Pag. 1333 ESAME DELLA RELAZIONE SULLE RISULTANZE DEL FORUM CON LE DIREZIONI DISTRETTUALI ANTIMAFIA, ALLA PRESENZA DEL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, PROFESSOR GIOVANNI CONSO PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Esame della relazione sulle risultanze del Forum con le direzioni distrettuali antimafia, alla presenza del ministro di grazia e giustizia, professor Giovanni Conso. Violante Luciano, Presidente .............. 1335, 1344, 1346 1349, 1350, 1351, 1357, 1362, 1372 Borghezio Mario ....................................... 1347 Boso Erminio Enzo ..................................... 1353 Brutti Massimo, Relatore .............................. 1335 Cabras Paolo .................................... 1355, 1356 Cappuzzo Umberto ...................................... 1352 Conso Giovanni, Ministro di grazia e giustizia &&P 1362&&D Cutrera Achille &&P 1357&&D De Matteo Aldo ........................................ 1350 Florino Michele ....................................... 1354 Imposimato Ferdinando ..................... 1345, 1346, 1349 Matteoli Altero ........................... 1335, 1348, 1349 Riggio Vito ........................................... 1347 Rossi Luigi ..................................... 1345, 1372 Scotti Vincenzo ................................. 1354, 1356 Tripodi Girolamo ................................ 1350, 1351 Comunicazioni del Presidente Violante Luciano, Presidente .................... 1358, 1359 1360, 1361, 1362 Borghezio Mario ....................................... 1362 Brutti Massimo ........................................ 1361 Ferrara Salute Giovanni ............................... 1362 Florino Michele ....................................... 1361 Frasca Salvatore .................... 1358, 1359, 1360, 1361 Rossi Luigi ........................................... 1362 Scotti Vincenzo ................................. 1358, 1361 Tripodi Girolamo ...................................... 1362 Pag. 1334 Pag. 1335 La seduta comincia alle 15,30. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Esame della relazione sulle risultanze del Forum con le direzioni distrettuali antimafia, alla presenza del ministro di grazia e giustizia, professor Giovanni Conso. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame della relazione sulle risultanze del Forum, tenutosi il 5 febbraio scorso, con le direzioni distrettuali antimafia, alla presenza del ministro di grazia e giustizia, professor Giovanni Conso. Credo di esprimere i sentimenti di tutta la Commissione se rivolgo al professor Conso un ringraziamento per la sua presenza in questa sede ed un cordiale augurio. Quella di oggi sarà una discussione politica sui risultati del Forum, sui quali riferirà il senatore Brutti. Probabilmente la discussione, per la sua complessità, non si concluderà nella giornata odierna. Comunico che al termine dell'incontro vi saranno delle comunicazioni del presidente. ALTERO MATTEOLI. Molti deputati alle 17 dovranno assentarsi per partecipare a votazioni in aula. PRESIDENTE. Ci faremo informare non appena avranno inizio le votazioni. Do subito la parola al senatore Brutti. MASSIMO BRUTTI, Relatore. Signor presidente, signor ministro, colleghi, il Forum promosso a Roma il 5 febbraio dalla Commissione parlamentare antimafia offre alla nostra riflessione un contributo assai ampio e vario di argomenti e di idee. Distinguerò tre nuclei tematici, attorno ai quali è possibile per la Commissione parlamentare antimafia svolgere le proprie attività di indagine e definire proposte da sottoporre al Parlamento. Il primo nucleo tematico riguarda l'egemonia e i caratteri peculiari assunti dall'organizzazione mafiosa Cosa nostra. Essa rappresenta oggi, nell'universo della criminalità organizzata, l'entità più forte e pericolosa ma anche un modello che altri raggruppamenti tendono ad imitare. Il secondo nucleo tematico è rappresentato dalle forme di sviluppo e di penetrazione della criminalità organizzata di tipo mafioso nel territorio nazionale, mentre il terzo nucleo è rappresentato dalle proposte volte a rendere più efficace l'azione integrata delle procure distrettuali e di quella nazionale. Analizziamo anzitutto le forme in cui si manifesta oggi l'egemonia di Cosa nostra. Anton Blok nel 1974 ha scritto: "I mafiosi prendono decisioni che interessano la comunità. I rapporti tra i mafiosi e le autorità costituite sono profondamente ambivalenti. Da un lato, essi non rispettano la legge e sono in grado di opporsi alla pressione dell'apparato giuridico e governativo, dall'altro, agiscono in connivenza con l'autorità ufficiale e rafforzano il proprio controllo attraverso rapporti occulti ma concreti con coloro che ricoprono cariche ufficiali". Ho scelto queste parole di uno studioso non italiano perché delineano un modello nel quale l'ambivalenza tra i due elementi costitutivi non è contraddittoria; Pag. 1336 inoltre, si tratta di parole molto efficaci nella loro brevità: le due componenti, la violenza e la connivenza, si integrano perfettamente nel modello. Lo stesso schema descrittivo si ritrova, ampiamente motivato e nutrito di riferimenti a vicende concrete, a uomini, a fatti di sangue, a collusioni, nella relazione conclusiva presentata dalla Commissione parlamentare antimafia, a firma del senatore Luigi Carraro, il 4 febbraio 1976. Credo che per i nostri lavori sarebbe utile tornare a quel testo. Il modello corrisponde ad una lunga consuetudine di comportamenti (sottintende un costume, una storia) ma è anche alla base di strategie esplicite, come quelle proprie dell'organizzazione mafiosa Cosa nostra. Non deve stupire il fatto che i due elementi del modello - la violenza contro le leggi dello Stato e la ricerca di accordi e connivenze con autorità pubbliche - si ritrovino, pur con qualche variante legata alle vicende più vicine, nella lucida analisi del fenomeno mafioso, che è stata proposta dai magistrati della procura distrettuale di Palermo e da altri, nel Forum del 5 febbraio scorso. Quella descrizione può servire ancora oggi, perché profonda è la continuità dell'agire mafioso e vi è stata, nelle stesse vicende di Cosa nostra durante gli ultimi decenni, una notevole costanza di strategie. Con gli anni ottanta è intervenuto un mutamento negli atteggiamenti politici prevalenti all'interno di questa organizzazione. Prima, le relazioni esterne erano guidate da un assioma enunciato da Gaetano Badalamenti, capo della commissione provinciale di Palermo fino al 1976: "Noi non possiamo fare la guerra allo Stato". Allora si ricorreva all'infiltrazione, alla minaccia, alla corruzione ma non allo scontro aperto. Negli anni successivi, lo scenario si trasforma. Cambiano le tecniche di intervento e Cosa nostra ricorre con sempre maggiore frequenza all'attacco terroristico. Si afferma il potere dei corleonesi; non è più soltanto una famiglia ma una corrente organizzata, che dispone di propri uomini nell'ambito di ciascuna delle famiglie tradizionali e costruisce progressivamente una struttura di comando segreta, anche attraverso l'affiliazione riservata di personaggi non generalmente conosciuti come uomini d'onore all'interno dell'organizzazione. La corrente dispone anche di emissari (gli ambasciatori) che hanno il potere, per determinate materie, di intervenire autoritativamente sovrapponendo la loro volontà a quella delle singole famiglie. Il dottor Lo Forte ha descritto nel corso del Forum una procedura di compartimentazione. Gli uomini d'onore conoscono sempre meno la loro organizzazione; assieme alla rappresaglia, questo è uno strumento più complesso e forse più efficace di autodifesa contro le defezioni e il pentitismo. Il ricorso all'aggressione contro uomini delle istituzione alle stragi non segna il venir meno della linea più morbida, quella del compromesso, volta alla ricerca di connivenze con autorità ufficiali. Del resto, la scelta dei corleonesi di fare entrare uomini d'onore di primo piano in logge massoniche coperte, di cui ci hanno parlato i collaboratori della giustizia, non dev'essere stata - se risponde al vero - che una via per esercitare influenza su esponenti del mondo delle professioni e degli apparati pubblici. Su tutta questa problematica che riguarda la dimensione dell'agire mafioso nei rapporti con il sistema politico e con gli apparati dello Stato, una dimensione richiamata più volte nel corso del Forum, dovrà soffermarsi un'apposita relazione della Commissione antimafia. Durante l'ultimo anno, dopo la conclusione del maxiprocesso in Cassazione (tanto severa quanto sorprendente per molti uomini d'onore), che cosa è avvenuto nel sistema di alleanze e di collusioni che si stringe attorno a Cosa nostra? I magistrati di Palermo ci hanno proposto un'analisi che apre la via a due ordini di interrogativi, riguardanti il passato e il futuro. Il vertice dell'organizzazione aveva garantito ai quadri intermedi Pag. 1337 e alla base che le condanne pronunziate nel maxiprocesso, già in parte modificate in appello, sarebbero state cancellate, annullate, come altre volte. Ma in questa occasione l'andamento delle cose è stato diverso: la decisione della Cassazione ha segnato una rottura dell'impunità. Da qui sarebbe scaturito l'omicidio di Salvo Lima, l'esponente politico che i boss consideravano garante dell'"aggiustamento" del processo; da qui le stragi, una specie di colpo al cuore, mentre lo Stato riaffermava una volontà di resistenza al fenomeno mafioso. Gli interrogativi che sorgono sono assai semplici ma hanno implicazioni molto serie e di vasta portata. Anzitutto, alcune che riguardano il passato: come avveniva l'aggiustamento dei processi? Perché i mafiosi erano così sicuri? Se vi era qualcuno che garantiva politicamente, quale era la via d'accesso ai giudizi? Chi era partecipe delle intese? Ciò evidentemente riguarda responsabilità penali individuali ed è materia di indagini giudiziarie. Tuttavia, credo sia utile e doveroso per la Commissione sottolineare l'esistenza di un problema i cui termini sono evidenti e che il senso comune non può ignorare. C'è inoltre un versante istituzionale di questo problema che si riferisce in particolare ai giudizi davanti alla Corte di cassazione e che stato affrontato nel forum dal dottor Condorelli, componente del Consiglio superiore della magistratura. Una garanzia contro le ipotesi di "aggiustamento" in Cassazione è che non si possa in alcun modo manipolare la composizione dei collegi giudicanti. Quindi, occorre un'integrale applicazione della normativa tabellare alla Corte di cassazione. Occorre garantire l'osservanza di criteri oggettivi, certi, non derogabili, per la precostituzione dei collegi, l'attribuzione della presidenza, la designazione dei relatori, l'accesso alle sezioni unite. Il secondo ordine di interrogativi si riferisce, invece, al futuro. Se vi è stata una presa di distanze di Cosa nostra, manifesta con le armi, dai propri tradizionali referenti politici, ciò significa, d'ora in poi, una rivendicazione di sovranità e di autosufficienza. Fino a che punto può giungere questa rivendicazione? Dobbiamo attendere un periodo di ritirata oppure un salto in avanti nell'aggressione terroristica? Entrambe le vie possono essere perseguite. Perciò dobbiamo in tempi strettissimi rendere più efficente e rafforzare l'azione di contrasto. L'arresto di Salvatore Riina è stato un evento rilevantissimo, ma per ora circoscritto. Non stiamo assistendo ad una frana nell'organizzazione: evidentemente i capi stanno mettendo in atto una serie di contromisure ed è verosimile che abbiano bisogno di tempo. Dunque, a maggior ragione, lo Stato non può permettersi di perdere un minuto. Tutte le innovazioni e le scelte sulla cui utilità può oggi determinarsi un'azione concorde, soprattutto tendendo conto delle esperienze e dei pareri di chi è in prima linea, devono essere immediatamente adottate e tradotte in pratica - è questo il punto che mi permetto di sottoporre all'attenzione di tutti -. I magistrati di Palermo e della Sicilia hanno disegnato un'immagine di Cosa nostra, come organizzazione fortemente strutturata, capace di dominare il territorio. Così è a Catania, dove regna la famiglia di Nitto Santapaola. Così a Caltanissetta, dove è stato segnalato un ferreo controllo sugli appalti - ma questo ha modalità omogenee in tutta la Sicilia a quanto risulta agli organi investigativi - e così è a Messina, provincia che ha ora un proprio rappresentante nella commissione regionale. Dunque siamo di fronte ad un'organizzazione che è - come si è detto - rassomigliante ad uno stato e che appare oggi come il punto di riferimento fondamentale di una serie di processi di imitazione e di espansione: in sostanza, in varie parti del territorio nazionale tende a costituirsi una rete criminale integrata. Nel suo ambito si stabiliscono collegamenti e si intraprendono affari comuni tra le varie associazioni di tipo mafioso, sia tradizionali sia di più recente formazione. Cosa nostra rappresenta non solo Pag. 1338 un interlocutore potente, ma anche un esempio di successo e di impunità. Si comprendono perciò i fenomeni di mimetismo anche organizzativo. Nel distretto di Reggio Calabria l'originaria struttura orizzontale della 'ndrangheta, caratterizzata da molteplici autonomie, sembra aver ceduto il passo negli ultimi tempi ad una organizzazione verticistica. Quattordici famiglie sarebbero rappresentate nell'organo dirigente centrale, a quanto è stato detto dal procuratore distrettuale. L'organizzazione calabrese ha altri due punti in comune con quella siciliana: la ricerca di alleanza e di influenza politica, la latitanza storica di alcuni suoi esponenti, a cominciare dal boss Imerti. Stessa situazione in Campania: una serie di gruppi criminali autonomi, che hanno una lunga storia, una base di massa ed una forte capacità di penetrazione nel tessuto economico e istituzionale. In questa prospettiva, si nota una tendenza a ricalcare i paradigmi organizzativi di Cosa nostra. Alcuni tradizionali gruppi camorristici (Zaza, Nuvoletta) già più di dieci anni fa si erano integrati nell'organizzazione siciliana. In epoca più recente basta ricordare che l'organizzazione di cui era a capo Carmine Alfieri, catturato il 21 ottobre 1992, dopo sette anni di latitanza, è denominata Nuova mafia campana. Come nel caso di Imerti in Calabria, anche in Campania, nonostante i recenti numerosi arresti, abbiamo latitanti storici come Fabbrocino, Imparato, Franco Ambrosio, Umberto Ammaturo, Pasquale Scotti. Anche nel distretto di Lecce la Sacra corona unita ha stabili rapporti con le organizzazioni criminali più forti della Sicilia, della Calabria e della Campania soprattutto per il traffico di droga. Si è sviluppata una tendenza alla centralizzazione: nelle tre provincie di Lecce, Brindisi e Taranto vi sono veri e propri consigli direttivi dell'organizzazione e fra questi esiste un raccordo. A Bari l'organizzazione detta "La Rosa", nonostante i colpi subiti, presenta una notevole continuità e strutturazione interna. Al di là delle aree tradizionali, sono presenti infiltrazioni mafiose in varie regioni italiane. In Lombardia vi sono agenzie locali di Cosa nostra: presenze finalizzate al riciclaggio, compreso l'investimento di capitali illeciti in attività lecite. Inoltre, sono presenti emissari della 'ndrangheta. Milano è lo snodo per i traffici di eroina e cocaina che si irradiano per tutta Italia. Nel Veneto la presenza di gruppi criminali di tipo mafioso è cominciata negli anni ottanta con i soggiorni obbligati. Oggi le attività fondamentali consistono nel traffico di droga, in alcuni sequestri di persona a scopo di estorsione e nel racket. Di recente si sono registrati investimenti in beni immobili, esercizi pubblici, discoteche e strutture turistico-alberghiere. Dello stesso genere sono le presenze in Liguria di gruppi legati a Cosa nostra (in particolare elementi del clan Fidanzati) e alla 'ndrangheta. In Toscana e in Emilia i gruppi mafiosi gestiscono, oltre al traffico di droga, quello delle armi provenienti dal Belgio attraverso la Sardegna o dalla Croazia attraverso il Friuli- Venezia Giulia. In Toscana si è riscontrata la presenza di quattro gruppi associativi diversi; mentre in Emilia Romagna vi sono insediamenti mafiosi forti ed ormai storici. L'arresto recente di Giacomo Riina e poi del giovane Piero Leggio a Budrio, il ruolo di cerniera in numerosi traffici illeciti di ampia portata svolto da elementi mafiosi a Morciano di Romagna, confermano la gravità delle infiltrazioni. La rete criminale risulta in parte da vicende casuali: il soggiorno obbligato di alcuni, il soggiorno in carcere al di fuori delle regioni di origine per altri, con il conseguente trasferimento delle famiglie. In parte la rete criminale risulta da scelte strategiche, come gli investimenti in determinati settori favorevoli, ed in parte anche dalla riproduzione dei modelli mafiosi Pag. 1339 forti. Così nascono cosche ed organizzazioni strutturate all'interno di aree geografiche prive di tradizione. Quanto più l'espansione diventa il risultato di un progetto consapevole, tanto più è verosimile e realistica l'ipotesi avanzata dal dottor Pierluigi Vigna, procuratore della Repubblica di Firenze. Vi è il pericolo che la rete criminale si modelli sulla organizzazione giudiziaria, insediandosi nei luoghi dove questa è più debole, dove più ardua è l'iniziativa delle procure e dove non si è in grado di reprimere i fenomeni mafiosi. Se questo è vero, l'obiettivo fondamentale che la Commissione parlamentare antimafia deve trarre dai lavori del Forum è quello della definizione e della sollecita adozione di misure volte a far funzionare il sistema nuovo delle procure distrettuali. Nasce da qui la necessità di una verifica attenta e puntuale dello stato di funzionalità di questi uffici, in relazione ai fatti criminali che hanno di fronte. Dobbiamo puntare sull'efficienza. Ciò significa risorse, ossia personale specializzato e strutture. C'è bisogno per questo di un impegno concorde del Governo, del Parlamento e dell'organo di governo autonomo della magistratura. E' urgente far agire e potenziare il circuito costituito dalla procura nazionale antimafia e dalle procure distrettuali, soprattutto per quel che riguarda l'acquisizione e l'elaborazione di notizie, di informazioni e di dati utili alle indagini. E' in questa prospettiva che vanno affrontate alcune questioni di adeguamento della legislazione e dell'ordinamento giudiziario. Quanto agli organici, il procuratore nazionale ha definito "di emergenza" la situazione nella quale si trovano ad operare le direzioni distrettuali antimafia. In numerosi uffici gli organici sono insufficienti e talvolta i posti sono scoperti. La quantità e la destinazione dei magistrati vanno valutate in rapporto alla qualità ed al peso dei procedimenti che devono trattare. E' essenziale perciò tener conto delle condizioni ambientali, così come è necessaria una revisione, operata d'intesa tra il Consiglio superiore della magistratura e il Ministero di grazia e giustizia, per intervenire nei casi più gravi. Ne voglio richiamare solo alcuni, prendendo in considerazione per primo il caso di Palermo. Si tratta di una procura massimamente esposta perché è al centro del territorio dove continua ad operare il gruppo dirigente di Cosa nostra. E' competente per i reati di mafia commessi nei circondari di Palermo, Agrigento, Marsala, Sciacca, Termini Imerese e Trapani: tutte zone ad altissima densità mafiosa. I procedimenti pendenti alla data del 31 dicembre 1992 risultano essere 105 e le persone su cui sono in corso indagini sono 1.278. La procura della Repubblica di Palermo nel suo complesso dispone di 37 sostituti e attualmente, oltre al procuratore della Repubblica, sono assegnati alla direzione distrettuale 15 magistrati. Palermo chiede 10 nuovi posti, il che merita una particolare attenzione. A Roma vi sono 54 sostituti, a Napoli 52 e a Milano 47. La peculiare potenza del fenomeno criminale nel distretto di Palermo richiede uno spiegamento di forze almeno uguale rispetto a quello delle grandi sedi giudiziarie che ho appena citato. Al tempo stesso, va rilevato che le attuali cinque sezioni penali del tribunale non bastano. Ne va istituita subito una sesta o sarà lento e problematico lo sbocco dibattimentale dei procedimenti avviati. Del tutto insufficiente è il numero dei giudici per le indagini preliminari. Sono soltanto sette (adesso otto, a seguito di un provvedimento di applicazione): un quinto rispetto ai magistrati della procura. Normalmente il rapporto è da uno a tre: anche questa è un'anomalia da rimuovere. E' indispensabile segnalare anche le situazioni di altri uffici, che appaiono fortemente carenti: la procura di Catania dove due dei magistrati assegnati sono stati applicati ad altra procura; quella di Messina dove i posti in organico sono per metà scoperti; quella di Caltanissetta che ha un organico di tre posti con quattro applicati e tratta processi delicatissimi; Pag. 1340 quella di Bari con due soli sostituti e quella di Cagliari anch'essa con solo due sostituti. Salta agli occhi, infine, la totale impossibilità di un autonomo funzionamento delle procure distrettuali di Campobasso e de L'Aquila. Nel Forum è stato evidenziato il tema dell'autonomia finanziaria delle procure distrettuali, che potrebbe essere un fattore di speditezza e di efficienza. E' chiaro però che prima di affrontare tale questione occorre costituire realmente le procure distrettuali, sia pur con un numero limitatissimo di addetti, ma garantendo che questi possano attendere con pienezza di impegno alle loro specifiche funzioni. Come accennavo in precedenza, dobbiamo mettere il circuito procura nazionale-procure distrettuali in condizione di rappresentare una leva essenziale nell'iniziativa della Stato contro la mafia. Perciò è necessario far funzionare al meglio la circolazione e lo scambio delle informazioni, che è un cardine delle attività investigative ed un elemento decisivo del circuito. "Le singole direzioni distrettuali devono svolgere attività investigativa diretta e metterla a disposizione di se stesse, degli altri uffici e della procura nazionale. Quest'ultima deve svolgere un ruolo di elaborazione, di vaglio delle informazioni, per una successiva restituzione ai singoli uffici operanti" come ha osservato il dottor Saviotti, della procura distrettuale di Roma. Si può coordinare, soltanto se si conosce e la procura nazionale deve essere messa in grado di conoscere. La circolarità controllata delle informazioni è divenuta un momento decisivo ed una condizione prioritaria per il funzionamento del nuovo sistema. C'è bisogno di una complessiva e coerente struttura informativa, al centro e nelle singole sedi. La prima base informativa dovrebbe essere rappresentata da una banca dati dei procedimenti in corso presso ciascuna direzione distrettuale. Tale struttura può essere collegata con altre banche dati di dimensione locale e nazionale. Ciò può essere assai rilevante per l'acquisizione di notizie di reato, in campi nei quali è necessaria una particolare ricerca delle informazioni, come per i reati di cui agli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale, ossia riciclaggio e impiego di denaro, beni e utilità di provenienza illecita. Soprattutto la struttura distrettuale dovrà mettere a disposizione della procura nazionale il prodotto informativo delle attività di indagine da essa svolte. In questa architettura resterebbero prioritarie le funzioni di investigazione attiva delle sedi distrettuali, i cui esiti informativi sarebbero destinati ad essere elaborati dalla procura nazionale, congiuntamente agli altri dati cui questa ha accesso, soprattutto nell'ambito dei rapporti con la DIA, per essere rilasciati nuovamente alle direzioni distrettuali in forma di analisi avanzata. Vorrei soffermarmi ora su una proposta di innovazione legislativa, rispetto alla quale mi sembra sia ampio il consenso: l'istituzione dei cosiddetti tribunali distrettuali. La concentrazione delle indagini preliminari nelle procure distrettuali lascia immutata la disciplina delle competenze per quanto riguarda il dibattimento. Ciò rende la riforma ancora non sufficiente rispetto alle finalità di razionalizzazione e di rafforzamento della risposta giudiziaria al fenomeno mafioso. Proprio tenendo conto della centralità del dibattimento - che resta un'idea-guida del nuovo processo - è necessaria, dopo l'istituzione della procura distrettuale, una nuova disciplina della competenza per materie e per territorio, in relazione ai delitti di criminalità organizzata. Per questi delitti deve essere competente il tribunale o la corte d'assise che ha sede presso il capoluogo del distretto. Ciò eviterà che i magistrati addetti alle procure distrettuali debbano recarsi in trasferta a sostenere l'accusa presso i vari tribunali del distretto. Bisogna osservare che in qualche caso le procure distrettuali non sono neppure in grado di inviare propri magistrati ed è necessario che il procuratore generale presso la corte d'appello Pag. 1341 provveda all'applicazione di sostituti che appartengono alle procure non distrettuali. Non è un rimedio accettabile quello di riassegnare a magistrati delle procure non distrettuali le funzioni dell'accusa nei processi per reati di mafia, quando queste funzioni sono state istituzionalmente affidate dalla legge ad altri uffici. Il magistrato che ha curato la fase delle indagini preliminari è quello che più di tutti gli altri può garantire una partecipazione puntuale al dibattimento. L'istituzione dei tribunali distrettuali richiederà in quelle sedi organici rafforzati, copertura dei posti e - nei limiti del possibile - potenziamento delle strutture. Infine, questa nuova disciplina della competenza avrà come effetto - io credo - un decongestionamento degli uffici non distrettuali. Non dimentichiamo che in molti di questi, pochi giudici sono costretti a fare tutto: processi civili, sezione agraria, misure di prevenzione, GIP, processi penali. E nel penale, sarà un buon risultato se potranno essere trattati con maggiore sollecitudine ed impegno i processi riguardanti fenomeni di criminalità ordinaria, che colpiscono la sicurezza dei cittadini e che, se non contrastati adeguatamente, rischiano di evolvere verso forme più gravi. Compiti assai delicati gravano sulle procure non distrettuali in zone ad alta densità mafiosa. La condizione di questi uffici è in alcuni casi desolante. Credo che la relazione che sarà predisposta sull'attività di ricognizione - ancora non conclusa - che si riferisce agli uffici giudiziari della Calabria dovrà dedicare attenzione a questo aspetto. La mia impressione su una di queste procure, quella di Vibo Valentia, è stata veramente negativa e credo che tale valutazione sia stata condivisa da molti colleghi. Sarebbe comunque opportuno che la Commissione antimafia promuovesse un incontro con i rappresentanti di questi uffici di procura che non trattano processi per reati di mafia ma che, per collocazione geografica, hanno a che fare con l'humus criminale entro cui si sviluppa l'agire mafioso. Un'altra questione di razionalizzazione delle competenze giudiziarie riguarda le misure di prevenzione previste dalla legislazione antimafia. Oggi esse spettano al tribunale nel cui circondario dimora il soggetto "prevenuto". Possono essere proposte anche dal procuratore nazionale antimafia ma l'iniziativa processuale vera e propria è del procuratore della Repubblica presso ciascun tribunale competente. Tutto ciò crea - specialmente per le misure a carattere patrimoniale - un rischio di polverizzazione degli interventi, che è in contrasto con l'esigenza di unitarietà e di organicità nell'esercizio dei poteri di indagine e nelle conseguenti iniziative processuali da parte delle procure distrettuali. Normalmente, gli stessi fatti e le stesse circostanze vengono prodotti a sostegno dell'accusa nel procedimento penale e nella proposta di misura di prevenzione: sarebbe utile una valutazione unitaria. Alle procure distrettuali dovrebbe spettare l'iniziativa per quanto riguarda le misure di prevenzione previste dalla legislazione antimafia. Questo spostamento della competenza, una volta realizzata l'istituzione dei tribunali distrettuali, non dovrebbe riguardare soltanto l'iniziativa processuale e la funzione del pubblico ministero ma anche il momento della decisione. In questo nuovo contesto dovrebbero essere i tribunali distrettuali a decidere sulle misure di prevenzione antimafia. La necessità più volte ribadita di un potenziamento della polizia giudiziaria, che svolge indagini ed attività disposte o delegate dalle procure distrettuali, ha indotto a riproporre nel Forum un progetto di qualche anno fa, relativo all'organizzazione dell'ufficio del pubblico ministero. In proposito, la Commissione antimafia aveva approvato uno schema nell'ottobre del 1990. La premessa di quello schema presupponeva che, per svolgere i compiti nuovi che gli spettano, il pubblico ministero Pag. 1342 avesse bisogno di una struttura organizzata attorno a sé. Perciò - secondo quello schema - dovrebbero far parte dell'ufficio sia alcuni ufficiali di polizia giudiziaria sia alcuni laureati in giurisprudenza, assunti a contratto come assistenti del pubblico ministero, con le procedure e le garanzie previste per i viceprocuratori onorari. Ad essi verrebbe delegato il compimento di specifici atti, naturalmente di rilevanza minore. E' un'innovazione non specificamente riferita alle procure distrettuali ma che potrebbe giovare a rafforzare la complessiva efficienza degli uffici del pubblico ministero. Infine, nel corso del Forum del 5 febbraio scorso sono state sollevate numerose questioni relative ai collaboratori di giustizia. Prima di entrare nel merito, credo si debba formulare una valutazione di insieme riguardo al problema dei collaboratori della giustizia. La valutazione d'insieme è che la legge sta funzionando: l'alto e crescente numero di defezioni, che minano la compattezza delle organizzazioni mafiose, rappresenta una conferma della validità del cammino intrapreso. Dunque, le correzioni da introdurre non possono che assecondare lo spirito delle norme in vigore, garantendone l'applicazione coerente, sia sul versante dei rapporti tra organi dell'indagine e collaboratori sia sull'altro versante - che bisognerà tenere ben distinto dal primo - relativo ai rapporti tra il collaboratore e coloro che hanno il compito di proteggerlo. Si tratta di due problemi distinti: rapporti tra organi dell'indagine e collaboratori e rapporti tra organi della protezione e collaboratori. Alcune delle questione poste riguardano i criteri di determinazione e di attuazione dei programmi di protezione dei collaboratori e dei loro prossimi congiunti. Altre sono relative alla "gestione" degli stessi collaboratori e altre ancora si riferiscono al trattamento sanzionatorio. Per quanto riguarda il programma di protezione, è stata sottolineata l'opportunità che la commissione centrale, istituita dal decreto-legge n. 8 del 1991, predetermini i criteri da seguire ai fini dell'ammissione del collaboratore allo speciale programma di protezione previsto dalla norma. Sappiamo che tale programma ha contenuti diversi ed è alternativo rispetto alle ordinarie misure di tutela. Il presupposto per l'ammissione al programma di protezione speciale (comprendente anche misure di assistenza, finalizzate alla tutela dell'incolumità, che possono estendersi fino al cambiamento delle generalità) è, secondo la legge, la inadeguatezza delle misure adottabili in via ordinaria rispetto al fine di garantire la sicurezza personale. Il procuratore distrettuale richiede l'applicazione del programma e spetta alla commissione centrale valutare questa inadeguatezza. Si tratta di un giudizio complesso, legato ad elementi interni ed esterni al procedimento penale ed ogni formulazione ulteriore di criteri è destinata a rimanere indicativa ed elastica. Si può prevedere l'allegazione di pareri degli organi di polizia giudiziaria, relativi ai rapporti passati tra il collaboratore e l'organizzazione di appartenenza, al tipo di organizzazione, al livello del contributo prestato alle indagini e alle condizioni ambientali in cui si trovino i congiunti (ma non si può andare al di là di questo). Molti degli interventi hanno sottolineato la necessità che venga assicurata la distinzione - alla quale prima facevo cenno - tra gli organi dell'investigazione e quelli della protezione. La custodia del collaboratore in locali diversi dal carcere, sotto la tutela del medesimo organo di polizia delegato alle indagini ma inquadrato nel servizio centrale di protezione, rischia di determinare "intimismi investigativi" e condizioni favorevoli ad un inquinamento della fonte di prova (per effetto delle suggestioni che possono essere indotte nel dichiarante dalle ipotesi investigative su cui lavorano gli inquirenti). Il rimedio per non incorrere in tali rischi potrebbe essere costituito dall'attribuzione al servizio centrale di protezione Pag. 1343 di una reale autonomia dai corpi di polizia incaricati di compiti di indagine. L'eccessiva onerosità della misura, che imporrebbe la sottrazione a quei corpi di un elevatissimo numero di uomini, ha tuttavia indotto un certo numero di magistrati intervenuti ad individuare nella custodia in carcere del collaboratore la soluzione del problema (personalmente concordo su questa ipotesi). Il pericolo delle intimidazioni, ipotizzabili nell'ambiente carcerario, nonché il rischio di contaminazione della fonte di prova, che può derivare da contatti con altri detenuti, possono e debbono essere evitati attraverso la destinazione dei collaboratori alla custodia in case mandamentali, opportunamente prescelte nelle diverse aree del territorio nazionale. Per i detenuti collaboranti dovrebbe essere stabilito un trattamento penitenziario meno rigido rispetto a quello ordinario e del tutto contrapposto a quello, assai più severo, previsto per i detenuti "irriducibili". La detenzione negli istituti mandamentali, inoltre, consentirebbe di attuare più agevolmente proprio quel trattamento penitenziario meno rigido. Poiché le occasioni di contatto tra il collaborante e le forze di polizia incaricate della sua protezione rimarrebbero comunque numerose, a mio parere è da prendere in seria considerazione l'ipotesi - pure emersa nel Forum - della costituzione di un autonomo corpo o servizio di polizia di sicurezza, nell'ambito del Ministero di grazia e giustizia, incaricato esclusivamente della protezione delle persone collaboranti e dei loro prossimi congiunti. Quanto alla gestione processuale dei collaboratori, è stata anzitutto evidenziata l'opportunità di un attento coordinamento tra i pubblici ministeri dei diversi uffici interessati all'esame dei collaboratori di giustizia. Il coordinamento deve impedire deprecabili (ma non infrequenti) ipotesi di esclusivo accaparramento dei pentiti da parte dei magistrati che ne hanno registrato le prime dichiarazioni, così come deve evitare casi di frenetici avvicendamenti di magistrati in ogni sede attorno ai suddetti collaboratori, tali da creare il rischio di involuzioni nello svolgimento della collaborazione o, comunque, contrattempi nell'espletamento delle attività d'indagine. Occorre che il procuratore nazionale metta allo studio iniziative dirette a realizzare un più efficace coordinamento nella gestione dei collaboratori di giustizia (in questo senso va una prima circolare inviata dal procuratore nazionale alle procure distrettuali). Iniziative di coordinamento potrebbero essere assunte dal procuratore nazionale senza necessità di alcuna modifica normativa, essendo sicuramente inquadrabili nei generali poteri di coordinamento attribuiti a questo organo. Inoltre, sono state discusse alcune possibili modificazioni del trattamento sanzionatorio relativo ai collaboratori di giustizia. In questo contesto possiamo prendere in considerazione alcune proposte innovative che sono state avanzate. Si è osservato che la pena della reclusione da dodici a venti anni, comminata in sostituzione dell'ergastolo, rappresenta per taluni collaboratori, soprattutto se di età avanzata, un costo troppo elevato. Si è detto inoltre che la norma citata riserva al giudice margini eccessivi di discrezionalità nella determinazione in concreto della pena, tanto da impedire al soggetto incline alla collaborazione di valutare anticipatamente le conseguenze sanzionatorie della propria dissociazione. Partendo da queste considerazioni, credo che possano essere assunte dall'insieme del dibattito svoltosi nel Forum, due ultime e più incisive proposte. Si è suggerito, anzitutto, che venga prevista una riduzione delle pene temporanee in misura fissa (preferibilmente in ragione della metà) ed in secondo luogo che sia reintrodotta la possibilità della definizione con rito abbreviato dei procedimenti per reati punibili con la pena dell'ergastolo, possibilità venuta meno a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 176 del 1991, che ha dichiarato la parziale illegittimità del secondo comma dell'articolo 442 del codice di Pag. 1344 procedura penale. Questa reintroduzione comporterebbe una riduzione ulteriore della pena nella misura di un terzo. In tal modo, la pena dell'ergastolo, che può essere ridotta a dodici anni per i collaboratori, per la scelta del rito potrebbe essere ulteriormente diminuita di un terzo. Queste due proposte - entrambe volte a dare certezza, da un lato, e ad incentivare più fortemente la collaborazione con la giustizia, dall'altro - possono essere seriamente prese in considerazione. La constatazione della insostituibilità dell'apporto dei pentiti nei procedimenti per fatti di criminalità organizzata consiglia di accogliere tali suggerimenti. Le soluzioni proposte si risolvono infatti in accorgimenti tecnici che non introducono eccezioni ai principi generali dell'ordinamento e che possono concretamente incentivare il fenomeno delle collaborazioni. E tale incentivazione è più che mai utile nella lotta contro la mafia. Signor presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, nelle ultime tre pagine della mia relazione è contenuta una sintesi delle proposte che emergono da quanto ho detto sinora. Tali proposte si distinguono in due categorie: la prima comprende innovazioni legislative che competono al Parlamento; la seconda, scelte e decisioni di competenza del Governo. Esiste - come ho già detto - un problema di tempi, ma si pone anche la necessità di individuare tutte le possibili convergenze istituzionali e politiche per intervenire in questo settore e per porre il circuito delle procure distrettuali e della procura nazionale nelle condizioni di funzionare al meglio, al fine di spingere e rendere più incisiva la risposta giudiziaria nella lotta contro la mafia. PRESIDENTE. Ringraziamo il senatore Brutti per la sua relazione, che non soltanto ci ha descritto il quadro dell'attuale situazione delle organizzazioni mafiose così come emerso nell'ambito del Forum, ma ci ha anche prospettato una serie di proposte di carattere amministrativo e legislativo, sulle quali la Commissione dovrà pronunciarsi. Mi permetto di richiamare l'attenzione dei colleghi sulle ultime tre cartelle della relazione, nelle quali sono indicati i singoli punti sui quali dovremo discutere, integrando e correggendo le proposte in modo costruttivo e non generico. Il collega Brutti ha sottolineato come nei momenti di debolezza dell'ordinamento la mafia riesca a penetrare ed a insinuarsi. Sotto questo profilo, ritengo che la Commissione debba dedicare un'attenzione particolare ai problemi connessi all'esecuzione della pena detentiva nei confronti dei mafiosi. Ciò perché, a causa di uno scoordinamento e di una difficoltà interpretativa emersi in ordine ad una norma di un ordinamento penitenziario recentemente modificata, può accadere che anche pericolosi capi mafia possano godere di qualche beneficio. Proprio di recente, Mariano Agate - che non credo abbia bisogno di alcuna descrizione - ha goduto di una riduzione di 365 giorni sulla pena a lui inflitta, essendo stato considerato persona non pericolosa. Eppure, credo che tutti sappiano chi è Mariano Agate. Ritengo che su questi aspetti debba essere garantita una adeguata informazione e debba manifestarsi un giusto allarme. La seconda questione, anch'essa molto delicata, riguarda il prossimo svolgimento di processi a Palermo. A tale riguardo chiedo ai colleghi di valutare l'opportunità che presso il carcere dell'Ucciardone venga istituito un braccio particolare, ben controllato e sorvegliato, al quale destinare questi detenuti. Sappiamo che gli imputati nei processi contro le organizzazioni mafiose sono detenuti in città diverse per cui, ogni qualvolta si svolge un'udienza, sorge la necessità di un continuo andirivieni, con rischi enormi per la scorta, con il rischio politico che tutti possiamo comprendere, con costi economici ed umani assai rilevanti. Nessuna democrazia può ritenere che un carcere sia fuori dei limiti della legalità! Ecco perché ritengo che vada dedicata particolare attenzione alla necessità che anche a Palermo vi possa essere un carcere Pag. 1345 sicuro. Del resto, esistono i mezzi, sia sotto il profilo del personale sia sotto l'aspetto tecnico, perché tale obiettivo possa essere realizzato. In sostanza, si pone un problema di riappropriazione del territorio e della legalità, aspetto, quest'ultimo, che mi permetto di sottoporre all'attenzione dei colleghi e del ministro. Quanto alle questioni sollevate con riferimento all'ordine dei lavori - mi rivolgo in particolare ai colleghi del gruppo del MSI-destra nazionale -, la Camera ci informerà nell'ipotesi in cui dovesse sorgere un problema di numero legale. In ogni caso, riferirò sull'evoluzione della situazione ai colleghi, i quali potranno poi assumere le decisioni più opportune. Non vi è stata comunque alcuna richiesta di sconvocazione della Commissione. Ricordo inoltre che l'ordine del giorno prevede alcune comunicazioni che debbo rendere alla Commissione con una certa urgenza. Il ministro Conso si riserva di prendere la parola dopo che i colleghi iscritti a parlare avranno svolto i rispettivi interventi. Ricordo, che in base al regolamento della Camera, nel momento in cui intervenga il Governo, è consentito ai commissari di chiedere nuovamente la parola. LUIGI ROSSI. Poiché abbiamo il piacere di avere con noi il nuovo ministro guardasigilli, vorrei sottoporre alla sua attenzione una proposta della quale ho già parlato in occasione dello svolgimento di una mia interrogazione alla Camera. Probabilmente si tratta di una ipotesi provocatoria, ma ciò non mi trattiene dal chiedere al ministro una valutazione specifica. In particolare, la proposta riguarda la possibilità di creare in seno alla magistratura due specializzazioni diverse. Superato ormai il pericolo - almeno, così credo - che il pubblico ministero possa rappresentare una espressione dell'esecutivo (dopo che questa figura è stata assimilata a tutti gli altri magistrati), ritengo che le procedure attualmente in vigore possano essere snellite prevedendo, appunto, due specializzazioni nell'ambito della magistratura: la prima sarebbe riconducibile al pubblico ministero stesso; la seconda, ai giudici chiamati ad emettere le sentenze. Si tratta di un'ipotesi di riforma molto dibattuta, sulla quale ho ascoltato il parere di autorevoli giuristi, che, tra gli altri effetti, consentirebbe anche di eliminare i GIP oltre ad attribuire al pubblico ministero la competenza sugli atti attinenti alla fase istruttoria ed a fornire ai giudici chiamati ad emettere la sentenza tutti gli elementi che oggi passano attraverso il GIP. A mio parere (ed anche sulla base di una lettura della Costituzione), la figura del giudice per le indagini preliminari è stata prevista nel timore che il pubblico ministero continuasse a costituire una rappresentazione dell'esecutivo. Al ministro Conso chiedo inoltre a che punto si trovi la riforma del codice di procedura penale. Ho letto con molta attenzione la relazione del procuratore generale, dalla quale si desume che molti interrogativi sono rimasti senza risposta. Dalla stessa relazione si evince inoltre un eccessivo ottimismo circa la possibilità di combattere, con i mezzi attualmente a nostra disposizione, la criminalità organizzata. Da tale situazione discende la necessità di snellire il codice di procedura penale, dando vita ad una seria opera di riforma che consenta di ottenere al più presto il risultato di processi non più chilometrici. In particolare, richiamo l'attenzione sull'opportunità di abrogare il secondo capoverso dell'articolo 27 della Costituzione, laddove si prescrive che nessuno è considerato colpevole fino al giudizio finale. Al contrario, io credo che, qualora sia stata emessa una prima sentenza (che, ovviamente, comporti una pena abbastanza grave), l'imputato debba rimanere in galera aspettando fino alla fine l'evoluzione dell'iter procedurale. FERDINANDO IMPOSIMATO. Innanzitutto vorrei ringraziare il ministro Conso per la sua presenza ed il collega Brutti per la precisa e puntuale relazione. Pag. 1346 Intendo svolgere una riflessione su tre questioni che considero particolarmente importanti. Mi riferisco, in primo luogo, all'istituzione dei tribunali distrettuali antimafia (ipotesi sulla quale, credo, siamo tutti d'accordo). Tale organismi dovrebbero sorgere presso i distretti delle corti d'appello. A tale riguardo faccio osservare che nel nostro paese la distribuzione delle corti d'appello non è aggiornata, né risulta conforme ai criteri indicati nella proposta di revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Se la situazione dovesse rimanere negli stessi termini di oggi, i tribunali distrettuali antimafia sarebbero in numero di quattro in Sicilia e addirittura di due soltanto in Campania, che pure ha una popolazione di 5 milioni 900 mila abitanti e la più alta densità abitativa... PRESIDENTE. Alta densità camorristica...! FERDINANDO IMPOSIMATO. Eppure, in Campania, dal momento che esistono due corti di appello, sarebbero istituiti soltanto due tribunali distrettuali antimafia. Analoga situazione si registrerebbe in Lombardia. In definitiva, sarebbe opportuno prevedere l'istituzione dei tribunali distrettuali antimafia in una fase successiva alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, da attuarsi in base ai criteri indicati nella proposta del Governo. Un'ulteriore questione concerne la legislazione premiale. Considero con favore la proposta, avanzata da diversi magistrati in occasione del Forum, di prevedere un'attenuante di ordine generale riferita a tutti i reati. Del resto, un'indicazione analoga era stata prospettata dai magistrati appartenenti ai vari pool antimafia e antiterrorismo: in sostanza, si tratta di evitare la previsione di benefici premiali soltanto per alcune categorie di imputati, per esempio per i mafiosi, giacché tale criterio sarebbe assolutamente sbagliato. Penso, per esempio, ai benefici introdotti a favore dei sequestratori di persona, senza considerare che questi ultimi, oltre ad eseguire i sequestri, spesso commettono anche omicidi o sono implicati nel traffico di droga e di armi. Ne consegue che i sequestratori i quali volessero parlare, non potrebbero farlo per la semplice ragione che, siccome hanno commesso quasi sempre altri tipi di reato, la legislazione premiale a favore dei sequestratori o a favore soltanto dei trafficanti di droga, non avrebbe alcun effetto. La proposta avanzata all'epoca da Falcone, Borsellino e molti altri era quindi di prevedere un'attenuante generale per ogni tipo di reato. Credo si tratti di una proposta di fondamentale rilievo sulla quale, peraltro, a suo tempo si era dichiarato d'accordo l'allora ministro dell'interno Scàlfaro e che aveva costituito oggetto di una formale proposta di legge presentata dal ministro della giustizia pro tempore, Martinazzoli. Purtroppo, quella proposta è decaduta. Credo che si debba invece insistere su questa strada, ove si consideri che attualmente non vi è alcun beneficio, a differenza di quanto accade, per esempio, negli Stati Uniti, dove addirittura si può non esercitare l'azione penale nei confronti dei collaboratori. Un'ultima considerazione riguarda il problema carcerario. Sto constatando con viva preoccupazione come negli ultimi tempi si stia di fatto realizzando una vanificazione della legge 7 agosto 1992, n. 356, in materia di sottoposizione ad un regime particolare per gli appartenenti alle organizzazioni di tipo mafioso. Anche con riferimento ai recenti fatti accaduti a Napoli, abbiamo purtroppo verificato che molti degli appartenenti alle organizzazioni criminali sono riusciti a ritornare nelle carceri di provenienza sfruttando il sistema, pur legittimo, della presenza ai dibattimenti penali. Ciò sta creando seri problemi alle direzioni dei vari carceri maggiormente esposti al rischio dell'aggressione della criminalità organizzata. Mentre nel carcere di Poggioreale sono circa sessanta gli imputati di associazione per delinquere di stampo mafioso, all'Ucciardone sembra Pag. 1347 che ancora una volta si stia verificando una concentrazione di mafiosi. Poiché negli ultimi tempi abbiamo appreso dai mafiosi pentiti quanto sia importante l'aspetto carcerario per la lotta alla criminalità organizzata, credo sia necessario prevedere, almeno per le grandi città, istituti in cui gli imputati di associazione per delinquere di stampo mafioso siano separati dal resto della popolazione carceraria, cioè da chi è spesso imputato per reati di minor conto. MARIO BORGHEZIO. Desidero anzitutto esprimere una valutazione favorevole alle proposte contenute al termine della relazione del senatore Brutti, poiché a mio giudizio contengono indicazioni che possono essere validamente recepite dal Governo e sulle quali credo sia opportuno associarsi nel momento in cui si tratta di passare dalla fase di lotta al fenomeno mafioso ad una fase più avanzata ed incisiva. Ritengo che soprattutto i punti in cui sono approfonditi il ruolo delle strutture, l'organizzazione delle procure e il fenomeno - mai così rilevante - dei collaboratori della giustizia debbano essere valutati dallo Stato come una concreta possibilità per conseguire risultati proficui e per radicare nel tempo un'azione maggiormente incisiva. Ciò premesso, vorrei conoscere l'opinione del nuovo ministro guardasigilli su alcuni aspetti. Il primo, sul quale instancabilmente insistiamo, è quello relativo alla penetrazione della mafia al nord, un fenomeno che è emerso dalle relazioni dei vari procuratori sia pure con diverse sfumature. Risultano indubbiamente acquisiti segnali molto preoccupanti, i quali combaciano con le impressioni che abbiamo noi quali parlamentari del nord. Intendo dire che mentre nell'attività parlamentare assai spesso si hanno soltanto echi indiretti di questa realtà, purtroppo le cronache quotidiane si assumono l'incarico di darci avvisi molto particolari. La cronaca giudiziaria del Piemonte - la regione da cui provengo - ogni giorno ci riserva sorprese: un giorno si tratta del "totonero", un altro di regolamenti di conti tra bande calabresi, un altro ancora di rivelazioni sul riciclaggio del denaro sporco. Vorrei conoscere l'opinione del ministro di grazia e giustizia a proposito della risposta dello Stato al fenomeno della penetrazione mafiosa al nord, in particolare nel Piemonte. Gradirei altresì una sua valutazione complessiva sui risultati e sull'attuale utilizzazione dell'istituto del soggiorno obbligato al nord. Circa la penetrazione delle organizzazioni mafiose nell'ambiente finanziario, bancario e parabancario, vorrei conoscere dal ministro Conso la sua opinione in ordine alla possibilità di istituire nell'ambito del suo dicastero un osservatorio sull'applicazione delle norme antiriciclaggio, perché un conto è l'emanazione di norme anche molto avanzate, un altro è l'applicazione delle medesime. Proprio in questi giorni, la magistratura piemontese ha emesso una sentenza molto interessante in ordine alla mancata collaborazione degli istituti bancari su un'inchiesta relativa a truffe perpetrate tramite carte di credito. Se le resistenze degli istituti bancari sono così forti nei confronti di una truffa così semplice, è facile immaginare quali possano essere quando vengano coinvolti altri interessi, altre forze in gioco. Vorrei anche conoscere l'opinione del ministro di grazia e giustizia a proposito della penetrazione mafiosa sui finanziamenti agevolati per il sud e sull'applicazione della legge n. 64. VITO RIGGIO. Desidero anch'io ringraziare il senatore Brutti perché ha compiuto un imponente sforzo di sintesi delle tante situazioni emerse. Credo però, anche per agevolare il dialogo con il ministro Conso, che nella relazione andrebbe distinto ciò che è sicuramente consolidato (mi riferisco alle proposte direttamente attinenti ai compiti del Governo). Non v'è dubbio, infatti, che la situazione illustrata a mo' d'esempio e riferita alla procura distrettuale di Palermo sia tra quelle a cui si può e si deve porre immediatamente rimedio, così Pag. 1348 come è possibile realizzare la lamentata evidenziazione della circolazione delle informazioni. Per quanto riguarda la legislazione premiale, concordo con il senatore Imposimato, perché ritengo anch'io che i punti sottolineati dai procuratori distrettuali fossero due: in primo luogo l'esigenza di evitare un eccessivo utilizzo dei pentiti da parte di tutti i magistrati, poiché ciò finisce col determinare una sorta di inaffidabilità complessiva (nella relazione del senatore Brutti tale punto è accennato ma credo che vada maggiormente approfondito); in secondo luogo, la necessità di eliminare o ridurre la discrezionalità. Non vi è stata espressamente la richiesta di ulteriori riduzioni di pena, che a me sembrano già abbastanza ampie, considerato il livello di sensibilità sociale cui siamo giunti. Il problema è che l'oscillazione tra una pena di dodici e una di vent'anni è effettivamente troppo ampia e che inoltre si fa riferimento non alla soggettività, cioè al collaboratore che in quanto tale dimostra un'attitudine ad essere utilizzato all'interno del circuito di giustizia, ma a tipologie di reati. Bisognerebbe quindi meglio lavorare per assicurare certezza prevedendo una sorta di riduzione fissa della pena commisurata al profilo soggettivo del collaborante, cioè al fatto che egli consente l'ottenimento di un certo risultato. Tra l'altro, ciò consentirebbe di superare obiettive resistenze. Le notizie di stampa sul comportamento della magistratura americana nei confronti di Marino Mannoia hanno provocato una serie di perplessità in ordine al fatto che un pluriomicida sia del tutto libero, anche se ha collaborato con la giustizia. Questo è un problema che politicamente la Commissione antimafia deve porsi, perché una riduzione di pena di questo genere non costituisce un fatto tecnico, in quanto ha a che vedere con strati profondi della sensibilità sociale, per cui se vogliamo ottenere un risultato dobbiamo preoccuparci che vi sia la persuasione della sua correttezza. Da questo punto di vista, credo che sia meglio adoperare il meccanismo della collaborazione soggettiva anziché il riferimento alla tipologia dei reati. Per quanto riguarda la struttura carceraria, la proposta relativa all'utilizzo delle carceri mandamentali per la protezione dei pentiti a me pare assolutamente inapplicabile (lo dico con molta amicizia nei confronti del senatore Brutti). A me sembra che la condizione delle carceri mandamentali sia tale da porre queste strutture nell'impossibilità di essere utilizzate per il trattamento di una materia così delicata. Altra cosa è invece la revisione complessiva dell'ordinamento carcerario. Mi riferisco in particolare all'Ucciardone e alla necessità di sapere a che punto è la costruzione del nuovo carcere di Palermo al quale si sta lavorando da anni. Sarebbe possibile realizzare modalità diverse di trattamento carcerario anche in rapporto a strutture non fatiscenti e assolutamente permeabili come invece risulta essere l'Ucciardone. Ho prestato molta attenzione, perché la considero importante dal punto di vista politico e culturale, alla distinzione attuata dai magistrati tra coloro che proteggono i collaboratori e coloro che investigano sulle loro dichiarazioni. Ritengo infatti che i cosiddetti intimismi possano obiettivamente dare luogo a difficoltà anche al di là della volontà soggettiva. Credo che la via migliore sia quella indicata al punto 5 della relazione, cioè un autonomo servizio con costi stimati e con modalità di esercizio della funzione di vigilanza non riferita soltanto ai collaboratori ma anche alle famiglie, che considero meritevole di una più puntuale ed attenta riflessione. ALTERO MATTEOLI. La relazione del senatore Brutti pone aspetti di ordine politico che a mio avviso meriterebbero un esame più approfondito. Credo comunque che non mancherà l'occasione per portare avanti tale esame, perché vi sono punti sui quali dovremo tornare a soffermarci: per esempio, quello in cui viene sottolineata la commistione tra violenza e connivenza; oppure quando, riferendosi ad una frase pronunciata nel 1976 da Pag. 1349 Badalamenti, il quale asserì che la mafia non poteva portare avanti una guerra allo Stato, il senatore Brutti ritiene invece che tale guerra vi sia stata. Credo che meriti di essere approfondito il passaggio relativo alla dimensione politica dell'agire mafioso, nonché quello dove si parla delle condanne o della rottura dell'impunibilità e, conseguentemente, del modo in cui si è giunti all'omicidio Lima. Non vorrei in definitiva che la relazione del senatore Brutti finisse per essere valutata soltanto con riferimento alle ultime tre pagine, perché in questo caso sarebbe vanificato lo sforzo che egli ha compiuto e l'obbligo che io avverto di esaminarla nella sua globalità avendo a disposizione il tempo che ciò richiederà. Per quanto riguarda le proposte formulate, approfittando dell'autorevole presenza del ministro Conso, che peraltro ha assunto la sua carica da poche ore, gradirei avere un suo parere sull'istituto del soggiorno obbligato. Ho sempre immaginato che se un soggetto è mafioso ed ha commesso dei reati dovrebbe essere in galera e non in soggiorno obbligato ma posso anche sbagliarmi perché non sono un operatore della giustizia. Gradirei la sua opinione, signor ministro, anche a proposito della penetrazione mafiosa al nord, dal momento che il fenomeno non può intendersi soltanto come causa del soggiorno obbligato - può essere stato così all'inizio e per un altro tipo di mafia - ma anche conseguente alla necessità di acquisire nuovi mercati dove investire il danaro guadagnato. A mio avviso, il funzionamento della struttura carceraria è legato ad una maggiore attenzione da parte dello Stato alla preparazione di coloro che sono preposti alle carceri. Lungi da me l'idea di voler usare parole che possano apparire offensive nei confronti degli agenti di custodia, ma credo che spesso ci troviamo di fronte ad un personale non sufficientemente qualificato per affrontare un problema così importante come quello delle carceri che accolgono criminali di simile portata. Per quanto riguarda la legislazione premiale, l'impressione che ho tratto dalla relazione del senatore Brutti è quella di un'attenuante di ordine generale estendibile a tutti i reati. PRESIDENTE. L'attenuante per la persona. ALTERO MATTEOLI. Siccome un individuo può contemporaneamente essere assassino, trafficante di droga e sequestratore, non possiamo fare una previsione che riguardi soltanto uno di tali reati. FERDINANDO IMPOSIMATO. Come purtroppo è stato fatto. ALTERO MATTEOLI. In linea generale potrei anche essere d'accordo con le proposte avanzate, ma ho l'impressione che ci si incammini verso la totale impunità, cioè verso un qualcosa di totalmente aberrante. FERDINADO IMPOSIMATO. E' una scelta politica. ALTERO MATTEOLI. Ci si può anche comportare come negli Stati Uniti. A mio avviso, però, si tratta di una scelta aberrante sulla quale non sono affatto d'accordo. A proposito della costituzione dei tribunali distrettuali antimafia, concordo con quanto è stato detto. Siccome ciascuno di noi finisce col portare come esempi le realtà che meglio conosce, desidero ricordare che la Toscana - che ha quasi 4 milioni di abitanti - dispone di una sola corte d'appello. Visto quanto sta accadendo, penso servirebbe a poco anche la costituzione dei tribunali distrettuali antimafia. Le proposte di legge miranti a costituire nuove corti d'appello - che in regioni come la Lombardia e la Campania sono due - sono numerosissime, ma di esse non si riesce mai a discutere perché bene che vada si fermano alla fase della Commissione in sede referente. Pag. 1350 PRESIDENTE. Onorevole Matteoli, le sue osservazioni, come d'altronde quelle dell'onorevole Imposimato, sono molto precise. Desidero però segnalare uno degli aspetti della relazione del senatore Brutti: quello dei tempi. E' inevitabile che la necessaria revisione comporti tempi assai più lunghi che non quelli occorrenti per la costituzione dei tribunali distrettuali. ALDO DE MATTEO. Desidero innanzitutto ringraziare il collega Brutti per la felice sintesi dei lavori del Forum e per l'organizzazione logica delle tematiche lì trattate. Personalmente, concordo anche su buona parte delle proposte conclusive, ma desidero comunque soffermarmi su un aspetto a mio avviso importante ma che può apparire secondario se rapportato agli aspetti salienti della relazione. Mi riferisco ai problemi dell'organizzazione della giustizia, alle gravi carenze che abbiamo avuto modo di riscontrare anche nel corso delle visite della Commissione in Calabria, in Puglia ed in altre regioni. A proposito di questo nucleo di problemi, ritengo sia utile segnalare al ministro l'importanza dei tempi attraverso cui sarebbe possibile affrontarli. Non si tratta, infatti, di grandissime questioni. Se c'è la volontà politica, è ben possibile coprire un organico in tempi relativamente brevi: non credo occorrano anni per risolvere problemi di struttura, di tecnologie, di strumenti operativi. Muoversi in questa direzione rappresenterebbe un'importante dimostrazione di una volontà che tra l'altro mi pare esista. L'aver legato le carenze strutturali ad altri problemi sicuramente più gravi ha costituito uno dei punti deboli dell'azione dello Stato, una delle ragioni che hanno impedito di ottenere risultati concreti. A proposito dei collaboratori di giustizia, ritengo che i punti di riferimento debbano essere quelli della legislazione premiale e della tutela del collaboratore medesimo e della sua famiglia. Ritengo pure che la valutazione dell'insieme dei reati sia fondamentale - come dicevano poc'anzi gli onorevoli Imposimato e Riggio - quanto lo è quella del profilo del collaboratore, in considerazione dei risultati che si riescono ad ottenere. Ritengo, inoltre, che si debbano valutare le modalità di espiazione della pena - che potrebbero comunque riferirsi anche soltanto a parte del periodo - che non rappresentano certo un aspetto secondario della legislazione premiale. Lavorando su questo aspetto e riducendo l'oscillazione della durata della pena cui si è fatto cenno prima, riusciremo forse ad adottare una misura che desta minore preoccupazione. In questi casi, infatti, bisogna agire con saggezza ed intelligenza per riuscire anche a recepire il senso comune, la coscienza popolare. Queste considerazioni mi portano dunque a sostenere che forse è più opportuno restringere quella forbice, piuttosto che allargarla. Da ultimo, desidero soffermarmi su una considerazione fatta ieri sera dal presidente nel corso di una trasmissione televisiva "leggera". Mi riferisco a quanto egli ha detto - ed io concordo - a proposito del fatto che dalle carceri i mafiosi continuano a comandare; che Riina è ancora il capo di Cosa nostra perché utilizzando certi sistemi - anche facilmente immaginabili ed in parte conosciuti - può riuscire a trasmettere i propri ordini. Il problema della sicurezza delle carceri si pone oggi così come si è posto nel periodo del terrorismo. In quegli anni la questione è stata affrontata e risolta ricorrendo anche alla costruzione di carceri di massima sicurezza: forse oggi potrebbe essere questa la soluzione, tenendo conto della questione della territorialità. Nel caso in cui non esistano certe condizioni, l'unico riferimento resta però quello della sicurezza e della attivazione di strutture che non consentano ai mafiosi di continuare a comandare dall'interno delle carceri. GIROLAMO TRIPODI. Anch'io desidero esprimere il mio apprezzamento per la relazione svolta dal senatore Brutti. Ritengo, però, che si debba ulteriormente riflettere sia sulle proposte in essa con Pag. 1351 tenute sia sull'analisi compiuta, con particolare riferimento alla questione delle collusioni tra mafia e politica. Altrimenti, si resta nel generico nonostante oggi noi si disponga di elementi che ci consentono di stabilire punti fermi. PRESIDENTE. Onorevole Tripodi, la questione cui lei si riferisce è stata volontariamente demandata ad altra sede dal senatore Brutti. Non vorrei perciò che oggi se ne discutesse. GIROLAMO TRIPODI. Stavo per dire quasi la stessa cosa. Se la questione deve essere affrontata nell'ambito della relazione Brutti, sicuramente bisognerà approfondirla. Se, invece, sarà rinviata alla relazione conclusiva di questa prima parte dei lavori della Commissione, in quella sede discuteremo di tutti gli argomenti. Ho voluto soltanto dire che il problema - che comunque è stato posto - dovrà essere approfondito. Partendo proprio dalla premessa che la relazione del senatore Brutti rappresenta un documento estremamente interessante e ricco di indicazioni, desidero soffermarmi su alcuni aspetti che a mio avviso meritano una maggiore puntualizzazione. Il primo è rappresentato dal grande rilievo dato alla mafia di Cosa nostra, quasi che le altre organizzazioni criminali, soprattutto la 'ndrangheta, non fossero altrettanto pericolose ed altrettanto presenti sul territorio, in termini di potenza di fuoco e quindi di controllo. Se non si precisa questo aspetto, le altre organizzazioni potrebbero essere considerate per così dire di secondo piano, mentre a nostro avviso la loro valenza è la stessa; visto che esistono ben 86 cosche, per certi aspetti direi che la 'ndrangheta è anche più pericolosa. Per questa ragione non condivido quanto detto nel corso del Forum dal procuratore distrettuale di Reggio Calabria che ha parlato di 10 cosche: francamente non so da dove abbia tratto questo dato. Ritengo, pertanto, che nel momento in cui compiamo una valutazione complessiva del fenomeno mafioso, dobbiamo considerare di ciascuna organizzazione il ruolo e la valenza che effettivamente hanno sull'intero territorio nazionale ed in particolare nelle regioni di maggiore presenza, che si chiamino Cosa nostra, 'ndrangheta, camorra o Sacra corona unita. Valutando le risultanze del Forum, penso che la Commissione debba esprimere un giudizio anche sui risultati conseguiti dalle procure distrettuali nel loro primo anno di vita. A me sembra che i giudizi non possano essere tutti positivi perché esiste sicuramente una notevole diversità di impegno e quindi di risultati: vi sono procure che funzionano molto bene, mentre altre non fanno niente. Vorrei sapere anche quale giudizio si dà sul funzionamento della procura nazionale antimafia; francamente a me pare che ancora non siano stati conseguiti risultati capaci di dimostrarne la validità. Nella relazione Brutti si fa cenno anche ad una serie di insufficienze di organico, soprattutto in alcune sedi distrettuali quali quelle di Palermo e Catania. Qualcosa mi pare sia sfuggito a proposito della procura distrettuale di Reggio Calabria, dove esistono pure carenze di organico che rendono difficile lo svolgimento della sua attività. Anche questo è un problema da porre in rilievo. A proposito della protezione dei collaboratori di giustizia è stata avanzata la proposta di istituire un corpo autonomo, un servizio di polizia e di sicurezza per i pentiti, dipendente dal ministro di grazia e giustizia. Ritengo che sul punto si debba riflettere meglio perché bisogna stare attenti a non creare un altro corpo di polizia, viste le difficoltà che in casi analoghi si sono determinate. Non condivido neppure l'ipotesi secondo cui la cosiddetta gestione dei pentiti possa essere affidata al procuratore nazionale antimafia. Mi pare che qualcuno abbia affacciato tale ipotesi che io ritengo non possa essere assolutamente accettata. Condivido quanto è stato detto a proposito di Vibo Valentia. La situazione si sta ulteriormente aggravando, come d'altronde abbiamo avuto modo di constatare Pag. 1352 prima e soprattutto dopo la nostra visita in loco. Non so se la via da imboccare sia quella proposta, cioè quella di un incontro con i responsabili degli uffici. Ritengo che si dovrebbe trovare un modo di agire, anche perché qualcuno non si muove affatto ed è necessario superare il lassismo attraverso l'adozione di determinate misure. Poiché Vibo Valentia rientra nella competenza della procura distrettuale di Catanzaro, dovrebbe essere quest'ultima ad interessarsi della situazione. Credo comunque che le questioni vadano analizzate complessivamente. Per quanto riguarda le indagini patrimoniali, si tratta di un tema da approfondire perché è inutile effettuare le indagini, oltre che (in alcune zone e non dovunque) i sequestri dei beni illecitamente acquisiti, se poi questi ultimi vengono successivamente restituiti ai mafiosi. UMBERTO CAPPUZZO. Desidero esprimere un vivissimo apprezzamento per la brillante relazione del senatore Brutti, il quale ha toccato tutte le questioni, evidenziando di ognuna di esse le conseguenze logiche ed avanzando proposte estremamente interessanti, che in gran parte condivido. Mi è piaciuta anche la linea seguita, con il richiamo ad Anton Blok da una parte e a Vigna dall'altra. Se è vero, come dice Blok, che ci muoviamo tra violenza e connivenza, sarebbe forse opportuno avanzare qualche proposta anche sul piano amministrativo per evitare che questa connivenza sia facilitata. Per quanto riguarda invece l'idea di Vigna, che condivido, secondo cui la mafia, dopo aver individuato le vulnerabilità locali, adegua la propria azione alle caratteristiche dell'area, si tratta di una questione che richiederebbe qualche indicazione: dobbiamo in sostanza valutare la mappa della mafia non soltanto quale essa è ma anche quale potrebbe essere. In questo senso, ritengo che i richiami dell'onorevole Borghezio vadano nella direzione giusta, tenendo conto dell'esigenza di individuare le zone potenzialmente a rischio per fare in modo di non trovarsi scoperti nel momento in cui la mafia si manifesta. Un problema estremamente importante è quello della magistratura; approfittando anzi della presenza del ministro di grazia e giustizia, desidero ricordare che ormai da anni sentiamo parlare di carenze e di necessità di adeguamento degli organici. Colpisce, al riguardo, il fatto che a Palermo vi sia una carenza di dieci unità, che rappresenta un fatto inconcepibile: basti pensare che a Palermo operano 37 unità e a Milano 47. Sarebbe allora necessario effettuare un confronto riferito non all'utenza, intesa come popolazione, ma all'indice della criminalità, da cui dovrebbe discendere la definizione dell'organico della magistratura. Convengo, in questo senso, con le osservazioni del collega De Matteo circa le necessità di superare la fase delle continue denunce di carenze; credo comunque che il ministro potrà offrirci qualche indicazione molto valida. Sul problema dell'aggiustamento dei processi si è in qualche modo "sorvolato": se è vero che abbiamo individuato i mediatori dell'aggiustamento, sarebbe opportuno qualche approfondimento per individuare i destinatari della stessa proposta di aggiustamento. Non vi è dubbio infatti che, se i processi sono stati aggiustati, qualcuno si è prestato a farlo; dobbiamo allora valutare quali siano le azioni da compiere per individuare gli "aggiustatori" e per evitare che in futuro si ripetano fatti del genere. Questo argomento resta sempre in qualche modo velato a misterioso, anche se l'aggiustatore (inteso come proponente) agisce in quanto l'aggiustante è disposto a collaborare. Un altro problema molto importante è rappresentato dall'evoluzione della mafia. Anche se finora abbiamo parlato degli organici facendo riferimento a quelli convenzionali, occorre considerare che la mafia si evolve anche nelle sue modalità operative e se si sposta sempre più sul Pag. 1353 versante del white collar crime (crimine del colletto bianco), è necessario avanzare qualche proposta per rivedere l'iter della formazione professionale dei magistrati. Anche se quelli di Milano dimostrano di aver già raggiunto una preparazione adeguata in questo campo (ciò va ascritto a loro merito), non credo che ovunque vi sia una preparazione adeguata a seguire i nuovi fenomeni, costituiti non solo dalle tangenti ma anche da vari tipi di riciclaggio. Per quanto riguarda il problema del soggiorno obbligato (mi rivolgo al ministro), in Sicilia abbiamo assistito a qualche manifestazione di massa di rifiuto del soggiornante. Quando Vernengo fu condotto nella zona di Gangi fu rifiutato dalla popolazione: si chiese di trasferirlo altrove, ma è rimasto a Gangi e nessuno è intervenuto. Perché allora meravigliarsi se si verificano connivenze e collusioni tra amministratori e mafiosi? E' necessario pertanto valutare l'opportunità di superare l'istituto del soggiorno obbligato, considerandolo ormai fuori dalla realtà e non adeguato alle esigenze dei tempi. In conclusione, non vorrei che avessimo fotografato la situazione della mafia quale si presenta oggi senza indicare quale potrebbe essere nel futuro. Lo dico non soltanto in rapporto all'indicazione delle zone a rischio o potenzialmente a rischio ma anche con riferimento alla risposta, sul versante della magistratura, ad un tipo di criminalità mafiosa che sarà diverso e diversamente distribuito. Se vi si inserisse qualche indicazione di questo genere, la relazione, già a mio avviso perfetta, potrebbe risultare per qualche aspetto ancora più completa. ERMINIO ENZO BOSO. Non rivolgo alcuna "leccata" al relatore, come invece hanno fatti tutti, anche perché ascoltiamo sempre frasi, che si trasmettono negli annali, del tipo "si deve fare, si farà, questa cosa è stata intravista, forse col tempo si potrà intervenire". Non vorrei ritrovarmi tra 25 anni (quando probabilmente sarò ancora senatore, mentre molti di voi a causa dell'età avanzata non lo saranno più) a sentire ancora queste "cazzate": abbiamo infatti di fronte, da un'infinità di anni, un "buco" giuridico. Se dinanzi a ciò si registrano carenze da parte degli organi della magistratura, qualcuno ci dica di chi è la colpa. Se vi sono carenze all'interno delle carceri, ci si dica perché non si sono realizzati penitenziari e si è verificato lo scandalo delle carceri d'oro. Se esistono inoltre difficoltà in ordine alla residenza coatta di qualcuno, si costruiscano campi di lavoro (là dove vi sono terreni abbandonati) in cui vengano rinchiusi questi personaggi, in modo che non vi sia più alcuna possibilità di inquinamento. Se poi vogliamo fare i garantisti secondo il codice americano, dobbiamo tenere conto che in Italia vi è una diversa realtà di giudizio. Tra l'altro, occorre considerare che in America sono previsti anche i lavori forzati e i detenuti lavorano in carcere. Cerchiamo allora di valutare queste innovazioni. Se invece intendiamo soltanto chiacchierare facendo promesse sulla base di un codice penale garantista per introdurre un garantismo ancora maggiore all'interno della delinquenza organizzata, allora dobbiamo dire con chiarezza che non vogliamo combattere la mafia. Di fronte a tutto questo, dovremmo cominciare a fare in modo che chi è stato condannato rimanga in carcere fino all'ultimo grado del giudizio. A questo punto, se vi entrerà qualche parlamentare, si potrà giungere facilmente ad un snellimento del codice di procedura penale e civile; non si possono infatti considerare cittadini di serie A, B e C. Sono d'accordo inoltre sulla necessità di protezione delle famiglie dei pentiti; tuttavia, anche l'anno scorso abbiamo constatato che tutti i giornali sapevano dove andava Buscetta. Occorre allora che all'interno di queste istituzioni vi siano più uomini e meno lavapiatti o donnette di famiglia (si potrebbe chiamarle anche in altro modo). Se si vuole veramente combattere questa situazione, si deve affermare una precisa volontà in tal senso: infatti, se i magistrati mancano, quelli che da vent'anni Pag. 1354 amministrano la nazione devono recitare il mea culpa; altrimenti, non credo di dover restare ancora in questa Commissione a sentire persone che danno indicazioni ed esprimono grandi pensieri. Se dobbiamo fare della falsa sociologia, cominciamo a guardarci veramente negli occhi e ammettiamo che questa è falsa sociologia, falso perbenismo, che significa istituire una protezione per la delinquenza organizzata. Nel momento in cui si comincia veramente a distinguere quali siano i delinquenti, se non vi è la possibilità di mandarli nelle carceri, si dovrebbe prevedere l'ipotesi di inviarli in campi di lavoro sorvegliati dall'esercito. All'interno di questi dovrebbero essere rinchiusi i delinquenti più pericolosi. In tal modo sarà possibile realizzare il piano istitutivo. Dal momento che l'attuale ministro di grazia e giustizia ha ricoperto in passato la carica di presidente della Corte costituzionale, possiamo chiedergli quante volte egli abbia ravvisato, nel corso del suo mandato, l'incostituzionalità di alcune leggi che sono state invece portate avanti per un'esigenza di equilibrio politico all'interno della nazione. Se dobbiamo guardare ciò che fa comodo a un'infinità di persone, a una falsa opinione pubblica, a un falso perbenismo, cominciamo da oggi, se ne abbiamo il coraggio, a chiamare pane il pane e delinquenti i delinquenti! VINCENZO SCOTTI. Ringrazio il collega Brutti per il lavoro che ha svolto e ritengo opportuno che la Commissione ritorni sulle tre pagine finali della relazione e si esprima compiutamente sulle singole proposte, in modo tale da dare un seguito operativo al lavoro che abbiamo compiuto. Desidero svolgere due osservazioni puntuali. In primo luogo, negli ultimi giorni il presidente ha denunciato, per quanto riguarda la DIA, una condizione di inapplicabilità o di mancata attuazione di una serie di adempimenti necessari per rendere questo organismo pienamente efficiente ed efficace. La prima questione da sottoporre al ministro di grazia e giustizia è rappresentata dall'esigenza di completare l'operazione di istituzione delle procure distrettuali, affrontando i temi della loro agibilità, degli strumenti e dei mezzi necessari, oltre che del completamento dell'ordinamento relativamente alla fase del giudizio (in questo senso il collega Brutti è stato molto preciso), perché la cosa peggiore è lasciare le iniziative a metà oppure con mezzi e strumenti inadeguati. Ritengo che, da questo punto di vista, le indicazioni del senatore Brutti siano estremamente puntuali e potrebbero rappresentare la base per decisioni di grande portata da assumere a livello prima amministrativo e poi legislativo. In secondo luogo, desidero riallacciarmi all'indicazione finale, che dava anche il presidente, a proposito delle carceri e dell'applicazione della legge n. 356 del 7 agosto 1992. Ho l'impressione che, di fronte ad altre emergenze nazionali, rischi di calare l'attenzione e l'impegno nel combattere la criminalità organizzata. La lotta alla mafia richiede invece una tensione ed un impegno costanti ed eccezionali. I corpi di polizia, se agiscono in un clima di tensione politica e civile molto forte operano meglio. Ogni volta che questa tensione cala (ciò avviene soprattutto dopo i successi), la situazione diventa estremamente pericolosa. Chiedo quindi al ministro di grazia e giustizia (oltre che alla Commissione, in rapporto ai suoi compiti ed alle sue responsabilità) di non lasciar crescere in questo momento un clima in cui prevalga la consapevolezza dei risultati acquisiti piuttosto che della battaglia ancora da condurre. MICHELE FLORINO. Ritengo che al fenomeno mafioso non si possa contrapporre solo la legislazione premiale per i pentiti o il rafforzamento di alcune procure. Colgo l'occasione della presenza del ministro di grazia e giustizia per sottolineare l'esigenza di introdurre nella legislazione Pag. 1355 almeno delle norme più severe per gli uomini politici coinvolti e condannati in vicende mafiose; questo potrebbe dare risposta a tanti inquietanti interrogativi ormai presenti, che rendono sempre più difficile il percorso della giustizia per arrivare alle vere responsabilità e ai reali intrecci. Mi associo ai ringraziamenti per il collega Brutti, anche perché la prima parte della relazione sarà discussa successivamente dalla Commissione. Trovo inoltre discutibile che si assumano laureati a contratto come assistenti del pubblico ministero: non mi sembra che di fronte ad un'emergenza eccezionale e straordinaria ci si possa avvalere di semplici laureati per rispondere ad un crimine sempre più sofisticato, che si muove anche su un terreno legislativo con l'appoggio incondizionato di uomini che gestiscono il potere, i cosiddetti uomini diabolici, con una strategia che mette addirittura in ginocchio il nostro ordinamento giudiziario. Un'altra parte della relazione riguarda il rafforzamento delle procure distrettuali, su cui siamo d'accordo. Si è fatto un raffronto con Palermo, ma più che il rafforzamento credo occorra discutere l'efficienza dei sostituti procuratori presenti in altre città d'Italia. Si è fatto riferimento a Napoli, Milano e Roma, ma non si ha il coraggio di dire che a Napoli nessun procedimento giudiziario iniziato dieci anni fa trova logica conclusione con una sentenza finale, rispetto a Palermo dove comunque si è giunti a sentenza, con processi di rilevante ed ampio respiro. Le responsabilità derivano da un intreccio, che non sto qui a denunziare, ma che mi allarma. Ho presentato alla Commissione una nota in cui si denunciava come una unità sanitaria locale avesse riferito al presidente della corte d'appello di Napoli di non avere a disposizione un sanitario per visitare un eminente esponente della delinquenza locale, il Nuvoletta; non si aveva - ripeto - a disposizione alcun sanitario per la visita, né risulta che il presidente della corte d'appello si sia avvalso dei poteri a lui conferiti per ordinare comunque la visita. Di qui l'esigenza, dicevo, di valutare l'efficienza, rispetto alla potenzialità, dei sostituti in alcuni distretti. Se andassimo a verificare più da vicino questi aspetti, forse comprenderemmo come sia necessario preoccuparsi non tanto dei pentiti quanto degli intralci che provengono da organismi che invece dovrebbero operare per lo Stato. PAOLO CABRAS. Anch'io ringrazio per la relazione puntuale, precisa e ricca di proposte svolta dal collega Brutti. Concordo con larga parte delle pagine conclusive della sua relazione ed esprimo solo due riserve, del resto già sollevate da altri colleghi. La prima è riferita alle carceri mandamentali. Poiché considero tali carceri - ne ho discusso anche con il procuratore Vigna - un po' il tallone di Achille del sistema carcerario italiano, il suo punto debole, mi sembra difficile, per motivi di sicurezza ed anche ambientali, individuare nelle carceri mandamentali un punto di riferimento ed una collocazione sicura e garantita per i collaboratori della giustizia. Credo quindi che sarà necessario trovare altre soluzioni, anche se mi rendo conto che individuare soluzioni di tipo speciale può significare un aggravio di spesa e ciò può confliggere con le note ristrettezze di bilancio e con le risorse a disposizione, senz'altro inadeguate ed anche con altre destinazioni prioritarie rispetto a quella di nuove strutture carcerarie ad hoc per i collaboratori di giustizia. La seconda riserva riguarda - ma forse vi è bisogno anche di un chiarimento e di un approfondimento tra noi - l'eventuale istituzione di un corpo di polizia speciale per i collaboratori di giustizia. Sono d'accordo con l'analisi del collega Brutti sull'estrema complessità e delicatezza della gestione dei collaboratori di giustizia, per quanto riguarda il rapporto sia con i magistrati sia con i rappresentanti delle forze dell'ordine che - come si dice - gestiscono i collaboratori e li accompagnano, sia con le loro famiglie, Pag. 1356 nella fase di transizione dalla illegalità al recupero della legalità e di una nuova identità. Ciò determina la necessità di affrontare tutta una serie di problemi non solo di natura giudiziaria e processuale, ma anche relativi a compiti di un servizio sociale altamente specializzato. Si tratta infatti di accompagnare non solo i collaboratori ma anche le loro famiglie (la moglie, i figli, i parenti e gli affini). Una particolare attenzione da questo punto di vista vi è, ad esempio, per quanto è a mia conoscenza, nella legislazione e nella esperienza pratica degli Stati Uniti. Più che ipotizzare nuovi corpi di polizia, penso che, data l'alta qualità e specializzazione del servizio richiesto, ci si debba orientare verso l'utilizzo della DIA o dello SCO, settori molto specializzati che già ora si occupano dei maggiori collaboratori. Si tratterebbe semmai di aprire un confronto con tali organismi per verificare come sia possibile collocare al loro interno una sezione che assolva al compito indicato dal senatore Brutti. Il problema esiste, ma ho paura di soluzioni che, per apparire troppo specifiche, rischiano poi di essere, nell'attuale situazione, un po' velleitarie o comunque di complicare ancora di più l'ordinamento e l'organizzazione. Desidero infine porre un quesito particolare al signor ministro, che ringrazio per la sollecitudine con cui, a pochi giorni dall'insediamento, ha voluto assicurare la sua partecipazione ai lavori della Commissione. Il problema riguarda una procura che nelle indagini e nella lotta alla infiltrazione mafiosa ha avuto qualche benemerenza, cioè la procura di Palmi. Una delegazione della Commissione è stata recentemente a Palmi e ci è stato posto un problema di organizzazione, ma questo tipo di problemi acquistano una risonanza diversa se non trovano uno sbocco positivo, una risposta, e vanno invece ad accumulare il contenzioso per presunte o reali sordità o inadempimenti, chiamateli come volete, del Governo e delle istituzioni. Si tratta dell'indagine che la procura di Palmi ha avviato nella realtà complessa delle implicazioni di tipo affaristico ed anche nella vita pubblica calabrese della massoneria. Riteniamo tale indagine rilevante, anche per la ricaduta che può avere per indagini condotte da altre procure, non solo del sud; penso a Firenze e ad altri squarci che si sono aperti nella realtà e nell'intreccio esistente tra massoneria e mafia e tra massoneria, politica e mafia, che denotano un quadro molto interessante, che riguarda cascami della P2, logge coperte e scoperte. A distanza di dieci anni si scopre che se il capitolo della P2, che si riteneva ormai chiuso nella storia nazionale, fosse stato maggiormente approfondito, avesse suscitato più attenzione, provocato più vigilanza e comportato anche meno irrisione sulle conclusioni della Commissione parlamentare d'inchiesta - anche da parte di vertici istituzionali, ambienti politici e di opinione, nonché da parte della grande stampa - si sarebbe forse potuta determinare una penetrabilità rispetto ai seguaci ed ai cascami del piduismo che viceversa sembrano, quanto meno sul piano dell'affarismo e della corruzione, ancora operanti. Penso a Gelli... VINCENZO SCOTTI. E' stato assicurato l'ufficio a Roma? PAOLO CABRAS. Il problema che si pone è questo: la procura di Palmi ha sequestrato, signor ministro, come lei saprà (Commenti del deputato Girolamo Tripodi)...Io pongo un problema concreto; sappiamo tutti che i problemi di organizzazione non sono solo tali, ma anche in qualche modo di qualità ed afferiscono quindi alla sfera politica come orientamento ed indirizzo generale. L'ingente materiale sequestrato (elenchi, liste e dischetti) è a Roma e riempie molti armadi e molte stanze; è difficile ipotizzare, come pure era stato fatto nel tentativo di trovare una soluzione al problema, l'uso di locali che peraltro non sono completamente disponibili e che porrebbero problemi di sicurezza non risolvibili nell'ambito della disponibilità Pag. 1357 delle forze dell'ordine e della situazione logistica del tribunale e della pretura di Palmi. E' stata così avanzata la richiesta da parte dei magistrati della procura di Palmi, anche nostro tramite - e noi la rivolgiamo al signor ministro - di trovare una soluzione che consenta ai magistrati di Palmi di operare, nel giro di venti giorni od un mese, una selezione di questo ingente materiale sequestrato a Roma, in una sede idonea, quindi senza trasferimenti del materiale stesso; soddisfatta tale esigenza di selezionare il sovrabbondante materiale a disposizione, la procura di Palmi potrebbe poi far trasportare agevolmente i fascicoli che risulteranno di interesse all'indagine nella sede istituzionale, ossia presso la sede della procura. Credo che ciò sarebbe importante, anche per chiudere una questione che si è trascinata nel tempo e che agli occhi dell'opinione pubblica non fa acquistare benemerenze alle istituzioni di Governo del nostro paese; soprattutto perché tale indagine, per il suo oggetto e per il collegamento obiettivo che presenta (se poi l'indagine dovesse coinvolgere responsabilità per reati di stampo mafioso, indubbiamente la competenza verrà trasferita alla procura distrettuale; non c'è problema su questo), è diventata, a torto o a ragione, emblematica di una realtà di attriti e difficoltà rispetto alla necessità di affermare l'esigenza che tutti - Parlamento, Governo, forze politiche e magistratura - condividono, quella cioè di fare quanto più rapidamente possibile giustizia e di accertare la verità. In questo senso mi permetto di rivolgere una sollecitazione al signor ministro. ACHILLE CUTRERA. In esito a questa osservazione, ritengo importante, avendo fatto parte del gruppo di lavoro che si è recato presso la procura di Palmi la nota del collega Cabras. Chiedo, signor presidente, che si possa celermente discutere in Commissione i risultati delle indagini conoscitive svolte. La proposta del vicepresidente Cabras mi sembra infatti importante e rilevante, però non l'abbiamo valutata insieme: l'impressione che io ho avuto da quella visita è di gran lunga più pesante di quella raccolta dal vicepresidente, nella preoccupazione, di cui mi faccio carico, di tentare di eliminare lo stato di tensione che intorno alla procura di Palmi si è creato, secondo la mia opinione, per ragioni complesse in parte fondate ed in parte inesistenti. Se questo è vero, credo che rappresenti un punto che potrebbe portare la Commissione ad ascoltare il procuratore e gli altri giudici del tribunale di Palmi, avendo anche riscontrato un forte contrasto tra la procura e i giudicanti. Questo insieme di elementi determina preoccupazioni ed è causa delle incertezze attuali. Non vorrei contestare l'ipotesi - che mi sembra interessante - di acquisire materiale da Roma ma si tratta di un problema istruttorio di secondaria importanza. Tuttavia, il fatto che il lavoro che svolgiamo in sede di indagine sia seguito da una discussione in tempi brevi mi sembra importante, anche per poter dare al ministro indicazioni e suggerimenti che altrimenti potrebbero apparire troppo personali. Colgo l'occasione per dire che condivido totalmente l'appello dell'onorevole Scotti sul problema della tensione. Mi permetto di chiedere al ministro chiarimenti a proposito di una informazione avuta leggendo una nota di agenzia relativa ad un particolare atteggiamento tenuto presso il carcere di Napoli dove, in seguito alla buona condotta, sono stati concessi benefici ai detenuti. La notizia ha suscitato preoccupazione su un possibile cambiamento di atteggiamento rispetto allo stato di tensione in sede politica che ha portato alla collaborazione delle forze operative impegnate. PRESIDENTE. La visita in Calabria non si può considerare ancora conclusa; laddove, come in Puglia, la visita è terminata, sono stati designati i relatori nelle persone del senatore Robol e dell'onorevole D'Amato, affiancati da consulenti. Pag. 1358 Dichiaro chiusa la discussione sulla relazione del senatore Brutti. Poiché alcuni deputati devono recarsi in Assemblea per concomitanti votazioni, chiedo ai colleghi e al ministro di procedere immediatamente alle comuncazioni di cui ho parlato all'inizio della seduta, per poi dare la parola al ministro di grazia e giustizia. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito. (Così rimane stabilito). Comunicazioni del Presidente. PRESIDENTE. Il senatore Frasca, in data 3 febbraio 1993, mi ha inviato una lettera del seguente tenore: "Caro presidente, apprendo che tra i consulenti della Commissione antimafia vi è il dottor Colombo, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano. La cosa mi sorprende moltissimo perché, essendo il dottor Colombo uno dei giudici che conducono l'indagine sui fatti di Milano, la sua presenza tra i consulenti della Commissione antimafia mi sembra quanto mai inopportuna. Vorrei essere tranquillizzato in merito". A questa dichiarazione, resa contemporaneamente alla stampa, devo rispondere in questa sede. In base al nostro regolamento le consulenze sono assunte dall'ufficio di presidenza allargato ai capigruppo (mentre nel corso della precedente legislatura decideva soltanto l'ufficio di presidenza, senza la partecipazione dei capigruppo). In tale sede, il 20 ottobre 1992, l'onorevole Taradash propose per primo la presenza del giudice Colombo come consulente, sulla base delle sue specifiche competenze in materia di riciclaggio (sulla quale ha scritto anche dei libri). Tutti gli altri colleghi concordarono, come risulta dal resoconto sommario: "il senatore Cabras concorda; l'onorevole Borghezio concorda; l'onorevole D'Amato dichiara di apprezzare i criteri ed i nomi proposti ma si riserva comunque di far conoscere la valutazione politica del suo gruppo; l'onorevole Grasso concorda; l'onorevole Tripodi concorda pur riservandosi di integrare..." e così via. Questo è lo stato delle cose. Alla Commissione, come voi sapete, si dà comunicazione delle nomine. La questione è di grande delicatezza per molti motivi. VINCENZO SCOTTI. Lei ha ricordato che, in sede di ufficio di presidenza, fece delle proposte che furono integrate da ciascun rappresentante di gruppo (ricordo che diedi qualche indicazione da lei accolta); alla fine esprimemmo il consenso su quanto proposto e di ciò lei dette comunicazione alla Commissione. Al di là della responsabilità di gruppo, ritengo utile ed indispensabile quella collaborazione, per cui ritengo di non dover aggiungere altro al consenso a suo tempo dato, se non ribadire l'efficacia della scelta fatta in quella sede. SALVATORE FRASCA. In realtà, signor presidente, alla mia prima richiesta ne è seguita un'altra. PRESIDENTE. Se vuole rispondo anche alla seconda. SALVATORE FRASCA. Prima che si apra la discussione, devo formulare una proposta. La seconda richiesta era volta a conoscere l'elenco completo dei consulenti della Commissione, la loro qualifica, la data e la durata della convenzione e tutto il resto. Ritengo che la Commissione debba affrontare questo problema nel suo insieme, dopo che esso sia stato iscritto all'ordine del giorno e non come semplice comunicazione del presidente. Molti colleghi potrebbero non sapere che questa sera si discuterà sui consulenti. PRESIDENTE. No, non si discuterà sui consulenti. Si sta solo dando una comunicazione. Senatore Frasca, sto rispondendo ad una sua lettera. Trattandosi di questioni politiche, non ho voluto rispondere a lei Pag. 1359 personalmente: lei pone questioni politiche anche quando chiede l'ammontare della retribuzione ed i tempi, questioni che io sottopongo alla Commissione. SALVATORE FRASCA. Vorrei avere la libertà di esporre compiutamente il mio punto di vista, anche perché sono l'autore della richiesta. Se lei intende seguire il regolamento per quanto riguarda l'informativa, è giusto che la questione venga iscritta all'ordine del giorno perché - come dicevo - molti colleghi potrebbero non sapere quando essa verrà discussa. In nome dei principi di democrazia ai quali si deve ispirare questa Commissione, la invito ad iscrivere la questione all'ordine del giorno in modo che tutti i colleghi ne siano informati e siano in grado di intervenire. Ho sollevato una questione non di carattere personale ma di ordine giuridico-costituzionale, della cui giustezza sono convinto. Non entro nel merito ma chiedo che se ne discuta nel plenum della Commissione e nel momento in cui tutti i commissari siano informati. PRESIDENTE. Lei non può non ritenere che io debba subito rispondere perché se così non facessi si creerebbe un equivoco pubblico. Non metterò la questione all'ordine del giorno a meno che non mi giunga un' esplicita richiesta da parte dell'ufficio di presidenza o di un numero congruo di colleghi; d'altronde questa non è materia da discutere in Commissione. SALVATORE FRASCA. Lei deve informare la Commissione. PRESIDENTE. Assolutamente no. Ciascun componente della Commissione ha il diritto e il dovere di guardare gli atti della Commissione, tra i quali vi sono i verbali dell'ufficio di presidenza. In ogni caso sto informando adesso... SALVATORE FRASCA. Se non erro, lei è tenuto, a norma di regolamento, ad informare la Commissione in merito alle decisioni assunte dall'ufficio di presidenza e dall'ufficio di presidenza allargato ai gruppi. PRESIDENTE. Ora la informo. Nella lettera mi si chiede di fornire al più presto un prospetto contenente l'elenco dei consulenti della Commissione, la loro qualifica, la data della firma della convenzione, le modalità del loro lavoro, il corrispettivo che percepiscono, la data di inizio e di conclusione del loro rapporto. La nostra Commissione ha i seguenti compiti, che la precedente Commissione non svolgeva: informatizzazione dell'archivio, lavoro sui controlli amministrativi, verifica dell'attuazione della legislazione esistente, versante sociale, forum, rapporti con l'estero. Cito dei dati per riferire ai colleghi cosa ciò comporti in termini di attività: la precedente Commissione aveva un numero di protocollo mensile pari a 140; il nostro è pari a 480 (entrate e uscite mensili). La media dei documenti che giungevano alla precedente Commissione era mensilmente pari a 44; attualmente è di 114. Per quanto riguarda la retribuzione dei consulenti, il criterio seguito è quello della precedente Commissione, quindi non vi è stato alcun aumento: non solo, ma sulla base dei dati che abbiamo acquisito, si tratta dei compensi medi più bassi. Un funzionario della Camera o del Senato che vada in missione percepisce in media 210 mila lire lorde al giorno; sulla base delle decisioni della Commissione precedente, la Commissione ha stabilito che i consulenti a tempo pieno, che sono tre (dottor Pocci, dottor Di Lello e dottor Cottone) più due ufficiali (capitano De Bonis e tenente Pizzurro), percepiscano una retribuzione lorda di 30 milioni l'anno, enormemente inferiore rispetto a quanto viene percepito dai funzionari in trasferta. I consulenti a tempo parziale sono il dottor Rossi, il dottor Pennisi, il dottor Colombo, il dottor Mandoi e il dottor Berionne della Banca d'Italia che non percepiscono alcuna retribuzione ma soltanto un rimborso spese. Pag. 1360 Inoltre, è pervenuta l'autorizzazione relativa alla nomina a collaboratore a tempo pieno della signora Fernanda Torres (che ha organizzato il forum), assistente giudiziario, la cui retribuzione ammonta a circa 25 milioni lordi. Sempre a seguito di quanto stabilito dall'ufficio di presidenza il 20 ottobre, sono state effettuate ulteriori nomine a tempo parziale per il dottor Pietro De Franciscis e per il dottor Giuseppe Cogliandro della Corte dei conti. Inoltre, per quanto riguarda i gruppi di lavoro, l'ufficio di presidenza, nella seduta del 3 febbraio 1993, ha deliberato le seguenti proposte di collaborazione temporanea part time e quindi senza oneri per la Commissione: gruppo di lavoro coordinato dal deputato Riggio: professori Sabino Cassese, Guido Corso, Ignazio Portelli; gruppo di lavoro coordinato dal deputato D'Amato: professori Luciano Sommella e Francesco Sidoti; gruppo di lavoro coordinato dal senatore Calvi: professor Crescenzo Fiore; gruppo di lavoro coordinato dal deputato Scotti: generale Ramponi, ex comandante generale della Guardia di finanza. Il deputato Riggio mi ha inviato una richiesta volta ad integrare i consulenti del gruppo che lui coordina con il professor Cazzola; in proposito non è stata ancora assunta alcuna decisione. I consulenti a tempo pieno prestano la loro attività, di norma, dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 20 e percepiscono un corrispettivo annuo di lire 30 milioni e, i non residenti, il rimborso a pie' di lista delle spese di vitto e alloggio. Ai consulenti a tempo parziale non è corrisposto alcun compenso, ma soltanto il rimborso spese. Oltre ai sopraindicati consulenti nominati dalla Commissione, collaborano con la Commissione stessa il prefetto Guido Nardone, il dottor Carlo Notaro, il dottor Pietro Grasso e il dottor Giannicola Sinisi, nominati dal ministro dell'interno i primi due e dal ministro di grazia e giustizia i secondi (per il dottor Grasso la procedura è in via di perfezionamento). Questo è il quadro complessivo delle consulenze, delle retribuzioni, dei tempi ed anche del lavoro che la Commissione svolge. Comunico, infine, che il presidente del Senato, con lettera del 15 febbraio, ha chiamato a far parte della Commissione d'inchiesta sul fenomeno della mafia il senatore Paolo Gibertoni in sostituzione del senatore Sergio Cappelli dimissionario. Questa è la comunicazione che avevo il dovere di fare. SALVATORE FRASCA. Non si svolgerà un dibattito? PRESIDENTE. No. SALVATORE FRASCA. Troveremo una sede nella quale questi problemi possano essere discussi. PRESIDENTE. Possono esservi dichiarazioni sulle comunicazioni del presidente. SALVATORE FRASCA. Ritengo che a delle comunicazioni del Governo o dello stesso presidente debbano seguire per lo meno le dichiarazioni di voto. PRESIDENTE. Non vi sarà alcun voto. SALVATORE FRASCA. Una dichiarazione, comunque. Signor presidente, fatta salva per il mio gruppo la prerogativa di risollevare questo problema nell'ambito dell'ufficio di presidenza e, nelle forme consentite dal nostro regolamento, anche in aula, ritengo che la presenza di magistrati, soprattutto di quelli interessati ad inchieste giudiziarie che coinvolgono settori del Parlamento, non sia compatibile con il ruolo di consulente della Commissione. In tal modo si determina una confusione tale di ruoli che la Commissione rischia di essere condizionata da parte di altri poteri, che comunque rispettiamo. Poiché lei, signor presidente, ha affermato che la questione è stata già decisa, ci riserviamo - ripeto - di riproporla, nei Pag. 1361 termini e nelle forme consentite dal nostro regolamento, sia dinnanzi al plenum della Commissione sia in altre sedi che individueremo affinché possa essere sviscerata, stante la sua delicatezza dal punto di vista politico e costituzionale. PRESIDENTE. Può intervenire un rappresentante per gruppo per non più di due minuti. MASSIMO BRUTTI. Prendendo atto delle comunicazioni del presidente, vorrei segnalare ai colleghi che qualsiasi motivo di opportunità o inopportunità circa la prestazione di una consulenza da parte di magistrati forma oggetto di valutazione, proprio al fine di rispettare il corretto equilibrio dei poteri, da parte dell'organo di governo autonomo della magistratura, nel momento in cui viene investito da una richiesta o da una comunicazione del magistrato chiamato a prestare - sia pur a tempo parziale - la propria consulenza ad un organo parlamentare. Il plenum del Consiglio superiore della magistratura autorizza il magistrato tenendo conto delle inchieste di cui si occupa, dei processi che celebra, della mole di lavoro che grava sulle sue spalle, di tutti gli elementi che possono formare oggetto di valutazione. Nei casi che abbiamo di fronte, il procedimento si svolge secondo le regole prescritte e il Parlamento non può valutare la decisione di competenza di un altro organo. VINCENZO SCOTTI. Presidente, concordiamo con le sue comunicazioni in merito all'organizzazione e al lavoro della Commissione. Credo di dover ringraziare chi sta collaborando con noi per il lavoro che si sta svolgendo. Non ritengo sussistano problemi. Tuttavia, se ne dovessero esistere, atterrebbero al Consiglio superiore della magistratura oppure al Presidente della Camera ed alla sua responsabilità. Ritengo comunque che questi problemi siano stati risolti allorché, a novembre, si decise per quel tipo di organizzazione, esprimendo assenso, in sede di ufficio di presidenza, sulle proposte da lei avanzate. MICHELE FLORINO. Signor presidente, il regolamento parla chiaro: è l'ufficio di presidenza, con i rappresentanti dei gruppi, a decidere. Se volessimo rimettere in discussione ciò che l'ufficio di presidenza, allargato ai gruppi, ha deliberato, potremmo farlo, tutti. Ciò non mi esime però dall'esprimere una constatazione politica: evidentemente al gruppo politico del partito socialista sono saltati i nervi, perché è inquisito nell'ambito di Tangentopoli da un giudice che presta la propria opera in questa Commissione. PRESIDENTE. Senatore Florino, la prego di contenersi. MICHELE FLORINO. Lei mi deve permettere una dichiarazione politica. PRESIDENTE. Diciamo allora che sono terminati i due minuti a sua disposizione. SALVATORE FRASCA. Signor presidente, mi riservo di parlare ancora: qui è in discussione il rapporto di fiducia che noi socialisti abbiamo con lei! MICHELE FLORINO. Si può mettere in discussione ciò che si vuole, ma questo non mi esime dal fare una dichiarazione politica in quanto appartenente al gruppo del Movimento sociale italiano. Un esponente del partito socialista si è dichiarato contro un giudice che è presente legittimamente, nel pieno delle funzioni previste dalla legge, e che viene messo in discussione proprio da un partito "toccato" dalle inchieste... PRESIDENTE. Senatore Florino...! Una voce. Non mettiamola sul piano politico. MICHELE FLORINO. Non mettiamola sul piano politico?! Il caso messo in Pag. 1362 discussione da Frasca è politico, non procedurale! (Interruzione del senatore Frasca). PRESIDENTE. A lei la parola, onorevole Tripodi. GIROLAMO TRIPODI. Signor presidente, concordo con le sue comunicazioni, che confermano la decisione assunta ai sensi del nostro regolamento, in sede di ufficio di presidenza, al quale ha partecipato non solo una parte, ma tutte le componenti della Commissione, compreso il gruppo socialista a cui appartiene il senatore Frasca. Ritengo che sollevare una tale questione sia di nocumento al funzionamento della Commissione, specie ora che siamo impegnati nella lotta contro la criminalità organizzata. Interventi del genere sono fuorvianti rispetto ai problemi che dobbiamo affrontare. I collaboratori della nostra Commissione sono impegnati in azioni giudiziarie nei confronti di chi ha violato la legge: non li si deve punire per questo, semmai li si deve esaltare! PRESIDENTE. Non esageriamo! GIOVANNI FERRARA SALUTE. Signor presidente, alla riunione di cui lei ha parlato non ero presente come capogruppo repubblicano. Oggi non si può intervenire su una decisione assunta a suo tempo, desidero però dire che se fossi stato presente, mi sarei dichiarato d'accordo sulle proposte avanzate ed accettate. In questa sede, pertanto, riconfermo la mia fiducia ai consulenti, nessuno escluso. E' un'aggiunta tardiva, la mia, ma rilevante. MARIO BORGHEZIO. In qualità di capogruppo della lega nord ho presenziato a quella riunione, approvando la decisione oggetto del dibattito odierno. Non ho alcun motivo per rimettere in discussione quella deliberazione, la cui validità è da confermare. Non è irrilevante constatare che gli sviluppi delle indagini in corso stanno dimostrando la possibile esistenza di rapporti tra finanziamento illecito dei partiti e finanza mafiosa o comunque riciclaggio di denaro proveniente da attività collegabili alle organizzazioni mafiose. Per tale motivo, sono convinto che la nostra decisione debba essere valutata ancor più positivamente di allora. LUIGI ROSSI. Chiedo di parlare. PRESIDENTE. Onorevole Rossi, lei appartiene allo stesso gruppo dell'onorevole Borghezio. Mi scusi, ma non posso consentirle di intervenire. Si riprende la discussione. PRESIDENTE. Do la parola al ministro di grazia e giustizia, professor Giovanni Conso. GIOVANNI CONSO, Ministro di grazia e giustizia. Signor presidente, signor vicepresidente, signori commissari, il mio è un saluto di carattere generale, di esordio. E' rilevante che le circostanze abbiano consentito che questo mio esordio in sede parlamentare sia avvenuto in una importante seduta di un'altrettanto importante Commissione. Credo che la necessità di una tensione da riproporsi sempre, in modo incessante e convinto, e di un'attenzione sempre più profonda da rivolgere ai problemi oggetto della relazione fossero certamente in re ipsa. Siamo qui per questo: la sento e l'ho sentita come un richiamo alla mia tensione, non perché essa sia venuta meno ma perché, in un momento in cui altri problemi incombono e premono, questa non deve assolutamente mai perdere la sua priorità. Partendo da tale considerazione, peraltro formulata da molti commissari ed alla quale aderisco pienamente, ritengo di dover avviare il mio intervento anziché dall'inizio, come avevo divisato fino agli ultimi due autorevoli interventi, dalla Pag. 1363 parte finale della discussione, per passare poi ad un'analisi sommaria, rapida, a flash, della relazione. Ritengo però che la tensione e l'attenzione, considerati i problemi contenuti nella esposizione, ma anche quelli che ci avvolgono e che richiedono tensione di comportamento, necessitino innanzitutto di una cosa, ossia la precisione nei dati, nel riportare le affermazioni di altri. Dobbiamo combattere tutti insieme una grande partita di trasparenza, di miglioramento. Mi domando però come sia possibile arrivare alla trasparenza e al miglioramento se continuamente ci troviamo di fronte a versioni di fatti e di parole dette, non di idee, di ipotesi, di problemi, dove certamente la varietà delle sottolineature è tanta! I fatti, il diritto di cronaca, la cronaca... Largo e massimo spazio al diritto di critica, che deve partire però da una cronaca esatta. Troppe volte in questi giorni la tensione e l'attenzione sono state, e continuano ad essere, fuorviate da imprecisioni, a mio avviso gravissime, commesse da chi prende la penna e scrive sugli organi di informazione. Il caso citato dal senatore Cutrera, con estrema delicatezza, è sintomatico. La notizia di cui si è parlato, relativa alla situazione delle carceri napoletane, è assolutamente fuorviante, certamente per colpa non del senatore Cutrera ma della fonte da cui ha attinto. Sono lieto, nel disappunto, di poter partire da questo, perché nel dibattito ci si è riferiti al tema carcerario, sia pur visto da angolazioni ideologiche molteplici, in cui le parole sono oscillate dal piano in forza del quale si chiede di non esagerare in garantismo o in lassismo, a quello opposto dell'allargamento dei benefici. Ciò in un dialettica di opinioni che da tempo domina la scena e che è destinata a potrarsi perché nessuno possiede la soluzione esatta. Ogni giorno le cose cambiano attorno a noi! Quindi si deve via via adattarle e verificarle, con estrema tensione ed attenzione. Ebbene, qui va detta la versione esatta dei fatti. Chi ha scritto che c'è stato un ulteriore lassismo o la concessione di misure carcerarie più favorevoli ha scritto una notizia falsa! In questo caso, si è data applicazione - chiedo scusa se cito un articolo, ma qui è determinante - all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, inserito nel 1986 per far fronte alle situazioni di emergenza. Come loro sanno, si tratta di una norma certamente non lassista ma che anzi implica una risposta al lassismo, la quale dice che in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza "il ministro di grazia e giustizia ha facoltà di sospendere nell'istituto interessato o in parte di esso l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza ed ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto". Questa norma è stata puntualmente applicata dal mio predecessore in una situazione di grave emergenza nelle due carceri napoletane. Nei due istituti interessati è stata sospesa l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati, è stata cioè sospesa la normalità. D'altra parte, l'articolo 41-bis dice chiaramente che questo provvedimento deve avere durata "strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto". Il Parlamento della Repubblica italiana ha dettato questa norma, che certamente tiene conto di tutte le esigenze contrapposte e che consente di sospendere certi vantaggi secondo le normali regole ma per una durata "strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto". Posso assicurare il senatore Cutrera - giustamente preoccupato per una versione inesatta dei fatti - che ad un certo momento la situazione di emergenza insorta in quelle due carceri si è dissolta, è stata superata e non vi erano più i motivi per mantenere quelle limitazioni. La legge imponeva, constatata quella situazione di ritorno alla normalità, di ripristinare la normalità normativa: non è stato dato un vantaggio in più, è stata tolta una limitazione prevista per casi eccezionali, temporanei; finita la necessità Pag. 1364 di far fronte a quella situazione eccezionale con la deroga, non c'era più motivo di mantenere quest'ultima. Dico questo per tranquillizzare chi può temere, in un momento così delicato, lassismi eccessivi. Ringrazio il senatore Cutrera di aver ascoltato con tanta attenzione le mie parole e di aver colto il senso della mia precisazione. Giacché sono partito da questo finale importante - perché bisogna chiarire le cose quando le notizie che si diffondono sono false - intendo fare una sottolineatura. In questi giorni, dovendo seguire con attenzione e tensione tutti i problemi, anche ciò che dice la cronaca, constato continuamente errori gravissimi alla base di discussioni fondamentali. Questo è antidemocratico! E' un modo di sabotare la lotta che lo Stato italiano in questo momento deve combattere! Quindi: sempre più trasparenza e giustizia ma anche precisione assoluta! Dichiaro subito che questo improvvisato ministro sarà inesorabile nel contraddire ogni affermazione che sui fatti sia inesatta! Altrimenti, è inutile che discutiamo. E' inutile che sui quotidiani e alla televisione si aprano dibattiti su temi anche importanti, che destano l'attenzione dell'opinione pubblica, se si parte da una base sbagliata. Dio non voglia che talora le inesattezze siano capziose! Spero siano dovute a negligenza; ma la negligenza, in un momento come questo, non è un'attenuante. Per quanto riguarda la domanda del vicepresidente sulla tematica di Palmi, mi riprometto la prossima occasione di portare tutte le indicazioni, le più puntuali possibili, su questa vicenda indubbiamente delicata e complessa. La proposta che lei ha qui avanzato, di verificare la possibilità di concedere un periodo di una ventina di giorni per consentire a chi esamina questo materiale in una sede lontana, venendo qui a Roma, di selezionarlo e di portarlo nella sua sede di origine, mi sembra degna della massima attenzione. Certamente, nei prossimi giorni questa attenzione sarà dedicata a verificare la possibilità di una soluzione. D'altra parte, devo dire, proprio come ministro guardasigilli, che ritengo che il Ministero debba impegnarsi al massimo sul piano della organizzazione e dei servizi; invece, per quanto riguarda le indagini in corso, ritengo che il ministro di grazia e giustizia non possa assolutamente non dico intervenire (sappiamo tutti bene che non è possibile) ma nemmeno adottare prese di posizione che possano sembrare tali da scalfire l'assoluto mondo nel quale l'autorità giudiziaria è chiamata a svolgere il suo compito, all'interno del quale vi sono le forme di gravame e al di fuori del quale l'opinione pubblica ha la possibilità di intervenire (tutti possono farlo, tranne il ministro di grazia e giustizia). Siccome in questo caso ci sono anche indagini in corso, mi riprometto di dire tutto ciò che è possibile sul piano organizzativo - e il problema da lei indicato, senatore Cabras, era certamente di ordine organizzativo -; ma su altri aspetti non potrò essere così esauriente, perché ciò implicherebbe una invasione di campo. Ritengo che la legalità repubblicana richieda da parte di tutti l'assoluto rispetto dei confini. Mai come in questo momento, in cui la confusione è massima e in cui la diaspora delle contrapposizioni cresce, il rispetto dei confini è indispensabile! Il potere esecutivo - almeno per quanto riguarda il mio dicastero - sarà rispettosissimo degli altri, restando nei suoi confini e ritengo che così debba fare il potere legislativo e così debba fare anche il potere giudiziario. Vengo al tema generale, al quale peraltro le due domande finali attengono appieno, sia pure sotto profili particolari. In fondo, in questa sede si presentava la splendida relazione del senatore Brutti come la sintesi di un dibattito. Ma di quale dibattito? Per la tematica ma soprattutto per coloro che lo hanno promosso, per tutti questi organi, soggetti, gruppi di lavoro, a cominciare da questa Commissione parlamentare antimafia, si è trattato di un dibattito la cui relazione finale non è solo una sintesi, è anche una Pag. 1365 proposizione di problemi, di idee, che pone l'accento su punti di particolare significazione. A questo punto, chiedo scusa se debbo mantenermi un po' sulle generali ma ritengo prematuro da parte mia fare un discorso a tutto campo, parlare della politica che in questo momento potrebbe essere vista dalla posizione che occupo; essenzialmente per due ragioni. Innanzitutto, perché il Governo non è all'inizio del suo mandato, con un suo ministro che inizia il proprio lavoro; qui si tratta di una situazione particolare, di chi subentra quando il lavoro è già avviato, con un programma di Governo già esposto, in certe parti portato avanti, in altre discusso, magari criticato, anche ampiamente. In gran parte debbo ricollegarmi ad esso, anche perché non è molto tempo che, con una densissima relazione, il mio predecessore ha presentato in questa sede tutta una serie di considerazioni, indicazioni e proposizioni. Non posso dire che le faccio tutte mie ma in linea di massima debbo collocarmi su quella strada; per mutare avviso su certi punti, è necessaria particolare meditazione e mi riprometto di farla in un'occasione diversa dalla discussione di una relazione, che ho ascoltato più per apprendere che per parlare. L'altra ragione è che, in un momento in cui i problemi si moltiplicano - direi che quotidianamente ogni problema cambia volto, diventando, ahimé, più crudo e più duro -, non è facile fare affermazioni particolari, prendere posizioni che poi legano le mani ("hai fatto questa promessa, hai assunto questo impegno e poi cambi"). Per quel che riguarda le idee di fondo, la metodologia - come quel che ho detto sulla necessità della precisione e sulla smentita degli errori gravi sui fatti - qualcosa si può dire qualunque sia il programma; ma quando si tratta di programma, una meditazione è indispensabile, proprio in relazione a quell'attenzione che qui è stata proclamata come una indicazione di fondo insieme alla tensione. Quindi, porrò attenzione alle cose che avvengono momento per momento, senza precipitare mai nel fare promesse che dopo un po' di tempo possono sembrare impegni non mantenuti. Prendo lo spunto dal passaggio cruciale con cui si chiude il terzo paragrafo della relazione del senatore Brutti, la cui parte generale tocca i problemi di fondo del fenomeno mafioso, visti in una proiezione che molti hanno elogiato (e anch'io mi unisco a questi elogi). In questa parte generale, ad un certo momento c'è un passaggio che taluni hanno preso come punto di riferimento e che anch'io ritengo bisognoso di sottolineatura: lo Stato non può permettersi di perdere un minuto. Tutte le innovazioni e le scelte sulla cui utilità può oggi aversi valutazione concorde devono essere immediatamente adottate e tradotte in pratica. E' il problema che alcuni di loro hanno con incisività indicato come quello dei tempi, invocando procedimenti più celeri e risposte puntuali sul piano normativo e su quello organizzativo. Certamente, non bisogna perdere un minuto e, laddove vi sia concordia su una soluzione, questa va immediatamente adottata. E' la risposta al timore che si dica troppo "si deve fare" e che poi non si faccia nulla. In attesa di vedere l'arco completo e di individuare una politica globale per fronteggiare tutti i grandi problemi che ci affliggono, il tempo passa, non se ne risolve nessuno, tutti si aggravano. Allora, dall'odierno dibattito, quali dati ricava in questo momento - salvo una meditazione ulteriore che possa fare cogliere altre prospettive, data la densità dei concetti e la ricchezza della discussione - il ministro guardasigilli? Quali sono le prese di posizione su cui, tra la relazione e gli interventi, si possa ravvisare una concordia, che non deve essere necessariamente unanimità ma larghezza di adesioni (se vogliamo essere concreti anche dal punto di vista politico, solo in questo modo le proposte possono andare avanti e giungere in porto)? La prima risposta che mi sento di dover dare - con la fermezza che implica convinzione, anche di notizie - attiene a Pag. 1366 quel punto che giustamente nella relazione viene definito con un termine virgolettato: il cosiddetto "aggiustamento" dei processi e della formazione dell'organo, del collegio. Qualcuno qui ha detto che bisogna sviscerare come sia potuto accadere che collegi formati in modo che sembrerebbe manipolato abbiano potuto emettere decisioni determinanti dalle gravissime implicazioni. Sono lieto di potervi informare che la commissione istituita dal mio predecessore con la finalità di studiare i problemi relativi all'attività ed al funzionamento della Corte di cassazione aveva già inserito nel programma dei suoi lavori le questioni relative al modo in cui prevenire tutti gli aspetti che potrebbero essere discutibili sul piano della composizione dei collegi, con particolare riguardo alla necessità che siano adottati criteri oggettivi nella loro formazione (criteri dei quali sia garantita l'osservanza e la non derogabilità), all'attribuzione delle presidenze, alla designazione dei relatori, all'accesso alle varie sezioni, all'assegnazione degli affari, alla sostituzione dei consiglieri impediti. La commissione ministeriale (che, ripeto, è stata istituita dal mio predecessore ed è tuttora al lavoro) ha affrontato in profondità le problematiche di cui è stata investita, procedendo ad audizioni molto meditate (nel senso che il dialogo ha investito tutti coloro i quali hanno una massima competenza sul piano sia normativo sia organizzativo), con l'obiettivo di indicare proposte applicabili nel breve periodo. E' stata addirittura valutata la possibilità di evitare il ricorso a nuove norme, limitandosi ad assicurare una loro applicazione più precisa e serrata da parte di chi è preposto a questo tipo di attività (Consiglio superiore della magistratura, primo presidente della Corte di cassazione e presidenti di varie sezioni). Desidero in questa sede dire una parola di conforto a chi ha sollevato il problema: la strada è già imboccata e potrà presto condurre ad una conclusione importante. Questa commissione, del resto, fornisce le più ampie garanzie. Sono lieto di comunicarvi che, proprio poco fa, ho firmato un decreto che ha designato alla presidenza di questo organismo una persona alla quale va l'ammirazione mia e, penso, di tutti: Antonino Caponnetto, la cui nomina rappresenta una garanzia che questa disamina sarà condotta con assoluta decisione per evitare il più possibile il ripetersi di episodi conturbanti. Per quanto riguarda il fenomeno descritto nella relazione come "infiltrazioni in regioni non tradizionali", va indubbiamente considerato che la rete criminale si diffonde sul territorio nazionale. Del resto, tale fenomeno non è certamente nuovo, anche se sta assumendo dimensioni che richiedono un'attenzione ben superiore di quella ad esso dedicata fino ad oggi. Rifletterò approfonditamente sulla proposta di istituire un osservatorio al fine di verificare in modo più compiuto lo stato delle cose. Disporre di dati il più possibile precisi è un obiettivo che mi sta a cuore, giacché la precisione delle cose e delle affermazioni è la base da cui si deve partire per non sbagliare sia nel dibattito sia nella fase delle conclusioni propositive. La relazione del senatore Brutti ed almeno tre degli interventi svolti oggi in quest'aula hanno posto l'accento sul conturbante problema del soggiorno obbligato. Senza entrare nel merito delle tematiche connesse alle misure di prevenzione (che presentano implicazioni anche sotto il profilo della competenza), mi limito ad osservare che noi, a volte, siamo purtroppo prigionieri di idee antiche, di istituti che si tramandano, senza peraltro avere la capacità, la forza, il tempo e la voglia di adattare tali istituti al mutare dei tempi. Ritengo - lo dico come espressione di studio - che il soggiorno obbligato abbia perso di significato e possa essere più pericoloso che utile; ciò perché il traffico, giuridico e non giuridico, lo rende - chiedo scusa di questa affermazione - quasi un nonsenso. Si tratta di un istituto che risale a molto tempo addietro, quando non vi erano aerei ad ogni momento, quando non esistevano i fax ed i telefoni portatili, Pag. 1367 quando andare lontano significava sradicarsi dal proprio territorio e rimanere isolati. In una situazione come quella, nel momento in cui il soggetto era considerato pericoloso, poteva essere separato dal territorio di origine, anche se egli avrebbe potuto disperdere i fiori del male nella zona in cui era costretto al soggiorno: si trattava comunque di tentativi isolati ed era difficile che si potessero diffondere. Noi sosteniamo che la mafia è pericolosa perché il fenomeno parte dalla sua terra-madre e si diffonde. Permane comunque un sostanziale legame, un cordone ombelicale che dà forza e vita al male e che consente a quest'ultimo di dilagare. Ovviamente, se si tronca tale cordone, il flusso si attenua. Oggi, sarebbe inutile isolare una persona (anche nell'ipotesi in cui la si mandasse sulla luna), ove si pensi che qualsiasi telefonino, radiotelefono o circuito più o meno chiuso consente facilmente di raggiungere il destinatario. Addirittura, può essere più facile comunicare tramite il fax piuttosto che contattare direttamente l'interlocutore. Per tali ragioni, ritengo che l'istituto del soggiorno obbligato, fermo restando il ruolo che ha svolto in passato, debba essere rivisto e riesaminato di fronte alla nuova realtà. Mi riferisco non tanto alla realtà social-criminologica ma, piuttosto, a quella sociale, alle strumentazioni di vita, al modo in cui si vive oggi, con una facilità di rapporti che rende illusorio isolare una persona anche quando questa sia costretta a soggiornare lontano dal suo luogo di origine. La persona sottoposta al soggiorno obbligato finisce per fare più male che bene, non soltanto perché il male continua a promanare intorno a lui ma anche perché c'è il rischio concreto del formarsi di una "valanga" che inquina. Ci troviamo di fronte ad un'ulteriore stranezza: alla luce di problemi che si accavallano, dobbiamo fare i conti con una serie continua di contraddizioni dalle quale possiamo liberarci solo se comprendiamo la loro esistenza. Sotto questo profilo, ritengo che la soluzione del problema possa essere agevolata dal considerare il soggiorno obbligato come una misura non più adeguata al mondo nuovo. Penso anche che alla soluzione del problema possa contribuire la constatazione che la rete criminale può dislocarsi in funzione della debolezza della risposta giudiziaria: sono parole sacrosante! Pier Luigi Vigna - che mi insegna e ci insegna - coglie nel segno quando dice che la rete criminale può insediarsi nei luoghi dove l'organizzazione giudiziaria è più debole. Occorre allora definire e sollecitare l'adozione di misure volte a garantire il funzionamento del nuovo sistema delle procure distrettuali. Sotto questo profilo, è opportuno separare il dato di partenza da quello di arrivo. Concordo sull'esigenza, manifestata dal relatore e da alcuni intervenuti, di chiarire preventivamente l'ambito dei distretti, evitando di addossare su una procura distrettuale e, successivamente, su un tribunale distrettuale tutto il carico di un intero distretto quando quest'ultimo copra il territorio di un'intera regione dove il reato imperversa anche per effetto dell'alta densità di popolazione. Tuttavia, le dichiarazioni di Vigna collegate al capitolo delle infiltrazioni criminali in regioni "non tradizionali", il riferimento alle infiltrazioni in Lombardia, in Veneto, in Piemonte, nel nord Italia e nel centro (penso alla Toscana), mi fanno pensare ed anche tremare. Non è infatti vero, forse, che l'organizzazione giudiziaria è più forte in Lombardia che non in Campania, in Calabria ed in Sicilia? Certo, ci vuole un'organizzazione giudiziaria forte, ma non basta. Se noi, dopo aver sostenuto che la mafia può infiltrarsi in regioni "non tradizionali", diciamo nel contempo che essa si intrica in territori dove l'organizzazione giudiziaria è più debole, il teorema non regge più. Se la mafia riesce ad infiltrarsi laddove l'organizzazione giudiziaria è più efficiente che altrove (anche se non è il massimo), che cosa si deve fare in altre zone, dove non è riscontrabile la stessa efficienza e dove la mafia è già operante? Credo che queste analisi sociologiche molto importanti debbano essere superate e vadano Pag. 1368 considerate sul piano di quello che deve essere fatto: bisogna fare qualcosa di determinante, rafforzando tutti gli uffici impegnati, sia quelli oggi meno deboli sia, a maggior ragione, quelli più deboli. Per potenziare il circuito di difesa e di lotta vanno quindi garantiti efficienza, personale specializzato, strutture. Questa mi pare la grande conclusione alla quale il ministro non può che aderire, anche perché sente di dover affrontare in pieno il suo compito finalizzato all'adeguamento della legislazione, contribuendo a tal fine al lavoro quotidiano del Parlamento, ma, soprattutto, all'impegno sul piano dell'ordinamento giudiziario, che deve essere modificato: una legislazione che modifichi l'ordinamento giudiziario e che incida direttamente sulla base entro la quale il Ministero di grazia e giustizia deve calarsi, cercando di fare il massimo. Credo di dovermi richiamare come leit-motive dell'azione che, se me lo consentiranno le circostanze e le difficoltà, intendo svolgere almeno in piccola parte, al problema rappresentato dalla mancata applicazione dell'articolo più trascurato della Costituzione repubblicana. Mi riferisco alla disposizione relativa al buon andamento ed all'imparzialità della pubblica amministrazione, valori proclamati della nostra Costituzione ma che rappresentano la causa di tutti i mali nei quali siamo annegati. Ebbene, il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione non ci sono...! Si tratta comunque di valori da recuperare, trattandosi di principi che vanno attuati sulla base dell'impostazione di programmi e dell'azione quotidiana da condurre attraverso l'ordinamento giudiziario ed il coordinamento al quale si fa riferimento nella seconda parte della relazione (e che trova in chi vi parla il massimo dell'assenso). Credo che in una società pluralistica - si tratta di un'affermazione che potrà apparire ardita e, magari, lo è senz'altro -, in una società tormentata da ogni sorta di impegno (impegni nobili, anch'essi difficili, ed inquinamenti che vanno superati), il buon andamento della pubblica amministrazione abbia assoluto bisogno di coordinamento e con quest'ultimo debba quasi sposarsi. Credo impossibile che una società come la nostra (ma penso anche all'Europa e al mondo stesso) possa garantire il buon andamento della pubblica amministrazione senza alcun coordinamento. Quando il nemico da abbattere è forte ed organizzato, mi domando come sia possibile contrapporre ad esso una organizzazione valida e capace di assicurare il principio del buon andamento, se - ripeto - non vi sia coordinamento. Ogni voce che si esprime in questa direzione mi trova assolutamente in consonanza, per non dire in posizione ancor più avanzata. Ho sentito qui, a proposito dell'importante problema di come gestire i collaboratori di giustizia, proporre di distinguere chi interroga e chi investiga da chi protegge in una fase successiva, per evitare effetti pericolosi. Sono pienamente d'accordo perché il problema è troppo delicato ed estremamente importante. Non possiamo fare a meno dei collaboratori e dei pentiti, però dobbiamo evitare di cadere nel possibile tranello, che può essere doloso o anche soltanto colposo, magari involontario, di ascoltare in modo non attento e pieno di tensioni tutte le parole che i pentiti possono dire. L'uso eccessivo del pentito, fargli ripetere decine di volte le stesse cose - il che non sarà mai possibile - porta a sgretolare la sua collaborazione. Dunque, è necessario usarla in un modo attento che non conceda troppo all'intimismo e alla ripetitività non controllata, altrimenti può divenire un'arma a doppio taglio. Sono necessarie la massima attenzione e precisione. Quindi, nessun abuso a questo proposito. Dunque, è bene distinguere. Però qualcuno ha invitato, con molta acutezza, a prestare attenzione per non creare un'altra polizia, cioè una che investiga e un'altra che poi protegge. Ecco, qui credo di dover dire, proprio su un piano di applicazione, che il coordinamento è ancora più necessario: se è necessario che vi Pag. 1369 sia nelle fasi successive, ancor più lo è che vi sia nelle fasi iniziali, perché, se si scoordina la partenza, già l'inizio è sbagliato, come dimostrano gli episodi verificatisi continuamente in passato e oggi per fortuna molto meno: episodi di forze di polizia che agiscono separatamente e che finiscono per contrastarsi l'una con l'altra non devono più trovar posto in uno Stato che ha bisogno di coordinamento e di un buon andamento della pubblica amministrazione. Dunque, attenzione a creare troppe polizie. Condivido la distinzione tra chi investiga rispetto al pentito e chi deve proteggere il pentito, purché ciò non porti alla creazione di nuovi corpi, perché questo renderebbe difficile il coordinamento. Può anche andar bene che vi siano tante teste e quindi tante idee diverse, perché la dialettica del confronto è fondamentale; ma quando si giunge al momento operativo, bisogna che la scelta sia determinata e non oscillante, altrimenti viene meno la fermezza e conseguentemente il raggiungimento dei risultati prefissi. Credo che una parte della relazione Brutti sia molto propositiva per ciò che attiene all'incidenza delle procure e dei tribunali distrettuali nonché ai collegamenti anche all'interno della DIA, la quale deve essere messa in grado di esplicare il suo compito. Dobbiamo ritrovarci tutti assieme contro il nemico perché questo momento è drammatico, come lo è stato quello in cui ci siamo trovati a difenderci dal terrorismo, che siamo riusciti a vincere proprio perché eravamo uniti. Deve essere questo proponimento il filo conduttore della nostra azione. Quindi, basta alle rivalità e alle gelosie continue, il cui insorgere è inevitabile quando vi sono troppe contrapposizioni. Siamo tutti sulla stessa barca e se essa cola a picco affondiamo tutti, per cui dopo è inutile stabilire di chi sia stata la colpa. Se la barca riesce a superare questa tormentosa traversata e ad approdare ad una riva almeno relativamente tranquilla, riparata dai venti minacciosi, credo che non abbia senso individuare di chi sia stato il merito perché l'importante è approdare sani e salvi. Non volendo abusare ulteriormente del vostro tempo, mi limiterò a qualche considerazione su taluni dei punti emersi durante il dibattito. Per quanto riguarda gli organici, credo che al tribunale di Palermo debbano essere assicurate le dieci unità mancanti, così come altre situazioni necessitano di essere riviste con la maggiore prontezza possibile. In merito alla revisione delle circoscrizioni distrettuali, da realizzare d'intesa tra Consiglio superiore della magistratura e Ministero di grazia e giustizia, se sarà possibile essa verrà senz'altro portata avanti in tempi brevi. Le procure distrettuali debbono essere costituite realmente. Non basta dettare una norma che le preveda, bisogna far sì che esse siano in grado di funzionare. Per quanto attiene al circuito procura nazionale-procure distrettuali-banche dati, stando alle informazioni direi che trattasi di un tipico esempio concreto di coordinamento sui dati, sull'informativa, sulla base di partenza, senza la quale non si può costruire un processo, al di là delle norme più o meno discutibili e che ancora necessitano di adeguamenti. Comunque, anche la norma migliore non può funzionare senza il coordinamento dei dati e le strutture necessarie. Certamente, la revisione delle circoscrizioni distrettuali richiede una meditazione. Però vi è il rischio che, puntando tutto sul tribunale distrettuale prima di aver operato la revisione della circoscrizione distrettuale - operazione molto più difficile -, si possa tardare. D'altra parte, è pur vero che scaricare troppo lavoro su un tribunale distrettuale, laddove coincida con l'intera zona regionale di una grande regione, può significare soffocarlo in partenza, per cui è necessario trovare degli adeguamenti. Va da sé però che il fatto che i magistrati addetti alle procure distrettuali si spostino presso i vari tribunali del distretto implica costi e tempi Pag. 1370 a proposito dei quali la soluzione indicata mi pare sia stata accolta da tutti. Se il passaggio attraverso la necessaria revisione delle circoscrizioni distrettuali avrà l'adesione di tutti, non potrò non seguire la via indicata, sia perché ci credo sia perché prendo atto di una forte convergenza di opinioni. Per quanto riguarda le misure di prevenzione da attribuire a quest'ordine di competenza più ampia, alla sua procura e al tribunale, credo che in linea di massima si possa convenire, anche se qualche meditazione in più va fatta per evitare un eccessivo profluvio di iniziative e di impegni decisori che porterebbero, sì, ad un risultato più coerente ma anche ad una maggiore lentezza nelle risposte. Quanto agli assistenti del pubblico ministero, devo dire che sono più tra coloro che hanno espresso perplessità che tra coloro che li hanno propugnati. Certo, gli uffici giudiziari hanno bisogno di ufficiali di polizia giudiziaria ed il pubblico ministero necessita di ausiliari di ottima preparazione, esperti ed impegnati; però credo che questi non possano essere neolaureati in giurisprudenza, soprattutto quando si tratta di reati così gravi. Possiamo forse prevederli in una pretura che si occupa di reati minori ma non in questo caso: quali garanzie ci offrirebbero? Qui ci vuole grande segretezza, uno degli altri grandi problemi di cui dobbiamo assolutamente renderci conto con coscienza e tutti d'accordo. Il segreto è fondamentale per le indagini. Se chiamiamo neolaureati di cui non sappiamo nulla, salvo che hanno preso 110 e lode (o neanche questo), cosa cambia? Ripeto, di segreto necessitano le indagini e, mi si consenta dirlo, anche gli indagati. Per quanto riguarda il problema delle case mandamentali, sono d'accordo con coloro che sono più scettici che favorevoli. Credo sia mio dovere fare di tutto perché le carceri mandamentali vengano usate, in quanto la situazione carceraria è veramente incandescente e conturbante. Vi sono situazioni inaccettabili sul piano dei più elementari diritti umani: persone su persone accatastate in locali troppo ristretti. Dunque, è bene usare le carceri mandamentali, sperando che vi siano le attrezzature e le disponibilità non solo finanziarie ma soprattutto di personale; taluni di questi stabilimenti sono stati sistemati e sarebbero disponibili ma di per sé ciò è insufficiente se non vi sono gli elementi preposti al loro funzionamento. Riterrei opportuno l'utilizzo delle carceri mandamentali soprattutto per coloro che devono scontare pene per reati non particolarmente gravi anziché per chi è ritenuto un soggetto molto pericoloso, proprio perché i carceri mandamentali non hanno grande estensione, per cui la situazione può essere più facilmente forzata dall'esterno per trasformarli, in momenti drammatici, in piccoli fortilizi. Assicuro comunque che il problema dell'uso delle carceri mandamentali è già oggetto di meditazione e lo sarà ancor di più da parte mia. Ritengo che le proposizioni finali della relazione siano quelle in cui il proponente sembra più deciso a porre l'accento sulle soluzioni a breve da adottare, soprattutto con riferimento all'ultima pagina della relazione stessa, dove si auspica che venga prevista una riduzione delle pene - in sede di beneficio, si potrebbe dire - per i collaboratori pentiti non più con quelle oscillazioni eccessive bensì in misura fissa. Mi sembra che tutti coloro che sono intervenuti abbiano aderito a questa proposta e credo anch'io che questa sia apprezzabile anche a livello costituzionale. Ho forti dubbi su una norma che dia al giudice il potere di oscillare tra un massimo di pena troppo alto ed un minimo troppo basso, anche perché lo porrebbe in una situazione di imbarazzo particolare ogni volta che fosse chiamato a determinare la pena. Ripeto, è necessario che l'oscillazione non sia eccessiva, per cui è meglio fissare la misura che sarà concedibile, senza oscillazione, se il soggetto sarà meritevole. In merito alla considerazione se estenderla a tutti i reati o soltanto ad alcuni, credo che l'articolo 3 della Costituzione Pag. 1371 possa far nascere la stessa obiezione sorta in passato nei trattamenti privilegiati a favore dei pentiti del terrorismo. Già allora, infatti, molti si chiesero perché anche i pentiti per reati meno gravi non potessero fruire degli stessi benefici. Si tratta di un problema complesso, che potrà essere esaminato a parte, considerato che adesso discutiamo di lotta alla mafia. Per quanto mi riguarda, ribadisco che mi trova consenziente la proposta che i pentiti di mafia possano godere di una riduzione di pena ma non più oscillante tra un limite troppo basso ed un limite troppo alto. Per gli altri tipi di reato se ne discuterà in altra circostanza. Per l'esperienza che mi è stata riconosciuta quale presidente della Corte costituzionale, non certo dimenticata da parte di chi vi parla e che la considera ardua e difficile ma formativa al massimo, posso dire che concordo con chi ha sostenuto la necessità di tornare ai riti abbreviati. Non si può caricare sulla nostra giustizia un cumulo smisurato di processi e prevedere tempi che possano arrivare ai sette, nove o dieci anni. La catena diventa insopportabile e strozza i processi, nel senso che se un processo inizia e non termina è difficile parlare di giustizia, né si tratta di giustizia se il processo termina troppo tardi. La norma del codice che prevedeva il rito abbreviato anche per i reati puniti con la pena dell'ergastolo oggi non è più applicabile. La Corte costituzionale l'ha dichiarata illegittima non perché l'abbia ritenuta contraria ai parametri costituzionali generali ma solo perché il delegante non offriva quella possibilità, che può essere invece ripristinata da un provvedimento che, oggi che la delega non c'è più, può veleggiare senza incorrere in un'altra condanna della Corte costituzionale. Aggiungo che quando fu pubblicata quella sentenza, molti ritenevano che non vi fosse nulla da fare, che non fosse possibile, stante il modo in cui la Costituzione italiana era interpretata dalla Corte costituzionale, prevedere il rito abbreviato per i reati puniti con l'ergastolo. No, tale rito non era ammissibile in quel caso per eccesso di delega ma, oggi che essa non esiste più, è possibile veleggiare, almeno su certe cose, con piena libertà di scelta. Se il Parlamento sarà convinto della bontà di questa scelta - e la relazione del senatore Brutti indica in modo autorevole e apprezzabile da tutti la via da percorrere - il ministro di grazia e giustizia sarà su di essa allineato. Sarà un modo per accelerare i processi e per dare risposte pronte, con condanne anche gravi. Non è comunque necessario infliggere l'ergastolo per far sì che lo Stato risponda alla criminalità. A volte è più importante una condanna pronta, netta e chiara, senza arrivare a misure esorbitanti, perché la gente chiede che la giustizia dica pane al pane prontamente e con chiarezza, non costretta a lungaggini sotto le quali crescono le imprecisioni, le sofferenze, i ritardi, la disorganizzazione. Se c'è un'amministrazione per eccellenza, questa è la giustizia. Tutta l'amministrazione ha diritto alla A maiuscola, ma quella della giustizia ha diritto alla A maiuscola più grande che ci sia. Ed allora, proprio da questo punto di vista, l'amministrazione giudiziaria ha bisogno di soluzioni pronte e celeri, che non siano troppo lassiste e nemmeno troppo crude. Bisogna infatti dare sempre uno sguardo all'uomo, perché i drammi che si accompagnano a queste vicende sono drammi per il paese e per le vittime, ma sono anche drammi per coloro che commettono questi reati, soprattutto se sono in posizione non di comando; si tratta di persone molte volte costrette a soggiacere alla crudele volontà altrui. Pertanto, in certi casi, un'apertura può essere importante anche sul piano umano, sul piano del recupero degli individui più deboli. Nel ringraziare ancora tutti voi, mi scuso per avervi rubato tanto tempo e per l'incompletezza delle mie risposte. Per tutte le cose sulle quali non ho dato soddisfazione - molti potrebbero dire "non sono soddisfatto" ed io mi dichiaro dispostissimo a sentirmelo dire - risponderò Pag. 1372 più compiutamente quando il presidente mi chiederà di intervenire nuovamente. Spero comunque di poterlo fare spesso perché ho davvero imparato molto (Applausi). LUIGI ROSSI. Signor ministro, della questione di cui ho parlato nel mio intervento avevo parlato anche con il povero Falcone, il quale mi disse che si trattava di un'ipotesi degna di essere approfondita e studiata. Visto che lei si è soffermato sulla necessità di celebrare i processi e di punire i colpevoli, vorrei farle notare anche che rimane aperto il problema dell'articolo 27 della Costituzione. Su questi due argomenti mi permetto di richiamare la sua attenzione. PRESIDENTE. Onorevole Rossi, lei ha introdotto l'autogestione degli interventi come innovazione del nostro regolamento. Tutti sentiamo il piacere di ringraziare il ministro Conso non solo per quanto ha detto ma soprattutto per l'asse ideale che ha motivato il suo intervento, che noi condividiamo profondamente. Speriamo davvero, signor ministro, che si possa proficuamente lavorare insieme. A conclusione del nostro lavoro, proporrei - se i colleghi concordano - di dare mandato al senatore Brutti di valutare l'esito della discussione, di prendere contatto con chi è intervenuto, con i capigruppo e soprattutto con il Governo al fine di presentare poi una proposta di documento conclusivo da far pervenire a tutti i colleghi per tempo affinché possano studiarla e quindi presentare eventuali proposte di correzione. Rinviamo, quindi, al 2 marzo la discussione su tale argomento, data per la quale il ministro si è dichiarato disponibile. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito. (Così rimane stabilito). Ricordo che venerdì prossimo il senatore Cabras esporrà la sua relazione sui comuni disciolti per mafia - altro problema di grande complessità - e che domani alle 8,30 il gruppo di lavoro su appalti e subappalti avrà un incontro con il ministro dei lavori pubblici Merloni per discutere alcune questioni relative alla legge. Informo altresì che la Commissione interni del Parlamento tedesco ha invitato la Commissione antimafia - in una delegazione di sette-otto persone - ad un incontro a Bonn, che avrà luogo il 22 ed il 23 marzo. La commissione tedesca sta valutando alcune modifiche alla legislazione processuale e penale in materia di mafia ed è particolarmente interessata a conoscere bene le innovazioni da noi introdotte per mutuare quelle più utili. Comunico che la Commissione per le libertà pubbliche del Parlamento europeo ha invitato per l'8 giugno una delegazione della Commissione per un incontro avente ad oggetto il problema dell'omogeneizzazione delle legislazioni antimafia in ambito europeo. Comunico altresì che l'ufficio di presidenza ha deliberato di effettuare una missione a Napoli e a Caserta nei giorni 4, 5 e 6 marzo. Valuteremo insieme il programma. Inoltre, informo che il MOVI (Movimento Volontario Italiano), che ha un settore che si occupa attivamente di lotta alla mafia e di sostegno nelle aree più disagiate, ha chiesto per il 30 marzo un incontro con la Commissione. Ritengo che tutti saremo d'accordo nell'accettare questa proposta. L'ufficio di presidenza propone alla Commissione un'iniziativa volta ad organizzare un Forum con la Giovane cultura italiana in tema di lotta alla mafia. Stiamo conducendo un censimento di coloro che si sono laureati con 110 e 110 e lode nell'ultimo anno accademico con tesi relative alla mafia e dei ricercatori che hanno fatto studi sul tema. Valutato quello che c'è, vedremo in che termini organizzare tale Forum. Pag. 1373 L'ufficio di presidenza ha deliberato inoltre di richiedere l'elenco di tutti gli incarichi esterni ricoperti da magistrati ordinari, amministrativi ed avvocati dello Stato nelle regioni Sicilia, Calabria, Puglia e Campania. Nel corso delle visite fatte in quelle zone è emerso un intreccio un po' discutibile, che ci ha spinti ad acquisire il quadro complessivo di questa commistione tra controllori e controllati, che francamente non appare conveniente. Ringrazio nuovamente il ministro ed i suoi collaboratori, ricordando che la Commissione è convocata per venerdì prossimo, alle 9,30, per la relazione del senatore Cabras. La seduta termina alle 19.