una vita? LEONARDO MESSINA. Intanto, la mafia è un organismo democratico, uno dei più importanti organismi democratici: non ci sono scrutini segreti, si vota per alzata di mano, davanti a tutti. Il capo viene eletto dalla base e non è vero che abbia un'immagine così rilevante: l'epicentro di tutto è la famiglia, il capo ne è solo il rappresentante. E' sempre la famiglia che decide, il capo viene votato dalla base, dagli uomini d'onore, che hanno lo stesso potere del capo decina. Prima di collaborare con la giustizia, ero il capo decina della famiglia, l'uomo che impartiva gli ordini a tutti, che era padrone del territorio. Pag. 516 PRESIDENTE. Può essere revocato chi è stato eletto capo? LEONARDO MESSINA. Il capo che non porta avanti gli interessi della famiglia che lo ha eletto in un'altra riunione viene automaticamente deposto. Se ha compiuto cose gravi viene ucciso o posto fuori confidenza. Se è stato solo negligente è posto da parte e viene eletto un nuovo capo, il quale, a sua volta, ha solo il dovere di scegliere il capo decina, cioè l'uomo di fiducia del capo. Il rappresentante si chiama braccio, il sottocapo è il capo decina. La base, gli uomini d'onore eleggono, di nuovo, il consigliere, che è l'uomo di controllo della testa, perché la famiglia si divide in tre tronconi (testa, cuore e coda). PRESIDENTE. Può dirmi qualcosa di più in merito a chi esercita questa funzione di controllo della testa? LEONARDO MESSINA. Tenga conto che le famiglie hanno i propri affari e che essi attengono a tutto ciò che riguarda il territorio delle famiglie stesse. Per esempio, se nel comune di Roma vi fosse una famiglia, tutto ciò che appartiene al comune la riguarderebbe, dal punto di vista della politica, degli appalti, delle estorsioni, dei traffici di droga eccetera. In pratica, la famiglia è sovrana di tutto ciò che accade in quel territorio. PRESIDENTE. Qual è il ruolo del consigliere? LEONARDO MESSINA. Quasi sempre, tra gli uomini d'onore sorgono delle beghe, per cui il consigliere cerca di aggiustare tutto svolgendo un ruolo simile a quello dell'avvocato. Il consigliere è un po' il saggio della famiglia. Però egli ha anche un compito di controllo, perché nella famiglia circolano i soldi, per cui è necessario che si sappia che i soldi non vanno... Ultimamente, per evitare che il rappresentante o i capi decina intascassero dei soldi in più rispetto a quelli che spettavano loro, è stato istituito il libro mastro. In qualsiasi famiglia troverete un libro mastro in cui, per tutti gli uomini, sono registrate le entrate e le uscite. PRESIDENTE. In parte, lei ha descritto la struttura interna di Cosa nostra. Quali sono, a tutti i livelli, gli organismi di direzione? LEONARDO MESSINA. Partiamo sempre dalla famiglia del paese.... PRESIDENTE. La famiglia coincide con il paese? LEONARDO MESSINA. Sì, con il territorio dei comuni. PRESIDENTE. Di un solo comune o di più comuni? LEONARDO MESSINA. Ogni famiglia ha un comune. PRESIDENTE. Questo solo a Caltanissetta o ovunque? LEONARDO MESSINA. No, a Palermo vi sono i quartieri. Ciò accade quando la città è grande. PRESIDENTE. Però, a Caltanissetta... LEONARDO MESSINA. A Caltanissetta vi è solo una famiglia. Da trent'anni a questa parte, a Caltanissetta siamo sempre stati noi i reggenti. PRESIDENTE. Mi sembra di capire, quindi, che, di regola, ad ogni comune corrisponda una famiglia. Però, quando il comune è particolarmente grande possono esservene più di una. LEONARDO MESSINA. Sì, a Palermo vi sono circa quaranta famiglie. PRESIDENTE. Allora, può indicare, a tutti i livelli... LEONARDO MESSINA. Sì. Partiamo sempre dalla famiglia che elegge il proprio Pag. 517 rappresentante. I rappresentanti delle famiglie eleggono il capo mandamento (in genere, si riuniscono tre o quattro famiglie, a seconda che i comuni siano grandi o piccoli); il mandamento elegge il rappresentante provinciale, che poi nomina il sottocapo provinciale. Vi è quindi un organismo provinciale composto dai mandamenti, dai rappresentanti provinciali, dal sottocapo provinciale e da tre consiglieri. I rappresentanti della provincia eleggono i rappresentanti regionali e sono, a loro volta, componenti della regione. Il componente della regione nomina sempre un sottocapo e altri tre consiglieri. Questa è la struttura che è sempre esistita e che esiste tutt'ora. Mentre prima diventavano capi gli uomini più feroci, dopo il colpo di stato dei corleonesi, questi posti di comando sono occupati da tutti coloro che hanno creato la corrente... PRESIDENTE. Procediamo con ordine. Esamineremo poi anche questo punto. Come si assumono le decisioni più importanti? LEONARDO MESSINA. Deve riunirsi la commissione interprovinciale. PRESIDENTE. Per tutte le decisioni più importanti o solo per alcune? LEONARDO MESSINA. Se si deve uccidere una persona normale o se vi sono interessi normali, è sufficiente che il paese lo comunichi al mandamento. Invece, se si deve uccidere un giornalista o un magistrato, ci vuole l'ordine della regione... PRESIDENTE. Anche per i poliziotti? LEONARDO MESSINA. Sì, anche i poliziotti non si possono uccidere senza l'ordine della regione. Per uccidere un uomo d'onore serve l'ordine della provincia. Per uccidere un capo decina è necessario l'ordine della regione. PRESIDENTE. Prima si è riferito a una specie di colpo di stato da parte dei corleonesi. Può spiegarci bene come è nato? Innanzitutto, chi sono i corleonesi? LEONARDO MESSINA. I corleonesi non vanno identificati con gli appartenenti alla famiglia di Corleone o alle famiglie palermitane: i corleonesi sono una corrente presente in tutta la Sicilia, perché i nuovi capi delle provincie sono espressione dei corleonesi. La vecchia struttura di Cosa nostra - parlo degli uomini che sono morti, Bontade, Di Cristina (che era rappresentante provinciale) - era la mafia storica. Anche i corleonesi facevano parte di quel tipo di mafia, poi piano piano si sono impadroniti del sistema. PRESIDENTE. Come si sono impadroniti? LEONARDO MESSINA. Con il sangue. Tutto nasce dalla morte di Francesco Madonia a Riesi. PRESIDENTE. Quando è morto? LEONARDO MESSINA. Intorno al 1978. Francesco Madonia, che era il papà di Pippo, fu ucciso a un passaggio a livello tra Riesi e Butera. Francesco Madonia, non so perché, viene scambiato con quello di Palermo, ma quelli fanno parte solo di un mandamento, mentre quel Madonia era un componente regionale, che è altra faccenda. Loro si sono impadroniti di questo sistema perché sono arrivati in alcuni posti un po' a gomitate. Quando sono arrivati al potere piano piano hanno ucciso tutti. Il problema di questi uomini è che hanno fatto uccidere tutti, magari da noi stessi: chi ha ucciso il fratello, chi il cognato, chi il cugino, perché pensava di prenderne il posto. Invece, pian piano quelli si sono impadroniti del sistema. Le strutture ci sono sempre ma al potere ci sono uomini loro, che nessuno ha votato. Tuttora è così, dal 1983 ad ora. Dal 1983 ad ora posso dire tutti i rappresentanti Pag. 518 delle province, che poi sono i corleonesi, non i corleonesi di Corleone ma della corrente. Questa è una cosa importante. PRESIDENTE. Se non ho capito male, questo processo è cominciato tra il 1977 e il 1978 con l'omicidio di Francesco Madonia. LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. E' andato avanti fino al 1982, più o meno, quando si è solidificato. E' così? LEONARDO MESSINA. Sì. Gradatamente cosa hanno fatto questi signori? Non hanno ucciso la gente (i Ginardo di Mazzarino, Bontade, Inzerillo), li hanno fatti uccidere mettendoli in una trappola. Cosa hanno fatto? Hanno creato le condizioni per far uccidere le persone dai loro uomini, dicendo: "Ha fatto questo sbaglio e deve morire". Non si sono creati inimicizie con tutti, mentre loro sapevano bene come era... Si sono impadroniti dei posti. Ci sono persone che sono capi delle province da dieci anni a questa parte. Queste persone devono rispondere, dal 1982 ad oggi, di tutto quello che è successo in Sicilia a livello di onorevoli, magistrati e via dicendo. PRESIDENTE. Voi non avete colto che c'era questo processo in atto? Non l'avete contrastato? Siete stati colti di sorpresa? LEONARDO MESSINA. No, ma un po' ci siamo infatuati, perché levando i vecchi pensavamo di detenere il potere, di essere i nuovi rappresentanti, i nuovi capi, di fare i nostri interessi, ma non è stato così. Se ne sono accorti pure i Puccio di Palermo: prima hanno fatto la guerra all'interno di Cosa nostra, hanno fatto vincere i corleonesi, poi... Anche Scarpuzzedda... Che Scarpuzzedda era morto l'ho detto io al SISDE nel 1986. Prima hanno levato i loro personaggi perché pensavano che arrivare in un posto bastasse a fare il capo, ma non è stato così. Prima si sono serviti di noi per levare i vecchi capi storici, poi hanno levato quelli che hanno alzato la cresta, Mariolino Prestifilippo, Puccio e tutti gli altri. PRESIDENTE. Prima hanno messo i giovani contro i vecchi, questo è il meccanismo? LEONARDO MESSINA. Perfettamente. PRESIDENTE. Poi quando i giovani sono arrivati al potere, hanno fatto fuori loro. LEONARDO MESSINA. A meno che non sono uomini che fanno i pupi, che non hanno carattere, che non hanno nessun carisma. Li tengono lì e fanno solo quello che dicono loro. PRESIDENTE. C'è stato qualche fatto particolare che ha dato tanto peso ai corleonesi? Solo la loro abilità o anche qualche altra cosa? LEONARDO MESSINA. No, è stata una tragedia continua. Sono stati dei furbi in effetti. PRESIDENTE. Quindi, la loro abilità? LEONARDO MESSINA. Sì, la loro abilità. Loro appartenevano già a Cosa nostra, non hanno fatto una guerra dal di fuori, hanno fatto una guerra dall'interno. PRESIDENTE. Prima non si era verificata una cosa di questo genere? LEONARDO MESSINA. Sì, ma era controllabile, mentre ora cosa hanno fatto? Hanno messo gli uomini più rappresentativi a rappresentare le province, poi hanno creato nuove figure per controllare gli uomini e avere la sicurezza. Hanno creato le tragedie in tutte le famiglie. Le famiglie non erano più d'accordo: se c'era il vecchio dicevano che dovevano metterci il giovane e così via. Così hanno fatto a Palma di Montechiaro, a Riesi, a San Cataldo, a Enna, a Catania. Pag. 519 PRESIDENTE. Quindi, questo non riguarda solo la provincia di Caltanissetta? LEONARDO MESSINA. No, riguarda tutte le province. PRESIDENTE. Quali sono le differenze più importanti tra la mafia tradizionale e la mafia moderna? LEONARDO MESSINA. Mentre la mafia tradizionale si accontentava di stare vicino agli onorevoli - c'è stato sempre contatto tra politici e Cosa nostra, sono stati sempre molto vicini - ora è un atteggiamento di ricchezza. Prima il boss, il mafioso non era così ricco e importante. I politici si sono trovati ad averlo imposto; un po' gli è convenuto perché fanno lo stesso nostro lavoro in un certo senso. PRESIDENTE. Questa ricchezza da dove deriva? LEONARDO MESSINA. Dalla droga, dagli appalti, dalle estorsioni e anche - ma a un certo livello, non cose da strada - da rapine o sequestri. PRESIDENTE. Quindi: droga, appalti e estorsioni? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Cose che prima non si facevano? LEONARDO MESSINA. Erano più limitate. A chi li dovevano levare i soldi? Ora c'è a chi toglierli, c'è da dove prenderli. PRESIDENTE. Lei ha accennato a questa abitudine dei corleonesi di infilare i propri uomini in tutte le famiglie: questi sono gli ambasciatori? LEONARDO MESSINA. No, gli ambasciatori li hanno creati dopo perché non potevano muoversi essendo tutti latitanti. Lo hanno fatto anche con me e con altri. Poiché vengo da un ceppo storico di Cosa nostra sono un "rigenerato", cioè una persona che hanno rigenerato al loro volere: ero uno di loro, uno della corrente dei corleonesi. Non c'è nessuno che è stato affiliato dopo solo da loro, appartenevano a famiglie che hanno assimilato a loro. PRESIDENTE. Interessa alla Commissione capire se questa trasformazione che lei ha spiegato dalla vecchia Cosa nostra a quella di oggi sia stata determinata solo da questa strategia politica nuova dei corleonesi oppure anche dall'ingresso del traffico di stupefacenti. LEONARDO MESSINA. Principalmente dalla ricchezza che hanno avuto dal traffico degli stupefacenti, perché c'è una ricchezza immensa, e anche dai corleonesi che sono in una fase di trasformazione di Cosa nostra. Stanno organizzando uomini che non presentano più a nessuno. Sono nuove figure, alcune le conosco essendo stato uno di loro, però non li presentano più come uomini d'onore. Cosa nostra è destinata in un certo senso a scomparire, a indossare una nuova veste. PRESIDENTE. Lei ha spiegato che le trasformazioni della mafia sono state determinate essenzialmente dalla maggiore ricchezza derivante tanto dalla droga quanto dagli appalti e dalle estorsioni. Prima non c'era ricchezza perché non c'era a chi prendere i soldi. LEONARDO MESSINA. Prima si stava vicino al principe, al barone. Anche con l'uomo politico il contatto era diverso, si levavano il cappello quando incontravano il politico. I politici andavano a tutti i battesimi, sono venuti anche a quello di mia suocera quando era bambina. Questo onorava i mafiosi, li faceva sentire grandi. Mentre ora un po' la politica ha preso il nostro costume un po' si sta allontanando perché non è più una amicizia ma è un'imposizione. Pag. 520 PRESIDENTE. Quindi ora è Cosa nostra che impone ai politici? LEONARDO MESSINA. Cosa nostra si sta spogliando delle vecchie alleanze. Sta creando di nuovo il sogno di diventare indipendente. PRESIDENTE. Che ruolo svolgono gli ambasciatori? LEONARDO MESSINA. Gli ambasciatori possono essere creati dal rappresentante di un paese, da un rappresentante provinciale o regionale e via dicendo. Praticamente comunicano ... Per esempio, avevo un affare con il rappresentante provinciale; senza che la mia famiglia fosse messa al corrente, trattavo i miei affari direttamente con il rappresentante provinciale e c'era un uomo che comunicava tra me e lui, scavalcava il mandamento. Il provinciale per arrivare da me doveva servirsi del mandamento, il mandamento del rappresentante, il rappresentante del capo decina e via dicendo. PRESIDENTE. Le varie province hanno tutte lo stesso peso nella commissione? LEONARDO MESSINA. In un certo senso hanno lo stesso peso perché sono i creatori della corrente corleonese. La provincia più importante è Palermo, perché da lì partono i più grossi traffici. Noi siamo una provincia centrale, loro sono stati al mare ... anche perché gli uffici sono tutti a Palermo. PRESIDENTE. Quali uffici? LEONARDO MESSINA. Consideri che siamo inseriti in un contesto anche politico. Abbiamo la provincia a Caltanissetta, a Palermo c'è la regione, per cui dobbiamo cercarci il referente là. PRESIDENTE. Questo dà più peso... LEONARDO MESSINA. Sono anche di più. Consideri che nella nostra provincia la realtà mafiosa non sta scomparendo, però la gente, mentre prima ci venerava e si identificava nella mafia, ora ci sopporta ... ha paura. PRESIDENTE. Ha detto un attimo fa, spiegando questo cambiamento verificatosi per effetto dei corleonesi, che Cosa nostra sta scomparendo e sta venendo fuori un'altra cosa. Può spiegare questo passaggio? LEONARDO MESSINA. Non è la prima volta che Cosa nostra cambia nome e pelle. I corleonesi si debbono spogliare di tutti gli uomini. Quando sono arrivato come collaboratore ho detto che c'era qualcosa che stava cambiando: sta cambiando il sistema, si stanno rigenerando, non sarà più Cosa nostra, si chiamerà ... lo hanno fatto anche in passato. Si spoglierà di tutti gli uomini d'onore, un po' perché sono carcere e carcere, un po' perché con la repressione li arresteranno. In un certo senso le stiamo facendo un favore. PRESIDENTE. Può spiegare meglio questo concetto? E' molto importante; forse non abbiamo tutti gli strumenti per capire, per cui la preghiamo di aiutarci. LEONARDO MESSINA. Tutti gli uomini d'onore di tradizione che appartengono a Cosa nostra sono un disturbo per i corleonesi. Già sono stati individuati dai vari pentiti; stanno creando un'altra struttura di non presentazione che sostituirà Cosa nostra. PRESIDENTE. Una struttura segreta? LEONARDO MESSINA. Un'altra struttura segreta di non presentazione. Già ci sono uomini sia sul palermitano - qualcuno lo conosco - sia nel nisseno che non presentano a nessuno, pur facendo i loro affari. E' una Cosa nostra parallela. Pag. 521 PRESIDENTE. Quindi lei afferma in sostanza che in questo momento prendendo gli uomini di Cosa nostra si finisce per sgombrare il campo a loro, naturalmente senza volerlo. LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Lei ha detto: "Non è la prima volta che questo accade". Può spiegare che cosa vuol dire? LEONARDO MESSINA. Consideri che io ho trentasette anni, per cui posso appartenere a questo tipo di Cosa nostra. Dal momento che nella mia famiglia ci sono state sempre tradizioni di Cosa nostra ... sa, tutti gli uomini d'onore pensiamo di essere cattolici, si vuole fare risalire Cosa nostra all'apostolo Pietro. Dall'apostolo Pietro ad ora ha avuto molte fasi, tra cui quella della carboneria ed altro; siamo arrivati ad oggi e Cosa nostra sta cambiando di nuovo perché molti degli uomini di Cosa nostra appartengono alla massoneria. PRESIDENTE. Torneremo su questo aspetto del rapporto tra uomini d'onore e massoneria; seguiamo un certo schema, perché ci aiuta a capire. Lei ha detto in un interrogatorio che appartenendo ad una provincia che è al centro della Sicilia è riuscito a conoscere un numero di informazioni particolarmente elevato. Vuole spiegare questo concetto? LEONARDO MESSINA. Non solo perché appartengo ad una famiglia centrale. A volte si costituiscono gruppi di fuoco che appartengono a più province ed io ero uno che apparteneva a tre province - Caltanissetta, Agrigento ed Enna -, per cui la mia conoscenza spazia su tre province. PRESIDENTE. Che cosa vuol dire creare un gruppo di fuoco? LEONARDO MESSINA. Alcuni omicidi vengono fatti da batterie di uomini che appartengono a due-tre province; dipende da quali sono le province interessate. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione come venne a conoscenza di un'importante riunione che sarebbe stata effettuata ad Enna? LEONARDO MESSINA. Ero molto legato ai rappresentanti. Ne posso nominare alcuni perché sono morti: ero legato da amicizia profonda con il rappresentante della provincia di Agrigento che era Peppe De Caro e il rappresentante della provincia di Enna. Da dopo Monciovì fino ad ora ho conosciuto tutti i rappresentanti, fino ad arrivare a Salvatore Saitta. Saitta non era di ceppo mafioso, ma un rapinatore divenuto rappresentante di una provincia. In questa provincia avevo un amico fraterno - siamo cresciuti insieme da bambini - che era Moreno Miccichè, consigliere provinciale, uomo di fiducia dei corleonesi; hanno fatto diventare un bravo ragazzo un assassino. Era sempre un uomo d'onore, ma non poteva mai arrivare a fare quello che ha fatto senza di loro. Da alcuni mesi prima della riunione questi uomini erano posati nella provincia di Enna; prima della riunione erano lì, da settembre-ottobre. Andavano a caccia, si divertivano, si recavano nei ristoranti, anche perché era una provincia in cui non c'è il controllo della polizia come nelle altre province. PRESIDENTE. Come mai? LEONARDO MESSINA. Lo dovrei dire a voi ... PRESIDENTE. Quindi, essendoci meno controllo, era più frequente incontrarsi lì. LEONARDO MESSINA. Non riesco a spiegarmelo neppure io: c'è stato un momento in cui hanno concentrato le forze dicendo che la mafia era a Palermo, come se la parte restante della Sicilia Pag. 522 fosse immune, mentre io sono a conoscenza di quasi tutte le province siciliane che appartengono o a Cosa nostra o alla 'ndrangheta. PRESIDENTE. Alla 'ndrangheta in Sicilia? LEONARDO MESSINA. Sì, a Messina. PRESIDENTE. Di questa riunione che si tenne ad Enna venne a conoscenza attraverso Miccichè? LEONARDO MESSINA. Sono venuto a conoscenza di questa riunione perché Miccichè era un maestro di scuola, non era un malavitoso nato, non veniva da tante tradizioni. E' stato affiliato tra il 1984 e il 1986; non aveva spazio per procurarsi niente. Dietro Moreno Miccichè c'ero io, dietro Salvatore Saitta c'ero io, dietro l'avvocato c'ero io. PRESIDENTE. Dietro un avvocato di cui non intende fare il nome? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Va bene. In questa riunione che cosa è stato deciso? LEONARDO MESSINA. La riunione è stata l'atto finale. Erano lì da circa tre mesi... PRESIDENTE. Lì dove? LEONARDO MESSINA. Nella provincia di Enna. Avevano fatto la nuova strategia e avevano deciso i nuovi agganci politici, perché si stanno spogliando anche di quelli vecchi. PRESIDENTE. Può spiegare meglio questo passaggio di alleanze? LEONARDO MESSINA. Cosa nostra sta rinnovando il sogno di diventare indipendente, di diventare padrona di un'ala dell'Italia, uno Stato loro, nostro. PRESIDENTE. L'obiettivo è quello di rendere indipendente la Sicilia rispetto al resto d'Italia? LEONARDO MESSINA. Sì. In tutto questo Cosa nostra non è sola, ma è aiutata dalla massoneria. PRESIDENTE. Ci sono forze nuove alle quali si stanno rivolgendo? LEONARDO MESSINA. Sì, ci sono forze nuove, si stanno rivolgendo. PRESIDENTE. Può dire alla Commissione di quali forze si tratta? LEONARDO MESSINA. Non vorrei creare qua situazioni ... PRESIDENTE. Va bene. Si tratta di formazioni tradizionali o di formazioni nuove? LEONARDO MESSINA. Sono formazioni nuove. PRESIDENTE. Non tradizionali. LEONARDO MESSINA. No, non tradizionali. PRESIDENTE. In Sicilia sono forti o sono deboli? LEONARDO MESSINA. Non vengono dalla Sicilia. PRESIDENTE. Si tratta dunque di forze che vengono da fuori? LEONARDO MESSINA. Da fuori. PRESIDENTE. Ora sono presenti in Sicilia? LEONARDO MESSINA. Ancora no. Si stanno creando, perché partirà, ma quelli che hanno avuto come alleati resteranno, ce li hanno ancora. Pag. 523 PRESIDENTE. Può spiegare questo concetto? LEONARDO MESSINA. I contatti che avevano alcuni ce li hanno sempre. PRESIDENTE. Con i vecchi partiti? LEONARDO MESSINA. Con alcuni dei partiti; questo o quello non può essere identificato tutto in un contesto mafioso, ma qualcuno ... PRESIDENTE. Con i personaggi? LEONARDO MESSINA. Con i personaggi tradizionali e alcuni nuovi. PRESIDENTE. Lei ha fatto più volte riferimento alla massoneria. Vuole spiegare questo rapporto? LEONARDO MESSINA. Molti degli uomini d'onore, cioè quelli che riescono a diventare dei capi, appartengono alla massoneria. Questo non deve sfuggire alla Commissione, perché è nella massoneria che si possono avere i contatti totali con gli imprenditori, con le istituzioni, con gli uomini che amministrano il potere diverso di quello punitivo che ha Cosa nostra. PRESIDENTE. Ed è nella massoneria che sta sorgendo questa idea del separatismo? LEONARDO MESSINA. Sì. Desidero precisare che tutto quello che dico non è fonte di deduzioni o di interpretazioni personali, ma è quello che so. PRESIDENTE. Queste cose le sa per conoscenza diretta? LEONARDO MESSINA. Sì, le so per conoscenza diretta. PRESIDENTE. Lei ha detto che per tre mesi erano stati lì a decidere questa strategia. LEONARDO MESSINA. Erano nella provincia di Enna da alcuni mesi. PRESIDENTE. Quante persone erano? LEONARDO MESSINA. Ufficialmente la riunione è avvenuta molto dopo. Erano quattro o cinque. PRESIDENTE. Era la commissione? LEONARDO MESSINA. Sì, era la commissione. PRESIDENTE. La interprovinciale? LEONARDO MESSINA. Sì. Dalla fine di novembre in questa commissione vi sono i rappresentanti di tutte le organizzazioni criminali del mondo. Siamo sempre appartenuti ad un contesto mondiale. Ma Cosa nostra, nella persona di Salvatore Riina, da novembre ne è il rappresentante. PRESIDENTE. In uno dei suoi interrogatori lei ha parlato di un aiuto fornito ad una cooperativa di giovani del PDS. LEONARDO MESSINA. Niente di politico. Questi ragazzi erano impauriti perché dovevano fare una costruzione a Parra Faranca. A voi può sembrare strano, ma da noi prima che si posi un oggetto sul territorio ci vuole l'ordine del paese. Non si può posare neppure una "uglia". PRESIDENTE. Quando dice del paese, vuol dire della famiglia? LEONARDO MESSINA. Certo. PRESIDENTE. Allora questi giovani si rivolsero a lei conoscendo il suo ruolo? LEONARDO MESSINA. In verità si sono rivolti ad un'altra persona, originaria di quel paese. Mi aveva incontrato con gente di quel paese che lui riteneva appartenessero a Cosa nostra e aveva detto ai ragazzi di rivolgersi a lui nel Pag. 524 caso ne avessero avuto bisogno. Si son rivolti a me, non per un aiuto, ma soltanto per sapere quanto dovevano pagare. PRESIDENTE. Come è andata la cosa? LEONARDO MESSINA. L'accordo era che non dovevano pagare niente, ma acquistare il calcestruzzo, il ferro e assumere manodopera, imposti dal rappresentante di quella zona. PRESIDENTE. In questi casi il prezzo che si paga è normale o più alto? LEONARDO MESSINA. Per una costruzione o un appalto? PRESIDENTE. Ad esempio, se devo comprare calcestruzzo da quella ditta. LEONARDO MESSINA. Il prezzo è quasi sempre uguale. E' un problema di forniture. Loro mandano gli uomini a lavorare, forniscono il calcestruzzo. Hanno il controllo totale. PRESIDENTE. Cosa vuol dire essere "fuori confidenza"? LEONARDO MESSINA. Si può essere "fuori confidenza" in molti modi. Ci sono persone che vengono escluse per un fatto ancora da provare. Se è provato che uno è "storto", che abbia fatto delle confidenze alla polizia, l'ammazzano. Questi possono essere messi "fuori confidenza" se è un fatto lieve. PRESIDENTE. Chi è messo "fuori confidenza" ne è a conoscenza? LEONARDO MESSINA. Chi è "posato" non lo sa. Chi è "fuori confidenza" ne ha comunicazione dal suo capodecina. PRESIDENTE. Quindi, il "posato" non lo sa? LEONARDO MESSINA. Il "posato" non lo sa, perché le riunioni avvengono senza l'uomo. Ad esempio, si decide che per sei mesi deve essere osservato senza alcuna comunicazione. Gli parlano, ma non gli dicono i fatti della famiglia. Se è furbo se ne accorge. PRESIDENTE. Chi fa parte oggi della commissione regionale o interprovinciale? LEONARDO MESSINA. Oggi fanno parte della commissione regionale Salvatore Riina, come suo rappresentante, Giuseppe Madonia, come sottocapo. PRESIDENTE. Quello arrestato? LEONARDO MESSINA. Sì. Poi c'è Bernardo Provenzano. PRESIDENTE. Vive Bernardo Provenzano? LEONARDO MESSINA. Ho i miei dubbi. Poi c'è Nitto Santapaola. Quando era vivo c'era anche Salvatore Saitta: a quelle riunioni ha partecipato anche Salvatore Saitta. C'era anche il rappresentante della provincia di Trapani, dopo Salvatore Minore, ucciso dopo l'avvento di Mariano Agati, rappresentante ufficiale di Cosa nostra dell'ala corleonese; essendo ora detenuto c'è un suo sostituto. PRESIDENTE. Quindi, queste persone in quel periodo si videro nella provincia di Enna. LEONARDO MESSINA. Sì. La provincia di Caltanissetta stava aiutando la provincia di Agrigento perché c'era qualcosa di nuovo che si stava muovendo. Era morto Giuseppe De Caro, il vecchio storico corleonese era via e stavamo seguendo noi della provincia di Caltanissetta. PRESIDENTE. Quali sono i vari tipi di rapporto che si hanno con Cosa nostra? Pag. 525 Essendo uomini d'onore si è dentro. Ma prima di essere dentro, si è osservati? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Ci sono altri tipi di rapporto tra l'essere osservati in vista dell'entrare dentro? LEONARDO MESSINA. Cosa vuol dire "ci sono altri tipi di rapporto"? PRESIDENTE. Ci sono forme di alleanza, di avvicinamento a Cosa nostra fatte allo scopo non di entrare in Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Sì, ci sono persone che non sono mai volute entrare e che vivono ai margini di Cosa nostra. Sanno che esiste, rispettano gli uomini, si accordano. Sono imprenditori, politici e via dicendo. PRESIDENTE. Come si chiamano nel vostro gergo? LEONARDO MESSINA. Sono sempre avvicinati. Alcuni non sono mai voluti entrare, per loro volontà. Mentre altri sono entrati. PRESIDENTE. Uomini politici? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Ci sono magistrati che appartengono a Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Ci sono magistrati molto vicini a Cosa nostra. Nella mia provincia non ho mai avuto sentore di magistrati "punti", cioè appartenenti organicamente a Cosa nostra, ma ci sono magistrati molto vicini a Cosa nostra. Sanno che esiste. PRESIDENTE. Dell'esistenza di Cosa nostra lo sappiamo un po' tutti. Sanno che esiste e vi aiutano? LEONARDO MESSINA. Lo sa anche la gente della strada che esiste Cosa nostra. A lei non deve sfuggire che ad un potere come la giustizia che amministra i processi non poteva non interessare Cosa nostra. PRESIDENTE. Riuscite ad ottenere dei favori? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. In base a quali criteri si scelgono i killer? LEONARDO MESSINA. Gli appartenenti a Cosa nostra sono tutti killer. Non esiste la parola killer da noi. PRESIDENTE. Mi sembra che lei l'abbia usata in un interrogatorio. LEONARDO MESSINA. Un gruppo di fuoco. Gli incarichi più importanti dentro Cosa nostra sono ricoperti dagli uomini più feroci. PRESIDENTE. Per quale motivo Madonia utilizzava i gelesi per queste operazioni? LEONARDO MESSINA. I gelesi vengono usati perché non hanno tradizione storica di Cosa nostra. A Gela uno dei primi uomini d'onore fu l'onorevole Aldisio, ora morto. PRESIDENTE. Non avevano tradizione di uomini d'onore. E quindi? LEONARDO MESSINA. Praticamente se ne sono serviti per commettere tutti gli omicidi in regola senza spiegare il perché ai ragazzi. PRESIDENTE. Con loro era più facile. LEONARDO MESSINA. Era più facile e non si dovevano dare spiegazioni. Si chiamava uno come me, che sapevo essere il rappresentante del paese, quello ne Pag. 526 era il sottocapo, perché io vivevo una realtà totale di Cosa nostra. PRESIDENTE. Non avendo tradizioni di mafia non si ponevano tante domande? LEONARDO MESSINA. Non si ponevano tante domande. A Gela la famiglia l'hanno ripristinata Madonia e Salvatore Polara. Lui appartiene come uomo d'onore a Vallelunga, però è suo padre, Francesco Madonia che ha voluto riaprire la famiglia a Gela. PRESIDENTE. C'era un problema di riconoscimento? Quelli di Gela non erano riconosciuti? LEONARDO MESSINA. Sono riconosciuti. Da noi sono guardati in particolare perché dove vanno creano confusione, non hanno il modo di mimetizzarsi. PRESIDENTE. Può spiegare meglio questo concetto? LEONARDO MESSINA. Essendo una mafia giovane vuole apparire con i vestiti belli, con i Rolex, con le Mercedes, le BMW, eccetera, mentre il mafioso storico anche se ricco cerca di mimetizzarsi. PRESIDENTE. Lei aveva una Mercedes? LEONARDO MESSINA. Ma io avevo uno stipendio di tre milioni e mezzo al mese. Lavoravo alla miniera di Pasquasia. Ho lavorato sempre. Avevo anche un lavaggio ed una macelleria. Ho guadagnato di più con il lavoro che con Cosa nostra. Avevo una mentalità diversa. PRESIDENTE. Lei, però, ha detto che il traffico di droga rende molto. LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Come mai, allora, lei dice di aver guadagnato di più dal suo lavoro legale? LEONARDO MESSINA. Bisogna considerare che noi non siamo gli artefici del traffico; "apparteniamo" quando la regione fa dei traffici, su sigarette, droga, ed altro e il mandamento chiama la famiglia alla quale domanda se vuole partecipare al traffico. Molti anziani della mia famiglia non hanno mai voluto partecipare; qualcuno ha partecipato a titolo personale. PRESIDENTE. Avete quindi una tradizione di estraneità rispetto a questo tipo di traffici? LEONARDO MESSINA. Negli anni passati, sì; però abbiamo partecipato nei traffici a livello mondiale anche come famiglia. ALTERO MATTEOLI. Come vengono gestiti? A chi vengono dati i soldi? LEONARDO MESSINA. I soldi vengono dati al mandamento. PRESIDENTE. Come avviene la partecipazione a questi traffici? LEONARDO MESSINA. Praticamente, il mandamento racchiude in sé tre o quattro famiglie; qualcuno passa e chiede: volete una quota per le sigarette, volete entrare per la droga? Se la risposta è sì, bisogna "cucchiare" i soldi. Si fa una riunione, si vede quello che si ha in cassa, quello che si vuole aggiungere e tutte le famiglie mettono i soldi, per i traffici che avvengono a Palermo, a Roma, a New York, e via dicendo. PRESIDENTE. Quindi, poi, si partecipa agli utili? LEONARDO MESSINA. Certo; poi ci sono gli utili e il mandamento dice: ci sono già 20 milioni dentro il pacco. PRESIDENTE. Per capire l'importanza di questo tipo di traffici, ci può dire quanto si ottiene da una partecipazione ad un traffico di droga per 20 milioni? Pag. 527 LEONARDO MESSINA. Tantissimo. Ci sono persone che hanno messo 200 milioni ed oggi hanno 25 miliardi. I papà sono morti da dieci anni ed hanno lasciato qualcosa al figlio, che per esempio, nel giro di tre anni, dopo aver partecipato per 200 milioni con Stefano Bontade, ha venti miliardi di proprietà. PRESIDENTE. Passando alla commissione nazionale ed a quella mondiale, cui lei ha accennato, può spiegarci meglio cosa sono? LEONARDO MESSINA. Sì, la commissione regionale fa il suo rappresentante e le altre regioni hanno il loro rappresentante, perché non esistono altre organizzazioni in Italia al di fuori di Cosa nostra. Tutte le altre sono diciture, ma la struttura è sempre quella di Cosa nostra: si chiamino sacra corona unita, 'ndrangheta, camorra, e così via, si tratta di nomignoli, ma la struttura è Cosa nostra. Mi sono stati presentati camorristi come uomini d'onore; sono stato in contatto con il rappresentante regionale della Lombardia ed altri. Le regioni eleggono il loro rappresentante nazionale, che è il contatto con le altre organizzazioni, da non confondere con le decine che le varie famiglie hanno sparse per il mondo, che sono altre organizzazioni, altre mafie che non sono Cosa nostra. PRESIDENTE. Gli organismi nazionali e mondiali si riuniscono quando ci sono particolari affari? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Solo per questo? LEONARDO MESSINA. No, anche per l'interesse che possono avere, per esempio, in processi importanti, nei quali possono essere coinvolti propri uomini. L'interesse è solo uno: quello di un'unica organizzazione, non di cinque organizzazioni. PRESIDENTE. Lei ha fatto riferimento alla riunione di Enna nella quale si decise una svolta: come mai parteciparono soltanto i rappresentanti di alcune famiglie ad una riunione così importante? LEONARDO MESSINA. Vuol dire che hanno fatto altre riunioni ad altri livelli e lì dovevano comunicare. La riunione per mettere al corrente gli altri rappresentanti provinciali è avvenuta ufficialmente verso febbraio-marzo. Quindi erano là solo per discutere. PRESIDENTE. Febbraio-marzo di quest'anno? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. C'è una gerarchia in base alla quale la commissione nazionale comanda quella regionale? LEONARDO MESSINA. Sì, come ho spiegato, i livelli sono provinciale, regionale e nazionale. Il rappresentante nazionale si chiama sempre sottocapo e gli altri sono componenti il nazionale: sono i rappresentanti delle varie altre regioni, Campania, Calabria, Puglia, Piemonte, Lombardia ed anche la Toscana (dove ci sono molti uomini d'onore, ma non c'è ancora il livello regionale). PRESIDENTE. Quindi, la commissione nazionale comanda la commissione regionale? LEONARDO MESSINA. Sì, sono gli stessi uomini. Praticamente ora l'espressione è più chiara, ma nel tempo Cosa nostra ha creato i maggiori esponenti delle varie altre organizzazioni, che sono tutti uomini d'onore. PRESIDENTE. Quindi, la commissione interprovinciale siciliana ha perso potere? Pag. 528 LEONARDO MESSINA. No, siamo padroni del nostro territorio, padroni della regione Sicilia. PRESIDENTE. Prima, però, quando non c'era la commissione nazionale, si decideva in Sicilia quello che bisognava fare, mentre adesso non è più così? LEONARDO MESSINA. No, non è così. Parlo riferendomi al periodo di cui sono a conoscenza, ma non è detto che sappia tutto. Per sapere di più sulla commissione nazionale e sugli altri organismi bisogna prendere un provinciale. PRESIDENTE. Comunque, in base a quanto le risulta, la commissione interprovinciale ha un peso notevole? LEONARDO MESSINA. Certo, perché è nella propria regione, con il proprio costume. Quelli della Campania hanno il loro sistema e non devono dare conto di quanto avviene nel loro territorio, a meno che non si tratti di fatti che possono essere rilevanti a livello nazionale. PRESIDENTE. Da chi ha saputo dell'esistenza della commissione nazionale e di quella mondiale? LEONARDO MESSINA. Che Cosa nostra apparteneva al livello mondiale l'ho saputo sin dal 1980; che noi siamo oggi i rappresentanti lo so da novembre. PRESIDENTE. Da novembre di quest'anno? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. E come l'ha saputo? LEONARDO MESSINA. Una sera ero a Pietraperzia, in provincia di Enna, e c'erano tantissimi pacchi di scarpe. Ho chiesto: cosa c'è, una festa? Mi hanno risposto: no, devi essere contento perché il tuo principale è stato eletto sottocapo mondiale. Da ieri, la rappresentanza mondiale di tutte le organizzazioni è di Salvatore Riina e Giuseppe Madonia. PRESIDENTE. E le scatole di scarpe? LEONARDO MESSINA. Hanno fatto regali a tutti: mi ero meravigliato proprio per tutte quelle scarpe di valore. PRESIDENTE. Ma a novembre non era stato arrestato? LEONARDO MESSINA. No, sono stato arrestato il 17 aprile. PRESIDENTE. Quindi, parliamo del novembre non di quest'anno, ma dell'anno scorso. LEONARDO MESSINA. Sì, prima mi sono sbagliato: mi riferivo a quando ero in libertà. PRESIDENTE. Vi sono strutture segrete o riservate di Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Sì, ci sono strutture che non comunicano: non è che tutti gli uomini devono sapere. Vi sono uomini che non sanno oltre la propria famiglia, o la propria decina; non tutti gli uomini, cioè, vengono messi al corrente di tutto. PRESIDENTE. Adesso, con i corleonesi, com'è questa procedura? LEONARDO MESSINA. E' ancora peggiorata. PRESIDENTE. Vi sono persone che entrano in Cosa nostra ed il cui nome è destinato a restare sconosciuto? LEONARDO MESSINA. Sì, o perché rivestono cariche politiche, o perché sono uomini pubblici e nessuno deve sapere chi sono. Lo sa soltanto qualcuno. Poi ci sono altri che sono "punti", ai quali non tutti gli uomini si possono rivolgere, perché c'è un passaggio obbligato. Perciò, il contatto è sempre uno per tutti. Pag. 529 PRESIDENTE. In quale carcere si trovava quando vi fu la strage di Capaci? LEONARDO MESSINA. Ero a Caltanissetta. PRESIDENTE. A San Cataldo? LEONARDO MESSINA. No, a San Cataldo c'è il carcere, ma io ero nel carcere di Caltanissetta. PRESIDENTE. Come si reagì in carcere alla notizia della strage? LEONARDO MESSINA. Quando arrivò il flash della notizia, ci fu un boato di festa, si battevano le mani, però più da parte della stidda che da parte nostra, perché noi eravamo i diretti interessati: a noi ci trasferiscono subito. Qualcuno gridò dai piani (al carcere di Caltanissetta, Cosa nostra sta al secondo piano): "ha detto di stare tutti zitti", e tutti si sono quietati. Ciò non toglie che, nelle celle, abbiamo brindato e bevuto. PRESIDENTE. Però, avete ordinato che in cella non si facesse chiasso per evitare una reazione? LEONARDO MESSINA. Sì, non bisognava fare chiasso, ma il boato c'è stato; se ne sono accorti tutti. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione i suoi rapporti con Giuseppe Madonia? LEONARDO MESSINA. Sì; conosco Giuseppe Madonia dal 1982. Appena sono entrato era il sottocapo provinciale, perché il provinciale era Giuseppe Sorce, della famiglia di Mussomeli. Diciamo che prima era diverso, perché la mia famiglia apparteneva alla vecchia alleanza dei Di Cristina (perché Luigi Calì, rappresentate della famiglia, era dicristiniano e di conseguenza di Stefano Bontade, Gaetano Badalamenti ed altri), ma con l'avvento dei corleonesi e di Giuseppe Di Cristina si doveva stare molto attenti. Ho dovuto giustificare dove ero il giorno che hanno ammazzato suo padre. PRESIDENTE. Perché ha dovuto giustificare questo? LEONARDO MESSINA. Perché, appartenendo al gruppo Calì-Di Cristina, lui pensava che eravamo stati noi ad uccidere suo padre; poi Calderone gli ha rivelato gli uomini che avevano ucciso suo padre, molti dei quali sono morti. Ne è rimasto uno solo. PRESIDENTE. Quale gruppo aveva deciso di uccidere il padre? LEONARDO MESSINA. Di Cristina e Pippo Calderone. PRESIDENTE. Ma lei non c'entrava. LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Quindi si è instaurato un rapporto ... LEONARDO MESSINA. Si è instaurato un rapporto di stima, però solo dopo il 1984-1985, dopo cioè che ero stato in varie carceri siciliane; lui si era interessato a me in particolar modo, poi mi hanno eletto sottocapo della famiglia, con il compito di stare dietro al capo mandamento di Vallelunga, che è il paese che guida anche San Cataldo, e coadiuvavo anche Gaetano Pacino; da quel momento, dovunque egli fosse latitante, avevo l'autorizzazione di andarlo a trovare. PRESIDENTE. Si riferisce a Madonia? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Sapevamo che, in genere, un capo rimane nel proprio territorio: come mai, invece, Madonia stava in Veneto? LEONARDO MESSINA. Attualmente è rischioso per tutti stare sul proprio territorio; Pag. 530 sì, il colpo di stato, i corleonesi, ma ci sono anche nuove organizzazioni che si affacciano: non si tratta di altre organizzazioni, ma di espressioni della mafia stessa. Debbono guardarsi da chi li vuole uccidere, perché tanto tempo fa stavano riuscendo ad ucciderli e, quando in Sicilia succede quel che è successo con gli omicidi Falcone e Borsellino, girano molte forze di polizia in cui ci si può imbattere. Lui ha fatto sempre così: saliva e scendeva dal continente, ma c'erano sempre altre persone che prendevano ordini, ci sono i suoi nipoti, i suoi cognati, non è certamente solo. PRESIDENTE. Faceva un po' su e giù. LEONARDO MESSINA. Un po' tutti fanno su e giù. PRESIDENTE. Anche Riina? LEONARDO MESSINA. Sì, so che si spostano sempre. PRESIDENTE. Con che mezzi viaggiano? LEONARDO MESSINA. Con macchine normalissime. E' inutile dire che Riina cammina con sette macchine; qual è il posto in Sicilia in cui si può camminare con cinque macchine armate? Quella è una barzelletta. Riina viaggia solo. PRESIDENTE. Riina è vivo? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Riina si sposta da solo perché è il modo migliore di camuffarsi? LEONARDO MESSINA. Sì. Dopo l'omicidio di Gioacchino Ribisi l'avevano fermato allo scorrimento veloce Licata-Agrigento, ma l'avevano lasciato andare perché non lo conoscevano. PRESIDENTE. Però Madonia aveva un'altra macchina dietro quando è stato arrestato. LEONARDO MESSINA. Sì, ma quelli non sono uomini d'onore. Solo così lui può restare vivo. Nessuno in Cosa nostra ha più la sicurezza di restare vivo. PRESIDENTE. Se non ho capito male vi è il pericolo interno dei corleonesi, poi vi sono le altre organizzazioni tipo stidde. LEONARDO MESSINA. Le altre defezioni, perché sempre mafia è; è sempre la stessa organizzazione che ha delle frange. PRESIDENTE. Vi è quindi un problema di nemici esterni e di nemici interni? LEONARDO MESSINA. Perfetto. Intorno al 1986 la stidda era riuscita ad uccidere tutti questi uomini; anch'io, quando iniziai ad avere questa crisi morale, dopo che mi erano successe varie peripezie, ero pronto a vendermeli tutti. Dico venderli perché c'è un prezzo per tutti. PRESIDENTE. Vuole spiegare questa storia del prezzo? LEONARDO MESSINA. Gli uomini che ho incontrato camminano con una tabella in cui ogni latitante ha un prezzo. PRESIDENTE. Uomini del SISDE? LEONARDO MESSINA. Sì. Dalla polizia non ho mai avuto offerte. Mi dissero che se gli avessi fatto prendere Riina mi avrebbero dato ottocento milioni, per Madonia quattrocento milioni, per Scarpuzzedda seicento milioni e via dicendo. Ho chiesto, tramite altre persone, di contattare quel capitano, ma quest'ultimo non è voluto venire ed io non potevo andare in caserma. PRESIDENTE. Lui non è voluto venire da lei? LEONARDO MESSINA. Siccome mi perseguitava (evidentemente aveva capito qualcosa) lo feci invitare a casa mia a Pag. 531 prendere un caffè per vedere di cosa aveva bisogno: ero pronto a dargli informazioni, ma non è venuto. Se lui fosse venuto molte cose in Sicilia non sarebbero successe, molti poliziotti o magistrati non sarebbero morti perché quegli uomini sarebbero stati arrestati. PRESIDENTE. Quale motivo addusse quell'ufficiale? LEONARDO MESSINA. Il motivo non me lo ha detto, ma mi fece sapere che gli appuntamenti intendeva darli lui. Non potevo certo andare a casa sua a pregarlo. PRESIDENTE. E' verbalizzato il nome di questo ufficiale? LEONARDO MESSINA. Sì. MARCO TARADASH. In che anno avvenne il fatto? LEONARDO MESSINA. Quando loro erano riuniti tutti in un posto. Avevo capito che tutti quelli che avevano la memoria storica di Cosa nostra, tra i quali io, erano destinati a morire, mentre io volevo "spedugliarmeli" tutti in una volta. PRESIDENTE. Lei aveva capito che ad un certo punto voi eravate destinati ad esser fatti fuori? LEONARDO MESSINA. Per forza. Con me non ci hanno mai provato fisicamente, però hanno cercato di creare le condizioni; c'erano gli uomini giusti, che mi conoscevano fin dalla nascita e non mi è successo niente, ma ciò non toglie che ero destinato a morire. PRESIDENTE. Nel progetto dei corleonesi? LEONARDO MESSINA. In questo progetto dei corleonesi non si può tenere un uomo che ha quarant'anni di storia dietro. PRESIDENTE. Nonché il peso della sua famiglia? LEONARDO MESSINA. Siamo un pericolo per loro. PRESIDENTE. Per capire meglio quello che dobbiamo fare, ci può spiegare cosa teme di più Cosa nostra dallo Stato? Cosa dobbiamo fare per accelerare, se è possibile, la sconfitta di Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Finora siete stati a guardare, ora state facendo qualche passo importante; non si deve dire che siamo in democrazia perché, se volete, potete vincere, subito. Dovete stringerli. Quando sono arrivato ho detto che vi sarebbero stati moltissimi collaboratori; mi guardavano tutti con sospetto perché non ero né palermitano né catanese, poi si sono un po' ricreduti. In genere pensano che, se il pentito non è palermitano, non ha niente da dire. Poiché mi muovevo all'interno di una Sicilia che conoscevo bene, formata da tante province, avevo tante sensazioni e tante notizie; si è perfino arrivati a giustificare il pentimento di qualcuno. PRESIDENTE. Lei ha sentito giustificazioni? LEONARDO MESSINA. Si è giustificato il pentimento di un paio di persone. PRESIDENTE. Questo vuol dire che vi è una specie di crisi politica? LEONARDO MESSINA. Sì, i più anziani dicono che non sopravviveranno dieci anni; ora molti nomi di nuovi collaboratori che io conosco sono venuti fuori e porteranno la distruzione, un po' facendo il loro gioco perché gli verranno levate di torno alcune persone, ma un po' verranno bruciate le tappe anche a lui. Non sarebbe poi così strano se qualcuno di questi grossi latitanti venisse trovato morto. Pag. 532 MAURIZIO CALVI. Che significa "bruciare le tappe"? LEONARDO MESSINA. Praticamente eliminare gli uomini; qualcuno che parla di Palermo già lo avete e vi dirà sempre gli stessi nomi perché si trova in carcere da dieci anni. Ciò non toglie che si tratti di cose importanti. PRESIDENTE. Quando dice "dovete stringerli", fa riferimento a qualche azione particolare che bisogna fare? LEONARDO MESSINA. Non bisogna mai lasciare loro il tempo di organizzarsi. Ho consegnato alla polizia i nomi di tutti i componenti della provincia di Caltanissetta, dei quali mancano solo dieci all'appello; in quella provincia la mafia non ci sarà più se loro la vogliono veramente distruggere. PRESIDENTE. Insomma bisogna andare avanti su questa strada. LEONARDO MESSINA. Sì. Non si deve dare spazio a nessuno. E' vero che sono accaduti fatti eclatanti, è vero che vi sono stati dei suicidi e che si sono verificati fatti che possono far riflettere la gente ma bisogna andare avanti. Se si stringe si vince subito. Se si molla, Cosa nostra avrà il tempo di riorganizzarsi. Non dobbiamo attaccare sempre lo Stato facendo il gioco di Cosa nostra. No, in questo momento lo Stato va aiutato nel suo sforzo, ed io sono qui anche per questo, non solo per i miei interessi. Non voglio fare delazioni... PRESIDENTE. La ringraziamo. Può dirmi come è possibile restare latitanti per tanti anni? LEONARDO MESSINA. Un po' perché in ogni paese comandano il sindaco, il maresciallo, il capo della mafia. Tutti e tre sono al corrente della presenza di un latitante sul loro territorio, lo incontrano i poliziotti e i carabinieri ma si voltano da un'altra parte, perché temono per la moglie, la mamma o la suocera. Vivono nel terrore, sono prigionieri del sistema, hanno paura di essere trasferiti. I prefetti hanno dato l'ordine di non muoversi, e quindi hanno consentito alla mafia di riorganizzarsi. Se si fosse data una stretta, il gioco sarebbe finito anni fa. Si sta stringendo adesso e finirà tra poco. Molte persone telefoneranno e vorranno venire da voi. PRESIDENTE. Che intende dire quando parla del timore di trasferimenti? LEONARDO MESSINA. In un paese non è che i carabinieri possano fare tante cose. In certi paesi, la caserma dei carabinieri è aperta fino alle sette, dopo si suona al citofono. La caserma segue orari da bottega, mentre la mafia è in servizio 24 ore su 24, non va in ferie né altrove. PRESIDENTE. Sì, ma lei ha parlato del timore di essere trasferiti... LEONARDO MESSINA. Le cito un fatto: quando il maresciallo faceva pressione e inviava sempre me al soggiorno obbligato, gli dissi che al prossimo ci saremmo andati insieme. Basterebbe bruciare una macchina per far sì che se ne vadano dal paese. Ma siccome non possono allontanarsi dal paese, perché hanno la fidanzata, la madre o la suocera, in un certo senso dicono "basta che non succede niente nel mio paese...". Quindi, il quieto vivere è assicurato per tutti. PRESIDENTE. A suo avviso, qual è l'errore più grave commesso dallo Stato nella lotta a Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Come ho detto prima, fino a quando è stata al suo posto Cosa nostra ha fatto anche il gioco dello Stato (gli ha portato i voti). E' esatto dire che non tutto lo Stato ma una sua parte è stata prigioniera del sistema mafioso, nel senso che, per esempio, lo hanno copiato e usato i politici per assegnare gli appalti. Ora si stanno spogliando Pag. 533 e se lo volessero veramente potrebbero vincere adesso che è vulnerabile... PRESIDENTE. In che modo Cosa nostra si rifornisce di armi? LEONARDO MESSINA. Sono tutte fesserie gli articoli giornalistici che parlano di navi che arrivano a Palermo cariche di armi. Anche per le armi, come per la droga, la mafia si avvale di mille strade: quando non può disporne le ruba, oppure le compra al nord, in Svizzera o in Germania. Ho funto da tramite per acquisti di centinai di milioni. Nessun capo dirà mai di essere disarmato. Mai nessun capo regionale dirà ad un altro capo regionale di procurargli un'arma. Le strade sono mille... PRESIDENTE. Può indicarcene qualcuna, anche per capire come bloccarle? LEONARDO MESSINA. La nostra fornitrice principale è stata la Svizzera ma da qualche tempo lo sono la Germania e il Belgio. PRESIDENTE. Perché la Germania? LEONARDO MESSINA. Dai centri NATO escono armi, giubbotti, cartucce, tutto quello che si vuole (avete visto come sono attrezzati!). Quando ho detto che erano in possesso dei bazooka, si sono messi a ridere. Ne hanno trovati cinque! PRESIDENTE. Quindi, c'è qualcuno che li porta via da quelle basi NATO? LEONARDO MESSINA. Sì, in mille modi, per mille strade, giornalmente. PRESIDENTE. Lo fanno uomini di Cosa nostra oppure si mettono d'accordo... LEONARDO MESSINA. No, basta andare fuori dall'Italia, per esempio in Belgio. E' come andare a comprare le caramelle. In Svizzera, se si ha la residenza e se si conosce un armiere, si ottiene tutto ciò che si vuole. I kalashnikov costano un milione e mezzo, un milione e 800 mila, 2 milioni e 300 mila, con due caricatori a trecento colpi. PRESIDENTE. Quindi, ciascun gruppo si rifornisce per fatti suoi. LEONARDO MESSINA. Sì, ciascun gruppo, ciascuna famiglia. Vi sono famiglie le cui decine sono sparse a Bruxelles, a Grenoble, in Germania, per cui hanno agganci ovunque. PRESIDENTE. Le armi circolano tra le varie famiglie o no? LEONARDO MESSINA. No, ogni famiglia conserva le sue ma tra i mafiosi è abitudine regalarsi armi. PRESIDENTE. Anche armi che sono già state usate? LEONARDO MESSINA. No, a meno che non se ne abbiano da utilizzare. Per esempio, alcune armi usate a San Cataldo sono state utilizzate a Siracusa. PRESIDENTE. Utilizzate a Siracusa e impugnate da persone diverse? LEONARDO MESSINA. Sì, impugnate da persone diverse. PRESIDENTE. Quindi, se constatiamo che un'arma è stata prima utilizzata in un posto poi in un altro, ciò non vuol dire, necessariamente, che sia stata impugnata dalla stessa persona o da un membro della stessa famiglia. LEONARDO MESSINA. Certo. PRESIDENTE. Può spiegare la presenza di Cosa nostra nelle regioni del nord? Se non ricordo male, lei ha citato la Lombardia e il Piemonte... LEONARDO MESSINA. Le mie conoscenze precise si riferiscono alla Lombardia Pag. 534 ma so che in Piemonte i calabresi si sono appropriati della regione. Gli altri gruppetti di siciliani non possono dare fastidio all'organizzazione. PRESIDENTE. Può spiegare il modo in cui Cosa nostra è presente in Lombardia? LEONARDO MESSINA. In Lombardia Cosa nostra è presente, lo è già da una decina di anni ed ha costituito locali ad Appiano Gentile, a Varese, a Como... PRESIDENTE. Che intende con il termine "locali"? LEONARDO MESSINA. Per Cosa nostra la parola "locale" significa famiglia. Per costituire un locale occorrono, come minimo, dieci persone. PRESIDENTE. Quindi, per usare il linguaggio più noto, vi sono famiglie. LEONARDO MESSINA. Sì, oltre alle decine siciliane, in Lombardia vi sono locali calabresi a tappeto: Brescia, Sondrio, Milano eccetera. PRESIDENTE. E i loro affari sono gli stessi... LEONARDO MESSINA. Sì, però non sono ancora padroni del territorio. Si sono inseriti anni fa e stanno iniziando a tessere. Si impadroniranno del territorio fra cinque o sei anni. Hanno strutture in tutti i paesi. PRESIDENTE. Per una organizzazione mafiosa è essenziale, anzitutto, assicurarsi il controllo e l'occupazione del territorio? LEONARDO MESSINA. Sì, prima inseriscono la famiglia, poi, a poco a poco, assoggettano le persone. Il problema della mafia è impadronirsi del territorio. PRESIDENTE. Quindi, uno dei principali strumenti di lotta alla mafia è che a sua volta lo Stato si impadronisca del territorio. LEONARDO MESSINA. Sì, ma non con la presenza della caserma, perché sarebbe una finzione. PRESIDENTE. E come? LEONARDO MESSINA. Cercando veramente di colpire dove è necessario. Non è che inviando i soldati lo Stato può ritenersi padrone del territorio. La gente deve credere nello Stato. In Sicilia, almeno dalle mie parti, la gente sta iniziando a credere nello Stato, perché adesso anche il figlio di uno spazzino o di uno scarparo può essere laureato e come tale può non volere più assoggettarsi agli uomini della mafia. Questo è un fenomeno positivo che si è manifestato nelle mie zone. PAOLO CABRAS. In Lombardia e in Piemonte vi sono commissioni provinciali e regionali? LEONARDO MESSINA. In Lombardia, come in Sicilia, ci sono il locale, un organo superiore, che è il controllo delle famiglie, e il regionale. Conosco il regionale, il mandamentale e alcuni locali. Sono calabresi e siciliani insieme. PRESIDENTE. E in Piemonte? LEONARDO MESSINA. In Piemonte so che la struttura è della 'ndrangheta ma non conosco nessuno. PRESIDENTE. Quindi, lei conosce direttamente la struttura lombarda e non quella piemontese. LEONARDO MESSINA. No, non conosco direttamente la struttura piemontese ma so che sono padroni. MARIO BORGHEZIO. Hanno rapporti con la politica? Pag. 535 LEONARDO MESSINA. Al nord meno che al sud. Almeno quelli che io ho conosciuto, non sono a un livello tale da avere con i politici... MARCO TARADASH. Cosa fanno? PRESIDENTE. Il collega desidera conoscere l'attività che queste organizzazioni svolgono soprattutto in Lombardia. Dicevamo, quindi, che il problema principale è soprattutto quello di espandersi sul territorio. E poi? LEONARDO MESSINA. Praticamente si occupano di tutti i traffici che ci sono nel territorio e del reinvestimento del denaro, creando agenzie immobiliari e finanziarie. PRESIDENTE. Negli appalti? LEONARDO MESSINA. Negli appalti, per quel che è mia conoscenza, in Lombardia non sono a livello tale da avere quelle infiltrazioni, quelli che conosco io. PRESIDENTE. Tornando alla questione della commissione nazionale e della commissione mondiale, la commissione mondiale è sede di consultazione o anche di decisioni importanti? LEONARDO MESSINA. Anche di decisioni importanti. PRESIDENTE. Lei stava spiegando gli affari di Cosa nostra in Lombardia. Ha detto che per quel che ne sa non si occupa di appalti perché non sarebbero ancora arrivati alla forza necessaria. LEONARDO MESSINA. Quelli che conosco non hanno la forza. PRESIDENTE. Invece, fanno investimenti immobiliari e che altro? LEONARDO MESSINA. Agenzie immobiliari e tutti i traffici possibili e immaginabili: dalla droga alle armi. PRESIDENTE. Cosa vuol dire agenzie immobiliari? LEONARDO MESSINA. Agenzie che comprano le case, gestiscono l'usura. Hanno iniziato da lì. PRESIDENTE. I soldi li hanno loro o vengono da fuori? LEONARDO MESSINA. Un po' vengono anche da fuori, dipende dal contatto che hanno. Per quanto riguarda Cologno Monzese, dove c'è una decina, è la famiglia siciliana, il capo decina, che gestisce, perché sono un'espressione della famiglia siciliana. Per quanto riguarda gli altri uomini d'onore con la dicitura 'ndrangheta, ne hanno per affari loro. PRESIDENTE. In Piemonte ha detto che non sa specificamente. LEONARDO MESSINA. No, non so specificamente. PRESIDENTE. In Toscana? LEONARDO MESSINA. Ci sono alcune decine, a mia conoscenza. Una era espressione della famiglia di Gela. PRESIDENTE. Dove? LEONARDO MESSINA. A Campi Bisenzio. PRESIDENTE. A Prato? LEONARDO MESSINA. Di Prato ho un buon ricordo, ci sono stato in soggiorno obbligato. Anni fa c'erano i sardi. Cosa nostra ha entrature in quella zona. Quel personaggio anziano che avete preso là... PRESIDENTE. Madonia? LEONARDO MESSINA. No, Giacomo Riina, da vent'anni era là. Nel 1979 sono stato al soggiorno obbligato e lui era là. Pag. 536 PRESIDENTE. Lì faceva affari per Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Sì. Oramai per Cosa nostra la Sicilia è piccola, non può ragionare solo nell'ambito regionale. PRESIDENTE. Quali sono le città o meglio le aree della Toscana più prese, per così dire, da Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Consideri che quando si crea una cellula non può più appartenere a quel paesino perché fanno gli affari più vari a livello regionale, in tutti i posti; non è più Campi Bisenzio, non va più interpretato per quel paesino. PRESIDENTE. La dimensione è dunque regionale. LEONARDO MESSINA. E' regionale. PRESIDENTE. Non c'è una commissione regionale in Toscana? LEONARDO MESSINA. No, il punto di riferimento era Giacomo Riina per tutti. PRESIDENTE. L'unica commissione regionale fuori della Sicilia è quella lombarda o ve ne sono anche altre? LEONARDO MESSINA. Ce ne sono anche altre. Quella della Calabria. PRESIDENTE. E poi? LEONARDO MESSINA. Poi della Puglia. PRESIDENTE. E poi? LEONARDO MESSINA. Della Campania. PRESIDENTE. Quindi praticamente le commissioni regionali sono cinque: Lombardia, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. E' così? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Quindi, quando si parla di commissione nazionale, si intende far riferimento ai rappresentanti di queste cinque regioni? LEONARDO MESSINA. Perfetto. OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Prima ha detto anche in Piemonte? LEONARDO MESSINA. Sì, anche in Piemonte. PRESIDENTE. C'è una commissione in Piemonte? LEONARDO MESSINA. C'è una commissione che non conosco, ma si sono appropriati loro; ci sono i calabresi in tutta la regione. Anche nella Liguria ci sono varie decine che appartengono alla Sicilia. PRESIDENTE. Andiamo con ordine, perché lei ne sa più di noi. In Lombardia c'è una commissione? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. In Piemonte c'è una commissione? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. In Liguria? LEONARDO MESSINA. In Liguria ci sono le decine, espressione ... PRESIDENTE. Quindi non c'è una commissione? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. In Veneto? LEONARDO MESSINA. Non ne sono a conoscenza, anche se molti affari ora partono dal Veneto. Pag. 537 PRESIDENTE. Perché? LEONARDO MESSINA. Perché desterebbe sospetto se l'iniziativa partisse da una ditta di Palermo; allora sono partiti dal nord. Hanno una ditta importante. PRESIDENTE. Può spiegare meglio? Non ho capito. LEONARDO MESSINA. Hanno creato la ditta. PRESIDENTE. Chi è il soggetto? LEONARDO MESSINA. Riina. Dietro questa ditta c'è lui, ma non può essere solo lui. PRESIDENTE. Quindi, ha creato una ditta in Veneto e questa ditta dal Veneto viene a lavorare giù? LEONARDO MESSINA. Ha punti di riferimento in ogni regione e in ogni provincia perché si occupano di bitumi, inerti ed altre cose. Sono del nord. PRESIDENTE. Ha fatto il nome di questa ditta ai magistrati? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Scendiamo: in Emilia? LEONARDO MESSINA. Non ne sono a conoscenza. PRESIDENTE. In Romagna? LEONARDO MESSINA. Uguale. ALFREDO GALASSO. A Forte dei Marmi? PRESIDENTE. Ci risulterebbe che Madonia è stato a Forte dei Marmi. LEONARDO MESSINA. Questi si spostano dove hanno la sicurezza di non essere aggrediti; come le ho detto, nessuno ha più la sicurezza di restare in vita all'interno di Cosa nostra. Anch'egli soffre di questo. PRESIDENTE. Come mai è stata scelta Forte dei Marmi? LEONARDO MESSINA. Mah... dipende forse dal fatto che lì non aveva nessun nemico. PRESIDENTE. Lei è andato a trovarlo lì? LEONARDO MESSINA. No, io lo andavo a trovare a Palermo, Bagheria, Enna, Villarosa. Lo dovevo trovare in Sicilia, ma avevo dei punti di riferimento se dovevo mandargli a dire qualcosa. Lo hanno preso al nord perché avevo un punto di collegamento che è stato positivo. PRESIDENTE. In Umbria? LEONARDO MESSINA. Non ne sono a conoscenza. PRESIDENTE. Nelle Marche? LEONARDO MESSINA. Uguale. PRESIDENTE. Nel Lazio? LEONARDO MESSINA. Cioè Roma? PRESIDENTE. Sì. LEONARDO MESSINA. Ci sono le decine di Palma di Montechiaro che si occupano dell'usura; è in mano ai palmesi. PRESIDENTE. Poi? LEONARDO MESSINA. Io so della decina di Palma. Ci possono essere anche venti decine; io sono a conoscenza di quella di Palma di Montechiaro che opera su Roma. Pag. 538 PRESIDENTE. Non è a conoscenza di altre? LEONARDO MESSINA. Non sono a conoscenza di altre; d'altronde le famiglie non mi debbono mettere al corrente delle loro decine all'estero. PRESIDENTE. Non ha mai sentito parlare di una famiglia di Santa Maria del Gesù? LEONARDO MESSINA. Santa Maria del Gesù che poi è Pippo Calò? PRESIDENTE. Pippo Calò, sì. LEONARDO MESSINA. Questi della decina di Palma di Montechiaro erano i suoi uomini. PRESIDENTE. Erano gli stessi? LEONARDO MESSINA. No. La decina è espressione del paese. Se la decina viene creata da Palma di Montechiaro, debbono fare riferimento a Palma di Montechiaro, però Pippo Calò si serviva di quegli uomini. Me lo aveva detto Ribisi, il fratello. PRESIDENTE. Quindi, non era una decina creata da Calò. Calò si serviva di questa decina che non era la sua ma ... LEONARDO MESSINA. Non era la sua, però erano sempre appartenenti a Cosa nostra ed avevano la presentazione rituale. PRESIDENTE. Che tipo di lavoro fa questa decina di Roma? LEONARDO MESSINA. Si occupano di armi, di droga e di usura. L'usura a Roma è in mano ai palmesi. PRESIDENTE. Hanno anche rapporti con la politica? LEONARDO MESSINA. Quella decina no perché sono soggetti che fanno altre cose. PRESIDENTE. Altri? LEONARDO MESSINA. Altri sì. PRESIDENTE. Chi sono questi altri che hanno rapporti con la politica? LEONARDO MESSINA. Si è detto sempre che Calò ha rapporti con la politica, anche se non ne sono a conoscenza. Posso parlare dei rapporti con la politica per la mia provincia, per la mia regione. Parlo solo di quello che conosco. PRESIDENTE. Certamente. In Campania? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Più in generale nel Lazio, oltre che a Roma? LEONARDO MESSINA. Sono a conoscenza solo della decina e del fatto che mi hanno mandato per espressione dei palermitani ad un contatto con uno dei NAR. PRESIDENTE. Perché fece questo viaggio a Roma ed entrò in contatto con i NAR? LEONARDO MESSINA. Perché dovevamo recuperare dei soldi a Chianciano Terme, 300 milioni per conto di una famiglia palermitana. L'incarico mi è stato dato dal mandamento. PIETRO FOLENA. In che anno? LEONARDO MESSINA. Credo nel 1989. Comunque, sono stato fermato dai carabinieri insieme a quello là. PRESIDENTE. Che tipo di recupero era? Pag. 539 LEONARDO MESSINA. Qualcuno aveva preso della merce che non aveva pagato. Hanno creato un gruppo, nel quale c'ero anch'io, che doveva andare a recuperare i soldi. PRESIDENTE. Li ha recuperati? LEONARDO MESSINA. Si è impegnato a pagare. So che ha chiuso. PRESIDENTE. Vuol dire che ha pagato? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Scendendo, arriviamo alla Campania. Può spiegarci la presenza e la struttura di Cosa nostra in Campania? LEONARDO MESSINA. Sono stati presentati degli uomini come uomini d'onore appartenenti alla stessa organizzazione. Sapevo che c'era la struttura. Mi hanno presentato ritualmente delle persone che voi chiamate camorristi. PRESIDENTE. Chi sono queste persone? LEONARDO MESSINA. D'Alessandro. PRESIDENTE. Bardellino? LEONARDO MESSINA. So che anche Nuvoletta, Bardellino e Zaza sono uomini d'onore appartenenti a Cosa nostra, ma non mi sono stati presentati ritualmente. Io conosco ritualmente solo Michele D'Alessandro. PAOLO CABRAS. Dove ha conosciuto D'Alessandro? LEONARDO MESSINA. Ci hanno presentati ritualmente al carcere di Trapani nel 1984. PRESIDENTE. Lì però c'è una commissione regionale. LEONARDO MESSINA. Non so chi è il capo. So che ci sono uomini che appartengono a Cosa nostra, ma non so chi è il regionale. PRESIDENTE. Visto che stiamo trattando di camorra, vuole spiegare bene alla Commissione il rapporto che intercorre tra la camorra e Cosa nostra? Attualmente la camorra è composta tutta da uomini d'onore o alcuni camorristi sono uomini d'onore? LEONARDO MESSINA. Il vertice della camorra è composto da uomini d'onore. Non hanno una struttura piramidale come la nostra ma una struttura piatta e quindi le conoscenze sono solo dei più rappresentativi. PRESIDENTE. C'è un rapporto tra la commissione regionale... LEONARDO MESSINA. ... e la nostra commissione regionale. PRESIDENTE. Questi uomini d'onore della camorra per affiliare altri uomini d'onore lo fanno automaticamente senza dirvi nulla? LEONARDO MESSINA. Sì, senza dire niente. Anche la famiglia affida i suoi uomini senza dire nulla alla regione e al mandamento. Non è in dovere di dire niente a nessuno. La famiglia nel suo territorio è sovrana. PRESIDENTE. Che lei sappia, Bardellino è vivo? LEONARDO MESSINA. Non lo so. PRESIDENTE. Nel senso che sa che è vivo o non sa se è vivo o morto? LEONARDO MESSINA. Non so se è vivo o morto. PRESIDENTE. Sa nulla dei Galasso? Pag. 540 LEONARDO MESSINA. Ho sempre saputo che i Galasso appartengono a Cosa nostra ma non mi sono mai stati presentati ritualmente. PRESIDENTE. In Puglia? LEONARDO MESSINA. In Puglia è la stessa faccenda. La Sacra corona unita è un'espressione dei palermitani. PRESIDENTE. Che vuol dire "espressione dei palermitani"? LEONARDO MESSINA. Hanno creato a poco a poco questo nomignolo. Hanno cominciato a sbarcare in quella zona le sigarette e la droga. Non è vero che hanno creato questa struttura per difendersi dai palermitani. Questa struttura gli è stata creata. PRESIDENTE. Può spiegare meglio questo concetto? Lei ha parlato di "palermitani". Si riferisce alle famiglie di Palermo o ad una in particolare? LEONARDO MESSINA. Dei traffici si interessa non una famiglia ma un complesso di famiglie. Ho parlato dello stato di Cosa nostra che fa un affare. Poi magari viene arrestato un "soldato" e voi ritenete che si tratti di una persona importante, mentre, in realtà, all'interno di Cosa nostra riveste soltanto un ruolo marginale. PRESIDENTE. Se ho ben compreso, i palermitani hanno deciso di utilizzare la Puglia per lo sbarco si sigarette e di cos'altro? LEONARDO MESSINA. Di droga, perché veniva di fronte. PRESIDENTE. Che vuol dire di fronte? LEONARDO MESSINA. Veniva dai paesi dell'est ed era quindi facilissimo con i motoscafi fare ciò che si voleva. PRESIDENTE. In che anni? LEONARDO MESSINA. Negli anni ottanta, per quello che è in mia conoscenza, ma non è tutto quello che so io. PRESIDENTE. Dunque, negli anni ottanta viene scelta quella zona. LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. La droga veniva dai paesi dell'est? LEONARDO MESSINA. Lo scarico avveniva là, perché erano zone meno controllate. Le forze dell'ordine hanno sempre individuato Palermo e Trapani, mentre la provincia di Trapani si sta spogliando di Cosa nostra. PRESIDENTE. Che vuol dire? LEONARDO MESSINA. Ci sono pochi uomini d'onore. Per lo più si tratta di stiddari. PRESIDENTE. Quindi, Cosa nostra crea in Puglia l'organizzazione della Sacra corona unita al fine di gestire questi affari insieme? LEONARDO MESSINA. Inizialmente ne affiliano una o due e poi fanno la struttura. Una volta impadronitisi del territorio, fatta la struttura, diventano famiglie autonome da quelle siciliane. PRESIDENTE. In quali zone della Puglia si è realizzato ciò? LEONARDO MESSINA. Io so delle zone che vanno da Bari verso sud. PRESIDENTE. Brindisi? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Verso il nord della Puglia? Pag. 541 LEONARDO MESSINA. Non so. Non mi dicevano il paese, ma la regione. PRESIDENTE. Per quanto riguarda la Basilicata? LEONARDO MESSINA. Non sono a conoscenza di strutture di Cosa nostra. PRESIDENTE. In Calabria? LEONARDO MESSINA. Il vertice della 'ndrangheta è Cosa nostra. PRESIDENTE. Con lo stesso procedimento della Campania? Cioè, gli 'ndranghetisti che comandano in Calabria sono affiliati a Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Il vertice è Cosa nostra. PRESIDENTE. Gli altri? LEONARDO MESSINA. I soldati non sanno che appartengono tutti ad un'unica organizzazione. Lo sa il vertice. Altrimenti uno come me che girava l'Italia avrebbe conosciuto tutti e invece non deve essere così. E' il vertice che deve conoscere. PRESIDENTE. Chi è che costituisce il vertice in Calabria? LEONARDO MESSINA. Da Ciccio Mazzaferro. Uno dei vertici. PRESIDENTE. E' quello che si trova... LEONARDO MESSINA. No, quello è Peppe Mazzaferro. PRESIDENTE. Duttura? LEONARDO MESSINA. Non lo so. PRESIDENTE. Altri nomi? LEONARDO MESSINA. D'Agostino, Furfaro ed altri sono uomini di Cosa nostra. MARIO BORGHEZIO. Ciccio Mazzaferro è quello che opera a Bardonecchia? LEONARDO MESSINA. Credo di sì. Comunque, è il fratello di Giuseppe. PRESIDENTE. Mentre si parlava, l'onorevole Cafarelli ha chiesto se conosce i vertici della Puglia. Lei cosa risponde? LEONARDO MESSINA. No, non li conosco. PRESIDENTE. Ha saputo mai nulla dell'omicidio del giudice Scopelliti? LEONARDO MESSINA. Posso dire quello che si diceva dopo l'uccisione di Falcone. Si pensava che quell'incarico fosse ricoperto da Cordova. Si diceva come è stato ucciso Scopelliti i calabresi uccideranno pure lui. PRESIDENTE. Dopo l'omicidio di Falcone si è data un'interpretazione dell'omicidio del giudice Scopelliti? LEONARDO MESSINA. Non ho dato un'interpretazione, perché sono al corrente dei fatti. PRESIDENTE. Non lei; si dette una certa interpretazione? PRESIDENTE. C'erano molti anziani in carcere, tantissimi uomini d'onore di tutta la provincia del palermitano e di altre. PRESIDENTE. Cosa dissero? LEONARDO MESSINA. Appena Cordova va alla superprocura (dopo l'omicidio di Falcone si cominciò a vociferare il nome di Cordova) saranno i calabresi a fare quello che hanno fatto con Scopelliti. PRESIDENTE. Saranno i calabresi a decidere? LEONARDO MESSINA. E' sempre Cosa nostra a decidere. Pag. 542 PRESIDENTE. Come hanno fatto con Scopelliti? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Quindi, Scopelliti sarebbe stato ucciso da calabresi appartenenti a Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Sì. La 'ndrangheta è solo un nome. La struttura è tutta Cosa nostra. PRESIDENTE. Lei ha mai saputo nulla dell'omicidio Ligato? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Lei ci ha spiegato molto bene la presenza in Italia di Cosa nostra. Volevo chiedere qualcosa sulle "stidde". LEONARDO MESSINA. E' uguale. Le "stidde" sono un'espressione di Cosa nostra. Un uomo messo fuori confidenza che punge altri uomini diventa "stidda". Si comporta precisamente come i mafiosi. Non hanno segnali, non hanno tatuaggi, non hanno niente. Se una "stidda" in un paese diventa forte diventa Cosa nostra. PRESIDENTE. Però c'è anche una lotta tra le "stidde" e Cosa nostra. LEONARDO MESSINA. C'è stata una rottura perché in alcuni paesi si sono create due famiglie. Uno di questi paesi è Riesi, centro storico per Cosa nostra. Si è creato un gruppo dietro Di Cristina ed un gruppo dietro ai corleonesi. Quelli di Di Cristina hanno creato il congiungimento di tutte le "stidde". Prima la "stidda" non aveva agganci con tutti mentre i riesani sapevano cosa vuol dire e quanti uomini d'onore nei paesi erano messi fuori confidenza. A questo punto hanno aggregato a loro Ravanusa, Palma di Montechiaro, Racalmuto, Enna ed altri paesi creando una corrente. Si conoscono tra di loro, sono gli uomini d'onore, buttati fuori, che combattono Cosa nostra; è la stessa mafia e non un'altra organizzazione che viene da fuori. PRESIDENTE. Tornando all'assassinio del giudice Scopelliti, lei è venuto a conoscenza delle ragioni per le quali venne effettuato? LEONARDO MESSINA. So quello che si diceva; posso riferire quello che ho sentito dire. Quando la regione decide un omicidio, a me non deve comunicare nulla. PRESIDENTE. Sì, cosa si diceva, e dove? LEONARDO MESSINA. Avevano la sicurezza che il maxiprocesso sarebbe finito in un bluff; le sentenze definitive, cioè, non dovevano accettare il "teorema Buscetta". PRESIDENTE. Se c'era questa sicurezza, perché uccidere Scopelliti? LEONARDO MESSINA. Perché non l'avevano potuto controllare; quando non controllano i magistrati, li uccidono. Guardi quanti ne hanno uccisi e si faccia il conto. PRESIDENTE. Quindi non erano riusciti a raggiungere Scopelliti, o il giudice aveva detto di no? LEONARDO MESSINA. So che non l'avevano potuto contattare, e in ogni caso non era persona contattabile. PRESIDENTE. In quali altre regioni italiane sono presenti le "stidde"? LEONARDO MESSINA. In Liguria; anche quella del Lazio è un'espressione della "stidda". PRESIDENTE. Per un quadro più completo, sono presenti in Lombardia? LEONARDO MESSINA. Sì. Pag. 543 PRESIDENTE. In Piemonte? LEONARDO MESSINA. In Piemonte no, per quanto in mia conoscenza. Preciso che è quello che mi risulta. A Palma di Montechiaro c'è stata una frattura, la famiglia si è divisa in due, e quella di Roma è "stidda", ma ciò non toglie che è Cosa nostra. PRESIDENTE. In Puglia? LEONARDO MESSINA. No, le "stidde" sono solo in Liguria, a Roma, per quanto in mia conoscenza... PRESIDENTE. In Lombardia? LEONARDO MESSINA. In Lombardia no, per quanto mi risulta. PRESIDENTE. Cutolo apparteneva a Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Cutolo non ha mai appartenuto a Cosa nostra. PRESIDENTE. Il soggiorno obbligato ha avuto un peso particolare per lo sviluppo di Cosa nostra al nord? LEONARDO MESSINA. E' stato un punto di passaggio importante. Anch'io sono stato al soggiorno obbligato; dove arrivavo io, ne portavo altri cinque, sei, dieci. Avevo i miei fratelli: siamo quattro, tutti abbastanza svegli. Siamo arrivati lì, non ci siamo voluti rimanere. PRESIDENTE. Lì dove? LEONARDO MESSINA. Sono stato per due anni a Schignano di Vaiano, a dodici chilometri da Prato. PRESIDENTE. Lì fece amicizia anche con un industriale del posto? LEONARDO MESSINA. Sì, è stato uno sbaglio andar via di lì, perché potevo vivere bene; mi voleva bene, senza i rapporti di interesse fra un imprenditore e un mafioso. Era un imprenditore limpido, che non aveva niente a che vedere con Cosa nostra. PRESIDENTE. Se non erro, temeva che qualcuno venisse sequestrato? LEONARDO MESSINA. Sì. Quando sono arrivato lì, mi ha offerto del lavoro, che ho accettato. Si era messo a disposizione: avevo comprato un duemila che apparteneva ad un latitante, a Mario Sali, e quando mi sono venuti a cercare i carabinieri e la polizia nel suo ufficio, si è accorto che avevo questa macchina. Siccome gli imprenditori, in quella zona, hanno paura dei sequestri, mi ha praticamente affidato i suoi due bambini, che ho cresciuto come miei fratelli. PRESIDENTE. Può spiegare la presenza di Cosa nostra all'estero? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Possiamo cercare di definire un quadro. In Austria? LEONARDO MESSINA. No; io sono a conoscenza delle decine in Francia, Belgio, Germania. Cosa nostra americana era espressione delle famiglie siciliane che si sono date una struttura. PRESIDENTE. Procedendo con ordine, può spiegare la presenza di Cosa nostra in Germania? LEONARDO MESSINA. Sì; ci sono le decine delle varie famiglie. Ce ne sono due di Palma di Montechiaro, una appartenente alla "stidda" ed una appartenente ai Ribisi. PRESIDENTE. Ricorda in quale città? LEONARDO MESSINA. Credo a Mannheim. PRESIDENTE. Poi? Pag. 544 LEONARDO MESSINA. Per la Germania, so di quella città, perché so di uno di quella famiglia. PRESIDENTE. In Francia? LEONARDO MESSINA. In Francia, a Grenoble. PRESIDENTE. In Belgio? LEONARDO MESSINA. A Bruxelles c'è una decina che dipende dal paese di Campofranco. PRESIDENTE. In Svizzera? LEONARDO MESSINA. Non ne sono a conoscenza. PRESIDENTE. Per gli Stati Uniti, cui stava accennando in precedenza? LEONARDO MESSINA. Le famiglie americane hanno iniziato come espressione delle famiglie siciliane: sono le decine che si sono date una struttura in loco. Vi sembrerà strano che un'organizzazione si chiami con il nome di un'altra organizzazione. Le decine si sono date una struttura, ma le famiglie appartengono al paese: troverete i castellamaresi, gli alcamesi, i palermitani. PRESIDENTE. Lì, negli Stati Uniti? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Quando queste famiglie degli Stati Uniti devono prendere una decisione importante, la concordano con voi in Sicilia? LEONARDO MESSINA. No, dipende da cosa si tratta. Nel loro territorio, hanno il loro capo, parlano fra loro. Se però si tratta di una cosa che riguarda il livello mondiale, che può avere una risonanza internazionale, devono tener conto dell'organizzazione. PRESIDENTE. La scelta politica di indipendentismo cui ha accennato, che sarebbe stata fatta ad Enna, è stata concordata con le famiglie di altri paesi, secondo quanto le risulta? LEONARDO MESSINA. Questo è un programma che non può essere solo della mafia: è un programma della mafia e della massoneria. PRESIDENTE. Lei ci ha descritto i rapporti con 'ndrangheta, Sacra corona unita e camorra; quali sono i rapporti con le organizzazioni criminali di altri paesi? LEONARDO MESSINA. C'è un vertice, un punto di incontro per tutti. Fino ad ora i capi sono stati gli altri. Come ho spiegato, sono a conoscenza dell'esistenza di una struttura mondiale dal 1980: sediamo in un tavolo mondiale con le altre organizzazioni. Da quest'anno, hanno dato a noi la rappresentanza. PRESIDENTE. Quando e come Cosa nostra comincia ad occuparsi del traffico di stupefacenti? LEONARDO MESSINA. Ne sono venuto a conoscenza dai primi anni in cui sono entrato in famiglia. Il vecchio Calì non voleva sentire parlare di stupefacenti: molti vecchi non vogliono sentire parlare di stupefacenti. PRESIDENTE. Cosa vuol dire occuparsi di stupefacenti? LEONARDO MESSINA. In precedenza, nei primi anni ottanta, anche noi delle famiglie interne eravamo autorizzati a trafficare in stupefacenti: oltre ad avere messo la quota, ognuno poteva prendere la droga e venderla nel proprio territorio. Da alcuni anni c'è stata tolta questa possibilità e soltanto chi ha agganci fuori dalla Sicilia può trafficare in droga. PRESIDENTE. Quindi, si compra e si vende la droga? Pag. 545 LEONARDO MESSINA. Sì, si compra e si vende. PRESIDENTE. Si raffina anche? LEONARDO MESSINA. Sì, in alcuni casi si raffina, ma non nel caso della mia famiglia. PRESIDENTE. Dove si compra? LEONARDO MESSINA. I nostri mandamenti sono al corrente di tutti i traffici. Quando si inizia un traffico, domandano se una famiglia vuole partecipare con una quota. In ogni caso, precedentemente, se la famiglia voleva lavorare con la droga bastava che dicesse che ne voleva cinque, dieci o cento chili ed aveva la droga, pagandola per il prezzo appartenente a Cosa nostra; ora, c'è il divieto assoluto di vendere l'eroina in Sicilia. PRESIDENTE. Perché? LEONARDO MESSINA. Non vogliono che la nostra gente si droghi, perché sono stati coinvolti alcuni nostri figli e pensano ai figli degli altri. PRESIDENTE. Ci sono raffinerie in Sicilia? LEONARDO MESSINA. Sì, credo che ce ne siano ancora. PRESIDENTE. In quali aree? LEONARDO MESSINA. Non so se questo dibattito è pubblico o no; ho dato delle informazioni che possono portare... PRESIDENTE. Se ha dato le informazioni ai giudici, va bene. LEONARDO MESSINA. Quelle che ho segnalato non sono state mai trovate. PRESIDENTE. Per capire meglio, si tratta di una o di dieci raffinerie? LEONARDO MESSINA. Penso che ce ne siano due in attività; comunque, ora è più conveniente farsela portare raffinata, perché quella dei turchi costa quattro soldi. PRESIDENTE. Arriva attraverso la Puglia? LEONARDO MESSINA. Anche; la droga non ha un binario fisso, arriva da mille posti. Va al sud, al nord, al centro, ritorna al sud: è un viavai, un crocevia. Ogni famiglia, ogni decina ne fa quello che vuole. PRESIDENTE. Cosa nostra ha ucciso, da una parte, Lima e Salvo e, dall'altra parte, Falcone e Borsellino: quale può essere in questa fase la reazione di Cosa nostra alla risposta dello Stato? Non so se sono chiaro. LEONARDO MESSINA. Sì, lei si riferisce a quello che lo Stato sta facendo contro Cosa nostra dopo queste morti. Nel mirino di Cosa nostra possono entrare questi nuovi superpoliziotti, che tutti pubblicizzano e non dovrebbe essere così; perché ora questi vanno lì e non hanno più contatti con nessuno delle questure, operano e vanno via, rubano e vanno via. Nessuno può più segnalare: guarda che stanno arrivando, "vattenne"; arrivano e pigliano corpo. Non hanno più il controllo né della questura né dei carabinieri, dove hanno degli infiltrati che gli comunicano le informazioni. PRESIDENTE. Cosa potrebbe fare Cosa nostra per risalire questa strada un po' in discesa? LEONARDO MESSINA. Deve fare un colpo importante, cioè colpire qualcuno di noi che sta collaborando per dimostrare che ci possono colpire ovunque, così qualcuno si chiude la bocca. Non penso che vi siano altri uomini a rischio oltre ai superpoliziotti ed a qualcuno che si è spogliato dei vecchi abiti e sta lottando. Pag. 546 PRESIDENTE. E' prevedibile un'altra guerra di mafia? LEONARDO MESSINA. E' in corso. Voi identificate la guerra di mafia con la situazione di Palermo, ma non è così, perché vi sono anche Racalmuto, Gela, Salaparuta .... PRESIDENTE. Ci sono stati un sacco di morti; a Racalmuto mi pare siano stati cinquanta. LEONARDO MESSINA. A Racalmuto hanno ucciso il rappresentante, che era Luigi Cina ed il vicecapo Burroano. La famiglia non c'è più e sono rimasti solo quelli della "stidda". PRESIDENTE. Lei ha detto che elementi del SISDE l'avevano contattata per avere notizie utili per l'arresto di Madonia: quando è avvenuto questo? LEONARDO MESSINA. E' avvenuto quando ero detenuto per un omicidio, nel 1983. PRESIDENTE. Sono venuti a trovarla in carcere? LEONARDO MESSINA. Mi hanno mandato un segnale che avevano un contatto; questi uomini in ogni paese hanno un contatto. PRESIDENTE. Questi uomini del SISDE? LEONARDO MESSINA. Sì, ma fanno il loro lavoro. PRESIDENTE. Sì, certo. Essi sapevano che lei aveva rapporti con Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Sì, mi hanno mandato in carcere un segnale tramite una persona amica, chiedendomi se volevo partecipare ad un incontro: non si sarebbe saputo niente e mi avrebbero aiutato economicamente, ma io non vendo nessuno per denaro. PRESIDENTE. Prima però lei ha detto che era pronto .... LEONARDO MESSINA. Quella era una guerra; poi è maturato qualcosa di più. PRESIDENTE. Quando si è accorto che avrebbe fatto una brutta fine? LEONARDO MESSINA. Se vuole sapere se io fossi preoccupato di morire, ho cominciato a preoccuparmi non appena mi hanno affiliato; tutti sono preoccupati di morire in Sicilia. Mentre prima i boss morivano nel loro letto, ora nessuno muore più nel proprio letto e, se ciò accade, è un caso. Questo vale per me come per gli altri; io però avevo perso tantissimi amici che erano cresciuti con me e sapevo che, prima o poi, sarebbe toccato anche a me. Bisognava perciò dare una svolta. PRESIDENTE. Chi decide i delitti più importanti? LEONARDO MESSINA. La regione. PRESIDENTE. Non la commissione regionale? LEONARDO MESSINA. Per quanto è a mia conoscenza le comunicazioni vengono dalla regione, però tutto dipende da cosa vi è da decidere; in certi casi si decide a livello nazionale, perché gli interessi sono di una sola organizzazione. Mi sono riferito alla regione perché in quel caso la decisione finale spettava a quest'ultima. PRESIDENTE. Gli omicidi di Lima, Salvo, Falcone e Borsellino sono stati decisi tutti da Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Sì. Pag. 547 PRESIDENTE. Solo da Cosa nostra od anche da altri? LEONARDO MESSINA. Gli interessi che muovono Cosa nostra non appartengono solo a Cosa nostra, perché ormai sono a livello mondiale. Si sono create le condizione per farli uccidere. PRESIDENTE. Cosa vuol dire che si sono create le condizioni per farli uccidere? LEONARDO MESSINA. In un certo senso non avevano più copertura. Essi sapevano che dovevano fare un atto di forza anche per dare una risposta ai politici e, all'interno di Cosa nostra, alla "stidda". Era un atto di forza, ma non vincente, perdente. PRESIDENTE. Lei dice che, indebolita la forza politica, ad un certo momento hanno dovuto ricorrere alla violenza di tipo militare. LEONARDO MESSINA. Sì, anche, ma anche per dare una risposta ed una serenità d'animo a tutti gli uomini d'onore, ergastolani, carcere e carcere. Ce ne sono tanti. PRESIDENTE. Questo riguarda l'omicidio di Falcone e Borsellino o anche l'omicidio di Lima e Salvo? LEONARDO MESSINA. Di tutti. Essi praticamente si debbono spogliare dei vecchi che non servono più e che non possono più promettere né mantenere niente. PRESIDENTE. Questo riguarda Lima e Salvo? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. E per quanto riguarda Falcone e Borsellino? LEONARDO MESSINA. La spiegazione degli omicidi di Falcone e Borsellino sta nel loro lavoro. I palermitani hanno accusato specialmente Falcone di aver fatto delle soperchierie e di averli perseguitati; loro stavano in carcere con Liggio e gli altri e non volevano che Falcone andasse a passeggiare in viale della Libertà: tutti in galera, noi e loro, perché anche Falcone viveva in carcere. Comunque erano a conoscenza di tutti gli spostamenti, non dal carcere. Sapevano dove mangiava la pizza, quanti uomini aveva di scorta e così via ma, se doveva essere un atto di forza, dovevano uccidere solo lui: uccidendo gli altri quello è stato un atto di debolezza, perché la gente non li accetta più. PRESIDENTE. Poiché avevano anche i bazooka, non potevano centrare la macchina piuttosto che far saltare un chilometro quadrato di autostrada? LEONARDO MESSINA. Non si trattava di una macchina ferma, ma in corsa a 120-130 chilometri orari e per di più blindata. PRESIDENTE. Come possono essere entrati in possesso di una quantità di esplosivo così grande? LEONARDO MESSINA. Facevo l'assistente in una miniera ed ero il fornitore di quasi tutti i detonatori elettrici che si usano in miniera. Sa in quanti uomini d'onore lavoravamo a Pasquasia? Una quindicina e facevamo anche le riunioni all'interno della miniera; faccia il conto di quante miniere ci sono in Sicilia ... Non abbiamo la necessità di comprare l'esplosivo all'estero perché le cave in Sicilia sono tutte in mano nostra. PRESIDENTE. Passiamo ai rapporti tra mafia e politica. In parte lei ha già risposto, tuttavia le chiedo di sintetizzare quali erano e quali sono attualmente i rapporti tra uomini d'onore e politici. LEONARDO MESSINA. In parte ho già risposto ed in parte le dico che molti Pag. 548 politici appartengono a Cosa nostra perché sono uomini d'onore. PRESIDENTE. Politici siciliani o anche non siciliani? LEONARDO MESSINA. Quelli di mia conoscenza erano persone anziane che poi sono morte e gente nuova che sono uomini d'onore appartenenti alle famiglie siciliane. PRESIDENTE. Siciliani quindi, non di altre regioni. LEONARDO MESSINA. Per quanto a mia conoscenza solo siciliani. PRESIDENTE. Come erano prima i rapporti tra politica e mafia? LEONARDO MESSINA. Diciamo di sudditanza. Il mafioso si atteggiava vicino al politico, anche se gli andava a chiedere i favori. Ora è una spartizione. Facciamo le stesse cose. PRESIDENTE. Se non ho capito male, mentre prima vi era un rapporto di deferenza del mafioso nei confronti del politico ... LEONARDO MESSINA. Non di deferenza. Deve considerare che la mafia si è attivata per ottenere amicizie, come se ci fosse un patto tra la mafia ed una parte dello Stato. PRESIDENTE. Questo patto cosa ha ad oggetto? LEONARDO MESSINA. Se esaminiamo il passato ci accorgiamo che quando Giuliano faceva il separatista Liggio lo ammazzò e lo portò ai carabinieri; era un regalo, evidentemente non solo a titolo personale, ma frutto di un accordo a monte. ALTERO MATTEOLI. Poiché Messina si sofferma molto sui rapporti tra mafia e politica, potrebbe spiegare un po' meglio ... LEONARDO MESSINA. Non mi è stata rivolta una domanda precisa perché avrei risposto. PRESIDENTE. Cosa vuol dire che oggi mafia e politica, uomini d'onore e politici fanno la stessa cosa? LEONARDO MESSINA. In Sicilia c'è un filone degli appalti, che ho guidato direttamente nella mia provincia, in cui tutti prendono le stesse percentuali: 4-5 per cento per i politici e 3-4 per cento, 1,5-2 per cento per i mafiosi locali. I politici guidano alcuni appalti, cioè autorizzano il lavoro a favore di talune imprese. Poi, quando l'impresa deve operare sul territorio, dà i soldi a Cosa nostra per la percentuale che le compete. PRESIDENTE. Parleremo poi specificamente della questione degli appalti. Questo è l'unico affare in comune o ve ne sono altri? LEONARDO MESSINA. In comune hanno la massoneria. PRESIDENTE. Poi? LEONARDO MESSINA. Per quanto mi risulta, gli appalti e la massoneria. PRESIDENTE. Lei ha citato il nome di Caluzzo. Quali erano le sue funzioni? LEONARDO MESSINA. Per quanto riguarda la mia provincia, assicurava il contatto con i politici. PRESIDENTE. Può dirci come avveniva questo contatto e in che cosa si concretizzava? LEONARDO MESSINA. Quando questi uomini politici si presentavano alle elezioni, Caluzzo li accompagnava, prima Pag. 549 per ordine della regione poi di Madonia, nei vari mandamenti dove ..... PRESIDENTE. Quindi, Caluzzo li accompagnava nei vari mandamenti. E cosa significava essere accompagnati? LEONARDO MESSINA. Era lui che gli uomini dovevano contattare se volevano parlare con questo o quel politico. Lì doveva esserci solo il mandamento e il rappresentante delle famiglie. PRESIDENTE. Ciò è avvenuto per uomini politici di un solo partito o di più partiti politici? LEONARDO MESSINA. Per tutti, escludendo comunisti e fascisti. PRESIDENTE. Era solo Caluzzo ad accompagnare i politici? LEONARDO MESSINA. Solo di lui sono a conoscenza ma ce n'è un altro in un altro paese. MARCO TARADASH. Puoi elencare i partiti? PRESIDENTE. Ci ha detto tutti i partiti, esclusi i due che ha citato. LEONARDO MESSINA. Lo leggerà nelle carte dell'antimafia. L'ho letto in uno dei primi rapporti antimafia. C'è scritto. PRESIDENTE. Però tenga presente che ci sono nuovi partiti, per cui lo stesso principio vale anche rispetto ad oggi? LEONARDO MESSINA. No, ce n'è qualcuno che non ha contatti con noi, almeno nella mia provincia. PRESIDENTE. Può dire quali sono nella sua provincia i partiti che non hanno contatto con lei? LEONARDO MESSINA. Sarebbe come se gli facessi un favore a questi partiti. PRESIDENTE. Però questo favore lo ha fatto ad altri due partiti, perché ha detto che né i comunisti né i fascisti... LEONARDO MESSINA. E' la verità. Con questi uomini non ho mai avuto contatti e dove ho partecipato si sono espressi diversamente. PRESIDENTE. Siccome lei asserisce che con comunisti e fascisti non ha mai avuto... LEONARDO MESSINA. Intanto, io non sono comunista, per cui lei comprende... PRESIDENTE. Ma è solo per capire... LEONARDO MESSINA. Non posso dire questo o quel partito, perché sono venuto qui per dire quello che so. Le deduzioni spettano a voi. PRESIDENTE. Sì, però mi spieghi solo questo punto. Lei sostiene che anche altri partiti, al di fuori dei due che ha citato, nella sua provincia non hanno avuto rapporti con Cosa nostra. E' questo che intende dire o no? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Però non intende dire qui a quali partiti si riferisce. LEONARDO MESSINA. E' così. PRESIDENTE. Quindi, non è esatto dire che tutti gli uomini dei partiti politici, esclusi quei due... LEONARDO MESSINA. Ce ne sono anche di altri partiti. ALTERO MATTEOLI. Allora, aggiriamo la domanda: può dirci con quali partiti avete contatti? LEONARDO MESSINA. La domanda è la stessa! Pag. 550 PRESIDENTE. Colleghi, basta leggere gli atti... LEONARDO MESSINA. Sono un autodidatta, però... PRESIDENTE. Per quanto riguarda gli appalti, la percentuale andava ai politici che li gestivano? LEONARDO MESSINA. Sì, ma non solo a loro direttamente, nel senso che dovevano spartirseli con la commissione della zona. PRESIDENTE. In sostanza, ciò riguarda solo gli appalti della sua provincia o di tutta la regione? LEONARDO MESSINA. Consideri che è a tappeto, è capillare. Non si può fare nulla senza un'autorizzazione. PRESIDENTE. Questo avviene perché vi è un accordo tra uomini politici e uomini di Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Prima c'è un accordo tra uomini politici e imprenditori, poi tra imprenditori e Cosa nostra, tra politici e Cosa nostra. PRESIDENTE. Qual è la funzione di Cosa nostra in quest'accordo? LEONARDO MESSINA. Di controllare e proteggere tutto. In ogni passaggio, se è Cosa nostra che deve assegnare un appalto ad una ditta, lo guida fino all'ultimo. Se qualcuno non vuole concedere il ribasso, muore. PRESIDENTE. Quindi, in quest'accordo, Cosa nostra funge un po' da esercito... LEONARDO MESSINA. Sì, gli imprenditori che sostengono di non sapere nulla non dicono la verità. Gli imprenditori non possono parlare di mafia ma conoscono il discorso. Lo sanno pure i politici. PRESIDENTE. Oggi, Cosa nostra sostiene candidati e partiti politici diversi dal passato? LEONARDO MESSINA. Anche. PRESIDENTE. Quindi, mentre prima sosteneva candidati e partiti di un certo tipo, oggi anche candidati di altri partiti o candidati al posto di quelli? LEONARDO MESSINA. Si sta spogliando delle vecchie amicizie. PRESIDENTE. E sta cercando... LEONARDO MESSINA. Si, già li ha. MARCO TARADASH. Quali sono? PRESIDENTE. Ha già risposta a questa domanda, onorevole Taradash. Ai magistrati ha detto che Cosa nostra sta cambiando alleanze e che adesso sta appoggiando uomini politici diversi da quelli che sosteneva prima, anche appartenenti a partiti politici diversi da quelli appoggiati in passato. LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Per capire se un uomo politico è sostenuto da Cosa nostra, è sufficiente valutare come i voti sono stati espressi nelle zone controllate dall'organizzazione? LEONARDO MESSINA. No, perché Cosa nostra guida un candidato per tanti anni fino a che non lo fa decollare. I primi anni lo conosce, poi lo guida e lo presenta. Dopo non ha più bisogno del mandamento perché si è creato da solo l'alone, le amicizie eccetera. Comunque, molti politici hanno il contatto con il vertice di Cosa nostra. Quando ci sono le elezioni ci arrivano ordini di scuderia di votare per questo o quel tizio ma non sappiamo che accordi hanno preso e cosa hanno dato. A volte, a livello provinciale, locale o nazionale, ci impegniamo come famiglia diversamente. Se l'ordine di sostenere Pag. 551 un tizio arrivava dalla scuderia, va bene; invece, se si doveva votare per due o per tre persone, una era quella indicata dalla scuderia, le altre le cercavamo noi. PRESIDENTE. Che vuol dire di scuderia? LEONARDO MESSINA. Vuol dire ordine di Cosa nostra. PRESIDENTE. Di Cosa nostra regionale o provinciale? LEONARDO MESSINA. Consideri che a una famiglia gli ordini arrivano dal mandamento. E' la linea regionale che decide. PRESIDENTE. Quindi, è a livello regionale che si decidono quelli che lei chiama candidati di scuderia, quelli da appoggiare comunque? LEONARDO MESSINA. E il contatto ce l'hanno loro. PRESIDENTE. Invece, quando vi sono più preferenze, alcune potete distribuirle voi? LEONARDO MESSINA. Sì ma gli accordi li fanno solo al vertice. PRESIDENTE. Nelle ultime elezioni politiche, svoltesi con la preferenza unica, c'è stato solo il candidato di scuderia? Oppure, che altro è successo? LEONARDO MESSINA. Non so se ci siano stati candidati di scuderia ma qualcuno degli uomini d'onore ha chiesto il permesso al mandamento e abbiamo portato... PRESIDENTE. Però, stando a quanto lei dice, se andassimo a vedere come i voti sono stati espressi nei quartieri e nelle zone maggiormente dominati da voi, potremmo o meno desumere chi sono i politici che avete sostenuto? LEONARDO MESSINA. In un certo senso sì. Per esempio, mi sono preso l'impegno, non al mio paese ma a Caltanissetta, per evitare che entrassi in contrasto con gli altri uomini d'onore. Avevo amicizie a Caltanissetta e mi muovevo in questa città. PRESIDENTE. Quindi, se controllassimo come sono stati espressi i voti a Caltanissetta, capiremmo chi è la persona che lei ha sostenuto. E' questo che intende dire? LEONARDO MESSINA. Consideri che c'è altro oltre a questo: quando le scorte accompagnano i politici ai vari pranzi, cene o riunioni, vedono chi sono gli uomini politici seduti ai tavoli, che sono anche uomini di Cosa nostra. PRESIDENTE. Scusi, non ho capito. LEONARDO MESSINA. Prima delle votazioni si fanno dei giri, si organizzano pranzi e cene, e ai tavoli sono seduti anche uomini di Cosa nostra... PRESIDENTE. Questo lo so. Ma siccome dobbiamo capire ciò che accade dopo, le chiedo se esaminando adesso i risultati elettorali e constatando che il paese X, dominato dalla mafia, ha votato Rossi... LEONARDO MESSINA. Posso conoscere le indicazioni che Cosa nostra invia al mio paese. Cioè, non è che tutti i paesi devono votare lo stesso candidato. A San Cataldo mandano a dire: "Ordine di scuderia: tu devi votare tizio". PRESIDENTE. Se andiamo a vedere per chi ha votato San Cataldo, capiamo che quella persona... LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Questo vale per tutti? LEONARDO MESSINA. Sì. Pag. 552 MARIO BORGHEZIO. Anche al nord? LEONARDO MESSINA. Non sono padroni del territorio al nord. PRESIDENTE. Messina ha detto di parlare delle cose che conosce. Ha detto che al nord il meccanismo non è ancora così forte da condizionare in questo modo la politica. LEONARDO MESSINA. Sì. ALTERO MATTEOLI. Un chiarimento lo deve dare perché secondo quel che ha detto poc'anzi sul controllo del territorio, si desume che verrebbero eletti solo i collusi. LEONARDO MESSINA. No. Una volta ho incontrato un onorevole in una casa e gli ho detto: "Dobbiamo far votare un altro, vogliamo 50 milioni". Mi ha detto: "Se volete votarmi, puliti, se no non vi do niente". Non ci ha dato niente ed è salito per conto suo. PRESIDENTE. Mi sembra di aver capito che voi orientate i vostri voti per eleggere qualcuno ma non tutti gli eletti in una zona li eleggete voi? LEONARDO MESSINA. No, ma arrivano ordini ben precisi. A volte anche con gli ordini la persona non viene eletta. PRESIDENTE. Ci può essere l'ordine di eleggere una persona che poi non viene eletta? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Si può fare un conto dei voti che riuscite a controllare? LEONARDO MESSINA. Solo io, 500. PRESIDENTE. A Caltanissetta? LEONARDO MESSINA. A San Cataldo. VITO RIGGIO. E in tutta la provincia di Caltanissetta? LEONARDO MESSINA. Come famiglia eravamo orientati sui 3 mila voti. PRESIDENTE. Può capitare che in una zona controllata da Cosa nostra, come San Cataldo, un politico prenda molti voti senza essere sostenuto da Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Dovrebbe essere un caso raro. PRESIDENTE. C'è qualche scelta a favore, ma ci sono anche scelte contro, "quello lì non lo voti"? LEONARDO MESSINA. Ci sono uomini di un partito... Uno in particolare che il suo stesso partito non lo può vedere. Allora, da Cosa nostra, con i propri agganci, si diceva che si dovevano dare i voti ad un altro di un altro partito. Questi, avendo sentito o odorato qualcosa, ha fatto pressioni tali che si sono mossi, e per forza doveva andare così, ma a lui nessuno lo vuole, nemmeno il suo partito. PRESIDENTE. Avete indicazioni di non sostenere un uomo politico che si batte contro la mafia? LEONARDO MESSINA. Bisogna vedere se lotta contro la mafia a parole o nei fatti. Di solito tutti i politici salgono sul palco e dicono che sono contro la mafia; bisogna vedere nella realtà quello che fanno o gli accordi che hanno. In Sicilia, chiunque sale sul palco è contro la mafia. PRESIDENTE. Questo non vi preoccupa? LEONARDO MESSINA. No, non ci preoccupa, è una farsa. Pensi che un uomo politico che la sera era a cena a casa mia, l'indomani è andato in comitato antimafia con la fascia, ed era il primo. Pag. 553 PRESIDENTE. Comitato antimafia della città o della regione? LEONARDO MESSINA. Non era un comitato antimafia, era una fiaccolata. PRESIDENTE. Questo rapporto nasce anche sulla base del pagamento di somme di denaro? LEONARDO MESSINA. Sì. Per quanto riguarda la mia famiglia, molte volte ci siamo mossi, oltre l'ordine di scuderia, per ricevere denaro dai politici o in previsione di favori. PRESIDENTE. Che tipo di favori? LEONARDO MESSINA. Abbiamo chiesto dei posti, se ci aiutava; il fine ultimo è sempre l'appalto. PRESIDENTE. Ci sono candidati che pagano? LEONARDO MESSINA. Tantissimi. PRESIDENTE. Ci sono stati casi di candidati finanziati da Cosa nostra a rovescio? LEONARDO MESSINA. Questo può avvenire solo a livello superiore alla famiglia. Quando a una famiglia arrivano gli ordini, lo deve fare. La famiglia a volte ha un piccolo politico locale, a livello di comune o di provincia, ma gli accordi a loro servono con la testa, non li prendono con uno di noi. PRESIDENTE. Se ci sono questi accordi, può accadere che Cosa nostra finanzi una campagna elettorale? LEONARDO MESSINA. Sì, oppure gli imprenditori vicini a Cosa nostra. PRESIDENTE. Sempre su vostra indicazione? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Una persona sostenuta in una campagna elettorale deve essere necessariamente sostenuta in quella successiva? LEONARDO MESSINA. No, a volte si è cambiato. Per uno l'hanno fatto per una campagna sola e poi non l'hanno portato più. C'è chi non è salito sulla prima ed è riuscito alla seconda ed è stato sostenuto in tutti e due i casi. PRESIDENTE. Se un partito o un candidato che avete sostenuto non favorisce i vostri interessi, che succede? LEONARDO MESSINA. Uno l'ho preso a schiaffi. PRESIDENTE. A che livello? Consigliere comunale, provinciale o regionale? LEONARDO MESSINA. Consigliere regionale. MARCO TARADASH. Chi era? Siamo qua per sapere queste cose, altrimenti a che servono le audizioni! PRESIDENTE. Di queste cose abbiamo già discusso, andiamo avanti. Poi basta leggere i verbali. MARCO TARADASH. Non c'è scritto nei verbali. MAURIZIO CALVI. Perché l'avete preso a schiaffi? LEONARDO MESSINA. Perché ci aveva dato dei soldi e non aveva mantenuto gli impegni. Si era impegnato a fare delle cose, poi quando andavamo a casa sua non voleva che si portasse il rappresentante del paese. Non poteva più venire nel nostro territorio. PRESIDENTE. Quindi, aveva preso i voti poi non voleva ricevere il rappresentante del paese in casa sua? Pag. 554 LEONARDO MESSINA. Sì, perché lui in un certo senso abitava in zona. PRESIDENTE. E non voleva esporsi? LEONARDO MESSINA. Prima si era esposto, poi non voleva esporsi. Di tutte queste persone, oltre a quel che dico io, troverete un sacco di carte. PRESIDENTE. Quali sono le utilità concrete che le mafia riceveva dal rapporto con i politici? Innanzitutto, gli appalti, e poi? LEONARDO MESSINA. Gli appalti, la pressione sui processi. Non dobbiamo dimenticare che ci sono tutti gli uomini in carcere. Sapete quanti mafiosi sono in carcere? Più di quelli che sono fuori. L'interessamento è totale: la patente, quando c'era questo problema, il soggiorno obbligato, quando il problema era questo, il processo. Se un mafioso va in carcere, il problema è non prendere l'ergastolo. Se non prende l'ergastolo, in ogni caso nel giro di 10-12 anni esce. PRESIDENTE. Il problema è evitare gli ergastoli? LEONARDO MESSINA. Sì, è evitare l'ergastolo, perché in questo caso bisogna restare dentro per 20-25 anni almeno. PRESIDENTE. Come avveniva l'aggiustamento dei processi? LEONARDO MESSINA. Ci parlano direttamente. O il politico o il mafioso, il rappresentante, parla direttamente con il magistrato. A voi sembra strano ma in un ambiente come il nostro quando il politico si presenta, il personaggio è il mafioso non il politico. PRESIDENTE. Si presenta come politico ma è un mafioso, questo vuol dire? LEONARDO MESSINA. Quando il politico parla con un rappresentante non ha la figura che può avere nel suo ambiente; lì è un uomo inerme davanti ad una struttura. PRESIDENTE. Quindi, fa quel che la struttura gli dice? LEONARDO MESSINA. Sì, ma non è un obbligo, lo sa. PRESIDENTE. Anche nei rapporti con i giudici? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. L'uomo d'onore va dal giudice e chiede? LEONARDO MESSINA. Certo, non tutti gli uomini d'onore, a un certo livello, o un imprenditore. C'è un'usanza: quando arriva un magistrato, un imprenditore si preoccupa di procurargli la casa, il giardino e altro, in attesa ...C'è chi ci sta, c'è chi non ci sta, c'è chi muore. C'è chi vive e sceglie la strada di mezzo. PRESIDENTE. Quindi, i rapporti con i magistrati erano in parte mediati dai politici e in parte dagli uomini d'onore e dagli imprenditori? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. La massoneria? LEONARDO MESSINA. La massoneria è un punto di incontro per tutti. Anche alcuni uomini della mia famiglia sono massoni. A San Cataldo è venuto ad abitare Michele Sindona. PRESIDENTE. Cosa nostra è in grado di orientare il voto solo a Palermo, Caltanissetta e Catania, o in tutte le località? LEONARDO MESSINA. E' capace di orientare il voto in tutte le località. Pag. 555 PRESIDENTE. Naturalmente, dove più, dove meno a secondo della forza o dappertutto? LEONARDO MESSINA. Ci sono alcune province che non hanno una struttura, ma comunque ci sono sempre degli uomini; in un paese c'è un uomo d'onore ed è come se ci fosse una struttura. PRESIDENTE. Quali sono i mezzi per ottenere il voto? Basta dire che volete votare per Tizio per indurre la gente a seguire la vostra indicazione? LEONARDO MESSINA. Consideri che intorno agli uomini d'onore girano tantissime persone: piccoli imprenditori, dottori. Ho la quinta elementare ed ho raccomandato gente laureata per un posto di lavoro. Dovevano assegnare alcuni posti in un ospedale, Cosa nostra doveva appoggiare un dottore ed io mi sono occupato di fermare l'altro, dicendogli che il posto doveva essere occupato ... PRESIDENTE. Cioè gli ha detto: "Mettiti da parte". LEONARDO MESSINA. L'uomo d'onore può avere la seconda elementare, ma ciò non significa che deve badare solo al suo livello; anche se ignorante, anche se non sa leggere e scrivere, condiziona. PRESIDENTE. E' un'altra scuola. LEONARDO MESSINA. E' la scuola della strada. PRESIDENTE. Ci sono intimidazioni sulla gente, sugli elettori per farli votare o non è necessario? LEONARDO MESSINA. Quando un uomo d'onore si rivolge ad una persona e questa non fa il suo dovere - perché possono controllare quello che vogliono - poi succede ... PRESIDENTE. Come fanno a controllare un voto? LEONARDO MESSINA. Sanno più o meno i loro uomini nel quartiere come sono combinati e possono contare anche quelli delle sezioni. PRESIDENTE. Ci sono casi di brogli elettorali? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. In che cosa consistono questi brogli? LEONARDO MESSINA. In un paese hanno fatto votare anche i morti. PRESIDENTE. Anche gli immigrati? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Nello stesso paese o in paesi diversi? LEONARDO MESSINA. Nei paesi di una provincia. PRESIDENTE. Questo è accaduto una sola volta o è frequente? LEONARDO MESSINA. Un paio di volte a mia conoscenza. PRESIDENTE. Elezioni comunali o nazionali? LEONARDO MESSINA. Regionali. PRESIDENTE. Nella sua provincia? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Si può sapere in quale provincia? LEONARDO MESSINA. Enna. PRESIDENTE. Come si faceva a far risultare i voti degli immigrati? Pag. 556 LEONARDO MESSINA. Una persona ha votato trenta volte perché quelli che gestivano il seggio erano tutte persone di Cosa nostra. PRESIDENTE. In uno degli interrogatori ha detto di aver sentito queste cose nello studio dell'avvocato Bevilacqua ... LEONARDO MESSINA. Non solo. PRESIDENTE. Anche in altri posti. Può dire alla Commissione che ruolo svolgeva l'avvocato Bevilacqua? LEONARDO MESSINA. L'avvocato Bevilacqua è diventato uomo d'onore di Barrafranca. Quando l'ho conosciuto era sottocapo della provincia di Enna. PRESIDENTE. Nelle ultime elezioni regionali Cosa nostra - per quello che lei sa - ha appoggiato i partiti tradizionali o anche partiti nuovi? LEONARDO MESSINA. I partiti tradizionali, almeno nel mio paese. Ci sono stati partiti non appoggiati che hanno preso 3.300 voti senza nessun controllo. PRESIDENTE. Un commissario vorrebbe sapere se ha notizia di atti criminosi commessi da Cosa nostra su richiesta di uomini politici. LEONARDO MESSINA. Consideri che il politico crea la condizione. Nessuno può ordinare a Cosa nostra, perché Cosa nostra ordina da sola. PRESIDENTE. Ho detto "richiedere", non "ordinare". LEONARDO MESSINA. Può essere che per esempio un poliziotto, un questore sta dando fastidio, sta arrivando in un posto dove ... lo segnalano, non dicono "ammazzatelo"; se la vede sempre Cosa nostra. Viene segnalato. PRESIDENTE. Cioè dice: "Quello sta dando fastidio"? LEONARDO MESSINA. "Sta arrivando là". PRESIDENTE. Questo basta? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Quindi è sufficiente che un politico segnali a Cosa nostra che una certa persona sta dando fastidio e Cosa nostra capisce che cosa deve fare? E' così? LEONARDO MESSINA. Cosa nostra intanto valuta se il fastidio è per tutti, compresa se stessa. PRESIDENTE. Certo. Sa o è a conoscenza di casi anche di delitti gravi, omicidi, commessi in questo modo? LEONARDO MESSINA. In un certo senso. Se un politico è uomo d'onore e ha partecipato a delle riunioni è responsabile. PRESIDENTE. Riunioni in cui sono decisi omicidi? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Può spiegare l'ipotesi separatista? Lei ha detto che la Sicilia è troppo piccola ormai per gli affari di Cosa nostra; poi però ha aggiunto che a Cosa nostra e ai massoni insieme ora interesserebbe il separatismo siciliano. Può spiegare questi due concetti che sembrano apparentemente in contraddizione? LEONARDO MESSINA. "Massone" è una parola che poi racchiude tantissimi tipi di persone. Cosa nostra non può più rimanere succube dello Stato, sottostare alle sue leggi, Cosa nostra si vuole impadronire ed avere il suo Stato. PRESIDENTE. Quindi il problema è quello di avere una grossa base per essere più coperta, più tutelata e da lì partire per fare operazioni all'esterno? Pag. 557 LEONARDO MESSINA. Sì. Cosa nostra non viene mai alla sua regione. Vende la droga all'estero perché non vuole che i suoi figli siano drogati. PRESIDENTE. Riina, che lei sappia, è massone? LEONARDO MESSINA. Dicono che è massone. PRESIDENTE. Sa quali altri dei grandi capi di Cosa nostra sono massoni? LEONARDO MESSINA. Le posso dire quali sono stati perché purtroppo molti sono morti. PRESIDENTE. Mi può dire quali sono stati? LEONARDO MESSINA. Sono stati Stefano Bontade, Nicola Terminio, Moreno Miccichè ed altri. PRESIDENTE. E di quelli viventi, oltre a Riina, Santapaola? LEONARDO MESSINA. Credo che il vertice di Cosa nostra sia massone. Bisogna vedere anche il loro livello di cultura; non entrano tutti, il potere deve essere detenuto da due-tre. Santapaola è l'espressione di una corrente, è un uomo di Madonia. PRESIDENTE. Madonia è massone? LEONARDO MESSINA. Credo di sì. PRESIDENTE. Le spinte separatiste vengono da fuori o sono dentro i confini nazionali? LEONARDO MESSINA. Penso che vengono da fuori dei confini nazionali. Posso parlare del programma della regione mafiosa; sarebbe assurdo che sapessi che cosa decide la massoneria. So che cosa ha deciso Cosa nostra. PRESIDENTE. E la regione ha deciso, come lei ci spiegava, di orientarsi verso l'indipendentismo, verso un nuovo separatismo? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Questo separatismo sarebbe in collegamento con forze - lei dice - non nazionali o anche con forze nazionali? LEONARDO MESSINA. Anche con forze nazionali. PRESIDENTE. Quindi con forze nazionali e non nazionali? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Le forze nazionali sono politiche o no? LEONARDO MESSINA. Anche politiche. PRESIDENTE. Politiche e non, quindi? LEONARDO MESSINA. Politiche ed imprenditrici. PRESIDENTE. Non istituzionali? LEONARDO MESSINA. Anche. PRESIDENTE. Quindi ci sono settori, per così dire, delle istituzioni, dell'imprenditoria e della politica che sosterrebbero questo progetto? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Questo per quanto riguarda l'Italia. Per quanto riguarda l'estero, che lei sappia? LEONARDO MESSINA. Dell'estero non so. So quello che hanno deciso là. Pag. 558 PRESIDENTE. Quindi sa che c'è un sostegno anche dall'estero, ma non sa da che parte venga. E' così? LEONARDO MESSINA. Sì. Consideri che vengo a conoscenza solo dei fatti che decide Cosa nostra; posso parlare dei passaggi di cui sono a conoscenza, non posso fare deduzioni sull'estero. PRESIDENTE. Non c'è dubbio. La teoria separatista vuol dire colpo di Stato o vuol dire ... LEONARDO MESSINA. In precedenza Cosa nostra si adoperava per fare colpi di Stato. PRESIDENTE. Nel passato sì, così come ha spiegato ... LEONARDO MESSINA. Oggi possono arrivare al potere senza fare un colpo di Stato. PRESIDENTE. Quando ha fatto riferimento su mia domanda anche ad interessi di alcuni settori istituzionali ad un progetto di separazione della Sicilia. Può spiegare a quali settori si è riferito? LEONARDO MESSINA. Che cosa vuol dire con la parola settori? Mi scusi, ma non la capisco. PRESIDENTE. Le istituzioni sono tante: c'è la magistratura ... LEONARDO MESSINA. I politici che sono uomini d'onore sanno del progetto. Non è solo di Cosa nostra; c'è il politico che è di Cosa nostra perché è "pungiuto". Il programma lo fanno insieme ... PRESIDENTE. Questo è chiarissimo. Siccome ci ha spiegato che anche nelle istituzioni ci sono persone o interi gruppi (non ho ben capito) che appoggiano questo progetto, le istituzioni sono tante, magistratura, forze dell'ordine ... LEONARDO MESSINA. Non è esistito mai un terzo livello che desse ordini a Cosa nostra, ma c'è la massoneria che racchiude tutti gli altri organismi ... PRESIDENTE. Quindi, questi sostegni vengono da tutte le istituzioni o da una in particolare? LEONARDO MESSINA. Per quanto è a mia conoscenza, dicono da una in particolare. PRESIDENTE. Può dire da quale delle istituzioni in particolare? LEONARDO MESSINA. Anche dalla giustizia. PRESIDENTE. Della magistratura, quindi. LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Si parla di magistratura siciliana o di magistratura al di fuori della Sicilia? LEONARDO MESSINA. I processi li hanno fatti a Palermo. Ci sono magistrati che sono stati contattati da Cosa nostra, che non si sono voluti assumere l'onere di assolvere. Sono stati uccisi per la strada. PRESIDENTE. Saetta, in questo caso? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Ricordo ai colleghi che Saetta è l'unico caso di giudice di dibattimento ucciso; presiedeva il processo per l'omicidio Basile. LEONARDO MESSINA. Credo di sì. ALTERO MATTEOLI. Perché contattato aveva dato assicurazione...? LEONARDO MESSINA. Perché aveva detto che non faceva queste cose. Questo lo so con certezza perché gli uomini che hanno partecipato li conosco tutti. Pag. 559 MAURIZIO CALVI. Chi sono gli uomini di Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Non lo posso dire. PRESIDENTE. Mi pare di aver già detto che per quanto riguarda le responsabilità penali sono altre le autorità che intervengono. Noi non abbiamo competenza. MAURIZIO CALVI. Non volevo sapere i nomi. PRESIDENTE. Ha detto che Saetta è stato ucciso perché avvicinato ha detto di no. LEONARDO MESSINA. Sì, ha detto di no. PRESIDENTE. Tra l'altro vorrei ricordare ai colleghi che quel processo era particolarmente importante. Era l'omicidio Basile che tornava, se non ricordo male, dall'annullamento della Cassazione. Quindi, c'era un nodo particolarmente rilevante. Ha poi spiegato che l'omicidio è stato commesso da uomini di Cosa nostra. Credo che la Commissione parlamentare non abbia interesse a conoscere gli autori dell'omicidio. ALTERO MATTEOLI. Saetta paga con la vita il rifiuto. Ma fu avvicinato. Chi lo ha avvicinato? PRESIDENTE. Questo lo potremo vedere per via istituzionale. LEONARDO MESSINA. Io non parlo del colpo di Stato della magistratura. Ho detto che ci sono alcuni magistrati massoni che sono a conoscenza di questo disegno. MAURIZIO CALVI. Siciliani? LEONARDO MESSINA. Sì. Non posso dire di magistrati che vengono da Milano perché non li conosco. PRESIDENTE. Prego i colleghi di rimanere nei binari stabiliti. Non possiamo chiedere a Messina notizie di cui non è a conoscenza. L'onorevole Lima aveva un ruolo particolare nel rapporto con Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Può spiegare quale era questo ruolo? LEONARDO MESSINA. Era il punto di contatto di alcuni politici per arrivare ad un altro posto. PRESIDENTE. Qual'era? LEONARDO MESSINA. Non lo posso dire. PRESIDENTE. Un posto istituzionale, politico? LEONARDO MESSINA. Sì, politico. PRESIDENTE. Lo ha già detto all'autorità giudiziaria? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Quest'altro posto era quello che faceva favori a voi? LEONARDO MESSINA. Anche Lima faceva favori a noi. PRESIDENTE. Quindi, Lima li faceva sia direttamente sia da intermediario per un livello più elevato? LEONARDO MESSINA. Sì. Non tutti gli uomini d'onore vanno a parlare con Lima o con altri politici. C'è sempre un punto di contatto che è un uomo d'onore importante o meno importante. PRESIDENTE. Quindi, c'era un uomo d'onore che prendeva contatti con Lima? LEONARDO MESSINA. Sì. Pag. 560 PRESIDENTE. Alcune cose Lima le faceva direttamente? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Per altre cose a sua volta era mediatore con un livello più alto? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Si trattava di un livello politico più alto? LEONARDO MESSINA. Sì, una corrente. PRESIDENTE. La corrente di Lima? LEONARDO MESSINA. Una corrente. MARCO TARADASH. Non è un segreto di Stato. LEONARDO MESSINA. Vi mando la foto dell'uomo del SISDE. Se lei vuole, le dico il nome e lo va a prendere. PRESIDENTE. Questo è compito dei giudici, non nostro. I favori che poteva fare Lima erano favori di tipo siciliano e anche di tipo nazionale? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Da cosa derivava il credito che Lima aveva in Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Non so se i suoi familiari sono stati mafiosi o no. Io so che era un uomo molto vicino alle nostre posizioni. Ad esempio, si interessava degli appalti in ambito minerario. L'avvocato che prima ho menzionato rappresentava il punto di contatto per la provincia di Enna. PRESIDENTE. Bevilacqua? LEONARDO MESSINA. Sì, io so di quello di Enna. PRESIDENTE. Tra gli uomini politici che vi aiutavano c'erano anche uomini politici non eletti in Sicilia? LEONARDO MESSINA. Quando si fa un appalto partecipano anche le ditte del nord. Per questo si erano create delle figure di uomini d'onore di controllo degli imprenditori del nord. Credo che i favori li chiedano anche quelli del nord. PRESIDENTE. Quindi ci sono anche uomini politici non eletti in Sicilia? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Può spiegare meglio cosa sono questi uomini di controllo? LEONARDO MESSINA. Nel momento in cui si finanzia un appalto alla gara non partecipano soltanto ditte siciliane ma anche ditte del nord. Quindi, ci sono uomini che hanno il compito di stabilire determinati contatti per ottenere il ribasso. PRESIDENTE. Quindi, ci sono uomini che contattano le ditte e che rivelano il tipo di ribasso stabilito? LEONARDO MESSINA. Sì. In ogni caso se Cosa nostra deve vincere una gara d'appalto, la vince. PRESIDENTE. Anche con l'imbroglio, come ha spiegato una volta? LEONARDO MESSINA. Ho dei certificati antimafia in mano. PRESIDENTE. Sottratti dalle buste? LEONARDO MESSINA. Li ho sottratti personalmente. PRESIDENTE. Aiutato da qualcuno o da solo? LEONARDO MESSINA. In prefettura non potevo entrare. Evidentemente qualcuno me li avrà dati. Pag. 561 PRESIDENTE. Dall'interno della prefettura? LEONARDO MESSINA. Credo di sì. PRESIDENTE. Può dire sì o no. LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Non c'è nessuna ditta che vinca un appalto in Sicilia che non abbia ricorso a questa intermediazione? E' questo il principio? LEONARDO MESSINA. Non c'è nessuna ditta in Sicilia che non abbia fatto una mediazione con i politici e con la mafia. PRESIDENTE. C'è qualche imprenditore in particolare che è più dentro Cosa nostra o sono tutti fuori? LEONARDO MESSINA. Ci sono molti imprenditori "pungiuti", cioè uomini d'onore, poi ce ne sono alcuni fiduciari di Cosa nostra. Se un uomo d'onore cade in disgrazia si va da loro a chiedere, ad esempio, cento milioni. Questo è il contatto. Nelle varie province della Sicilia si sono fatte riunioni per stabilire come si doveva aggiustare. PRESIDENTE. C'è qualche imprenditore che sia organicamente dentro Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Molti imprenditori sono uomini d'onore. PRESIDENTE. In atti pubblici lei ha riferito di un imprenditore (forse due) particolarmente vicino a Riina. Che funzione aveva questo imprenditore? LEONARDO MESSINA. Sì, in qualsiasi paese seguiva l'appalto. Alla famiglia del luogo non dava più dell'1 per cento perché il resto era della regione e nessuno doveva toccarlo. PRESIDENTE. Se qualche imprenditore non era d'accordo, cosa succedeva? LEONARDO MESSINA. Quello che è successo a Ranieri. PRESIDENTE. E' stato ucciso? LEONARDO MESSINA. E' stato ammazzato. PRESIDENTE. Era quest'altro imprenditore che decideva? LEONARDO MESSINA. No. L'imprenditore dice: quello non mi ha voluto ricevere per il ribasso. Poi è sempre Cosa nostra a decidere cosa fare, a meno che l'imprenditore non sia uomo d'onore ed allora partecipa alle riunioni. PRESIDENTE. L'imprenditore al quale ci riferiamo è stato arrestato ed ora è sottoposto a procedimento. Le chiedo qual era il ruolo di Siino. LEONARDO MESSINA. Siino è l'uomo che ha fatto tutte le riunioni nelle province siciliane per accordare tutte le grosse imprese, per aggiustare. Quando si doveva fare un appalto si parlava con Angelo per il ribasso. Tutti gli appalti avvenivano in questo modo. PRESIDENTE. Angelo Siino? LEONARDO MESSINA. Angelo Siino. PRESIDENTE. Siino è vicino a Riina? LEONARDO MESSINA. E' l'ambasciatore di Salvatore Riina. PRESIDENTE. Ed è uomo d'onore, naturalmente? LEONARDO MESSINA. Non me l'hanno mai presentato come uomo d'onore. Fa parte di una casta che non è presentabile. Comunque è un rigenerato, cioè viene come me da una corrente che esisteva prima dei corleonesi. Pag. 562 PRESIDENTE. E' una famiglia antica? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Siino è massone? LEONARDO MESSINA. Mi hanno detto che è massone, ma lui personalmente non me lo ha detto. PRESIDENTE. Dopo la sentenza della Cassazione del gennaio 1992, che confermò gli ergastoli, quali furono le reazioni di Cosa nostra? Lei dov'era allora? Era in carcere? LEONARDO MESSINA. Ero fuori. PRESIDENTE. Nel gennaio 1992 era fuori? LEONARDO MESSINA. Sì. Sono stato arrestato il 17 aprile. PRESIDENTE. Quali furono le reazioni di Cosa nostra? Ve l'aspettavate? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Perché non ve l'aspettavate? LEONARDO MESSINA. Si pensava che non avrebbero creduto sino in fondo a quel discorso. Praticamente la magistratura quando non ha prove concrete sceglie una via di mezzo (10-15-20 anni) ed il mafioso avrebbe accettato. Consideri che molti sono ergastolani; in un certo senso, è un favore che i corleonesi hanno chiesto ai suoi ergastolani, perché ce ne sono tantissimi della corrente contro. PRESIDENTE. Quando c'è stata la conferma degli ergastoli, quale reazione hanno avuto Cosa nostra e i corleonesi? LEONARDO MESSINA. Ho parlato direttamente con alcuni uomini vicini a Salvatore Riina, con i suoi bracci armati, che erano a conoscenza dei movimenti di Falcone e mi avevano detto che non potevano ucciderlo in quel momento perché ne avrebbero fatto un mito. Comunque - dicevano - vedremo. Poi hanno preso altre decisioni, evidentemente, dovevano dare una spiegazione agli uomini dentro ed una risposta a quelli fuori. PRESIDENTE. Praticamente, Riina aveva promesso qualcosa? LEONARDO MESSINA. Sì; tutti sapevano che il maxiprocesso doveva andare bene in cassazione. PRESIDENTE. Qualche uomo politico aveva garantito che le cose sarebbero andate bene, secondo quanto le risulta? LEONARDO MESSINA. All'interno di Cosa nostra si vociferano tante cose: quello che si dice all'interno di Cosa nostra deve essere per forza verità, riscontrabile; non può essere che si dica il falso. PRESIDENTE. Non le ho chiesto i nomi; volevo sapere se il rapporto che avrebbe dovuto garantirvi era con un uomo politico, con un massone, o direttamente con un magistrato. LEONARDO MESSINA. Consideri che tra di noi non si nomina un determinato massone, perché è il vertice che è massone: loro sanno dove si può arrivare. C'era stato garantito che il maxiprocesso sarebbe andato a finire bene, punto e basta. PRESIDENTE. E perché venne ucciso Lima? LEONARDO MESSINA. Lima cominciò ad essere prigioniero di un sistema, di una struttura, perché essere amico dei mafiosi prima di questa generazione era facile per tutti: quando vedevano gli onorevoli, "si levavano o cappieddo e ci davano a seggia". Avere un onorevole ad un battesimo, o a un'inaugurazione, era Pag. 563 una cosa in. Ora è diventata un'imposizione: devi fare così e basta. PRESIDENTE. Dopo, Lima è rimasto prigioniero di una struttura che stava cambiando, diventando più oppressiva? LEONARDO MESSINA. Sì, ma altre persone, anche a livello locale, avevano cambiato: a lui non hanno dato la possibilità e lo hanno ucciso. PRESIDENTE. Perché lo hanno ucciso? LEONARDO MESSINA. Non avendo potuto fare niente per loro, non aveva più senso. Sono così ricchi che ora possono gestirsi tutto. Tutti gli altri sono prigionieri del loro stesso sistema: come vive Riina, può vivere un onorevole che veramente fa... PRESIDENTE. Se era diventato inutile, che ragione c'era per ucciderlo? LEONARDO MESSINA. Si doveva dare dimostrazione che chi non mantiene i patti muore: in Cosa nostra è così. PRESIDENTE. Quale patto non aveva mantenuto? LEONARDO MESSINA. L'interessamento e la sicurezza che gli uomini d'onore non sarebbero stati ergastolani. PRESIDENTE. Perché è stato ucciso Ignazio Salvo, secondo quanto le risulta? LEONARDO MESSINA. I Salvo appartengono alla famiglia di Salemi, della quale conosco qualcuno, perché essendo stato al carcere di Trapani conosco tantissimi uomini d'onore. I Salvo sono un ceppo storico: tutti quelli che appartengono alla storia di Cosa nostra devono morire; tutti quelli che hanno avuto il contatto con i politici devono, in un certo senso, perire. Non ci devono essere tracce, né memorie storiche del passato. PRESIDENTE. Perché? LEONARDO MESSINA. Perché si sta cambiando pelle. PRESIDENTE. Lei, in un suo interrogatorio, ha detto che era dovuto andare a Palermo per parlare con i palermitani quando si appaltavano i lavori nella sua provincia. Non so se ricorda. LEONARDO MESSINA. Sì, sono andato in un posto dove ci doveva essere il rappresentante della provincia di Trapani: io ero con l'ambasciatore della provincia di Caltanissetta. PRESIDENTE. Perché doveva andare a Palermo? LEONARDO MESSINA. Non a Palermo; siamo andati sotto Corleone, a San Giuseppe di Altera. PRESIDENTE. Per incontrarvi con i palermitani? LEONARDO MESSINA. Per incontrarci con i palermitani e con quello là; a volte, ci sono ditte che riguardano una provincia e bisogna passare attraverso forme ben precise. A volte, i capi sono fuori dalla Sicilia e si muovono gli ambasciatori sotto direttiva. PRESIDENTE. Quello là che dovevate incontrare è l'imprenditore? LEONARDO MESSINA. L'imprenditore l'ho incontrato a casa di Angelo Siino, ma per un caso; ero là per altro. PRESIDENTE. Ma nell'incontro a San Giuseppe di Altera, aveva visto questo imprenditore? LEONARDO MESSINA. Sì, avevo incontrato l'imprenditore a casa di Angelo Siino e poi siamo andati là. Pag. 564 PRESIDENTE. Quella volta che siete andati poi a mangiare in una casa di campagna? LEONARDO MESSINA. Sì, siamo andati a casa di Bernardo Brusca. PRESIDENTE. Il sistema degli appalti, quindi, funziona sinteticamente così: il politico dà l'autorizzazione... LEONARDO MESSINA. A finanziare il lavoro. PRESIDENTE. Una volta che il lavoro è finanziato, intervenite voi? Oppure intervenite anche per sollecitare il politico? LEONARDO MESSINA. Ci sono due casi: nel primo il politico guida il lavoro insieme con Cosa nostra; nel secondo lo guida insieme con l'imprenditore. In ogni caso, comunque, Cosa nostra deve sempre avere il suo: solo che, se lo guida Cosa nostra, ad un mese dall'aggiudicazione dell'appalto, quando nessuno può fare ricorso, ci vuole la percentuale; mentre, nell'altro caso, quando si esegue il lavoro nella zona si deve pagare. PRESIDENTE. Quindi, nel primo caso, il pagamento avviene subito, anticipatamente? LEONARDO MESSINA. A trenta giorni dalla vincita della gara d'appalto, quando nessuno può fare più ricorso. PRESIDENTE. Quando è certo che l'aggiudicazione è stata effettuata: anche se non sono cominciati i lavori? LEONARDO MESSINA. Non ci riguarda: in quel caso li prendiamo anticipati. ALTERO MATTEOLI. Quindi, il politico fa finanziare il lavoro e poi l'appalto viene gestito nel modo che ha detto? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Con due tipi di intervento: il primo, con il pagamento a trenta giorni dopo che l'aggiudicazione è stata effettuata e non vi è più possibilità di impugnazione; il secondo, con il pagamento quando cominciano i lavori. Quale differenza c'è tra queste due forme? Quando si ricorre all'una o all'altra? LEONARDO MESSINA. Quando l'imprenditore si mette d'accordo con il politico e fa finanziare il lavoro senza Cosa nostra, entra in gioco Cosa nostra quando comincia l'esecuzione del lavoro. PRESIDENTE. Quindi, dipende dal momento in cui entra in gioco Cosa nostra; se Cosa nostra interviene sin dal primo momento il pagamento avviene a trenta giorni dall'aggiudicazione. LEONARDO MESSINA. In ogni caso, o prima o dopo, a Cosa nostra deve sempre arrivare il suo. PRESIDENTE. Comunque, per lavorare, devo portare le macchine... LEONARDO MESSINA. Prima che portino i mezzi. PRESIDENTE. Praticamente, per vincere l'appalto, ci sono o i brogli, come quello di sfilare i certificati dalla busta... LEONARDO MESSINA. In quel caso c'era una ragione di fretta e non avevamo potuto controllare un imprenditore. PRESIDENTE. Oppure anche l'intimidazione nei confronti dell'imprenditore, che può arrivare fino alla morte? LEONARDO MESSINA. E' arrivata fino alla morte. PRESIDENTE. Il caso di Ranieri è l'unico, o ci sono altri casi? LEONARDO MESSINA. Questo è quello che conosco, perché io ho guidato solo degli appalti. Pag. 565 PRESIDENTE. A quale punto di questo quadro si colloca Siino? LEONARDO MESSINA. Una sera eravamo seduti al Ristorante delle rose, tra Canicattì e Serradifalco; c'erano seduti tantissimi uomini politici, c'ero io, Angelo Siino, ed altre persone di tutte le tre province, tra cui quella palermitana. In quel tavolo, c'erano tanti politici: quella sera, in quel tavolo, volevano uccidere Liborio Cortese, che era un esponente dell'ASI della provincia di Caltanissetta. Si disse: "chistu disturba o zio", ma un altro fece osservare che non c'era l'autorizzazione. PRESIDENTE. I politici ed altri erano seduti insieme? LEONARDO MESSINA. Sì, i politici stavano mangiando per conto loro e noi siamo capitati lì. PRESIDENTE. Quindi non eravate andati insieme? LEONARDO MESSINA. No, noi eravamo lì per gli affari nostri. PRESIDENTE. Vorrei capire meglio un aspetto: Siino interveniva quando le cose si complicavano, oppure sempre? LEONARDO MESSINA. E' Siino che ha ideato questo sistema: praticamente, ha fatto delle riunioni per ogni provincia amministrativa e ha contattato gli imprenditori vicini a Cosa nostra, ai quali ha spiegato che, se per la provincia di Caltanissetta, per San Cataldo, arrivava Nardo Messina per il ribasso glielo dovevano dare, oppure lui stesso gli telefonava. Tutti gli imprenditori delle province sono d'accordo: calato questo livello, anche quelli che puliscono i tombini sono d'accordo, perché alla fine è lo Stato che paga. PRESIDENTE. Sospendo brevemente la seduta. La seduta, sospesa alle 13,25, è ripresa alle 14,55. PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta. Stava spiegando la questione degli appalti ed i due diversi tipi di intervento di Cosa nostra o all'inizio o successivamente. LEONARDO MESSINA. In ogni caso Cosa nostra c'entra sempre. PRESIDENTE. Ed in ultima analisi c'entra come organizzazione che fa fuori l'imprenditore che non ci sta. I casi di certificati sottratti si riferiscono ad interventi tardivi, quando cioè non si è riusciti a condizionare prima. LEONARDO MESSINA. Sì, quando un imprenditore cerca delle scuse perché sa qual è il problema o non ce l'ha realmente, allora non vogliono parlare con i geometri ... PRESIDENTE. Lei ha detto che in questo modo Cosa nostra controlla gli appalti dell'intera regione siciliana. LEONARDO MESSINA. Sì, da quelli comunali in su. PRESIDENTE. Indipendentemente dal valore dell'appalto, anche su un valore non particolarmente importante? LEONARDO MESSINA. Tutto dipende dal livello culturale della famiglia. Per esempio noi di San Cataldo, quando si parlava di valori inferiori ai 300 milioni, non accettavamo. Le imprese lo sanno e prima di posare i mezzi parlano. PRESIDENTE. Lei ha parlato di un ingegnere che portava le tangenti alla commissione regionale; può spiegare questo episodio? LEONARDO MESSINA. Mi sono trovato a casa di Angelo Siino, ma l'ingegnere era già uscito da quella stanza avendo lasciato una valigetta piena di Pag. 566 soldi. Non appena è uscito siamo entrati noi e ci siamo salutati perché l'imprenditore era della mia provincia; si parlò del più e del meno e del fatto che l'imprenditore ci aveva portato i soldi per la regione. Ma non è solo questo il punto, perché quell'imprenditore sta edificando sotto San Cataldo un paese di calcestruzzo; quando fu indetta la gara, l'appalto era di un miliardo e mezzo e lui mi diede l'un per cento, cioè quindici milioni. Quando pretendevo di più perché si trattava di palificazione - anche lui avrebbe ottenuto di più - mi è stato detto di non insistere perché l'uno per cento o il resto lo avrebbe dato alla regione. PRESIDENTE. Lo dava autonomamente alla regione? LEONARDO MESSINA. Sì, autonomamente. PRESIDENTE. Ed era questo ingegnere Di Vincenzo? LEONARDO MESSINA. Sì era Di Vincenzo. PRESIDENTE. Mi spieghi questa storia della palificazione. LEONARDO MESSINA. Sotto San Cataldo c'è una zona franosa e, per il raccoglimento delle acque, sono in corso lavori da cinque anni. Si è partiti da un miliardo e mezzo e si è arrivati a 150 miliardi. PRESIDENTE. E' un lavoro che rende molto? LEONARDO MESSINA. Sì. Oltre al lavoro è stata fatta una palificazione per frenare la montagna. PRESIDENTE. A chi era collegato questo imprenditore? LEONARDO MESSINA. A Madonia ed a Riina; doveva passare per forza attraverso Madonia. In quell'occasione Madonia non c'era; avevamo un appuntamento con il provinciale e non avevamo titolo per partecipare ad una riunione provinciale. Mi trovavo lì con l'ambasciatore di Giuseppe Madonia. PRESIDENTE. Ricorda il nome di quell'ambasciatore? LEONARDO MESSINA. Salvatore Ferraro. PRESIDENTE. Ha conosciuto l'imprenditore Farinella? LEONARDO MESSINA. Di persona non l'ho conosciuto, però nelle sue terre si svolgevano le più importanti riunioni. Ha comprato un feudo tra San Cataldo e Marianopoli, il feudo Mimiani, nel quale prima si riuniva la regione (la prima volta che ho partecipato ad una riunione avevo 15 o 16 anni); lì il campiere era Li Vecchi e la proprietà era di un principe e poi l'ha comprata Cataldo Farinella. So che è un uomo d'onore, ma non l'ho mai conosciuto fisicamente. La famiglia di San Cataldo aveva pure le chiavi per attraversare il suo feudo per andare da un altro uomo d'onore, che si trova un po' più sopra; praticamente questo feudo è circondato da uomini d'onore, perché all'entrata c'è la casa di Pasquale Li Vecchi, un personaggio storico di Cosa nostra, sopra c'è un'altra casa che controlla il feudo ed a monte ce n'è un'altra che appartiene ad un uomo d'onore della famiglia di Mussomeli. PRESIDENTE. In queste grandi proprietà vi sono anche rifugi per i latitanti? LEONARDO MESSINA. Sì, ma non rifugi precari. PRESIDENTE. Non stanno in condizioni di disagio? LEONARDO MESSINA. No, vanno in giro ben vestiti; inoltre le famiglie, quando viene Natale o quando hanno Pag. 567 concluso buoni affari, inviano vestiti di marca, armi, soldi. Arriva di tutto. PRESIDENTE. I latitanti sono mantenuti dalla famiglia? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Tutti o solo quelli più importanti? LEONARDO MESSINA. Quasi tutti. La famiglia di Gela è quasi tutta in carcere e noi, come famiglia di San Cataldo, ultimamente abbiamo mandato 75 milioni come contributo per il mantenimento detenuti, senza che nessuno ce lo avesse imposto. PRESIDENTE. Se una persona è detenuta è la famiglia che provvede? LEONARDO MESSINA. Se è detenuta per conto di Cosa nostra, Cosa nostra lo mantiene. Se possedeva una Mercedes, una Rolls Royce od altro gliele mantiene fino a che non esce. PRESIDENTE. Se un'intera famiglia è in galera è sempre Cosa nostra a provvedere? LEONARDO MESSINA. E' il mandamento che provvede, cioè il livello superiore. PRESIDENTE. Lei ha parlato dei rapporti tra imprenditoria e lavori pubblici: la presenza di Cosa nostra è anche in altri settori economici o soltanto nei lavori pubblici? LEONARDO MESSINA. E' in qualsiasi settore ove ci sia un introito, per esempio quando si deve comprare un grosso appezzamento di terreno; hanno infiltrazioni nelle banche (non parlo per sentito dire), come avviene anche nel mio paese. PRESIDENTE. Le banche svolgono qualche funzione particolare? LEONARDO MESSINA. Sì. Quando per esempio la provincia doveva fare degli affari e non c'erano i soldi, i soldi uscivano dalla banca non ufficialmente: compravano, vendevano e davano guadagno sia al banchiere sia alla famiglia d'origine. PRESIDENTE. Praticamente davano degli anticipi. Questa è l'unica funzione o ce n'è anche una di lavaggio del denaro sporco? LEONARDO MESSINA. Sì, anche di lavaggio del denaro sporco. PRESIDENTE. Anche in una provincia come quella di Caltanissetta? LEONARDO MESSINA. No, di solito si muovono fuori, dove possono suscitare meno sospetti che in Sicilia, dove quasi tutto è controllato, a meno che non ci sia di mezzo anche la banca, come nel caso di San Cataldo. Parlo di San Cataldo perché vivo lì e sarebbe assurdo che parlassi di Napoli. Devo parlare del mio paese. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di rapporti con i cavalieri del lavoro di Catania di Cosa nostra e con quali eventualmente? LEONARDO MESSINA. Ultimamente si sono svolte delle riunioni anche nei loro uffici. Sono uomini molto vicini a Cosa nostra. Praticamente dicono Graci e Costanzo ... PRESIDENTE. Quando dice "dicono" vuol dire che non lo sa direttamente ma che glielo hanno detto? LEONARDO MESSINA. Non me li hanno mai presentati. Hanno detto "sto andando da Graci perché c'è una riunione; mi aspetta Nitto, mi aspetta Pippo Madonia", ma non mi hanno detto "è un uomo d'onore". Comunque prestano, ma non solo a questo imprenditore; è successo anche ad imprenditori più piccoli. E Pag. 568 noi avevamo le chiavi delle fabbriche, dei loro garage e, quando volevamo, entravamo e mettevamo le macchine che ci servivano per fare le operazioni. PRESIDENTE. Che vuol dire "ditte inserite organicamente in Cosa nostra"? LEONARDO MESSINA. Vuol dire che vi sono uomini d'onore che hanno delle ditte ma ciò non toglie che si debbano sempre rapportare alla regola di Cosa nostra, per cui, se vanno in un altro paese, anche se sono uomini d'onore devono pagare. E' una regola della mafia che vale per tutti, compresi gli appartenenti a Cosa nostra. PRESIDENTE. In sostanza, il principio è questo: poiché tu hai preso soldi dallo Stato, devi darcene una parte. E' così? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Esiste o meno l'imprenditore protetto? LEONARDO MESSINA. Sì, vi sono imprenditori che per la protezione pagano uno stipendio mensile a Cosa nostra. PRESIDENTE. Se un imprenditore da voi protetto, che va a lavorare a Milano, a Torino, a Verona o da qualsiasi altra parte, ha delle difficoltà, voi intervenite? LEONARDO MESSINA. Sì, interveniamo sempre, in ogni caso. PRESIDENTE. Quindi, intervenite anche per favorirlo nel mercato, per fargli vincere gli appalti eccetera, anche se è fuori della Sicilia? LEONARDO MESSINA. Sì, ovunque, anche perché le ditte del nord che vengono al sud si debbono adeguare al nostro comportamento. PRESIDENTE. Quindi, le regole degli appalti che lei ha qui indicato valgono anche nelle regioni dove è più forte la presenza di Cosa nostra, per esempio in Calabria, in Campania e in Puglia? LEONARDO MESSINA. In Calabria è come da noi. Non si può posare uno spillo senza il permesso della famiglia locale. PRESIDENTE. E in Campania, che lei sappia? LEONARDO MESSINA. In Campania non tutte le famiglie dipendono da una struttura, ci sono delle bande. I vertici sono Cosa nostra, e a volte se li spartiscono. PRESIDENTE. Quindi, mentre in Calabria è come da voi, in Campania c'è più disordine? LEONARDO MESSINA. Sì ma un po' di disordine, un po' di problemi ci sono anche a Catania. PRESIDENTE. Cosa intende per problemi? LEOANRDO MESSINA. A Catania ci sono i gruppi, c'è una forte spinta, per cui deve esserci un accordo a monte, in base al quale si sappia che di qualsiasi lavoro bisogna dargliene una parte, altrimenti finisce a guerra. PRESIDENTE. E in Puglia? LEONARDO MESSINA. Non ne sono a conoscenza. PRESIDENTE. Per la Lombardia ha già detto che non sono arrivati al livello... LEONARDO MESSINA. Almeno quelli che conosco io. PRESIDENTE. Lei ha parlato di rapporti tra uomini d'onore e massoni e mi sembra che abbia sostenuto che il vertice di Cosa nostra sia massone. Qual è il rapporto tra mafia e massoneria? La Pag. 569 massoneria obbedisce alla mafia, come capita per la politica, oppure si tratta di un rapporto di tipo diverso? LEONARDO MESSINA. No, la mafia obbedisce solo a se stessa. Hanno stabilito punti di incontro per vari affari, per giustificare un processo, un grosso appalto. PRESIDENTE. Quindi, è una sede in cui ci si incontra... LEONARDO MESSINA. Per forza, è un passaggio obbligato per la mafia che è a livello mondiale. MARCO TARADASH. Il signor Messina è massone? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Ci sono massoni che non sono uomini d'onore e che vi aiutano? LEONARDO MESSINA. A San Cataldo sì. Alcuni non sono mai stati presentati ritualmente. Si dice che siano massoni... PRESIDENTE. I massoni sono utilizzati in qualche settore particolare? LEONARDO MESSINA. A Cosa nostra interessa tutto, soprattutto i processi, gli appalti e i contatti esterni. PRESIDENTE. Lei è al corrente dell'esistenza di due rami della massoneria? LEONARDO MESSINA. No, non ne sono al corrente. So che ce ne è una ufficiale e un'altra... So quello che dicono i giornali. PRESIDENTE. Ma lei fa riferimento ad entrambe le massonerie o ad una in particolare? LEONARDO MESSINA. No... E' un'ala della massoneria che è segreta. E' una setta segreta, cioè non è ufficiale. PRESIDENTE. Della massoneria ufficiale o dell'altra? LEONARDO MESSINA. In pratica, c'è una parte della massoneria che è coinvolta con noi e che non ha niente a che vedere con la massoneria ufficiale. Non è scritto in alcun posto che Totò Riina o Leonardo Messina sono iscritti alla massoneria. PRESIDENTE. Dunque, distinguiamo le questioni. La prima è che il vertice di Cosa nostra è massone, però lei dice che non si troverà mai alcun documento in cui questo sia scritto; la seconda è legata alla funzione della massoneria, a proposito della quale lei ci ha spiegato che garantisce favori giudiziari, appalti eccetera, e che possono anche esservi uomini della massoneria che non sono uomini d'onore ma che li aiutano lo stesso. LEONARDO MESSINA. Sì, è così. PRESIDENTE. Le massonerie sono due, una più importante, un'altra... LEONARDO MESSINA. Quella ufficiale... PRESIDENTE. No, sono entrambe ufficiali ma diverse, è come se fossero due partiti diversi. Lei sa se gli uomini della massoneria che erano vicini a voi appartenevano a entrambe? LEONARDO MESSINA. No, non lo so. Uomini della mia famiglia erano capi mandamento, controllavano la provincia di Caltanissetta ed erano massoni. PRESIDENTE. Non sa di quale obbedienza massonica fossero? LEONARDO MESSINA. No, non lo so. PRESIDENTE. Lei ci ha detto che i livelli d'iscrizione sono segreti, cioè non ufficializzati. E' così? Pag. 570 LEONARDO MESSINA. Sì, è così. PRESIDENTE. Quindi, non si tratta di un rapporto come quello tra politica e mafia. Si entra in massoneria perché è utile per compiere affari, per ottenere favori eccetera. LEONARDO MESSINA. E' così. PRESIDENTE. Che lei sappia, Pino Mandalari è uomo d'onore? LEONARDO MESSINA. Non lo conosco. PRESIDENTE. Sa se è un massone? LEONARDO MESSINA. Non mi dice nulla questo nome. PRESIDENTE. Per quanto riguarda Giacomo Vitale, ha già detto prima che era massone... LEONARDO MESSINA. No, avevo detto Stefano Bontade, Terminio... PRESIDENTE. Il nome di Giacomo Vitale non le dice nulla? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Le risulta che Michele Greco fosse massone? LEONARDO MESSINA. Dicono che sia massone, però non mi sono mai incontrato con Michele Greco né con Terminio e con altri. PRESIDENTE. Le risulta che Liggio sia massone? LEONARDO MESSINA. Non lo so. PRESIDENTE. Prima, lei ha fatto un cenno interessante quando ha detto "tanto è vero che Sindona è venuto a San Cataldo". Può dirci qualcosa di più su questo punto? LEONARDO MESSINA. Sindona è venuto a San Cataldo ma non per ordine di Cosa nostra bensì per ordine della massoneria. Lo aveva affidato Stefano Bontade a Terminio. Cosa nostra ufficiale non era al corrente della presenza di Sindona da noi. Ne erano al corrente soltanto Terminio e Gaetano Piazza, massoni di San Cataldo. PRESIDENTE. Sindona cosa era venuto a fare in Sicilia? LEONARDO MESSINA. Occupava un appartamentino vicino a mia madre, in un quartiere popolare. Era venuto a nascondersi per qualche giorno. PRESIDENTE. Perché? LEONARDO MESSINA. Il perché l'ho appreso dopo dai giornali. PRESIDENTE. Perché è venuto proprio a San Cataldo? LEONARDO MESSINA. Consideri che Nicola Terminio, capo mandamento, appartenente alla mafia, era massone e aveva affiliato Stefano Bontade nella massoneria. PRESIDENTE. Quindi, è Terminio che gli ha offerto questa possibilità? LEONARDO MESSINA. Sì, Gaetano Piazza e Terminio. PRESIDENTE. Lei non sa cosa ha fatto Sindona a San Cataldo. Non ha visto chi ha incontrato? LEONARDO MESSINA. A San Cataldo è stato a casa di Piazza e della mamma di Terminio. Ha lasciato un libro con una delega... PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare del notaio Cordaro, di Caltanissetta? Pag. 571 LEONARDO MESSINA. No, ho sentito parlare del notaio La Spina, di San Cataldo, che è palermitano. Si dice che sia massone. PRESIDENTE. Quindi, del notaio Cordaro non ha mai sentito parlare. Eppure, Caltanissetta non è una metropoli, i notai saranno tre o quattro! LEONARDO MESSINA. Lei non deve considerare il fatto che siamo vicini, deve considerare quando divengo persona che può sapere certe cose. Non tutte le persone sanno, non tutte hanno la confidenza... PRESIDENTE. Le ho chiesto soltanto se ne aveva mai sentito parlare. LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di una persona che si chiama Miceli Crimi? LEONARDO MESSINA. Sì, sui giornali. PRESIDENTE. Non direttamente? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Sapeva che Sindona era massone? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Che era iscritto alla loggia P2? LEONARDO MESSINA. Questo l'ho saputo dai giornali. A me dicono "massone", non l'appartenenza. PRESIDENTE. Di Carlo Morana sa nulla? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Non le dice niente questo nome? LEONARDO MESSINA. No, comunque so che c'è una cellula della massoneria a Caltanissetta. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di una loggia Diaz? LEONARDO MESSINA. No, a me non hanno mai detto i nomignoli di appartenenza. PRESIDENTE. Sapeva che c'era una loggia massonica a Palermo in via Roma? LEONARDO MESSINA. No, questo non lo so. PRESIDENTE. Che ci fossero logge massoniche a Trapani lo sapeva? LEONARDO MESSINA. Mi hanno detto che Mariano Agate era massone. E' il rappresentante della provincia di Trapani. PRESIDENTE. Della loggia Scontrino ha mai sentito parlare? LEONARDO MESSINA. No. Sono stato quasi un anno al carcere di Trapani con i reggenti della famiglia di Trapani. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di una specie di patto tra mafia e massoneria alla fine degli anni settanta, per cui si decise che i mafiosi importanti avrebbero potuto entrare nella massoneria? LEONARDO MESSINA. No, non ne ho mai sentito parlare. Ci sono stati momenti nella mia vita - ero un ragazzo - nei quali abbiamo controllato alcuni obiettivi da assaltare. Aspettavamo un ordine perché dovevamo assaltare la caserma dei carabinieri e altri uffici. PRESIDENTE. Quando? LEONARDO MESSINA. Avevo circa 16 anni. Pag. 572 PRESIDENTE. Quando è nato? LEONARDO MESSINA. Sono nato nel 1955. PRESIDENTE. Quindi, intorno al 1971? LEONARDO MESSINA. Sì, 1970-1971. PRESIDENTE. Sono i tempi del golpe Borghese? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Avete avuto ordine di fare questi assalti? LEONARDO MESSINA. Eravamo pronti ad assaltare caserme e prefetture, municipi e tutto. PRESIDENTE. Chi aveva dato quest'ordine? LEONARDO MESSINA. Noi prendevamo ordini dal vecchio Calì di San Cataldo. Eravamo circa 20 giovani, uomini d'onore ed avvicinati, i figli del Calì ed io che ero il nipote. PRESIDENTE. Una volta assaltati quegli obiettivi, cosa dovevate fare? LEONARDO MESSINA. Aspettavamo già da giorni l'ordine di occupare che poi non è arrivato. PRESIDENTE. Perché non è arrivato? LEONARDO MESSINA. Non avevo titolo per farmelo spiegare. Sapevamo di dover controllare, avevamo pronti i mezzi e le armi, eravamo a disposizione, seduti. PRESIDENTE. Quella fu l'unica volta o è successo in altre occasioni? LEONARDO MESSINA. E' successo in due occasioni. PRESIDENTE. Può dire quale fu l'altra? LEONARDO MESSINA. Intorno alla fine del 1973 avevamo l'ordine di assaltare soltanto la caserma. PRESIDENTE. Fine del 1973 o 1974? LEONARDO MESSINA. Fine 1973, 1974. PRESIDENTE. Cioè, fine del 1973 e inizi del 1974? LEONARDO MESSINA. Già ero diciottenne. Purtroppo la mia pecca è di non ricordare le date precise. PRESIDENTE. Faceva caldo o freddo? LEONARDO MESSINA. Una volta mi hanno chiesto se c'era luce o il buio. Comunque, penso fosse novembre, alla fine dell'autunno. PRESIDENTE. Questi contatti tra Cosa nostra e la massoneria si limitano alla Sicilia oppure no? LEONARDO MESSINA. No, non si limitano alla Sicilia. Ho detto che a Cosa nostra sta stretta la Sicilia. PRESIDENTE. Quindi questi rapporti sono anche in altre regioni? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Le uniche cose che lei sa del tentativo di colpo di Stato del 1970 sono che stavate ad aspettare un ordine che non è arrivato? LEONARDO MESSINA. Sì. C'erano altri due o tre ragazzi giovanissimi, poi gli altri erano gli uomini d'onore e gli avvicinati. Pag. 573 PRESIDENTE. Ha mai saputo di un rapporto tra il soggiorno di Sindona in Sicilia e l'omicidio del giudice Terranova? LEONARDO MESSINA. No, non ne ho saputo niente. PRESIDENTE. Dell'omicidio del giudice Terranova ha mai saputo qualcosa in particolare? LEONARDO MESSINA. No. La mattina che hanno ucciso il giudice Scaglione, il mio rappresentante, ancora non ero in famiglia, mi disse: "Vidi come l'ammazzammu?"; cioè era partecipe, era il consigliere della provincia di Caltanissetta. PRESIDENTE. Perché Scaglione era stato ucciso? LEONARDO MESSINA. Non me lo ha detto, però aveva commentato quell'omicidio dicendo: "Noantri fummo". Allora ero avvicinato. Io sono stato avvicinato sin da bambino. PRESIDENTE. Non sa perché Sindona andò via dalla Sicilia? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Non ne avete mai parlato? LEONARDO MESSINA. No, non ne abbiamo mai parlato, anche perché gli altri non sapevano niente. PRESIDENTE. Ricorda il nome di Troja Alessandro? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Sa chi é? LEONARDO MESSINA. Alessandro Troja è quello del sequestro dell'onorevole Verzotto. L'ho conosciuto in carcere tra la fine del 1975 e il 1977, egli era in carcere con noi. Quest'uomo è stato ucciso circa due anni fa in Svizzera. Aveva tantissimi contatti; a suo dire, perché non ho mai constatato niente, lavorava per i servizi segreti. Se era vero non lo sapevo, comunque era in grado di muoversi liberamente. PRESIDENTE. In che circostanze è stato ucciso? LEONARDO MESSINA. L'ho appreso dai giornali. Lo hanno ucciso in Svizzera. Comunque è stato ospite in casa mia, conosceva mia figlia. PRESIDENTE. Continuò a tenere rapporti con Verzotto anche quando era latitante? LEONARDO MESSINA. No, non aveva una lira quando l'ho conosciuto. L'ho ospitato a San Cataldo. MARCO TARADASH. Che anno era? LEONARDO MESSINA. Tra il 1979 e il 1980, quando sono tornato dal soggiorno obbligato. PRESIDENTE. Può indicare i casi concreti di favori giudiziari ricevuti? L'attenuazione delle pene è uno di questi. LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Le assoluzioni? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. E' mai capitato che qualcuno vi avvertisse di un mandato di cattura? LEONARDO MESSINA. A noi come paese no, perché il contatto lo ha la provincia. So l'uomo del contatto ma non lo abbiamo avuto noi soldati o il capo famiglia. Pag. 574 PRESIDENTE. Però vi è capitato che qualcuno vi dicesse che era il momento di cambiare aria? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Era un caso raro o abbastanza frequente? LEONARDO MESSINA. Nelle maggiori occasioni. Quando si è pentito Calderone, la notte dovevano fare il blitz e noi lo sapevamo dalle due di pomeriggio a San Cataldo, figuriamoci a Palermo. PRESIDENTE. Sapevate che era stato arrestato Calderone? LEONARDO MESSINA. Sì. Sapevamo che dovevano effettuare il blitz. Quella notte non c'era nessuno a San Cataldo. PRESIDENTE. Si ricorda il periodo? LEONARDO MESSINA. Credo intorno al 1987. PRESIDENTE. Credo sia un fatto la cui data possiamo acquisire. Anche la questione del soggiorno obbligato era, diciamo così, aggiustata? LEONARDO MESSINA. Sì. I piccoli andavano al soggiorno obbligato, i più grossi non ci sono mai andati. Sono andato al soggiorno da ragazzo, poi tutte le pratiche me le sono aggiustate. Non sono mai più partito, solo una volta nel 1978. PRESIDENTE. Come avveniva l'aggiustamento? Lo faceva la provincia o lei direttamente? LEONARDO MESSINA. Ero un uomo della provincia per cui passava attraverso di loro, ma avevo anche un contatto personale. PRESIDENTE. Di tipo giudiziario o di polizia? LEONARDO MESSINA. Di tipo giudiziario. PRESIDENTE. Un magistrato o un cancelliere? LEONARDO MESSINA. Un pretore onorario. PRESIDENTE. Cioè, quell'avvocato che cita nell'interrogatorio? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. La questione dei giudici amici di Cosa nostra era presente anche a Palermo, non solo a Caltanissetta? LEONARDO MESSINA. Sì. Qualche nominativo è tra i palermitani, si è saputo. PRESIDENTE. A Roma anche? LEONARDO MESSINA. Non ne ero a conoscenza. PRESIDENTE. Le è stato detto per caso che c'erano dei giudici amici? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Erano giudici di origine siciliana o no? LEONARDO MESSINA. Quando mi dicevano le cose non potevo domandare se il giudice era siciliano. PRESIDENTE. La stessa cosa accadeva per appartenenti alla polizia, ai carabinieri e così via? LEONARDO MESSINA. La mafia ha fatto sempre depistaggi nei confronti delle forze dell'ordine perché i marescialli e i questori si sono accontentati sempre di prendere qualcuno con la pistola. Pag. 575 PRESIDENTE. Prendere qualcuno con la pistola vuol dire prendere soltanto un esecutore? LEONARDO MESSINA. No, qualcuno faceva depistaggio. Quasi la metà degli uomini d'onore è in contatto con il maresciallo del paese, o con qualche funzionario, ogni tanto gli fa arrestare qualcuno, qualche ragazzo, si tira avanti. GIROLAMO TRIPODI. Per porto abusivo d'armi. PRESIDENTE. Vuol dire questo? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Qual è la condizione dei detenuti in carcere? E' un problema grave essere in carcere? Siete contattati ugualmente? LEONARDO MESSINA. Prima non era un problema grave, ora è diventato gravissimo. PRESIDENTE. Perché? LEONARDO MESSINA. Perché prima si aveva il riscontro che si era sempre appartenenti ad una famiglia. Anch'io sono un po' l'artefice di questa situazione; c'ero io quando hanno preso la decisione che chi era in carcere doveva farsi gli affari suoi. PRESIDENTE. E' stata una decisione di Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Sì, della regione. PRESIDENTE. Chi è in carcere è andato... LEONARDO MESSINA. Chi è in carcere può essere solo assistito, mantenuto, ma non può mandare ordini. Questo però non è valso mai per tutti. Siccome a volte un soldato o un'altra persona mandava a dire delle cose, hanno detto che quando erano in carcere si dovevano occupare dei propri affari carcerari. Quando i detenuti sono in carcere e appartengono a varie famiglie, si crea una struttura all'interno del carcere, una vera e propria famiglia; nulla può avvenire dentro il carcere senza che tutti gli uomini d'onore detenuti non lo sappiano. PRESIDENTE. Quindi, se vi fosse un frequente spostamento di carcere degli uomini d'onore sarebbe una fatica ogni volta ricostruire questa cosa o no? LEONARDO MESSINA. L'unica linea è quella là. Non si può rimanere nella stessa zona in cui si è nati, perché le guardie e la direzione sono succubi, perché si muore. PRESIDENTE. Questo in tutte le carceri? LEONARDO MESSINA. Consideri che siamo padroni del territorio della nostra zona e nelle carceri calabresi; vi sono alcune carceri, dove sono padrone le guardie e bisogna stare un po' zitti. PRESIDENTE. Quindi, in Sicilia e in Calabria siete padroni voi? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. In Campania? LEONARDO MESSINA. In Campania in passato sì; ora per chi arriva viene "buttato" il 416-bis e piglia legnate in matricola. Già ci sono problemi in matricola; debbono dimostrare chi comanda e allora devi stare a posto fin da quando entri. Te lo dicono prima. PRESIDENTE. Questo da parte della vigilanza? LEONARDO MESSINA. Da parte delle guardie. PRESIDENTE. In Puglia? Pag. 576 LEONARDO MESSINA. In Puglia è la stessa faccenda, ma sono un po' diversi come comportamento; essendo una mafia giovane, sono tutti orecchini, capelli lunghi, coltellate, come noi eravamo venti anni fa. PRESIDENTE. Le è mai capitato di ricevere ordini in carcere dall'esterno? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Che tipo di ordini? LEONARDO MESSINA. Di stare attento a delle persone contro di noi o a delle persone che io non avevo presentato, di mettermeli vicino, di stare attento a delle dichiarazioni. PRESIDENTE. Le è mai capitato, stando in carcere, di partecipare a decisioni di Cosa nostra esterne? LEONARDO MESSINA. L'uomo detenuto no; non può dare, a meno che non sia una persona importante, un rappresentante provinciale o altro. Un soldato deve stare al suo posto; ti mantengono in carcere, l'avvocato, ma non puoi ... a meno che non hai bisogno, dici "c'è una guardia che mi infastidisce", mandi a dire, allora va bene. PRESIDENTE. Questo soprattutto in Sicilia? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Quindi, da quello che ho capito, dovrebbe seguirsi il principio per cui gli uomini d'onore non dovrebbero essere detenuti né in Sicilia né in Calabria? LEONARDO MESSINA. Sì. Appena si sale dalla Calabria, le carceri non sono uguali. PRESIDENTE. Quali sono le carceri considerate meno affidabili? LEONARDO MESSINA. Consideri che, per esempio, San Cataldo è un carcere giovane, lo hanno aperto ora, però lo hanno in pugno le guardie e il direttore. Intanto, sono tutti giovani che debbono fare tre-quattro anni; le guardie hanno un certo atteggiamento e guai a chi parla, devi fare il detenuto, ti danno quello che ti tocca, senza possibilità... E' una struttura nuova ed è così. PRESIDENTE. Quindi anche in qualche carcere siciliano siete chiusi. LEONARDO MESSINA. Certo. Consideri che sono carceri dove ancora non è andato a finire nessuno importante; appena ci andrà qualcuno di importante, si prenderà il provvedimento che tocca. PRESIDENTE. E' mai capitato che qualche guardia sia stata uccisa o ferita o intimidita perché era troppo dura con voi? LEONARDO MESSINA. Anche presa a pugni, a legnate, corridoio corridoio. Negli ultimi tempi, eravamo circa ottanta uomini d'onore: eravamo tanti, ci sentivamo forti perché eravamo tante famiglie. PRESIDENTE. A San Cataldo? LEONARDO MESSINA. A Caltanissetta. PRESIDENTE. Lei ha parlato di manovrabilità dei magistrati, dicendo che c'erano dei magistrati manovrabili. A chi o a che cosa intendeva riferirsi? LEONARDO MESSINA. Non mi ricordo di questa cosa. PRESIDENTE. Non ricorda di aver usato il termine "manovrabilità"? LEONARDO MESSINA. C'erano magistrati per cui, anche se facevano il tribunale della libertà, qualcuno se l'è "scapezzata" perché era raccomandato dalle persone adatte. Ci sono soggiorni Pag. 577 obbligati che vanno venti volte al Consiglio e pigliano sempre. Avevo un soggiorno dal 1986 e me lo hanno discusso nel 1990; mi è costato cinquanta milioni. Poi mi è toccato pagare l'avvocato che diceva che era stato lui, mentre invece ero io che facevo rimandare questa cosa. PRESIDENTE. Il rinvio del processo è un altro dei favori che vi servono? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Sono mai capitate cose di questo genere relativamente ai processi per le misure di prevenzione, il sequestro dei beni, la confisca e via dicendo? LEONARDO MESSINA. Consideri che per il sequestro dei beni nella nostra zona parlano, parlano, ma non hanno mai fatto niente; non hanno mai sequestrato i beni nella mia provincia a nessuno, a meno che non era un povero diavolo. PRESIDENTE. Ci sono i presupposti per confiscare beni nella sua provincia? LEONARDO MESSINA. Ci sono persone che hanno fatto i minatori ed hanno venti-trenta miliardi di proprietà. Ho spiegato che gente che ha messo duecento milioni nella droga oggi si trova ad essere ricca. PRESIDENTE. Chiaro. Quando è cominciato il maxiprocesso, che tipo di reazione ha avuto Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Diciamo di sfottò. Si sapeva - anche perché nella mia provincia pochi sono stati presi, qualcuno di contorno - che doveva finire in una bolla di sapone; queste erano le voci che facevano circolare per tranquillizzare gli uomini. PRESIDENTE. Le dissero come si sarebbe fatto perché tutto si risolvesse in una bolla di sapone? LEONARDO MESSINA. Sì. Come in tutti i processi, si diceva che il primo grado sarebbe andato in una maniera. Lei deve capire che nei processi dove ci sono i giurati, appena c'è nel mezzo un uomo d'onore vengono tutti contattati. Appena c'è un uomo d'onore che deve andare ad un processo, tutte le persone sedute là sono "parlate". PRESIDENTE. Ci fu un processo importante per voi, perché Cosa nostra purtroppo ne uscì bene: quello di Catanzaro nel 1970. Si diceva da voi che quei giudici erano stati avvicinati? LEONARDO MESSINA. Di questa faccenda non so niente; ero un po' giovane. PRESIDENTE. Ha spiegato adesso che eravate abbastanza tranquilli per la sentenza della Cassazione, quella che poi invece è stata negativa. LEONARDO MESSINA. Questa è la voce che facevano circolare la provincia, il mandamento e tutti. PRESIDENTE. Come si spiegherebbe, se c'era questa tranquillità, l'omicidio del giudice Scopelliti? LEONARDO MESSINA. Vuol dire che gli avevano parlato e non aveva dato garanzie di poter pigliare quella linea. PRESIDENTE. Cercate di parlare con tutti i giudici o solo con quelli che si presentano come avvicinabili? LEONARDO MESSINA. Con tutti. PRESIDENTE. Poi c'è chi respinge e chi no. Non è che ammazzate tutti quelli che respingono? LEONARDO MESSINA. No. ROMANO FERRAUTO. Qualcuno ha denunciato di essere stato avvicinato? LEONARDO MESSINA. Quasi nessuno. Pag. 578 PRESIDENTE. Non è che - lo dico per i colleghi - uno si presenta dicendo "sono un uomo d'onore" ... LEONARDO MESSINA. Non ci va Leonardo Messina; ci va un imprenditore, ci va un politico vicino che dice: "sa, è un bravo caruso, è successo pure con me". "Ma come, aveva la fedina?". "Ma no, guarda che così... si è rimesso...". D'altronde la magistratura esercita un potere che alla mafia non poteva sfuggire. PRESIDENTE. Cosa nostra può chiedere l'esecuzione di omicidi ad appartenenti alla 'ndrangheta? LEONARDO MESSINA. Vuole sapere se è una cosa ufficiale o di una famiglia che agisce per conto suo? C'è l'ufficialità che riguarda Cosa nostra mentre molte famiglie fanno degli omicidi di cui non si sa nulla. PRESIDENTE. Vogliamo fare entrambi i casi? LEONARDO MESSINA. Dentro alla famiglia ci sono le correnti. Si fa un omicidio da parte di uomini che non appartengono alle zone limitrofe. Molte volte ci siamo serviti dei siracusani o di altre persone, mentre Cosa nostra al suo livello può ordinare tra loro e fare un omicidio nella zona. PRESIDENTE. Quindi può accadere che si utilizzi anche gente appartenente all'ndrangheta. Può accadere che si utilizzino anche criminali comuni? LEONARDO MESSINA. Sì, gliel'ho detto. Quando si è iniziata la corrente corleonese gli omicidi li hanno fatti fare ai siracusani. Noi avevamo i siracusani dentro San Cataldo che uccidevano i Di Cristina. PRESIDENTE. Che fine facevano poi i siracusani? LEONARDO MESSINA. Qualcuno è vivo, qualcuno non c'è più. PRESIDENTE. Sa qualcosa dell'attentato al giudice Carlo Palermo? LEONARDO MESSINA. Ho segnalato che in quel momento la famiglia di Trapani era composta di tre persone. La reggenza sulla famiglia di Trapani era della famiglia di Gibellina. PRESIDENTE. Quindi? LEONARDO MESSINA. La famiglia precedente era quella dei Minore che con l'avvento di Mariano Agati non esiste più nella mafia. MARCO TARADASH. A chi l'ha segnalato? LEONARDO MESSINA. Nella mia dichiarazione ho detto che in quel momento la famiglia di Trapani era composta solo da tre persone, di cui ho fornito i nomi. Non c'era né il rappresentante né altro, ma la reggenza della famiglia di Gibellina. ALFREDO GALASSO. Agati era un uomo d'onore? LEONARDO MESSINA. No. Anche se può essere un uomo di Minore... Con l'avvento di Mariano Agati è sparito Totò Minore, in quanto è diventato il rappresentante provinciale. PRESIDENTE. Agati è massone? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Prima ha accennato al problema del riciclaggio, cioè nascondere le origini del denaro. Per quello che lei sa, come avviene il riciclaggio? LEONARDO MESSINA. Avevo detto al dottor Borsellino della casa dei soldi e lui si era messo a ridere. Avevo detto che c'era un appartamento pieno di soldi e Pag. 579 che al nord i soldi venivano riciclati piano piano. Quando il traffico è enorme, i soldi sono tanti. Ci sono scaffali pieni di soldi. Anche il dottor Borsellino era incredulo della casa dei soldi. PRESIDENTE. Per riciclare a poco a poco era necessario custodire il denaro liquido. LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Lei sa come si ricicla il denaro? Può spiegarcelo? LEONARDO MESSINA. I personaggi più importanti hanno tutti grosse imprese, con dei prestanome, per il movimento terra, per il calcestruzzo, per l'acquisto e la vendita. PRESIDENTE. Il riciclaggio avviene soltanto in Italia o anche all'estero? LEONARDO MESSINA. Anche fuori. La famiglia di Palma Montechiaro, avendo interessi all'estero, inviava soldi fuori. PRESIDENTE. Dove? LEONARDO MESSINA. In Germania. PRESIDENTE. Il riciclaggio avveniva lì? LEONARDO MESSINA. Lo faceva la decina. PRESIDENTE. Lei ritiene di poter fare il nome di qualche ditta inserita nel meccanismo del riciclaggio? LEONARDO MESSINA. La Valtransport di Dittaino. Ce ne sono a centinaia. CARLO D'AMATO. Ci sono grandi ditte nazionali? LEONARDO MESSINA. La Calcestruzzi SpA di Riina. PRESIDENTE. Poiché il denaro è tanto, ci devono essere anche delle capacità professionali di uomini della finanza, banchieri eccetera. LEONARDO MESSINA. Nella nostra provincia si tenta di tirare insieme a noi dei grossi imprenditori, che non hanno niente a che dividere... E' una zona diversa, non ha molti contatti con noi, ha contatti con il vertice. PRESIDENTE. Quindi gli imprenditori costituiscono il passaggio per i finanzieri? LEONARDO MESSINA. Sì, poi c'è la banca. PRESIDENTE. Lei prima ha accennato al sequestro di persone importanti. Parlando ne ha fatto solo un accenno. Lo ricorda? A cosa intendeva riferirsi? LEONARDO MESSINA. No, ho parlato del tentativo di sequestro avvenuto a Cermignaga, spiegando il motivo del mio incontro con il rappresentante regionale della Lombardia. PRESIDENTE. Poi il sequestro non è stato più fatto? LEONARDO MESSINA. Non l'hanno più fatto, io non c'entro niente; non c'entrava neanche lui. PRESIDENTE. I sequestri in Sicilia non si fanno? LEONARDO MESSINA. C'è ordine di non farli. PRESIDENTE. Fuori si possono fare? LEONARDO MESSINA. Cosa nostra ufficialmente non fa sequestri. PRESIDENTE. Però una mano la date? Pag. 580 LEONARDO MESSINA. Una volta un imprenditore è stato lasciato nella zona di Gela, trasportato in una betoniera di calcestruzzo. PRESIDENTE. Quindi, sottobanco quel sequestro è stato fatto? LEONARDO MESSINA. Sì, qualcuno l'ha fatto. PRESIDENTE. In altre parti d'Italia Cosa nostra fa sequestri? LEONARDO MESSINA. Si dice che Cosa nostra non fa sequestri. PRESIDENTE. Questa è la parola d'ordine. LEONARDO MESSINA. L'ufficialità. PRESIDENTE. Quando abbiamo parlato delle regioni ci siamo dimenticati della Sardegna. LEONARDO MESSINA. Non ho mai sentito che in Sardegna ci siano infiltrazioni di Cosa nostra. Comunque ci sono andati i gelesi e sono giunti a buon punto. C'è una colonia di gelesi su in Sardegna. GIANCARLO ACCIARO. Al nord o al sud della Sardegna? PRESIDENTE. Al nord della Sicilia, vuol dire. LEONARDO MESSINA. Passare lo stretto significa andare in continente. PRESIDENTE. Dopo che è stato effettuato un delitto, le armi vengono modificate o no per impedirne il riconoscimento? LEONARDO MESSINA. Dipende. PRESIDENTE. Cioè? LEONARDO MESSINA. Se hanno gli uomini adatti sì. PRESIDENTE. Se possono lo fanno? Questo è il concetto? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Cosa nostra fa il traffico d'armi a fini di lucro o no? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Cosa nostra traffica droga, tabacco e non le armi? LEONARDO MESSINA. Non so, forse non vuole chiedere. So questo con certezza perché a volte non solo nella mia famiglia ma anche i palermitani ed altri sono andati a "scassare" le casse per avere fucili. PRESIDENTE. C'è una struttura della 'ndrangheta a Roma che fornisce o che ha fornito armi a Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. C'è una telefonata intercettata con me nella quale mi dicevano: siamo pronti a Roma, salite per prendere le casse. PRESIDENTE. Le armi come viaggiano? In macchina? LEONARDO MESSINA. In mille modi: containers per cavalli, pulmini, furgoncini, a piedi, in treno, come la droga. PRESIDENTE. Lei ha spiegato il rapporto di Cosa nostra con la politica, con le istituzioni, con gli imprenditori. Ci sono anche rapporti con medici, avvocati, commercialisti, eccetera? LEONARDO MESSINA. Certo. PRESIDENTE. La presenza riguarda tutti gli strati sociali? Pag. 581 LEONARDO MESSINA. Dallo spazzino a salire. PRESIDENTE. Può spiegare cosa è l'avvocato di corridoio e l'avvocato di controllo? LEONARDO MESSINA. Sì. Nei tribunali quando fanno i consigli, gli avvocati entrano ed escono. Non c'è una porta chiusa. Lei andrà a trovare cinque, sei avvocati. Chi entra, chi esce: c'è l'avvocato di corridoio che deve guardare, anche se non l'hai nominato, ed è lì per controllare. C'è l'avvocato che comunica subito se tu hai sbagliato a parlare durante l'interrogatorio e ci sono gli avvocati che sono uomini d'onore, che è una cosa diversa. PRESIDENTE. Quindi, il secondo è l'avvocato di controllo, quello che deve controllare quello che dici? LEONARDO MESSINA. Qualsiasi cosa. PRESIDENTE. E' nominato per un solo imputato? LEONARDO MESSINA. Cosa nostra usa additare un avvocato ai propri affiliati, che poi se ne scelgono un altro per conto proprio. PRESIDENTE. Quindi uno è di propria fiducia e l'altro è di fiducia di Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Quello di fiducia di Cosa nostra è l'avvocato di controllo? LEONARDO MESSINA. Quasi per tutto, sì: è l'avvocato di controllo. PRESIDENTE. L'avvocato di corridoio, invece, non viene nominato difensore ma sta lì a vedere cosa succede? LEONARDO MESSINA. Sta sempre lì a vedere: entra ed esce. PRESIDENTE. E' pagato da Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Sì PRESIDENTE. Lei ha accennato a rapporti con i NAR: erano al di là della pura occasione? LEONARDO MESSINA. Sono stato mandato in quella occasione insieme a quell'uomo: il contatto non era a San Cataldo, ma era a Palermo. PRESIDENTE. Tramite Palermo vi hanno messo in contatto? LEONARDO MESSINA. Sì; i soldi, 300 milioni, li dovevano dare i palermitani. PRESIDENTE. Ed è l'unico caso di contatto con appartenenti ad un gruppo eversivo? LEONARDO MESSINA. Per quanto di mia conoscenza, sì. PRESIDENTE. La stidda romana aveva contatti con i NAR, secondo quanto le risulta? LEONARDO MESSINA. Praticamente è successo questo: la famiglia di Palma di Montechiaro era una sola ed era tutta unita; poi c'è stata la rottura e alcune decine sono diventate stidda, altre decine sono rimaste Costa nostra ufficiale. Quella di Roma era prima ufficiale e poi è diventata stidda, perché era dietro agli stiddari. MARCO TARADASH. In che anno? LEONARDO MESSINA. Nel 1989, credo; comunque, c'è un fermo dei carabinieri. Pag. 582 PRESIDENTE. Che relazione c'è fra la divisione della famiglia ed il rapporto con i NAR? ALTERO MATTEOLI. Ma nel 1989 i NAR non c'erano più! PRESIDENTE. Non venivano più arrestati. LEONARDO MESSINA. Siamo stati fermati insieme; neanche sapevo chi era, poi. PRESIDENTE. Lei sa qualcosa sul delitto Mattarella? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Lei ha detto che un personaggio fuori confidenza era stato ricontattato da Cosa nostra di Caltanissetta in quanto poteva disporre del gruppo di Siracusa: era un gruppo di killer? LEONARDO MESSINA. Sì; i siracusani erano prima in mano a Giuseppe Di Cristina, poi a Terminio, poi a Iannì, poi a Vincenzo Purcheria. PRESIDENTE. Cosa nostra, come ha già accennato, può utilizzare come assassini persone che non sono uomini d'onore? LEONARDO MESSINA. Sì; quella non era una cosa ufficiale. Dovevano uccidere uomini d'onore. In quel caso hanno ucciso Di Cristina. PRESIDENTE. Per un grande omicidio politico possono esser utilizzati come assassini persone che non sono uomini d'onore? LEONARDO MESSINA. Ho sentito di un caso in cui sono state utilizzate. PRESIDENTE. Persone che non sono uomini d'onore? LEONARDO MESSINA. Sì, quello non era un uomo d'onore, era un tecnico delle armi. PRESIDENTE. Questo tecnico delle armi era la vittima, o l'esecutore? LEONARDO MESSINA. No, era uno che si è occupato anche dell'esecuzione, uno che ha partecipato. PRESIDENTE. Un esecutore? LEONARDO MESSINA. Sì, era un maniaco delle armi e a casa sua hanno trovato il tornio e il resto. PRESIDENTE. Chi è stata la vittima in questo caso? LEONARDO MESSINA. L'onorevole Pio La Torre. PRESIDENTE. Che è stato ucciso, fra gli altri, da un tecnico delle armi che non era uomo d'onore? LEONARDO MESSINA. Sì, c'era anche questo tecnico non uomo d'onore ed è stato ucciso dopo giorni. PRESIDENTE. E' stato ucciso? LEONARDO MESSINA. Sì, l'hanno ucciso in via Folaga il 4 maggio. PRESIDENTE. Può dire il suo nome? LEONARDO MESSINA. Sì, Plicato Loreto. PRESIDENTE. Era siciliano? LEONARDO MESSINA. Era di Vallelunga: è quello che chiamano muto nel film Cento giorni a Palermo. ALFREDO GALASSO. Ha partecipato nel senso che faceva parte del commando? LEONARDO MESSINA. Sì. Pag. 583 PRESIDENTE. Sa la ragione per la quale è stata uccisa questa persona? LEONARDO MESSINA. Si era impegnato per il sequestro dei beni dei mafiosi. PRESIDENTE. No, mi riferivo all'uccisione di Plicato. LEONARDO MESSINA. Plicato ha ucciso il rappresentante ed il sottocapo della famiglia di San Cataldo, ha ucciso uno stiddaro, Giuseppe Temporale e Guido Dellaira ed era in contatto con il mandamento di Palma di Montechiaro. In quella sera che è stato ucciso a Palermo veniva da Palma di Montechiaro ed aveva gli uomini dietro: gli hanno fatto fare l'omicidio e poi lo hanno ucciso. PRESIDENTE. Sa se Cosa nostra, o suoi uomini, si erano attivati durante il sequestro Moro? LEONARDO MESSINA. Non lo so; comunque, ero detenuto e c'erano i ragazzi delle BR, che nulla avevano da dividere con noi. PRESIDENTE. Sull'omicidio Dalla Chiesa sa nulla? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Quando venne ucciso lei era appena entrato in Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. In che anno è stato ucciso? PRESIDENTE. Il 3 settembre 1982. LEONARDO MESSINA. Sono stato affiliato nell'aprile 1982. PRESIDENTE. Quindi, era già in Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Cosa si disse nell'ambito di Cosa nostra quando venne ucciso Dalla Chiesa? LEONARDO MESSINA. Dalle nostre parti, poco. Non c'è stato quel grande messaggio, perché siamo una provincia derivata, anche se in un certo senso siamo entrati nell'indagine perché il giudice Falcone aveva avuto sentore di un incontro tra i siracusani e Vincenzo Purcheria in un ristorante. C'erano stati dei problemi e l'aveva mandati a chiamare. PRESIDENTE. Lei ha spiegato che La Torre è stato ucciso perché voleva la confisca dei beni; perché è stato ucciso Dalla Chiesa? LEONARDO MESSINA. Consideri che a volte vengo a conoscenza di notizie e a volte la regione, o la provincia, non mi deve dire nulla. PRESIDENTE. In questo caso non le hanno detto nulla? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di un gruppo di delinquenti di Roma che si chiama "banda della Magliana"? LEONARDO MESSINA. Ne ho sentito parlare soltanto da un punto di vista giornalistico. PRESIDENTE. Pippo Calò è stato recentemente condannato all'ergastolo per la strage su un treno: non so se ricorda... LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Quella strage venne decisa dalla commissione? LEONARDO MESSINA. Quando lo Stato fa pressione su Cosa nostra, Cosa nostra fa un altro movimento diverso quando allenta la sua morsa. PRESIDENTE. Da un'altra parte? Pag. 584 LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. In questa fase, che tipo di movimento potrebbe fare Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Non vorrei essere preso per visionario, ma penso che dietro gli ultimi fatti ci sia un'espressione della massoneria. Guarda caso, escono quando c'è la morsa, ma non bisogna allentare la morsa. PRESIDENTE. Può spiegare meglio? Escono in che senso? LEONARDO MESSINA. Escono nuove realtà e vengono fuori a livello della televisione, quando impegnano il popolo a nuovi fatti e non a guardare sempre Cosa nostra. PRESIDENTE. Perché si riferisce alla massoneria? LEONARDO MESSINA. Perché penso che dietro ai naziskin ci sia questo. PRESIDENTE. Ho capito, lei pensa che vengano gonfiati di volta in volta alcuni episodi? LEONARDO MESSINA. Sì, lo fanno apposta, per distrarre l'attenzione dalla Sicilia e mandare gli obiettivi su altre cose. PRESIDENTE. Bene, la ringrazio: abbiamo esaurito la prima parte di domande. Ora definiremo un altro gruppo di domande che le rivolgeremo fra breve. (Il signor Leonardo Messina viene accompagnato fuori dell'aula). PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi invito a proporre altre domande da rivolgere a Leonardo Messina. SALVATORE FRASCA. Dovremmo chiedere a Messina di precisare meglio i rapporti fra mafia siciliana e 'ndrangheta: ha detto che esiste un vertice e ne ha indicato il responsabile in Pippo Mazzaferro. Vorrei che il pentito ci dicesse qualcosa di più perché mi sembra che abbia detto alcune cose inesatte. VINCENZO SCOTTI. Sempre con riferimento alla 'ndrangheta, Messina ha detto che è controllata da una commissione che vieta i sequestri: come mai in Calabria avvengono? SALVATORE FRASCA. Messina ha parlato della mafia della Locride, che è la zona dei Mazzaferro, ma non ha parlato della mafia di Gioia Tauro: dovremmo chiedergli se sa qualche cosa di più al riguardo. MAURIZIO CALVI. Credo che debba essere chiarito il ruolo della massoneria negli omicidi Lima, Salvo, Falcone e Borsellino. ALTERO MATTEOLI. Anche se lo ha già fatto in due passaggi, vorrei che parlasse di questa nuova forza politica che starebbe dietro i separatismi. In secondo luogo, Messina ha affermato che, pur essendo Troja in contatto con i servizi segreti, lui lo aveva ospitato a casa; vorrei sapere se a Cosa nostra non dava alcun fastidio il fatto che Troja dicesse chiaramente di essere al servizio dei servizi segreti. Non so, inoltre, se avete avuto la mia stessa impressione e cioè che in tutto il racconto di Messina vi siano tantissime imprecisioni, nonché alcuni passaggi nei quali si contraddice; una cosa però è costante in tutto il suo ragionamento, vale a dire una specie di mitizzazione del vertice di Cosa nostra. Può darsi che la cultura che lo ha accompagnato per tutta la vita lo porti ad affermare che i politici sono i servi di Cosa nostra, i magistrati sono assoggettati e così via. Forse parlandone ancora potremmo capire qualcosa di più. Per quanto riguarda la massoneria, chi ne abbia un minimo di conoscenza - non perché ne faccia parte, almeno per quanto mi riguarda - deve desumere che o in Pag. 585 Sicilia vi è un'altra massoneria, oppure che Messina non ne conosce nemmeno l'abc. Non vorrei che egli usasse il termine massoneria per indicare un'altra cosa; non ne conosce neanche le caratteristiche più elementari e fa una confusione, un cacciucco, una specie di marmellata della massoneria. Uno che arriva a dire che dietro i naziskin vi sono la massoneria e la mafia, cioè una strategia mirata ad allentare la morsa dello Stato ... Le cose sono due: o in Sicilia vi è un altro tipo di massoneria, che configura un'altra Cosa nostra, oppure bisogna capirne qualcosa di più, perché forse Messina si riferisce ad una sorta di P2 o P3. In ultima analisi, Messina ha parlato di magistrati che sarebbero coinvolti in un progetto di golpe. PRESIDENTE. Ha parlato di un colpo di Stato nel passato, ma ha aggiunto che adesso non c'è più bisogno di un colpo di Stato. ALTERO MATTEOLI. Però ha parlato del separatismo, che sarebbe un colpo di Stato indolore. Vorrei un chiarimento su quel passaggio. VINCENZO SCOTTI. Vorrei un chiarimento più puntuale circa i rapporti di Messina con il SISDE, nel 1982 e nelle fasi successive; egli infatti ha dichiarato che vi è una presenza del SISDE comune per comune, cioè un certo controllo diffuso, se ho capito bene. Messina ha inoltre affermato che all'epoca della presenza di Sindona in Sicilia vi fu un controllo dei servizi: in che termini sarebbe avvenuto? La terza questione riguarda il rapporto di mediazione fra imprenditori e politici ai fini degli appalti ed il ruolo di Cosa nostra come è andato evolvendo da una prima fase fino alle vicende attuali: Messina lo racconta con l'inserimento ed il ruolo di Riina in questa direzione, ma vorrei conoscere qualche elemento in più circa il modo in cui è stato attuato questo cambiamento. MARCO TARADASH. Vorrei fare innanzitutto un'osservazione sull'audizione che abbiamo avuto con i giudici di Caltanissetta: nello spiegare e valorizzare molto il ruolo di questo pentito, essi hanno sottaciuto un elemento non secondario di cui invece egli stesso ha parlato, e cioè che sarebbe in contatto con il SISDE dal 1986. Francamente questo non è un elemento che si può sottacere ad una Commissione parlamentare che sta conducendo un'inchiesta. Sappiamo dunque che dal 1986 Messina è in contatto con il SISDE e che in quell'anno ha dato l'informazione che Scarpuzzedda era morto; inoltre nel marzo 1991 avrebbe comunicato che vi sarebbe stata un'importante riunione del governo mondiale, ma il SISDE per qualche motivo non ha preso in considerazione tale notizia. Vi è dunque un rapporto di collaborazione tra il SISDE e questo signore, che bisognerebbe approfondire dal punto di vista dei contatti e delle vacanze (con chi ha trascorso le vacanze, anche se a un certo punto ha precisato che non si trattava proprio di vacanze?); inoltre vorrei sapere dove è andato, dove è stato portato e che frequentazioni ha avuto. Immagino infatti che dal 1986 ad oggi Messina, che è un capo decina, abbia partecipato ad una serie di attività criminali e di omicidi di cui, evidentemente, i servizi segreti erano al corrente; pertanto è stato fatto un doppio gioco da lui, dai servizi segreti o non so da chi altro. Fatto sta che questo non ce l'hanno detto i magistrati, ma ce l'ha detto lui e vorremmo capirne qualcosa di più, anche perché dal 1986 al 1992 la mafia non è certo rimasta inoperosa. In secondo luogo, Messina ha parlato della riunione di Enna, della quale ha avuto notizia, dicendo che vi avrebbe partecipato Bernardo Provenzano. Ha poi aggiunto di non sapere se sia vivo o morto. Se è morto, è difficile che abbia partecipato alla riunione.. MASSIMO BRUTTI. Il problema è successivo, se ho ben compreso. Pag. 586 MARCO TARADASH. Per quanto riguarda la questione dei pentiti, vorrei sapere se all'interno della mafia se ne sia mai discusso, perché mi sembra impossibile che un'organizzazione che controlla tanti traffici, magistrati eccetera non si preoccupi mai di tale questione. Chiedo, quindi, se ci sia mai stata, a sua conoscenza, una riunione in cui si è discusso di una eventuale gestione, da parte di Cosa nostra, dei pentiti. Per esempio, rispetto alle centinaia di arresti operati nei confronti della camorra organizzata, Messina è al corrente di qualche gestione da parte di Cosa nostra, considerato che, se non sbaglio, la camorra organizzata sfuggiva al controllo degli uomini di Cosa nostra all'interno della camorra napoletana? Vorrei sapere, quindi, se in quel caso vi sia stata gestione dei pentiti e se all'interno di Cosa nostra si sia mai posto il problema di inviare alcuni pentiti per aiutare Cosa nostra a cambiare pelle attraverso quello che lui stesso ha definito un aiuto indiretto e involontario da parte dello Stato nel momento in cui ha liberato Cosa nostra da tutta una serie di personaggi. MARIO BORGHEZIO. Ho prestato molta attenzione al materiale sui pentiti che è stato fornito alla Commissione ed ho notato che moltissime pagine, quelle che si riferiscono ai quadri di Cosa nostra, sono dedicate ad esponenti dell'organizzazione nella regione Lombardia. Ciò premesso, ritengo che i commissari, nonostante la vastità delle loro domande, abbiano un po' perso l'occasione, che considero irripetibile, di delineare un quadro più approfondito di una realtà molto preoccupante, considerate le parole del signor Messina, il quale ha parlato di una conquista del territorio in atto. Credo, quindi, che al signor Messina dovremmo rivolgere una serie di domande per conoscere la realtà della situazione attuale, cioè per sapere cosa stia facendo Cosa nostra in Lombardia, in un contesto molto diverso da quello meridionale, dove è evidente che gli appalti sono gestiti in maniera sostanzialmente diversa. Dobbiamo conoscere i rapporti di Cosa nostra con il partito degli affari, con "tangentopoli". Dobbiamo chiederci se le misure di controllo sono o meno adeguate, cosa stanno facendo gli organi di polizia per intralciare la penetrazione territoriale di Cosa nostra e come sono controllati i confinanti. Poiché il signor Messina ha parlato di attività di agenzie immobiliari e finanziarie, vorrei sapere in quali settori ed in quali città esse operino. Per esempio, svolgono un lavoro di supporto a quello del vicino casinò di Campione? E' un caso che i responsabili indicati si localizzano tutti a province di confine, come Varese? E' un caso che in Liguria la zona più endemicamente nota per la penetrazione mafiosa sia quella di Ventimiglia? Per quanto riguarda un altro aspetto dell'attività di Cosa nostra, ho letto con molta attenzione il rapporto del comandante dei carabinieri di Corleone, del 1988, che è ricco di intercettazioni di conversazioni telefoniche - mi pare riferentesi all'utenza del ragionier Mandalari - e che, però, è riferito ad un unico oggetto, cioè quello relativo all'applicazione della legge n. 64 del 1986. Vorrei sapere se il signor Messina sia in grado di fornirci notizie sulle attività di Cosa nostra che, stando a quanto si desume da quelle intercettazioni, sembrano addirittura impiantate ad hoc per inserirsi nell'utilizzazione dei fondi della legge n. 64 e sugli eventuali collegamenti con il fenomeno dell'immigrazione extracomunitaria ad opera del gruppo di Cosa nostra impiantato a Tunisi. FERDINANDO IMPOSIMATO. A proposito dei pentiti, sarebbe interessante conoscere la responsabilità della mafia per quanto riguarda la strategia di sterminio dei familiari dei pentiti. Vorrei, quindi, che il signor Messina ci parlasse, in generale, dei massacri dei familiari di Buscetta, di Contorno, di Badalamenti eccetera e ci dicesse da chi partivano gli ordini. Pag. 587 Per quanto concerne i rapporti con l'ufficiale del SISDE di cui ci ha parlato Messina, poiché sappiamo che il vertice di tale organismo era massone (mi riferisco a Santovito, a Miceli e a tutti gli altri), vorrei sapere se egli ne fosse o meno al corrente. In merito ai rapporti di Cosa nostra con la Calabria e la Campania, vorrei sapere se la regola in base alla quale un certo omicidio non può essere compiuto se non con l'assenso della famiglia competente per territorio valesse anche per queste due regioni, nel senso che era di competenza della famiglia il luogo in cui doveva essere consumato l'omicidio. Per esempio, se Scopelliti fu ucciso in territorio della famiglia De Stefano, ciò significa che essa non poteva non sapere. Infine, per quanto riguarda la banda della Magliana, ricordo che Pippo Calò aveva rapporti con esponenti politici della capitale e con esponenti del mondo industriale, per cui vorrei acquisire notizie più approfondite in merito a tali rapporti, soprattutto su quelli riferiti agli imprenditori e agli uomini politici di Governo. ALFREDO GALASSO. Credo che vi siano due o tre questioni di fondo, una delle quali già posta dai colleghi Scotti e Taradash. Associandomi alle richieste avanzate, manifesto qualche esigenza in più, nel senso che, ad un certo punto, non ho ben capito se Messina, a proposito di una fotografia, si sia riferito o meno al SISDE. Effettivamente, nel 1986 ha inizio il maxiprocesso e per Cosa nostra vengono individuate talune vie strategiche, per cui credo sarebbe importante conoscere da Messina il nome del capitano del SISDE a cui ha fatto cenno, perché potrebbe aiutarci a capire come realmente si siano svolti i fatti in quegli anni. La seconda questione che mi pongo è relativa ad un'altra asserzione di Messina, il quale non ha detto di supporre ma di sapere cosa oggi sia Cosa nostra. Egli ci ha descritto un quadro che va da un forte radicamento territoriale in Sicilia ad una dimensione mondiale, che però a me pare resti anche abbastanza incerta. Ancora di più resto confuso e perplesso quando sento parlare di questa strategia separatista che si svolgerebbe comunque dentro lo Stato. Cosa è questa strategia separatista? Cosa vuol dire? Cosa nostra vuole il suo Stato? Egli ha detto "su questo io so". Tutto ciò configura un qualcosa rispetto al quale continuare a parlare di Cosa nostra diventa perfino equivoco. Ci confondiamo tutti, a questo punto. Ha parlato di governo mondiale e di Riina come rappresentante e di Madonia come suo vice (non più ora). Vorrei capire cosa faccia Riina: è a capo di una strategia separatista in Italia? E' un punto che secondo me resta molto vago e che può essere fonte di confusione. Un altro punto che interessa la nostra Commissione è anch'esso di fondo. Messina dice: "ho saputo di alcuni fatti: attenzione, può succedere che i pentiti siano nel mirino". Vorrei saperne un po' di più, se possibile, su chi, quando e come segue i fatti e le vicende del mondo esterno a Cosa nostra. Chi svolge questa sorta di funzione di osservatorio sulle strategie politiche altrui? Egli dà la sensazione che in questi anni in Sicilia ci sia stata solo Cosa nostra come protagonista di tutta la vita economica, politica, sociale e civile. Così non è e del resto diversamente non si capirebbero le stragi che ci sono state. Poi ci sono due domande più precise. La prima riguarda queste imprese di riciclaggio di cui Messina ha parlato come un modo di articolarsi di Cosa nostra per quanto riguarda gli affari. Forse è opportuno chiedergli se sia a conoscenza, al di là della Calcestruzzi SpA di Totò Riina, di altre agenzie o imprese al di fuori della Sicilia che svolgono questo genere di attività nell'interesse di Cosa nostra e se si tratti di una rete o di presenze occasionali. L'altra domanda è se Messina sappia qualcosa di una storia che rimase abbastanza oscura, quella del giudice Gianfranco Riggio, che si svolse proprio a Caltanissetta. Quel giudice fu avvicinato e poi rinunciò all'idea di andare all'Alto commissariato. Pag. 588 MASSIMO BRUTTI. Sembrerebbe lo stesso modello di comportamento che Messina ha indicato, quindi la domanda è molto pertinente. ALFREDO GALASSO. Vorrei poi sapere da quale fonte abbia avuto conoscenza della partecipazione di Plicato al commando che assassinò Pio La Torre e se Messina sia a conoscenza di altri che parteciparono a questo assassinio. Forse sarebbe opportuno approfondire quanto egli ci ha detto rispetto a questa vicenda di Pio La Torre. Dubito che sappia qualcosa di più e francamente ho l'impressione che abbia ripetuto notizie già lette. Questa vicenda dei provvedimenti di sequestro e confisca dei beni sta poco in piedi, tenendo conto dei tempi dell'iniziativa di La Torre. Sarebbe opportuno verificare se egli sappia qualcosa di più, perché ci furono quelle preoccupazioni. GIANCARLO ACCIARO. Mi soffermo sul separatismo cui ha accennato più volte il collaboratore della giustizia. Vorrei capire se quando parlava di stranieri fuori della Sicilia, in particolar modo in riferimento a quel che avvenne nella zona di Catania, egli si riferiva a un progetto che coinvolgeva anche la Sardegna. Messina dice di essere stato a Prato in soggiorno obbligato e di aver avuto contatti con i sardi. Vorrei sapere se questi contatti abbiano avuto come risultato certi affari o progetti in Sardegna. Mi riferisco a episodi poco simpatici per noi sardi come i sequestri di persona. Messina ha lasciato un dubbio quando ha detto che Cosa nostra non li fa almeno ufficialmente; vorrei capire se invece non ufficialmente li faccia o vi partecipi. Inoltre vorrei sapere se egli ritenga indispensabili per la lotta alla mafia i supercarceri di Pianosa e Asinara. Poiché Messina parecchie volte ha affermato che l'importante per Cosa nostra è evitare gli ergastoli, vorrei sapere se, una volta usciti dal carcere, questi personaggi rientrino a pieno titolo nell'organizzazione. Infine vorrei porre una domanda sugli investimenti dei gelesi in Sardegna e, in particolare, se abbiano ad oggetto il nord o il sud della Sardegna. ALDO DE MATTEO. Una delle cose che mi ha più colpito è il costante richiamo alla massoneria. Però non mi sembra di cogliere nel signor Messina un'idea precisa di massoneria. Qual è la massoneria che conosce? Le persone che normalmente vengono indicate come massoni della provincia vicina o del suo stesso paese? Mi sembra importante avere qualche informazione in più per conoscere qual è la sua idea di massoneria. Riprendendo un argomento sollevato dal collega Galasso, anche a me sembra che il richiamo alla "mondializzazione" di Cosa nostra non sia stato spiegato in modo adeguato. Di questo incarico che sarebbe ricoperto da Riina alla fine troviamo solo il regalo delle scarpe e niente altro. Mi sembra un riferimento che lascia qualche perplessità. La terza questione emersa dall'intero ragionamento è la visione un po' totalizzante di Cosa nostra, al punto che Messina ha fatto affermazioni secondo cui tutto il mondo dell'imprenditoria, delle attività produttive, delle professioni sarebbe collegato in un sistema dal quale resterebbero fuori solo le cose che si ritengono marginali. Anche questa mi sembra un'affermazione spropositata. Un ultimo aspetto riguarda un richiamo fatto da Messina su cui il presidente ha già insistito, per vedere se è possibile cogliere il senso della sua reticenza: quando afferma che tutti i partiti hanno contatti per voti di scambio con Cosa nostra, ad eccezione dei comunisti e dei fascisti, egli aggiunge che vi è anche qualche altro partito, di cui però non fa il nome. Qual è il senso di questo atteggiamento, nel momento in cui alcuni nomi vengono detti? Riterrei infine opportuno rivolgere qualche altra domanda su questa forza politica nuova che sarebbe interessata al disegno di secessione e a quant'altro. GIROLAMO TRIPODI. Sarebbe anzitutto opportuno chiedere a Messina se Pag. 589 sappia qualcosa in merito al suicidio, avvenuto ieri, del giudice Signorino, che ha colpito tutti. Messina ha poi parlato di appalti ma gli è sfuggito oppure non ha voluto trattare un altro aspetto; interesserebbe sapere se, oltre alle tangenti che le imprese debbono dare, vengano concessi lavori in subappalto e quali siano. Un'altra domanda dovrebbe riguardare il modo in cui si interviene sui comuni rispetto alle scelte urbanistiche relative alla destinazione dei suoli a fini edificatori. Visto che ha parlato di massoneria - concordo con tutti i colleghi che hanno manifestato l'esigenza di un maggiore approfondimento - vorrei sapere se è a conoscenza di rapporti avuti da Gelli con Cosa nostra. Egli ha inoltre affermato che la provincia di Messina sarebbe sotto il controllo della 'ndrangheta anziché sotto quello di Cosa nostra, mentre un pentito come Buscetta ha detto qualcosa di diverso. Un'ulteriore affermazione mi sembra molto importante, quella fatta quando sostiene che la difficoltà nel condurre la lotta alla mafia è dovuta alla mancanza di volontà politica. Sarebbe interessante sapere qualcosa di più in proposito, se è un fenomeno generalizzato e come lo giudica. Mi sembra infine che Messina abbia trascurato il rapporto dei mafiosi detenuti in carcere con il mondo esterno. Non mi pare che le sue affermazioni siano molto chiare; Buscetta ha detto altre cose che ci sembravano più precise. PRESIDENTE. Buscetta è di un livello diverso. CARMINE GAROFALO. Vorrei che ci si soffermasse ulteriormente - ma insisto perché la domanda sia rivolta in maniera indiretta - sulla questione dei rapporti con i servizi. Mi sembra che questo sia un aspetto per la verità molto oscuro. Egli dà un quadro secondo cui la mafia controllerebbe tutto; poi dice di aver avuto, pur svolgendo un qualche ruolo all'interno dell'organizzazione, una serie di rapporti con i servizi. La domanda da porre in maniera indiretta dovrebbe essere la seguente: se e in quali situazioni Cosa nostra autorizza e conosce i rapporti dei suoi aderenti con i servizi? PIETRO FOLENA. L'onorevole Grasso ha chiesto di rivolgere qualche domanda sul controllo relativo alla famiglia di Messina e, prima di questo, a proposito di Vaccaro, della mafia del tessile e di Prato, delle zone privilegiate per le latitanze, dei collegamenti della provincia di Messina e, in particolare, dei comuni di Mistretta, Barcellona e Tortorici. Vorrei avere da Messina, in aggiunta ai quesiti posti dall'onorevole Grasso, una ricostruzione in termini sintetici della guerra di mafia a Gela, perché nelle sue dichiarazioni risulta che Iannì era vicino a Santapaola; poi però gli uomini di Madonia fanno questa durissima guerra con Iannì. Si tratterebbe di capire quali siano stati i termini, quali siano le stidde e via dicendo. Dico questo anche in riferimento alla visita compiuta a Gela. In secondo luogo, vorrei sapere che cosa ha da dirci di Vito Ciancimino. In merito alla droga, Messina ha fatto un'affermazione molto netta: Cosa nostra non vende droga in Sicilia perché non vuole rovinare i sui giovani. Come è a tutti noto, in realtà la droga nell'isola si consuma, per cui si tratta di sapere chi la vende. Sono organizzazioni mafiose dissidenti, laterali, piccoli gruppi? Bisognerebbe ancora chiedere se conosce personalmente il mafioso Giancarlo Giugno di Niscemi. In merito alle banche, mi pare che Messina sia un grandissimo conoscitore delle vicende di San Cataldo, gran parte delle sue risposte ruotano su quel mondo, come è naturale. Se non ricordo male, la Banca d'Italia ha dichiarato che in quel centro nella banca locale - non so se la dizione fosse Banca popolare di San Cataldo - nel 1984-1985 - bisogna verificare la data - avveniva riciclaggio da Pag. 590 parte della mafia catanese. Sarebbe interessante se ci raccontasse in proposito del ruolo di Beniamino Maira, massone legato anche a questa banca, che poi stava a Roma, di cui parla nelle dichiarazioni che abbiamo letto. Estenderei la domanda anche ad altre banche presenti nella zona, per sapere in modo particolare se quella di Canicattì viene utilizzata per il riciclaggio. Se ho ben capito, Messina ha dato un giudizio piuttosto drastico sul carcere di Caltanissetta. Esiste tra l'altro un'interrogazione presentata da alcuni parlamentari in cui si sostiene grosso modo la stessa cosa. Vorrei che precisasse questo giudizio. Siamo di fronte, all'interno di quel carcere, ad un potere di Cosa nostra, che controlla il secondo piano ed esercita una funzione di intimidazione? Si tratta di un punto estremamente delicato perché un situazione del genere imporrebbe un intervento. Ha parlato infine dei tre uomini più influenti nei singoli comuni: il sindaco, il maresciallo dei carabinieri e il capo mafia. E' presente però un altro potere, rappresentato dal parroco; vorrei sapere che rapporto ha Cosa nostra, nel sistema delle relazioni a livello locale, con la struttura della Chiesa, se anche in questo caso siamo di fronte a forme di accettazione, di convivenza o di collusione. MASSIMO BRUTTI. In merito ai contatti avuti con esponenti del SISDE nel 1986-1987, vorrei si chiedesse a Messina se si trattasse di informazioni che in qualche modo aveva acquisito nel carcere e se tra queste vi fosse anche quella relativa a indirizzi e numeri telefonici di elementi dei NAR, che egli dice di aver fornito. Vorrei anche chiedere, in rapporto all'uomo dei NAR (che evidentemente deve essere un ex terrorista, uno che aveva avuto precedenti terroristici con i NAR e che poi, come è accaduto per molti, aveva continuato un'attività di tipo malavitoso - l'episodio della rapina di qualche giorno fa dimostra come ci sia questa continuità di comportamenti criminali da parte di personaggi che sono stati a suo tempo coinvolti nel terrorismo nero), chi aveva organizzato l'incontro con l'uomo dei NAR nel 1989? PRESIDENTE. Da Palermo, l'ha detto. MASSIMO BRUTTI. Vorrei chiedere, in sostanza, quale fosse il punto di riferimento. A me sembra particolarmente interessante un aspetto del discorso di Messina che si riallaccia a cose dette perfino da Buscetta negli interrogatori resi a Falcone nel 1984 e a cose che abbiamo letto circa il riferimento ad una struttura supersegreta. Messina, a pagina 9 dell'incartamento che ci è stato fornito, dice che i corleonesi stanno creando una struttura segreta di non presentazione all'interno di Cosa nostra; a pagina 15 riferisce di persone che entrano in Cosa nostra i cui nomi rimangono segreti. Vorrei approfondire questo punto, partendo da un esempio concreto riferito da Messina e precisamente quello di Angelo Siino. Secondo Messina, Angelo Siino fa parte della struttura segreta di non presentazione, è ambasciatore di Totò Riina con l'incarico generale di curare tutto il settore degli appalti. Secondo Messina è massone. A pagina 109 c'è una definizione abbastanza articolata della funzione di ambasciatore quale emissario del rappresentante provinciale, il quale ha contatti diretti con i singoli uomini d'onore a qualsiasi famiglia della provincia appartengano, senza dover tenere conto delle gerarchie interne, delle articolazioni tradizionali. Vorrei sapere se l'ambasciatore ha una delega per materia e l'incarico di occuparsi di un insieme di cose. Nel caso di Siino sembrerebbe di sì. Ma allora Salvatore Ferraro, ambasciatore di Madonia, di cosa si occupa? E' soltanto il rappresentante degli interessi di Madonia che in una questione di appalti cede il passo all'autorità più forte di Riina? Messina dice di essersi rivolto a Ferraro, il quale riferisce che c'era in ballo un interesse di Riina e quindi era meglio lasciare stare. Pag. 591 Vorrei sapere se anche Salvatore Ferraro fa parte di una struttura segreta di non presentazione e se anch'egli è massone. Mi ha particolarmente colpito il riferimento ad una prima disponibilità a collaborare che vi sarebbe stata da parte di Messina all'inizio del 1992, prima di essere arrestato, collaborazione che forse avrebbe potuto evitare il verificarsi di alcune stragi. Per quanto riguarda il sistema degli appalti, vorrei sapere chi ha definito le regole di cui parla Messina. Si tratta di regole imposte da Cosa nostra oppure decise di comune accordo con le altre parti di questo sistema, cioè imprenditori, politici e funzionari che intervengono nella fase dell'esecuzione? Inoltre, a chi ci si rivolge nel caso in cui il meccanismo si inceppi? Decide autoritativamente Cosa nostra, cioè la parte più forte, più spregiudicata, più brutale, oppure c'è una struttura di tipo arbitrale? Ci si rivolge ad una personalità particolarmente autorevole, ad una personalità che può anche non essere uomo d'onore? Può trattarsi di un imprenditore, di un politico? Insomma, vorrei che Messina ci spiegasse come si risolvono i problemi quando questo complesso meccanismo si inceppa, perché è possibile che ciò accada. Tutti coloro che hanno avuto il contatto con i politici devono morire, così dice Messina per spiegare l'omicidio Salvo. Questo vogliono i corleonesi affinché "si perda la memoria storica". Vorrei capire cosa significa perdere la memoria storica e che si devono far fuori gli uomini che svolgevano funzioni di tramite. ANTONIO BARGONE. Messina ha parlato di qualcuno che si è spogliato dei vecchi panni e che adesso fa la lotta a Cosa nostra. A chi si riferisce, cosa vuol dire? SANTI RAPISARDA. L'ha detto. ANTONIO BARGONE. Non ho sentito. Successivamente ha detto che altre volte Cosa nostra ha cambiato nome, precisamente quando ha fatto riferimento alla strategia separatista. PRESIDENTE. Non il nome, ha mutato il carattere. ANTONIO BARGONE. Cosa vuol dire quando afferma che altre volte ciò è accaduto nella storia di Cosa nostra? Parlando della strategia separatista ha fatto riferimento ad alcune forze alleate in questo processo al di fuori della Sicilia, ma non ha detto nulla di eventuali forze presenti nell'isola. Vorrei sapere se conosce quali sono le forze alleate in questo progetto. Inoltre, rilevo una contraddizione nelle dichiarazioni di Messina allorché dice che Cosa nostra controlla anche la 'ndrangheta, mentre all'inizio ha detto che la 'ndrangheta c'è anche in Sicilia e precisamente a Messina. Credo che questo aspetto vada meglio precisato. Vorrei inoltre sapere se Cosa nostra è presente anche in Abruzzo e in Basilicata, soprattutto alla luce del riferimento che è stato fatto al nord della Puglia, a Foggia eccetera. Per quanto riguarda il rapporto con la Sacra corona unita, Messina ha detto che si tratta di una diramazione di Cosa nostra. Vorrei chiedere a Messina se il fondatore della Sacra corona unita, Rogoli, è un affiliato di Cosa nostra e comunque se ci sono affiliati di Cosa nostra ai vertici della Sacra corona unita. In ordine agli avvocati, vorrei chiedere se sono stati effettuati scambi in occasione dei due maxiprocessi, il primo svoltosi a Lecce e il secondo in corso a Brindisi. Sarebbe opportuno sapere se Cosa nostra fornisce assistenza inviando suoi avvocati e se c'è uno scambio in tal senso e se risulta che gruppi di fuoco siciliani o calabresi siano stati utilizzati in Puglia. PRESIDENTE. Vorrei ricordare ai colleghi che prima di concludere i nostri lavori la Commissione dovrà assumere Pag. 592 alcune decisioni. Pertanto abbiamo un problema di numero legale. VINCENZO SCOTTI. Alle 16 dovrei allontanarmi. PRESIDENTE. Non possiamo assumere alcuna decisione se la Commissione non è in numero legale. Pertanto vorrei pregare i colleghi di non allontanarsi. ALTERO MATTEOLI. Sarebbe opportuno evitare interventi chilometrici. PRESIDENTE. Sappiamo come stanno le cose: dobbiamo restare almeno in diciassette e mi richiamo al senso di responsabilità di tutti. GIROLAMO TRIPODI. Non potremmo decidere adesso? PRESIDENTE. No, perché abbiamo già stabilito di decidere alla fine. Proseguiamo nella definizione delle domande. SANTI RAPISARDA. Messina ha detto che Catania si pone sotto certi aspetti in una posizione anomala rispetto a Cosa nostra: dovremmo chiedergli perché. Inoltre gli dovremmo domandare quale ruolo gioca la mafia nei trasporti, soprattutto nel catanese. VITO RIGGIO. Vorrei chiedere come è stato assunto alla miniera di Pasquasia: è stato segnalato da qualcuno? Vorrei poi domandargli chi sono quelli della politica pulita cui si è riferito all'inizio, dicendo che aveva parlato con gente che aveva una visione diversa della politica. Questo argomento si connette alla domanda su quale ruolo egli ritenga che svolgano altri tipi di organizzazione della società civile di Caltanissetta (per esempio, organizzazioni cattoliche e sindacato), perché sembrerebbe che non vi siano realtà diverse da quella che ha descritto. Inoltre, cosa voleva esattamente dire quando ha affermato: sappiamo che alle origini dello Stato c'è stato un compromesso tra mafia e politica? Nell'ideologia che fra loro si raccontano, c'è qualcosa di più preciso al riguardo? Ancora: cosa significa che oggi tutto il passato deve essere eliminato, come tutti i politici che sono stati utilizzati? Ci sono già, e quali sono, forme diverse di rapporto nel rinnovato patto tra la nuova mafia di Riina e la politica? Infine, vorrei capire meglio la sua affermazione secondo cui tutta l'imprenditoria (la grande imprenditoria nazionale, quella regionale e quella locale) è, direttamente o indirettamente, coinvolta. Da quanto afferma, sembra che sia a conoscenza diretta di una serie di operazioni, alcune effettuate da lui stesso sul territorio (ha parlato di provincia amministrativa, e quindi di investimenti provinciali e comunali). Di grandi investimenti sa qualcosa? Il meccanismo è lo stesso, oppure non sa niente e arriva a descriverlo - come ha già detto con i giudici - in termini di teorema generale? PAOLO CABRAS. Nei verbali che abbiamo letto, Messina dice di aver distribuito, come emissario di Cosa nostra, il denaro proveniente dalle tangenti delle ditte per gli appalti sia alla famiglia mafiosa di Caltanissetta sia ad un intermediario (quel Caluzzo di cui ci ha parlato) che rappresenterebbe politici palermitani. Ecco, rispetto allo schema di un interessamento tutto volto alla gestione territoriale, salvo la percentuale che va ai corleonesi, non capisco questo ruolo di ambasciatore e di mediatore (se ho capito bene, leggendo i verbali) di Messina a Palermo, attraverso Caluzzo, con riferimento a politici palermitani. Vorrei inoltre sapere se si tratta di rappresentanti politici nella regione Sicilia. Tornerei poi sulla vicenda della trasformazione e del cambiamento radicale degli interessi e delle alleanze politiche della mafia: non desidero sapere alcun nome di politico, ma dopo che egli stesso conferma - come tutti hanno confermato - la tradizionale vocazione della mafia a privilegiare i partiti di Governo, questo cambiamento per il futuro rimane nebuloso, Pag. 593 non si capisce dove si orienta, come e perché, e quale valenza politica abbia. Siccome Messina insiste al riguardo e addirittura giustifica l'uccisione di Salvo Lima proprio con queste asserzioni, dobbiamo saperne qualcosa di più. Inoltre, nell'ambito delle domande sulla vicenda SISDE già formulate dai colleghi Taradash, Scotti e Galasso (e che condivido) vorrei che fosse chiarito - anche per il riferimento ad un rappresentante del SISDE in ogni comune - se ci siano stati consuetudini e contatti anche con altre forze dell'ordine, per esempio con i carabinieri. Vorrei che fosse spiegata meglio la rete dei suoi contatti, se non erro tutti precedenti al pentimento, perché sappiamo che dopo viene gestito da altre strutture. MARCO TARADASH. Dovremmo chiedergli anche perché non ha voluto parlare con i magistrati di Palermo, come risulta dai verbali. PRESIDENTE. D'accordo, colleghi, possiamo far rientrare in aula Leonardo Messina. (Il signor Leonardo Messina viene accompagnato nuovamente in aula). PRESIDENTE. In questa fase, signor Messina, i singoli parlamentari, dopo aver ascoltato le sue precedenti risposte, richiedono alcuni chiarimenti. In primo luogo, può precisare meglio i rapporti della mafia con la 'ndrangheta: lei, se non erro, ha spiegato che la 'ndrangheta sta assumendo una struttura verticale così come Cosa nostra. E' vero questo? LEONARDO MESSINA. Ho detto che nel regionale alcuni capi della 'ndrangheta sono di Cosa nostra. PRESIDENTE. Quindi, c'è un regionale della 'ndrangheta? LEONARDO MESSINA. Sì, c'è il regionale della Lombardia, che conosco bene. PRESIDENTE. Domandavo se c'è un regionale della 'ndrangheta in Calabria. LEONARDO MESSINA. Sì, c'è un regionale anche in Calabria. PRESIDENTE. Anche in Calabria, per quanto le risulta, il rapporto della mafia con la società e le istituzioni è lo stesso? LEONARDO MESSINA. Sì, praticamente è una di quelle regioni in cui si è padroni del territorio. PRESIDENTE. Lei ha spiegato che Cosa nostra non fa sequestri di persona, almeno ufficialmente; gli uomini che fanno parte della commissione regionale calabrese sono uomini di Cosa nostra, e tuttavia in Calabria i sequestri si fanno. LEONARDO MESSINA. Si fanno a Platì, San Luca, Bovalino, dove ci sono gli stiddari, gli Strangio e gli altri che non hanno a che vedere con la 'ndrangheta ufficiale. PRESIDENTE. La 'ndrangheta ufficiale non interviene? LEONARDO MESSINA. C'è una guerra in corso, da anni. PRESIDENTE. Quindi, praticamente, sarebbero organismi non controllati che fanno queste operazioni? LEONARDO MESSINA. Sì, sono i fuoriusciti dalla 'ndrangheta ufficiale. PRESIDENTE. Come li chiamate? LEONARDO MESSINA. Da noi vengono additati come stiddari, perché sono stati 'ndranghetisti. PRESIDENTE. Per gli omicidi Lima, Salvo, Falcone e Borsellino, la massoneria ha avuto un ruolo? LEONARDO MESSINA. Per rispondere, dovrei dire di più di quello che in Pag. 594 realtà so. Conosco la decisione della mia regione: siccome sono pure massoni, hanno sicuramente deciso da soli ma con le pressioni da altri organismi. PRESIDENTE. Omicidi di questo genere vengono commessi da Cosa nostra consultando in qualche modo la massoneria? LEONARDO MESSINA. Cosa nostra non può comunicare niente alla massoneria. Se un personaggio ha dato disturbo a certi livelli, Cosa nostra si impegna e prende autonomamente una decisione. PRESIDENTE. Quindi il massimo che si può dire è che uno dà fastidio. E' la stessa cosa che spiegava anche per la politica? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Alcuni parlamentari vorrebbero capire meglio la questione dei servizi di sicurezza. Lei ha spiegato che questo Troja diceva di essere vicino ai servizi di sicurezza; ciò nonostante lei lo ha ospitato a casa sua. Non le poneva qualche sospetto il fatto di ospitare a casa una persona che diceva cose del genere? LEONARDO MESSINA. Eravamo stati insieme in carcere per circa tre anni. Consideri inoltri che il vecchio Calì non voleva questa frequentazione e lo ha mandato via da San Cataldo. Vi erano dei sospetti, poi lui è andato al nord con qualcuno di noi per fare delle cose. Quando l'ho conosciuto, ha dato l'impressione di essere un povero diavolo; comunque, era una persona intelligentissima e colta. PRESIDENTE. Il vecchio Calì dunque le vietò di frequentare questa persona. LEONARDO MESSINA. Sì, perché lo frequentavo non solo io ma anche il figlio di Calì, Salvatore. PRESIDENTE. Quindi andò via da San Cataldo. LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. I vertici di Cosa nostra hanno davvero questo grande potere? LEONARDO MESSINA. Cosa intende per grande potere? PRESIDENTE. Il potere di decidere chi vive e chi muore, chi fa o chi non fa gli appalti, chi è eletto e chi non lo è: ha tutta questa grande forza economica? LEONARDO MESSINA. Sì. Già una singola famiglia ha una forza economica rilevante; se una famiglia è funzionale, un uomo d'onore ha circa 300 milioni l'anno in tasca. ALTERO MATTEOLI. Trecento milioni a testa? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Quando parla della massoneria a quale organismo si riferisce? Fa riferimento ad una cosa che conosce oppure le hanno detto "quello è massone"? LEONARDO MESSINA. Parlo perché nella mia famiglia già c'erano Terminio, Borino, Miccichè ed altri che erano massoni; l'aveva quasi imposto la regione perché si trattava di persone di un certo livello culturale, che dovevano ricoprire posti importanti all'interno di Cosa nostra. Un uomo d'onore da solo non può decidere perché ha fatto un giuramento con Cosa nostra; la massoneria è il vertice per fare gli affari di tutti. PRESIDENTE. Quindi è la regione che a un certo punto decide di far iscrivere qualcuno alla massoneria. LEONARDO MESSINA. Una certa corrente. Pag. 595 PRESIDENTE. Che vuol dire "una certa corrente"? LEONARDO MESSINA. Negli ultimi tempi cercavano di attirare le persone più quotate. PRESIDENTE. I corleonesi? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Queste iscrizioni quando sono avvenute? LEONARDO MESSINA. Quando sono entrato a far parte di Cosa nostra, a San Cataldo già Terminio era massone. PRESIDENTE. E gli altri? LEONARDO MESSINA. Miccichè fu affiliato dopo essere entrato in Cosa nostra. PRESIDENTE. Miccichè fu affiliato dopo di lei? LEONARDO MESSINA. Sì. Io sono stato affiliato nel 1982 e Miccichè intorno al 1985. Comunque ci conoscevano sin da bambini. PRESIDENTE. Quindi prima fu affiliato a Cosa nostra. Che qualità Miccichè aveva in più rispetto a lei? LEONARDO MESSINA. Innanzitutto era un maestro di scuola e quindi culturalmente era inserito in un contesto sociale diverso. PRESIDENTE. Miccichè è stato ucciso? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Lei ha accennato più volte alla questione del separatismo ed ha spiegato il tipo di intese che vi possono essere dietro, nonché la ragione e lo scopo del separatismo. Vi sono o meno forze politiche siciliane d'accordo su questo progetto del separatismo? LEONARDO MESSINA. Loro appoggeranno una forza politica a distanza di qualche anno che partirà dal sud. Ora la manovra non viene dal sud. PRESIDENTE. La manovra viene da altre parti, però Cosa nostra appoggerà una forza politica siciliana. E' questo che sta dicendo? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Una forza politica nuova o tradizionale? LEONARDO MESSINA. Nuova, con un nome nuovo. PRESIDENTE. L'ha detto ai giudici questo nome? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione i suoi rapporti con persone del SISDE nel 1984? LEONARDO MESSINA. Loro avevano cercato di contattarmi quando ero in carcere imputato di un omicidio, ma io avevo rifiutato. Li ho incontrati dopo. Mi avevano chiesto di aiutarli a prendere qualche latitante ed avevano una lista in mano; ci siamo incontrati circa quattro volte e sono venuti persino a casa mia. PRESIDENTE. Ma sapevano chi era lei? LEONARDO MESSINA. Sapevano entrambi chi eravamo. PRESIDENTE. Sapevano chi fosse lei e non l'arrestavano? LEONARDO MESSINA. Sì. Ero anche in possesso di un numero telefonico da chiamare se avessi cambiato idea. Pag. 596 PRESIDENTE. Nel senso di collaborare? LEONARDO MESSINA. Non volevano soltanto fare qualche arresto, ma prendere persone importanti. PRESIDENTE. I capi, insomma. LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Il SISDE aveva una presenza comune per comune? LEONARDO MESSINA. Conosco solo il contatto che hanno al mio paese, ma non sono a conoscenza di quelli in altri paesi. PRESIDENTE. Lei sa che in altri paesi vi sono altri contatti, però non sa chi siano. LEONARDO MESSINA. Sì, so che hanno contattato altri paesi. PRESIDENTE. E' un po' esagerato affermare che in ogni paese c'è un contatto o no? LEONARDO MESSINA. Consideri che a loro servono notizie. PAOLO CABRAS. Perché parla di SISDE? LEONARDO MESSINA. Perché ho nome e cognome della persona. PRESIDENTE. Ma sapeva già che era del SISDE ? LEONARDO MESSINA. Così mi hanno detto. PAOLO CABRAS. Loro si sono qualificati come appartenenti al SISDE? LEONARDO MESSINA. Me l'ha detto la persona che me li ha fatti incontrare. PRESIDENTE. Con questi personaggi del SISDE lei si è recato da qualche parte? LEONARDO MESSINA. Loro erano interessati ad avere informazioni perché alla questura di Varese erano sparite delle mitragliette e pensavano che fossero finite prima in mano mia e poi dei romani che a loro sembravano appartenere al terrorismo. Li ho favoriti dando loro il numero di telefono dei romani. PRESIDENTE. Che avevano preso le mitragliette o no? LEONARDO MESSINA. No, le mitragliette le avevano prese altre persone. Me l'hanno detto un anno dopo, confermando quanto avevo dichiarato, e cioè che non le avevamo noi. PRESIDENTE. Lei per quattro volte ha incontrato agenti del SISDE e nessuno della sua famiglia le ha chiesto cosa stesse combinando? LEONARDO MESSINA. Uno di essi ha telefonato persino a casa di mia madre ed aspettava che salissi a Roma per chiarire ... PRESIDENTE. Gli incontri avvenivano a Roma? LEONARDO MESSINA. No, sono avvenuti a San Cataldo; poi gli ho dato un paio di indirizzi di Catania, ma ero impaurito perché, dopo avergli dato gli indirizzi, sfondavano le porte ed entravano dentro. PRESIDENTE. Il fatto che per quattro volte lei abbia incontrato persone del SISDE non poteva indurre in sospetto la sua famiglia? LEONARDO MESSINA. La prima volta che mi hanno contattato l'ho comunicato a Madonia. Pag. 597 PRESIDENTE. Che cosa gli ha risposto? LEONARDO MESSINA. Mi ha detto che avevano contattato anche altre persone e mi ha detto i prezzi che queste persone avevano chiesto per i latitanti. Ho saputo che il prezzo più alto era per Giuseppe Scarpuzzedda. PRESIDENTE. Il problema importante non era evitare che lei avesse rapporti ma che non dicesse ciò che loro chiedevano. LEONARDO MESSINA. Loro sapevano della mia correttezza. PRESIDENTE. Quindi, Cosa nostra si fidava di lei. LEONARDO MESSINA. Sì, certamente. PRESIDENTE. E questo poteva anche essere un rapporto utile a Cosa nostra. LEONARDO MESSINA. Poteva, perché loro avevano bisogno di dare notizie false... PAOLO CABRAS. Lei ha detto di aver avuto incontri con agenti del SISDE anche durante le vacanze. LEONARDO MESSINA. Cosa vuol dire vacanze? PRESIDENTE. All'inizio, lei ha detto che aveva trascorso delle vacanze insieme a queste persone. LEONARDO MESSINA. Non ho detto questo. L'ho incontrato a casa di persone, al mio paese. Una volta è venuto a casa... PRESIDENTE. L'aiuto a ricordare. All'inizio, lei ha detto che dopo si è determinato a collaborare con lo Stato, perché avendo trascorso vacanze insieme a personaggi del mondo legale... LEONARDO MESSINA. Sì, ma prima ha parlato di vacanze con uomini del SISDE, ed io non... Sono stato in giro con delle persone politiche, le ho ospitate da me in campagna. Si trattava di persone politiche che non avevano nulla a che vedere con Cosa nostra, con me, con il SISDE e con altri. Si trattava di imprenditori, di persone che hanno boutiques... PRESIDENTE. In questo quadro non rientra il SISDE, in quanto si tratta di un altro tipo di rapporto? LEONARDO MESSINA. Certo, da me loro volevano soltanto prendere... PRESIDENTE. Provenzano ha partecipato al vertice di Enna? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Le notizie sulla sua possibile fine sono successive? LEONARDO MESSINA. Provenzano deve pagare un conto che ha in sospeso con Riina e Luciano Liggio, cioè l'uccisione del nipote di Luciano e Giuseppe Liggio. PRESIDENTE. E' un delitto che aveva compiuto lui? LEONARDO MESSINA. C'era stato un momento di rottura tra Liggio, Riina e Bernardo Provenzano e ne era seguita la morte di Vincenzo Lo Cascio, per esempio, quello incaprettato alla Favorita, a Palermo... MARCO TARADASH. In che anno? LEONARDO MESSINA. Un paio di anni fa. MARCO TARADASH. E la riunione di Enna quando c'è stata? LEONARDO MESSINA. La riunione di Enna è avvenuta adesso, a marzo. Pag. 598 PRESIDENTE. Cosa nostra ha mai discusso del problema dei pentiti? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. In che termini lo ha fatto? LEONARDO MESSINA. Alcuni uomini di Cosa nostra hanno ucciso anche fratelli dei pentiti. E' stato un uomo d'onore ad uccidere il fratello di Melluso. PRESIDENTE. Quindi, una delle discussioni che si facevano era per vedere come intimidirli? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Si facevano anche altre valutazioni? Per esempio, si suggeriva di fingere che qualcuno dell'organizzazione fosse un pentito, di modo che facesse dichiarazione false? LEONARDO MESSINA. Una delle mie preoccupazioni è proprio che delle persone possano immettersi in un circuito per venirci addosso. PRESIDENTE. Che lei sappia, finora questo è accaduto o no? LEONARDO MESSINA. No, in questo momento... Non lo so. ALTERO MATTEOLI. Non lo esclude? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Dire che non lo esclude può significare molte cose. Il punto è un altro: lei non sa ma non lo esclude. Potrebbe essere ma finora non è accaduto? LEONARDO MESSINA. Il mio problema è quello di un uomo che conosce le loro manovre. Di fronte a tanti collaboratori che stanno spuntando da tutte le parti, penso che qualcuno voglia entrare in qualche circuito, vedere come ci muoviamo e poi colpirci. Può essere anche così. PRESIDENTE. Lei sa che in Lombardia, a Milano c'è stato un grosso giro di appalti, con fenomeni di corruzione eccetera. Cosa nostra ha avuto rapporto con quegli ambienti? LEONARDO MESSINA. Le persone che io conosco in Lombardia no. Le persone che conosco in Sicilia...era sempre Angelo Siino ad occuparsene: se gli imprenditori del nord dovevano partecipare ad un appalto, era impegno suo e di Caluzzo parlargli. PRESIDENTE. Lì, anche al nord? LEONARDO MESSINA. Sì, perché agli appalti partecipano anche le ditte del nord. PRESIDENTE. Per quanto riguarda la presenza di Cosa nostra, lei ha fatto riferimento a Varese, a Como e ad altre zone di confine. E' un caso o c'era una ragione particolare per la presenza di Cosa nostra nelle zone di confine? LEONARDO MESSINA. No, è stato un caso. Quando questi uomini sono partiti erano emigranti, qualcuno era affiliato. PRESIDENTE. Cosa nostra ha messo in piedi attività particolari per sfruttare le leggi sul Mezzogiorno o provvedimenti analoghi? LEONARDO MESSINA. Per quanto mi risulta, no. MARCO TARADASH. L'offerta per l'arresto di Riina quando è avvenuta? LEONARDO MESSINA. Nell'ultimo contatto che ho avuto con il SISDE. PRESIDENTE. Chi decideva l'uccisione dei familiari dei pentiti? Pag. 599 LEONARDO MESSINA. La commissione regionale. Si trattava di un programma. PRESIDENTE. Quindi, un insieme di omicidi da compiere? LEONARDO MESSINA. Certo. Hanno iniziato con l'uccisione del fratello di Melluso (lo hanno fatto di mattina, è storicamente provato), poi hanno ucciso Vitale e, in varie province, tutti gli altri. Quindi, non potendo un organismo occuparsi di tutto, se ne occupava la regione, la commissione interprovinciale. PRESIDENTE. Lei sapeva che in una certa fase i vertici del SISDE appartenevano alla massoneria? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Le regole per l'omicidio che lei ci ha spiegato (cioè che è la commissione a decidere eccetera), valgono anche per la Calabria e per la Campania? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Per tutta la Campania? LEONARDO MESSINA. Quello campano è un atteggiamento particolare. PRESIDENTE. Per la Calabria? LEONARDO MESSINA. In Calabria ci sono le decine, c'è una struttura, però ci sono moltissime bande. Comunque, le bande che appartengono a Cosa nostra seguono questa regola. PRESIDENTE. Può dirci qualcosa a proposito del ruolo svolto a Roma da Pippo Calò? LEONARDO MESSINA. Non ne so nulla, anche perché vengo da una provincia interna. PRESIDENTE. Riina è il capo di questa strategia tendente a separare la Sicilia dal resto d'Italia? LEONARDO MESSINA. Sì, è uno dei capi. PRESIDENTE. E gli altri capi chi sono? LEONARDO MESSINA. I capi della provincia che voi chiamate corleonesi, che sono i rappresentanti provinciali. PRESIDENTE. E' solo Cosa nostra o ci sono anche altre persone, non appartenenti all'organizzazione, a dirigere quest'operazione? LEONARDO MESSINA. Lì dovevano esserci solo le persone che organizzano Cosa nostra. PRESIDENTE. Questo l'ho capito. Parlo della strategia più in generale. LEONARDO MESSINA. Nel senso che vi sono anche politici che appartengono a Cosa nostra o che ad essa sono molto legati. ALTERO MATTEOLI. Quando ha visto l'ultima volta Riina? LEONARDO MESSINA. Non ho mai visto Riina, almeno credo. PRESIDENTE. Lei comprende che questa questione interessa particolarmente la nostra Commissione perché riguarda la struttura dello Stato. Quindi, in merito alla strategia separatista, se ha gli elementi per farlo, può spiegare più approfonditamente alla Commissione cosa vuol dire? LEONARDO MESSINA. In pratica, devono appoggiare nuovi partiti che tentano ... PRESIDENTE. Che tentano di separare la Sicilia dal resto d'Italia? Pag. 600 LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Lei ha detto prima che questi gruppi non vogliono più dipendere dallo Stato nazionale. LEONARDO MESSINA. In un certo senso. Finora hanno controllato lo Stato. Adesso vogliono diventare Stato. ROMANO FERRAUTO. Solo la Sicilia interessa questo movimento separatista? LEONARDO MESSINA. No. Io parlo di Cosa nostra, che è la stessa in Calabria come in Sicilia. PRESIDENTE. Il tipo di separatismo di cui lei ha sentito parlare, di cui si decideva ad Enna, riguardava soltanto la Sicilia o anche altre parti d'Italia? LEONARDO MESSINA. Riguardava l'organizzazione di Cosa nostra. Non si parlava della Sicilia ma dell'organizzazione, quindi delle regioni dove c'è Cosa nostra. PRESIDENTE. Quindi, la separazione dovrebbe riguardare non solo la Sicilia. LEONARDO MESSINA. Sicilia, Campania, Calabria, Puglia. PRESIDENTE. Questo è il tipo di questione che è stato affrontato ad Enna? LEONARDO MESSINA. Sì. CARLO D'AMATO. Anche la Lombardia si doveva separare? LEONARDO MESSINA. Dipende. PRESIDENTE. Quindi, il problema era di disporre di aree sulle quali esercitare un controllo davvero totale, per divenire stabile. Non doveva trattarsi di un controllo di altri ma dell'impossessamento totale. LEONARDO MESSINA. Ma loro sono già padroni del territorio. PRESIDENTE. In queste zone? LEONARDO MESSINA. Sì MARIO BORGHEZIO. Per quanto riguarda la Lombardia, cosa si potrebbe fare per fermare l'espansione territoriale? PRESIDENTE. Credo che questo dovremo chiederlo al capo della polizia. Vi sono imprese che svolgono organicamente un'azione di riciclaggio? LEONARDO MESSINA. Le grosse imprese hanno contatti direttamente con la provincia, perché le singole famiglie non hanno questi contatti importanti. PRESIDENTE. Lei ricorda la vicenda del giudice Riggio di Caltanissetta? LEONARDO MESSINA. Lo conosco. PRESIDENTE. Sa qualcosa di quella vicenda? LEONARDO MESSINA. Fare il magistrato in Sicilia significa anche conoscere le cose siciliane. Il magistrato che si occupa di politica si imbatte in noi, per forza. PRESIDENTE. Quindi? LEONARDO MESSINA. Riggio si imbattè in noi. PRESIDENTE. E allora? LEONARDO MESSINA. Per lui andare avanti, fare politica, come hanno fatto gli altri politici ... fa il magistrato per ottenere voti. PRESIDENTE. Ma Riggio non si è mai candidato! LEONARDO MESSINA. Gianfranco Riggio era candidato nel PSI. Pag. 601 PRESIDENTE. Come ha saputo di Plicato? LEONARDO MESSINA. Conosco Plicato personalmente. PRESIDENTE. Può spiegare meglio le preoccupazioni per le cose che diceva La Torre. Lei diceva che è stato ucciso perché sosteneva il sequestro dei beni. LEONARDO MESSINA. Le mie sono notizie filtrate, ero un organo inferiore all'epoca. PRESIDENTE. In sostanza La Torre all'epoca aveva solo presentato un importante progetto di legge. LEONARDO MESSINA. A chi aveva presentato il progetto si doveva dare il primo colpo. E glielo hanno dato. PRESIDENTE. Il progetto stette fermo per un anno e mezzo, soltanto nell'estate del 1982 fu approvato l'articolo 1. LEONARDO MESSINA. Diciamo che è ancora fermo, qualcosa si è mosso ora. E' stato fermo per anni. VITO RIGGIO. Nel senso che non è stato applicato? LEONARDO MESSINA. Sì, non è stato applicato. PRESIDENTE. Carceri come Asinara e Pianosa sono indispensabili nella lotta contro Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Sono molto importanti, perché per uno che appartiene a Cosa nostra la cosa più brutta è non fargli avere notizie del suo paese, non avere tramite; lì non lo hanno o meglio lo hanno ma ci vuole troppo tempo. Il tempo che passa è assai. Anche nei colloqui c'è ordine di stare zitti perché ci sono microspie dappertutto. PRESIDENTE. In altre carceri ci sono lo stesso le microspie o no? LEONARDO MESSINA. Sì, sono tutti impauriti di questo fatto. Parlano per gesti ma prima di capire qualcosa ci vuole mezz'ora e il colloquio finisce. PRESIDENTE. Quando si esce dal carcere si riprendono subito i rapporti? LEONARDO MESSINA. Uno non cessa mai di essere uomo d'onore, né prima né dopo. PRESIDENTE. I rapporti organici con la famiglia riprendono subito? LEONARDO MESSINA. Appena si esce dal carcere, si fa una riunione, una cena e si presentano i nuovi affiliati all'uomo che è tornato. PRESIDENTE. Questo è il modo per reimmetterlo nel circuito? LEONARDO MESSINA. Sì, ma non ha mai cessato. PRESIDENTE. Questo dominio che lei spiega così opprimente in Sicilia e in Calabria riguarda davvero tutto, non c'è nulla che sfugge? LEONARDO MESSINA. Di che genere? PRESIDENTE. Dal punto di vista dell'imprenditoria, della politica, delle istituzioni. LEONARDO MESSINA. E' totale, da chi pulisce i tombini in su, dal comune alla provincia, alla regione: non si può posare uno spillo in Sicilia senza il volere del rappresentante locale. PRESIDENTE. Il senatore De Matteo le chiede una spiegazione: lei ha detto che Cosa nostra votava tutti i partiti tranne fascisti e comunisti, le due estreme. Poi ha detto che anche altri Pag. 602 partiti non sono stati votati. Come mai, avendo fatto i nomi di due partiti, non vuole fare quelli degli altri? LEONARDO MESSINA. Era vietato per gli uomini d'onore avvicinarsi a quei due partiti, nel modo più totale. Uno può essere di un altro partito, oltre gli ordini di scuderia, ma per quanto riguarda comunisti e movimento sociale non c'era possibilità di avvicinamento. Ci sono ordini di scuderia, non è un volere della famiglia o del paese. PRESIDENTE. Perché non vuol fare i nomi di altri partiti per i quali c'era divieto di voto? O non c'erano altri partiti per i quali vi era un divieto di voto? LEONARDO MESSINA. Non c'erano altri partiti. PRESIDENTE. Neanche recentemente? LEONARDO MESSINA. Recentemente è nato qualche partito nuovo. Si credeva che era un bluff. Si voleva dare qualche dimostrazione bruciando le sedi ma si disse: "Lasciamoli stare tanto sono quattro pazzi". Invece, solo nel mio paese hanno preso 3.339 voti, senza colpo ferire. Sono persone che conosco da 30 anni. Sono persone pulite del paese, che non hanno niente a che vedere con nessuno. PRESIDENTE. Non avete controllato più a questo punto? LEONARDO MESSINA. Nessuno può controllare in questa maniera, perché sembravano quattro sempliciotti e invece hanno avuto questa risposta a San Cataldo. PRESIDENTE. Quindi non è esatto che controllate proprio tutto. LEONARDO MESSINA. Li abbiamo presi sotto gamba. ALTERO MATTEOLI. Hanno preso quei voti alle ultime elezioni politiche? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. I subappalti sono controllati da voi? LEONARDO MESSINA. Sì, in modo totale. Noi viviamo per i subappalti. PRESIDENTE. Vi capita di interessarvi delle scelte urbanistiche dei comuni? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Come si influenzano queste scelte? LEONARDO MESSINA. Al comune ci sono uomini nostri, che abbiamo messo lì, o molto vicini a noi. In un paese ci sono il sindaco, il maresciallo e il rappresentante di Cosa nostra e tutti e tre sanno che ci sono. PRESIDENTE. La Chiesa in che rapporti è con voi? LEONARDO MESSINA. La Chiesa ha capito prima dello Stato che doveva prendere le distanze da Cosa nostra. Prima in un certo senso sembrava che Cosa nostra aiutasse la gente e la Chiesa si prestava a questo ruolo. Da alcuni anni la Chiesa non vuole avere alcun contatto. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare, quando era in Cosa nostra, di Licio Gelli? LEONARDO MESSINA. Mai ufficialmente. PRESIDENTE. Che vuol dire? LEONARDO MESSINA. Non ne abbiamo mai parlato all'interno e nei miei contatti con i regionali non è venuto fuori ufficialmente quel nome. Pag. 603 PRESIDENTE. Perché, è venuto fuori non ufficialmente? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Può spiegare? LEONARDO MESSINA. Non è venuto fuori perché non c'è stata l'occasione di parlarne. PRESIDENTE. Vuol dire che è venuto fuori in modo non ufficiale o non è mai venuto fuori? LEONARDO MESSINA. Non è mai venuto fuori nel contatto che avevo io. Mi trovavo a parlare con un regionale in un contatto, per esempio per un appalto, e non c'era occasione di parlare di queste cose. PRESIDENTE. C'è stata qualche occasione non ufficiale in cui si è parlato di queste cose? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Può spiegare la questione della 'ndrangheta a Messina? Lì non c'è Cosa nostra, c'è la 'ndrangheta? LEONARDO MESSINA. Ci sono pochi uomini d'onore, si erano spostati dei catanesi ma la realtà ufficiale è 'ndrangheta. Lei capisce che sarebbe impossibile che Cosa nostra si faccia rubare il territorio dalla 'ndrangheta: è una sola struttura. PRESIDENTE. Quali sono le zone più utili per i latitanti? Nella zona di Messina ci sono zone utilizzate dai latitanti? LEONARDO MESSINA. Devono avere un controllo totale delle zone perché a loro nulla può succedere. Lo avevano nella provincia di Caltanissetta prima che i riesani dichiarassero guerra; l'avevano nella provincia di Enna perché era terra franca, c'era pochissimo controllo. Devono avere la sicurezza. C'è stato un momento in cui stavano per perire tutti in un colpo perché la stidda stava per ucciderli tutti a casa di Paolo Balbo. PRESIDENTE. Quando? LEONARDO MESSINA. Alla fine del 1986. PRESIDENTE. Può dare qualche spiegazione sulla guerra di mafia a Gela? LEONARDO MESSINA. A Gela opera la famiglia Madonia, che poi non è Madonia, perché originariamente egli è un uomo d'onore della famiglia di Vallelunga; però aveva affiliato a Cosa nostra Salvatore Polara. Prima Niscemi e Gela erano un'unica famiglia perché c'erano pochi uomini d'onore. Conosco tutti i passaggi perché quando sono stato affiliato c'era sia il vecchio Arcerito, un rappresentate di Niscemi che è morto, sia altre persone sia molti gelesi. Poi quando si sono fatti la struttura è diventata autonoma in un territorio dove Cosa nostra non c'era o se c'era era in piccole parti, perciò non erano abituati alla presenza degli uomini d'onore; man mano qualcuno se lo sono affiliato, a qualcuno hanno fatto la guerra. Ma la cosa più forte per i gelesi è quando Riesi si mette in contrasto con i corleonesi, diventano tutti alleati della stidda, diventano tutti stiddari; praticamente Riesi, Mazzarino, un'ala dei niscemesi e un'ala dei gelesi sono stidde. PRESIDENTE. Così si spiega quindi la lotta? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Di Vito Ciancimino ha mai sentito parlare, ufficialmente come dice lei? LEONARDO MESSINA. Si diceva all'interno di Cosa nostra che nulla si poteva muovere a Palermo politicamente senza il volere di Lima e di Vito Ciancimino. Pag. 604 PRESIDENTE. Insieme o separatamente? LEONARDO MESSINA. Insieme. PRESIDENTE. Lei ha spiegato che Cosa nostra non vende droga in Sicilia. LEONARDO MESSINA. Ora. PRESIDENTE. Come mai la droga c'è lo stesso? Chi la vende? LEONARDO MESSINA. Perché ce l'ha qualcuno. PRESIDENTE. Chi è questo qualcuno? LEONARDO MESSINA. Consideri che tutti gli uomini d'onore dicono così, però dietro hanno dei ragazzi, delle batterie di picciotti che fanno il lavoro per loro; ufficialmente non toccano nulla. PRESIDENTE. Serve per i soldi? LEONARDO MESSINA. Sì, anche per il controllo; se no dovrebbero passare ad altri. PRESIDENTE. Che vuol dire? LEONARDO MESSINA. Consideri che la droga porta ricchezza. Se la mafia non ha il controllo di chi spaccia, quelli si appropriano, comprano le armi. Deve avere un controllo per forza, Cosa nostra. PRESIDENTE. Conosce Giancarlo Giugno di Niscemi? LEONARDO MESSINA. Lo conosco perfettamente. PRESIDENTE. Può parlarne alla Commissione? LEONARDO MESSINA. Giancarlo Giugno è un uomo d'onore della famiglia di Niscemi. Era stato scelto dalla provincia per affibbiarlo dietro ad un paio di politici. Dove andavano i politici andava Giancarlo Giugno. PRESIDENTE. A far cosa? LEONARDO MESSINA. Ad accompagnarli; consideri che quando un politico arrivava in un paese c'erano tre carabinieri e venti uomini d'onore che guardavano quel politico che interessava a Cosa nostra. PRESIDENTE. E Giancarlo Giugno era uno di questi. LEONARDO MESSINA. Giancarlo Giugno era uno che camminava con questi. MARCO TARADASH. I nomi dei politici li ha fatti al magistrato? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Tra le banche che facevano questo lavoro per voi c'era anche la banca di Canicattì? LEONARDO MESSINA. Sono a conoscenza della banca Don Bosco. PRESIDENTE. Di dov'è la banca Don Bosco? LEONARDO MESSINA. Di San Cataldo. Parlo di quello che conosco, quell'altro è solo per sentito dire. PRESIDENTE. La banca Don Bosco è quella di cui sapeva? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Ebbe in carcere gli indirizzi e i numeri telefonici degli appartenenti ai NAR? LEONARDO MESSINA. No, li ho avuti fuori, dei ragazzi vicino ai NAR a Roma e gleli ho dati. Pag. 605 PRESIDENTE. A chi li ha dati? LEONARDO MESSINA. A questo del SISDE, se è del SISDE. PRESIDENTE. Quello che disse a lei di essere del SISDE, diciamo così. LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Siino era un uomo che apparteneva ad una struttura segreta di Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Sì, è così. PRESIDENTE. E' uno di quelli ... LEONARDO MESSINA. ... non presentato. ALTERO MATTEOLI. Quanti abitanti fa San Cataldo? LEONARDO MESSINA. Emigranti ed altri, circa 33 mila. PRESIDENTE. In cambio di che cosa aveva dato questi indirizzi dei NAR? LEONARDO MESSINA. Consideri che a volte si interessavano di farmi levare una firma; per esempio, sono stato anni a firmare due volte al giorno, tre volte al giorno. Si interessavano anche per questi piccoli favori. MARCO TARADASH. Forse erano proprio del SISDE! PRESIDENTE. L'onorevole Taradash dice che forse era proprio del SISDE, se faceva quei favori ... LEONARDO MESSINA. Il nome prima o poi verrà fuori e verificherete. PRESIDENTE. Ha fatto il nome ai magistrati? LEONARDO MESSINA. Non proprio. PRESIDENTE. Pensa di farlo? Una voce. Ha fatto il nome del capitano ai magistrati? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Ora sta parlando di un'altra cosa. Le hanno chiesto i magistrati il nome di questa persona che dice di essere del SISDE? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Si è riservato di farlo successivamente? LEONARDO MESSINA. Gliel'ho detto riservatamente e non ufficialmente; non è a verbale. PRESIDENTE. Mi scusi, c'è una ragione particolare per cui il nome del capitano l'ha fatto ufficialmente e il nome di questo l'ha fatto riservatamente? LEONARDO MESSINA. Perché se dico il nome e dove l'ho incontrato, coinvolgo persone che non hanno niente a che vedere con la mia attività; sono persone pulite, sono persone che stanno con voi. PRESIDENTE. Stanno con noi nel senso che sono dei politici? LEONARDO MESSINA. Sono gente pulita, parte di uno Stato che non ... PRESIDENTE. L'ambasciatore di Cosa nostra ha il compito di seguire una sola cosa o segue tutti gli affari? LEONARDO MESSINA. Tutto quello che gli dice il provinciale o il regionale deve eseguire, portare ordine e contrordine ai vari uomini d'onore che appartengono a diverse famiglie. PRESIDENTE. Praticamente, un emissario personale e complessivo di tutti gli affari? Pag. 606 LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Ferraro, che era l'ambasciatore di Madonia ... LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. ... seguiva gli interessi di Madonia? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Però per gli appalti era Siino che comandava anche su Ferraro? E' così? LEONARDO MESSINA. Consideri che c'è stato un momento in cui Ferraro era andato via da Caltanissetta, non c'era. E' stato in America, seguiva altre cose. PRESIDENTE. In quella fase, era Siino che vedeva tutto? LEONARDO MESSINA. Era Siino, ma sempre tutto in concomitanza. PRESIDENTE. Poiché Siino era vicino a Riina, un ordine eventuale di Siino valeva di più di un ordine di Ferraro? LEONARDO MESSINA. Consideri che sempre per gli appalti veniva Siino, ma sempre attraverso Ferraro. Ci incontravamo tutti, andavamo a cavallo, sono stato a casa, nell'autosalone, ovunque ... a mangiare. Ci ha invitato sullo yacht, ma ... PRESIDENTE. Sullo yacht di chi? LEONARDO MESSINA. Siino è proprietario di uno yacht; così ha detto. PRESIDENTE. L'iscrizione di Ferraro a Cosa nostra era segreta o no? LEONARDO MESSINA. No, Ferraro era uno dei primi uomini d'onore affiliati a Caltanissetta. PRESIDENTE. Ferraro è massone o no? LEONARDO MESSINA. A mia conoscenza no. PRESIDENTE. Le regole degli appalti che ci ha spiegato molto bene sono decise insieme tra imprenditori e Cosa nostra o vengono decise da Siino o Cosa nostra, che dicono agli imprenditori: "A questo punto ci state"? LEONARDO MESSINA. Siino ha fatto delle riunioni con gli imprenditori vicini a Cosa nostra. Ma in ogni caso già gli imprenditori avevano una strada per conto loro, Cosa nostra non avrebbe perso niente in ogni caso. PRESIDENTE. Non ho capito. LEONARDO MESSINA. Gli imprenditori, oltre a Cosa nostra, oltre a Siino, già sono organizzati in questo circuito per gli affari loro. PRESIDENTE. Ho capito. Poi è arrivata Cosa nostra ... LEONARDO MESSINA. Cosa nostra c'è stata sempre. PRESIDENTE. Quindi, Siino che cosa ha fatto? Ha organizzato meglio il sistema? LEONARDO MESSINA. Siino praticamente è uno dei principali attori di questi appalti. E' andato nelle imprese vicine, in tutte le province, Catania, Caltanissetta ... PRESIDENTE. Ha organizzato meglio? LEONARDO MESSINA. Ha organizzato, sì. ROMANO FERRAUTO. Insomma, ha esteso il sistema! Pag. 607 LEONARDO MESSINA. Ha esteso il sistema e hanno avuto il controllo. PRESIDENTE. Se questo meccanismo degli appalti che lei ha descritto si inceppa, quali sono le conseguenze? LEONARDO MESSINA. Come si inceppa? Per quale causa? PRESIDENTE. Nel senso che l'imprenditore non ci sta, un politico non dà il finanziamento che deve dare e così via. Che cosa accade? LEONARDO MESSINA. Se un imprenditore non ci sta, comincia a subire, non può chiedere. Avevo degli imprenditori vicini, ho voluto dei ribassi per dei provveditorati agli studi e per altre cose, non mi hanno dato il ribasso; la provincia gli ha messo vicino un direttore dei lavori e gli ha fatto perdere 500 milioni. PRESIDENTE. Cioè la provincia ha fatto sì che un direttore dei lavori ... LEONARDO MESSINA. ... lo controllasse a vista. Ha perso 500 e rotti milioni perché aveva fatto il ribasso di 25,75. PRESIDENTE. E quindi? LEONARDO MESSINA. E quindi aveva perso 500 milioni e non poteva fare niente di diverso. PRESIDENTE. Niente di diverso da quello che aveva offerto; non poteva variare la cifra? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Perché il direttore dei lavori glielo impediva. Adesso ho capito. Quindi, non è necessario sempre fare intimidazioni, basta un'operazione di questo genere? LEONARDO MESSINA. Basta un'operazione di questo genere. PRESIDENTE. Chi era quel direttore dei lavori di Palermo, quello che girava ...? LEONARDO MESSINA. Le dico che il nome non lo so, però le posso dire dove è avvenuto il fatto e troverete chi era il direttore. PRESIDENTE. E dove è avvenuto il fatto? LEONARDO MESSINA. A Caltanissetta, al provveditorato agli studi dietro al Tribunale. PRESIDENTE. In che anno? LEONARDO MESSINA. Consideri che lo hanno consegnato l'anno scorso. PRESIDENTE. Cosa vuol dire che tutti quelli che hanno avuto contatto con i politici devono morire? E che si deve perdere la memoria storica? LEONARDO MESSINA. Come ho detto prima, Cosa nostra si sta trasformando, sta entrando in un'altra fase. Ormai si sa tutto di Cosa nostra. Deve rientrare nella segretezza. Nel momento in cui lo Stato colpisce i suoi uomini ed i pentiti "chiamano", si fa un regalo a Salvatore Riina ed ai suoi amici. Però di questo si rovineranno tutti. PRESIDENTE. Non parlerei tanto di regalo. LEONARDO MESSINA. E' un regalo perché "chiamiamo" quelli presentati ritualmente. PRESIDENTE. Però in questo modo si comincia a fare il vuoto. LEONARDO MESSINA. Però facciamo il suo gioco. Perché ha già inserito gli uomini che conoscono soltanto lui, Madonia, Nitto Santapaola e pochi altri. Sta avvenendo una rigenerazione. Pag. 608 PRESIDENTE. Come spiega questa fase di debolezza che ci sarebbe in Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Non ho capito. PRESIDENTE. Lei dice che nel momento in cui lo Stato arresta gli uomini di Cosa nostra, si fa un favore a Riina. Tuttavia, più volte ha detto che Cosa nostra si sente stretta e per questo ha commesso quei grandi attentati. Come spiega tutto ciò? LEONARDO MESSINA. Con tutti questi grossi attentati si è rimossa l'omertà. E' un fatto culturale. Ormai anche un muratore ha il figlio laureato. Quel giorno, in quella strada poteva passare mio figlio, suo figlio, chiunque, non solo Falcone e gli uomini della scorta. Chiunque poteva passare. E' stato un atto di debolezza. PRESIDENTE. Se ho ben compreso, ci sono due processi in corso. Il primo è portato avanti da Riina per rendere segreta l'organizzazione. LEONARDO MESSINA. Lo sta facendo. PRESIDENTE. Questo processo, una volta che vengono arrestati gli uomini più conosciuti finisce per essere, sia pure paradossalmente, agevolato. Contemporaneamente, sta andando avanti un altro processo e precisamente quello che vede l'isolamento di Cosa nostra rispetto alla società. LEONARDO MESSINA. Sì. Se si insiste su questo lato, per 15-20 anni si richiuderanno dentro per ricostituirsi, perché le forze sono state individuate. Nel momento in cui si consegna la mappa di una provincia intera, non rimane più niente in piedi. Non c'è più nessuno disposto ad assassinare; principalmente gli uomini d'onore sono tutti degli assassini. PRESIDENTE. Com'è possibile che la latitanza di Riina sia durata tutti questi anni? Che tipo di protezione ha avuto? LEONARDO MESSINA. Inizialmente questo problema è stato preso sotto gamba; non una lotta efficace, ma una lotta di controllo. Molto spesso nei paesi, quando i carabinieri vedono un latitante si voltano per non entrare in contrasto. Questo è accaduto anche quando ero latitante eppure ci trovavamo ad un livello inferiore. Immaginiamo cosa può accadere con una realtà ben diversa. PRESIDENTE. Lei ad un certo punto della sua deposizione ha detto che qualcuno si è svestito dei vecchi panni e fa l'antimafia. Abbiamo capito bene? LEONARDO MESSINA. Certo. Quando in un comune si fanno degli affari ed io sono là, a meno di non esser cieco so cosa si manovra. Non ci deve essere solo questa collaborazione dei mafiosi; è giusto che qualcuno dica come avveniva il fatto all'interno dei comuni. PRESIDENTE. In pratica, così come qualcuno dal mondo di Cosa nostra sta passando da questa parte, anche nel mondo della politica c'è qualcuno che fa questo lavoro. LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. C'è qualcuno che sta facendo questa cosa? LEONARDO MESSINA. C'è qualcuno che lo sta facendo, magari non inserito come uomo d'onore ma come uomo appartenente ad un certo contesto che per forza deve sapere. Non si può stare in un comune o in una provincia per dieci anni e non vedere nulla. Tutto ciò è assurdo. PRESIDENTE. Tornando al tema del separatismo, vorrei chiederle se in Sicilia oggi ci sono alleati politici favorevoli a questo progetto. Pag. 609 LEONARDO MESSINA. Li stanno creando. PRESIDENTE. Lei ad un certo punto ha detto che stanno guardando la forza che sosterrà questo progetto. E' una forza attualmente presente? LEONARDO MESSINA. E' un periodo che stanno emergendo forze nuove. Questa verrà dopo un'altra forza che è in corso proveniente dal sud. PRESIDENTE. Si tratta di un fatto già calcolato? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Questa forza ne è a conoscenza? E' d'accordo? LEONARDO MESSINA. Sì. Lei pensa che si possa appoggiare il proprio nemico? PRESIDENTE. No. Però posso immaginare di appoggiare quella determinata persona senza dirglielo al momento. LEONARDO MESSINA. No. Sono stati contattati altri che in questi ultimi anni hanno avuto dei grossi consensi politici. PRESIDENTE. Qualcuno ha detto di no? LEONARDO MESSINA. Hanno detto di no. PRESIDENTE. Qualcun altro invece ha detto di sì? LEONARDO MESSINA. Io sono a conoscenza di chi ha detto di no, pur conoscendo la realtà di chi chiedeva. PRESIDENTE. La persona richiesta sapeva bene qual era la realtà? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Di fronte alla richiesta di Cosa nostra di appoggiare il progetto separatista, c'è chi ha risposto di no? LEONARDO MESSINA. Sì, è così. PRESIDENTE. Invece qualcun altro ha risposto di sì? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Può dire alla Commissione chi ha risposto di no? LEONARDO MESSINA. Sarebbe come prendere posizione a favore di un partito, che io non voglio fare. PRESIDENTE. Lo ha detto ai magistrati? LEONARDO MESSINA. L'ho accennato. PRESIDENTE. Lei non ha parlato di partiti, ma di persona. LEONARDO MESSINA. Hanno contattato una persona che prima era di un partito ed ora è di un altro. PRESIDENTE. Prima era di un partito maggioritario? LEONARDO MESSINA. Un partito importante. PRESIDENTE. In Abruzzo ci sono presenze di Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. Per quanto è a mia conoscenza, no. In Sicilia i paesi vogliono fare le decine nelle altre regioni. PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di un certo Rogoli della Sacra corona unita? LEONARDO MESSINA. Sì, ma solo giornalisticamente. Pag. 610 PRESIDENTE. Non sa, quindi, se è affiliato a Cosa nostra? LEONARDO MESSINA. So soltanto che la Sacra corona unita fa gli affari ma il vertice è Cosa nostra. Troverete 'ndranghetisti, Sacra corona unita e uomini di Cosa nostra tutti insieme. PRESIDENTE. Cosa nostra manda propri avvocati anche per la Sacra corona unita? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Così anche per la 'ndrangheta e la camorra? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Ci sono anche scambi di gruppi di fuoco? LEONARDO MESSINA. Ufficialmente lo possono fare i vertici. Le famiglie per commettere un omicidio si possono servire di persone che non devono comparire e per questo ci serviamo di mille cose. Per chiamare i calabresi dobbiamo rivolgerci alla regione. A lei potrà sembrare strano che una regione che ha moltissimi affiliati si rivolga ad un'altra regione. PRESIDENTE. Lei ha detto che la situazione a Catania è anomala. LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Vuole chiarire perché è anomala? LEONARDO MESSINA. Ci sono vari gruppi che non fanno capo a Nitto Santapaola. Ci sono gruppi forti come i Pelleriani, quelli di Gimignano, i Curzioti. PRESIDENTE. C'è una situazione disordinata. LEONARDO MESSINA. Non hanno la situazione sotto controllo. Non sono i padroni totali. Può esserci anche l'accordo di non aggressione con la "stidda". PRESIDENTE. E' a conoscenza di presenze di Cosa nostra nelle aziende dei trasporti di Catania e provincia? LEONARDO MESSINA. I trasporti rappresentano una delle attività di Cosa nostra. Non ne conosco nella provincia di Catania ma so che tutti, piccoli e grandi, uomini d'onore hanno mezzi di trasporto per il movimento terra e qualsiasi altra cosa. PRESIDENTE. Tra l'altro, tutto ciò serve anche a portare altra roba. LEONARDO MESSINA. Serve per portare tutto. PRESIDENTE. Come è stato assunto nella miniera di Pasquasia? LEONARDO MESSINA. Non sono stato assunto nella miniera di Pasquasia. Ero dipendente della Idrofont di San Cataldo e precisamente assistente di sottosuolo. PRESIDENTE. L'Idrofont di chi era? LEONARDO MESSINA. La ditta Idrofont è di Enrico Milazzo; uno degli imprenditori sani del paese. PRESIDENTE. L'imprenditore era sano? LEONARDO MESSINA. Purtroppo lavoravo in quella ditta. Lei potrà non crederci ma queste sono persone pulite. Su questo imprenditore non troverete niente. PRESIDENTE. Nella zona di Caltanissetta... LEONARDO MESSINA. Chiunque abbia un'impresa in Sicilia deve tener conto della realtà; pure una persona che può Pag. 611 parlare qui, andando in Sicilia e lavorando con una ditta, anche se amico del capo della polizia, si deve adeguare. Consideri che una persona che era parente di un brigadiere doveva aprire un bowling ed ha cercato gli agganci prima di aprirlo: qui possiamo fare i commenti, lì dobbiamo avere gli accordi. PRESIDENTE. Per quanto riguarda Caltanissetta, vi è una certa risposta a Cosa nostra da parte dei sindacati, delle organizzazioni della società, dei movimenti cattolici, e così via? LEONARDO MESSINA. Da noi, i sindacati quasi non esistono: se uno si rivolge al sindacato, qualcuno telefona all'imprenditore dopo tre minuti. Le imprese, per fare assunzioni, passano sempre tramite qualcuno e non hanno problemi per l'iscrizione a sindacati. PRESIDENTE. Le organizzazioni cattoliche? LEONARDO MESSINA. Le organizzazioni cattoliche, come ho detto, non hanno niente a che vedere con noi. PRESIDENTE. Adesso? LEONARDO MESSINA. Sì, per quanto in mia conoscenza da dieci-quindici anni, anche se fra di noi ci sono molti cattolici: per esempio, una delle regole di Cosa nostra vieta di uccidere il venerdì, perché per noi è un giorno di lutto. Sembrerà strano, ma tutti noi uomini d'onore abbiamo la Bibbia, facciamo i Santi, anche se sappiamo le conseguenze. Siamo cattolici: difatti, io sono cattolico e appartengo a Cosa nostra. MARCO TARADASH. Sono massoni e cattolici? PRESIDENTE. Credo che l'incompatibilità maggiore sia con Cosa nostra, più che con la massoneria. Prima lei, accennando rapidamente all'omicidio di Giuliano, ha detto che all'inizio della Repubblica vi è stato uno scambio, nel senso che si è portato Giuliano, per così dire, come regalo per una contropartita. LEONARDO MESSINA. Sì, ad uccidere Giuliano è stato Luciano Liggio, che l'ha regalato allo Stato. PRESIDENTE. Vi è stato, quindi, l'inizio di un compromesso: vuole dire questo? LEONARDO MESSINA. Sì, c'è un compromesso fra una parte dello Stato e Cosa nostra. PRESIDENTE. Ora c'è il tentativo di un nuovo compromesso, oppure si è deciso di non avere più compromessi? LEONARDO MESSINA. Ci sarà un nuovo compromesso con chi rappresenterà il nuovo Stato, se ce la faranno. PRESIDENTE. Però, se c'è un progetto separatista, si tratta di una cosa distinta: un compromesso vuole dire che si resta comunque all'interno dello Stato unitario, oppure no? LEONARDO MESSINA. Sì, ma loro hanno interesse ad arrivare al potere con i propri uomini, che sono la loro espressione: non saranno più sudditi di nessuno. PRESIDENTE. Quindi, possono essere strade diverse per raggiungere lo stesso tipo di obiettivo? LEONARDO MESSINA. Loro devono raggiungere un fine: che sia la massoneria, che sia la Chiesa, che sia un'altra cosa, devono raggiungere l'obiettivo. Cosa nostra deve raggiungere l'obiettivo, qualsiasi sia la strada. PRESIDENTE. Per gli investimenti economici e finanziari, grandi o piccoli che siano, le modalità di intervento sono le stesse? Pag. 612 LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Anche se sono per centinaia di miliardi, le percentuali sono sempre le stesse? LEONARDO MESSINA. Dipende da cosa devono costruire o fare. Se costruiscono una strada è un tot; per un'altra costruzione, o per una casa privata, è un tot; se vendono un terreno è un tot. Anche per un grande appezzamento di terreno bisogna pagare, perché i sensali sono molto vicini a Cosa nostra. Si sa, bisogna calcolare quello che si deve a Cosa nostra. PRESIDENTE. Per ogni attività economica, quindi, si paga? LEONARDO MESSINA. Sì, ogni attività economica. PRESIDENTE. La quota che viene pagata va in parte a Cosa nostra e in parte ai politici: è questo il meccanismo? LEONARDO MESSINA. Per gli appalti, c'è una distinzione: per esempio, per una strada ci vuole il tre per cento per Cosa nostra, a parte i politici, perché per i politici c'è già un conto a parte. PRESIDENTE. Ci pensano già gli imprenditori ai politici? LEONARDO MESSINA. A volte, quando i politici sono Cosa nostra, i politici prendono i soldi da Cosa nostra e Cosa nostra prende i soldi dai politici. PRESIDENTE. Quando si tratta di comprare un grande fondo, c'è la percentuale anche per i politici? LEONARDO MESSINA. No, c'è la percentuale per Cosa nostra. PRESIDENTE. Quindi, i politici hanno la percentuale per le loro attività, come le licenze, i permessi, i finanziamenti? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Perché Caluzzo portava i soldi a Palermo? LEONARDO MESSINA. Perché quelli più grossi che hanno gestito gli appalti sono a Palermo. Consideri che quelli della famiglia di Caltanissetta li ho consegnati io a Caltanissetta; quelli per i politici li ha portati là. PAOLO CABRAS. Caluzzo era l'intermediario con i politici palermitani? LEONARDO MESSINA. No, con tutti i politici. Consideri, poi, che questi politici li ho conosciuti personalmente perché siamo stati insieme a pranzo, a cena, a cavallo. PRESIDENTE. Quelli di Palermo? LEONARDO MESSINA. Quelli della provincia di Caltanissetta. PRESIDENTE. Sono quelli di cui ha fatto i nomi alla magistratura? LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Il rapporto che aveva con le persone che dicevano di essere del SISDE lo aveva anche con i carabinieri? LEONARDO MESSINA. No, non ho mai fatto confidenze ai carabinieri. PRESIDENTE. Neanche alle altre forze dell'ordine, per esempio la polizia? LEONARDO MESSINA. No. PRESIDENTE. Perché non ha risposto ai magistrati di Palermo? LEONARDO MESSINA. Consideri questo: dopo che per quarant'anni fai una vita, fai una scelta, ti affidi. Noi siamo ancora in area; ho nipoti che non vanno ancora a scuola. Cosa vuol dire proiezione? Che ti danno i soldi. Protezione cosa vuol dire? Che mettono in un quartiere dieci bambini che parlano siciliano. Questa Pag. 613 è la protezione? Ai palermitani ho detto il motivo, solo che l'hanno scritto a metà: non ritenevo opportuno che i miei nipoti stessero in un quartiere, parlando tutti siciliano e con la faccia tutta particolare che abbiamo. PRESIDENTE. Praticamente, lei afferma che non c'è stata una tutela sufficiente in una certa fase? LEONARDO MESSINA. Non c'è tuttora. PRESIDENTE. Lei, però, ha continuato a parlare con i giudici di Caltanissetta. LEONARDO MESSINA. Sì. PRESIDENTE. Ed ha accettato di venire dinanzi alla nostra Commissione parlamentare. LEONARDO MESSINA. Sì, anche ieri ho parlato con altri magistrati. PRESIDENTE. Perché allora fa un determinato ragionamento soltanto per i giudici palermitani? LEONARDO MESSINA. Perché è capitato in due occasioni nelle quali ero particolarmente giù di morale. PRESIDENTE. E qual è la situazione della sicurezza sua e dei suoi familiari? LEONARDO MESSINA. Non parlo di questo. PRESIDENTE. Mi scusi: mi riferivo ai suoi familiari. LEONARDO MESSINA. Ne hanno sistemati un po', e gli altri sono tutti in un quartiere. PRESIDENTE. Di un'altra città? LEONARDO MESSINA. Di un'altra città. PRESIDENTE. Nella quale emerge la differenza di accento? LEONARDO MESSINA. Consideri dieci bambini che parlano siciliano: se la protezione è questa, ci proteggiamo da soli! PRESIDENTE. Le domande sono terminate. La ringrazio molto, signor Messina. Vuole dire qualcosa in conclusione? LEONARDO MESSINA. Non so se sono autorizzato a fare dichiarazioni. PRESIDENTE. Prego: stiamo svolgendo un'audizione, non un interrogatorio. LEONARDO MESSINA. Non mi è mai successo nella vita di essere al centro di una situazione di questo tipo e quindi sono un po' confuso e frastornato, anche se posso sembrare spigliato nel parlare. Voglio dire agli uomini come me che non c'è più la strada da seguire. E' questa la nuova strada: collaborare, perché è finito tutto. PRESIDENTE. Buona sera, signor Messina. (Il signor Leonardo Messina viene accompagnato fuori dall'aula). PRESIDENTE. Dobbiamo ora decidere, come abbiamo previsto all'inizio, se rendere pubblica questa audizione. Pongo in votazione la proposta di rendere pubblica l'audizione testé terminata. (E' approvata). La seduta termina alle 16,55.