Pag. 1683 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Sostituzione di un membro della Commissione: Violante Luciano, Presidente .......................... 1685 Seguito dell'esame della relazione sui rapporti tra mafia e politica: Violante Luciano, Presidente, Relatore .......... 1685, 1689 1692, 1693, 1694, 1696, 1697 Cabras Paolo .................................... 1695, 1696 De Matteo Aldo ........................................ 1697 Folena Pietro ................................... 1685, 1689 Imposimato Ferdinando ................................. 1697 Mastella Mario Clemente ............................... 1696 Matteoli Altero ............... 1690, 1692, 1694, 1695, 1696 Pag. 1684 Pag. 1685 La seduta comincia alle 9.30. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Sostituzione di un membro della Commissione. PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera, in data 31 marzo 1993, ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia il deputato Clemente Mastella in sostituzione del deputato Vincenzo Scotti, dimissionario. Seguito dell'esame della relazione sui rapporti tra mafia e politica. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame della relazione sui rapporti tra mafia e politica. Proseguiamo la discussione. PIETRO FOLENA. Mi richiamo al giudizio che sulla relazione è stato espresso ieri pomeriggio dal senatore Brutti a nome del gruppo del partito democratico della sinistra. Siamo di fronte ad un documento a mio giudizio di grande valore, che evidentemente è suscettibile di miglioramenti ed evoluzioni ma soprattutto di sviluppi successivi, alla luce degli avvenimenti delle prossime settimane e dei prossimi mesi. Ma è un documento necessario ora - perciò sono nettamente contrario ad ogni ipotesi di rinvio - se si vuole aprire una nuova pagina. Vorrei dedicare questo mio intervento all'interlocuzione con alcuni colleghi. Ho ascoltato quasi l'intero dibattito di ieri pomeriggio e l'ho trovato interessante e ricco anche nella sua parte critica nei confronti della relazione; però, ritengo importante che nel corso di questa discussione non ci esprimiamo semplicemente in merito alla relazione ma cerchiamo di comprendere se e come si possa costruire un ragionamento comune anche con quei colleghi che hanno espresso delle riserve o una contrarietà nei confronti della relazione. In particolare ho ascoltato l'onorevole Sorice ed ho colto nel suo intervento delle preoccupazioni che a me sinceramente sembra non trovino fondamento nel testo che ci è stato sottoposto; preoccupazioni che potrebbero essere legittime ma che sono estranee rispetto al testo e al fondo del nostro dibattito, quasi che vi fosse da parte di qualcuno l'intenzione di mettere sotto processo o sotto accusa un partito politico, la sua storia, il suo patrimonio, la sua cultura politica. Voglio dirlo con chiarezza: non si tratta di questo. Certamente per quello che riguarda il mio gruppo, il PDS, non si tratta di questo. Non voglio scomodare interventi di parlamentari dell'allora partito comunista italiano che, nel corso dei decenni che abbiamo alle spalle (da Li Causi a La Torre), rifuggivano pur in tempi molto duri, di grande semplificazione, nei tempi anche della guerra fredda, da ogni semplificazione e da ogni accusa generica a tutto un partito o a tutta una storia: non si tratta di ciò e la relazione è estremamente chiara su questo punto. Allora, ritengo che dovremmo soffermarci prima di tutto su alcune affermazioni che sono, a mio giudizio, le colonne Pag. 1686 portanti della relazione, per capire se siamo d'accordo con esse. Mi riferisco, in primo luogo, alla distinzione essenziale tra responsabilità penale e politica. Le pagine da 10 a 12 rappresentano un passaggio in avanti che dovrebbe essere positivamente valutato da tutti, sia nelle forze che hanno avuto responsabilità di Governo negli anni e nei decenni che abbiamo alle spalle sia forze che hanno avuto o hanno responsabilità di opposizione. E' essenziale, questa distinzione, e il documento ci aiuta e ci fa compiere un passo in avanti nella definizione quasi formale - se così si può dire - di che cosa sia la responsabilità politica e quindi dell'autonomia della politica, delle forze e degli organi politici nel sanzionare e sancire la responsabilità della politica. Ci aiuta a farlo anche al di là della mafia: le affermazioni contenute nel documento sulla responsabilità della politica possono essere tout court riprodotte per quello che riguarda le tangenti e la corruzione. Devo dire che non è una novità assoluta perché già la Commissione Chiaromonte aveva anticipato, soprattutto in materia di candidature alle elezioni locali, regionali e nazionali, questo principio attraverso il codice di autoregolamentazione. Si tratta di estenderlo, di allargarlo, di considerarlo non solo un regolamento da sottoscrivere in determinate circostanze ma un principio ispiratore di ogni parte dell'attività politica. Si dice che i giudici fanno politica o che si sostituiscono alla politica: i giudici cercano di accertare le responsabilità e noi dobbiamo salutare positivamente il fatto che finalmente ci sia un nuovo dinamismo nella ricerca e nell'accertamento delle responsabilità di tipo penale. Però, voglio fare una considerazione politica: è evidente che, nell'equilibrio fra i poteri dello Stato, quando manca la responsabilità politica, il vuoto che si crea tende ad essere occupato da altri poteri. Questo problema, in prospettiva, non possiamo non vederlo, per cui dobbiamo dare - io lo do, senza problemi (mi pare che la riflessione sia stata fatta dal collega Sorice e da altri) - un giudizio assai critico sul ruolo svolto per molti decenni da una parte consistente del potere giudiziario in Sicilia, tant'è vero che i giudici Terranova, Costa, Chinnici, Ciaccio Moltalto, Rosario Livatino - non voglio rifare l'elenco - sono stati, soprattutto i primi, per un periodo, delle mosche bianche all'interno di un potere giudiziario che aveva una forte consuetudine e internità al potere politico e a un sistema di relazioni. A questo proposito, voglio dire che il rinnovamento della politica non riguarda un partito, la democrazia cristiana, o chi ha governato, riguarda tutti; si tratta di una condizione vitale, preliminare e pregiudiziale perché si possa pensare ad una fase nuova. Lo stesso si può dire per l'autonomia della politica. Si aggiunge nella relazione che la responsabilità politica è su fatti specifici e che bisogna non confondere - questo è un altro passaggio importante - la responsabilità politica con la lotta politica ma semmai con un uso politico, strumentale della lotta contro la mafia. Anche questa mi sembra un'affermazione di grande importanza: non sempre chi si è opposto si è attenuto a questo comportamento e penso che anche qui ci sia una sfida di tipo nuovo. Evidentemente dire che la responsabilità politica è su fatti specifici, è individuale, non ci può impedire - del resto la relazione non lo fa - di fornire non sentenze ma un giudizio su gruppi, su componenti, su indirizzi prevalenti nei partiti (i quali fanno congressi, cambiano le maggioranze, gli orientamenti e le posizioni), su decisioni e su fasi politiche. E nella relazione è contenuto un giudizio su quella fase politica che è stato il milazzismo, al quale la grande maggioranza del gruppo della democrazia cristiana non partecipò e che chiama in causa le responsabilità non della democrazia cristiana ma di altre forze politiche. Penso che sia equilibrato e corretto porre le questioni in questi termini. La seconda questione riguarda i pentiti. Su di essa si sono soffermati in particolare i colleghi Sorice e Taradash, i Pag. 1687 quali hanno affermato che la relazione è un collage di testimonianze dei collaboratori di giustizia (c'è una forzatura in questa mia affermazione, e ve ne chiedo scusa, ma è giusto che discutiamo in modo anche un po' vivace per non rendere accademico il nostro confronto). Mi pare sinceramente che questo sia uno svilimento del nostro lavoro. Nei mesi trascorsi abbiamo sentito i magistrati, le direzioni distrettuali antimafia di tutta la Sicilia, abbiamo sentito in modo approfondito i rappresentanti delle forze dell'ordine e soprattutto dei reparti impegnati prevalentemente nella lotta contro la mafia, abbiamo sentito i collaboratori di giustizia. La relazione è il frutto di questo insieme di audizioni, lette alla luce di affermazioni che già erano state fatte da precedenti Commissioni parlamentari antimafia. Non possiamo non rileggere o non riprendere in mano la relazione Cattanei o altre relazioni anche su temi specifici; penso a quella su mafia e banditismo in Sicilia della Commissione Cattanei, che ha più di venti anni e che contiene affermazioni a proposito degli Stati Uniti d'America e del rapporto fra il potere della mafia e la guerra fredda che ieri pomeriggio scandalizzavano il collega Taradash. Non si tratta qui di dire che vi sono il diavolo e l'impero del male: c'è stata la guerra fredda, laicamente e come in nome della guerra fredda, nell'est, sono state compiute cose infami, sono state costruite dittature ed è stata sospesa la democrazia, all'interno dell'area occidentale vi è stato il tentativo di usare anche mezzi illegali, semilegali, eversivi, parzialmente eversivi per tutelare quel sistema della guerra fredda. Laicamente e storicamente non vi è uno squilibrio in questo giudizio: è un dato di fatto che appartiene non solo alle modalità della preparazione dello sbarco alleato in Sicilia ma anche ad una collocazione che vi è stata almeno per il periodo storico (fino alla fine degli anni sessanta) in cui le ragioni di questa contrapposizione dovuta alla guerra fredda sono state dominanti. Dagli anni settanta la situazione è stata diversa e si sono prodotte alcune aperture. In realtà, la relazione ha tenuto conto di questo insieme di fatti e, quanto ai collaboratori di giustizia, tutto si può dire tranne che vi sia stato un atteggiamento di ricezione acritica di quanto è stato detto. La Commissione ha assunto un atteggiamento problematico, come testimoniano tutte le domande fatte nel corso delle audizioni, e vi sono stati l'accortezza e il rifiuto di entrare nel merito di questioni delle quali si sta occupando la magistratura, cioè nell'accertamento della responsabilità penale. Tra i collaboratori abbiamo sentito quelli che vengono considerati più attendibili e la Corte di cassazione, come ha ricordato ieri il senatore Florino, per quello che riguarda per esempio l'istanza di annullamento dei provvedimenti restrittivi nei confronti del dottor Contrada, ha espresso un giudizio la cui validità dovrebbe essere considerata da tutti noi. La chiave di volta politica della relazione è rappresentata dal riconoscimento della soggettività autonoma di Cosa nostra; ciò significa pensare al modo in cui Cosa nostra ha costruito questa soggettività ed un sistema di alleanze, di patti, di accordi, nell'ambito di quella che nella relazione viene definita come una coabitazione con altri poteri. A questo punto, vi è una doppia polemica: ho ascoltato il collega Sorice sostenere che vi sono due tesi ma non ho compreso bene se intendesse dire che ne occorre una terza oppure che la sua posizione si riferiva alla prima. In sostanza, le posizioni consistono nel considerare la mafia come fenomeno meramente criminale oppure come sottoposta ad un cervello politico, tesi che è stata sostenuta esplicitamente dal senatore Florino e che non condivido. Con la relazione si porta avanti una polemica in due sensi, innanzitutto contro l'idea della mafia intesa come criminalità semplice o anche come criminalità organizzata di tipo classico, poiché in tal modo non coglieremmo la specificità di Pag. 1688 un'organizzazione criminale che fa del controllo del territorio, della decomposizione istituzionale e della costituzione all'interno dello Stato di altri staterelli (o di uno Stato nello Stato) la propria natura. La criminalità organizzata nella sua normalità (se così si può dire) non presenta tali caratteristiche. Dall'altro lato, portiamo avanti una polemica esplicita contro l'idea di una mafia dipendente da altri poteri: che cosa vuol dire che il quartier generale è un altro? Il quartier generale di Cosa nostra è il quartier generale di Cosa nostra e Riina era, fino a prova contraria, il capo di questo quartier generale di Cosa nostra. Altra cosa è vedere che vi sono stati altri quartieri generali di altre strutture che si sono alleati: accade infatti nelle guerre che possano intervenire cambiamenti di alleanze e così è avvenuto che Cosa nostra ha stretto alleanze con altri quartieri generali. Vi sono responsabilità penali da accertare nei confronti di altri quartieri generali (esse vanno accertate e si stanno accertando), ma non si può far venire meno la specificità della lotta non contro la mafia militare, perché accettando tale dizione si presupporrebbe che esiste anche la mafia politica. No, Cosa nostra, la mafia, è un organismo che ha un suo quartier generale e una sua struttura. Esiste poi un sistema di alleanze formato da diversi soggetti, in cui Cosa nostra è uno dei contraenti di un patto oppure uno dei soggetti che si trovano all'interno di una coabitazione. Alla fine, le due tesi apparentemente opposte (la mafia intesa come fenomeno meramente militare oppure come dipendente dalla politica) rischiano di essere speculari e di riportarci a un antico adagio che conosciamo bene, quello secondo cui la mafia, nella sua originalità e specificità, non esiste. Poniamo invece l'accento sulla mafia intesa come sistema di relazioni: vorrei ricordare, al riguardo, quanto Giovanni Falcone ha affermato in varie occasioni, e in modo particolare nel libro Cose di Cosa nostra, un best seller che ormai da circa un anno è ai vertici delle vendite, laddove egli afferma: "Credo che Cosa nostra sia coinvolta in tutti gli avvenimenti importanti della vita siciliana, a cominciare dallo sbarco alleato in Sicilia durante la seconda guerra mondiale". Successivamente aggiunge: "Non mi si vorrà far credere che alcuni gruppi politici non si siano alleati a Cosa nostra per un'evidente convergenza di interessi, nel tentativo di condizionare la nostra democrazia ancora immatura eliminando personaggi scomodi per entrambi". Condivido questa affermazione, che non è generica, non "spara nel mucchio" ma corrisponde ad una verità storica. All'interno della relazione si affermano queste cose e io stesso sottolineo che si tratta non di mettere sotto accusa un partito politico o la sua storia ma di leggere un'intera vicenda; ne è una prova quanto è avvenuto dagli anni settanta in poi: nel momento in cui i corleonesi si affermavano ai vertici di Cosa nostra, in quello stesso momento si stava aprendo in Sicilia un grande processo politico di rinnovamento. Vi sono state le vicende che riguardano l'onorevole Lima o altri uomini politici che negli anni sessanta si erano affermati nella città di Palermo e nella Sicilia occidentale, ma nella democrazia cristiana vi è stato anche Piersanti Mattarella e vi è stato il grande filone del cattolicesimo democratico che, cadute o allentatesi le ragioni della guerra fredda, è venuto allo scoperto apertamente e liberamente, in modo tanto più sofferto perché spesso si trattava anche di liberarsi da condizionamenti di relazioni personali o familiari. I collaboratori della giustizia ci hanno raccontato qualcosa al riguardo: si dice che Bernardo Mattarella aveva avuto negli anni cinquanta (nell'ambito del blocco agrario) rapporti con settori della criminalità. E' stato quindi straordinario, difficile e importante che una giovane generazione, persino i figli, aprissero una strada nuova. Si tratta quindi non di mettere sotto accusa qualcuno ma anzi di riconoscere un fatto politico che si è verificato ed al quale Cosa nostra ha Pag. 1689 risposto col fuoco, uccidendo non solo l'oppositore Pio La Torre o i giudici che volevano le sanzioni, ma anche persone all'interno della democrazia cristiana (non si trattava soltanto di Mattarella ma era nata una grande corrente che era, se non maggioritaria, comunque molto forte in quegli anni). Questo è stato il tentativo e purtroppo quanto è avvenuto dopo la stagione dei delitti politici è stata una vittoria della mafia, perché il rinnovamento che era cominciato in quegli anni è stato di fatto interrotto, malgrado i tentativi di tenerlo in vita. Nella relazione si fa riferimento alla questione delle altre entità in modo molto equilibrato, in quanto non sappiamo di più e citiamo quanto è avvenuto: sarebbe estremamente interessante poter contare, in futuro, non solo su collaboratori di giustizia provenienti dalla criminalità o, per quanto riguarda la corruzione, dall'interno del mondo politico, ma anche su nuove collaborazioni di alcuni di quelli che furono i protagonisti del terrorismo, delle stragi e di taluni settori deviati dei servizi. Tornando al punto politico, negli anni ottanta si è verificato uno scontro: non dobbiamo dimenticare che la democrazia cristiana è stata commissariata (segretario l'onorevole De Mita) ed é stato portato avanti, proprio dopo la fase dei delitti politici, un significativo tentativo di rinnovamento, che purtroppo rientrò rapidamente. L'ex sindaco Insalaco, qualche giorno prima del suo assassinio, rilasciò una nota intervista a proposito di questo tentativo di rinnovamento e le sue frasi sono estremamente drammatiche. PRESIDENTE. A quando risale l'intervista di Insalaco? PIETRO FOLENA. L'intervista fu rilasciata qualche settimana prima del suo omicidio: fu commesso nel 1988 e l'intervista risale alla fine del 1987. Insalaco affermava: "La DC siciliana è un partito a pezzi; l'hanno ridotto a una società per azioni dove ogni capo corrente non molla il suo pacchetto di tessere e cerca in qualunque modo di conquistarne altre. La battaglia per il rinnovamento? Parole e proclami. Il congresso regionale di Agrigento (che era quello in cui la DC aveva assunto un impegno contro la mafia) è un lontano ricordo, sono tornati i vecchi notabili...". L'intervistatore chiese: "Una settimana fa De Mita è venuto in Sicilia per mettere ordine nella Babele delle correnti e dei potentati del suo partito". Insalaco rispose: "Tutta la base era convinta che la visita di De Mita avrebbe coinciso con l'inizio della nuova era della chiarezza ma, tirando le somme, è stata un'illusione". Si esprime in sostanza una critica politica. Ho ripreso tale intervista non per affermare che Insalaco avesse ragione o torto, dal momento che non lo so; so però che già in quel momento era abbastanza chiaro che un tentativo di rinnovamento era stato imprigionato e bloccato. Allora, ha veramente ragione il collega Ferrara Salute (egli ha svolto ieri un intervento che mi sento di sottoscrivere in toto): se il partito repubblicano ha fatto i conti con la presenza di Aristide Gunnella o con il sistema di relazioni che a lui faceva riferimento, ciò non ha significato gettare un'ombra sulla cultura, sulla tradizione, sulla funzione che questo partito ha svolto o svolge. Ciò significa invece tagliare qualcosa che ha contribuito ad offuscare un'immagine, una credibilità e un ruolo. Ritengo allora - concludo - che questo sia un giudizio politico da trarre sugli anni che abbiamo alle spalle, e soprattutto sugli anni ottanta, perché dopo la stagione dei delitti e dopo il fallimento del rinnovamento, in una parte consistente della società siciliana (dobbiamo ammetterlo) e talvolta anche nelle forze di opposizione, è caduta l'idea della pregiudizialità, della preliminarità della lotta alla mafia: vi è stata l'illusione di poter convivere, di potersi adattare. Ricordo che, ancora alla fine degli anni ottanta, si svolgevano convegni intitolati "non solo mafia"; se era certamente Pag. 1690 giusto l'intento di dimostrare al mondo e all'Italia che la Sicilia non era solo mafia, questa frase, che a Milano o a Stoccolma può essere apprezzata, detta a Catania o a Palermo rischia di assumere un altro significato, del tutto opposto, a prescindere dalle intenzioni; non intendo muovere un processo alle intenzioni ma citare un dato di fatto: l'Agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno, il meccanismo della spesa pubblica, l'uso della regione (diventata quella che un giornalista ha definito la "macchina meravigliosa" della regione siciliana), tutto questo ha contribuito, anche se probabilmente in maniera inconsapevole, a far crescere quel dominio. La scorsa settimana abbiamo affrontato la questione degli affitti e degli appalti nelle scuole e abbiamo dimostrato quale tipo di rapporto si sia instaurato nel concreto di Palermo per quanto riguarda tali affari. Questa caduta di pregiudiziali e di valori ha rappresentato un fatto drammatico; i pentiti hanno formulato alcune accuse, oggetto di valutazione da parte della Camera per quanto riguarda le richieste di autorizzazione a procedere, non contro parlamentari membri di Cosa nostra ma contro parlamentari che, per avere piccoli pacchetti di voti, sono andati a trattare, si sono fatti accompagnare con la macchina dai guardaspalle di Cosa nostra e così via. Credo che siano caduti anche in una parte della classe politica siciliana, e non solo siciliana, alcuni valori e principi. Può comunque accadere anche che lo stesso parlamentare accusato di aver stretto questi accordi, e contro il quale è stata richiesta l'autorizzazione a procedere, abbia presentato in Parlamento, come primo firmatario, una proposta di legge (il mio non è un paradosso ma un dato di fatto) per togliere il diritto di voto ai sospetti mafiosi. Questo è accaduto: l'onorevole Maira, sul quale non esprimo giudizi ma che è oggetto di una richiesta di autorizzazione a procedere, ha presentato, come primo atto legislativo, una proposta di legge che aveva proprio quell'oggetto. Non lo dico per sostenere che l'attività legislativa non conta, perché essa è importante (per cui è giusto l'argomento sostenuto da alcuni colleghi che hanno sottolineato la necessità di verificare l'attività legislativa), ma conta soprattutto l'applicazione delle leggi e l'organizzazione concreta e quotidiana dello Stato; conta, cioè, il modo in cui si dispongono le forze e si costruisce la legalità. Per tali ragioni non sono favorevole ad un rinvio e credo che sia ancora possibile svolgere un dibattito sereno con i colleghi di tutti i gruppi, anche con quelli che hanno criticato la relazione. Auspico anzi che nelle prossime ore vi sia un ascolto reciproco, perché dobbiamo sforzarci non di costruire giudizi sommari ma di mettere in campo una linea credibile per avviare una fase nuova. Ritengo che questo sia lo sforzo che compiamo, permettendo anche a chi ha sbagliato (politicamente, non penalmente) di correggersi e di seguire altri comportamenti. Questo è, a mio avviso, un aiuto che possiamo dare per costruire una cultura della legalità e una nuova fase. ALTERO MATTEOLI. Signor presidente, una delle poche cose che si evince dalla relazione è l'esistenza di un rapporto mafia-politica-istituzioni. Non è un fatto da poco, perché mai una Commissione antimafia aveva licenziato una relazione che mettesse in luce questo aspetto, essendo state le relazioni approvate dalle varie Commissioni sempre più generiche. Non per citare un personaggio del mio partito - tra l'altro, scomparso, ma ricordato da tutti e addirittura da Sciascia in un intervista televisiva a Parigi - ma l'onorevole Niccolai aveva presentato una relazione che è citata da tutte le parti nella storia delle tante Commissioni antimafia. Il resto della relazione porta in sé un concetto che non condivido, cioè che il sistema politico non è un sistema mafioso ma è un sistema che ha avuto al proprio interno la mafia: così lo ha sintetizzato il Pag. 1691 presidente nell'illustrazione della relazione, ma il concetto è questo. Ritengo che il problema di fondo della mafia sia stato rappresentato dal fatto che per tanti anni la mafia è stata considerata come un problema giudiziario e non come un problema politico e questo ha allontanato evidentemente la soluzione. Questo è il nodo di fondo. Allora, a nostro modesto avviso, per capire è opportuno soffermarci qualche minuto su un'interpretazione storica critica: il ruolo paradossale della mafia nella società italiana deriva dalla profonda ambiguità politico-culturale di Cosa nostra. Dice il pentito Calderone: "Mio fratello quando vedeva un uomo d'onore lavorare nei campi diceva: 'che brutto vedere un uomo d'onore che fa lavori così umili'"; in questa frase c'è un mentalità di élite che ci fa capire come nasce la mafia. Quindi, la mafia è da una parte l'erede delle confraternite antiunitarie che portarono al cosiddetto brigantaggio o, se vogliamo, alla guerra civile del Sud inserito nel regno d'Italia; insomma, la lotta della servitù della gleba contro gli obblighi formali della società di diritto e del capitalismo che ancora non esisteva. E fasce importanti della cultura cattolica hanno oggi ripreso certe tematiche contro la cosiddetta società moderna. Non è un caso che i referenti di tale cultura - il sodalizio Andreotti-Sbardella, assai forte fino a poco tempo fa - siano coloro che sono i più legati agli uomini politici più chiacchierati e purtroppo assassinati nel Sud. Altro aspetto importante è quello relativo al legame tra l'onorata società e il potere centrale. Lo Stato monarchico unitario non ha mai avuto - salvo eccezioni: la Toscana - la possibilità di comunicare direttamente con quella che oggi si chiama società civile. Gli squilibri di bilancio e di consorterie e soprattutto il dover governare realtà lontane e arretrate portarono l'amministrazione savoiarda ad appoggiarsi ai notabili locali del Sud e quindi della mafia, che diventò il braccio diretto al controllo e all'impoverimento dei ceti popolari. Ecco quindi la mafia agraria: la gestione del favore, delle basi della produzione agricola (l'acqua, le sementi, il capitale), al fine di garantire la rendita parassitaria delle famiglie tradizionali e la stabilità sociale delle campagne, bene primario dei "piemontesi" (detto tra virgolette). La mafia in quel contesto diviene indispensabile per chi vuole governare il Sud senza traumi. Quindi, mafia come perenne ambiguità, struttura feudale che diventa braccio secolare del regime laico, liberale e massonico di un'Italia forse troppo presto e male unita. Una delle ipotesi di questo lavoro è che tale ruolo ambiguo, codificato anche nei tradizionali rituali paramassonici carbonari di 'ndrangheta e camorra (dove il massimo grado è ancora il "garibaldino"), è una spia rilevante di quel che ancora oggi è Cosa nostra. Essa era, e sotto certi aspetti è ancora, l'interfaccia tra società moderna e feudalesimo delle campagne, tra capitalismo asfittico e rendita parassitaria agricola, tra Stato unitario e consuetudini locali. In questo senso, capire la mafia vuol dire capire la struttura del potere italiano: ecco perché è tutto mafia, è tutto P2. La mafia è quella struttura costante che ha permesso la stabilità di una classe politica parassitaria in presenza di un forte frazionamento sociale: il voto gestito dalla mafia e le sue risorse economiche sono stati una garanzia, a cavallo tra il nuovo e il vecchio, tra gli scontri sociali del capitalismo italiano ed europeo e le masse elettorali del centro Sud. Il meccanismo è saltato, a mio avviso, quando la crisi fiscale dello Stato non ha consentito più di nascondere i pagamenti delle prestazioni elettorali che sostenevano le lobbies transpartitiche di regime. Quindi, la fine della politica di spesa allegra determina la crisi della mafia, che da quel momento è costretta a ricorrere a procedure finanziarie pericolose: ecco gli appalti, ecco la droga, procedure di finanziamento che hanno reso redditi fortissimi ma insicuri, che necessitano di ampie e costanti coperture a tappeto, nelle quali la presenza di strutture dello Pag. 1692 Stato è indispensabile. Quindi, stabilire l'interfaccia tra la mafia degli appalti e quella della droga vuol dire definire il nucleo, sempre meno nascosto, del potere dell'attuale classe politica di regime. E quindi, se vogliamo andare a vedere la struttura del potere mafioso, la mafia è mediazione: un potere politico malsicuro vuole stabilità elettorale e contraccambia con appalti e libertà di manovra sul territorio. Basta pensare che Riina è vissuto a Palermo per oltre vent'anni muovendosi indisturbato, è vissuto intorno a Palermo o addirittura nel centro della città per vent'anni! PRESIDENTE. Per ventitré anni. ALTERO MATTEOLI. Quindi, gli appalti vogliono dire denaro che tenga calmo il proletario, controllato da tanti rivoli del potere, e che permetta boccate di respiro al ceto medio privo di tante risorse. Basta pensare, lo abbiamo visto dalle carte, che il generale Dalla Chiesa a Palermo rifiutava gli inviti del ministro Ruffini, nipote di un cardinale - uomo che si dice legato ai Salvo, probabilmente uomo d'onore - perché sapeva che egli viveva in un appartamento di proprietà dei Salvo: lo abbiamo appreso da una serie di documenti e di dichiarazioni. Nelle trame della mediazione - politici più mafia più elettorato; politici più mafia più potere centrale - Cosa nostra acquista legittimità e quindi stabilità. Essa è centrale in ogni trattativa, guadagna sempre, è capace di gestire un mercato di favori politici facendoli monetizzare subito e al miglior prezzo. Da ciò, Cosa nostra trova quei capitali indispensabili per indirizzarsi verso il grande mercato mondiale della droga. La mafia, quindi, detiene una quantità di potere enorme, perché è reale e cede parti di legittimità a poteri vicari: politici, pubbliche amministrazioni, imprenditori. E' utile ora - e la relazione non lo fa - vedere come le tecniche di gestione del credito da parte delle grandi banche, infeudate a politici spesso legati a Cosa nostra, almeno indirettamente abbiano garantito spazi e possibilità di espansione ad attività paracreditizie che hanno pian piano assunto un ruolo leader nel mercato, anche in assenza di una vera disposizione al credito da parte delle banche, che ormai sono in tutt'Italia ubriache della rendita dei BOT. Non dobbiamo dimenticare che la droga è merce ricchissima. Il rapporto - ce lo ha detto il pentito Mutolo ma anche altri - tra spesa per la materia prima e rendimento finale è di circa 1 a 6 e per la cocaina è maggiore che per l'eroina. Ricordiamoci che in passato il Parlamento acclarò in Commissione P2 che le banche di Sindona in Svizzera erano le stesse di cui si servivano i mafiosi per fare i pagamenti della droga. E tanto più la spesa statale si inserisce in meccanismi di inflazione, tanto più la mafia ha bisogno di un mezzo che le faccia da moltiplicatore. Dobbiamo quindi capire meglio il nesso tra Cosa nostra e il potere, visto che è questo che ci interessa, piuttosto che fare una sia pur utile analisi delle origini della mafia. Quindi, Cosa nostra è potere politico vicario in quanto controlla i meccanismi elettorali, che altrimenti sarebbero vacui e altamente insicuri, e controlla i criteri di concorrenza della classe politica. Poi fa da camera di compensazione, nel senso bancario del termine, tra mercati illegali e mercati legali, tra appalti e droga, tra organi dello Stato e necessità di sopravvivenza della classe politica. Ora, è pacifico che un sistema politico cresce di legittimità quando mantiene aperti i contenziosi; altrettanto pacifico è che quindi i politici di regime abbiano gestito l'antimafia in rapporto con Cosa nostra. Calderone, Buscetta, Messina dicono che anche quelli dei mafiosi sono voti che servono per essere eletti. E il dottor Alicata, procuratore capo di Catania, dice che "possono gli eletti con voti mafiosi a determinare maggioranze", e che "i politici parlano contro la mafia in pieno accordo, uscendo magari dalla casa di un uomo d'onore". Insomma, nella misura in cui la mafia è organica a questa classe politica, essa stessa si divide Pag. 1693 in struttura palese e occulta e il nesso, a mio avviso, ha tre fasi. La prima fase è una classe politica che non trova la capacità di portare al potere veri statisti (è ormai chiaro); quindi, la legittimità viene dalle aree elettorali che sono in stretto contatto con la mafia. E' una specie di vendetta del cardinale Ruffo contro Garibaldi e Cavour. La seconda fase: l'apporto ha un costo evidente e uno occulto. Quello occulto, anche se sempre meno tale, è dato dalle mani libere per gli affari, con tangenti agli uomini di regime; quello evidente sono gli appalti. Messina dice che c'è un filone degli appalti dove i mafiosi e i politici si dividono le percentuali: 4-5 per cento alla mafia, 4 per cento ai politici. In fin dei conti, i politici - lo dice sempre Messina - mutuano dalla mafia il sistema. Non sono tra quelli - l'ho detto tante volte in questa Commissione, nella quale sono uno di quelli che forse tedia di più, perché intervengo sempre - che dicono che i pentiti sono il verbo; però, non è nemmeno possibile - come ho sentito dall'intervento del collega Sorice - considerare i pentiti come il verbo quando parlano contro altri mafiosi, contro giornalisti, contro direttori di carceri, contro i magistrati e poi non considerarli più credibili, per cui tutto ciò che dicono è falso, quando parlano dei politici. I pentiti sono dei criminali e tutto ciò che dicono deve essere vagliato, ma non da noi, dalla magistratura; noi possiamo solo fare considerazioni ma o sono credibili nel loro complesso, dopo opportuni accertamenti, o non lo sono mai. Per tanti anni è stato considerato importante ciò che essi dicevano; ora lo sarebbe meno perché hanno cominciato a fare i nomi di politici. Ricordiamoci cosa Buscetta disse a Falcone: "Non mi far parlare dei politici se no non vai avanti e ti bloccano subito". Se politici e mafia hanno un unico obiettivo - il controllo del territorio in funzione della stabilità del loro potere -, allora è vero quello che dice Messina, cioè "voi e la mafia fate lo stesso lavoro": i politici hanno copiato il sistema dalla mafia. La terza fase: controllo politico del territorio extramafioso. Sotto questo profilo, alle operazioni internazionali di Cosa nostra sono necessarie coperture che offrono megarisorse indispensabili per gestire gli apparati politici ed amministrativi. In sintesi, intendo dire che l'attuale guerra di mafia rappresenta la risposta di Cosa nostra a due convincimenti. Il primo è che non esiste più un tramite privilegiato: democrazia cristiana e partito socialista sono delegittimati ed in caduta elettorale verticale, gli altri non sono ancora buoni per Cosa nostra. Il secondo convincimento è che, in carenza di punti di riferimento, per Cosa nostra non resta che la strategia del terrore: lo Stato che non c'è più rende nervosa Cosa nostra e ne alza il tasso di criminalità. Tanto vale, allora, incutere paura. Ecco quindi che riemerge la linea separatista. Si tratta di una scelta che potremmo definire imprenditoriale. Gli appalti non sono più sicuri così come non lo sono i controlli sulla classe politica, sempre meno ricattabile perché debolissima; pertanto Cosa nostra pensa di costituirsi in Stato per diventare una Malta più grande, un paradiso fiscale, una lavanderia di capitali sporchi. Altre mafie si affacciano nel mondo: Cina, Giappone, aree perdenti degli USA, Colombia. Si occupano di droga, di traffico di armi, di estorsione e gioco d'azzardo. La mafia siciliana potrebbe, se separata, riciclare capitali sporchi di tutto il mondo. PRESIDENTE. Onorevole Matteoli, mi scusi se la interrompo, ma debbo informare i colleghi che il Presidente Spadolini e il Presidente Napolitano hanno chiesto la sconvocazione della Commissione per la concomitanza con votazioni alla Camera e al Senato. Del resto, se ricorda, avevamo già deciso di sospendere alle 10. Pag. 1694 ALTERO MATTEOLI. E' previsto che la seduta odierna della Camera inizi alle 11, comunque prima delle 10,30 io finisco. PRESIDENTE. In tal caso, lei dispone di 5 minuti ancora per concludere il suo intervento. ALTERO MATTEOLI. Dicevo che in tale contesto, il voto di scambio rappresenta un falso problema. Per Cosa nostra non si tratta più di controllare l'elettorato (attività nella quale è maestra), ma di controllare la classe politica. Quanto alla proposta di relazione in esame, ho trovato di cattivo gusto e considero una forzatura inaccettabile il fatto di usare la relazione stessa per propagandare le posizioni del "sì". Oltretutto, le valutazioni relative ai sistemi proporzionali e maggioritario non corrispondono al vero, così come non è vero il discorso sulla distinzione tra collegio piccolo e grande. In un collegio piccolo, infatti, il mafioso viene scelto. A tale riguardo ricordo quanto ci disse un magistrato, se non sbaglio il procuratore di Caltanissetta, il quale portò l'esempio del figlio di un mafioso al quale Cosa nostra garantisce l'istruzione ed il conseguimento della laurea per poi assicurarne l'elezione a sindaco. E' più facile far eleggere un mafioso in un collegio piccolo piuttosto che in un collegio grande. Comunque, a prescindere da tali considerazioni, l'aver voluto usare la relazione per propagandare il "sì" lo trovo di cattivo gusto. E spero, indipendentemente dalle decisioni che adotteremo in merito, che questo riferimento sia soppresso nella stesura definitiva, anche perché si tratta comunque di una forzatura. Tra gli interventi svolti ieri dai colleghi, mi ha colpito in particolare quello del senatore Ferrara Salute, che ascolto sempre volentieri e del quale riconosco la lucidità. Il senatore Ferrara Salute ha pronunciato un intervento che, seppur lucido, ha proposto una filosofia che non condivido. In pratica, egli ha sostenuto che è vero che la mafia ha aiutato l'attuale sistema a scacciare il fascismo ma che comunque sarebbe meglio non parlarne, per evitare di provocare danni al sistema già in crisi. Ritengo che affermazioni di questo genere, soprattutto se si considera la persona dalla quale provengono, rappresentino una sorta di "caduta": non è certo da Ferrara Salute fare dichiarazioni di questa natura! Il collega Ferrara Salute, inoltre, ha suggerito in pratica di non parlare della massoneria in considerazione del fatto che vi sono anche massoni onesti. Sono convinto di questo, ma allora non dovremmo parlare nemmeno dei politici, perché anche in quest'ultima categoria vi sono persone oneste. La filosofia che sta alla base del ragionamento del senatore Ferrara non è quindi accettabile. La proposta di relazione si sofferma su un aspetto, affrontando il quale si cerca di mandare al macero tutta la pubblicistica affermatasi negli ultimi decenni in relazione al fascismo. Si afferma - non faccio questo rilievo per motivi ideologici - che il fascismo riuscì a catturare i picciotti ma poi addivenne ad un accordo con i big. Vorrei ricordare che Mori ha vinto perché aveva alle spalle uno Stato, sia pure sicuramente dittatoriale. Lascio parlare Pino Arlacchi che, in un'intervista rilasciata ad Antonio Carlucci, afferma testualmente: "Cosa nostra fu notevolmente indebolita dal regime fascista, sia dall'azione del prefetto Mori in Sicilia che da una generale rivendicazione da parte dello Stato fascista del monopolio della violenza. Essendo un regime totalitario, il fascismo non permise mai una grande concorrenza sul piano della violenza, legale o anche illegale". Arlacchi, inoltre, osserva: "La mafia si comportò da opposizione al regime fascista per conto degli americani, perché fu assolutamente chiaro che aveva tutto da guadagnare dalla caduta del regime". E poi: "Dopo la caduta del fascismo, ci fu un momento di ripresa dell'attività mafiosa e negli anni cinquanta e sessanta ci fu una reale ed appariscente ricostruzione del potere delle famiglie". Pag. 1695 PAOLO CABRAS. Uno storico che fa queste affermazioni non lo prenderei come maestro! ALTERO MATTEOLI. Nella relazione è contenuto un riferimento al milazzismo. In queste ore abbiamo la palmare dimostrazione di cosa abbia rappresentato tale fenomeno: il milazzismo rappresentò il primo serio tentativo dell'Italia repubblicana di mandare all'opposizione la democrazia cristiana, cioè quel partito che ha dimostrato anche ieri come sia possibile, nonostante si possano arrestare centinaia di persone ed inviare centinaia di avvisi di garanzia, non cambiare mai! Per la democrazia cristiana va assolutamente tutto bene, basta non toccare qualcuno del partito! Ieri hanno tentato l'ostruzionismo, dapprima cercando di far sospendere la votazione poi, visto che il lavoro della Commissione non poteva essere rinviato, vi sono stati l'intervento di Sorice e le minacce sui giornali. Questa mattina il telegiornale ha informato che non voteremo domani e che la votazione è stata rinviata perché, se così non fosse stato, i commissari della democrazia cristiana sarebbero usciti dall'aula. Siccome nella relazione si dice che il milazzismo fu un'operazione legata alla mafia, vorrei ricordare che il 6 dicembre del 1958 Togliatti intervenne in Aula e, a proposito di questa operazione, dichiarò: "E' inevitabile, nel momento che si manifesta una tendenza simile - e voi non potete negare che essa si manifesti -, alla degenerazione del regime democratico parlamentare in un regime di monopolio non più soltanto di un partito, ma di una persona e degli aderenti a questa persona, è inevitabile che vengano alla luce punti di contatto tra tutti coloro i quali non accettano una simile trasformazione. La cosa è oggi evidente in tutto il paese". E poi: "Questo, al di sopra di tutto, spiega le convergenze che si sono determinate. Esse hanno dato luogo anche qui alle solite, nette arguzie sul comunista e sul missino che si stringono la mano, si abbracciano e così via". Questo disse Togliatti il 6 dicembre del 1958! Il milazzismo fu la prima grande operazione politica che tentò di mandare all'opposizione la democrazia cristiana. PAOLO CABRAS. Era un po' ambigua! Infatti Togliatti aveva bisogno di giustificarsi. ALTERO MATTEOLI. Cabras, io posso anche non capire, ma ti invito a leggere gli atti parlamentari relativi a tutto il dibattito svoltosi quel giorno. Tra l'altro, si tratta di una delle pagine più belle e di più elevato livello nella storia dei dibattiti svoltisi in Parlamento. PAOLO CABRAS. Il trasformismo è una malattia antica della politica italiana e di quella meridionale, ma non rappresenta certo un modello! ALTERO MATTEOLI. Con il trasformismo Depretis ha governato in Italia per 10 anni! PAOLO CABRAS. Ma non è un modello da assumere, neanche per la cultura liberaldemocratica! ALTERO MATTEOLI. Un'altra considerazione sul milazzismo: ci fu un'operazione antimafia; l'assessore all'agricoltura destituì il dottor Cammarata, direttore generale dell'ERAS (successivamente diventata ESA, Ente di Sviluppo Agrario) perché questi era colluso con la mafia. Quell'assessore - che mi sembra si chiamasse Grammatico - adottò il provvedimento in considerazione del fatto che la mafia comprava i terreni e li rivendeva alla regione, la quale provvedeva a lottizzarli. L'assessore si accorse che il dottor Cammarata faceva questo tipo di operazione e lo destituì dalla carica di direttore generale. Mi avvio alla conclusione, anche se ho parlato meno del collega Folena, il cui intervento è durato 29 minuti. Il presidente, comunque, mi ha invitato a sbrigarmi... Pag. 1696 PRESIDENTE. Non le ho detto di sbrigarsi, ma mi sono solo limitato ad informarla della richiesta di sconvocazione formulata dai Presidenti delle due Camere. ALTERO MATTEOLI. Ho stima del collega Brutti e non vorrei certo utilizzare termini offensivi nei suoi confronti. Egli ieri ha dichiarato, un po' ingenuamente, che rinviare alla seconda metà di aprile la votazione sarebbe immotivato e darebbe un'immagine pessima del paese; lo ha detto con un certo tono! Io sono perfettamente d'accordo che si debba votare domani, tanto che non accetto nemmeno un rinvio tra 48 ore. Il collega Brutti è ingenuo perché ha potuto seguire le manovre che sono già in corso: i colleghi democristiani ieri appena sono usciti dall'aula della Commissione sono andati da papà Martinazzoli a prendere istruzioni: è il solito partito che non cambia mai! PAOLO CABRAS. Lei pensi per sé e lasci stare i colleghi democristiani! ALTERO MATTEOLI. In questo momento i problemi dei colleghi democristiani sono i problemi della Commissione antimafia, della quale io rappresento un cinquantesimo e, per quel che vale, voglio quindi esprimere il mio giudizio! La democrazia cristiana non cambia mai. Se la Commissione accettasse un rinvio, anche di 48 ore, vorrebbe dire che possiamo scrivere tutte le relazioni che vogliamo, più o meno condivisibili, ma non riusciremo comunque a cambiare questo sistema perché non intendiamo affrancarci da una certa filosofia, da una certa cultura del partito. Del resto, Cabras, non mi riferisco soltanto alla democrazia cristiana. Vi ho fatto riferimento solo perché in questo momento il problema è stato sollevato da tale partito. Direi le stesse cose se nella medesima condizione si trovasse un diverso partito politico. PRESIDENTE. Sospendo la discussione fino alle 15,30. La seduta, sospesa alle 10,30, è ripresa alle 15,30. PRESIDENTE. L'onorevole Mastella ha chiesto di parlare per formulare una richiesta relativa ai nostri lavori. MARIO CLEMENTE MASTELLA. Signor presidente, chiedo alla sua cortesia, a quella dell'ufficio di presidenza e dei colleghi, di aggiornare, e quindi di evitare, la riunione di oggi considerato che, per quanto riguarda il mio partito, sono congiuntamente convocati i gruppi parlamentari di Camera e Senato. Debbo anche dichiarare, in merito alle polemiche apparse oggi sui giornali, che da parte della democrazia cristiana non vi è alcun intento di natura ostruzionistica. Credo anche che sia opportuno rilevare - ma ritengo che questo sia ovvio - che una relazione può essere oggetto di approfondimenti e di proposte emendative e che ad essa possano essere riferite opinioni differenziate ed articolate, peraltro rispetto ad un fenomeno di tale devastante proporzione che abbisogna, esso sì, di un'analisi che spero sia comune e che non arrivi, però, a giudizi di natura politica. Credo che rilievi siano emersi in riferimento ad una forma di equazione che, per quanto riguarda il mio partito, evidentemente siamo in grado di accettare. Nulla più di tanto. Quindi, ci rivolgiamo alla sua cortesia, signor presidente, per richiedere con garbo ma con autentica sincerità di accenti di aggiornare la riunione tenendo conto delle date già stabilite e di quelle che verranno indicate in calendario. PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Mastella. Sulla questione da lei posta possono parlare un oratore a favore e uno contro ma voglio aggiungere che è tradizione, per ovvi motivi, accettare sempre la richiesta di rinvio di una seduta, quando questa sia avanzata per impegni di partito o di gruppo. Inoltre, vorrei cogliere l'occasione per fare un attimo il punto dei lavori. Pag. 1697 Vi sono molti colleghi iscritti a parlare. E' stato proposto un certo numero di correzioni, la gran parte delle quali, anche quelle politicamente più rilevanti, sono accoglibili o comunque assolutamente compatibili con la struttura della relazione. Vorrei che i colleghi, se lo ritengono, si pronuncino anche su questo, oltre che sulla richiesta dell'onorevole Mastella. Evidentemente, rispetto a quanto avevamo ipotizzato, non saremmo in grado di concludere i nostri lavori, considerato il numero degli interventi e la necessità di riflettere sulle proposte avanzate al fine di presentare un testo che abbia tutte le integrazioni necessarie. Propongo pertanto che domani si esauriscano gli interventi e che si decida insieme se sia il caso che io svolga la replica domani stesso o nella seduta successiva, che propongo sia fissata per la giornata di martedì, di modo che, avendo potuto prendere visione del testo corretto della relazione nella mattinata, nel pomeriggio sarà possibile aprire la discussione, avendo avuto tutti il tempo di esaminarlo e valutarlo. Non essendovi obiezione a considerare integrate le due proposte testé avanzate - mi riferisco alla mia e a quella dell'onorevole Mastella - può prendere la parola un oratore a favore e uno contro. ALDO DE MATTEO. Chiedo di parlare a favore. L'itinerario prospettato risponde alle esigenze che avevamo posto, cioè di svolgere un dibattito approfondito e di disporre di un momento ulteriore dopo il dibattito da parte della presidenza. Esprimo pertanto il mio parere favorevole. PRESIDENTE. Poiché nessuno chiede di parlare contro, pongo in votazione la proposta di programma dei lavori che ho formulato. (E' approvata). Ripeto, per chiarezza, il programma dei lavori. Domani mattina la seduta è fissata per le ore 9, per ascoltare gli interventi degli onorevoli Buttitta, Imposimato, Galasso, Rapisarda, De Matteo, Cappuzzo, Crocetta, Grasso, Frasca, Cutrera, Robol, Cabras e Ayala. Martedì mattina, verso le ore 10, sarà consegnato il testo della relazione. Nel pomeriggio, alle 15, avranno luogo le dichiarazioni di voto e la votazione. FERDINANDO IMPOSIMATO. Signor presidente, se è possibile, domani vorrei intervenire per primo. PRESIDENTE. Va bene, onorevole Imposimato. La seduta termina alle 15,45. Pag. 1698