Pag. 1431 AUDIZIONE DEI RAPPRESENTANTI DEI SINDACATI SIULP E SAP DELLA POLIZIA DI STATO PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE indi DEI VICEPRESIDENTI PAOLO CABRAS E CARLO D'AMATO INDICE pag. Audizione dei rappresentanti dei sindacati SIULP e SAP della Polizia di Stato: Violante Luciano, Presidente .................... 1433, 1438 1443, 1445, 1449, 1450, 1451, 1455, 1456 1457, 1464, 1466, 1467, 1469, 1470 Cabras Paolo, Presidente ........................ 1447, 1448 1449, 1458, 1459 D'Amato Carlo, Presidente ................. 1451, 1461, 1462 Bargone Antonio ....................................... 1446 Calvi Maurizio .................................. 1446, 1450 D'Amelio Saverio ................................ 1464, 1465 Fioriti Carmine, Segretario generale del SAP .......... 1443 1449, 1456, 1457, 1458, 1459, 1465, 1466, 1470 Florino Michele ................................. 1463, 1464 Giardullo Claudio, Segretario nazionale del SIULP ..................................... 1466, 1467, 1469 Grasso Gaetano ........................................ 1460 Izzo Nicola, Segretario generale aggiunto del SAP ............................................. 1459, 1465 Nicotra Giovanni, Segretario nazionale del SIULP ................................................. 1459 Rapisarda Santi ........................... 1462, 1465, 1466 Sgalla Roberto, Segretario generale del SIULP ......... 1433 1438, 1449, 1450, 1451, 1455, 1456, 1469 Taradash Marco ............................ 1445, 1448, 1449 Pag. 1432 Sulle dimissioni dell'onorevole Cafarelli da segretario della Commissione: Violante Luciano, Presidente .............. 1451, 1452, 1453 Bargone Antonio ....................................... 1452 Cabras Paolo .......................................... 1452 Calvi Maurizio ........................................ 1452 Florino Michele ....................................... 1453 Taradash Marco ........................................ 1452 Tripodi Girolamo ...................................... 1453 Seguito della discussione e votazione della relazione sulle risultanze del Forum con le direzioni nazionali e distrettuali antimafia: Violante Luciano, Presidente .............. 1453, 1454, 1455 Bargone Antonio ....................................... 1455 Calvi Maurizio ........................................ 1455 D'Amelio Saverio ...................................... 1455 Florino Michele ....................................... 1455 Ranieri Umberto ....................................... 1455 Taradash Marco .................................. 1454, 1455 Pag. 1433 La seduta comincia alle 16,45. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Audizione dei rappresentanti dei sindacati SIULP e SAP della Polizia di Stato. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti dei sindacati SIULP e SAP della Polizia di Stato. Ringrazio i rappresentanti dei sindacati intervenuti e do subito la parola al segretario generale del SIULP. ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. A nome di tutti i colleghi ringrazio il presidente della Commissione antimafia e gli onorevoli commissari per averci offerto questa importante occasione nella quale potremo illustrare le nostre posizioni. Riteniamo utile leggere la relazione che abbiamo già distribuito. Ringrazio i colleghi della segreteria che mi hanno aiutato nella stesura del documento ed in particolar modo Claudio Giardullo. La questione degli apparati che compongono il sistema di sicurezza nel nostro paese riveste un'importanza determinante ai fini di una credibile politica anticrimine, perché in grado di condizionare le possibilità di riuscita anche della migliore strategia di contrasto. Dunque non è più rinviabile una verifica di produttività del sistema di sicurezza e quindi la ripresa di un processo di riforma che, incidendo sul complesso dei corpi di polizia, investa anche il circuito di giustizia e quello penitenziario, in virtù di un rapporto che esprime ormai una sempre maggiore interdipendenza dei sistemi. Il SIULP considera il coordinamento dei corpi di polizia una condizione irrinunciabile di una gestione delle risorse che, stanti gli attuali allarmanti livelli di aggressione criminale, non può che muoversi verso una sempre maggiore integrazione e non divisione delle forze messe in campo dallo Stato. Del coordinamento si è avuta tuttavia un'applicazione minimale, cioè quella delle sole direttive politiche di massa. E' mancato infatti in questi anni uno sforzo vero per farne una regola operativa da utilizzare a livello centrale e periferico. Un fattore di ottimizzazione delle risorse in grado di assicurare un impiego pianificato e unitario di tutti gli apparati di polizia e superare quindi le naturali disarmonie del nostro sistema di sicurezza. Naturali perché quello italiano - vale la pena di ricordarlo - è un sistema misto di polizie civili e militari, dipendenti da dicasteri diversi e con una limitatissima competenza esclusiva per ogni singolo corpo. Un sistema quindi che sconta elevate probabilità di separatezze, duplicazioni e reciproche interferenze tra i corpi, se non vengono assicurati strumenti di direzione unitaria agli organi che hanno la responsabilità politica, come il ministro dell'interno, o quella amministrativa, come il dipartimento della pubblica sicurezza. Quello degli strumenti concreti di coordinamento è dunque il vero nodo, ancora non sciolto, della capacità dello Stato di contrapporre alla forza dirompente Pag. 1434 degli apparati criminali un'organizzazione di sicurezza altrettanto forte e strutturata. Naturale conseguenza di questa impostazione è il giudizio assolutamente negativo che il SIULP esprime rispetto al progetto di istituzione di un segretariato generale. Questo organismo, infatti, lungi dal garantire un rafforzamento della capacità di direzione unitaria del sistema, si limita a sottrarre alcune fondamentali attribuzioni operative alla Polizia di Stato, lasciando inalterati la struttura e i rapporti delle altre forze e quindi le possibilità reali di un loro maggiore coinvolgimento unitario nelle politiche della sicurezza, con la malcelata e singolare motivazione che in fondo nel nostro paese il coordinamento non è attuabile a causa delle resistenze delle forze di polizia a status militari. A parte la gravissima responsabilità politica di chi intenderebbe introdurre delicate modifiche all'assetto dei corpi di polizia, guardando esclusivamente alle resistenze corporative delle alte burocrazie militari e non all'interesse generale, ad un sistema in grado di sviluppare le necessarie sinergie contro la minaccia criminale, appare del tutto evidente che un semplice appesantimento del vertice del sistema non avrebbe alcuna ricaduta positiva per la quotidiana e concreta attività delle forze dell'ordine. L'effetto deleterio di una tale figura è, oltretutto, quello di aumentare ulteriormente la parcellizzazione delle competenze e quindi delle responsabilità sostanziali (non quelle formali), già oggi così difficilmente individuabili. E ciò con riguardo al centro e soprattutto alla periferia, dove il disconoscimento delle autorità locali e provinciali di pubblica sicurezza sta conducendo ad uno scoramento e ad una conseguente deresponsabilizzazione pericolosi. Il tipo di coordinamento di cui si avverte veramente il bisogno in questa fase (come confermano anche le recenti vicende della cattura di Madonia e della tragica uccisione di un agente di polizia da parte di una pattuglia dei carabinieri in provincia di Messina) è quello operativo, ai diversi livelli di responsabilità e sui diversi terreni informativo, investigativo e di controllo del territorio. Non si comprende allora come l'ipotizzato organismo possa, attraverso l'incerto strumento delle conferenze e in assenza di un complesso di norme vincolanti per tutti i componenti il sistema, assicurare un risultato che vada al di là della semplice unicità di indirizzo per corpi (quelli militari) che conserverebbero comunque una subordinazione di tipo esclusivamente funzionale, spesso più formale che sostanziale e comunque non diversa da quella che già esiste. Altre perplessità suscita la volontà di intervenire con ulteriori deleghe di potere e frammentazione di responsabilità su un sistema che nel settore dell'unificazione delle forze di polizia contro il crimine organizzato attende ancora di essere sottoposto a sperimentazione, dal momento che la DIA, istituita ormai da tempo, fatica a decollare anche per le resistenze degli stessi soggetti che si pretenderebbe di coordinare senza alcun incisivo strumento e che mirano a farne più un ulteriore organo di coordinamento di mera facciata o, tutt'al più, un'ulteriore polizia piuttosto che la sintesi di quelle esistenti, nella quale sommare organici, esperienze e risorse attualmente divisi per tre. Ulteriore riprova dell'incapacità strutturale di questo organismo ad assicurare maggiori livelli di coordinamento operativo è infatti la previsione della sopravvivenza di una funzione di coordinamento in capo ai singoli corpi attraverso le strutture centrali esistenti (SCO, ROS, GICO) che porterebbe inevitabilmente ad un rapporto di interferenza e non di sintonia con le altre strutture di coordinamento dell'ipotizzato segretariato. Si coglie inoltre nel progetto una certa confusione di indirizzo strutturale dal momento, ad esempio, che non si è valutato adeguatamente il fatto che la Pag. 1435 funzione del casellario centrale di identità non è di sola catalogazione e registrazione dei dati, ma ha una prevalente componente valutativa e quindi è inscindibilmente legata alla più complessiva attività della polizia scientifica e all'attività investigativa e non troverebbe quindi giustificazione in un organismo come il segretariato. Da non trascurare infine sarebbero i riflessi di maggior chiusura nel clima interno e impermeabilità della Polizia di Stato, qualora con l'istituzione del segretariato venisse accentuata una sua natura di corpo, che porterebbe inevitabilmente ad una sua composizione assolutamente omogenea anche nei livelli direttivi e dirigenziali e quindi alla fuoriuscita di appartenenti ad altre amministrazioni, con un evidente passo indietro rispetto agli indirizzi di apertura al sociale ed alle istituzioni che la riforma del 1981 ha consentito a questo istituto. Sarebbe infatti intollerabile che a gestire la Polizia di Stato fossero anche dirigenti di altra amministrazione, con incomprensibili quanto evidenti anomalie rispetto agli altri corpi, amministrati e diretti da propri dirigenti. Sembra dunque evidente che se l'atto Senato 600 dovesse diventare legge, i problemi di coordinamento si aggraverebbero, perché il semplice smantellamento di qualche struttura non fa che indebolire l'ossatura di un sistema che oggi più che mai ha bisogno di compattezza e dinamismo. E tuttavia la gravità dei problemi che sono sul tappeto impone risposte innovative, soluzioni concrete e radicali che incidano direttamente sulle cause delle attuali, inaccettabili disarmonie. Queste dipendono, in buona parte, dalle caratteristiche strutturali del sistema sicurezza del paese, cioè di un sistema misto di polizie civili e militari, dipendenti da dicasteri diversi e con aree estremamente limitate di competenza esclusiva per ogni singolo corpo. Un sistema quindi che sconta elevate probabilità di separatezze, duplicazioni e reciproche interferenze tra i corpi, se non si assicurano le condizioni di unificazione reale dei poteri e delle responsabilità degli organi politici e amministrativi di direzione. Solo un potere coordinatorio che fosse sostenuto da norme vincolanti per tutti i soggetti, e quindi da strumenti reali di controllo, verifica e rettifica dei comportamenti, su un piano quindi eminentemente gerarchico, consentirebbe di superare malintese autonomie e vecchie e nuove separatezze nelle forze dell'ordine, che ancora impediscono la necessaria unità d'azione dello Stato sul fronte anticrimine. E' dunque necessario uscire completamente dall'ottica ispiratrice del progetto di legge in questione ed imboccare decisamente la strada della chiarezza nei poteri e nelle responsabilità in materia di sicurezza pubblica. Se è veramente la cultura del coordinamento e non della competizione tra le forze dell'ordine quella che anima le scelte di governo sul terreno della lotta al crimine, allora questo è il momento giusto per dimostrare che l'unicità di indirizzo sta al di sopra di ogni chiusura corporativa e che si è pronti, per questo obiettivo, anche alle difficoltà di un ambizioso progetto di riforma. Determinante in questo senso è l'affermazione, in concreto, della centralità dell'autorità civile e quindi del dicastero dell'interno, nella tutela della sicurezza pubblica del paese, sulla stessa linea tracciata dalla legge n. 121 del 1981, con l'attribuzione specifica al ministro dell'interno della qualifica di autorità nazionale di pubblica sicurezza. Accentuare l'unicità della responsabilità politica vuol dire fissare le premesse perché in sede amministrativa e tecnico-operativa non ci siano zone d'ombra sulle competenze e la dipendenza delle diverse forze di polizia. Il passaggio dell'Arma dei carabinieri nell'ambito del Ministero dell'interno conservando inalterato lo status militare, costituirebbe dunque una soluzione allo Pag. 1436 stesso tempo di grande efficacia e di rispetto di alcuni principi considerati di garanzia. Questa riforma infatti avrebbe il pregio di rafforzare, con riferimento al vincolo gerarchico, gli strumenti di impulso e gestione unitaria delle strategie anticrimine, senza dover rinunciare al pluralismo delle forze e alla diversità di status e tradizioni delle singole componenti di un sistema misto come quello italiano. Necessario corollario di questo progetto è l'ipotesi di riforma della Guardia di finanza, che segni una sua maggiore caratterizzazione sul fronte della polizia tributaria. Questa proposta ha già un modello di riferimento nell'ambito dell'Europa comunitaria, ed è quello spagnolo. Il sistema di sicurezza di questo paese prevede infatti la dipendenza gerarchica dal ministro dell'interno sia della Guardia civile, che notoriamente ad onta del nome è un corpo militare, sia del Corpo nazionale di polizia che è invece una struttura ad ordinamento civile. Il sistema prevede inoltre la dipendenza funzionale della Guardia civile dal ministro della difesa. Ora è evidente che in questa nuova prospettiva il concetto di coordinamento tende ad una maggiore connotazione del rapporto gerarchico. Ma è l'esperienza di questi undici anni a dimostrare che la strada delle autonome disponibilità dei soggetti coordinati non consente di andare al di là dell'ossequio formale della legge, mentre di ben altra compattezza ed univocità avrebbe bisogno il nostro sistema anticrimine. Ed è sempre la stessa esperienza a sconsigliare altre strade per affermare la centralità dell'interno che non siano quella del passaggio dell'arma in questo dicastero, perché ipotesi di affidamento della funzione di coordinamento ad un livello politico che non sia quello del ministro, devono comunque fare i conti con le difficoltà che il titolare del dicastero ha avuto in questi anni, nonostante un'esplicita normativa contenuta nella stessa legge n. 121. Assolutamente inadeguata, oltre che rischiosa, è inoltre la proposta, avanzata in sede di riordino dello stato maggiore della difesa, di sottrazione dell'Arma dei carabinieri dalla dipendenza di questo organo, e quindi della sua configurazione di forza armata assolutamente autonoma. Questa soluzione infatti aggraverebbe ulteriormente i problemi di coordinamento oggi esistenti, perché renderebbe meno stringenti i poteri funzionali di direzione del ministro dell'interno e quelli gerarchici del ministro della difesa nell'attuazione delle politiche dell'ordine e sicurezza pubblica, alimentando quella anacronistica separatezza dei corpi dello Stato che, in generale, non ha mai fatto bene alla democrazia del paese. Dunque al di fuori di una riforma radicale, come quella del passaggio dell'Arma dei carabinieri alle dipendenze del Ministero dell'interno, l'unica opzione in grado di costruire accettabili, sufficienti livelli di coordinamento è ancora il modello introdotto dalle legge n. 121. Ogni altro riequilibrio che puntasse alla frantumazione e non al rafforzamento di quel modello, segnerebbe un'inversione di tendenza rispetto a un autentico processo di riforma. Sono oggi possibili e necessarie alcune soluzioni che guardando al ruolo centrale dell'amministrazione della pubblica sicurezza consentirebbero, all'interno dell'attuale modello organizzativo, di ridurre i margini di interferenza tra i corpi, recuperando maggiore dinamicità al sistema. Occorre abbandonare l'ottica delle malintese primazie tra le forze dell'ordine, che sono e restano organi esecutivi delle strategie anticrimine, e puntare al rafforzamento funzionale, al centro e in periferia, dell'autorità di pubblica sicurezza. Grazie anche alla sua duplice componente politico-amministrativa e tecnico-operativa, è infatti l'unico organo, in linea con il carattere civile di questa funzione, che sia in grado di conciliare il pluralismo dei corpi con l'unicità di direzione, e quindi soddisfare le esigenze di efficacia complessiva del sistema. Pag. 1437 Per realizzare questo rafforzamento sono necessarie modifiche legislative - ed in questa direzione ci sentiamo di avanzare alcune proposte concrete - da prevedere comunque attraverso l'iter ordinario in ragione della delicatezza dei temi affrontati, che si muovano nel senso di attribuire esplicitamente al direttore generale della pubblica sicurezza-capo della polizia la qualifica di autorità nazionale di pubblica sicurezza (l'ambigua qualifica di autorità centrale di pubblica sicurezza, che il progetto istitutivo vorrebbe attribuire al segretario generale, è uno degli elementi di scarsa chiarezza nelle prospettive di questo organismo); di restituire al questore la piena titolarità delle funzioni tecnico-operative, e di accentuare il suo ruolo di autorità provinciale di pubblica sicurezza, più che responsabile di uno dei corpi di polizia operanti in provincia. In questo senso andrebbero riconosciuti a questo organo incisivi strumenti di pianificazione di tutta l'attività di sicurezza pubblica nella provincia, ben oltre le responsabilità sul solo terreno dell'ordine pubblico, per altro di scottante attualità. Analoga soluzione andrebbe adottata nei confronti dei dirigenti i commissariati distaccati che rivestono la qualifica di autorità locale di pubblica sicurezza. Le modifiche legislative dovrebbero inoltre prevedere l'emanazione di un regolamento generale del coordinamento, riguardante ogni livello di attività operativa, sul piano informativo, del controllo del territorio e delle investigazioni preventive, cioè quelle che fuoriescono ancora dalla competenza del pubblico ministero, e che hanno conosciuto con la legge del 6 agosto 1992 un rimarchevole ampliamento della loro sfera d'azione; l'avvio di un processo di snellimento di un sistema attualmente composto dal Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, dal Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata, dal dipartimento della pubblica sicurezza, dai comandi generali dei corpi, dalla DIA, dai prefetti, dai superprefetti e dai questori, i cui poteri e reciproci rapporti non sono disciplinati in maniera da evitare interferenze e dubbi sulle rispettive responsabilità. Tali modifiche dovrebbero altresì favorire il processo di integrazione delle culture professionali di ogni corpo, attraverso l'istituzione di istituti di specializzazione e aggiornamento interforze, con particolare riferimento all'attività investigativa ed infine avviare l'istituzione di sale operative comuni della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri. I compiti e la dislocazione delle forze di polizia sul territorio sono due aspetti certamente non secondari di una gestione coordinata delle risorse impegnate sul fronte della lotta al crimine. Da una parte infatti la tendenza di ogni corpo ad ampliare la propria sfera di competenza, spesso in un'ottica concorrenziale e comunque al di fuori di un'unica pianificazione nell'impiego delle risorse, ha via via incrementato quelle duplicazioni strutturali e operative che costituiscono, oggi, una delle maggiori cause di spreco dei mezzi e di minore riconvertibilità del sistema. Dall'altra l'istituzione di nuovi uffici territoriali da parte dei singoli corpi di polizia, attuata al di fuori di un piano unico nazionale di distribuzione delle forze, ha spesso determinato situazioni di sovrapposizione o, viceversa, di insufficiente presenza, specie di fronte ad una rapida evoluzione degli indici di criminalità in alcune zone del paese. Premesso che il problema riguarda quasi esclusivamente i due corpi a competenza generale, cioè la Polizia di Stato e l'Arma dei carabinieri, vista la specificità delle funzioni assegnate al corpo della Guardia di finanza, occorre prevedere soluzioni diverse in relazione alla natura delle funzioni svolte dagli uffici dei due corpi. Così nel settore delle cosiddette "specialità" è necessaria una distribuzione delle forze che miri intanto ad evitare le duplicazioni palesemente inutili, come la coesistenza di uffici dell'Arma dei carabinieri Pag. 1438 in quei luoghi (scali ferroviari e aeroportuali) dove la presenza di un ufficio di polizia è già sufficiente a fronteggiare le esigenze operative. Per i comparti di specialità, cioè stradale, ferroviaria, frontiera e postale per la Polizia di Stato (rispetto alle quali vi è una prevalente funzione di sicurezza pubblica) e tutela del patrimonio artistico, antisofisticazioni e sanità, ecologia, tutela del lavoro, agricoltura e foreste, Banca d'Italia e Ministero degli affari esteri per l'Arma dei carabinieri è dunque indispensabile una rigida suddivisione delle sfere d'azione, pena uno spreco di risorse organizzative che non trova alcuna giustificazione sul piano operativo. Non è invece ipotizzabile, per gli uffici territoriali dei due corpi, alcuna rigida suddivisione, per materia o per territorio, della loro competenza. Non lo è perché la molteplicità delle attribuzioni riconosciute a queste due forze impone sovente l'impiego delle stesse strutture operative in attività sia di prevenzione, sia di ordine pubblico o di polizia giudiziaria. Da quest'ultimo punto di vista, il nostro ordinamento considera inaccettabile che una qualsiasi indagine su fatti di piccola o grande criminalità possa arrestarsi, o anche solo rallentare, di fronte alla competenza esclusiva di un corpo in un determinato territorio su cui l'attività investigativa dovrebbe essere sviluppata. E' dunque la pianificazione permanente nella dislocazione dei presidi, la strada per riequilibrare la presenza degli uffici territoriali delle forze dell'ordine. Una presenza ancora non assicurata in tremila comuni su ottomila, alcuni dei quali ad alta densità abitativa, mentre la consistenza dei corpi si riscontra talvolta anche nei centri minori. PRESIDENTE. Avete un elenco dei tremila comuni? ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Si può facilmente ottenere. PRESIDENTE. Vi prego di farlo pervenire alla Commissione. ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Una presenza che non può essere tuttavia riequilibrata utilizzando il solo criterio, per altro di massima, della ripartizione tra capoluoghi di provincia (polizia) e centri minori (carabinieri) - si è registrata la tendenza ad urbanizzare la Polizia di Stato ed a ruralizzare l'Arma dei carabinieri - perché anche nella distribuzione delle risorse andrebbe soddisfatta l'esigenza di far svolgere all'autorità di pubblica sicurezza, sia nei grandi centri sia in provincia, il necessario ruolo di direzione di tutte le attività di ordine e sicurezza pubblica sul territorio. Ma anche in questo settore, come per il coordinamento, si avverte ormai l'esigenza di strumenti di pianificazione che siano realmente vincolanti per tutti i corpi di polizia interessati. Strumenti che abbiano ben altra forza della direttiva del febbraio dello scorso anno con cui l'allora ministro dell'interno si è pure occupato della questione. Strumenti che consentano quindi di governare un programma di potenziamento degli apparati di polizia nel territorio, attraverso un'unica scala di priorità operative e univoci indirizzi di impiego delle risorse. L'esigenza di impedire sovrapposizioni di impiego va affermata, infine, anche rispetto alla sfera d'azione dei corpi di polizia municipale. Accenniamo brevemente a questo tema, convinti come siamo che occorrerà sviluppare su di esso una riflessione più approfondita. E' sulla strada della specializzazione che va immaginata una funzione più accentuatamente amministrativa di questi corpi. Non quindi qualche facile trovata ad effetto sull'utilizzazione dei vigili urbani contro la criminalità organizzata, ma un impiego più specializzato nei settori di competenza locale e regionale, come la sanità, l'igiene, l'ambiente, il commercio o l'edilizia, che contribuisca a superare quella generale crisi dei controlli che non poco peso ha avuto rispetto al diffondersi Pag. 1439 di fenomeni di corruzione, nella gestione della cosa pubblica in ambito locale. Un progetto di rafforzamento del sistema sicurezza non può non affrontare la questione dell'adeguamento delle strutture di investigazione che operano nel territorio, rispetto agli attuali livelli di aggressione criminale e agli strumenti normativi di contrasto che sono oggi disponibili. Potenziare gli organismi ordinari di indagine è l'unica alternativa credibile ad una concezione emergenziale della lotta alla criminalità, che sinora ha generato operazioni dal sapore prevalentemente spettacolare. Le recenti modifiche al codice di procedura penale, contenute nel pacchetto di misure antimafia del luglio scorso, hanno creato condizioni di maggiore agibilità dello strumento processuale rispetto al crimine organizzato. Hanno introdotto misure che valorizzano alcune potenzialità del sistema investigativo, senza fare passi indietro sul terreno della civiltà giuridica. E tuttavia l'ampliamento degli spazi di iniziativa della polizia giudiziaria, voluto dalla legge n. 306 del 1992, non solo non annulla ma conferma l'esigenza di una riorganizzazione profonda del sistema investigativo periferico. L'ampliamento dei termini per la chiusura delle indagini, i maggiori spazi di iniziativa autonoma e la conservazione in dibattimento di alcuni elementi probatori potranno trasformarsi in una svolta vera dell'azione giudiziaria e dell'attività anticrimine, se una parte significativa delle risorse verrà impiegata perché i servizi di polizia giudiziaria nel territorio, e non soltanto a livello centrale, costituiscano un sistema avanzato di competenze scientifiche ed operative, l'unico in grado di contrastare un'organizzazione criminale in possesso di raffinatissime tecnologie. Anche nell'impiego degli uffici investigativi sono ormai urgenti chiari mutamenti di rotta per liberare squadre mobili, DIGOS e centri Criminalpol da un carico di servizi di scorta che compromette sovente la stessa continuità delle indagini (miriadi di scorte definite "occasionali" sfuggono, non vengono riportate nei dati ufficiali forniti anche dal Ministero dell'interno e dal capo della polizia; sono quelle che pesano in misura rilevante sull'operatività, sottraendo uomini anche all'attività operativa); affidare ai commissariati la trattazione dei delitti che non sono legati al livello organizzato di criminalità; attivare indagini "per obiettivi" in cui possano trovare corretta collocazione le squadre di polizia giudiziaria dei commissariati e delle specialità. E' questo un primo pacchetto di misure che costituirebbe un significativo passo avanti sulla strada di un più qualificato modello di intervento investigativo. Quel modello di cui lo stesso codice di procedura penale ha bisogno, per essere concreto strumento di giustizia, prima ancora che mezzo di lotta alla criminalità. Di particolare rilievo è, ancora, la questione del ruolo che le sezioni di polizia giudiziaria presso gli uffici giudiziari dovranno svolgere in una prospettiva di rafforzamento e di integrazione del sistema investigativo. Una revisione delle piante organiche che tenga conto dell'esperienza di questi primi anni di applicazione del codice di rito, una ristrutturazione interna delle sezioni che favorisca la reale integrazione operativa delle forze (le sezioni di polizia giudiziaria sono interforze, ma non sommano, anzi dividono le forze già presenti) e il riconoscimento dei mezzi tecnici necessari sono misure indifferibili per impedire che la maggior parte di queste strutture svolgano soltanto un ruolo di notifica degli atti processuali, senza alcuna possibilità di gestione dell'attività di indagine. Ed è in questo quadro di maggiore funzionalità delle sezioni di polizia giudiziaria che può essere ipotizzata - a fronte del ruolo di servizio svolto dalla DIA, e senza alcun decremento per gli organici delle sezioni esistenti - l'istituzione Pag. 1440 di sezioni di polizia giudiziaria presso le procure distrettuali. L'urgenza di un programma di potenziamento delle strutture di polizia è ovviamente maggiore con riferimento allo specifico fronte della lotta alla criminalità mafiosa. Condizioni imprescindibili per la realizzazione di una risposta istituzionale adeguata alla gravità dell'aggressione criminale sono sia il superamento di ogni particolarismo tra organi dello Stato, sia l'adozione di avanzati modelli operativi e organizzativi per gli uffici giudiziari e delle forze dell'ordine. Una proposta concreta vorrebbe, per esempio, che nelle sezioni di polizia giudiziaria la direzione venisse assunta dal più alto in grado indipendentemente dalla forza di polizia cui appartiene. Di qui l'iniziativa congiunta di CGIL, CISL, UIL, Associazione magistrati e SIULP della presentazione, ai ministri dell'interno e di grazia e giustizia, di una piattaforma di misure urgenti da attuare nelle sedi di Palermo e Caltanissetta, sulla base di progetti-pilota, di potenziamento dell'attività giudiziaria e di polizia, i cui risultati potrebbero costituire un preciso punto di riferimento di una più ampia azione di riforma. L'azione di contrasto si muove ormai verso una sempre maggiore saldatura dei due momenti, preventivo e repressivo. Questo costituisce un motivo in più per ridefinire un sistema di prevenzione che, anche dal punto di vista del territorio, è condizionato dai limiti di un basso livello di sintonia tra i corpi. Una questione tuttavia che va preliminarmente affrontata, in materia di risorse da impiegare sul fronte del controllo del territorio, è quella dell'impiego di personale militare nelle attività di polizia, con riferimento al diverso tipo di professionalità, apparati e moduli operativi richiesti nello svolgimento delle due funzioni. In alcuni ambienti governativi è presente la tentazione di riconvertire le risorse militari, che in modo massiccio erano destinate alla difesa dell'est, non in un nuovo modello di difesa e quindi nelle tecnologie e professionalità richieste dal nuovo scenario internazionale, ma in un riscoperto impegno sul terreno della sicurezza interna, con la motivazione che tra difesa e sicurezza non vi sarebbe un confine preciso, e quindi lo stesso modello, quello militare, potrebbe essere utilizzato in ambedue i settori. Questo è un nodo politico da sciogliere senza ambiguità: il nuovo modello di difesa e un efficace sistema di sicurezza richiedono professionalità elevate ma diverse. Modelli operativi che non sono intercambiabili perché in tutti e due i campi le strategie vincenti non consentono più generiche masse di manovra, ma conoscenze specializzate e strutture mirate. Prevedere ulteriori impieghi di personale militare in servizio di prevenzione e ordine pubblico senza affrontare fino in fondo un'analisi concreta dei costi e dei benefici che questo tipo di impiego ha già avuto in alcune regioni vuol dire eludere i nodi veri della lotta alla criminalità organizzata. Vuol dire illudere l'opinione pubblica, facendo credere che si possa supplire alle insufficienze delle strutture investigative o giudiziarie con l'occupazione militare del territorio. Anche sul fronte della prevenzione occorre dunque uscire dalle spettacolarità di una semplice ottica di emergenza. Una rete di controllo delle forze dell'ordine a maglia certamente più stretta di quella attuale è lo strumento che può costituire un'efficace e duratura remora in sede preventiva, e un tempestivo strumento di reazione in sede di repressione penale. Vanno allora superati gli attuali, farraginosi piani di coordinamento delle autoradio della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri, perché risentono di un improduttivo clima di separatezza, che è testimoniato, per esempio, dall'assenza di flussi informativi costanti sull'attività di ognuna delle due organizzazioni, assenza purtroppo provata, ancora una volta, dal tragico episodio di Patti. Pag. 1441 L'attuazione di piani unici di controllo del territorio sotto la diretta responsabilità del questore nella sua qualità di autorità provinciale di pubblica sicurezza è dunque l'unica soluzione in grado di consentire un impiego coordinato di un alto numero di unità operative, e quindi di assicurare elevati standard di efficacia nel settore della prevenzione. L'istituzione di sale operative comuni resta un fondamentale obiettivo strategico. Ma nell'immediato una scelta non più rinviabile è l'interconnessione reale di questi organismi, cioè l'impiego unitario delle autovetture in servizio di controllo del territorio, sulla base di una conoscenza reciproca, momento per momento, dello sviluppo di ogni intervento e dell'esigenza di spostare risorse originariamente destinate ad altro servizio. Anche sul piano dei costi l'interconnessione delle sale operative non presenta particolari problemi. Ma una concreta svolta nella gestione delle risorse richiede, anzitutto, significative revisioni di un modulo operativo ancora arretrato perché fondato in buona misura sui servizi di scorta e vigilanza fissa, cioè su misure di tutela individualizzata, il cui costo organizzativo è divenuto ormai insostenibile, stanti le aumentate e diffuse esigenze di sicurezza generale. Occorre rendere trasparenti i criteri per l'assegnazione e la revoca dei servizi di scorta e vigilanza fissa; fissare un tetto massimo di impiego giornaliero da parte dei singoli corpi; prevedere per il comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica una speciale procedura che attesti le eccezionali esigenze che hanno dato luogo all'ulteriore prelievo di forze oltre il tetto programmato per questo tipo di servizio; assicurare la rotazione tra il personale specializzato nelle scorte a più alto rischio, e adottare i mezzi tecnici e i moduli operativi integrati con i servizi di controllo del territorio che rendano questi servizi ben più di una semplice difesa da ultima spiaggia. Sono queste le urgenti misure di svolta nell'uso delle scorte e della vigilanza, necessarie a far cessare quello che spesso è uno spreco che la coscienza del paese non può accettare, a garantire maggiore tutela al personale e continuità di azione a uffici, come i commissariati, squadre mobili e DIGOS, che agiscono oggi in un clima di continua emergenza organizzativa. E' stato autorevolmente rilevato che vi sono segnali di difficoltà di integrazione operativa tra l'attività della DIA e quella svolta dalle forze di polizia a carattere ordinario. Queste difficoltà - che non sembrano certamente diminuire con il passare del tempo - sono in massima parte connesse al più generale nodo, ancora non sciolto, del ruolo della Direzione investigativa antimafia e dei suoi rapporti con gli apparati ordinari. Errore gravissimo sia sul piano politico sia su quello operativo è quello di immaginare che questi rapporti debbano essere di tipo concorrenziale, anziché ispirati al principio della sintonia e della unità d'azione degli organi investigativi impegnati sul fronte antimafia. Un organo specializzato, composto quindi da un limitato numero di operatori che hanno a disposizione un apparato organizzativo avanzato ma necessariamente snello ed essenziale, non può e non deve competere con una macchina organizzativa estesa e capillare, che conta tra Polizia di Stato, Arma dei carabinieri e corpo della Guardia di finanza un organico di circa 260 mila operatori. Soprattutto nelle più importanti e difficili indagini di mafia non è pensabile una netta divaricazione operativa tra la struttura (DIA) cui è affidata la direzione investigativa, anche attraverso gli strumenti di conoscenza che vengono da un osservatorio centrale, e gli organi territoriali delle forze dell'ordine, che attraverso i terminali operativi presenti su tutto il territorio sono in grado di raccogliere ed elaborare aggiornati flussi informativi. Pag. 1442 Solo una stretta integrazione tra gli organismi di indagine ordinari e quelli specializzati può dunque assicurare quella forte unità di indirizzo nella politica criminale che, a fronte della frantumazione nel territorio del potere giudiziario, consenta all'attività di indagine di superare agevolmente anche i confini nazionali. Occorre allora scongiurare ogni tendenza di esasperato autonomismo nella gestione della DIA, che si è per esempio manifestata con l'apertura diretta di propri uffici negli scali aerei, accanto a quelli degli organismi ordinari, perché finirebbe per farle assumere quel ruolo di ulteriore forza di polizia, in un rapporto quindi di interferenza anziché di sintonia con le forze dell'ordine, che ha già provocato in passato il fallimento dell'esperienza dell'Alto commissario per la lotta alla mafia. Un rischio di ulteriore fallimento di cui il paese non avverte certamente il bisogno e che può essere evitato a condizione che si esca dall'ottica della straordinarietà, e si favoriscano le sintonie valorizzando anche l'attività di quegli uffici territoriali che conducono l'azione di contrasto determinante, magari in zone ad elevatissima presenza mafiosa. Dunque in strettissima aderenza a questo orientamento è sicuramente da evitare ogni progetto di istituzione di un ruolo separato degli investigatori della DIA, o di divaricazione organizzativa o finanziaria rispetto ai tre corpi di polizia o all'organo funzionalmente sovraordinato, cioè il dipartimento della pubblica sicurezza, perché ciò determinerebbe il suo progressivo isolamento, e quindi indebolimento, in un delicato contesto operativo che invece richiede, oggi più che mai, sintonia e compattezza sul piano organizzativo, professionale e umano. Il successo dell'attività investigativa, sia preventiva sia giudiziaria, è sempre più legato, specie nelle indagini di maggiore complessità, alla qualità del supporto scientifico messo a disposizione degli organi inquirenti, alla tempestività di esecuzione delle analisi e degli accertamenti tecnici, e alla concreta possibilità di una lettura integrata dei dati da parte dei diversi organi giudiziari e di polizia. Di qui l'esigenza di dar vita ad una struttura, il centro nazionale di criminalistica, a cui affidare sia lo svolgimento delle attività tecnico-scientifiche richieste dall'attività giudiziaria e investigativa - da soddisfare attraverso una rete di laboratori dislocati su tutto il territorio nazionale - sia la conservazione, classificazione e distribuzione dei dati risultanti da tutte le operazioni tecniche eseguite per gli stessi scopi investigativi e giudiziari, comprese quindi le perizie e consulenze affidate, dai magistrati competenti, in sede locale. Questo organismo, da inquadrare ovviamente nell'ambito del dipartimento della pubblica sicurezza, potrebbe avere un essenziale ruolo di raccordo dell'attività di investigazione tecnica svolta dai singoli corpi di polizia, ma anche una funzione di coordinamento di indirizzi e metodiche, che puntino sempre a garantire elevati standard di attendibilità scientifica rispetto a dati dai quali spesso dipende la scelta tra diversi orientamenti investigativi, o tra diverse decisioni giurisdizionali. Si devono, in buona parte, al ruolo svolto dai collaboratori della giustizia alcuni dei più importanti risultati ottenuti negli ultimi tempi sul fronte delle indagini di criminalità mafiosa e la cattura di grandi latitanti. L'importanza riconosciuta al fenomeno del pentitismo, e le dimensioni che questo sta via via assumendo, richiedono strumenti e strategie che sappiano andare al di là di una pura ottica di emergenza, e consentano di pianificare gli interventi in questo delicato settore con la consapevolezza che nella gestione di un pentito - a differenza di quanto avviene con un semplice collaboratore delle forze di polizia che rimane nell'ombra - la questione della protezione riveste un ruolo centrale, tale da condizionare la stessa gestione investigativa. Pag. 1443 L'emanazione, in questi giorni, del decreto istitutivo il servizio centrale per l'applicazione dello speciale programma di protezione, nell'ambito della direzione centrale della polizia criminale del dipartimento della pubblica sicurezza, potrà assicurare migliori condizioni operative a questo organismo che, costituito in via amministrativa da circa un anno e mezzo, ha dovuto affrontare la delicata materia in una situazione di vuoto legislativo e di emergenza organizzativa. Necessario e urgente appare dunque il completamento dell'organico dell'Arma dei carabinieri e del corpo della Guardia di finanza previsto nella tabella allegata al decreto, specie in riferimento al personale dell'arma assegnato al servizio in aggiunta a quello a suo tempo previsto per l'ex Alto commissariato per la lotta alla mafia e già confluito al servizio stesso. Ma necessario e urgente è anche un adeguamento più generale delle risorse da impiegare rispetto alle nuove e crescenti dimensioni che il fenomeno sta assumendo. Alcuni indirizzi investigativi nella utilizzazione dei collaboratori stanno determinando un certo ampliamento del numero dei parenti dei pentiti rispetto ai quali si ritiene necessaria l'applicazione del programma di protezione. Ciò determina, da una parte, l'esigenza di un incremento degli organici delle forze di polizia che nelle diverse province devono provvedere alla protezione diretta, in qualche caso, anche di decine di famiglie, e, dall'altra, l'esigenza della creazione, all'interno del servizio di protezione, di un collegio di legali, commercialisti, ed esperti in materia previdenziale che possano coordinare i vari tipi di assistenza da garantire in sede locale ai destinatari del programma, specie in quelle zone dove questa assistenza non può essere assicurata, magari a causa delle riserve mentali di qualche libero professionista. Ma il nodo centrale della piena efficacia dei programmi di protezione è la questione, ancora non risolta, delle procedure di cambio delle generalità. Sicuramente complesso, specie per i profili civilistici che sono interessati, è comunque un problema che va affrontato con urgenza, poiché, nonostante l'impegno e la disponibilità dimostrati dal personale del servizio nell'assicurare l'assistenza alle persone protette attraverso l'uso di nomi provvisori, non sempre è possibile - per ostacoli oggettivi o per riserve avanzate da qualche amministrazione statale o locale a causa dell'assenza di una specifica disciplina legislativa - garantire in modo assolutamente riservato alcuni diritti, come quelli previdenziali o alla frequenza degli istituti scolastici da parte dei figli dei pentiti, o tanto meno l'inserimento nelle attività lavorative, che costituirebbe evidentemente il miglior canale di reinserimento sociale, sia pur in condizione di necessaria riservatezza. PRESIDENTE. La ringrazio molto, dottor Sgalla, per la sua relazione che ha un ottimo impianto, anche se evidentemente sulle singole parti si potrà poi discutere. CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Signor presidente, onorevoli commissari, noi del SAP siamo in piena sintonia con la tesi testé espressa dal segretario generale del SIULP. E questo non sembri un caso o un fatto di circostanza, dal momento che proprio all'interno della Polizia di Stato, tra i sindacati di polizia maggiormente rappresentativi, si è avvertita l'esigenza di unirsi nel momento in cui la stessa polizia vive un momento particolare insieme al paese. Quando le forze vanno verso un obiettivo comune è possibile sia coordinare sia farsi coordinare. Dopo la lunga relazione del rappresentante del SIULP mi limiterò a sottolineare alcuni problemi peraltro già toccati, al fine di meglio precisare i problemi oggi in esame. Quello del coordinamento è diventato il problema dei problemi tra le forze di Pag. 1444 polizia. Esso va assolutamente analizzato e meglio sviscerato per individuare laddove tale coordinamento non esiste. I compiti della polizia sono duplici. C'è una polizia giudiziaria e una di sicurezza. Si è tentato di risolvere il problema del coordinamento con l'istituzione della figura del segretario generale, ma si è poi usato il termine improprio di "superpoliziotto", mentre i compiti che la legge può affidare - lo stesso disegno di legge lo prevede - sono esclusivamente di sicurezza pubblica. Sono dunque compiti che non vanno ad intaccare il coordinamento della polizia giudiziaria, cioè un settore in cui si registrano oggi i maggiori problemi. Un anno fa, in provincia di Padova, morì un carabiniere e oggi piangiamo la scomparsa di un nostro collega causata dalla mancanza di coordinamento. Ci troviamo però in un campo in cui ha scarsa rilevanza l'aspetto relativo alla sicurezza pubblica ed in cui il coordinamento deve essere fatto dalla magistratura, sulla base dei poteri che la legge dovesse ad essa delegare. Con l'istituzione degli attuali uffici di polizia giudiziaria non abbiamo per nulla risolto l'increscioso problema. Tornando al problema della sicurezza, aggiungo che una legge dello Stato, approvata a larghissima maggioranza dal Parlamento nel 1981, aveva risolto definitivamente il problema del coordinamento per la polizia di sicurezza, affidando al ministro alcune competenze nazionali in materia di coordinamento ed ai prefetti ed ai questori altre competenze di coordinamento. Oggi ci troviamo a ridiscutere questa legge nonostante non sia accaduto assolutamente nulla nel campo della sicurezza pubblica. Se esistono problemi infatti - lo ripeto ancora una volta - essi non attengono al settore del coordinamento della polizia di sicurezza. Anzi, se c'è qualcosa che può supportare tale tesi è proprio il fatto che la Polizia di Stato fornisce oggi un notevole contributo di uomini a fronte addirittura di una "latitanza" delle altre forze di polizia che hanno dimezzato il proprio organico destinato a servizi di ordine pubblico. Ad avviso del SAP non esiste un problema di coordinamento della polizia di sicurezza. L'istituzione di un qualsiasi sistema al di sopra delle attuali competenze affidate al dipartimento della pubblica sicurezza sarebbe un sistema del tutto inutile, un doppione che non servirebbe a nulla e che avrebbe l'effetto di determinare ulteriori problemi, questa volta dalla parte della Polizia di Stato. Quest'ultima, infatti, trovandosi ad essere un corpo "stretto" e non incardinato all'interno di una amministrazione di pubblica sicurezza farebbe né più né meno quanto oggi fanno altre forze di polizia. Siamo dunque assolutamente contrari a tale figura perché a nostro avviso essa non risolverebbe alcunché. Occorre invece ridare vigore alla stessa legge del 1981 specificando meglio i compiti del questore e quelli del prefetto, senza ricorrere a soluzioni oggi che possono davvero squilibrare tale settore. Il SAP accetta senza alcun problema la proposta, poc'anzi avanzata dal rappresentante del SIULP, di inserire all'interno del Ministero dell'interno tutte le forze di polizia esistenti. Ma in proposito noi del SAP siamo ancora più radicali; vorremmo addirittura che nel 1993, l'anno in cui si va verso l'unificazione dell'Europa, si parlasse anche in Italia di una polizia unica. Dico questo perché nel nostro paese oltre alle cinque polizie più grandi ve ne sono attualmente ancora tante altre che agiscono all'interno di settori specialistici. A nostro avviso il problema potrebbe essere risolto con una decisione coraggiosa. Del resto, oggi non riusciamo più a capire i motivi che si possono opporre ad una scelta del genere, dal momento che non esistono più quei pericoli che potevano esserci nell'immediato dopoguerra. Se ciò non sarà possibile, si compia almeno un passo avanti prevedendo la dipendenza di tutte le forze da un unico ministero. Certo, in questo modo il problema Pag. 1445 verrebbe risolto solo parzialmente perché potrebbero sussistere ancora quelli che noi chiamiamo campanilismi di giubba, ma tutto sommato vi sarebbe almeno un'unica direzione politica che potrebbe garantire un maggior coordinamento tra le diverse forze di polizia. Per quanto riguarda il resto, condividiamo interamente le tesi del SIULP ed è perfettamente inutile che io ripeta quanto ha poc'anzi detto il dottor Sgalla. Vorrei tuttavia soffermarmi brevemente sul problema delle scorte, correlato strettamente alla lotta contro la criminalità mafiosa. Ad esso va posto rimedio una volta per tutte, non più con le parole ma con i fatti. Spesso infatti si dice che le scorte siano state ridotte ma nella realtà non è così. Moltissimi anni fa, nel corso di un'altra audizione dinanzi alla Commissione antimafia sul tema del coordinamento e sul controllo del territorio nelle aree più interessate dal fenomeno della mafia, abbiamo proposto di distinguere i settori urbani da quelli metropolitani, affidandoli al controllo delle varie forze di polizia. Nel nostro caso avremmo lo stesso effetto prodotto dalla vigilanza militare nelle zone siciliane. Un altro punto che ci preme evidenziare è che oggi la regione Puglia deve, per forza di cose, essere inquadrata tra le regioni cosiddette a rischio. Lo diciamo per il semplice fatto che mentre per i poliziotti, i carabinieri e in generale le forze dell'ordine dislocate in Sicilia, Campania e Calabria esiste oggi un trattamento differenziato, questo non è previsto per coloro che operano in Puglia, nonostante che vengano affrontati gli stessi problemi, magari accentuati per effetto di quell'attività mafiosa che è stata individuata di recente. Nel corso di un'altra lontana audizione avemmo modo di sottolineare la questione relativa ai pentiti, che sicuramente avrebbe potuto contribuire alla soluzione di alcuni problemi. A fronte di alcuni episodi chiediamo oggi che le norme vengano applicate così come sono previste dal nuovo codice di procedura penale. Chiediamo che vi sia, soprattutto a monte, un riscontro probatorio delle dichiarazioni dei pentiti, al fine di evitare di ottenere il risultato opposto a quello che la legge si prefigge di raggiungere. Quanto al problema delle scorte, sottolineo la necessità di ampliare i nostri organici e quello dei carabinieri. Relativamente alla DIA mi limiterò a rilevare che non vorremmo assolutamente che essa diventasse una quarta polizia che invece di risolvere i problemi esistenti li andrebbe ad accentuare. PRESIDENTE. La ringrazio vivamente, dottor Fiorito, anche per la capacità di sintesi dimostrata nel suo intervento. MARCO TARADASH. Desidero ringraziare il dottor Sgalla e il dottor Fiorito per averci dato un quadro assai interessante e concreto dei problemi: il che, per la verità, non sempre siamo abituati a constatare. Desidero affrontare due questioni toccate da entrambi i rappresentanti sindacali ed aprirne una terza. Per quanto riguarda l'unificazione delle forze di polizia, il SIULP ha fatto riferimento ad una unificazione del comando mentre il SAP ha parlato di unificazione vera e propria delle forze di polizia. Credo che questa problematica sia aperta e che sia opportuno risolverla al più presto. Desidererei pertanto ottenere da entrambi i nostri interlocutori una valutazione sui prevedibili costi e benefìci riferiti alle due ipotesi in oggetto. Circa l'utilizzazione dell'esercito in funzioni di ordine pubblico, si è giustamente rilevato che le forze di polizia dispongono di professionalità, competenze e formazioni diverse, essendo ad esempio abituate a tener conto dei diritti civili dei cittadini, mentre i militari non sono affatto addestrati in tal senso, fatte salve possibili infarinature. Ebbene, mi interessa una valutazione sul fatto storico rappresentato dalla presenza dei militari in Sicilia e in Sardegna. Pag. 1446 Da ultimo vorrei affrontare il problema che come è noto sta a cuore a me, ma interessa anche i lavori della Commissione, della legalizzazione della droga. So che il SIULP si è espresso più volte in sede regionale, in Sicilia e in Toscana (e forse anche in campo nazionale), a favore di tale ipotesi. Il SAP, invece, ha sempre fermamente sostenuto la necessità del proibizionismo. Vorrei quindi conoscere le valutazioni di entrambi i nostri interlocutori in ordine ai pro ed ai contro dell'attuale politica e di una eventuale politica alternativa. MAURIZIO CALVI. Desidero ringraziare i rappresentanti del SIULP e del SAP per la loro esposizione e per le proposte avanzate in materia di politica dell'ordine e della sicurezza pubblica. Desidero affrontare alcune grandi questioni che riguardano in parte, stando a quanto ho desunto dalle introduzioni del dottor Sgalla e del dottor Fiorito, una sorta di pregiudiziale ideologica nei confronti dell'atto Senato n. 600. E' stato espresso un no secco al riguardo; ho avvertito inoltre insofferenze nei confronti della DIA, ed in particolare all'impiego di forze militari nelle aree a rischio del nostro paese. Nelle relazioni non si rinviene un giudizio sulla legislazione antimafia varata nell'ultima legislatura, circa il fatto che essa sia o meno in sintonia con lo sforzo che il nostro paese intende produrre in materia di ordine e di sicurezza pubblica; non risulta con chiarezza se gli importanti risultati colti grazie alle nuove norme siano ritenuti coerenti; infine non si coglie un riferimento alla centralità dei flussi informativi, che ritengo centrali nelle zone a rischio del nostro paese. Si tratta di questioni non marginali sulle quali prego i rappresentanti dei sindacati di polizia di formulare, naturalmente dal loro punto di vista, un giudizio utile a comprendere se alla fine del processo avviato siano conseguibili le opportune sintonie politiche in materia. ANTONIO BARGONE. Ringrazio i rappresentanti del SIULP e del SAP per le loro interessanti introduzioni e per le proposte sottoposteci. La mia prima domanda riguarda la direzione investigativa antimafia, nella cui gestione il dottor Sgalla ha affermato che occorre scongiurare ogni tendenza di esasperato autonomismo. Vorrei una risposta più chiara al riguardo. Esiste l'esempio dell'apertura diretta di uffici in scali aeroportuali, ma chiedo se vi sia qualcosa di più strutturale sul piano dei rapporti che impedisce che l'azione della DIA possa svolgersi come previsto dalla legge in termini di coordinamento e di utilizzazione dell'attività investigativa delle forze di polizia sul territorio. Mi preoccupa che il giudizio di esasperato autonomismo sia legato ad una separazione di funzioni tra la DIA e le forze di polizia che in questo momento sta determinando qualche preoccupazione. Il dottor Fioriti ha rilevato che sarebbe inopportuno creare una quarta polizia: vorrei maggiori precisazioni in merito, perché la questione è assai rilevante e va rapidamente affrontata. Per quanto riguarda la polizia giudiziaria, si è detto che occorre una utilizzazione diversa degli apparati ordinari di investigazione. Non è stato invece detto molto circa i rapporti con il magistrato, che è il titolare dell'azione investigativa. Vorrei sapere che tipo di rapporto esista con gli uffici giudiziari, se l'attività investigativa delle forze di polizia sia da questi utilizzata e quali sinergie si determinino. Desidero altresì sapere se il magistrato sia veramente il titolare delle investigazioni e se questa impostazione funzioni, soprattutto in relazione alle procure distrettuali antimafia e quindi ad una fruizione dell'attività investigativa sul territorio. In materia ho una preoccupazione che voglio sottoporvi come una riflessione e come una domanda: mi chiedo se con una centralizzazione delle investigazioni che persegue certi obiettivi, si rischia di Pag. 1447 disperdere quanto può essere fatto sul piano territoriale da chi può svolgere funzioni di antenna e di terminale, per la sua conoscenza degli ambienti e delle persone. Esiste in merito solo un problema di potenziamento o vi è anche un problema di rapporti? La questione attiene anche alla qualità dell'investigazione e non solo all'aspetto dell'ampliamento degli organici, di cui spesso sentiamo parlare, pur sapendo che il numero degli addetti alle forze dell'ordine è altissimo, mentre essi non sono utilizzati al meglio dal punto di vista della dislocazione territoriale e della qualità della formazione professionale. Per quanto riguarda ad esempio gli accertamenti patrimoniali, nell'aggresione ai patrimoni mafiosi, che è una delle questioni più rilevanti, non si registra un consistente impegno della Guardia di finanza essendo tale corpo - come è stato più volte affermato nel corso delle nostre audizioni - condizionato da compiti di istituto assorbenti rispetto alla attività antimafia, delegata ai GICO. Bastano questi organismi a svolgere i compiti in questione o sono necessari coordinamenti e sinergie diversi tra le forze dell'ordine anche per quanto riguarda la competenza e la formazione professionale in tema di lettura di bilanci e di comprensione degli assetti societari? PAOLO CABRAS. Ho apprezzato la relazione del dottor Sgalla e l'intervento del dottor Fiorito perché, fatti salvi quegli argomenti sui quali è opportuno un confronto e sui quali possono esistere differenze di opinione, l'impianto generale delle posizioni sindacali a mio parere riesce a coniugare realismo e necessità di ottenere una razionalizzazione ed un migliore utilizzo delle forze. Appartengo al novero di coloro che non sono mai stati fautori della reazione emotiva, secondo la quale ad ogni vittoria della criminalità organizzata occorre rispondere aumentando gli organici della polizia e dei carabinieri; non sono neanche tra coloro che ritengono che l'occupazione del territorio, e non la qualità dell'azione di contrasto, sia il segno della presenza dello Stato. Quest'ultima visione è un po' gretta ma prevale soprattutto in seno alla grande stampa di opinione: mi piacerebbe verificare analiticamente quando sia accaduto che un inviato di un importante quotidiano o di un importante periodico, recatosi sul luogo dopo un crimine o una strage di mafia, non abbia scritto che, circolando per le terre di Sicilia, di Calabria o di Campania, gli sia stato impossibile vedere ad ogni angolo un poliziotto, un carabiniere, una divisa. Vi è invece esigenza di razionalizzare e di migliorare la qualità dell'azione di contrasto, in quanto l'articolazione della criminalità organizzata richiede una risposta sempre più pronta in termini di efficacia e di continuità. Ritengo giusto il vostro approccio al problema del coordinamento. Ho sempre ritenuto che, quando il problema del coordinamento si confronta con una realtà (comprendo le tensioni del SAP) difficilmente modificabile, quella del pluralismo delle storie, delle tradizioni e delle esperienze che connotano le diverse forze di polizia del nostro paese (in campo civile e in campo militare), è difficile pensare ad un coordinamento che non abbia una connotazione gerarchica. L'obiezione maggiore che si può muovere all'idea di un coordinamento affidato ad una figura dell'apparato amministrativo è che questa sarebbe sempre ridotta alle dimensioni di una sovraordinazione di carattere funzionale. Vi è allora da chiedersi se una figura dell'apparato burocratico-amministrativo dello Stato, pur ad altissimo livello di responsabilità, sarebbe in grado di ottenere quel coordinamento che l'autorità politica ha difficoltà ad ottenere. Ho avuto occasione di esprimere questa mia valutazione nella discussione che si sta svolgendo in Commissione al Senato sul disegno di legge del Governo, affermando che non è possibile pensare che un segretario generale, pur dotato di poteri più cartolari che effettivi, ottenga dall'Arma dei carabinieri quella risposta sul Pag. 1448 terreno del coordinamento, e quindi sul terreno dell'obbedienza alle indicazioni, che persino i ministri hanno difficoltà ad ottenere. Avendo una certa esperienza in campo parlamentare come anche su talune questioni in tema di ordine pubblico, non possiamo dimenticare che il ministro dell'interno, pur rappresentando l'autorità nazionale di pubblica sicurezza, non è in grado di ottenere dall'Arma dei carabinieri un flusso di informazioni pari a quello che gli viene dalla Polizia di Stato. Questo è un fatto, e contro i fatti è vano rompersi la testa. Credo quindi che sia giusto ricondurre questo problema, se lo vogliamo vedere in maniera realistica, ad un'autorità politica che superi la necessità storica dell'articolazione dei regimi diversi, non solo dell'obbedienza. Non si tratta della dipendenza gerarchica dell'Arma dei carabinieri dal ministro della difesa: si tratta di regole, di formazione, di cultura e di professionalità diverse anche se concorrenti allo stesso fine sul terreno dell'ordine pubblico. Dobbiamo dunque pensare sempre di più ad un miglioramento del coordinamento funzionale, immaginando - se è possibile - anche nuovi istituti; tuttavia la cosa più importante è affermare che la vera competenza del coordinamento è politica, perché è l'autorità di Governo che risponde al Parlamento del modo in cui viene effettuato il coordinamento tra le forze di polizia. Dobbiamo ispirarci al realismo tenendo presente che l'atteggiamento dei sindacati di polizia maggiormente rappresentativi è unitario su questo tema. Sempre in Commissione al Senato abbiamo ascoltato il COCER dei carabinieri, che ha addirittura avanzato rivendicazioni sulla legge n. 121 del 1981, sostenendo che tanti anni fa il Parlamento ha compiuto un sopruso, espropriando i carabinieri di tale questione. Bisogna dunque trovare una soluzione del problema che tenga conto di sensibilità così diverse, a volte esasperate... MARCO TARADASH. Non l'avete trovata tanti anni fa! PAOLO CABRAS. Collega Taradash, le soluzioni apparentemente semplici - come nel caso della legalizzazione della droga - complicano i problemi invece di risolverli perché storie, esperienze ed istituzioni non si possono distruggere in maniera velleitaria. Si tratta di un differente approccio culturale, altrimenti mi sarei anch'io iscritto al partito radicale: l'hanno fatto tanti democristiani, immaginiamoci se non l'avrei potuto fare anch'io che mi sento molto più libertario di altri colleghi che pure si sono iscritti! Occorre quindi operare nei limiti di un razionale contemperamento di regole e storie diverse, essendo tuttavia molto precisi negli obiettivi strategici e negli strumenti da adoperare. In questo senso, quando i rappresentanti dei sindacati di polizia richiamano il coordinamento a livello provinciale, nutro qualche dubbio sull'indicazione del questore; preferirei infatti, anche per le funzioni attribuite ai comitati provinciali, puntare piuttosto sul prefetto. Se infatti si pensa di rivendicare in termini di coordinamento un potere oppure un ruolo maggiore o più evidente al questore, ho paura che si vada incontro piuttosto all'acuirsi di polemiche e di contrapposizioni. Credo che occorra tener ferma la figura unificante del prefetto, cui la legge istitutiva della polizia civile ed anche quelle successive (pensiamo alle stesse leggi antimafia ed a quelle sui poteri del prefetto per quanto riguarda l'azione di prevenzione della criminalità organizzata nella vita degli enti locali ed in genere nella vita pubblica) hanno conferito una funzione che può e deve essere valorizzata anche ai fini del coordinamento. Anch'io, come il collega Calvi, ho notato nelle relazioni dei nostri ospiti una sorta di freddezza nei confronti della DIA. Sono d'accordo sul fatto che la DIA non debba diventare una quarta polizia: l'abbiamo affermato nel dibattito parlamentare ed abbiamo modificato il testo originario della legge proprio per evitare tale rischio. Vi è comunque il pericolo che la DIA divenga una quarta polizia se Pag. 1449 non risolviamo la questione dei corpi speciali: SCO, ROS, GICO ... CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Anche delle squadre mobili! PAOLO CABRAS. Sì, ma a livello centrale vi è una certa esosità della polizia come dei carabinieri nel voler rendere queste strutture sempre più concorrenziali rispetto alla DIA. Anche per questa strada si può arrivare ad una concorrenza che riguarda la quarta polizia. Mi rendo conto che, come affermano sia il prefetto Parisi sia alcuni dirigenti dello SCO, per rimanere nel vostro ambito, vi sono compiti di quest'ultimo che non sono completamente riducibili alla lotta alla mafia. Questo è vero, però mi sembra che vi sia stata una certa avarizia della polizia e dei carabinieri nel concedere alla DIA, in termini di risorse umane, di competenze e di strumenti, quel che ad essa andava dato nella sua veste di agenzia speciale integrata ai fini investigativi. Allo stesso modo non rifiuterei un'autonomia finanziaria ad un'agenzia che deve avere un modulo di speditezza nel settore informativo, il che non significa incentivarla ad uscire fuori dal suo ambito istituzionale, ma evitare di farla soggiacere ad un modulo burocratico che appesantisce la vita di ogni struttura e di ogni parte dell'amministrazione pubblica del nostro paese. Siete troppo profondi conoscitori di questa amministrazione per non condividere un'esigenza di autonomia della DIA, per lo meno finanziaria. Sono questi gli elementi che volevo sottolineare, esprimendo anche alcune riserve ed alcuni dubbi sulla vostra impostazione, pur avendo manifestato la mia convergenza sul problema del coordinamento. Senza togliere nulla al potenziamento qualitativo ed anche alla strategia operativa (condivido quanto affermate in ordine al controllo del territorio), credo che si possa arrivare ad utilizzare, attraverso la DIA, uno strumento che, pur concorrendo alle stesse finalità, non diventi mai ripetitivo rispetto alle funzioni sia della polizia giudiziaria sia in genere dei corpi di polizia. Ritengo che questo sia importante ai fini del chiarimento che vi deve essere tra di noi. MARCO TARADASH. Vorrei sapere se sia possibile procedere per blocchi di risposte, al fine di evitare l'accavallarsi delle questioni. PRESIDENTE. Sta bene. Do pertanto la parola al rappresentante del SIULP, avvertendo sia il dottor Sgalla sia il dottor Fioriti che, qualora talune questioni comportassero analisi complesse, essi potranno riservarsi di rispondere per iscritto. ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Poiché alcune domande sono molto specifiche, i miei colleghi potranno contribuire a fornire risposte più precise al fine di evitare qualche mia dimenticanza. Ringrazio gli onorevoli commissari per averci dato atto del nostro sforzo di non tener solo conto, per così dire, del colore della giubba: la nostra non è un'ottica di corpo e lo dimostra il nostro tentativo di sintetizzare alcune idee sul coordinamento e sull'uso degli apparati investigativi, affrontando il problema sul piano istituzionale affinché la risposta dello Stato sia sempre più efficiente. Riferendomi a quanto ha affermato l'onorevole Taradash, ricordo che nella nostra relazione abbiamo sostenuto che spesso l'uso dell'esercito è stata una risposta emergenziale e spettacolare di fronte alle situazioni più gravi. Per esempio, non si è fatto - e credo sia importante - un confronto tra i costi ed i ricavi. Questo è un problema serio, che riguarda tutta l'impalcatura del sistema sicurezza. PRESIDENTE. Si riferisce ai costi economici? ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Sì, ai costi in termini di Pag. 1450 uso di risorse umane e finanziarie. E' un problema che attiene a tutto il sistema sicurezza; credo che a nessuno sia sfuggito l'ingentissimo stanziamento a favore della polizia nel bilancio del 1993, anche per far fronte ai costi dovuti all'uso delle forze militari per determinati servizi, che non ha sempre prodotto risultati adeguati. PRESIDENTE. Dottor Sgalla, può quantificare il costo dell'impiego delle forze armate in Sicilia? ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Non sono in grado di farlo, ma credo che l'uso dei militari... MAURIZIO CALVI. Ritengo che per meglio comprendere il rapporto costi-ricavi sarebbe utile che il ministro della difesa intervenisse in questa Commissione per fornire alcuni dati. PRESIDENTE. Se i colleghi sono d'accordo, inseriremo tale audizione nel calendario. ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Del resto vi sono alcune nostre proposte tese a razionalizzare le risorse destinate alle forze di polizia. Una volta con i colleghi del SAP abbiamo calcolato che unificando alcune strutture logistiche si sarebbero risparmiati diversi miliardi. Per quanto riguarda la liberalizzazione della droga, vi sono opinioni contrarie e molto differenziate tra loro. Comunque, al di là della liberalizzazione o della legalizzazione della droga (credo che l'onorevole Taradash facesse riferimento alla legalizzazione), un collega della segreteria del SIULP potrà fornire tutte le risposte in ordine alle modalità con cui il nostro sindacato intende affrontare il problema. Anche se in questa fase a noi preme di più sottolineare gli aspetti investigativi della lotta alla droga, rilevo che la legalizzazione non è più da considerarsi un tabù, tant'è che molti operatori di polizia incominciano, sul piano operativo, ad affrontare e risolvere il problema in maniera per così dire più laica, eliminando qualche pregiudizio che forse prima esisteva. Al senatore Calvi vorrei dire che da parte nostra non vi è alcun pregiudizio nei confronti della DIA; più volte abbiamo affermato che questo organismo deve funzionare, non fosse altro per metterlo alla prova, per verificare se veramente è lo strumento predisposto dal Governo per combattere la criminalità organizzata. Abbiamo tuttavia formulato dubbi in ordine alla sua funzionalità, e non a caso alcune modifiche alla legge istitutiva sono frutto di nostre proposte: la confluenza del GIS, del ROS e del GICO nella DIA, nonché la soppressione della figura dell'Alto commissario, furono appunto proposte che avanzammo nelle sedi opportune e che furono accolte dal legislatore. Crediamo quindi che alla DIA debbano essere dati tutti gli strumenti per operare. Ciò che ci preoccupa è una possibile dilatazione delle sue competenze; è pur vero che non è agevole distinguere quale tipo di investigazione deve compiere (pensiamo a quelle condotte sul terreno della lotta alla droga) e quale influenza abbia sulla criminalità organizzata, per cui è difficile suddividere i vari campi investigativi, però ci viene segnalata una dilatazione delle sue competenze che si sovrappongono a quelle... PRESIDENTE. Mi scusi dottor Sgalla, ma i rappresentanti della DIA ci hanno detto che all'aeroporto di Fiumicino non è presente un loro ufficio, bensì un loro uomo dotato di un fax per comunicare tempestivamente con la sede centrale. E' esatto? E se è esatto ciò modifica il vostro giudizio? ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Dovremo verificare se si tratta veramente di un uomo o di un ufficio aperto presso l'aeroporto di Fiumicino; in ogni caso poiché vi è già un Pag. 1451 ufficio di polizia in loco, questo potrebbe benissimo fornire alla DIA tutte le notizie che le necessitano. CARLO D'AMATO. La DIA lamenta il fatto di non ricevere informazioni dagli altri corpi di polizia. La legge prevede espressamente che le forze di polizia diano tutte le informazioni in loro possesso alla DIA. ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Sarebbe quanto mai opportuno verificare quali sono gli organi di polizia che non collaborano con la DIA. Mi sembra importante a tale proposito sottolineare che la Polizia di Stato assolve fino in fondo il proprio dovere di informare la DIA, non fosse altro perché il dipartimento è competente sul piano del coordinamento amministrativo in campo nazionale. E' questo uno degli aspetti che ci preme sottolineare per contrastare l'atto Senato n. 600 il quale, se approvato, porterebbe ad una diminuzione dei flussi informativi. Mentre oggi il capo della polizia è anche il direttore generale della pubblica sicurezza, dividendo i due incarichi si correrebbe il rischio di vedere diminuiti i flussi informativi della stessa Polizia di Stato. L'impressione che noi abbiamo è che le altre forze di polizia siano carenti su questo piano. Possiamo del resto confermare che a livello periferico, rispetto ai piani integrati di controllo del territorio (la famosa direttiva dell'allora ministro Scotti), le forze di polizia carenti sul piano dell'informazione sono l'Arma dei carabinieri e la Guardia di finanza che non inviano le informazioni ai questori, cosa che questi ultimi fanno nei confronti delle stazioni dei carabinieri e degli uffici periferici della Guardia di finanza. PRESIDENTE. A noi risulta che vi è una carenza del flusso informativo per quanto riguarda la DIA. Vi è una norma che stabilisce l'obbligo di comunicare tutte le informazioni a quest'organo. Sembra che alcuni corpi di polizia diano tali informazioni solo su richiesta della DIA; è ovvio che quest'ultima non può richiedere alcunché se non è a conoscenza delle informazioni. In pratica siamo di fronte al classico cane che si morde la coda. La Commissione è dell'avviso che se la legge c'è deve essere applicata fino in fondo; non vanno quindi poste strategie di blocco, altrimenti si rischia di creare confusione anche nel sistema informativo. ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Noi siamo sempre stati contrari a qualsiasi forma di pseudosabotaggio, affermando che occorre far funzionare la DIA, anche per sperimentare nel concreto la sua efficienza. PRESIDENTE. Vorrei chiedere scusa a lei, dottor Sgalla, ed ai colleghi se interrompo brevemente la trattazione di questi argomenti per sottoporre all'attenzione della Commissione due questioni importanti. Sulle dimissioni dell'onorevole Cafarelli da segretario della Commissione. PRESIDENTE. Comunico che mi è stata inviata dal collega Cafarelli una lettera con la quale egli rassegna le sue dimissioni da segretario della Commissione. La lettera è del seguente tenore: "Mi è stato notificato questa mattina un avviso di garanzia per concorso in concussione che avrebbe attinenza con l'inchiesta ANAS in corso a Roma. Non so dirti il mio stupore e la mia indignazione nel ritrovarmi coinvolto in vicende alle quali, per costume e per valori, sono sempre rimasto estraneo. In attesa che si faccia chiarezza e che la mia estraneità venga rapidamente dimostrata, devo preservare il prezioso lavoro della Commissione da attacchi e da strumentalizzazioni interessate; per questo ti prego di accettare le mie dimissioni da segretario". Siccome accettare le dimissioni non spetta a me ma alla Commissione, le sottopongo ai colleghi, rilevando che l'onorevole Pag. 1452 Cafarelli ha lavorato con grande impegno ed ha condotto una battaglia difficilissima nella sua città contro gruppi di potere imprenditoriali e criminali: recentemente, ignoti hanno tentato di incendiare il suo studio, per cui la situazione è estremamente complessa. Tuttavia, preso atto del suo lavoro e del suo impegno, vi è un fatto oggettivo grave, dato anche dal tipo di imputazione: un imprenditore dichiara di aver consegnato una ingente cifra all'onorevole Cafarelli. Propongo che la Commissione esprima un giudizio di apprezzamento per il gesto del collega Cafarelli ed accetti le sue dimissioni. MARCO TARADASH. Esprimerò un voto di astensione perché, anche se comprendo bene i motivi che hanno indotto l'onorevole Cafarelli a rassegnare le sue dimissioni, continuo a rifiutare il criterio per cui un avviso di garanzia significhi indegnità a partecipare ai lavori di una Commissione o a ricoprire una carica al suo interno. PRESIDENTE. Anch'io. MARCO TARADASH. Non sono certo in dialettica con lei, signor presidente, non accetto però il principio per cui un avviso di garanzia significhi indegnità o minor diritto di svolgere una funzione nel Parlamento ed in questa Commissione. Ma il clima è quello che è ed è sotto l'influenza di tale clima che il collega Cafarelli ha assunto la sua scelta: per questa ragione, mi asterrò. PAOLO CABRAS. Esprimo apprezzamento per il gesto compiuto dall'onorevole Cafarelli. E' un collega che stimo, che ha lavorato con me ed ha fatto parte di questa Commissione anche durante la scorsa legislatura. Egli si è esposto personalmente, vivendo in una realtà difficile come quella della sua provincia e della sua regione. Anche io, come il collega Taradash, non credo che un avviso di garanzia sia di per sé un coefficiente di indegnità, però va certo apprezzato il gesto di generosità di Cafarelli, il quale non vuole che in qualche modo tutta la sua vicenda si ripercuota sull'attività di una Commissione che svolge un compito istituzionale estremamente delicato. Ciò che in altre vicende ed in altri ambiti potrebbe essere considerato superfluo, quando coinvolge compiti di rappresentanza diventa una dolorosa necessità. Credo che in qualche modo la politica, oggi considerata come un privilegio, debba comportare sacrifici e rinunce che ad altri cittadini non vengono richiesti. MAURIZIO CALVI. Il gesto del collega Cafarelli è senza dubbio da apprezzare, soprattutto se consideriamo che la Commissione antimafia oggi rappresenta un delicatissimo snodo delle istituzioni del nostro paese. Bisogna pertanto preservare tale snodo da contraccolpi che in qualche modo possano danneggiare il livello di risposta politico-istituzionale di questa Commissione. Apprezzo comunque il gesto, considerando soprattutto le condizioni in cui il collega Cafarelli svolge la sua attività in una realtà piena di problemi. Tuttavia, proprio per la delicatezza dei problemi e del livello istituzionale che noi rappresentiamo, sarebbe utile accogliere le dimissioni dell'onorevole Cafarelli. ANTONIO BARGONE. Sono stupito dall'avviso di garanzia ricevuto dal collega Cafarelli, che conosco per essere stato membro di questa Commissione anche nella scorsa legislatura. Accogliere le dimissioni dell'onorevole Cafarelli non è un modo per avallare un automatismo tra l'avviso di garanzia e la sua presenza in questa Commissione, tuttavia credo che dobbiamo considerare l'eventuale disagio ed imbarazzo del collega. Ritengo che le diverse esigenze da contemperare ci inducano ad accettare le sue dimissioni. Credo che ciò serva anche a sgomberare il campo da ogni dubbio ed equivoco, dando all'onorevole Cafarelli la possibilità di tutelare la propria immagine Pag. 1453 e la propria dignità rispetto al provvedimento giudiziario di cui è stato fatto oggetto. Per tali ragioni, ritengo opportuno accogliere le sue dimissioni. MICHELE FLORINO. Ritengo che le dimissioni dell'onorevole Cafarelli debbano essere accolte proprio per la funzione delicata che egli ricopre nell'ufficio di presidenza della Commissione. Non mi pare opportuno richiamare, come taluno ha fatto, argomentazioni di carattere giuridico o ideologico: tutti sanno che, anche se l'avviso di garanzia non presuppone la colpevolezza, comunque rappresenta il primo segnale dell'avvio di una indagine. GIROLAMO TRIPODI. Desidero esprimere apprezzamento per il gesto compiuto dall'onorevole Cafarelli - che mi auguro possa dimostrare la propria estraneità ai fatti che gli vengono addebitati - ritenendo che la sua sia stata una decisione molto saggia, in quanto è volta ad impedire che la vicenda si rifletta sulla Commissione, appannandone l'immagine. Ritengo quindi che le sue dimissioni debbano essere accolte. PRESIDENTE. Concordo con quanto ha affermato l'onorevole Taradash e cioè che non deve esservi automatismo tra fatto giudiziario e politico, nel senso che la politica deve valutare con grande libertà ciò che accade, altrimenti scattano meccanismi di condizionamento che fanno perdere l'autonomia di giudizio. Occorre, quindi, valutare sempre tutto e poi decidere caso per caso secondo criteri di opportunità. Non essendovi obiezioni, rimane pertanto stabilito che vengono accolte le dimissioni dell'onorevole Francesco Cafarelli da segretario della Commissione. (Così rimane stabilito). Avverto che verrà divulgato un comunicato stampa in cui si esprime apprezzamento per il gesto del collega Cafarelli, auspicando che venga rapidamente accertata la sua estraneità ai fatti. Seguito della discussione e votazione della relazione sulle risultanze del Forum con le direzioni nazionali e distrettuali antimafia. PRESIDENTE. L'ufficio di presidenza, su mandato della Commissione, ha redatto il documento finale della relazione Brutti sulle risultanze del Forum con le direzioni nazionali e distrettuali antimafia. Ne do lettura: "La Commissione parlamentare antimafia, esaminate le risultanze del Forum svoltosi il 5 febbraio con la direzione nazionale antimafia, con le direzioni distrettuali e con il gruppo di lavoro per gli interventi del Consiglio superiore della magistratura nelle zone colpite dalla criminalità; premesso che si sono manifestati recentemente positivi segnali di impegno di alcune procure distrettuali e che, tuttavia, si avverte il pericolo di un abbassamento della tensione ideale e professionale nell'impegno delle istituzioni contro la mafia e che in particolare risulta: la concessione in numerosissimi casi della liberazione anticipata a criminali condannati con sentenza definitiva per reati di mafia o per traffico di stupefacenti, nonostante il conclamato permanere della loro pericolosità e dei collegamenti con la criminalità organizzata; il permanere di gravi carenze organizzative in uffici giudiziari particolarmente esposti; è impossibile che la procura della Repubblica di Palermo riesca a far fronte a tutti i suoi impegni con un organico chiaramente sottodimensionato almeno di dieci unità rispetto alle esigenze ed agli organici di uffici di pari rilevanza, mentre altrettanto insufficienti sono gli organici di Caltanissetta, di Catania, di Reggio Calabria e di altre sedi giudiziarie anche al di fuori delle tradizionali aree di insediamento mafioso; che risulta un rendimento non omogeneo delle procure distrettuali, tanto in aree di tradizionale insediamento mafioso, quanto nelle zone di più recente penetrazione; l'esistenza di ostacoli e difficoltà che rallentano la piena esplicazione delle funzioni della DIA, come è emerso dalle apposite audizioni e dalle stesse prese di Pag. 1454 posizione del ministro degli interni; la mancata attuazione di un razionale ed efficiente sistema di banche dati e di circolazione delle informazioni tra le procure distrettuali e la procura nazionale antimafia. Considerato che già più volte da momenti di alto impegno e forte tensione ideale si è passati ad una fase di sbandamento ed inerzia, che ha vanificato i successi ottenuti dalle forze dell'ordine e dalla magistratura, ridando fiato alle organizzazioni mafiose e causando nuove tragedie; rilevato che non bisogna ripetere i tragici errori del passato e che proprio l'esperienza già fatta impone di intervenire immediatamente e di attivare tutte le possibili sinergie istituzionali per far riacquistare efficacia e continuità all'azione di contrasto; che esistono proposte efficaci sulle quali si verifica una larga convergenza tra le forze parlamentari e che su di esse vi è anche il consenso del Governo; la Commissione delibera di proporre al Parlamento e al Governo alcuni obiettivi immediatamente realizzabili; in particolare, ai sensi dell'articolo 25 quinquies, lettera b, della legge istitutiva propone che il Parlamento, anche sulla base di parere che sarà opportuno richiedere al Consiglio superiore della magistratura, fissi nuove norme per istituire i tribunali distrettuali, con competenza per i procedimenti relativi ai delitti di criminalità organizzata, presso ciascun capoluogo di distretto; assegnare alle procure distrettuali l'iniziativa processuale relativa alle misure di prevenzione previste dalla legislazione antimafia; offrire incentivi meno incerti nella riduzione delle pene a chi intenda collaborare con la giustizia, restringendo i margini troppo ampi di discrezionalità del giudice del dibattimento. La Commissione propone altresì, ai sensi dello stesso articolo 25 quinquies, che il Governo provveda per una revisione della pianta organica delle procure distrettuali, ai fini di un rafforzamento dell'iniziativa investigativa e giudiziaria, e ciò d'intesa con il Consiglio superiore della magistratura, al quale spetterà l'individuazione di una scala di priorità nella copertura dei posti vacanti; priorità, in ogni caso, va data alla procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo, alla quale è obiettivamente attribuito il maggior sforzo investigativo; garantire, nel trattamento dei collaboratori con la giustizia, una netta separazione tra gli organi dell'investigazione e quelli deputati alla protezione del collaboratore; assegnare i collaboratori alla custodia in strutture carcerarie, opportunamente individuate, con un trattamento penitenziario meno rigido rispetto a quello ordinario; assumere tutte le iniziative utili allo scopo di sostenere e potenziare la scuola per la formazione e l'aggiornamento dei magistrati del pubblico ministero che è già operante per iniziativa del Consiglio superiore della magistratura. La Commissione, preso atto con particolare soddisfazione che nella seduta odierna il ministro di grazia e giustizia ha condiviso il merito delle proposte e si è impegnato ad assumere le conseguenti iniziative, delibera di verificare in tempi assai rapidi la situazione penitenziaria degli imputati e dei condannati per reati di mafia; di promuovere in tempi brevi due ulteriori incontri: uno con i magistrati della direzione nazionale antimafia; l'altro con i rappresentanti delle procure non distrettuali operanti nelle zone maggiormente colpite dalla criminalità organizzata". Avverto che il senatore Brutti, relatore sulle risultanze del forum, ha provveduto a modificare la sua relazione tenendo conto del documento approvato dall'ufficio di presidenza. Ritengo pertanto che si possa procedere alla votazione della relazione nel suo complesso. MARCO TARADASH. Ritengo che prima del voto... PRESIDENTE. Vi è anche la possibilità di rinviarlo. MARCO TARADASH. Vorrei che vi fosse la possibilità di votare con consapevolezza. Pag. 1455 Non essendo stato presente alla precedente seduta della Commissione, vorrei sapere se siano previste dichiarazioni di voto. PRESIDENTE. Sono già state svolte. Mi sono permesso di usare questa formula perché la relazione è già stata discussa. MARCO TARADASH. Però il documento non era stato presentato, per cui ho immaginato che dopo la sua presentazione vi fosse la possibilità di rendere dichiarazioni di voto. PRESIDENTE. Possiamo trasmettere a tutti i colleghi la relazione del senatore Brutti e rinviare la votazione alla prossima seduta. MARCO TARADASH. Per me va bene. UMBERTO RANIERI. La relazione dell'onorevole Brutti è stata già trasmessa. PRESIDENTE. Sì, però ad essa è stata apportata una serie di correzioni. MAURIZIO CALVI. Il documento è in perfetta sintonia con le conclusioni del dibattito e contiene le correzioni suggerite da ciascun gruppo, per cui ritengo, a nome del gruppo socialista, che esso possa essere approvato. SAVERIO D'AMELIO. Anch'io ritengo che il documento rifletta con dovizia di particolari il dibattito che si è svolto in Commissione. A nome del gruppo della democrazia cristiana, ringrazio il senatore Brutti ed esprimo l'avviso che sia opportuno procedere alla votazione. ANTONIO BARGONE. L'ufficio di presidenza ed il collega Brutti hanno ricevuto l'incarico di apportare al documento le modifiche concordate dalla Commissione nel corso della precedente seduta. Tali modifiche sono il frutto di una discussione puntuale che si è concretizzata in specifiche proposte di emendamento. A questo punto, ritengo che il documento possa essere votato. PRESIDENTE. Non avrei avuto nulla in contrario a rinviare la votazione, però gli argomenti dei colleghi sono tali da indurmi a porre in votazione il documento. MICHELE FLORINO. Non essendo presente il collega Matteoli, ritengo di assumere una personale posizione di adesione al documento, soprattutto perché in esso è implicita l'intenzione di ognuno di noi di dare positivi segnali di impegno nei confronti della lotta alla mafia. Inoltre, la mia adesione è dovuta al fatto che ho assistito allo show di Riina e ho ascoltato le sue dichiarazioni di ricatto nei confronti dei pentiti, dichiarazioni minacciose che dimostrano chiaramente quale sia il ruolo dei collaboratori di giustizia nel nostro paese, ruolo evidenziato anche dai rappresentanti dei sindacati di polizia intervenuti alla seduta odierna. MARCO TARADASH. Dichiaro di astenermi. PRESIDENTE. Pongo in votazione la relazione del senatore Brutti. (E' approvata). Si riprende l'audizione dei sindacati SIULP e SAP. PRESIDENTE. Do la parola al segretario generale del SIULP. ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Abbiamo espresso nella relazione - e ritengo giusto sottolinearlo - un giudizio positivo sulla legislazione antimafia approvata fino ad oggi ed in particolare sulle modifiche apportate al nuovo codice di procedura penale che hanno dato maggiore vitalità all'azione della polizia giudiziaria. A maggior ragione il nostro giudizio è positivo sui risultati raggiunti. Però, anche noi, come Pag. 1456 organizzazione sindacale che appartiene al mondo del lavoro, abbiamo sempre manifestato l'esigenza di non adagiarsi sugli allori: i risultati positivi raggiunti, a volte a costo di sacrifici notevoli, non devono far abbassare la guardia. Ho fatto questa precisazione perché, se dalla relazione traspare una volontà diversa, è opportuno chiarire quale sia il nostro giudizio. Per quanto riguarda i temi proposti dall'onorevole Bargone, preciso che a noi interessa sottolineare gli aspetti di formazione investigativa. Addirittura abbiamo proposto - e credo che anche la Commissione si stia muovendo in questo senso - che i processi di formazione investigativa per funzionari, ispettori e ufficiali dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza, potessero essere svolti insieme ai pubblici ministeri perché, anche nell'attività investigativa, ci sembra che manchi una cultura dell'indagine che dovrebbe essere il prodotto del nuovo codice di procedura penale. Su questo terreno ribadiamo l'esigenza che venga costituito un centro di formazione, un punto didattico finalizzato alla preparazione degli investigatori, nonostante la polizia possegga numerose scuole di buon livello. Condividiamo le affermazioni del senatore Cabras, con il quale ci siamo confrontati nell'ambito della Commissione affari costituzionali; riteniamo però che quando egli parla di autorità politica, si riferisca al ministro. Siamo convinti che debba essere il ministro l'autorità politica che in questi casi assume non più una unicità di indirizzo - che sul piano pratico non realizza il coordinamento - bensì l'unicità di direzione. Non intendo tenere una lezione di diritto amministrativo; credo però che unicità di direzione significhi potestà gerarchica, di promozione, di mobilitazione, di trasferimento e disciplinare, il che renderebbe sicuramente più cogente la capacità di influire rispetto alle altre forze di polizia, quanto meno per la Polizia di Stato e l'Arma dei carabinieri. In ordine al coordinamento a livello provinciale, nutriamo parecchie perplessità nell'individuare nel prefetto il soggetto preposto. Ciò in quanto riteniamo che il prefetto possa coordinare dal punto di vista politico-amministrativo, non in senso tecnico-operativo, perchè non possiede gli strumenti di conoscenza. La stessa ANFACI - che organizza i prefetti - più volte ha ribadito il concetto che il prefetto non è un poliziotto, di cui non ha gli strumenti, la capacità e la professionalità. PRESIDENTE. Non è il suo mestiere! ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Certo, non è il suo mestiere. Ripeto, il prefetto può assolvere compiti di carattere politico-amministrativo, non quelli tecnico-operativi per i quali occorre una professionalità ed una conoscenza specifiche. CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Vorrei soffermarmi su alcuni punti in particolare. Nel caso si procedesse all'unificazione di vari corpi di polizia si otterrebbe non solo una riduzione incredibile di spese, ma anche un risparmio a livello di impiego operativo. Attualmente, nel campo delle indagini di polizia giudiziaria spesso, quotidianamente direi, si svolgono le stesse indagini senza saperlo. Su una determinata ipotesi di reato lavoriamo insieme con altre forze: non è un caso se nei confronti di determinati professionisti sono state eseguite perquisizioni nella stessa giornata da due forze diverse di polizia. PRESIDENTE. Speriamo che la seconda perquisizione abbia conseguito risultati migliori della prima. CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Purtroppo no, sono risultate ambedue negative. Certo, si è legati alle tradizioni ed alle motivazioni storiche; ciò non toglie che bisognerebbe procedere ad un aggiornamento Pag. 1457 alla luce dei cambiamenti intervenuti. Non sosteniamo che le forze debbano confluire nella Polizia di Stato, si può confluire anche nell'Arma dei carabinieri. Una scelta però si impone, ossia quella di decidere se si vuole una polizia militare oppure civile: su questo credo vada ricercata la soluzione. E' vero che oggi esistono ben tre forze di polizia civile in Italia, ossia noi, le guardie forestali e la polizia penitenziaria - che è una realtà civile da pochissimo tempo -, ma è altrettanto vero che le ultime due hanno chiesto, tramite le loro rappresentanze sindacali, di far parte del Ministero dell'interno. A livello di polizia civile qualcosa si muove in direzione dell'unificazione ed i benefici sono evidenti. Da una parte, infatti, si risparmierebbe a livello economico, strutturale, di mezzi e di uomini; dall'altra, vi sarebbe una maggiore competenza, incisività e dedizione perché verrebbero meno la concorrenza e tutte le piccole disfunzioni che oggi si registrano. Per altro, nel contempo si risolverebbe anche il problema del coordinamento senza ricorrere ad altre invenzioni. In relazione alla legalizzazione o liberalizzazione della droga ... PRESIDENTE. Sono due concetti diversi. CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. In relazione alla legalizzazione della droga, ritengo - sulla base all'esperienza acquisita con la direzione della sezione narcotici - che la soluzione vada individuata o nella legalizzazione oppure nella punizione del possessore di modiche quantità. La via di mezzo non esiste. Diversamente il problema verrebbe allontanato per effetto della schiera dei piccoli consumatori o spacciatori che si verrebbe a creare. Mi pongo un problema di coscienza, perché non credo che lo Stato possa legalizzare il suicidio di massa - ovviamente mi riferisco alle droghe pesanti - né che si possa legalizzare la vendita di sostanze letali. Per quanto riguarda l'utilizzazione delle forze armate, non abbiamo sollevato difficoltà. Obiettivamente sono stati registrati dei risultati in termini di reati non consumati e di diminuzione della microcriminalità. Il problema è rappresentato dal fatto che l'esercito, impiegato per l'assolvimento di compiti legati alla sicurezza, deve essere posto alle dipendenze di un'autorità civile di pubblica sicurezza. Può essere anche il prefetto, non importa, l'importante è - lo ripeto - la dipendenza da un'autorità civile di pubblica sicurezza. Il conferimento di comandi autonomi potrebbe significare tutt'altra cosa, il che può farci paura. In ordine alle insofferenze che avremmo dimostrato, forse abbiamo dato un'impressione sbagliata. Effettivamente abbiamo reagito negativamente all'atto Senato n. 600. PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PAOLO CABRAS CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Poichè siamo convinti dell'assoluta inutilità dell'istituto, abbiamo reagito in maniera drastica. Invece, per quanto riguarda la DIA e le forze armate non vi è alcuna insofferenza. Con riferimento alla DIA mi risulta che gli uffici di polizia, specialmente quelli che conosco direttamente, ossia del centro-nord, si siano attivati per fornire indicazioni alla direzione investigativa. Al riguardo, consentitemi di dire che si corre il rischio di creare un'altra polizia, perchè nel momento in cui si concedesse l'autonomia finanziaria - e siamo convinti che questa si debba concedere - forzatamente si sarebbe portati, soprattutto nel nostro ambiente, ad essere più autonomi rispetto alle altre forze, in un regime di concorrenzialità che può diventare conflittuale addirittura con i reparti operativi della periferia. Mi riferisco alle squadre mobili o ai nuclei operativi dei carabinieri. Nel momento in cui dovesse svilupparsi una conflittualità tra la DIA e le squadre Pag. 1458 mobili, obiettivamente si creerebbe un problema operativo non indifferente: le stesse difficoltà che per converso possono nascere tra un magistrato di tribunale ed uno assegnato alla direzione distrettuale antimafia. PRESIDENTE. Le competenze sono diverse. Certo, il suo esempio è calzante. CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Non ricordo chi avesse sollevato la problematica dei rapporti tra forze di polizia e magistratura, ma la questione esiste anche in questo campo e soprattutto nelle piccole province. Nelle 83 province italiane il problema esiste. Non si può affermare che la colpa sia del magistrato o del funzionario dirigente una squadra mobile o un settore operativo, spesso però la polizia è utilizzata più per motivi futili che per attività di polizia giudiziaria. Lo diciamo con molta franchezza. Con il nuovo codice abbiamo notato due effetti: da un lato il coinvolgimento del pubblico ministero nelle indagini e il calarsi in una realtà operativa, dall'altro l'arroccamento del pubblico ministero il quale vuole svolgere compiti di direzione tipo quelli esercitati dal dirigente di una squadra mobile. In questo caso sono sorte numerose difficoltà. Riteniamo che la soluzione stia anche nella intelligenza delle persone... PRESIDENTE. Ed anche nella professionalità. CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Certo, anche nella professionalità. Lei capisce però che in una piccola questura, dove opera disgraziatamente un solo sostituto procuratore, l'attività operativa ed investigativa dell'intera provincia può essere messa in crisi. Nei rapporti con i magistrati non solleviamo problemi. Per gli accertamenti patrimoniali la nostra amministrazione sta attraversando una fase delicata. Stiamo esaminando un progetto di riordino delle carriere scaturito a seguito della sentenza della Corte costituzionale che ha parificato alcuni ruoli dei carabinieri ai nostri. Praticamente l'ispettore, ossia la figura che doveva essere il fiore all'occhiello della Polizia di Stato, è diventato un sottufficiale dei carabinieri per effetto, ripeto, di una sentenza di un'autorità che dovrebbe essere giurisdizionale. Attualmente si sta procedendo al riordino delle carriere ed il nostro sindacato ha proposto, al fine di rivalutare la figura dell'ispettore, che tra l'altro gli sia concessa la specificità delle indagini patrimoniali delegate dal questore, perché a quest'organo è consentito compiere accertamenti. In tal modo avremmo un organico di circa 8.800 unità le quali potrebbero specializzarsi in un compito sicuramente impegnativo e qualificante nella lotta contro la grossa criminalità. Ci stiamo muovendo per garantire che all'interno della Polizia di Stato possa esistere questa ulteriore possibilità di indagine rispetto alla lotta contro la criminalità. Sul segretario generale ci siamo già soffermati. Per quanto riguarda il ruolo del prefetto e del questore, vorrei ribadire che al prefetto la legge affida il coordinamento politico delle forze di polizia. In altri termini, se in una realtà periferica esiste un problema il prefetto può incentivare l'attività di sicurezza. Quanti uomini debbano essere dislocati per quel servizio... PRESIDENTE. Voi fate il discorso sul piano tecnico-operativo che non compete al prefetto, però attribuite al questore un ruolo di coordinamento politico, il che è una contraddizione. CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Forse mi sono spiegato male. PRESIDENTE. Teniamo fermo il prefetto che tutto sommato è il "corrispettivo" del ministro; se vi riferite al questore, introducete un elemento di conflittualità. Pag. 1459 CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Il questore è un'autorità provinciale di pubblica sicurezza al pari del prefetto. La scelta politica fu operata... PRESIDENTE. La funzione di coordinamento è opportuna. CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. La funzione di coordinamento è svolta dal prefetto. Stiamo dicendo che nel momento in cui bisogna tradurre in pratica le direttive di coordinamento date dal prefetto deve intervenire il questore. La stessa legge attualmente vigente è così... PRESIDENTE. Sembrava che nel vostro documento si volesse delineare un ruolo esorbitante. Vi darei in tal senso anche un consiglio tattico, pregandovi di non insistere su questo, perché ciò provocherebbe una reazione... PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Assolutamente non proponiamo che il questore sia il coordinatore di tutte le forze di polizia. Riteniamo che, essendo egli autorità provinciale di pubblica sicurezza, gli dovrebbe essere garantita la possibilità di attuare le direttive del prefetto a livello tecnico. Credo che quest'ultimo non possa carta in mano mettersi a dislocare gli uomini sul territorio, anche perché - mi spingo un po' oltre - siamo convinti che il coordinamento effettivamente si verifica nel momento in cui il questore si pone tra il prefetto e le altre forze di polizia; viceversa, qualora questi divenisse l'unico interlocutore di tutte le altre forze, verrebbe a trovarsi nella stessa situazione del questore, il quale deve registrare scarsa attenzione verso i servizi che dirige. GIOVANNI NICOTRA, Segretario nazionale del SIULP. Premesso che siamo qui a parlare di apparati amministrativi e di norme procedurali, dato che è stato sollecitato, credo che occorra fare un brevissimo passaggio su un aspetto del diritto sostanziale. Al di là delle posizioni di punta, specie in materia di droga, assunte dai singoli o dalle strutture territoriali del SIULP, su un aspetto vi è un sufficiente accordo: siamo per una effettività, non per una "fittizietà" dell'attività di controllo di polizia; siamo per una complessiva delegificazione penale che la renda più agevole. Del resto è un fatto e non un'opinione che per tagliare il tessuto connettivo della mafia occorra tentare di ridurre la sfera di controllo dell'attività economica extralegale ed illegale delle organizzazioni criminali. Il tipo di proibizionismo previsto dalle leggi vigenti (gioco d'azzardo, prostituzione, abusivismo in genere ed edilizio e commerciale in particolare, quindi non soltanto la droga) aiuta a far crescere i poteri criminali. Sosteniamo che occorre disciplinare tali fenomeni dal punto di vista sostanziale, in modo da renderli più facilmente controllabili, sottraendoli così alla sfera di influenza criminale. Il proibizionismo è a nostro avviso un problema complessivo, che non riguarda soltanto la droga ma tutti gli aspetti previsti dalla legislazione. E' un fatto importante che riteniamo debba essere tenuto nella giusta considerazione dalla Commissione parlamentare. NICOLA IZZO, Segretario generale aggiunto del SAP. Desidero fare solo una piccola precisazione. Credo che tutti gli onorevoli presenti conoscano la legge n. 121 del 1981 per quanto riguarda l'istituto del coordinamento. Mi sembra che non sia stata compiuta - l'atto Senato n. 600 rappresenta in tal senso soltanto una terapia - una diagnosi del motivo per cui il coordinamento previsto dalla legge n. 121 non ha funzionato. Se non stabiliamo con esattezza le ragioni di fondo che non hanno permesso la realizzazione di tale Pag. 1460 coordinamento, così come la legge lo disegnava, credo non possa intervenire alcuna ulteriore scelta tesa a modificare quella prima impalcatura legislativa. A ciò si unisca un'altra valutazione, che svolgo riferendomi in modo particolare alle osservazioni prima formulate dal senatore Cabras sulla figura dal prefetto come coordinatore nell'ambito provinciale. Oggi abbiamo bisogno di un coordinamento prevalentemente tecnico-operativo. Quello di tipo politico è coordinamento di mediazione; credo che nella lotta alla criminalità sia necessario non un momento di mediazione, ma di effettività, di conoscenza precipua del problema, dovendosi conseguentemente gestire l'indirizzo della polizia di sicurezza. In questo campo - e qui è la scelta politica - dobbiamo deputare un responsabile (perché questo è un paese che ha bisogno di responsabili), stabilendo se debba essere civile o militare; questa è una decisione che deve assumere esclusivamente la classe politica senza onde emotive e conoscendo perfettamente la diagnosi che è a monte del mancato coordinamento precedente. L'individuazione da parte nostra del questore non è soltanto un fatto legato ad una rivendicazione di giubba o di un ruolo che già la legge ci assegnava; viene fatta esclusivamente perché siamo convinti che sia necessario un coordinamento effettuato da un'autorità civile e non militare. Un altro difetto dell'atto Senato n. 600 sta nell'attribuire al centro la soluzione del problema, individuandolo nel segretariato generale. In realtà questa riforma dovrebbe estendersi alla periferia e da questo punto di vista il provvedimento è tronco, non prevede alcuna estrinsecazione periferica di questa nuova figura, nessuna sovraordinazione nei confronti della strutturazione periferica. In un momento come questo, in cui il paese affronta una fase politica di estrema incertezza, procedere ad una riforma istituzionale - tale sarebbe la costituzione di un segretariato generale che farebbe venir meno gli attuali riferimenti - non potrebbe far altro che aggravare ulteriormente la situazione dell'ordine pubblico per mancanza di referenti. Ciò per altro si verificherebbe in un momento in cui l'ordine pubblico va verso una maggiore tensione sotto il profilo dei conflitti sociali. GAETANO GRASSO. Relativamente al capitolo riguardante il controllo del territorio, avvertiamo il bisogno politico di cercare di avviare a soluzione la questione del coordinamento. Non so se in proposito come Commissione antimafia possiamo assumere una iniziativa rispetto all'organizzazione di un forum simile a quello svolto con i magistrati per discutere con tutti i soggetti, con tutte le forze di polizia, le persone che le rappresentano, le organizzazioni sindacali, cercando di giungere a un punto fermo sulla questione. Se ne parla da decenni e a mio avviso non è sostenibile il suo ulteriore protrarsi. Vorrei soffermarmi su due questioni. La prima è quella delle scorte. E' opportuno che le organizzazioni sindacali, tra l'altro autorevoli e dotate di una conoscenza nazionale dei problemi, si facciano carico di indicare - ma non so se sia possibile - quelle che a loro giudizio sono le cosiddette scorte inutili o non giustificate da sufficienti motivi di sicurezza. Ogni tanto leggiamo su qualche trafiletto pubblicato dai giornali in merito ad un abuso di uso di scorta, ma abbiamo bisogno di disporre di un quadro generale, di una valutazione unitaria di tutti i servizi assicurati sul territorio nazionale. Venendo alla seconda questione, gli uomini di scorta sono fra i più esposti sul terreno della sicurezza. Ricordo tutto il clamore e l'attenzione che dopo la strage di Capaci si appuntò sul problema. In un mio articolo pubblicato dopo l'altra strage, quella di via D'Amelio, ho raccontato un fatto che è mi capitato. Trovandomi subito dopo, in occasione della manifestazione nazionale dei sindacati a Pag. 1461 Palermo, ho notato che gli uomini della scorta che mi accompagnavano avevano acquistato di tasca propria la radio ricetrasmittente portatile che consente di comunicare con la macchina durante gli spostamenti a piedi. Sono stati assunti solenni impegni di potenziamento di mezzi. Che cosa ci potete dire a questo proposito sia rispetto a questo tipo di mezzi, sia rispetto alle automobili blindate che girano nel nostro paese e alla loro utilizzazione? Un altro aspetto riguarda il livello di formazione degli agenti impegnati nei servizi di scorta. A volte ho l'impressione che la distribuzione degli operatori di polizia in tali servizi avvenga in maniera del tutto casuale, senza tener conto del livello di formazione e dell'attitudine professionale a svolgere questo tipo di attività. In linea di principio considero la concessione della scorta - mi è piaciuta l'espressione impiegata - l'ultima spiaggia. Mi sono trovato personalmente a seguire alcune realtà di imprenditori particolarmente esposti nella lotta al racket e ho cercato insieme a loro di ragionare sul problema complessivo della sicurezza. Voglio dire che alle volte assicurare la scorta ad un imprenditore, ad un soggetto esposto è un modo di mettersi la coscienza a posto rispetto ai problemi della sicurezza della comunità. Sappiamo bene che tale problema si integra attraverso vari fattori, non è mai legato alla tutela personale. A volte l'assegnazione della scorta diventa un alibi e situazioni di questo tipo determinano un'attenuazione dell'impegno, perché a mio avviso la sicurezza si gioca in primo luogo sul controllo del territorio; quello è il punto più importante. Ho avuto modo di sperimentare che, invece di avere cinque scorte per altrettanti imprenditori in un territorio di 20 mila abitanti, è più opportuno garantire un meccanismo di controllo che metta al sicuro non solo quei cinque ma le altre dieci o venti persone che sono in pericolo. Qui si pone, a mio avviso, una esigenza di riflessione, dopo aver constatato un ritardo anche politico. Spero vogliate perdonarmi questa riflessione di natura più tecnica che politica, ma l'ho voluta fare perché la ritengo di grande valore. La seconda questione riguarda l'uso dei militari nel controllo dei territori. Condivido del tutto le vostre valutazioni al riguardo. A mio giudizio, l'uso dell'esercito ha avuto una gestione a volte demagogica, a volte politica, a volte eccessivamente tesa a ricercare l'attenzione dei mass media. Sappiamo che il problema della sicurezza richiede una professionalità specifica ed autonoma rispetto a quella di un operatore della difesa. Condivido le vostre considerazioni anche perché il controllo del territorio non è mai legato ad una presenza militare. Ci troviamo dinanzi a ragazzi che vigilano una strada ma che non conoscono le persone che vi transitano, che non fermano quei soggetti su cui nutrono qualche dubbio. Il rischio, dunque, è che la loro attività rischi di diventare quella tipica dei vigili urbani, che si limitano ad impedire il parcheggio delle autovetture nelle zone vietate. Ho voluto fare queste riflessioni per esprimere il mio consenso sulle osservazioni che avete svolto. CARLO D'AMATO. Quello odierno è stato un incontro proficuo perché ci ha consentito di svolgere una approfondita riflessione sulle varie questioni del coordinamento. Avevo già avuto modo di rilevare come l'obiettivo del coordinamento era ben lungi dall'essere conseguito. Ciò era emerso per altro in maniera evidente dalle audizioni dei rappresentanti dei vari corpi dello Stato svolte nei giorni scorsi. Il tentativo in atto da parte del Governo, ed in particolare del ministro dell'interno, di istituire la figura del segretario generale aveva suscitato in me una serie di perplessità. Le motivazioni addotte dal SIULP e dal SAP nell'esprimere la contrarietà a questa iniziativa sono convincenti anche se il discorso di una effettiva concretizzazione del coordinamento Pag. 1462 e dell'utilizzazione coesa delle forze dell'ordine rimane comunque in piedi. In ogni caso non posso non apprezzare una serie di indicazioni che sono emerse dal documento e probabilmente dovremo compiere un approfondimento su di esse. Un ulteriore giudizio di positività sull'incontro odierno si basa su un'altra considerazione: il fatto che per la prima volta il sindacato confederale e quello autonomo si presentano uniti in una situazione particolarmente complicata, offrendo non un fronte frastagliato, che di solito ha prestato il fianco ad incursioni nei confronti delle organizzazioni sindacali, ma un fronte unico che consente anche di elevare il tono del confronto. Ciò vuol dire che alle proposte del Governo sarà fornita una risposta univoca da parte del sindacato, il che consentirà al Parlamento, e quindi alla nostra Commissione, di avere punti di riferimento più precisi. Comprendo quanto ha dichiarato il collega Grasso sulla questione dell'esercito. Per la verità, lo dico non per spirito di parte o perché il ministro della difesa sia un socialista, non ho riscontrato tutta questa demagogia sul tema dell'utilizzazione dell'esercito. Credo che al riguardo la decisione sia stata assunta sulla base di esigenze obiettive che hanno dato una serie di riscontri positivi, se sono vere - e non ho motivo di ritenerle infondate - le affermazioni e le analisi sull'utilizzazione dell'esercito che il ministro della difesa ha più volte fatto in Parlamento, ottenendone un pieno ed incondizionato consenso. Indubbiamente si tratta di arrivare ad una diversa utilizzazione dell'esercito, un aspetto per altro già sollevato. Debbo rilevare che, analogamente a quanto accade in Sicilia, anche in alcune zone a rischio della Campania (zona dell'agro aversano, paesi come Casapesenna, Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa, Frignano) la presenza della malavita organizzata è massiccia. Pur rilevando positivamente l'impegno dei carabinieri e della polizia che hanno raggiunto una serie di risultati, occorre dire che la gente è abituata a vedere in maniera molto più frequente, all'angolo della strada davanti al bar, il camorrista. Il che dà il segno di come la malavita non molli nonostante la presenza per altro non continuativa delle forze dell'ordine. Non saprei dunque dire se l'impiego dell'esercito sia la risposta migliore non dico dal punto di vista militare ma del controllo del territorio, al fine di rendere visibile la presenza dei poteri dello Stato. In alcune realtà bisogna ricreare un clima di fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Non parlerei tanto di militarizzazione dei territori ma di una intelligente utilizzazione di un corpo dello Stato in maniera sinergica con le forze della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri alleggerendo il compito di queste ultime e qualificando il primo in una attività di investigazione, di ricerca di latitanti e di prevenzione. Parlo sulla base della mia esperienza di amministratore (sono stato sindaco di Napoli) e quindi so bene cosa significhi oggi un'utilizzazione di circa 1500-1800 vigili urbani in una città come Napoli. C'è, a monte, un problema di qualificazione giuridica del corpo dei vigili urbani (una vexata quaestio non ancora risolta) da ricondurre nell'ambito di una visione di coordinamento tra le forze dell'ordine e di una loro presenza sul territorio. Non escluderei pertanto che per alcune operazioni, senza con questo arrivare ad una soluzione del problema relativo alla qualificazione giuridica dei vigili urbani, possano essere assegnati ad essi compiti di polizia amministrativa, di articolazione, di dislocazione sul territorio in modo da evitare la presenza continua delle forze dell'ordine. SANTI RAPISARDA. Ma ciò comporta un aumento di stipendio! CARLO D'AMATO. Il problema è quello di una loro utilizzazione. C'è la necessità di vedere qualificata l'attività dei vigili urbani, cercando di individuare Pag. 1463 nello stesso tempo un meccanismo di coordinamento che possa, in alcune grandi città, definire itinerari preferenziali e protetti in cui una dislocazione dei vigili urbani ed una diversa presenza dei carabinieri e delle forze di polizia potrebbe dare quella sicurezza di cui oggi si avverte l'esigenza in maniera palmare, anche al fine di ricreare un clima di collaborazione con i cittadini. Sarebbe dunque gradito oltre che proficuo un vostro contributo in proposito. E' stato detto che, su un totale di 8 mila, sarebbero 3 mila i comuni non presidiati (si tratta di un dato molto significativo) e che in alcune zone vi sarebbero caserme dei carabinieri che funzionano a tempo parziale. Avremmo dunque una situazione in cui, da una parte, le forze di polizia sono in servizio 24 ore su 24 e, dall'altra, quelle dei carabinieri che, in alcune zone, dopo le 20,30 attivano il meccanismo di trasferimento delle chiamate telefoniche, dirottandole al servizio del 112 e, in taluni casi, del 113. Per questo motivo penso che nell'ambito di un reale ed efficace coordinamento occorrerà soffermarsi con attenzione su taluni aspetti particolari. E' stata poi sollevata la questione - per altro assai avvertita - relativa alle indagini patrimoniali. Tenuto conto che la legge assegna al questore poteri di accertamento, abbiamo rilevato che il GICO svolge un compito certamente importante, trattandosi di un corpo specializzato ed in possesso di una particolare professionalità, ma il suo organico è obiettivamente insufficiente. Sarebbe dunque opportuno prevederne un incremento in diverse zone (per esempio in quella napoletana ciò è già una realtà), perché con questo particolare corpo si potrebbero continuare ad ottenere successi nella lotta contro la mafia. Nel corso di una missione, a Foggia, della Commissione antimafia (da me presieduta in quell'occasione), si è riscontrata una discrasia fra quanto sostenuto dal questore, secondo il quale la dotazione dei mezzi sul territorio sarebbe soddisfacente, e quanto affermato dai rappresentanti sindacali che, oltre a rilevare un'insufficiente dotazione dei mezzi, una loro inadeguatezza rispetto a quelli in possesso della malavita organizzata, hanno evidenziato anche problemi relativi ai turni di lavoro e ad una utilizzazione squilibrata del personale addetto a vari uffici. Ebbene, mi chiedo se tutti questi aspetti non debbano essere approfonditi maggiormente. Voi vi siete giustamente soffermati sulle grandi questioni, dando alla Commissione un notevole contributo, ma io ritengo che gli aspetti sopra considerati non siano di scarsa importanza perché da essi può derivare un miglioramento del clima di partecipazione e di collaborazione degli agenti. Infine, vi è il problema del trattamento economico (in particolare dello straordinario) e della distribuzione del personale che dovrebbe essere considerato in una logica che tenga conto degli atteggiamenti motivati di tutti gli agenti che sono impegnati in una non facile battaglia. MICHELE FLORINO. Fra le molteplici questioni di ampio respiro che sono state oggi toccate merita una particolare riflessione quella di carattere ideologico anche perché in questa sede si ha l'abitudine non tanto di porre domande quanto di dissertare su aspetti di natura ideologica, in particolare su quello relativo alla legalizzazione o meno della droga, un tema su cui è nota la mia posizione, considerandolo un problema prima di ordine ideologico e poi di ordine pubblico. Sono d'accordo sulla inutilità della figura del segretario generale anche perché essa sarebbe la fotocopia di quella dell'Alto commissario per la lotta contro la mafia. In proposito, non riesco a comprendere la posizione politica dei gruppi che prima hanno criticato la figura dell'Alto commissario, chiedendone la soppressione, e adesso chiedono a gran voce l'istituzione di questa nuova figura che - lo ripeto - ricalca in modo sbiadito ed opaco quella dell'Alto commissario. Pag. 1464 Ritengo che il nodo da sciogliere sia quello del coordinamento, cioè quello determinato dalla conflittualità derivante dalla contrapposizione di sigle e di comandi. Su tale problema, chiarendo che apprezzo lo sforzo notevolissimo delle forze dell'ordine nella lotta alla criminalità, desidero avanzare una domanda provocatoria per comprendere fino a che punto la dissoluzione o l'inquinamento si siano introdotti tra le forze di polizia. Rispetto ad episodi inquietanti che coinvolgono tutori dell'ordine e funzionari dei servizi, quali posizioni e suggerimenti avete dato e ritenete di dare per evitare che in futuro accadano fatti analoghi? Gli operatori di polizia ritengono che le leggi attuali non motivino l'azione degli investigatori nel lavoro anticrimine e che le scarcerazioni troppo facili siano fonte di demotivazione per le forze dell'ordine. Se ciò risponde a verità, quali proposte potete avanzare al riguardo? La terza domanda concerne l'argomento forse più inquietante. Quale posizione assume il sindacato sul ruolo dei cosiddetti infiltrati, che il ministro dell'interno ha definito in questa sede "sporco"? Ciò non tanto in relazione al caso Contrada... PRESIDENTE. Contrada non era un infiltrato; se lo fosse stato non sarebbero sorti problemi! MICHELE FLORINO. Si è parlato di una posizione di infiltrato. Il ministro Mancino parlando di "posizione sporca" ha fatto pensare a questo. Il confine è labile. Non so se abbiate seguito la vicenda di Napoli, dove gli agenti della questura centrale si sono ribellati nei confronti di un loro collega che era un infiltrato e che è stato scagionato da ogni accusa. In che modo ritenete che questo problema possa essere risolto, attribuendo alla polizia chiari compiti di lotta alla criminalità, al riparo da ogni ombra capace di ingenerare inquietanti preoccupazioni nell'opinione pubblica? SAVERIO D'AMELIO. Ritengo di dover innanzitutto ringraziare il SIULP per la sua relazione, che nella sostanza condivido, anche se voglio esporre il mio punto di vista e porre alcune domande. PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO D'AMATO SAVERIO D'AMELIO. Sono convinto che il problema del coordinamento rappresenti la chiave di volta del successo delle forze di polizia nella lotta difficile nei confronti di forze criminali sempre più e meglio organizzate sul territorio. Leggo nella relazione che il SIULP esprime l'opinione che il coordinamento è solo teorizzato, conclamato, ma che in sostanza non esiste. Questa affermazione mi trova sostanzialmente d'accordo. Non condivido invece le soluzioni che il sindacato individua, affermando che, per ottenere un coordinamento efficace, valido e produttivo, nonché vincente, l'unificazione delle diverse forze di polizia deve avvenire sotto un'unica autorità, nel senso che esse devono dipendere da un unico ministero. Tale dipendenza servirebbe soltanto a conferire al ministro dell'interno la capacità di dare ordini destinati a cadere certamente nel nulla. Sono d'accordo invece con voi nel ritenere che l'esperienza della DIA confermi che il tentativo di aggregare attraverso essa le rappresentanze di diverse forze di polizia è l'ulteriore riprova della incapacità strutturale di ottenere tale risultato, perché si ha la sensazione che, per la composizione di SCO, ROS e GICO, ciascuna forza scelga i propri uomini migliori non in funzione di un maggior coordinamento; è mia impressione infatti che all'interno della DIA si trovino le punte avanzate dei carabinieri, della polizia e della Guardia di finanza, capaci di far da referente alle proprie centrali di comando. Ancora una volta quindi potrebbe riprodursi una tendenza allo scoordinamento, perché ciascuna forza fa perno sulle proprie caratteristiche Pag. 1465 e peculiarità per rafforzare se stessa e le proprie prerogative. Se questo è - e mi pare che sia così -, siamo ancora molto lontani dall'aver ottenuto quel coordinamento che appare ormai irrinunciabile. Bisogna avere il coraggio di affermare che la nuova polizia, quella che deve investigare sul territorio, deve essere innanzitutto in grado di assicurare la propria presenza in loco. Al cittadino, infatti, bisogna dare fiducia, mentre spesso si dà una involontaria sensazione di imboscamento. La mancanza di forze sul territorio è il primo elemento destinato a scoraggiare i cittadini e ad incoraggiare la delinquenza. Sono perplesso per la categoricità delle vostre osservazioni nettamente contrarie al segretariato generale. E' chiaro che questo istituto andrebbe meglio definito ma, se vogliamo tendere ad una unicità di comando, esso rappresenta un tentativo, anche se non un punto di arrivo. Personalmente sono favorevole a decapitare i comandi delle tre forze, in quanto ciò che avviene tra SCO, ROS e GICO è la chiara dimostrazione della mancanza di una unicità di azione e di un efficace coordinamento. Colgo l'occasione per porre al presidente della Commissione una domanda: sperando che le cose che si dicono in questa sede non restino, come spesso capita, affermazioni accademiche, desidero ricordare che in occasione di una delle prime audizioni i rappresentanti del comando generale dei carabinieri ci assicurarono che tutte le caserme sarebbero state presidiate. Ebbene, a distanza di sei mesi, ciò non è avvenuto ed ho anzi l'impressione, a giudicare da quanto accade nella mia regione, che nuove caserme, sia pure di piccoli comuni, vengano utilizzate a tempo parziale, con il ricorso alle segreterie telefoniche, che rinviano a non ben identificati numeri, ai quali si riceve risposta quando è ormai tardi per la segnalazione e quindi, a maggior ragione, per l'intervento delle forze dell'ordine al fine di evitare un atto delittuoso. Si tratta anche di un problema di impatto psicologico, dovendosi tendere all'aumento dei presidi funzionanti sul territorio. Il dato fornitoci dal vicepresidente D'Amato circa il fatto che 3 mila comuni sono ancora sguarniti di caserma rappresenta un esempio emblematico, capace di incoraggiare la delinquenza organizzata. Si aggiunga, inoltre, che altri 4 o 5 mila comuni dispongono di presidi dei carabinieri funzionanti a tempo parziale. Non so quale sia la situazione dei posti di polizia. CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Non abbiamo questo problema! SAVERIO D'AMELIO. Pongo tale quesito, pregando il presidente di interpellare l'Arma dei carabinieri al fine di sapere a che punto sia l'eliminazione di questa stortura. Non possono essere addotte in questo caso esigenze di servizio né questioni di spesa. L'ordine pubblico va garantito, costi quel che costi! NICOLA IZZO, Segretario generale aggiunto del SAP. Se non ci riesce il Parlamento, si immagini se potrà riuscirvi il segretario generale! PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE SANTI RAPISARDA. Ai rappresentanti dei sindacati di polizia desidero riferire che numerosi magistrati lamentano che, soprattutto nei piccoli paesi, i sottufficiali e gli agenti di polizia, restando per molti anni nello stesso posto, finiscono per essere assorbiti nel contesto della società civile del luogo e quindi per non operare più con il necessario impegno nello svolgimento del loro dovere. Questo comporta un allentamento del controllo del territorio soprattutto in Sicilia. Pag. 1466 CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Il problema risiede nella mancanza di alloggi da attribuire agli appartenenti alle forze di polizia che devono trasferirsi da un posto all'altro. La carenza di alloggi rende difficilissimi i trasferimenti, soprattutto dalla Sicilia al nord. SANTI RAPISARDA. I comuni potrebbero contribuire a superare questo problema facendo ricorso alla legge n. 167. Durante la mia esperienza di sindaco ho sempre riservato una parte degli appartamenti realizzati dagli IACP per gli alloggi delle forze dell'ordine. PRESIDENTE. Desidero precisare che, in base ad alcuni dati in nostro possesso, l'Italia è il paese d'Europa che dispone del maggior numero di appartenenti per le forze di polizia in relazione alla quantità degli abitanti, ma è solo al sesto posto per quanto riguarda le unità effettivamente utilizzate nei compiti di istituto. Il problema della ottimizzazione dell'impiego delle forze posto dai due segretari sindacali è quindi essenziale. CLAUDIO GIARDULLO, Segretario nazionale SIULP. Desidero formulare alcune considerazioni con riferimento a quanto affermato dal senatore D'Amelio circa la nostra posizione categoricamente contraria al segretariato generale. Rilevo in merito, rispondendo anche agli interrogativi posti dal senatore Calvi, che non vi è da parte nostra alcuna presa di posizione ideologica. Noi compiamo un'analisi estremamente concreta di come questo organismo potrebbe consentire un miglioramento o un peggioramento (il nostro giudizio è in tal senso) degli attuali livelli di coordinamento. Il problema si pone, perché il coordinamento previsto dalla legge n. 121 del 1981 (in modo rivoluzionario rispetto al passato, perché fino a quel momento nessuno sosteneva in Italia che le forze di polizia dovessero essere coordinate) trova il suo limite nel fatto che la norma si è limitata ad individuare i soggetti titolari del potere di coordinamento, senza fissare strumenti capaci di consentire a questi ultimi di verificare il comportamento delle forze da coordinare, modificandolo eventualmente qualora non conforme alle direttive. In tanti anni ci si è limitati ad accrescere il numero di soggetti incaricati del coordinamento. L'esperienza dell'Alto commissariato è fallita perché probabilmente si è trattato di un ulteriore esempio di deresponsabilizzazione: quanto maggiore infatti è il numero dei soggetti titolari degli stessi poteri, tanto più facile, in mancanza di una chiara individuazione delle responsabilità, è la fuga dalle responsabilità. Il segretariato generale non risponde a requisiti di efficacia per quanto riguarda l'azione di coordinamento perché, analizzando gli strumenti a tal fine a sua disposizione, scopriamo che si tratta esclusivamente di conferenze di servizio. Mi auguro che tali conferenze avvengano già senza bisogno di varare una legge; mi auguro cioè che il ministro dell'interno e i comandanti delle varie forze dell'ordine si vedano ben più spesso per stabilire cosa bisogna fare assieme. Per fare questo non c'è bisogno di una legge. L'unico tipo di rapporto ancora stringente il segretario generale lo avrebbe solo nei confronti della Polizia di Stato perché tra il segretario generale, il prefetto e l'eventuale capo della polizia, anch'egli prefetto, vi è un rapporto di dipendenza gerarchica; rispetto ai corpi militari continuerebbe invece a persistere un rapporto di dipendenza funzionale che non farebbe compiere un passo avanti rispetto all'attuale situazione. La nostra proposta non è di unificare le forze di polizia, perché riteniamo che il pluralismo sia un elemento di garanzia, ma di consentire che ciascuna di esse conservi status, professionalità e tradizioni, e da questo punto di vista non intendiamo creare nessuna megapolizia. L'esperienza concreta ha però dimostrato che un coordinamento puramente funzionale Pag. 1467 - nonostante la legge n. 121 abbia dato al ministro dell'interno, autorità nazionale di pubblica sicurezza, alcuni strumenti - non sia sufficiente per ottenere il livello di coordinamento di cui abbiamo bisogno. Riteniamo che solo un rapporto più stringente, di tipo gerarchico, possa assicurare quello che in termini di diritto amministrativo non può più essere definito coordinamento; solo l'elemento gerarchico può consentire piena coerenza fra le direttive emanate in materia di ordine e di sicurezza pubblica e la loro concreta esecuzione da parte di una o più forze di polizia. Questa è la proposta del passaggio dell'arma al Ministero dell'interno. Vi sono due corpi, uno civile e l'altro militare: vi è un esempio chiarissimo in Europa, quello della Spagna, dove la Guardia civile, corpo militare, dipende dal ministro dell'interno allo stesso modo del Corpo nazionale di polizia, che è corpo civile; per tutte le questioni di difesa del paese la Guardia civile dipende invece dal ministro della difesa. Non penso che tale sistema abbia fatto gridare allo scandalo in Spagna, paese che ha un ordinamento non troppo lontano dal nostro dal punto di vista amministrativo. PRESIDENTE. E' il sistema istituzionale più moderno d'Europa perché è stato messo a punto recentemente. CLAUDIO GIARDULLO, Segretario nazionale del SIULP. A dimostrazione di quanto è moderno l'ordinamento spagnolo ricordo che nel regolamento del Corpo della polizia nazionale spagnola, che è di tipo civile, è prevista una sanzione disciplinare in caso di mancata disponibilità ad attuare il coordinamento. La nostra proposta, che - ripeto - è di conservazione, di status e di tradizioni, riguarda soltanto i due corpi con competenze di carattere generale, perché uno dei problemi del coordinamento è la tendenza espansiva a che ogni corpo faccia tutto, cioè si presenti come un corpo a competenza generale che si occupi pertanto sia delle specialità sia del territorio, svolgendo compiti di polizia giudiziaria, di ordine pubblico e di polizia tributaria. Sono d'accordo con quanto affermava l'onorevole D'Amato e cioè che vi è l'esigenza di allargare le competenze in materia di accertamenti patrimoniali; è comunque evidente che rispetto alla Guardia di finanza vi è bisogno di un livello più spinto di specializzazione. La Guardia di finanza deve innanzitutto svolgere funzioni di polizia tributaria, anche ai fini delle indagini sulla criminalità organizzata, e quindi sulle imprese mafiose. Fra l'altro siamo uno dei pochissimi paesi al mondo ad avere una polizia tributaria a carattere militare. Lo status militare va bene per un altro tipo di impiego, cioè per quello di massa: l'attività di polizia privilegia spesso l'autonomia individuale, l'estrema specializzazione, l'utilizzazione di unità operative abbastanza ristrette, e questo vale anche per la polizia tributaria e per l'attività investigativa connessa a questo tipo di compiti. Corollario della nostra proposta non è quindi il passaggio della Guardia di finanza al Ministero dell'interno: la Guardia di finanza, in quanto polizia tributaria estremamente specializzata, trova la sua naturale collocazione all'interno del Ministero delle finanze. La conclusione è che questa è l'unica strada che consentirebbe di fare passi avanti rispetto agli attuali livelli di coordinamento. Il segretariato non sarebbe soltanto una soluzione di facciata, ma un vero e proprio passo indietro compiuto nell'ottica dello smembramento. Quando affermiamo che il questore deve svolgere un ruolo di coordinamento sul piano tecnico-operativo, non pensiamo assolutamente, senatore Cabras, ad un ruolo espansivo del questore rispetto al prefetto, ma immaginiamo che la pubblica sicurezza - che è l'istituto che, ben prima della nascita della Costituzione, ha svolto nel nostro paese un ruolo di guida civile di tutte le attività di pubblica sicurezza - abbia due componenti: una politico-amministrativa, Pag. 1468 rappresentata appunto dai ruoli prefettizi, ed una tecnico-operativa rappresentata dalla Polizia di Stato. La separazione di tali componenti - perché questo avverrebbe con la creazione del segretariato - con la riduzione a corpo della Polizia di Stato comporterebbe uno smembramento dell'organo al quale è sempre stata attribuita la responsabilità dell'ordine e della sicurezza pubblica. Per questo affermiamo che si tratterebbe di un grosso passo indietro. L'unica alternativa, se i tempi non sono ancora maturi per realizzare una riforma di struttura, è rafforzare il modello della legge n. 121 del 1981, potenziando cioè il complesso di organi politico-amministrativi e tecnico-operativi che devono svolgere attività di guida al centro ed in periferia: al centro dovrebbe esservi il direttore generale della pubblica sicurezza, cui andrebbe attribuita anche la qualifica di autorità nazionale (altrimenti ben difficilmente potrebbe esercitare un qualunque potere sui comandanti dei corpi di polizia), mentre in provincia dovrebbe operare il binomio prefetto-questore, laddove quest'ultimo non può semplicemente essere il capo di un corpo in provincia. E' infatti chiaro che, se così fosse, interferirebbe con l'attività di altre forze e non vi sarebbe mai accettazione, da parte dell'Arma dei carabinieri o della Guardia di finanza, delle sue direttive; il questore è, come prevede la legge n. 121, autorità provinciale di pubblica sicurezza su un piano ben limitato, cioè quello tecnico-operativo. Anche la suddivisione della responsabilità fra troppi ministeri su un tema così prioritario e delicato è sicuramente uno degli elementi che alimenta la confusione; la centralità, l'unicità della direzione politica consente al Governo di rispondere meglio, sia in seno all'esecutivo sia di fronte al Parlamento, dell'attività di pubblica sicurezza. Quando vi sono troppi centri decisionali tra i quali è suddivisa la responsabilità politica, ciò va sicuramente a scapito della chiarezza. L'onorevole Grasso ha richiamato la questione delle scorte. I sindacati di polizia non possono indicare, perché non ne hanno gli strumenti informativi, i criteri per stabilire quali scorte siano utili e quali non lo siano; riteniamo che sia più importante conoscere i criteri per l'assegnazione e la revoca delle scorte perché siamo convinti che da questo punto di vista si possa fare qualche passo avanti. Circa un anno fa, al tempo di tremende stragi, avevamo notato che si era in presenza del più alto numero di scorte che l'Italia avesse mai avuto, maggiore persino rispetto agli anni di piombo; anche se abbiamo notato che vi è stata un'iniziativa di riduzione, denunciamo ancora che il numero delle scorte è altissimo e non del tutto trasparente, nel senso che spesso vengono indicati ufficialmente i numeri delle scorte ordinarie, cioè quelle che ogni giorno sono effettuate dai diversi uffici a livello centrale e periferico. Vi sono però centinaia, a volte migliaia, di scorte cosiddette straordinarie che vengono affidate una volta alla DIGOS, una volta alla squadra mobile ed un'altra addirittura ad altri uffici investigativi, che non risultano dai dati ufficiali: spesso sono proprio queste che compromettono la continuità dell'attività investigativa. Immaginate una squadretta all'interno della squadra mobile che oggi deve svolgere compiti di investigazione o di accertamento, domani dovrà fare il pedinamento e dopodomani tre o quattro servizi di scorta: la continuità, che è un elemento fondamentale dal punto di vista dell'attività investigativa, viene in tal modo compromessa. Abbiamo proposto di fissare il tetto massimo di personale da utilizzare nei servizi di scorta e di vigilanza pubblica. Se i comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica ritengono di dover superare tale tetto, devono spiegare quali siano le esigenze eccezionali che lo richiedono. In questo sta la trasparenza. Il presidente ha sollecitato qualche considerazione sulla DIA: la nostra ottica è quella della riuscita di questo esperimento, Pag. 1469 però abbiamo anche la preoccupazione che contemporaneamente vi siano tendenze ed orientamenti... PRESIDENTE. Parlare di esperimento mi sembra un po' riduttivo. CLAUDIO GIARDULLO, Segretario nazionale del SIULP. L'esperimento è dal punto di vista della riuscita e non delle esigenze. L'esigenza della DIA deriva dal fatto che sul piano investigativo vi è bisogno di avere un'ottica unica; anche se l'organo giudiziario è frantumato nel territorio, l'attività investigativa, specie nel campo mafioso che travalica i confini regionali e nazionali, ha bisogno di un centro di informazione unico. Spesso l'attività della DIA è tesa non ad utilizzare le informazioni, gli uomini ed i mezzi delle forze di polizia, ma a recarsi direttamente nel territorio per cercare le notizie di reato seguendo il proprio filone investigativo: la nostra preoccupazione è che se per la DIA verranno attuati progetti di ulteriore separazione, per esempio istituendo un ruolo degli investigatori, ciò provocherà inevitabilmente una reazione delle forze di polizia. Questo è anche un problema di coordinamento. In ordine al coordinamento penso che dovremmo avere imparato che non è sufficiente indicare i soggetti o le norme, ma che è anche necessario prevedere ruoli diversi per organismi che non confliggano fra di loro. La tendenza a separare la DIA dalle altre forze di polizia porterebbe inevitabilmente questo esperimento ad un fallimento che il paese non si può permettere. ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Premetto che nella nostra relazione non abbiamo minimamente toccato gli aspetti di carattere sindacale, sui quali ci riserviamo di farvi pervenire ulteriori informazioni per iscritto. In secondo luogo, poiché abbiamo completa fiducia nell'operato della magistratura, attendiamo l'esito di tutte le iniziative che l'autorità giudiziaria ha intrapreso anche nei confronti di qualche collega o ex collega transitato nei ruoli speciali della Presidenza del Consiglio dei ministri, augurandoci che vi sia un riscontro puntuale delle dichiarazioni dei pentiti prima dell'assunzione di qualsiasi misura. Per quanto riguarda gli infiltrati, la legislazione antidroga prevede che determinati soggetti siano posti sotto copertura. Credo che quella debba essere la strada da seguire e che l'attività investigativa debba essere svolta con i guanti bianchi e non sporcandosi le mani. Ringrazio vivamente la Commissione antimafia per la possibilità offertaci di esprimere alcune nostre valutazioni; ringraziamo anche per la condivisione, almeno in linea di massima, di alcune nostre proposte. Rimaniamo comunque a disposizione, come singoli e come organizzazioni sindacali, per ulteriori approfondimenti di merito su temi specifici di particolare interesse. L'onorevole Grasso ha ricordato la questione delle scorte. Ho raccontato al presidente Violante un fatto emblematico: a Palermo fino a qualche giorno fa non si era riusciti a dotare i colleghi del nucleo scorte di Palermo, che sono circa trecento, degli apparati radio Motorola, che consentono di parlare a lunga distanza, perché il Ministero dell'agricoltura e foreste non aveva concesso di installare un ripetitore nella zona di Montagna Longa. Sono stati necessari otto mesi, ma finalmente oggi abbiamo il ripetitore e gli apparati radio sono a disposizione; è un caso fortuito che, dal mese di luglio ad oggi, non si siano verificati avvenimenti gravi, altrimenti saremmo stati nuovamente costretti a denunciare questi fatti. CLAUDIO GIARDULLO, Segretario nazionale del SIULP. Ed ancora nella provincia di Caltanissetta ci sono zone d'ombra! ROBERTO SGALLA, Segretario generale del SIULP. Rinnovo il mio ringraziamento per questa audizione, ribadendo alla Pag. 1470 Commissione la nostra completa disponibilità, non solo come poliziotti ma anche come sindacalisti. CARMINE FIORITI, Segretario generale del SAP. Da parte nostra vi è la massima disponibilità a fornire tutte le delucidazioni che la Commissione ci chiederà. Per quanto riguarda il problema del trattamento economico percepito da alcuni colleghi in Puglia, devo precisare che nelle zone interessate dal fenomeno mafioso il lavoro straordinario viene maggiormente retribuito rispetto a quello effettuato in altre zone del paese. Purtroppo per la Puglia il dipartimento non ha ancora provveduto ad elaborare le relative tabelle; ritengo tuttavia che tra breve il problema sarà risolto. Per quanto concerne infine la questione delle scorte, devo dire che a nostro giudizio esse devono essere ridotte e che il servizio deve essere espletato meglio. PRESIDENTE. Ringraziamo i nostri ospiti per aver accolto il nostro invito. Il fatto che il SIULP ed il SAP abbiano partecipato insieme a questo incontro rafforza le proposte avanzate. Inoltre le analisi da voi effettuate non sono state formali, ma sono entrate nel merito delle questioni, aiutandoci concretamente nel nostro lavoro. Attualmente ci stiamo occupando del problema della sinergia tra le varie forze di polizia; siamo convinti che il coordinamento verrà in seguito. In questo momento ci accontentiamo che i vari corpi lavorino in modo sinergico tra loro. La principale richiesta da voi avanzata riguarda la rigorosa applicazione della legge n. 121 del 1981, ed infatti il primo problema è proprio quello di applicare le leggi esistenti, altrimenti non si fa altro che riempire e svuotare lo stesso secchio. Vi ringraziamo nuovamente per aver partecipato ai nostri lavori e vi invitiamo a considerarci vostri referenti parlamentari per quanto riguarda sia il versante sindacale sia gli altri versanti. Più specificatamente in ordine alla questione sindacale sollevata da alcuni colleghi, vi saremmo grati se ci inviaste delle vostre note al fine di integrare il lavoro che stiamo compiendo. La seduta termina alle 20,5.