Pag. 635 AUDIZIONE DEL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, ONOREVOLE CLAUDIO MARTELLI PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE indi DEL VICEPRESIDENTE PAOLO CABRAS INDICE pag. Audizione del ministro di grazia e giustizia, onorevole Claudio Martelli: Violante Luciano, Presidente ...................... 637, 638 650, 653, 656, 657, 659, 660, 665, 668 Borghezio Mario ................................... 666, 667 Brutti Massimo ..................... 650, 651, 652, 653, 667 Buttitta Antonino ...................................... 662 Cabras Paolo ...................................... 665, 666 Cappuzzo Umberto ....................................... 638 Frasca Salvatore .............. 650, 652, 653, 659, 663, 664 665, 666 D'Amato Carlo .......................................... 665 D'Amelio Saverio .................................. 638, 657 Martelli Claudio, Ministro di grazia e giustizia ......................................... 638, 651 652, 653, 655, 656, 659, 660, 666, 667, 668 Olivo Rosario .......................................... 666 Scalia Massimo .................................... 656, 657 Taradash Marco ............................... 659, 660, 661 Tripodi Girolamo .............. 654, 655, 656, 664, 665, 666 Per fatto personale: Violante Luciano, Presidente ........................... 637 Ricciuti Romeo ......................................... 637 Pag. 636 Pag. 637 La seduta comincia alle 16,45. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Per fatto personale. PRESIDENTE. L'onorevole Ricciuti ha chiesto di parlare per fatto personale. Devo farle presente, onorevole Ricciuti, che ciò è possibile solo al termine della seduta. ROMEO RICCIUTI. Dovendomi allontanare tra poco per precedenti impegni, chiedo di poter svolgere ora il mio intervento. PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Ricciuti. ROMEO RICCIUTI. Non intendo assolutamente far passare sotto silenzio ciò che è avvenuto al termine della precedente audizione. Vorrei dire a lei, signor presidente, che nella mia autonomia di deputato - alla quale tengo molto - intendo porre tutte le domande che politicamente ritengo qualificate in relazione all'attività di questa Commissione, e non intendo eleggere a mio tutore un collega che ritenga di avere il potere di darmi bacchettate sulle mani! Voglio ricordare che, sia prima sia dopo le polemiche sui giornali, questa Commissione ha svolto una serie di attività e mi dolgo che nel verbale del 16 novembre non sia riportata una mia domanda specifica che ella personalmente, presidente, ebbe a rivolgere al collaboratore della giustizia Buscetta. Quest'ultimo affermò, senza possibilità di equivoco, che vi era un tentativo della mafia di realizzare in Sicilia un movimento separatista molto forte ed organizzato e che gli ultimi attentati tendevano a questo. L'accumulo di armi che si era scoperto in Sicilia doveva essere certamente riferito a questo movimento. Posi la domanda precisa se vi potesse essere un collegamento tra l'autonomismo siciliano e quello del nord. Buscetta nella sua autonomia rispose di sì, né questa mia domanda sollevò alcuno scandalo. Successivamente, ho rivolto la stessa domanda ad alcuni magistrati, avendo risposte diverse. Oggi continuerò su questo filone, per approfondire la mia conoscenza di deputato in quella direzione. Non intendo assolutamente accettare alcuna censura da parte di chicchessia, perché intendo far valere appieno il mio diritto di essere deputato senza la tutela di nessuno. PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Ricciuti, prendo atto di quanto lei ha detto. Audizione del ministro di grazia e giustizia, onorevole Claudio Martelli. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del ministro di grazia e giustizia, onorevole Claudio Martelli. Ci scusiamo con il ministro per il ritardo con cui inizia questa seduta, causato dal protrarsi della precedente audizione. Do la parola al ministro Martelli, il quale ha ricevuto un elenco di quesiti predisposti da alcuni colleghi. Pag. 638 SAVERIO D'AMELIO. Presidente, lei opportunamente ha chiesto ai singoli componenti della Commissione di inviare preventivamente alcune domande. Qualcuno, tra cui chi parla, per un mero disguido non ha potuto farlo. Le chiedo se sia possibile ugualmente porre le domande in questa sede. PRESIDENTE. Senz'altro. UMBERTO CAPPUZZO. Sulla base dell'esperienza della passata legislatura, quando abbiamo la fortuna di avere di fronte un ministro, le domande dovrebbero basarsi sulla sua relazione. Mi sembra che una preventiva formulazione di quesiti sia un po' limitativa. PRESIDENTE. E' preventiva ma non esaustiva. CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Signor presidente, senatori, onorevoli colleghi, è trascorso poco più di un anno dalla precedente audizione e ritengo mio dovere tracciare, anzitutto, un bilancio di quanto è stato fatto per porre un argine al crimine, per riaffermare lo Stato di diritto e un ideale di giustizia che non deve mai essere abbandonato. Voglio ribadire in questa sede che in quest'anno, con la collaborazione piena dei ministri dell'interno (prima Scotti poi Mancino), del Governo nel suo complesso, di un'amplissima maggioranza parlamentare e di questa Commissione, si è impostata con coerenza, con costanza, con continuità, la lotta alla mafia attraverso una strategia non più affidata a interventi occasionali ma unitaria - in un certo senso, globale - di breve e lungo termine, volta a contrastare con maggiore efficacia il crimine e possibilmente a sconfiggerlo. Questo sarà possibile solo se continueremo ciascuno a fare la sua parte, se unitamente alla magistratura, ai responsabili delle forze dell'ordine, alle forze sociali, non interromperemo questo felice momento di consenso politico ed istituzionale, di impegno costruttivo, di convergenza di intenti e di modalità di approccio nuove al fenomeno mafioso. La lotta al crimine costituisce impegno prioritario del Governo, in modo tale da poter contrastare quei fenomeni che, sorti e radicati in alcune regioni d'Italia, si vanno diffondendo in aree del territorio nazionale sempre diverse e sino a ieri ritenute erroneamente immuni dalla penetrazione della mafia. E' finalmente divenuto chiaro che la mafia è oggi un aggregato criminale organizzato, potente, rigorosamente finalizzato al perseguimento dei suoi fini: è una multinazionale del crimine inserita da protagonista nei circuiti criminali mondiali. Questi caratteri le hanno dato una forza straordinaria, consentendole di agire, di attrezzarsi, di adeguarsi con grande rapidità al mutare delle condizioni politiche, economiche e sociali e di scegliere, su uno scenario di ampiezza planetaria, tempi, campi e modi d'azione, sfruttando nel modo più pronto e utile le mille occasioni e risorse offerte dal mondo di oggi. Bisogna quindi consolidare la volontà politica di affrontare la questione mafia in maniera nuova, con concretezza e subito, riservando alle attese della gente le risposte che è possibile dare subito con le strutture e le forze disponibili e avviando nel contempo le iniziative necessarie a rafforzare l'azione di contrasto nel medio e lungo termine. Appena qualche tempo fa la situazione legislativa ed operativa era del tutto inadeguata ad un'efficace azione di contrasto. Si è impostata una strategia globale - come dicevo - che, partendo da una valutazione fredda ed impietosa dei ritardi, delle difficoltà, delle connessioni tra mafia ed istituzioni, via via si è dotata nella fase successiva di misure coerenti, volte a scardinare dal di dentro la forza solo apparentemente monolitica delle organizzazioni mafiose. Ricordo che il mio primo atto di Governo fu il decreto antiscarcerazioni, tanto criticato sotto il profilo giuridico - si disse che si trattava di un mandato di cattura emesso dall'esecutivo - ma sacrosanto sotto il profilo della giustizia sostanziale, Pag. 639 quella più direttamente percepibile dalla gente. La scelta successiva fu quella di ricercare una disciplina normativa ed amministrativa, differenziata rispetto a quella ordinaria, di fronte agli appartenenti alla organizzazioni mafiose. Una disciplina che evitasse, nell'applicazione delle misure di custodia cautelare così come nella concessione di benefici penitenziari, che persone pericolose potessero sottrarsi al controllo e tornare a delinquere, come molte volte era accaduto nel passato, destando grande allarme, giusta incomprensione e talvolta vera e propria indignazione da parte dei cittadini. E' in questo contesto che vanno letti i decreti-legge del marzo 1991, del maggio e del settembre dello stesso anno, che rappresentano una presa di coscienza da parte del Governo e del Parlamento dell'impossibilità di consentire che soggetti ad altissima pericolosità - abituati a fruire stabilmente dei proventi di un'attività criminale sempre più estesa, feroce e sofisticata - potessero continuare ad avvalersi di leggi e di norme che, tanto sul piano sostanziale quanto su quello processuale, non distinguevano sufficientemente tra fenomeni e delitti occasionali (o comunque individuali) e fenomeni espressione di stabili, permanenti, strutturali organizzazioni mafiose. Per di più, era noto quanto un sistema processuale ispirato a principi in sé più che commendevoli e frutto certamente di orientamenti illuminati, ma in definitiva frenato nel suo funzionamento da un sovraccarico di pastoie che non ha eguali in altri ordinamenti, avesse finito per piegarsi in troppe circostante agli interessi della criminalità organizzata, con l'aggravante di una disciplina penitenziaria ingiustamente generosa e per ciò tale da consentire l'applicazione a individui pericolosi di attenuanti di pena giustificabili solo in casi di soggetti fragili e immaturi, cioè di detenuti raggiungibili da un'azione di recupero personale e sociale. In quel medesimo contesto si collocano anche alcune delle disposizioni del più recente decreto dell'8 giugno di quest'anno, successivo alla strage di Capaci, rinforzato dopo la strage di via D'Amelio. Per la parte più direttamente processuale, questo decreto stabilisce il regime del cosiddetto doppio binario, recuperando sulla scia delle indicazioni della Corte costituzionale il valore di prova dei risultati raggiunti durante le indagini, troppe volte dispersi al momento dell'udienza in dibattimento a causa di intimidazioni, di corruzioni delle fonti di prova che sono tipiche e caratteristiche nei processi di mafia. Questo per dire quali effetti produrranno queste modifiche processuali. E' però certo che quelle già introdotte in materia di custodia cautelare e di ordinamento penitenziario hanno portato ad un rilevante incremento del numero di detenuti per fatti di mafia e di quello dei pentiti che collaborano con la giustizia. Un'interpretazione rigorosa delle norme ha poi impedito ingiuste scarcerazioni di imputati già condannati in appello, in modo da evitare che potessero godere di misure cautelari, imputati che troppo spesso nel passato avevano dimostrato di continuare a delinquere anche in carcere, dove godevano di incomprensibili privilegi. Si è varata, contemporaneamente, un'iniziativa che rappresenta uno strumento di sostegno e di promozione della ribellione, della resistenza, della denuncia della gente siciliana e in genere del Mezzogiorno e di chiunque in Italia viene sottoposto ad estorsione, la cosiddetta legge antiracket. Dopo rinvii, impacci burocratici e anche esitazioni dovute a preoccupazioni di vario ordine e in parte anche al rinnovo della legislatura, finalmente possiamo dare attuazione a questa normativa antiracket. La materia della lotta contro le estorsioni è tornata di enorme attualità proprio di recente, non soltanto per i delitti efferati, ma anche per le segnalazioni che ci giungono e sono comprovate da un relativo calo della centralità della mafia siciliana nel traffico internazionale di stupefacenti a beneficio di altri paesi europei e dunque di un suo rivolgersi ad altre forme delinquenziali e in particolare a quella Pag. 640 delle estorsioni, sostitutiva, alternativa, integrativa di profitti in parte perduti sul fronte del traffico di stupefacenti. La seconda linea di condotta è stata quella di concentrarsi sul problema cruciale costituito dalla episodicità e dall'individualismo delle indagini antimafia nel nostro paese. Abbiamo cercato di risolvere questa difficoltà senza entrare nel dibattito sui massimi sistemi della collocazione del pubblico ministero nell'ordinamento giudiziario e delle garanzie di autonomia e indipendenza che la Costituzione ha previsto, senza tuttavia specificare la differenza rispetto al giudice ma demandandola alla futura legge sull'ordinamento giudiziario. Senza contare questo dibattito, abbiamo cercato di risolvere queste difficoltà promuovendo strutture istituzionali organizzate in grado di contrastare efficacemente il carattere organizzato del crimine mafioso. Sono così state istituite le direzioni distrettuali e poi la Direzione nazionale antimafia, dopo un lungo, vivace, per alcuni aspetti aspro dibattito politico, e si è suggerito analogo sforzo e analoga prassi di collegamento per le forze di polizia, anche qui incontrando dapprima resistenza ad ogni livello ma finalmente approdando all'istituzione della DIA. Anche qui è troppo presto per una valutazione ed un bilancio, anche se giungono segnali confortanti circa i risultati della scelta fatta di affidare alle direzioni distrettuali le indagini sui delitti di mafia. La trattazione coordinata delle informative, l'acquisizione di una visione d'assieme del fenomeno mafioso e del suo evolversi troveranno ancora maggiore sviluppo una volta che sarà entrata in funzione a pieno regime la Direzione nazionale antimafia con la nomina dei 20 sostituti da parte del Consiglio superiore della magistratura. A questa struttura sarà affidato anche il compito di eliminare i contrasti interpretativi che troppo spesso sorgono tra gli uffici di procura per i più diversi motivi. Uno sviluppo coerente delle direzioni distrettuali antimafia sarà la trattazione anche delle misure di prevenzione personali e patrimoniali nei confronti dei mafiosi e l'istituzione dei tribunali e delle corti di assise per giudicare dei delitti di mafia nelle città sede di corte d'appello (e del resto questa è un'antica raccomandazione che proviene proprio dalla Commissione parlamentare antimafia, raccomandazione alla quale penso sia tempo ormai di porre mano, come ho già preannunciato a Palermo). Come frutto indiretto della nuova risposta dello Stato alla mafia va apprezzata la disponibilità volontaria, spontanea di decine di magistrati italiani, dalle più diverse procure e dai più diversi tribunali, a venire a coprire, dopo le stragi che hanno funestato l'Italia, il vuoto di organico delle sedi più calde, più esposte e più disagiate. Credo che si sia operato molto sul piano dell'innovazione legislativa e penso sia venuto il momento di una pausa normativa che, senza trascurare i necessari adeguamenti di legge, di ordinamento ai rapidi processi di trasformazione della mafia, consenta una sistemazione delle norme a volte contrastanti, a volte di incerta interpretazione, norme disseminate in centinaia di leggi. Si pensi ad esempio ad un testo unico sulla criminalità organizzata e sulle misure di prevenzione, che ho già affidato all'ufficio legislativo del ministero perché lo rediga nel più breve termine possibile, in modo da agevolare l'applicazione delle medesime norme da parte dei magistrati, sulla base di ragionevoli elementi di certezza valevoli anche per gli ufficiali di polizia giudiziaria. Bisogna poi dare priorità all'attuazione di molte di queste leggi, ancora non del tutto applicabili per la mancata emanazione di provvedimenti normativi secondari, ovvero a carattere meramente amministrativo. Un tema di notevole complessità è quello che concerne le misure di protezione di coloro che hanno deciso di collaborare con la giustizia. Solo di recente, con la legge del 7 agosto del 1992, è stata prevista delega al Governo per emanare entro il 31 marzo 1993 un decreto legislativo con il quale dovranno essere dettate specifiche disposizioni Pag. 641 in materia di stato civile, di diritti della persona, di esercizio di attività professionali e così via per garantire l'incolumità del collaboratore attraverso il conferimento di una diversa personalità giuridica. E' evidente l'estrema delicatezza della materia, che incide su rapporti che coinvolgono soggetti terzi, creditori, parenti, nonché rapporti propri della vita di relazione, acquisti, vendite, rapporti di lavoro. Della stesura del provvedimento è incaricato un apposito gruppo di lavoro istituito presso il Ministero dell'interno, al quale noi concorriamo. Per quanto attiene alla legge cosiddetta antiracket, i provvedimenti regolamentari previsti sono già stati emanati con i decreti del Presidente della Repubblica nn. 377-396 di quest'anno e sono ormai in fase di completamento le strutture operative. E' già stato predisposto e anche trasmesso all'esame del ministro dell'interno il decreto interministeriale previsto dal decreto dell'8 giugno scorso, che deve regolare le modalità di svolgimento e di rilascio di autorizzazioni ai colloqui a fini investigativi, mentre al Ministero del tesoro è stato trasmesso il regolamento che disciplina l'autonomia finanziaria della Direzione nazionale antimafia e delle direzioni distrettuali. Questo regolamento nasce dall'esigenza di una conduzione più razionale, moderna e manageriale dell'interna struttura amministrativa centrale della giustizia. Del resto è ormai tempo - ma su questo tornerò in seguito - di avviare iniziative per la riforma di quel centro motore del funzionamento degli uffici giudiziari che è o deve essere il Ministero di grazia e giustizia. Il momento programmatico relativo alle spese necessarie per il funzionamento della Direzione nazionale antimafia e delle direzioni distrettuali verrà devoluto ai rispettivi capi degli uffici, con l'indispensabile coordinamento del procuratore nazionale che assumerà la veste di funzionario delegato e dei procuratori distrettuali, che saranno subdelegati, cioè soggetti con capacità di effettuare acquisti, di stipulare contratti per dotarsi degli strumenti e dei servizi necessari all'attività dei loro uffici. Per raggiungere l'obiettivo di una gestione più agile e più diretta da parte delle nuove entità giudiziarie periferiche si è ritenuto, in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato e di contrattazione ordinaria e specifica, di intervenire sulle fasi procedimentali che, seppure in chiave di garanzia, finiscono per risolversi in defatiganti iter burocratici attraverso enti ed uffici esterni al Ministero di grazia e giustizia, non sempre caratterizzati dalla stessa sensibilità ai problemi dell'amministrazione giudiziaria. Questo naturalmente non è che il primo passo: si dovrà continuare su questa linea. L'attenzione prestata del resto dall'amministrazione alle esigenze degli uffici giudiziari connesse all'aggravarsi dei fenomeni criminali è ai massimi livelli. Gli interventi mirati alla soluzione di problemi gravi e urgenti rappresentati da uffici ubicati in territori ad alta densità mafiosa vengono tuttavia troppo spesso vanificati da tempi lunghissimi per ottenere pareri, da vincoli finanziari molto ristretti e dalle normative oggi esistenti, non di rado a carattere meramente burocratico. Nonostante ciò, si è cercato di garantire il massimo del supporto tecnico e strumentale alle direzioni distrettuali antimafia, provvedendo alla dotazione di arredi, attrezzature, impianti, computers, servizi specialistici di natura informatica, autovetture protette, apparecchiature per intercettazioni, cercando di soddisfare le richieste pervenute secondo criteri di priorità rispetto alle risorse esistenti e seguendo due criteri, il primo tendente ad assicurare a tutti gli uffici un minimo di attrezzature e servizi e spese di gestione sufficienti a garantirne la funzionalità, l'altro mirante ad effettuare tutti quegli interventi caratterizzati dall'emergenza manifestata di volta in volta da uffici particolarmente impegnati nella repressione del crimine, nella celebrazioni di processi particolarmente rilevanti per il numero degli imputati o per la gravità Pag. 642 dei reati, insomma da tutti quegli uffici per i quali le strutture esistenti sono risultate assolutamente inadeguate all'attività giudiziaria da svolgere. In particolare gli interventi più ampi e più impegnativi sono stati effettuati per le sedi di Palermo e di Caltanissetta, ove vengono condotte indagini di estremo rilievo per individuare gli esecutori e i mandanti delle stragi di Capaci e di via D'Amelio. Qualora questa Commissione venga messa a conoscenza di carenze strutturali o di personale di uffici giudiziari ed in particolare di direzioni distrettuali antimafia, mi auguro vorrà segnalarle agli uffici perché provvedano. Per quanto attiene al personale giudiziario, sono sempre più convinto che bisogna ormai superare la concezione dell'ufficio del magistrato che si fonda e che si esaurisce con la presenza del magistrato stesso. Per razionalizzare al massimo l'utilizzazione delle risorse umane esistenti, sarebbe preferibile concepire l'ufficio come una struttura piramidale dotata di una serie di strutture serventi che riservano al magistrato attività assolutamente non delegabili e il ruolo di guida, lasciando l'attività esecutiva al personale amministrativo. Nel corso degli ultimi due anni, si è rivolta la massima attenzione al problema della copertura dei posti di magistrato e del personale amministrativo, soprattutto negli uffici giudiziari delle regioni cosiddette a rischio, cioè Sicilia, Calabria, Campania e Puglia, ed in particolare negli uffici requirenti. Questo ha provocato un corrispettivo depauperamento delle risorse di personale degli uffici giudicanti. Questa situazione appare però destinata ad un miglioramento rapido per effetto dell'ingresso in magistratura di un numero di uditori giudiziari tale da consentire nel prossimo anno la pressoché integrale copertura degli organici. Naturalmente resta aperto il problema della valutazione della necessità di elevare l'organico finora previsto. Per quanto riguarda la situazione complessiva delle procure della Repubblica sedi delle direzioni distrettuali antimafia, la dotazione organica dei magistrati prevede 483 unità. L'attuale percentuale di scopertura è pari all'8 per cento, a fronte del 12 per cento rilevato alla fine del 1990. Vi è dunque un netto miglioramento. La dotazione organica del personale amministrativo delle 26 procure distrettuali prevede 2593 unità e qui la percentuale di scopertura sale al 16,7 per cento. Sono tuttavia dati che non debbono destare allarme in ordine al regolare funzionamento di questi uffici, perché dipendono in massima parte dai recenti aumenti di organico conseguenti proprio all'istituzione delle direzioni distrettuali antimafia. Questi incrementi rilevanti vengono coperti con l'immissione in servizio, per il profilo di assistente giudiziario degli idonei dell'ultimo concorso espletato, per i funzionari di cancelleria con un concorso a 618 posti già bandito, per gli autisti con un concorso per titoli riservato al personale che ha prestato servizio in via temporanea negli uffici giudiziari. Per una migliore comprensione degli incrementi di organico del personale, sono in grado di depositare agli atti della Commissione (se interessano) le schede riepilogative comparative con la situazione del 1990 nonché l'organico della direzione nazionale antimafia. Come è noto, per superare il vigente divieto di assunzioni nel pubblico impiego si è reso necessario un apposito disegno di legge, che presentai al Senato fin dal settembre 1990 ma che soltanto recentemente è divenuto legge, dopo un tormentato iter parlamentare. Premessa indispensabile per una lotta più efficace è certamente quella di dare attuazione ad aspetti pratici e concreti dell'organizzazione, di informatizzazione e irrobustimento della struttura portante degli uffici giudiziari; ma la svolta decisiva può essere data soltanto dalla creazione, all'interno del Ministero, di un polo tecnologico che ricerchi, scopra e collaudi tutte quelle innovazioni che la scienza e la tecnica riescono a creare, in modo da utilizzarle prima dei criminali e in maniera riservata per conoscere e penetrare Pag. 643 l'attuale realtà del tessuto mafioso, per modernizzare le tecniche di investigazione e per assicurare la conservazione del materiale probatorio. In questo senso, è in stato di avanzata sperimentazione (è già stata sperimentata in due occasioni) la videoregistrazione, che è lo strumento ottimale di documentazione degli atti del processo penale. Introdotta - come dicevo - in alcune sedi campione, la sperimentazione è seguita dal monitoraggio costante della direzione degli affari penali in collaborazione con la speciale commissione del Consiglio nazionale delle ricerche e potrà essere estesa tra breve ad un numero significativo di sedi giudiziarie. Altra innovazione tecnologica in fase di attuazione è quella possibile con gli strumenti tecnici approntati dalla RAI e dalla SIP, che ci consentirà l'interrogatorio e l'esame dei testi e il dibattimento a distanza. Si tratta di un fatto di enorme rilievo se si pensa che il trasferimento di centinaia di boss dall'Ucciardone, a Pianosa e all'Asinara viene di fatto ripetutamente interrotto dal richiamo, per processi ed interrogatori, laddove essi si svolgono. Attraverso questi collegamenti audiovisi sarà dunque possibile, nel caso di soggetti protetti e anche di pentiti, l'interrogatorio a distanza. Sono già stati realizzati due esperimenti proprio a Caltanissetta e a Firenze; una volta a regime, anche questo si rivelerà come uno strumento di enorme utilità. Mi preme inoltre sottolineare la piena convergenza che esiste tra gli uffici del pubblico ministero e gli organi di polizia in conseguenza delle nuove misure adottate con il decreto dell'8 giugno scorso. Sono queste le novità che ci hanno consentito di ottenere risultati importanti nelle indagini, nella ricerca e nella cattura di famosi latitanti, così come l'uso di intercettazioni ambientali, il ricorso alle operazioni di agenti sotto copertura, alle perquisizioni per blocchi di edifici ed anche all'effetto dissuasivo e deterrente dato dall'impiego di militari in funzione di protezione passiva di obiettivi prefissati in Sicilia, Sardegna, Calabria e Puglia. Sono certo che nel tempo più breve troverà applicazione anche il nuovo istituto del soggiorno cautelare, la cui attuazione dipende dall'apprezzamento del procuratore nazionale antimafia. Un altro punto della strategia è stata la svolta intesa a modificare la normativa vigente per sollecitare, promuovere e stimolare la collaborazione processuale (mi riferisco ai pentiti) rompendo i vincoli di omertà che caratterizzano le organizzazioni mafiose. Questo è il varco decisivo che siamo riusciti ad aprire, soprattutto di recente, nell'ambito della controffensiva impostata. Ci si è mossi in una duplice e parallela direzione: per un verso, prevedendo nuove misure di protezione per coloro che collaborano con la giustizia, la cui sicurezza viene salvaguardata attraverso il collocamento provvisorio fuori degli istituti penitenziari per tutto il tempo necessario a definire il programma di protezione; per altro verso, escludendo rigidamente dalla possibilità di fruire di misure alternative al carcere tutti gli appartenenti alle organizzazioni criminali che non si decidano a collaborare con la giustizia (i mafiosi irriducibili). Grazie anche all'apporto informativo dei pentiti, sono stati possibili gli arresti eccellenti di cui sono piene le cronache (quelle dei Madonia, di Alfieri, di Abatino), nonchè lo svolgimento di operazioni dell'ampiezza di quelle note sotto i nomi di Green ice e Leopardo. A parte questo, ben altro è oggi il potenziale di conoscenze di cui oggi dispongono gli inquirenti grazie all'apporto delle dichiarazioni di chi ha deciso di collaborare e collabora sia con i magistrati rispetto agli specifici delitti sia anche con la Commissione parlamentare antimafia in riferimento agli scenari più generali dell'attività del crimine. A partire dal decreto dell'8 giugno, moltissimi sono i nuovi pentiti che stanno parlando: secondo il Ministero dell'interno, essi sono 200 ed il loro numero è Pag. 644 in progressivo aumento. Naturalmente, ciò comporta anche dei rischi, come si è visto, ove all'efficacia dei nuovi provvedimenti e delle nuove misure non si accompagni quello scrupolo, quella serietà e quella professionalità che erano il tratto distintivo di magistrati come Falcone e Borsellino e qualora i pentiti stessi vengano utilizzati strumentalmente per fini che poco hanno a che vedere con il perseguimento della verità e della giustizia. Si tratta di assicurare oggi un grado più elevato di efficacia a questi provvedimenti, con una gestione corretta ed agile dei collaboratori della giustizia, rendendo il procedimento attuale meno macchinoso e più rispondente alle effettive necessità investigative processuali. Occorre muoversi secondo criteri volti a utilizzare e tutelare solo i pentiti necessari ai fini del processo, con la previsione di utilizzare strutture di protezione anche all'estero. In questo senso, ritengo che in un prossimo futuro potranno essere stipulate apposite convenzioni con altri paesi, convenzioni che stiamo preparando. Esito dell'insieme delle misure di cui ho parlato, della maggiore operatività delle forze dell'ordine, del coraggio e del coordinamento di tanti magistrati è stato anche questo bilancio di nuovi arresti per delitti di mafia (oltre 2 mila quest'anno, più di mille a partire dall'8 giugno) con un incremento del 26 per cento rispetto allo scorso anno. Del resto, i dati generali sulla criminalità (non so se siano stati già resi noti alla Commissione dal ministro dell'interno) segnalano, per il 1992 rispetto al 1991, un decremento della criminalità e dei delitti maggiori superiore all'11 per cento. Alla data dell'ultimo aggiornamento i detenuti per mafia erano 5.247; 1.045 tra questi (quelli di maggior prestigio e pericolosità nell'ambito delle rispettive organizzazioni criminali) sono stati assegnati alle case di reclusione dell'Asinara, di Pianosa, di Spoleto ed altre e sottoposti al severo regime carcerario di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, regime duro che ha sicuramente favorito la scelta di alcuni detenuti di collaborare con la giustizia. In previsione dell'ulteriore aumento dei collaboratori, si sta provvedendo a ristrutturare alcune piccole sezioni già destinate a questo scopo per garantirne l'incolumità e, pur nel rispetto della normativa vigente, per adeguare il miglioramento del trattamento carcerario alla scelta fatta. Un altro punto importante ai fini delle strategie antimafia è quello relativo alle sanzioni patrimoniali; il sistema vigente, come è noto, è inadeguato e inefficace. Tutti gli italiani si chiedono perché, malgrado sentenze effettive di condanna, per esempio, i Salvo e i Ciancimino abbiano potuto conservare pressoché integro il loro patrimonio. Già nel 1990 era stata disposta un'inchiesta diretta ad accertare gli anomali ritardi nei procedimenti per misure di prevenzione personali e patrimoniali instaurati nei confronti di Ciancimino. Alla luce degli accertamenti allora eseguiti, la trattazione del procedimento in secondo grado si era protratta, in maniera talvolta ingiustificata, a causa di taluni rinvii. Ma il carattere assai complesso degli accertamenti tecnico-contabili volti a ricostruire l'ingente patrimoni di Ciancimino aveva sconsigliato l'adozione di iniziative di ordine disciplinare. Ora, a seguito della recente segnalazione del presidente Violante, che mi ha informato che il procedimento di applicazione delle misure patrimoniali a carico di Ciancimino non si era ancora concluso, a metà dello scorso mese di novembre ho disposto una nuova inchiesta, che a fine mese è stata estesa anche ad altri fatti frattanto verificatisi: mi riferisco all'inspiegabile rinvio a tempo indeterminato di altro procedimento a carico del medesimo imputato per i reati di associazione per delinquere, peculato e abuso d'ufficio consumati nella gestione degli appalti del comune di Palermo, il che comporta la rinnovazione di tutti gli atti già compiuti nel dibattimento in corso da otto mesi. Pag. 645 Sarà mia cura comunicare alla Commissione l'esito dell'inchiesta e gli eventuali provvedimenti disciplinari adottati. Un sistema macchinoso ed ipergarantista ha favorito l'inoperatività delle misure di prevenzione, fino a far diventare del tutto episodico e casuale il fatto che alla condanna siano poi seguite vere sanzioni patrimoniali. Viceversa, l'intervento deve essere radicale e deve partire dal presupposto, già acquisito all'estero, che il regime di valutazione della prova in materia di responsabilità patrimoniale per fatti di mafia deve essere differenziato anch'esso dal regime vigente per fatti criminosi ordinari. Vanno quindi accolte le indicazioni di altri sistemi e si deve prevedere che con la pronuncia di condanna l'imputato subisca la confisca obbligatoria del controvalore dei profitti presumibilmente ottenuti dal reato e che la stessa pendenza del procedimento porti alla sequestrabilità dei beni che siano effettivamente nella disponibilità dell'imputato. Non solo: occorre prevedere che nei casi di condanna per reati di tipo mafioso, caratterizzati da fini di lucro, la confisca riguardi l'intero patrimonio, salvo che l'imputato non ne provi la provenienza da attività legittima. Un altro complesso problema è quello del riciclaggio. Le tecniche utilizzate dal crimine organizzato per nascondere la fonte illecita dei proventi e consentire l'immissione del denaro sporco in circuiti finanziari ed economici legali coinvolge sempre di più le istituzioni finanziarie e i soggetti economici di più paesi. Non vi è praticamente piazza finanziaria nel mondo che possa ritenersi invulnerabile o intatta dal denaro sporco. La globalità della lotta alla mafia, come è stato ormai riconosciuto anche in sede internazionale (in parte grazie anche alla nostra pressione), richiede interventi estremamente incisivi nella lotta al riciclaggio sotto due profili: il primo è quello del controllo dei movimenti finanziari e della circolazione del denaro (soprattutto il contante), attraverso i coinvolgimento degli intermediari finanziari; il secondo è quello del controllo sugli addensamenti terminali di ricchezza in capo a soggetti che non siano in grado di dimostrarne la legittima acquisizione o provenienza. Il primo profilo si trova, in teoria, in uno stadio di avanzata risoluzione, visto che la recente legge antiriciclaggio (quella del 1991) pone l'Italia all'avanguardia tra i paesi europei, almeno quanto a legislazione, anche se non altrettanto può dirsi quanto ad applicazione. Il secondo profilo induce alla considerazione che non basta più controllare il denaro mentre circola, ammesso che ciò sia possibile, ma occorre controllare chi ne ha la disponibilità ingiustificata. Ciò significa giungere ad un discorso globale di trasparenza, che deve fare i conti non solo con il denaro sporco ma anche con un contesto economico sommerso, tipico della realtà italiana, a cominciare dall'evasione fiscale per arrivare all'economia in nero. La globalità dell'impegno di tutti nella lotta alla mafia porta dunque alla conseguenza che tutti devono essere disposti a pagare il prezzo di questa trasparenza, a cominciare dal settore fiscale. In ogni incontro internazionale non perdo occasione di segnalare ai colleghi ministri della giustizia o dell'interno (soprattutto europei) che prima arriva il denaro della mafia e poi arriva la mafia; e che è un errore e una sottovalutazione grave ritenersi immuni dalla mafia perché non ci sono "coppole" in vista o in giro se già circolano centinaia o migliaia di miliardi in finanziarie riservate o in belle e ordinate banche. La natura transnazionale del riciclaggio rende necessaria la predisposizione di misure eccezionali di cooperazione investigativa e giudiziaria tra gli stati. Così partecipiamo attivamente all'azione di organismi multilaterali che sono impegnati nella lotta al riciclaggio, dalle Nazioni unite al Consiglio d'Europa e soprattutto al GAFI (Gruppo di azione finanziaria internazionale). Quest'ultimo organismo, del quale sono membri più di venti paesi di tutto il mondo, opera già efficacemente, adottando strumenti normativi internazionali e controllandone Pag. 646 l'applicazione reale. Anche nel recente consiglio dei ministri della giustizia e dell'interno della Comunità europea ho chiesto e ottenuto che alla questione delle riciclaggio fosse attribuita priorità assoluta nel quadro dei lavori degli organi comunitari relativi alla criminalità organizzata. Altrettanto abbiamo fatto in sede di rapporti bilaterali con gli Stati Uniti e con alcuni paesi dell'America latina, proprio allo scopo di creare una rete efficace di misure internazionali che accompagnino i provvedimenti adottati dai singoli paesi sul piano interno. Tra le iniziative legislative in corso di trattazione dinanzi alle Camere è da sollecitare il disegno di legge di ratifica e di esecuzione della convenzione europea sul riciclaggio, stipulata a Strasburgo l'8 novembre 1990, di cui l'Italia fu la prima sottoscrittrice. Questa convenzione rappresenta un passo avanti importante nell'apprestamento di strumenti giuridici più sofisticati perché, oltre ad imporre la creazione di efficaci normative nazionali, fornisce una base normativa internazionale che consente la cooperazione giudiziaria nei casi in cui l'attività di riciclaggio assuma carattere transnazionale. L'adozione delle misure di cui stiamo parlando esige l'acquisizione, da parte della magistratura, di un'ulteriore professionalità anche di carattere internazionale. E' finito il tempo delle troppo approssimazioni nell'affrontare fenomeni così complessi, che esigono una struttura ed una preparazione tecnica, scientifica e professionale altrettanto complessa. Al personale giudiziario va offerta la completa possibilità di acquisire, anche all'estero, questa formazione, confrontando così le esperienze proprie con quelle analoghe di altri paesi. In questo senso abbiamo stipulato accordi per stage reciproci di magistrati italiani, francesi e tedeschi. Dal primo gennaio, come forse saprete, per avviare in modo più diretto e concreto questa cooperazione, un magistrato francese - il quale già cooperò con Giovanni Falcone negli anni passati - lavorerà permanentemente al Ministero di grazia e giustizia a Roma; e al più presto un magistrato italiano potrà cooperare con la giustizia francese nella repressione dei fenomeni di criminalità organizzata che investono anche quel paese. Va contemporaneamente studiata con la massima concretezza la possibilità di rendere non occasionale ma continua la cooperazione processuale con gli altri Stati. Per far questo occorre prevedere una sorta di utilizzabilità, cioè di uso, sovrannazionale degli atti di indagini compiuti dagli altri paesi, ovvero compiuti congiuntamente da autorità giudiziarie di più paesi. Anche questo è un punto decisivo. Proprio la cooperazione sistematica rende necessario che sul fenomeno della criminalità organizzata si formi un osservatorio permanente, una struttura operativa di coordinamento che abbia come fine quello di controllare l'evoluzione degli strumenti legislativi, investigativi e processuali per bloccare l'espandersi del crimine, per aggiornare e rendere sempre più incisive ed efficaci le misure esistenti. Negli ultimi sei mesi sono stati effettuati interventi altrettanto importanti per migliorare e rendere più efficace la cooperazione giudiziaria in ambito internazionale. Sono state sviluppate intese bilaterali; è stato dato impulso ad iniziative unilaterali e progettati nuovi organismi interni di coordinamento. Quanto alle imprese bilaterali, le più significative sono quelle raggiunte con la Francia e l'Argentina. Questi due paesi sono estremamente importanti in una strategia di internazionalizzazione dell'azione giudiziaria di contrasto e repressione del crimine. Con l'Argentina è stata raggiunta un'intesa di massima diretta a superare gli ostacoli giuridici che finora si sono frapposti alla cooperazione, quali i problemi del procedimento in contumacia e della doppia incriminazione per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. L'Argentina è sicuramente un riferimento vitale per la cooperazione Pag. 647 oltrechè un punto di partenza per estendere la cooperazione a tutto il sud America. Ancora più vaste sono le intese raggiunte con la Francia. Queste vanno dal distacco reciproco di magistrati - come ho detto - alla promozione di un gruppo di lavoro ad hoc sulla criminalità organizzata in ambito comunitario, a colloqui di rappresentanti dell'amministrazione della giustizia con la Commissione antimafia dell'Assemblea nazionale francese, come la Commissione parlamentare credo abbia fatto. A quest'ultimo proposito si è avuto modo di sensibilizzare le istituzioni francesi ai problemi generali di cooperazione, quali le incriminazioni per associazione a delinquere e quelli specifici relativi ad appartenenti alla camorra ed a Cosa nostra rifugiati in Francia. Quanto al gruppo di lavoro sopramenzionato, l'iniziativa proposta alla riunione dei ministri della giustizia e dell'interno e Bruxelles il 18 settembre scorso si è sviluppata sino alla costituzione di un comitato di paesi precursori, il cui coordinamento è stato affidato all'Italia. In gennaio si terrà a Roma una riunione di esperti del dodici paesi membri. Per organizzare e rendere costante l'attenzione e l'impegno dell'amministrazione nella cooperazione giudiziaria internazionale è stata progettata la costituzione di un comitato permanente, nell'ambito della Direzione generale degli affari penali, cui convogliare tutto il patrimonio conoscitivo della mgistratura e in particolare dei magistrati che professionalmente si occupano della materia o sono in servizio presso le rappresentanze italiane all'estero o presso organismi internazionali, nonché di quei magistrati stranieri che sulla base di intese di reciprocità siano distaccati a Roma. Al Comitato saranno chiamati a partecipare anche i rappresentanti delle forze di polizia che si occupano di cooperazione internazionale. Ulteriore scopo di questo organismo è la cooperazione tecnico-giuridica, soprattutto con i paesi dell'est europeo, stante i segnali allarmanti che provengono da quei paesi, per le organizzazioni latenti di stampo mafioso e per creare piattaforme di diritto comuni che favoriscano l'evoluzione cooperativa. Deve essere chiaro che l'impegno deve essere volto, sia per gli aspetti di legge sia per quelli organizzativi e professionali, ad assicurare infine un pronto e giusto processo. Un processo organizzato modernamente, ma indisponibile a concessioni di alcun genere dettate da impreparazione, inadeguatezza, sottovalutazione delle particolari caratteristiche dei processi di mafia. Tutto quanto si è fatto, quanto si farà e si sta facendo ha ottenuto non solo risultati pratici e concreti, che devono - senza generare illusioni - suscitare maggiore impegno, ma anche un certo cambiamento di clima, grazie - come ho detto - a magistrati coraggiosi sino al sacrificio e al martirio, al maggior coordinamento delle forze di polizia, anch'esse non esenti da vittime eroiche, nonchè grazie alla mobilitazione e partecipazione di tanta gente onesta: anche tra le persone inermi e civili non mancano le vittime. Gli anni 1991 e 1992 sono stati assorbiti da un'azione che è giusto definire di emergenza, consenguente all'aggressione alle fondamenta dello Stato, della democrazia e della sicurezza dei cittadini. La stagione che inizierà con il nuovo anno richiede una più ampia prospettiva. Dopo tanti provvedimenti organici e coerenti, ma settoriali e prevalenti sul fronte della criminalità, bisogna ridefinire il disegno unitario della giustizia nell'organizzazione delle persone e dei mezzi, avendo di mira in modo prioritario l'effettivo funzionamento dell'apparato, in termini di efficienza, equità, economicità e trasparenza. Quali le strategie e i temi di intervento? Si impone una nuova legge sull'ordinamento giudiziario (stiamo cooperando con il Consiglio superiore della magistratura per fissarne le caratterisiche) dando attuazione alla VII disposizione transitoria e finale della Costituzione. A questo scopo ho chiesto al Pag. 648 professor Livio Paladin, già presidente della Corte costituzionale, che ha accettato, di presiedere il gruppo di lavoro che in tempi brevi deve preparare la proposta. E' indispensabile dare razionalità alla distribuzione e dimensione degli uffici giudiziari sul territorio, oltre che definire meglio la loro tipologia. Poniamoci questa domanda: è proprio razionale avere più Procure della Repubblica e più giudici di primo grado? Perché questa irrazionale diffidenza per il giudice monocratico? In sede parlamentare ho già annunciato sul punto una iniziativa legislativa. Per quanto riguarda il Ministero - come accennavo all'esordio - questo è rimasto quasi immutato, nonostante le tante novità registrate dalla Costituzione in poi, rispetto a quel che era al momento dell'unità d'Italia. Una gestione così accentrata come quella ereditata dalla situazione di fine secolo scorso, e confermata nella fase del secondo dopoguerra, non ha più senso. Uno degli aspetti di maggiore criticità del sistema riguarda proprio l'organizzazione dei servizi giudiziari e l'attività di sostegno che il Ministero di grazia e giustizia deve svolgere per ammodernare l'intero sistema. Questa criticità è legata a fattori antichi e complessi: leggi di contabilità generale dello Stato farraginose; interventi normativi con i quali si è tentato di introdurre meccanismi più agili, ma in ogni caso insoddisfacenti. Inoltre, disfunzioni protrattesi per tanti anni; interventi di ammodernamento svolti in modo frammentario e disorganico; la normativa concernente il personale e la distribuzione sul territorio, l'impiego del personale non sempre corrispondente alle esigenze degli uffici. In un incontro recentissimo, sollecitato dalle organizzazioni sindacali - CGIL, CISL, UIL - nonché dal SIULP e dall'Associazione nazionale magistrati, con la presenza mia e del ministro dell'interno, è stata sottolineata l'esigenza che accanto all'azione di contrasto al crimine, condotta dallo Stato con impegno e maggiore incisività negli ultimi tempi, occorre un'azione congiunta anche con la partecipazione delle organizzazioni sindacali interessate. Un'azione che miri non solo a verificare in concreto tutti gli aspetti del problema, ma anche a suggerire modifiche normative ed amministrative, con riferimento agli organici dei magistrati, del personale amministrativo, alle qualifiche funzionali ed a quanto altro possa risultare impeditivo del funzionamento degli uffici a prescindere dalla causa alla quale tale disfunzione sia riconducibile. Abbiamo concordato di individuare due uffici, per così dire modello, da considerare con priorità assoluta per evidenti ragioni - Palermo e Caltanissetta - da cui muovere per individuare un ufficio-tipo (sotto tutti i profili) al fine di ricavare dall'esperienza di un ufficio "al fronte" un modulo riproducibile sull'intero territorio. Questa presa di consapevolezza coincide pienamente con la ricognizione che ho fatto svolgere in questo periodo circa il funzionamento del Ministero e degli uffici giudiziari, nonché le cause e le possibili soluzioni per conseguire l'obiettivo - se vogliamo utilizzare un termine proprio del mondo industriale - di liberare le risorse pregiate (in questo caso i magistrati) dalle incombenze ripetitive di basso livello, al fine di consentire il massimo impegno dei magistrati nelle indagini e nelle attività complesse. In sintesi, le attività da svolgere possono essere enunciate in questa scansione: razionalizzare l'esistente, utilizzando i vantaggi parziali già conseguiti dalle realizzazioni che meritano di essere generalizzate; intervenire in modo da incidere sulla quantità e qualità delle dotazioni di beni e delle strutture logistiche; intervenire al fine di modificare i comportamenti umani mediante strumenti formativi, manageriali e nuove relazioni sindacali; intervenire per modificare le strutture organizzative e le procedure, anche di non semplice razionalizzazione, sino ad investire livelli che potranno essere oggetto di nuove misure normative e regolamentari. Decisivi saranno anche gli interventi sul sistema informativo (flussi e Pag. 649 scambi di informazioni tra ministero ed uffici, tra ministero ed altre istituzioni dello Stato) e successivamente sul sistema informatico, (tecnologie di supporto) tendenti a rendere accessibili le informazioni necessarie per la molteplicità di utenti del sistema giustizia, attraverso procedure che non appesantiscano l'operatività dei magistrati e degli addetti con carichi di lavoro aggiuntivi. Parallelamente si è avviata un'analisi dello stato di automazione dei servizi giudiziari. Questo prevede innanzitutto la ricognizione dell'esistente, al fine di valutarne il recupero in termini sia funzionali sia di investimento: arrivando al Ministero di grazia e giustizia constatai l'esistenza di rilevanti acquisti di materiale informatico che giaceva inutilizzato oltre che abbandonato negli uffici per impreparazione del personale nell'uso, per contraddittorietà o incoerenza degli investimenti. Questa ricognizione, effettuata presso tutte le realtà del Ministero di grazia e giustizia, ha per obiettivo la valutazione qualitativa e quantitativa dello stato attuale dei sistemi informatici. Anche il tentativo successivo di affidare ad un magistrato esperto, che aveva dimostrato nel suo piccolo mondo di saper informatizzare i propri uffici, si è rivelato non adeguato ai problemi. Il punto finale d'intervento è quello volto a correlare gli aspetti economici e finanziari con le attività, per governare i costi del sistema giustizia in relazione alle prestazioni erogate. La legge finanziaria di quest'anno ha consentito un leggero incremento rispetto all'anno scorso, se si tiene conto degli stanziamenti nei bilanci del Ministero dei lavori pubblici e di quello del tesoro per gli uffici giudiziari e per le carceri si arriva ad avere quel poco più dell'1 per cento che era negli obiettivi degli ultimi dieci anni. Naturalmente è troppo poco, ma considerati i tagli al bilancio non possiamo lamentarci. Il processo di riorganizzazione appena descritto deve essere accompagnato dalla realizzazione di un sistema di monitoraggio e controllo di tutti i fattori che determinano l'efficienza del sistema giustizia. Mi riferisco in particolare a questi elementi: la durata del procedimento (con riferimento alle sue singole fasi e gradi); gli aspetti organizzativo-funzionali relativi alla definizione delle fasi e dei gradi; l'analisi-controllo dei costi nella loro principale articolazione, ossia spese di funzionamento, spese di giustizia con valutazione della loro recuperabilità (questo è un punto importantissimo se si considera che soltanto per i sequestri dei beni dei mafiosi nei primi dieci mesi del 1992 sono stati recuperati più di 1.600 miliardi), spese del personale rapportare alla razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse ed infine eventuali ulteriori strumenti di misurazione di efficacia e di efficienza delle attività. Considerato il rilievo prioritario dell'ufficio del pubblico ministero, delle procure distrettuali e dell'urgente raccordo tra queste e il procuratore nazionale, il primo e più urgente intervento riguarderà questo settore e verrà svolto con la partecipazione di rappresentanti di questi uffici. L'individuazione dei parametri normativi ai quali rapportarsi per rispettare le esigenze di autonomia e di riservatezza è già stata rivolta ad un gruppo di magistrati esperti, che hanno collaborato a questo fine con il procuratore nazionale reggente, dottor De Gennaro. Questa analisi non sarebbe completa se non facessi riferimento ancora una volta alla riforma del Ministero. E' da tempo che se ne parla ed io stesso ho più volte sostenuto questa necessità. L'esperienza, se da un lato mi ha reso ancora più convinto dell'urgenza, mi ha fatto anche comprendere che le ipotesi di modifica immaginate nel passato sono superate dai tempi e dalla maturazione di nuovi e diversi bisogni. Il personale amministrativo ed i magistrati non dispongono, per formazione culturale e professionale, del necessario patrimonio di conoscenze organizzative, importanti quando si tratta di interventi di riforma globale e di misure urgenti. Questo aspetto potrà formare oggetto di azione di Pag. 650 formazione specifica da intraprendere per il futuro. Allo stato e volendo restituire ciascuno al proprio ruolo, è indispensabile avvalersi di collaborazioni specialistiche individuate nel libero mercato o nell'area della dirigenza pubblica esterna al Ministero di grazia e giustizia. Mi auguro di non incontrare l'opposizione che dovetti registrare un anno fa presso la Commissione giustizia della Camera dei deputati. Al fine di predisporre l'intero piano, ho individuato nella Federazione del terziario avanzato l'interlocutore qualificato ed adeguato al quale affidare l'incarico di svolgere nel concreto tutte le attività di analisi e di programmazione degli interventi elencati. La Federazione del terziario avanzato avrà come interlocutore, come ho già detto, un gruppo di magistrati e di funzionari che avranno il compito di indicare i bisogni degli uffici, lasciando ad altri più competenti l'onere di individuare le soluzioni idonee. Questa è sembrata la scelta più utile e corretta anche sotto il profilo della trasparenza dell'azione amministrativa, sulla scia di quanto già fatto, ad esempio, dalla Camera dei deputati, dal dipartimento della funzione pubblica e dalla prefettura di Milano. L'organizzazione detta Federazione del terziario avanzato opererà immediatamente, collaborando con le strutture ministeriali anche per gli interventi che da gennaio in poi si renderanno necessari per motivi d'urgenza, in attesa della definizione della fase preparatoria che potrà completarsi nell'arco di sei mesi. Sempre nell'immediato, la stessa struttura metterà a disposizione delle procure più esposte nella lotta al crimine esperti in speciali discipline, in particolare nell'organizzazione informatica, per fornire una documentata assistenza per i casi di maggiore urgenza. Sarà quindi molto utile la collaborazione delle organizzazioni di categoria, che potranno riversare a questa struttura specializzata i dati di esperienza e tutti i suggerimenti che potranno scaturire dall'azione congiunta che andremo a svolgere. In conclusione, spero di avere risposto ai quesiti che mi sono stati inoltrati, anche se naturalmente non ho potuto farlo a quelli, provenienti dal senatore Brutti, che ho ricevuto solo tre ore fa. Nell'annunciare che riproporrò la legge delega che la fine della X legislatura non consentì al Parlamento di esaminare, resto a disposizione per tutte le integrazioni che possano derivare da ulteriori domande. SALVATORE FRASCA. Se il presidente è d'accordo, pregherei di fotocopiare il testo letto dal ministro, in modo che ciascuno di noi possa studiarlo in dettaglio. PRESIDENTE. Senz'altro. Vorrei far presente alla Commissione che il ministro alle 20 dovrà assentarsi. Pertanto, ove per tale ora non fosse terminata l'audizione, propongo di aggiornarla a lunedì pomeriggio, data per cui il ministro ha già assicurato la propria disponibilità. MASSIMO BRUTTI. Ho apprezzato molti aspetti della dettagliatissima relazione svolta dal ministro Martelli. Le domande da me formulate sono state recapitate al Ministero mediante motociclista già da lunedì mattina, per cui il fatto che il ministro le abbia avute solo tre ore fa mi fa pensare che siano andate perdute, e questo mi dispiace. Credo, comunque, che sia possibile ovviare a questo inconveniente riproponendole immediatamente; su alcune di esse, quelle che richiedono un accertamento, aspetterò una risposta scritta. Desidero riprendere un tema generale toccato dal ministro nella sua relazione, quello relativo alla valutazione della prima fase di attuazione del decreto-legge approvato l'estate scorsa dal Parlamento. Considero la legge di conversione di quel decreto un punto d'incontro di un lavoro parlamentare serio e credo che su alcune questioni occorra nuovamente intervenire. In particolare, vorrei chiedere al ministro se sia d'accordo sulla necessità di intervenire in tempi brevi per una migliore Pag. 651 definizione di quella previsione normativa che estende la fattispecie dell'associazione a delinquere di stampo mafioso e le sanzioni per essa previste a comportamenti che si riferiscano al momento elettorale. Per il modo in cui si è giunti ad un accordo in sede parlamentare, ritengo vi siano in proposito difficoltà di interpretazioni e problemi aperti. Penso si possa e si debba tornare presto su quella norma per renderla più facilmente applicabile e torno a chiedere al ministro se concordi su questa prospettiva. Il gruppo del PDS della Camera ha ripresentato all'inizio di questa legislatura una proposta di legge recante una nuova disciplina delle indagini patrimoniali, delle misure di prevenzione e, in particolare, della confisca dei beni mafiosi. Chiedo al ministro se da parte del Governo vi sia disponibilità a trovare in tempi rapidi un punto d'accordo che, tenendo conto delle nuove norme introdotte con un decreto-legge approvato la scorsa estate, vari una disciplina organica delle misure di prevenzione, delle indagini patrimoniali e della confisca dei beni mafiosi, disciplina che parta dalle stesse considerazioni che egli faceva e sulle quali mi dichiaro sostanzialmente d'accordo, almeno quanto alle linee di fondo. Vorrei ora sottolineare alcuni ritardi che credo siano addebitabili al Governo e allo stesso ministro. Egli ci ha parlato oggi di riforma del Ministero di grazia e giustizia: presentate un disegno di legge, fatelo presto, tocca a voi farlo! Vi è poi la questione della necessità (credo avvertita da tutti) di un potenziamento degli uffici di procura e forse si pone un problema di intervento normativo. Abbiamo proposto ormai da quasi un anno l'istituzione di un ufficio del pubblico ministero che affianchi al magistrato che svolge le funzioni di pubblico ministero degli assistenti, che consenta cioè di potenziare la sua azione, con una disciplina speciale per il reclutamento di questi assistenti. Vorrei sapere se da parte del Governo vi sia la disponibilità ad arrivare a questa riforma dell'ufficio del pubblico ministero che, per l'appunto, prescinde da quei dialoghi sui massimi sistemi ai quali faceva riferimento il ministro, puntando invece al potenziamento ed all'efficacia dell'azione. Non posso non rilevare che vi è stato un ritardo in merito alla direzione nazionale antimafia e che si è perso un anno; in particolare, non posso non valutare negativamente il fatto che dopo il voto di febbraio presso il Consiglio superiore della magistratura il procedimento si è bloccato. Oggi, per fortuna, siamo in grado di mettere alla prova questo istituto ma per il passato debbo rilevare un ritardo addebitabile al ministro di grazia e giustizia. Sulle direzioni distrettuali antimafia desidero sottolineare un aspetto sul quale è necessaria una riflessione: esiste oggi una sproporzione tra la direzione distrettuale antimafia, l'attività delle procure, le indagini, le inchieste ed il momento del dibattimento. La grande inchiesta sui fatti di mafia viene svolta a Palermo, mentre il dibattimento viene condotto a Termini Imerese, cioè in un piccolo tribunale. Non è forse il caso di compiere su questo terreno un ulteriore passo avanti... CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Certo! MASSIMO BRUTTI. Benissimo, allora facciamolo. Passo ora ai quesiti che le avevo inviato per iscritto e sui quali sollecito da parte sua una risposta. In ordine al potere d'inchiesta ed all'esercizio dell'azione disciplinare, desidero richiamare l'attenzione del ministro su due casi che considero esemplari: il primo è quello della procura della Repubblica e, più in generale, del tribunale di Paola dove, com'è noto, il procuratore ha rassegnato le dimissioni denunciando lo stato di grave crisi dell'ufficio e dove due sostituti, i dottori Belvedere e Fiordalisi, si trovano in situazioni personali assai delicate, che incidono negativamente sull'esercizio delle loro funzioni. Nei confronti di uno di essi pende a Messina un procedimento Pag. 652 penale per concussione. Sono stati inoltre rilevati comportamenti censurabili anche da parte del presidente del tribunale, dottor Scalfari. Vi è stata già da tempo un'ispezione ed è stata depositata la relazione del dottor Graniero circa otto mesi fa. Vorrei sapere dal ministro quali iniziative abbia assunto o pensi di assumere. In questo caso vi è un problema di restituzione immediata della credibilità all'esercizio della funzione giudiziaria, esigenza che non si soddisfa con l'avvio di un'azione disciplinare che dura parecchio tempo. Vi sono due strumenti con i quali più rapidamente si interviene: un provvedimento cautelare che può essere chiesto dal ministro alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura oppure un procedimento per il trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale, il quale anche può essere sollecitato dal ministro presso il Consiglio superiore della magistratura. Un ulteriore quesito (sul quale è forse opportuno che il ministro mediti la risposta) riguarda la procura della Repubblica di Palmi ed una serie di iniziative assunte dal ministro nei confronti di quella procura: inchieste, ispezioni straordinarie, da ultimo gli ispettori mandati ancora nei giorni scorsi. Tali iniziative in alcuni casi traggono spunto da esposti che sono giunti anche da esponenti del potere politico locale, proprio nei momenti in cui da quella procura si avviavano i procedimenti più delicati: penso al sequestro dei cantieri della centrale ENEL di Gioia Tauro finiti nelle mani delle cosche mafiose. Quello fu l'avvio dell'attività persecutoria - diciamo così - che da varie parti veniva a svolgersi nei confronti di quel procuratore della Repubblica che allora, nella primavera del 1991, il ministro Martelli sia a Palmi sia davanti alla Commissione antimafia ebbe modo di elogiare. Cosa è successo nel frattempo? Non risultano fatti o comportamenti addebitabili a quel magistrato o ai suoi collaboratori. SALVATORE FRASCA. Il collega Brutti non era presente all'audizione dei magistrati di Messina. MASSIMO BRUTTI. Risulta un episodio riguardo al quale chiedo chiarimenti al ministro: in data 8 gennaio 1992, durante una visita del procuratore della Repubblica di Palmi al ministro di grazia e giustizia, da quest'ultimo sollecitata, sarebbero state rivolte obiezioni di merito ed osservazioni critiche, in particolare da parte del capo di gabinetto del ministro, circa la conduzione delle indagini nonché le specifiche contestazioni mosse nei confronti di uomini politici. Se ciò è avvenuto, vorrei chiedere al ministro se non pensi che in quell'occasione vi sia stato nei confronti del procuratore della Repubblica di Palmi un intervento anomalo, comunque non accettabile. CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Se fosse avvenuto. MASSIMO BRUTTI. Sì, intanto le chiedo se sia avvenuto. Vorrei ora porre una serie di domande relative all'esercizio dei poteri del ministro in ordine al concerto. Quello di procuratore generale presso la corte d'appello di Reggio Calabria è un ufficio delicatissimo, la cui vacanza non può protrarsi oltre. La commissione competente del Consiglio superiore della magistratura ha già formulato una proposta, sono passati quattro mesi ma il ministro non ha ancora dato il concerto e non lo ha neppure negato; ciò ha l'effetto di bloccare il procedimento. Per quali ragioni vi è questa situazione? Quanto alla corte d'appello di Palermo, la vicenda è pesantissima, visto che la vacanza dura ormai da due anni. Le osservazioni motivate dal ministro sulla proposta relativa ad uno dei magistrati in gara sono serie e degne di considerazione ma non crede il ministro che sia giunto il momento di sbloccare questa situazione mettendo il plenum del Consiglio superiore della magistratura di Pag. 653 fronte alle sue responsabilità, perché la situazione non può rimanere bloccata in eterno? Per l'ufficio di procuratore della Repubblica di Patti, la commissione uffici direttivi del CSM ha proposto il dottor Gambino ed il concerto è stato dato tempestivamente. Si tratta di un ufficio rilevante che non può rimanere scoperto; tuttavia, a quanto mi risulta, la nomina sembra ora messa in discussione da un'iniziativa anomala della terza commissione del CSM che ha contemporaneamente proposto, a seguito di una vecchia pratica, il trasferimento d'ufficio del dottor Gambino nel posto, finora vacante, di presidente di sezione del tribunale di Locri. Le chiedo, quindi, se e in che modo intenda contribuire a sbloccare la situazione. In questo caso, mentre il comportamento del ministro di grazia e giustizia credo possa essere giudicato positivamente, riscontriamo un'iniziativa anomala da parte della commissione del Consiglio superiore della magistratura. Vi sono poi questioni molto delicate, a proposito delle quali le rivolgerò domande a cui mi auguro voglia rispondermi in seguito, perché mi rendo conto che difficilmente potrebbe farlo stasera. Il ministro ha effettuato un monitoraggio sulle decisioni della prima sezione penale della Cassazione tra 1986 ed il 1992? In caso affermativo, cosa è emerso da tale accertamento? Cosa risulta in ordine ai criteri di composizione dei collegi? Vi è stata una scelta discrezionale da parte del presidente? In base a quale criterio veniva scelto il relatore? Oltre a tali questioni, che considero le più rilevanti, ve ne sono altre - su cui le ho posto quesiti scritti, signor ministro -, quali quelle connesse alle dichiarazioni pubbliche del dottor Carnevale e al procedimento penale relativo alla liquidazione dei beni di compendio del fallimento della flotta Lauro. Avrei anche voluto sapere in quali carceri risultino oggi dislocati gli imputati ed i condannati per il reato di cui all'articolo 416-bis e per quelli ad esso connessi... CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Lei ritiene giusto che a questa domanda risponda in pubblico? MASSIMO BRUTTI. Forse no, però sarebbe opportuna una riflessione sul numero dei detenuti reclusi a Pianosa e all'Asinara per i reati di cui all'articolo 416-bis, considerato che molti di loro sono fuori delle carceri potendo avvalersi del diritto di partecipare ai processi. Dobbiamo chiederci se siamo in grado di realizzare un trattamento personalizzato, tale da far sì che ovunque i detenuti si spostino le condizioni di sicurezza vengano comunque tutelate. Richiamo infine la sua attenzione, signor ministro, su altre questioni particolari, poiché si ha la sensazione che in talune carceri (Teramo e Caltanissetta) siano possibili azioni intimidatrici dei mafiosi, e che altre risultino addirittura nelle mani dei boss mafiosi. PRESIDENTE. Mi rendo conto che quando la Commissione ascolta un ministro, cioè un'autorità politica, è difficile limitarsi a porre semplici domande senza accompagnarle con valutazioni politiche. Lascio quindi al senso di responsabilità di ciascuno di noi il modo in cui svolgere gli interventi. Mi auguro, comunque, che essi siano tali da consentire al ministro di acquisire un quadro complessivo della situazione. Considerato il numero degli iscritti a parlare ed il tempo a nostra disposizione, credo sia opportuno prevedere che il ministro Martelli risponda in un secondo momento ai quesiti che gli verrano rivolti. SALVATORE FRASCA. Se ci limitassimo a rivolgere solo le domande, potremmo terminare entro le ore 20, altrimenti....... PRESIDENTE. Senatore Frasca, mi rendo conto che è importante limitarsi alle domande, però trovandoci di fronte ad un'autorità politica, non credo si possa evitare al singolo parlamentare di svolgere Pag. 654 qualche valutazione, sia pure breve, pertinente ai quesiti che intende rivolgere al ministro. GIROLAMO TRIPODI. Ho ascoltato le considerazioni del ministro Martelli sugli impegni finora sostenuti e sugli obiettivi che il Governo vorrebbe perseguire (o annuncia di voler perseguire) per combattere il fenomeno mafioso. A me sembra che da tali considerazioni il giudizio emerso sia quello di un decremento dell'attività criminale. Devo dire che non lo condivido, perché anche se sono stati inflitti alcuni colpi alle organizzazioni mafiose, la mafia continua ad essere molto forte non solo nelle regioni in cui lo è sempre stata (Sicilia, Calabria, Campania e Puglia) ma anche in altre regioni del paese, in particolare in quelle del nord. Constatiamo anche che in queste zone la mafia è divenuta un potere che decide su tutto, possiamo dire che sia divenuta Stato, che non sia più l'antistato bensì uno stato mafioso che ha stabilito rapporti di potere e che elegge i consiglieri comunali o regionali, i sindaci, i deputati e così via. Inoltre, la mafia controlla tutte le attività economiche. Constatiamo l'intreccio che va sviluppandosi tra mafia e corruzione, tra mafia e politica. Ma al riguardo, signor ministro, lei non ci ha dato alcuna risposta, nonostante tale intreccio sia ormai venuto alla ribalta in molte occasioni, anche con il coinvolgimento di esponenti politici di primo piano. Constatiamo il coinvolgimento della mafia con altri poteri occulti, come dimostra la recente iniziativa giudiziaria del dottor Cordova contro la massoneria indicativa di quanto sia inquietante la situazione generale. Anche in merito a tale aspetto, gradirei una precisazione da parte sua, perché se non avremo la possibilità di delineare un quadro specifico, getteremo solo fumo negli occhi delle persone che vivono nelle zone dominate dalla mafia e che, proprio per questo, non possono esercitare i diritti loro riconosciuti dalla democrazia, primo fra tutti quello al lavoro. Un'ulteriore questione su cui voglio soffermarmi, e che pongo anche a lei, signor ministro, è quella relativa alla necessità di un'azione maggiormente incisiva per ciò che attiene alle sanzioni patrimoniali. Riteniamo che sia un punto chiave della battaglia che intendiamo portare avanti. Poiché lei ha detto che abbiamo recuperato 1.600 miliardi, vorrei sapere se si tratti di confische o di semplici sequestri, perché, se fosse valida la seconda ipotesi, credo che dovremmo meravigliarci di essere ancora a questo livello, in quanto c'è il rischio della restituzione ai mafiosi, come è avvenuto in passato. Per portare avanti un'azione che giudico essenziale è però necessario evitare contraccolpi, quali quelli che abbiamo registrato in talune zone, per esempio a Gioia Tauro, dove anche l'ambiente mafioso ha organizzato lo sciopero contro le decisioni assunte dalla magistratura; o a Siderno, dove in questi giorni i lavoratori dell'azienda Commisso, che è stata posta sotto sequestro con i recenti provvedimenti assunti dalla magistratura di Reggio Calabria, protestano davanti al municipio perché hanno perso il posto di lavoro. In altri tempi, un caso analogo si è verificato a Palermo. Come affrontare, dunque, il problema di garantire la continuità del posto di lavoro? Come estendere, almeno nella fase transitoria, la cassa integrazione a questa categoria di lavoratori? In che modo il Governo intende risolvere tale questione, considerato che non ha voluto affrontarla tutte le volte che abbiamo cercato di porla alla sua attenzione? Non c'è volontà. Signor ministro, come è possibile manifestare l'intendimento di combattere la mafia o di annunciare un impegno in tal senso, quando poi vengono perseguitati, da parte sua, proprio i magistrati più esposti e più impegnati nella lotta alla criminalità organizzata? Mi riferisco ai magistrati della procura di Palmi, cui poc'anzi ha fatto cenno il collega Brutti. Dopo il veto da lei posto alla proposta avanzata dal Consiglio superiore della Pag. 655 magistratura per la DNA, si è andati avanti con una serie di iniziative vessatorie. CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Questo l'ho chiarito 16 volte in Parlamento! Vuole che lo ripeta per la diciassettesima volta? GIROLAMO TRIPODI. Fino a quando ci sarà ministro di grazia e giustizia, glielo ripeterò 50 mila volte! CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Se lei mi rivolge le stesse domande, sarò costretto a dare sempre le stesse risposte! GIROLAMO TRIPODI. Aggiungo anche che dopo il veto su quella questione, vi sono state altre iniziative... CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Non ho mai posto alcun veto, perché, contemporaneamente, il Consiglio superiore della magistratura ha sollevato un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale, per cui non potevo che attendere l'esito di quel conflitto! GIROLAMO TRIPODI. Ho posto questa questione sulla base delle sue decisioni ufficiali. CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Ma non riguardava il caso Cordova, bensì il caso Pasquale Giardina! GIROLAMO TRIPODI. Mi riferisco a Cordova. Dicevo che abbiamo registrato una serie di altri atti da lei compiuti, signor ministro, atti di persecuzione nei confronti del procuratore della Repubblica Cordova e degli uffici della procura di Palmi, atti che hanno contribuito a destabilizzare non soltanto l'immagine di quel magistrato ma anche quella degli uffici di tale procura, i quali in questi anni hanno svolto l'80 per cento delle indagini riferite alla lotta alla criminalità organizzata nella provincia, cioè alle grandi cosche che hanno collegamenti con la piana di Gioia Tauro. Mi riferisco alla sua decisione dell'11 agosto, signor ministro: nel momento in cui ognuno pensava ad andarsene in vacanza, ha promosso un'inchiesta per accertare un qualcosa che già era stato accertato, dal momento che l'inchiesta del mese di giugno si era chiusa con l'archiviazione delle indagini svolte. Conclusasi ad ottobre l'inchiesta di agosto, il 4 dicembre è stata predisposta un'altra indagine, sempre su sua decisione. Tutto ciò proprio in quei giorni in cui circolava una voce secondo la quale era imminente l'invio di un "pacco indirizzato al dottor Cordova". Naturalmente, si trattava di un linguaggio mafioso - anzi, in questo caso proveniva da un ambiente massone -, per cui non poteva esservi alcun dubbio che si trattasse di un avvertimento, non sappiamo se riferito a qualche attentato o a qualche decisione che poi a me sembra essersi concretizzata: può darsi, infatti, che con il "pacco" in arrivo ci si riferisse all'inchiesta che lei aveva predisposto. Senza dubbio, tutta l'azione portata avanti nei confronti dei giudici di Palmi ha maggiormente esposto Cordova, offuscando la sua immagine ed il suo impegno nella lotta alle cosche più potenti d'Italia. Se l'inchiesta è stata decisa per motivi di violazione del segreto istruttorio, vorrei conoscere le sue deduzioni, signor ministro, a proposito del fatto che qualche mese fa è stata proprio quella procura a promuovere un'indagine per scoprire i collegamenti emersi tra mafia, massoneria e poteri occulti. Anche a tale riguardo, signor ministro, in questo momento i magistrati della procura di Palmi si trovano in una situazione di sabotaggio, in quanto lei ha contestato la richiesta di disporre di locali a Roma, in modo che tali magistrati potessero svolgere con maggiore funzionalità l'azione giudiziaria che debbono portare avanti. Nonostante il Ministero dell'interno, tramite i carabinieri e la polizia, avesse assegnato tali locali, lei ha posto un altro veto... CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Ma lei cosa sta farneticando? Pag. 656 GIROLAMO TRIPODI. Mi riferisco alle dichiarazioni che sono state riportate da fonti ufficiali. CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Se lei mi rivolge delle domande, io rispondo. Se calunnia, non rispondo! GIROLAMO TRIPODI. Non calunnio nessuno. Svolgo considerazioni su suoi gravi comportamenti e rivolgo domande. Voglio sapere perché non possano essere assegnati quei locali a Roma e perché, invece, lei abbia proposto locali a Palmi dove dovrebbe sorgere la procura presso la pretura, a proposito della quale si conosce già il nominativo del magistrato che ha vinto il concorso. Anziché l'entrata in funzione, che eliminerebbe una gran mole di lavoro, lei ha deciso di rinviare l'inizio dell'attività di tale procura, con gravi conseguenze per il funzionamento della giustizia. Signor ministro, sarebbe opportuno consentire a questi magistrati, attraverso l'uso di quei locali a Roma, di poter svolgere più adeguatamente le inchieste sulla massoneria e sui poteri occulti e far funzionare la procura presso la pretura di Palmi. Se veramente vuole combattere la mafia, innanzitutto deve dare alla gente una dimostrazione di coerenza. Queste questioni toccano certamente tutti noi, perché altrimenti si rischia di indebolire quei punti centrali, quelle avanguardie che fermamente sono impegnate nella lotta alla mafia e ad ogni potere, contrario alla democrazia e alle istituzioni. Sarebbe opportuno che queste posizioni persecutorie venissero abbandonate e che il ministro mantenesse quel giudizio che aveva assunto all'inizio, quando aveva dichiarato che sarebbero stati necessari cento di quei magistrati come Cordova per combattere la mafia. Ho terminato. Mi auguro di avere delle risposte che possano tranquillizzare l'opinione pubblica, ponendo fine alla persecuzione vendicativa nei confronti del dottor Cordova. MASSIMO SCALIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori. Vorrei capire la mia presenza qui. PRESIDENTE. La sua presenza qui è stata determinata fin dall'inizio, credo, da una sua richiesta. MASSIMO SCALIA. Mi riferivo alla mia presenza in questa seduta. Vorrei avere garanzie in ordine a come procede il dibattito, garanzie che mi può dare solo il presidente. Abbiamo presentato per tempo delle domande, come è stata consuetudine di questa commissione, almeno fino ad oggi. E' vero che, anche se è presente il ministro, in altre Commissioni vi è una minore tenacia dei commissari, che non pongono un milione e mezzo di domande. In tali Commissioni, per altro, si procede più per affermazioni. Non ho capito perché di volta in volta - forse ciò è dovuto al fatto che abbiamo sentito molti collaboratori di giustizia - dobbiamo rivolgere numerose domande; anzi, in genere noi le consegnavamo al presidente, che le rivolgeva a chi era ascoltato. Io ritengo che al ministro si possa rivolgere qualche domanda, ma anche procedere ad un confronto di posizioni. PRESIDENTE. Lei propone che il ministro risponda di volta in volta? MASSIMO SCALIA. I casi sono due: o le domande che abbiamo rivolto, secondo una tradizione che forse oggi avrebbe potuto essere modificata, hanno una risposta dal ministro, oppure si sta svolgendo una cosa stranissima, in cui si continuano a fare altre migliaia di domande, che magari posso condividere nel merito. Non riesco a capire dove si arriva e come la vicenda finisce. Esiste la sede del sindacato ispettivo e possiamo chiedere al ministro di partecipare ad un convegno indetto da questa Commissione sui temi della mafia, della politica e dell' azione del ministro e confrontarci su questo. Questa strada intermedia è faticosissima e non so dove ci porti: un po' si fanno affermazioni politiche, un po' si fanno domande e si Pag. 657 arriverà alle ore venti senza arrivare ad una conclusione. PRESIDENTE. Onorevole Scalia, qual è la sua proposta? MASSIMO SCALIA. Vorrei che lei definisse un modo di lavorare. Mi risulta sicuramente molto gravoso continuare ad ascoltare giustificatissime domande ed affermazioni, ognuna delle quali va avanti per quarti d'ora: non capisco cosa debbano fare coloro i quali hanno rivolto domande per iscritto. Mi sembra che vi sia un poco di confusione. PRESIDENTE. Le spiego come stanno le cose. Alcuni colleghi, tra cui lei, posero nella seduta precedente la necessità che questa audizione del ministro fosse preparata dalla definizione dei temi sui quali intervenire. Molti colleghi, tra cui lei, hanno mandato delle richieste, che sono state tempestivamente inoltrate al ministro, che ha ritenuto di fare una esposizione preliminare: evidentemente non posso costringere il ministro a rispondere in un modo oppure in un altro. I colleghi che ritengono che questa risposta meriti ulteriori integrazioni stanno rivolgendo determinate domande. Come ho già detto prima, essendo un'autorità politica di fronte a noi, essendo anche tutti noi investiti di funzioni politiche, è difficile chiedere ai colleghi di porre puramente e semplicemente una domanda da interrogatorio. MASSIMO SCALIA. Si è trattato di interventi di un quarto d'ora. PRESIDENTE. Gli interventi già svolti sono durati, mi pare, otto minuti l'uno e nove l'altro. Possiamo fare un'altra cosa, che diventerebbe molto faticosa per il ministro, vale a dire che, nei limiti in cui egli abbia degli elementi a disposizione, possa rispondere subito. MASSIMO SCALIA. Ribadisco una richiesta, visto che è presente il ministro. Mi pare che dagli interventi emerga l'esigenza di un confronto politico con il ministro: se quest'ultimo è d'accordo, possiamo pensare ad un seminario, ad un convegno o ad una iniziativa del genere. PRESIDENTE. La Commissione parlamentare d'inchiesta è già una sede di confronto politico. SAVERIO D'AMELIO. Ringrazio il ministro per l'esposizione svolta, che trovo completa e ricca di molti spunti positivi, che lasciano ben sperare nella continuità dell'azione della lotta contro la mafia e nello stesso tempo ipotizzare una possibile vittoria, un possibile successo, anche se il procuratore della repubblica di Messina, precisando poche ore fa alla Commissione un suo rapporto, ad un certo punto ha richiamato l'affermazione del ministro guardasigilli secondo cui la mafia non è un'emergenza ma un elemento stabile della vita nazionale con il quale dovremo convivere per parecchio tempo. PRESIDENTE. E' un'affermazione resa da un altro ministro guardasigilli. SAVERIO D'AMELIO. La precisazione è ovvia, però mi serve per agganciarmi al discorso del ministro. Quell'affermazione mi richiama alla mente quella analoga che l'Alto commissario De Francesco fece agli inizi degli anni ottanta, allorché sostenne che la mafia non avrebbe potuto essere vinta prima del duemila. In quella circostanza in ognuno di noi vi fu un moto di reazione; tuttavia il duemila si sta avvicinando e vediamo che sostanzialmente questa lotta non è vinta, anche se dobbiamo riconoscere che lo Stato in questi ultimi anni ha predisposto una serie di iniziative ed altre si accinge a predisporne, come abbiamo sentito dal ministro Martelli. Passiamo ora alle domande. Ad un certo punto il ministro si è riferito all'apparente monolitismo della struttura mafiosa. Condivido questo concetto, però vorrei una spiegazione: questo apparente monolitismo lo riferisce al fatto che appaiono sulla scena e per fortuna si Pag. 658 incrementano i cosiddetti pentiti o vi sono altre ragioni che fanno praticamente accreditare un'ipotesi del genere? Per quanto riguarda i cosiddetti pentiti, credo che ognuno di noi, me compreso, apprezzi il valore ed il significato di certe dichiarazioni e confessioni, dell'aiuto che essi hanno dato nella lotta alla mafia, però vorrei ricordare, richiamando il ministro, che esistono dei rischi. Ad un certo punto nella relazione egli ha infatti pronunciato le parole "pur con tutti i rischi che questo comporta". Condivido questa affermazione: ricordo che in altri tempi, quando si facevano certe affermazioni a proposito della lotta al terrorismo, si correva il rischio, pur essendo responsabili, di essere tacciati di fascismo; adesso, appena si parla di questi collaboratori e si pongono dei dubbi sulle dichiarazioni dei cosiddetti pentiti, si corre il rischio di essere messi alla gogna e sottoposti al linciaggio. Spesso anche autorevoli esponenti della stampa ricorrono a questo sistema del linciaggio. Ebbene, io corro questo rischio e dico che comprendo il valore delle dichiarazioni dei cosiddetti pentiti, però tutti dobbiamo tenere presente il rischio altissimo che correrebbe lo Stato democratico ove la magistratura utilizzasse i cosiddetti pentiti senza aver preventivamente compiuto i dovuti riscontri e cercato le dovute prove. Vorrei pregare il ministro di trovare spunti e occasioni per richiamare tutti, magistrati compresi, al senso di responsabilità, altrimenti questo Stato democratico va allo sfascio. A tale riguardo, anche se può sembrare improprio, non condivido la permanenza del cosiddetto avviso di garanzia, un istituto che si è tramutato, da garanzia per il cittadino nei confronti del quale il magistrato avvia delle indagini e al quale questa circostanza viene comunicata, in una pronuncia di condanna senza appello, tanto più irreversibile e grave quanto più sulla stampa si sparano notizie che spesso alla resa dei conti risultano essere non valide e non rispondenti a nessun fatto. Anche sotto questo aspetto prego l'onorevole ministro di intraprendere sollecitamente una qualche iniziativa legislativa. Delle due l'una: o si richiamano i magistrati al dovere del segreto istruttorio (neppure in quest'aula i magistrati ci dicono tutto quello che poi dicono alla stampa e si trincerano dietro il segreto istruttorio) oppure occorre modificare la legge. Io non sono tra coloro i quali danno addosso alla stampa, perché a questa le notizie arrivano e, quando ciò avviene, essa ha il diritto-dovere di pubblicarle, anche se dovrebbe essere tenuta presente l'etica professionale. Ora, l'etica è un fatto che attiene alla coscienza, qui dobbiamo restare con i piedi per terra, alla legge, che credo vada rivista e il ministro dovrebbe fare di tutto per richiamare i magistrati ai loro compiti istituzionali. Un'altra domanda riguarda i traffici finanziari ed il riciclaggio. So che è stato fatto molto. Il ministro stesso ha avanzato una serie di proposte che vanno nella direzione della lotta e, quindi, dell'abbattimento del riciclaggio, però i traffici finanziari esistono e si svolgono in tutto il mondo, attraversano tutti i paralleli e i meridiani. Ritengo che non sarà possibile vincere la lotta al riciclaggio se non vi sarà la collaborazione delle banche centrali. Non ci illudiamo, le banche centrali sono il referente. Credo che non ci voglia molto a richiamare queste banche alla piena collaborazione. Le banche non collaborano, anzi sono diventate un colabrodo, sia quelle nazionali nei confronti delle banche estere, sia quelle estere per il ritorno del denaro sporco in Italia: e consentono il passaggio di tutto. Dobbiamo allora uscire da un equivoco. Capisco che sto dicendo una cosa molto grave e pesante, ma se permane questa situazione e dentro il cosiddetto segreto bancario si verificano tutti questi flussi che spesso sono criminali, dobbiamo abbattere il segreto bancario, se non vi è altra via. Capisco che il tema è delicatissimo, ma se non vi è altra via, dobbiamo puntare all'abbattimento del segreto bancario, Pag. 659 diversamente non arriveremmo a scoprire il riciclaggio. PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, evidentemente dovremo proseguire l'audizione del ministro Martelli in altra seduta. SALVATORE FRASCA. Domani, però, sulla stampa deve esservi un panorama globale degli interventi svoltisi in questa sede... PRESIDENTE. Se il senatore Frasca ci consente di proseguire, anche il suo intervento verrà riportato domani dalla stampa. Ci dovremmo accordare ora su quando proseguire l'audizione del ministro Martelli, in relazione agli impegni dello stesso ed ai lavori di Camera e Senato. Il ministro è disponibile lunedì pomeriggio? CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Sì, però almeno alle ore 18 per avere il tempo di preparare le risposte più tecniche; quelle politiche posso darle subito. PRESIDENTE. Bene, resta pertanto stabilito, se non vi sono obiezioni, che l'audizione del ministro Martelli proseguirà lunedì alle 18. Riprendiamo ora con gli interventi dei colleghi. MARCO TARADASH. Desidero innanzitutto osservare che la relazione del ministro è stata molto interessante, anche per l'accento posto sul tema dell'organizzazione della giustizia. L'avere preannunciato una moratoria di tipo legislativo ed una maggiore cura, invece, per gli aspetti pratici, tecnici e materiali dell'organizzazione giudiziaria è a mio avviso molto importante, perché in genere il difetto nazionale è quello di pensare di poter affrontare a colpi di legge problemi che non si risolvono grazie all'organizzazione del sistema. Questo, intanto, è un dato importante che viene anche a seguito di un lavoro - è giusto riconoscerlo - svolto dall'attuale ministro della giustizia e dagli ultimi due ministri dell'interno, che ha dato frutti importanti in materia di lotta alla mafia. Nell'ambito delle innovazioni sul piano legislativo apportate al sistema giustizia, vorrei pregare il ministro di riflettere anche su aspetti che considero alla lunga negativi, anche se nell'immediato può sembrare che offrano sbocchi positivi. Il ministro ha parlato della giustizia sostanziale, che si contrappone ai formalismi, come della giustizia che viene immediatamente compresa dalla gente: vi possono essere sicuramente aspetti positivi, ma se andassimo dietro all'opinione pubblica ed ai suoi desideri, francamente, in momenti come i presenti, dovremmo chiederci in che modo la nostra giustizia dovrebbe trasformarsi. Credo che sia una strada molto pericolosa e minata e che il fine non ci debba far dimenticare i mezzi. Quando, in particolare, è stato introdotto nella nostra procedura penale il regime del doppio binario, a mio avviso è stata aperta una ferita molto grave: sono d'accordo sul dare, nella fase dell'indagine e dell'istruttoria, i più ampi poteri, compatibilmente con le norme generali di diritto e di democrazia, alla polizia e ai magistrati della pubblica accusa, ma ritengo che quanto maggiori siano tali poteri tanto più il dibattimento debba essere un sacro momento di neutralità. Non possiamo chiedere al giudice di essere parte nella lotta contro la mafia anche nel dibattimento: credo che questo sia un elemento di diritto importantissimo e negare tale principio in nome della giustizia sostanziale ci porta verso un ordinamento di tipo diverso da quello democratico e di diritto, aprendo le porte a qualsiasi tipo di abuso. Ritengo che sia stato compiuto un errore con quella parte del decreto-legge (non con tutto) convertito dalle Camere nell'agosto scorso che introduce questi elementi di giustizia sostanziale, che rappresentano in prospettiva un errore molto grave e che rendono anche oggi molto difficile nel nostro paese... Pag. 660 CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Lei parla del giudice, vero, non del pubblico ministero? MARCO TARADASH. Sto parlando del momento dibattimentale e del fatto che, per esempio, gli elementi di prova acquisiti dalla polizia possono essere portati in aula al di fuori dei meccanismi normali del procedimento e costituire una prova. Questo è uno degli aspetti, oltre a tutte le limitazioni del processo accusatorio che sono state introdotte anche a seguito dell'ultimo decreto. Si tratta di un punto che dovrebbe essere riletto anche alla luce di quanto sta avvenendo e del numero sempre maggiore di pentiti: da un certo punto di vista questo è ovviamente un fatto positivo, ma lo rimane solo se i pentiti vengono gestiti severamente, senza lasciare ad un poliziotto o a qualche altro tale gestione. D'altro canto, nelle audizioni della nostra Commissione scopriamo che i pentiti che ora vanno per la maggiore sono gestiti da anni dai servizi segreti, senza che il giudice lo sapesse o lo riferisse appunto alla nostra Commissione. Leonardo Messina ci è stato presentato dai magistrati di Caltanissetta - tra i quali il giudice Tinebra, che è stato ascoltato da noi - come un pentito per nobilissima causa, avendo visto in televisione la moglie di un poliziotto ucciso dalla mafia piangere ed invocare il pentimento, mentre poi abbiamo scoperto, dalle sue stesse parole, che almeno dal 1986 era in rapporto di confidenza con i servizi segreti... PRESIDENTE. Dato che siamo in seduta pubblica, preciso che Messina ha detto di essere stato in contatto con persone che si erano qualificate come appartenenti ai servizi. MARCO TARADASH. Sì, e da queste persone ha ottenuto favori giudiziari: se tali favori possono essere ottenuti in Sicilia anche da persone che si qualificano soltanto come funzionari dei servizi segreti, deve essere svolto un discorso di carattere più generale. Si tratta di un problema importante: occorre sapere come certi pentiti vengono utilizzati e ciò vale d'altronde anche per gli omissis. Desidero evidenziarlo in questa sede: questa "legge" degli omissis ci fa scoprire dai giornali, o da qualche deputato imputato, che vi sono altri personaggi politici che sono stati chiamati in causa, di cui non avevamo alcuna notizia, per cui tanto vale rispedire al mittente gli omissis, oppure è meglio che non ci vengano neanche inviati determinati verbali: altrimenti se indaghiamo sui rapporti mafia-politica e scopriamo che determinate persone sono state chiamate in causa senza che ne sapessimo nulla, si tratta di un fatto grave. Sempre con riferimento ai pentiti, ed in particolare a Buscetta, non so come vengano organizzati i suoi pranzi o convocate le sue conferenze-stampa, ma fatto sta che lo stesso ha rilasciato un'intervista ufficiale nella quale comunica che andrà via dall'Italia, che riferirà soltanto ai giudici quanto ha da dire e che non aggiungerà più nulla sui rapporti fra mafia e politica che conosce. Si tratta di cose sorprendenti per il modo in cui vengono comunicate e per la gestione nei confronti della stampa e della nostra Commissione. Lei, signor ministro, ha detto che in questo momento la mafia sembra avere un minore interesse nel traffico degli stupefacenti... CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Non vorrei essere frainteso: è stata esclusa da una parte del traffico, non è che non ha più interesse... MARCO TARADASH. Sì, ho detto un minore interesse; lei ha detto: "a beneficio di altri paesi europei", con una sorta di lapsus usando il termine beneficio. Pino Arlacchi continua da anni a dirci che il traffico di droga ha pochissima incidenza... CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Ho ricavato la mia affermazione Pag. 661 dai dati della polizia, per la verità, ed anche da qualche segnale internazionale. Posso aggiungere, comunque, qualche informazione: alcune correnti del traffico internazionale di stupefacenti che usavano la "portaaerei" siciliana, come si diceva nel passato, approfittando del disfacimento di Stati, giurisdizioni, polizie, magistrature delle società dell'est e della stessa condizione, per così dire, un po' più aperta in Germania, si sarebbero spostate in quella direzione. Si tratta di questo, e niente di più. MARCO TARADASH. Queste sono teorie che vengono esposte da Pino Arlacchi da molti anni e che vengono continuamente smentite dai fatti. Lo stesso Pino Arlacchi scrive su l'Espresso di questa settimana che non vi è in Colombia beneficio dal traffico di droga, ma poi si scopre che il beneficio non è per il Governo (e grazie!) ma resta per i trafficanti: la tesi viene però sbandierata, per cui il traffico di droga sembra poco incidente persino sui profitti dei narcotrafficanti, ed è veramente il massimo! Vorrei ora segnalare che la portaaerei Sicilia, in realtà, non esiste più da molti anni perché si è trasferita a Rozzano sul Naviglio, a Verona, a Trieste e via via in altre zone d'Italia diverse dalla Sicilia, che è sotto un controllo più diretto: ciò nondimeno il controllo mafioso su questi traffici resta immutato, almeno in Italia. Come riferisce la stampa estera, che leggo e che riporta notizie derivate dai rapporti riservati dei servizi segreti, di cui purtroppo non dispongo, l'apertura dei mercati ad est ed il traffico di denaro a Berlino, che precede naturalmente quello della droga, si sono accompagnati al controllo e all'insediamento mafioso italiano. Praga, per esempio, è una centrale operativa della mafia siciliana, non soltanto per il denaro ma anche per la droga, che purtroppo comincia ad essere consumata anche lì. Il controllo delle produzioni nei paesi ex comunisti, come il Kazachistan o la Russia, si accompagna sempre a presenze mafiose italiane. Il dato che ci deve interessare di più, però, è non quello percentuale sulla presenza della mafia tradizionale italiana in questi traffici (sia esso del 10, del 20, o del 25 per cento), ma quello dei volumi complessivi, per vedere se i traffici internazionali di droga aumentano o diminuiscono. Personalmente, infatti, mi interessa poco che la gestione sia di una cosca siciliana, marsigliese, o spagnola, quando sappiamo che l' internazionalizzazione del crimine rende generale il problema, chiunque sia colui che detiene il controllo specifico, in questo o quel periodo, anche a seconda degli scontri "concorrenziali" tra le varie bande. Sappiamo che la produzione è in aumento e che il consumo non è in diminuzione (probabilmente segue l'andamento dell'offerta), per cui il problema del narcotraffico resta fondamentale. Lei, signor ministro, è d'accordo sul fatto che la sottrazione del traffico di droga alle organizzazioni criminali rappresenterebbe un duro colpo ed ha ripetuto anche recentemente che si tratta, però, di un problema internazionale. Lei sa che su questo sono, e siamo, d'accordo: mi preoccupa però la possibilità che, dovendosi trovare una soluzione internazionale, nessuno faccia niente perché non esiste un "luogo internazionale". Se nessuno comincia ad assumere un'iniziativa per affrontare il problema e preparare le strutture di uno Stato a fronteggiare i problemi che pone la legalizzazione, evidentemente non si potrà neanche parlare a livello internazionale del problema, dato che non vi saranno i presupposti concreti per realizzare questa sottrazione di immensi capitali ai trafficanti. Eppure il ministro sa che in molti paesi, non solo in Europa ma anche in America latina, si cerca di opporre una strategia concreta al potere sia dei narcotrafficanti sia degli Stati Uniti che, attraverso la lotta al traffico di droga, esercitano un potere molto forte di controllo militare e politico su alcuni paesi, lasciando in realtà crescere quel traffico. La questione che pongo in concreto al ministro è la seguente: abbiamo approvato Pag. 662 alla Camera, con il parere favorevole del Governo, un ordine del giorno che impegna lo stesso Governo italiano ad aprire a livello internazionale la discussione sul tema del proibizionismo, dei suoi effetti, delle alternative possibili e ad organizzare a tale scopo una conferenza nazionale ed internazionale. Chiedo quindi se sono stati fatti i passi necessari al riguardo, dato che si tratta di aspetti molto importanti, considerando l'evoluzione internazionale e l'ingresso di nuovi soggetti "mafiosi senza coppola" come quelli dei paesi dell'est europeo, che sono usciti dal comunismo e che con la democrazia hanno incontrato tutti i grandi capitali di cui possono disporre. PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PAOLO CABRAS MARCO TARADASH. I paesi baltici sono considerati centrali importantissime del riciclaggio del narcotraffico, anche nazionale. Vorrei rivolgere ancora una domanda al ministro: il segretario di un partito della maggioranza ha dichiarato, in un'intervista a Il Giorno, di temere di essere assassinato. Tale dichiarazione non è stata ripresa da alcuno, ma poiché i partiti di maggioranza sono quattro, vorrei sapere come mai l'onorevole Vizzini ritenga di poter essere assassinato in Sicilia e lo comunichi alla stampa senza che vi sia alcun tipo di reazione. ANTONINO BUTTITTA. Ho già parlato di acta bollandiana e non mi ripeterò. Mi ha meravigliato il fatto che ancora una volta sia stata rappresentata la degna e nobile figura di un magistrato come quella di un perseguitato. Ritengo si tratti di materia opinabile, ed io sono di parere contrario. Credo tuttavia che se vi è una cosa che nel nostro paese risulta oggetto di forti persecuzioni è il senso della misura, elemento assai importante in una società. Ritenevo - e ritengo ancora - che l'ottima relazione del ministro assorbisse tutti i problemi che ci siamo posti in questi pochi mesi di lavoro. Ho constatato che, purtroppo, per alcuni colleghi non è così. Ritenevo - e ritengo ancora - che alcuni aspetti della relazione, concernenti i quesiti che ci siamo posti, potessero e dovessero essere approfonditi. Il ministro, per esempio, ha segnalato di essersi impegnato nel potenziamento di alte tecnologie ai fini del rafforzamento della struttura in direzione di una migliore e più efficace lotta al fenomeno mafioso; ha anche accennato ad un rapporto con il CNR. Giudico questo un fatto assai importante e desidero sapere dal ministro se si sia formulata l'ipotesi di una formalizzazione di tale rapporto con una struttura che, proprio nel settore delle alte tecnologie, possa recare un contributo ed un apporto assai utile anche alla lotta al fenomeno mafioso. L'altra domanda che vorrei rivolgere riguarda un aspetto della relazione del ministro che giudico il più interessate; mi riferisco all'importanza che viene attribuita dal ministro alle indagini patrimoniali. Un'importanza che, al contrario, non risulta dalle relazioni che finora hanno portato avanti sia le forze dell'ordine sia la magistratura. Si tratta, al contrario, del cuore del potere mafioso. La forza finanziaria della società mafiosa consiste proprio nelle sue strutture patrimoniali che, come giustamente ha segnalato il ministro, non sono costituite soltanto da beni fisici, ma soprattutto da flussi finanziari. Il quesito che mi pongo, e che ripropongo al ministro, è il seguente: non trova strano il fatto che né da parte delle forze dell'ordine né da parte della magistratura fino a questo momento sia venuta un'organica e forte iniziativa in relazione a indagini da promuovere, in vista di una conoscenza di ciò che avviene all'interno di molte agenzie finanziarie più o meno oscure e di alcune banche che in questi ultimi tempi hanno avuto una storia rapsodica e sussultoria ma che, comunque, hanno conosciuto, rispetto al loro recente passato, successi che devono necessariamente far sospettare Pag. 663 un'origine comunque incerta dei flussi finanziari che le alimentano? SALVATORE FRASCA. Il ministro ci ha presentato una relazione molto completa ed esauriente ed, ascoltandolo, io (che sono da tempo un addetto ai lavori, quasi un milite solitario nella lotta contro la mafia), ho detto a me stesso: finalmente lo Stato comincia ad agire ed a comportarsi seriamente nella lotta contro la mafia. Non vado oltre per quel che concerne le considerazioni politiche. Si è parlato di riforma del Ministero. Attualmente, signor ministro, il Ministero di grazia e giustizia si presenta come un lembo del potere giudiziario nel potere esecutivo. E' una sorta di anomalia che bisogna superare e correggere, facendo in modo che i direttori generali del Ministero più che magistrati siano funzionari vincitori di un concorso, giunti a ricoprire quel posto con le modalità che si seguono per diventare direttori generali negli altri ministeri. Un'altra questione che intendo sollevare riguarda le informazioni di garanzia, un tempo comunicazioni giudiziarie; tale istituto era stato creato a garanzia dei cittadini e adesso si ritorce contro di loro. Qual è il pensiero del ministro in ordine a tutto questo? Non c'è dubbio che nel corso di questi anni la carriera dei magistrati si sia sviluppata per la presenza che essi hanno avuto nelle sedi politiche anziché in quelle giudiziarie; non c'è dubbio, altresì, che nella società dello spettacolo molte volte si è dato luogo a processi che hanno avuto una certa risonanza ma che si sono poi conclusi nel nulla. Tutto questo è servito al magistrato proponente per diventare deputato o senatore. Il Governo intende evitare tale inconveniente, per esempio presentando un disegno di legge in virtù del quale il magistrato non possa presentarsi come candidato nel collegio in cui abbia esercitato il suo ruolo? Seguendo l'esempio di altri paesi, si potrebbe anche introdurre per i nostri magistrati l'esame psicoattitudinale. Dico questo anche in riferimento a talune inchieste ministeriali nelle quali si parla di comportamenti caratteriali dei magistrati. Se un macchinista deve essere sottoposto all'esame psicoattitudinale prima di essere posto alla guida di un treno, penso che un magistrato debba dimostrare di avere un equilibrio psicofisico prima di essere introdotto nell'amministrazione della giustizia. Sempre con riferimento ai magistrati, nel 1974 o 1975 (non lo ricordo), con la sola opposizione dei veterani del Parlamento, vale a dire gli onorevoli Ugo La Malfa e Francesco De Martino, venne approvata una legge in virtù della quale furono aboliti i concorsi, così che attualmente i magistrati possono passare da un grado all'altro per carriera. Tutto questo non ha prodotto magistrati più qualificati e professionalmente più preparati. Si è del parere di reintrodurre con un disegno di legge il principio del concorso? Signor ministro, al superattivismo del Ministero corrisponde un'eccessiva lentezza del Consiglio superiore della magistratura; vengono quindi rimproverati a lei, ministro di grazia e giustizia, fatti secondo me imputabili al Consiglio superiore. Non vi è dubbio, infatti, che è in suo potere promuovere inchieste e trasmetterne le risultanze al CSM, ma è quest'ultimo che deve poi intervenire. Mi dispiace che il collega Brutti, che è anche stato membro del Consiglio superiore della magistratura, non abbia rilevato tale aspetto, perché tutto questo spiega il perdurare di certe situazioni, che sussistono perché il CSM non si muove e che rappresentano un pugno nell'occhio rispetto alla realtà che vogliamo determinare. PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE SALVATORE FRASCA. Quanto alla situazione di Paola, i suoi ispettori, in più di un'occasione e con un rapporto di 3-4 mila pagine (di cui disponiamo), hanno dichiarato l'assoluta disistima in cui versano quei magistrati. Vi è un presidente Pag. 664 del tribunale che partecipa ad attività affaristiche e speculative confinanti con attività mafiose. Quel presidente può rimanere al suo posto? Presso la procura troviamo il procuratore che rimprovera i sostituti procuratori di non fargli fare il proprio dovere e questi ultimi (tutti e tre inquisiti) che rimproverano al procuratore di non poter fare il proprio dovere perché questi glielo impedirebbe. E' un'allegra situazione, ma non è comunque una cosa seria. Dal mese di luglio sono state effettuate le necessarie ispezioni, ma non è accaduto niente; la gente non crede nell'amministrazione di quella giustizia e sostiene che sia, piuttosto, ingiustizia. Questo vale per quanto riguarda il tribunale di Paola; nelle varie province del circondario si riscontra una giustizia di ordine familiare, gestita da alcuni magistrati legati dal sistema del "comparaggio", dal sistema familiare, da interessi personali e ad alcuni avvocati. Il tutto si riduce in una sorta di monopolio detenuto da quattro avvocati e qualche magistrato. In una situazione del genere, le cause non si fanno. Sergio Zavoli, nell'ambito della famosa inchiesta sul Mezzogiorno, ha affermato che presso il tribunale di Castrovillari vi sono 20 mila processi inevasi. Vorremmo sapere cosa avviene in quel tribunale dove, per altro, c'è un procuratore della Repubblica che ha iniziato la sua carriera 30-35 anni fa come pretore nella stessa sede. Egli fa parte di un sistema di potere e, come tale, usa l'azione penale nei confronti dei cittadini, discriminandone alcuni e favorendone altri. E' questa una situazione che non può perdurare perché la gente non crede in quel tipo di giustizia. Inoltre, presidente, è avvenuto un fatto veramente grave. Vi sono state molte inchieste legate alla lotta contro il clan mafioso dei Cirillo che operava nella zona di Sibari; il processo si è concluso in istruttoria (vi era, allora, il vecchio rito) a Castrovillari e la gente afferma che tutto questo è accaduto perché uno dei principali imputati era il figlio del presidente dell'ordine degli avvocati. Per quanto riguarda Cordova, non sono favorevole ad un'esaltazione dei magistrati ma neanche ad una loro crocefissione; credo che debba esservi nei loro confronti un atteggiamento equilibrato e che tale debba essere il nostro giudizio. Ho rivolto al ministro una domanda scritta. A tale proposito, vorrei dire al ministro, per inciso, che dovrebbe rispondere alle interrogazioni; è, sotto tale profilo, il ministro più reticente. Si tratta di una piccola critica rivoltale da un collega di partito: dovrebbe far presente ai suoi uffici la necessità di metterla nelle condizioni di rispondere alle interrogazioni. Come dicevo, ho rivolto al ministro una domanda scritta: quali sono state le risultanze delle varie inchieste a proposito del procuratore della Repubblica di Palmi? Mi pare che non si tratti di quel santo che afferma il collega Tripodi. Lo seguo da molto tempo, fin dall'epoca in cui fu giudice istruttore nel primo maxiprocesso che fu celebrato (il presidente Violante lo ricorderà)... GIROLAMO TRIPODI. E' stato il primo processo contro la mafia con pesanti condanne inflitte ai boss mafiosi. SALVATORE FRASCA. Infatti. Il processo si celebrò presso il tribunale di Reggio Calabria. Insieme a Tripodi e ad altri andai a deporre e tutto quello determinò una flessione elettorale... GIROLAMO TRIPODI. Sei intervenuto al dibattimento, non all'istruttoria, com'era doveroso. SALVATORE FRASCA. Non andai all'istruttoria perché già allora non avevo fiducia in Cordova. Andai a deporre al processo tra il clamore e le minacce dei mafiosi e quella deposizione mi costò cara dal punto di vista elettorale. Quindi, ho seguito quel giudice da allora e lo conosco molto bene. E' un giudice che, secondo le risultanze delle inchieste ministeriali, ha difetti caratteriali. Cosa significa che ha difetti caratteriali? Significa che egli, volendo fare il Pag. 665 protagonista, commette quegli strafalcioni nell'esercizio della sua attività, di cui abbiamo avuto conferma questa sera attraverso le parole del procuratore della Repubblica di Messina. PRESIDENTE. Non ha parlato di strafalcioni, ha detto che avendo chiesto dei documenti, non ha avuto risposta. (Commenti del deputato Tripodi). SALVATORE FRASCA. Onorevole Tripodi, mi lasci continuare! La verità bisogna ripristinarla una buona volta! Se avete dei tabù, cercate di porvi delle domande e di avere spiegazioni dalla vostra scatola cranica ma consentite che io possa far funzionare il mio cervello! Ho chiesto al procuratore della Repubblica di Messina se fosse vero che il procuratore di Palmi - che indagava abusivamente, perché non aveva competenza, da sei mesi contro il presidente della propria corte d'appello e contro un deputato nazionale - al momento in cui si è spogliato dell'inchiesta avesse mandato (cosa non prevista dal codice) delle fotocopie incomplete del fascicolo anziché gli originali. Questo il procuratore di Messina l'ha confermato e ha detto anche che non era vero tutto quello che non due pentiti ma due emeriti filibustieri avevano dichiarato (questi due erano stati spie della polizia e al servizio dell'Alto commissariato e poi denunciati per ricatto allo stesso Alto commissariato). Dovrei leggere altre interrogazioni su fatti che stanno a testimoniare come ci sia un uso personale, strumentale, politico della giustizia in quella procura della Repubblica. Questo va detto ad alta voce! Non può accadere, signor ministro, che due giorni prima delle elezioni, senza aver concordato niente con il procuratore generale presso la corte d'appello da cui dipende e interessandosi anche di parti dell'area calabrese che non erano di sua competenza, questo procuratore abbia avviato una maxi inchiesta sui facsimile elettorali, per vedere dove erano e se i mafiosi ne disponevano o meno! Non può accadere che due giorni prima delle elezioni vengano pubblicati i nomi dei candidati per i quali erano stati trovati dei facsimile elettorali presso le case di certi mafiosi! Chi di noi non distribuisce dei facsimile? E non può accadere che, distribuendoli ad una persona perbene, questa poi li dia a qualcun'altro? CARLO D'AMATO. Tra l'altro, non sono stati comunicati i nomi di tutti i candidati in quella situazione, perché sono stati trovati facsimile di molti altri candidati di altri partiti dei quali non si è saputo nulla! GIROLAMO TRIPODI. Questa è la conferma delle persecuzioni nei confronti del procuratore Cordova! SALVATORE FRASCA. Voi vedete persecuzioni dappertutto. Credo che l'opinione pubblica non possa sentirsi tranquilla per queste cose. Vogliamo sapere se presso il tribunale di Palmi la giustizia debba essere amministrata in conformità alle nostre leggi, se quella procura si debba muovere nell'ambito del rispetto del codice di procedura penale oppure no. Altri fatti, che non sto ad elencare ma che il ministro conosce, ci dicono il contrario. E' venuto il momento di fare piena luce anche su Palmi, tanto più che a me risulta che processi a carico dei mafiosi presso il tribunale di Palmi non vengano mai celebrati. GIROLAMO TRIPODI. Non è vero! E' totalmente falso! SALVATORE FRASCA. Ci sono cinquanta processi di mafia, risulta dal prospetto che ci ha inviato lo stesso procuratore. Si fanno processi spettacolari per acquisire privilegi e conquistare determinate posizioni. PAOLO CABRAS. Allora si fanno i processi! Prima dice che non si fanno e poi che si fanno! SALVATORE FRASCA. Non mi ha ascoltato. Ho detto che non si fanno molti processi di mafia e si fanno altri processi. Pag. 666 Questo è quel che intendevo dire. C'è un rigore logico nel mio ragionamento. PAOLO CABRAS. Comunque non è esatto. SALVATORE FRASCA. Può non essere esatto per lei, ma è esattissimo per me. E' la sacrosanta verità. Chi le ha detto che non è esatto? Non siamo in uno Stato bulgaro! CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Mi aiuti a capire: prima ha detto che non si fanno processi di mafia... SALVATORE FRASCA. E si fanno processi spettacolari. CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Di altro genere? SALVATORE FRASCA. Di altro genere. Signor ministro, faccia accertare se sia vero o no che si fanno processi nei confronti di alcuni sindaci e non a carico di altri sindaci, perché rappresentano gli avamposti più avanzati del procuratore Cordova nel Parlamento e nel paese. GIROLAMO TRIPODI. E' una provocazione! Non può fare insinuazioni! Potrei dire molte cose di lei! SALVATORE FRASCA. All'onorevole Tripodi potrei rispondere rincarando la dose ma non voglio trasformare la Commissione nella sede di una rissa da osteria. Parlando delle questioni di carattere generale mi ero dimenticato di accennare ai beni dei mafiosi. Signor ministro, non so se lei sa che nel mio comune, cinque anni fa, di tre grandi aziende che appartenevano ad un mafioso ho fatto una comunità per tossicodipendenti che attualmente ospita 350 persone. E' la comunità più grande nel Mezzogiorno. E' un esempio che testimonia come sia possibile utilizzare i beni sequestrati o confiscati ai mafiosi. Però dobbiamo intervenire sul serio. Possono intervenire i sindaci, i prefetti, si possono realizzare altre cose. Nella legislazione sono stati compiuti passi avanti sulla linea di questo precedente di Sibari ma in Campania, in gran parte della Calabria ed in Sicilia i beni sequestrati tornano al mittente. Dobbiamo cercare di interrompere il circuito. ROSARIO OLIVO. Innanzitutto, rivolgo un apprezzamento non rituale alla relazione del ministro, che giudico di alto spessore e che testimonia il grande impegno antimafia del ministro Martelli. Vorrei sollecitare un approfondimento da parte del ministro su alcune dichiarazioni di pentiti in ordine alle tentazioni separatiste di Cosa nostra. Inoltre, vorrei un approfondimento sul rapporto tra Cosa nostra e 'ndrangheta. MARIO BORGHEZIO. Sollecitato dall'intervento del senatore Frasca, vorrei premettere alle domande che intendo porre sulla relazione del ministro, una brevissima osservazione. Se eventualmente fra i numerosi magistrati ancora parcheggiati al Ministero di grazia e giustizia ve ne fosse qualcuno, magari anche con qualche leggerissimo difetto psicologico, ma dotato di altrettanta grinta e capacità lavorativa del procuratore Cordova, pregherei il ministro di indirizzarlo in uno dei numerosi uffici giudiziari in cui necessita la presenza e l'attività di uomini coraggiosi, decisi e determinati nella lotta alla mafia. CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. In diciotto mesi il numero dei magistrati che lavorano presso il Ministero di grazia e giustizia è sceso dai 127 che erano quando ho assunto il mio incarico agli attuali 100. Quindi più di 20 sono stati restituiti agli uffici giudiziari. Non ci sono precedenti, visto che i miei predecessori in genere tendevano ad allargare il numero dei magistrati distaccati presso il Ministero. Naturalmente, finché non abbiamo la riforma del Ministero, per legge certe funzioni fondamentali possono essere assolte soltanto da Pag. 667 magistrati. Bisogna modificare la legge per poter sostituire in certi incarichi organizzativi, di tipo aziendale, finanziario e anche industriale, i magistrati con altri dirigenti prelevati dal libero mercato o da altre amministrazioni pubbliche. MASSIMO BRUTTI. Ha accertato quanti ce ne sono presso altri ministeri? CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Ne parlammo nella Commissione giustizia del Senato. Posso dire che ho resistito a tutte le richieste che provengono da altre amministrazioni dello Stato, ivi comprese le Commissioni parlamentari. La verità è che c'è una ricerca costante del magistrato (non solo quella del posto non giudiziario da parte degli stessi magistrati), perché molti si sentono meglio garantiti quando hanno dei magistrati nelle loro amministrazioni. Questa tendenza viene contrastata, ripeto, solo da diciotto mesi a questa parte. Qualche beneficio modesto si è prodotto, con la restituzione agli uffici giudiziari di un numero limitato di magistrati. MARIO BORGHEZIO. Prendo atto del leale riconoscimento del ministro che fino ad ora era invalsa l'abitudine di aumentare il numero dei magistrati impiegati al Ministero di grazia e giustizia. Confermo il mio invito a far sì che tutti coloro che non sono impiegati in compiti specifici vengano al più presto indirizzati al lavoro giudiziario, tenendo conto dei gravi problemi posti dall'emergenza mafiosa. Sulla relazione del ministro nutro alcune riserve. La prima è che ho l'impressione - come d'altronde ho avuto in tutte le altre audizioni, compresa quella delle autorità di polizia - vi sia una sensibilità limitata in ordine alla necessità di reprimere il processo sicuramente molto silenzioso ma non per questo meno reale di penetrazione della mafia al nord. Eppure anche nell'ultima audizione di un collaboratore della giustizia abbiamo avuto dati molto impressionanti: si parla di commissioni regionali in Piemonte e in Lombardia, con un'organizzazione provinciale ed una struttura molto articolata. Chi, come me, vive in queste regioni ne sa qualcosa, perché i segnali sono numerosi. D'altronde, i fatti di cronaca e i recenti arresti di capi mafiosi in zone del nord lo confermano. Inoltre, ci sono le parole pronunciate due anni fa dal procuratore generale presso la corte d'appello di Torino al momento dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, in merito alla penetrazione delle cosche in quelle zone. Ritengo che il Ministero debba avere altra e più approfondita attenzione a questo problema. Vorrei sapere qualcosa di più, anche in relazione alle dichiarazioni rese di recente dal procuratore di Milano, sulle indagini che si intende promuovere sulla penetrazione mafiosa nel settore della borsa, particolarmente nelle piazze finanziarie più importanti del paese. Anche a questo proposito sono convinto che l'attività di indagine sia ad un livello ancora molto arretrato nel nostro paese, a fronte di una realtà sicuramente preoccupante, perché gli elementi di valutazione sono numerosi. Di recente, ho avuto un colloquio con il curatore fallimentare di uno dei più grossi scandali finanziari degli ultimi anni. Egli, sapendo che sono membro di questa Commissione, mi ha incoraggiato a portare avanti questo discorso perché gli elementi di cui gli addetti ai lavori dispongono sono convergenti. Se il ministro, per esempio, ascolterà, attraverso gli opportuni strumenti, le opinioni degli uffici giudiziari di Torino e Milano, ne avrà senz'altro conferma. Nella relazione del ministro ho riscontrato pochi elementi su un punto nodale. In questi giorni, il finanziamento dei partiti è al centro del dibattito politico. Il rapporto mafia-politica costituisce il cuore della lotta alla mafia. Inoltre, si stanno svolgendo indagini a tappeto sul voto mafioso. Sarebbe opportuno sapere quali siano le indicazioni provenienti dalle varie procure e direzioni antimafia anche in relazione al finanziamento dei partiti. Questo problema non riguarda certamente un solo partito. Se pensiamo Pag. 668 a quale sia stato in questi anni l'intreccio dei rapporti tra le nomine pubbliche, gli affari, gli appalti e il finanziamento, ci rendiamo conto che questo è un livello molto alto e delicato di fronte al quale, finora, si sono fermati un po' tutti; e capiamo che dobbiamo partire di qui, facendo chiarezza una volta per tutte e fugando ogni sospetto. Per essere chiaro, io ho il sospetto, anzi ne sono convinto, - non dico di avere prove oggettive, ma ragiono con il buon senso - che la mafia non possa essere estranea ai grandi appalti, anche internazionali, ai movimenti sui cambi, alle speculazioni sulle valute e ai giochi di borsa. Il rapporto affari-politica è anche questo, il finanziamento in nero dei partiti o di correnti o di gruppi politici, magari settoriali o regionali. Poiché in questo settore mi sembra che siamo ancora molto indietro, su questo aspetto richiamo l'attenzione del ministro. PRESIDENTE. Con l'intervento dell'onorevole Borghezio sono terminate le richieste dei colleghi. Tuttavia, se qualche collega avesse ancora qualche breve richiesta da formulare (per esempio, il senatore Cappuzzo ha chiesto di porre una questione), con l'assenso del ministro potremmo concedergli nella prossima seduta un minuto prima della replica. CLAUDIO MARTELLI, Ministro di grazia e giustizia. Senz'altro, presidente. PRESIDENTE. Il seguito dell'audizione è rinviato alla seduta di lunedì 21 dicembre, alle ore 18. La seduta termina alle 19,20.