Pag. 1757 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Seguito dell'esame e votazione della relazione sui rapporti tra mafia e politica: Violante Luciano, Presidente, Relatore .......... 1759, 1761 1762, 1768, 1781, 1782 Bargone Antonio ................................. 1769, 1773 Biondi Alfredo ................ 1768, 1769, 1779, 1780, 1781 Biscardi Luigi .................................. 1781, 1782 Borghezio Mario ....................................... 1777 Calvi Maurizio ........................................ 1762 Crocetta Salvatore .................................... 1772 Ferrara Salute Giovanni ................... 1770, 1775, 1776 Ferrauto Romano ....................................... 1767 Frasca Salvatore ...................................... 1762 Galasso Alfredo ..................... 1761, 1762, 1763, 1780 Mastella Mario Clemente ............................... 1765 Matteoli Altero ....................................... 1771 Robol Alberto ......................................... 1782 Scalia Massimo .................................. 1768, 1769 Taradash Marco .................................. 1775, 1776 Tripodi Girolamo ................................ 1762, 1782 ALLEGATO .............................................. 1783 Pag. 1758 Pag. 1759 La seduta comincia alle 15. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Seguito dell'esame e votazione della relazione sui rapporti tra mafia e politica. PRESIDENTE. Secondo il programma di lavoro deliberato dalla Commissione, la seduta odierna inizierà con una mia breve replica; successivamente si svolgeranno le dichiarazioni di voto, nell'ordine stabilito mediante estrazione a sorte nella seduta del 30 marzo scorso, e si procederà al voto. Ricordo che le dichiarazioni di voto dovranno avere una durata massima di dieci minuti e che vi sono trenta giorni di tempo per presentare eventuali relazioni di minoranza. Inoltre, com'è prassi nelle Commissioni d'inchiesta, chi non presenta relazioni di minoranza (quindi vota a favore o si astiene) può presentare note integrative di documentazione e di sostegno alle proprie posizioni. Desidero ringraziare tutti i colleghi che hanno presentato proposte emendative, quelli intervenuti nel dibattito, e comunque l'intera Commissione perché il tipo di lavoro svolto, indipendentemente dal giudizio che se ne può dare, è riconducibile non ad una sola persona ma alle proposte che abbiamo fatto tutti insieme. E' evidente che non è stato possibile recepire tutte le proposte di modifica, in particolare quelle che, pur muovendosi certamente su basi rispettabili, si collocavano fuori dell'ottica politica, dell'asse politico della relazione. Darò ora conto degli emendamenti o delle proposte d'indirizzo accolti nella relazione, soffermandomi brevemente sulle questioni più importanti. La questione più importante è stata, a mio avviso, quella sollevata dapprima dal senatore Ferrara Salute e successivamente dai senatori Frasca e Cabras, relativa alla valutazione che era stata data sull'iniziativa della procura della Repubblica di Palermo. Le obiezioni mosse da questi colleghi sono fondate. Naturalmente, mantengo il mio giudizio personale (ma si tratta - lo ripeto - di un giudizio personale diverso da quello della Commissione), soprattutto perché quel tipo di giudizio si scostava dalla distinzione, che abbiamo condiviso all'inizio della relazione, tra ciò che riguarda la responsabilità politica (tema sul quale dobbiamo lavorare) e ciò che concerne la responsabilità penale. Tutti infatti abbiamo ritenuto, anche quando abbiamo interrogato determinati personaggi (collaboratori della giustizia o anche magistrati), di non porre domande vertenti su responsabilità individuali, che sono quelle penali, ma di considerare esclusivamente le questioni di carattere più politico. Ciò proprio per il contrasto che si sarebbe posto tra il mantenere questa parte e l'impostazione generale e anche perché - occorre dirlo - un giudizio di quel tipo, espresso da una Commissione bicamerale, avrebbe potuto essere inteso come una sorta di condizionamento o comunque di interferenza con un giudizio che spetta ad altri organi, e non certamente a noi; per questi motivi, ho ritenuto opportuno accogliere il suggerimento dei senatori Ferrara Salute, Frasca e Cabras e - come avete visto - eliminare quel dato sostituendolo con un elemento che riguarda Pag. 1760 altre responsabilità, non penali, sulle quali peraltro deve pronunciarsi il Parlamento, non noi. I colleghi avranno potuto constatare che è stato dato uno spazio anche alla responsabilità di settori della magistratura e di altro tipo di istituzioni, come era stato chiesto. La deliberazione che avevamo assunto riguardava non i rapporti tra mafia, istituzioni e politica ma quelli tra mafia e politica, avendo peraltro chiarito che quando si parla di mafia e politica non si può fare a meno di parlare anche di alcuni settori istituzionali. Questa parte è stata "irrobustita" secondo i suggerimenti che i colleghi hanno dato. Per quanto riguarda, infine, la terza questione generale (quella relativa ai pentiti), avrete constatato che in alcune parti della relazione si è cambiato l'ordine, nel senso che prima si è fatto riferimento ai dati di carattere oggettivo e successivamente si è parlato dei pentiti, cercando di non considerare i collaboratori della giustizia, per così dire, come primario elemento, non perché non lo siano ma perché, specie in una sede politica, è importante fare riferimento prima ai dati oggettivi e poi a quelli che possono venire da altre parti. Infatti, l'autorità giudiziaria ha i suoi criteri, stabiliti nel codice, per valutare l'attendibilità dei pentiti mentre l'autorità politica non ne ha e quindi deve affidarsi a quelli che sono, per così dire, i criteri di carattere generale. I colleghi Borghezio, Matteoli e Buttitta avevano chiesto di approfondire il contesto economico, il sistema bancario e finanziario e la gestione del credito. Avrete potuto constatare che nella relazione vi è una parte che riguarda questa materia. I colleghi Matteoli, Crocetta e Tripodi (se non sbaglio, anche il collega Galasso) avevano chiesto di cancellare il riferimento ai sistemi elettorali, che è stato eliminato (credo sia stata una scelta giusta) perché finiva per interferire con la decisione referendaria. I colleghi Tripodi, Ferrauto, Ferrara Salute, Imposimato, De Matteo, Cabras e Borghezio avevano chiesto di approfondire gli aspetti relativi al rapporto mafia-massoneria, il che è stato fatto. Il collega Buttitta aveva proposto di eliminare quella sorta di parallelismo tra partiti politici e massoneria, parallelismo che è stato eliminato. Il collega Rapisarda aveva chiesto di inserire nella relazione la gestione dei piani regolatori generali da parte di Cosa nostra, e questo dato è stato inserito. Sempre il collega Rapisarda, insieme ad altri, aveva proposto di inserire nella relazione i dati relativi all'attività dei sindaci nelle giunte e nelle commissioni edilizie; a tale questione si è fatto un riferimento, rinviando gli accertamenti all'apposito gruppo di lavoro, presieduto dal senatore Cutrera, e al lavoro che dovremo svolgere a Palermo e in altri comuni, come abbiamo stabilito. Ho già accennato agli aspetti relativi alle istituzioni; una parte riguarda, in particolare, il Consiglio superiore della magistratura e un'altra settori della magistratura, con dati nuovi e non noti, come avrete notato (quello relativo al magistrato che fu trasferito e fece saltare il processo a Ciancimino). I colleghi Fumagalli Carulli, De Matteo e Sorice hanno insistito sull'opportunità di eliminare la definizione della mafia come soggetto politico. Si tratta di una discussione più teorica che pratica, e proprio per questo ho acceduto a tale richiesta: possono restare ferme le convinzioni personali ma poteva sorgere un equivoco che era il caso di diradare. I colleghi Fumagalli Carulli, Cappuzzo e Sorice avevano chiesto di inserire la posizione di diverse forze politiche riguardo alle tappe della legislazione antimafia. Troverete in un allegato (ringrazio gli uffici, che si sono prodigati per questo) un quadro di tutte le più significative leggi antimafia, con il prospetto di chi ha votato a favore, chi contro e chi si è astenuto, alla Camera e al Senato. Vi sono riportati anche i tempi di presentazione e di approvazione, che servono per avere un quadro delle difficoltà a volte incontrate. I colleghi Fumagalli Carulli e Sorice (e fuori di questa Commissione, mediante Pag. 1761 un'intervista, il collega Biondi) avevano fatto riferimento ai pentiti. Su tale questione rinvio a quanto ho già detto all'inizio. I colleghi Buttitta e Cappuzzo (ed anche altri) avevano chiesto di eliminare il riferimento alle tecniche omicide, in quanto lo ritenevano un po' truculento nel contesto della relazione; è stato eliminato sia questo sia l'altro riferimento, quello relativo alla fedeltà coniugale dei mafiosi, che è stato inserito in nota. Il collega Buttitta aveva segnalato che i voti a candidati del partito socialista e del partito radicale riguardavano soltanto alcuni quartieri, non tutta la città e la provincia di Palermo. Questa correzione è stata inserita. Sono stati altresì inseriti nella relazione i riferimenti alla struttura verticale del fenomeno, chiesti dai colleghi Buttitta e Cutrera. La correzione che opportunamente suggeriva l'onorevole Ayala è naturalmente fondata: fu Ignazio e non Nino Salvo a telefonare a Buscetta. Ringrazio anzi per il chiarimento. Per quanto riguarda il problema del giudizio politico sulla "primavera di Palermo", chiesto da due colleghi (con intenti - credo - divergenti), mi sono limitato ad indicare i fatti: vi è stata una prima giunta Orlando, di pentapartito appoggiata da Lima, ed una seconda giunta Orlando con la partecipazione del PCI, com'è scritto, che fu sostenuta da Lima in consiglio comunale ma osteggiata all'interno del partito; successivamente, Lima fu all'opposizione, tranne che nelle giunte successive. ALFREDO GALASSO. Farò una precisazione in sede di dichiarazione di voto. PRESIDENTE. Sulla questione relativa all'atto dovuto ho già detto. Per quanto riguarda l'esame della mobilità del voto, ricordo ai colleghi che avevamo deciso di svolgere un'indagine su tale questione; non è possibile invece limitarsi a pochi cenni su una materia di questo genere perché sarebbe francamente poco serio farlo. Un nostro consulente, il professor Cazzola, ha tracciato il quadro di una possibile indagine, quadro che sarà inviato a tutti i colleghi e su cui bisogna discutere; se i criteri saranno condivisi, potremo decidere insieme di svolgere questa indagine sui flussi elettorali. L'approfondimento della situazione delle altre regioni è contenuto nell'apertura della proposta di relazione, così come il riferimento agli ultimi successi nella lotta contro la mafia, secondo quanto chiedevano in particolare il senatore Frasca, l'onorevole Scalia, il senatore Florino e l'onorevole Tripodi. E' stato inoltre approfondito il condizionamento della mafia sulla magistratura. Nella relazione è contenuto anche un riferimento alla stagione dei veleni ed é stato recepito il suggerimento del senatore Cabras sull'effetto maggiore che il condizionamento del voto mafioso può avere sui partiti molto piccoli. E' stato inoltre inserito il chiarimento, chiesto dal senatore Cutrera, secondo cui questa relazione è in qualche modo parziale e rappresenta una prima tappa di un lavoro compiuto. Desidero inoltre precisare che a pagina 92, laddove si legge "Cosa nostra controlla tutti gli appalti", l'espressione "controlla" va sostituita con "controllerebbe". Credo infatti che questa formulazione sia più giusta perché si tratta di riferire opinioni di altri, che non abbiamo avuto modo di constatare. I senatori Cutrera, Frasca e Calvi avevano proposto di sottolineare con forza il ruolo svolto dall'ultima fase della legislazione antimafia ed il ruolo che Falcone aveva avuto in questo contesto. Mi pare che ciò sia stato fatto. Per quanto riguarda la richiesta dei colleghi Cutrera e Olivo di approfondire il caso Carnevale, abbiamo riportato un dato non noto rappresentato dai capi di imputazione nei confronti del dottor Carnevale. Sono state inoltre precisate le questioni relative all'edilizia scolastica, come chiedeva il senatore Cutrera; analogamente, è stato distinto il separatismo dall'autonomismo, come proponeva l'onorevole Borghezio. Pag. 1762 Sono stati altresì approfonditi il problema della droga, secondo quanto chiedeva l'onorevole Taradash, ed il rapporto tra mafia e appalti. Intendo a questo punto dare una spiegazione (anche se naturalmente vi sarebbero molte altre cose da spiegare) su due punti di approfondimento che non ho accolto. Il primo riguarda la richiesta di approfondire la vicenda di Aldo Moro per la quale ritengo sia necessaria un'indagine ad hoc, nel caso in cui la Commissione ritenga di procedere in questo senso. Non credo infatti che si possa liquidare in poche battute una questione di quel peso e di quella rilevanza. Com'è noto, della vicenda si è occupata specificamente una Commissione parlamentare d'inchiesta; se la Commissione antimafia deciderà di occuparsi anch'essa di questo tema, potrà farlo con una decisione specifica e non in modo incidentale. Quanto all'identificazione della mafia con Cosa nostra, il problema è stato posto specificatamente dall'onorevole Galasso con riferimento alla Sicilia, dove Cosa nostra è una delle possibili mafie (mi è sembrato fosse questo il ragionamento dell'onorevole Galasso), e dal senatore Frasca, che ha sottolineato l'opportunità di dare uno spazio alla 'ndrangheta e alle altre forme di criminalità organizzata. Su questo secondo aspetto, credo non vi siano problemi. Vorrei confrontarmi a fondo con la prima tesi che non condivido; poiché in genere scrivo le cose che condivido, mi dispiace. Forse mi convincerò successivamente che questa tesi è esatta, ma non mi pare che oggi si possa fare una distinzione di questo genere per quanto riguarda la Sicilia. ALFREDO GALASSO. Non ho ben capito. PRESIDENTE. Se non ho compreso male, è stata fatta la proposta di non identificare la mafia siciliana con Cosa nostra. SALVATORE FRASCA. Non era questa la proposta, presidente. PRESIDENTE. Mi riferisco alla proposta dell'onorevole Galasso, perché quella del senatore Frasca è stata recepita. Non ho potuto recepire quella dell'onorevole Galasso perché credo che la mafia siciliana sia essenzialmente Cosa nostra. ALFREDO GALASSO. Mi spiegherò meglio nella dichiarazione di voto. PRESIDENTE. Se non ho capito, mi dispiace; è colpa mia naturalmente. Nel recepire le proposte avanzate nel corso della discussione vi è stato lo sforzo di comprendere le ragioni di tutti. Qualunque sia l'esito del voto, ringrazio tutti i colleghi del contributo, sia favorevole sia critico che è stato dato e sarà dato, perché uno dei valori fondamentali dei sistemi parlamentari consiste nel confronto teso ma anche libero delle opinioni, e qui l'abbiamo fatto. GIROLAMO TRIPODI. Vorrei avere notizie in merito alla proposta di modifica da me avanzata. PRESIDENTE. Ho dato comunicazione in merito agli emendamenti accolti, per gli altri non è possibile riaprire un dibattito. Il senatore Calvi ha chiesto, per un problema personale, di parlare per primo. Ricordo che ciascun oratore ha dieci minuti a disposizione per la propria dichiarazione di voto. MAURIZIO CALVI. Signor presidente, il gruppo socialista apprezza il punto di grande equilibrio che lei ha voluto dare soprattutto all'esito di un dibattito complesso e difficile, particolarmente marcato nella sua prolusione anche da dissensi di fondo di natura politica. Mi sembra che lei abbia compiuto lo sforzo di recuperare, attraverso un clima di maggiore serenità politica, questo punto di equilibrio, questo punto di sintesi, nel clima della chiarezza possibile, soprattutto quando si parla del rapporto mafia-politica in una regione complessa come quella siciliana. Il gruppo socialista ha sostenuto il suo sforzo e aderisce completamente agli elementi Pag. 1763 che lei ha illustrato nella sua introduzione, elementi correttivi di natura politica ad una proposta di relazione che certamente aveva visto uno squilibrio dal punto di vista del giudizio generale. Posso definire la relazione ovattata ma chiara, così come richiede il rapporto mafia-politica nel nostro paese. Essa è passata dal clima cosiddetto delle certezze a quello di una maggiore problematicità del rapporto mafia-politica, cioè è passata dal clima dei cosiddetti atti dovuti, che era l'elemento caratterizzante del testo originario della relazione, a quello della responsabilità politica del Parlamento al quale è demandato il compito delicato di comprendere nella sua complessità il caso Andreotti, l'esito, direi, di una verità difficile. La relazione soprattutto rappresenta, questo va sottolineato, almeno per il momento solo uno spaccato del complesso mondo, talvolta indecifrabile, del rapporto mafia-politica in una regione dove la cultura mafiosa è profondamente diffusa, radicata e talmente condizionante da rendere forte il clima della pressione criminale anche sulla società civile. Al di là del punto di equilibrio, questa relazione è politicamente forte ed aggressiva quando pone il problema del caso Lima che è quello più alto del rapporto mafia-politica fin qui individuato. Questo è un elemento di grande chiarezza perché emerge per la prima volta che Lima è il riferimento di Cosa nostra nel complesso mondo dei giochi e degli interessi di natura economica, politica e giudiziaria. Questo passo della relazione certamente rafforza il clima dell'equilibrio ma rafforza soprattutto quello della verità e della chiarezza, così come richiedeva l'interesse generale del paese. Questa prima relazione è importante nella storia del nostro paese. Dobbiamo dare atto di questo alto interesse, della responsabilità collettiva della Commissione parlamentare antimafia, che rappresenta il punto più alto dal punto di vista parlamentare, avendo la responsabilità di annotare e dire con estrema chiarezza al paese come evolvono le cose nel complesso mondo del rapporto mafia-politica nella realtà siciliana. E' questo un messaggio di grande chiarezza al paese e, una volta individuati i nessi nevralgici del rapporto mafia-politica, sarebbe utile che i gruppi parlamentari potessero svolgere sulla relazione consegnata al Parlamento un ampio dibattito attraverso interpellanze o mozioni per dare il senso politicamente alto della relazione stessa. Sarebbe stato anche utile, signor presidente, annotare con maggiore chiarezza il caso Falcone all'interno del Consiglio superiore della magistratura; per la portata degli interessi in gioco, per il ruolo importante che Falcone aveva in quella realtà sarebbe stato utile recuperare con maggiore forza quella stagione complessa, delicata, drammatica, perché sarebbe stato un elemento di maggiore chiarezza per il Parlamento e soprattutto per il paese. Tuttavia debbo dire che questo passo, data la complessità della relazione, potrà essere recuperato con le integrazioni che lei ha testé richiamato; la Commissione parlamentare antimafia ha il senso delle integrazioni e correzioni che possono essere apportate come elementi di maggiore riflessione nella dinamica generale della relazione. Con il senso di responsabilità che il gruppo socialista ha verso il paese e per gli elementi di grande chiarezza politica contenuti nella relazione, esso si è orientato a dare la propria adesione e il proprio consenso alla relazione stessa, testimoniando un interesse più alto dal punto di vista politico a percorrere insieme a lei e insieme alla Commissione nuove strade per meglio capire gli intrecci perversi che sono presenti ancora non solo nella realtà siciliana ma soprattutto nelle aree a rischio del nostro paese. Quella del gruppo socialista, quindi, è un'adesione completa, politicamente forte,perché la relazione è politicamente forte: esprimiamo quindi il nostro voto favorevole. ALFREDO GALASSO. Signor presidente, voterò a favore di questa relazione Pag. 1764 sui rapporti tra mafia e politica considerato che le integrazioni apportate rendono evidenti un asse portante, una concezione, una pratica del contrasto alla criminalità organizzata che intende la mafia non soltanto ed esclusivamente come organizzazione criminale denominata Cosa nostra o come insieme di organizzazioni criminali presenti nel territorio nazionale, ma come vero e proprio sistema di potere criminale, economico e politico, che credo sia la chiave di lettura corretta del fenomeno quale oggi si presenta. In questo senso intendo chiarire anche il probabile equivoco che si è determinato a proposito del rapporto tra mafia e Cosa nostra. Poiché non amo avere in una relazione definizioni di natura sociologico-politica, ciò che mi interessa è che questo asse portante e questa chiave di lettura risultino dall'insieme dei passaggi della relazione. Aggiungo anche che in essa è da apprezzare la distinzione tra responsabilità giudiziaria, penale e responsabilità politica e che comunque in questo non si indulge, anche per le correzioni opportune apportate ad una tentazione, che pure è stata presente nel dibattito politico, di contestare il lavoro dei giudici che, viceversa, da questa relazione non risulta affatto intralciato. Questa mi pare la migliore smentita alla teoria circolante del complotto o della cospirazione. Vi sono alcuni elementi che consentiranno (lo voglio sottolineare) finalmente, per la prima volta, lo svolgimento di un dibattito parlamentare sui rapporti tra mafia, politica e massoneria, elementi che considero chiari nel loro complesso e niente affatto ovattati; c'è un giudizio complessivamente rigoroso che si richiama a questa pratica della lotta antimafia come lotta ad un sistema di potere. Voglio segnalare particolarmente da questo punto di vista alcuni passaggi contenuti nelle pagine 5 e 6 della relazione che riguardano l'applicazione faticosa di alcuni provvedimenti legislativi. Mi riservo di approfondire ulteriormente la materia perché parzialmente condivido e parzialmente dissento dal giudizio politico, che probabilmente sarebbe stato meglio evitare, espresso nei confronti di ministri che sono stati in carica. Trovo anche opportuno che finalmente in un altro passaggio della relazione - mi pare a pagina 98 - si chieda alla politica un provvedimento di natura politica, cioè l'allontanamento degli eletti, dei dirigenti, degli iscritti, senza attendere che vi sia un giudizio penale. Anche questo fa giustizia di un atteggiamento di delega che si è allungato troppo nel tempo. Ho da fare soltanto due rilievi. Il primo è una rettifica che mi è anche favorita dalla stessa esposizione orale fatta dal presidente. Quando si fa riferimento al succedersi delle giunte, c'è, mi pare, un errore, perché a pagina 87, a proposito di Lima, si dice che la sua corrente "votò in consiglio comunale per la seconda giunta, che vedeva la partecipazione del PCI". In realtà la seconda giunta non vedeva la partecipazione del PCI. Forse è saltato un rigo: non votò la partecipazione alla terza giunta (la cosiddetta giunta esacolore), rispetto alla quale la corrente di Lima andò all'opposizione. La pregherei, presidente, perché si tratta semplicemente di una rettifica di fatto, di provvedere, previa verifica, a correggere questo passaggio che secondo me dipende proprio dal salto di qualche rigo. Mentre, viceversa, la riserva di fondo riguarda il giudizio sulla responsabilità politica del senatore Andreotti che è rinviato in Parlamento. L'attesa per un giudizio definitivo che io formulo è appunto un'attesa del dibattito in Parlamento. Ma credo, dopo tutto ciò che è stato scritto in questa relazione, a proposito dei rapporti tra Cosa nostra e Salvo Lima, che un giudizio politico avrebbe potuto esser dato anche rispetto alla corrente degli amici di Andreotti, di cui Lima era il capo indiscusso in Sicilia. Nel riservarmi il voto definitivo in aula e la presentazione di un documento integrativo per rendere ancora più esplicito il giudizio mio e del movimento del quale faccio parte sulle responsabilità politiche relative alle vicende tragiche di questi anni, voglio ribadire che questa proposta Pag. 1765 di relazione, che ci accingiamo a votare, rappresenta sicuramente un elemento di novità in sede politica e parlamentare, con alcuni aspetti - e sono molti - che condivido integralmente, mentre qualche altro - e ho fatto alcuni esempi - mi lascia perplesso e suscita in me qualche riserva. Anch'io ritengo che la complessa vicenda di Giovanni Falcone andrebbe affrontata. Proverò a farlo anche nel documento integrativo. Penso che sarebbe anche opportuno che tutti questi atti che riguardano le varie audizioni e vicende intorno a Giovanni Falcone e che lo vedono - e aggiungo anche Paolo Borsellino - protagonista, possano essere resi pubblici perché ciascuno possa integralmente, con i proprio occhi e con il proprio cervello, giudicare di che cosa si tratta. Assumo questa proposta di relazione e il dibattito che seguirà in Parlamento come uno dei momenti importanti e decisivi di passaggio nella fase politica e sociale che attraversiamo, di affermazione di democrazia, di affermazione dello stato di diritto. Soprattutto credo che questo sarà un importante banco di prova per tutte le forze politiche e sociali, e finalmente una misura della coerenza con la quale singoli e gruppi daranno una risposta ad un bisogno di verità e di giustizia, che si porta dietro le tragiche vicende di questi anni. MARIO CLEMENTE MASTELLA. Se fosse possibile, signor presidente, almeno per un istante dimenticare la tragicità degli avvenimenti, le sofferenze e le angustie che pesano sul vivere quotidiano, politico e sociale nazionale, in altre parole se fosse possibile distaccarci da noi stessi e in qualche modo vederci dal di fuori, dall'esterno, io credo che dovremmo sottoscrivere oggi le confidenze del vecchio Goethe: "Ho il grande vantaggio - scriveva - di aver vissuto in un'epoca in cui i maggiori avvenimenti erano all'ordine del giorno". Ritornando, in maniera più diretta e forse ridotta, alla scala delle nostre pareti domestiche, quelle che ci circondano, assistiamo di fatto ad una situazione per certi versi scomposta, concitata e dagli esiti incerti, insidiosi o promettenti, dove si rinvengono tracce di inquietudine e una certa confusione. Noi, rispetto a questa confusione, abbiamo manifestato il proposito di fare chiarezza. Togliendo ad una statua il piedistallo, la statua crolla. Così si comportano, signor presidente, onorevoli colleghi, le cose che sono visibilmente soggette alle leggi di gravità. Io spero che con la nostra adesione, la nostra adesione convinta - i contributi dei tanti colleghi della democrazia cristiana hanno evidenziato alcuni aspetti, operato una serie di sottolineature - alla relazione Violante, si possa far finalmente giustizia di quella stupida equazione per cui l'interfaccia della mafia si è fatto apparire o si vorrebbe far apparire strumentalmente raffigurato dalla democrazia cristiana. E' vero, perché non riconoscerlo? Noi forse dobbiamo anche chiedere scusa ma credo debbano chiedere scusa un po' tutti, perché ognuno nell'itinerario storico (mi dispiace per Galasso ma le giunte di Orlando sono state anche sostenute in maniera diretta dall'onorevole Lima)... In questa fase non si tratta soltanto di fare, per me cattolico, un atto penitenziale; in questa fase credo che si tratti di fare giustizia, come ho detto, di tante cose, di tanti arbitrii, di riportare serenità. E mi auguro che le conclusioni a cui approderemo in quest'aula riporteranno grande serenità. Se così è, nonostante - è vero - vi sia stata, ma credo un po' da parte di tutti, una qualche contiguità - così si dice, perché non riconoscerlo, nella relazione Violante - di qualcuno, ce ne corre affermare surrettiziamente una forma di correlazione o di nesso secondo cui la democrazia cristiana sarebbe corresponsabile di questa mafia o avrebbe apparentamenti precisi e sostanziali con Cosa nostra! Mi fa ricordare a voi cultori giuridici, e a me invece cultore di filosofia, quel vecchio sillogismo secondo cui "Il salame fa bere, il bere disseta, perciò il salame disseta". Non è la democrazia cristiana l'altro termine dell'equazione con cui si possa stabilire questa forma di connessione Pag. 1766 con la mafia, o eventualmente con la camorra o la 'ndrangheta, nel nostro paese. Ecco perché, facendo riferimento all'etica della convinzione e a quella della responsabilità, noi, a differenza di qualcuno che ci ha dipinti in questi giorni anche sulla stampa come "malpancisti" - mi consenta questo termine, signor presidente, per una forma di omologazione alla cultura del suo partito di quest'ultimo periodo -, siamo qui non per avvalerci della massima luterana secondo cui "qui siamo e non possiamo votare altrimenti". Noi qui siamo e non vogliamo votare altrimenti! Noi vogliamo, in questa circostanza, operare una distinzione molto netta perché riteniamo che, dal punto di vista istituzionale, la bonifica di questo degrado che si registra non soltanto in Sicilia ma anche altrove tocca tutti i partiti. La democrazia cristiana è impegnata; è quasi, quella che sto facendo, per quanto mi riguarda e ci riguarda, una forma di dichiarazione di guerra a queste cose, al modo con il quale, in maniera calamitosa, la mafia od altri tentano di inserirsi e si sono inseriti nelle strutture dello Stato. Noi non siamo, la democrazia cristiana non è - voglio ricordarlo qui perché ognuno parla per se stesso, con la propria coscienza ma anche al paese - come chi anche tra i mafiosi, o quanti altri, possa immaginare, una sorta di Chiesa del medioevo, che dava diritto d'asilo ad ogni inquietudine, ad ogni incertezza, ad ogni cosa stonata! La democrazia cristiana non è questo! La democrazia cristiana è, signor presidente, con lei, con gli altri che sono intervenuti, con Calvi, con Galasso, con chiunque faccia seriamente (e non dal punto di vista, a volte, della forma e della finzione) una lotta vera e spietata alla criminalità organizzata. Debbo ricordare qui (come si fa a non sostenere la legge che porta i nomi Rognoni e anche La Torre?) i provvedimenti che sono stati portati avanti: quando Martinazzoli è ministro di grazia e giustizia, Buscetta ritorna in Italia; i provvedimenti - perché non riconoscerlo? - anche del Presidente del Consiglio Andreotti; i provvedimenti, qui richiamati, del ministro dell'interno Scotti. Sono certamente uomini illustri e non secondari nella logica, nelle vicende e nel tessuto della democrazia cristiana. Allora, rispetto a queste cose, noi dichiariamo qui non soltanto che esprimiamo adesione alla relazione Violante, che voteremo, ma anche che siamo disponibili ad andare ancora più in là, signor presidente, ad avanzare sul piano di una procedura non soltanto di metodo ma anche di stile. Quello che ci ha sgomentato in questi giorni - e probabilmente è stato il motivo per cui sono apparse alcune incertezze (ma con malizia, sono apparse!) - è stato questo adottare nei confronti della democrazia cristiana una sorta, si dice, di cultura del sospetto usata come una specie di effetto serra, un effetto serra che continuava a rimanere sospeso sopra di noi, senza toccare terra. E se non si leva un rifolo di vento che lo dilegui, può rimanere sospeso sulle nostre teste senza scaricare i suoi veleni e dunque senza esaurirsi. E' questo effetto serra che noi non vogliamo, una sospensione stabile della verità e della giustizia che genera giustizialismo e populismo. Noi, cari colleghi e signor presidente, siamo per andare avanti in questa direzione. Potremmo chiosare la relazione, signor presidente, in tante cose, dal punto di vista di quello che è stato il dato storico che pure ha visto collimanti il milazzismo, la mafia e Cosa nostra. Non lo facciamo. Noi ci vogliamo obbligare - questa è la disponibilità vera, in un momento in cui il paese ha grandi ed enormi difficoltà e richiama responsabilmente ciascuno a fare la propria parte, il proprio dovere - a fare il nostro dovere. Concludo, signor presidente, onorevoli colleghi. Il paese che abbiamo dinanzi non piace neppure a noi. Eppure esso è in gran parte frutto di quello che abbiamo fatto, pensato, costruito, tutti assieme, tutti quelli che siamo qui, anche quelli che si sono allontanati e tentano di distanziarsi dalle vicende o dal patrimonio della democrazia cristiana. Mi riferisco anche a tutte le opposizioni, a quelle che ci sono in Pag. 1767 quest'aula e nel paese. Ci siamo trovati nella storia, anche in quella nazionale, e, a seconda delle inclinazioni e delle declinazioni ideologiche, abbiamo cercato di progettarla, riuscendoci o meno; sarà la storia, successivamente, a decidere, se abbiamo progettato nel bene o nel male. Alla fine è apparso e oggi c'è nel paese qualcosa di irriconoscibile; non vale ruminare, per quanto ci riguarda, la nostra delusione o una delusione generale. Imprigionati nel misterioso scarto tra i sogni di un tempo (quelli dei nostri padri fondatori, per la democrazia cristiana il siciliano Sturzo) e la realtà, portiamo dentro di noi, come democratici cristiani, un profondo senso di sconfitta ma anche di orgoglio per quello che abbiamo realizzato. Della prima vorremmo liberarci, e tentiamo di farlo con grande fatica; del secondo non bisogna menar vanto ma piegarlo ai tempi nuovi. A questo la democrazia cristiana, signor presidente, è disponibile; per questo accetta, vota e dà il "sì" alla sua relazione. ROMANO FERRAUTO. Signor presidente, colleghi, già nel corso della discussione generale si era manifestato il consenso al documento presentato dal presidente. Ma io vorrei aggiungere che questo consenso era già emerso nel corso delle varie nostre riunioni ed incontri per un apprezzamento del metodo di lavoro e per un apprezzamento più generale per l'equilibrio ed il coraggio, che venivano manifestati in ogni occasione. Ci sono stati forse anche alcuni momenti in cui si sono dovute precisare o riprecisare alcune questioni; alcune volte si è dovuto riprendere l'iter, in funzione di circostanze particolari. Però mi sembra che la direzione di marcia sia stata giusta e credo che l'approdo debba essere da tutti condiviso. Una battuta me la consentirete: rispetto a questo approdo il rischio e, quindi, la responsabilità di una eventuale dissociazione, secondo me, sarebbero veramente molto, molto elevati, perché la conclusione, anche a seguito delle proposte emendative, e di una serie di contatti che ci sono stati, fanno onore, attualmente, in questo preciso momento politico, all'ufficio di presidenza e a tutti i membri della Commissione. Su due questioni, tuttavia, io vorrei ancora fare alcune considerazioni, in quanto sono queste considerazioni che offrono a un consenso generico la possibilità di essere un consenso convinto e motivato. Quando, in sede di discussione generale, si parlava di altri momenti, oltre quello politico, che avrebbero dovuto essere tenuti in considerazione per la precisazione di un fenomeno, io ebbi a dire che la politica li ricomprendeva tutti. E questo, secondo me, è l'approdo più importante perché si nobilita la politica. Con questo documento il primato della politica, rispetto a tanti altri pur evidenti settori, che in un'analisi sociologica confluiscono per definire il fenomeno di Cosa nostra, rimane l'acquisizione più importante. E mi ha fatto piacere ascoltare poco fa Mastella, il quale ha fatto alcune considerazioni che, secondo me, devono essere tenute presenti, dal momento che anch'egli, pur non avendolo detto, ha ripreso con forza la questione del primato della politica. Ed io vorrei ricordare qui a tutti che noi stiamo affrontando questo problema sul versante politico, delle responsabilità politiche. Rispetto a questo credo che bisogna essere ancora più coraggiosi ed andare avanti, come mi sembra che coraggiosi siano la relazione e il documento conclusivo a proposito della massoneria; a proposito di un fenomeno che, come giustamente qualcuno ha detto, si lega e si intreccia con il fenomeno mafioso e trae alimento dal basso livello di guardia della politica in senso generale. Ora, se noi riusciamo a tenere alto il livello del nostro dibattito e a fare di questo approdo che, ripeto, è un approdo equilibrato e nello stesso tempo coraggioso, un momento non di arrivo, ma un momento di partenza, credo che avremo complessivamente un grosso vantaggio per tutti gli altri nodi della politica italiana, Pag. 1768 che oggi purtroppo vive e si nutre di presunti o veri complotti, di sospetti, ma non è ancora capace di fare un passo nella direzione giusta. Questo è un passo nella direzione giusta e, per questa ragione, confermo il consenso già espresso in sede di discussione generale e mi auguro che, quando ci sarà la discussione in Parlamento, ci sia ancora la possibilità per tutti di fare un ulteriore passo avanti. MASSIMO SCALIA. Presidente, annuncio il voto favorevole del gruppo verde alla relazione da lei proposta, anche se sarà un voto favorevole ma non del tutto convinto; non del tutto convinto non tanto perché, a pagina 35, ritrovo nella relazione modificata l'esclusione, tra i partiti che non hanno ricevuto... PRESIDENTE. C'è il termine "tradizionali", forse. MASSIMO SCALIA. No, non c'è e chiederei a questo punto... PRESIDENTE. E' giusto. Il termine: "tradizionali" deve essere inserito. MASSIMO SCALIA. La volta scorsa l'ho fatto come battuta, però ora lo chiedo formalmente di inserire appunto l'aggettivo "tradizionali" o mettere tra gli esclusi anche i verdi, che, poverini, si sono ben guardati dall'avere mai rapporti con la mafia. ALFREDO BIONDI. Mi permetto di dire... PRESIDENTE. Onorevole Biondi, mi scusi, siamo in sede di dichiarazione di voto. ALFREDO BIONDI. ...ubi dixit voluit, ubi non dixit noluit! Chi li ha presi i voti li ha presi! MASSIMO SCALIA. Appunto, noi mai! PRESIDENTE. Avrà tra un attimo la parola, onorevole Biondi. MASSIMO SCALIA. Mi premeva ribadire la totale estraneità dei verdi e quindi il merito della citazione. Ma, insisto, non è questo l'aspetto di non convinzione. L'impostazione della relazione, che tutti hanno riconosciuto molto equilibrata, nell'ampliarsi, nell'accettazione delle proposte avanzate da molti colleghi, credo che passi un po' dall'equilibrio stabile che mostrava ad un equilibrio indifferente e che le doti di equilibrio siano forse più nel presidente, come doti riconosciute da molti, che non nel complesso della relazione che, appunto, nell'ampliarsi, mi sembra stemperi quella che era la risolutezza dell'impianto iniziale. Ma non è questo un motivo serio che attenua il mio convincimento. Come il presidente ben sa, l'unico emendamento che avevamo presentato riguardava quello che nella proposta di relazione era il punto 52, vale a dire quella formulazione decisamente poco comprensibile, e forse anche ambigua, che è ormai passata alla storia di questa Commissione come l'atto dovuto. Noi abbiamo sostenuto, e per questo abbiamo presentato un emendamento ... E qui io voglio dare pubblicamente atto al collega Mastella di aver fatto un discorso vibrante che lui, e il suo gruppo, ha rinunciato a un atteggiamento che sembrava in qualche modo essere stato preannunciato e che avrebbe potuto portare a un clima ben diverso e di molta maggior tensione in questa sede. Prego anche il collega Clemente Mastella di non attribuire proprio a tutti coloro che sono qui presenti il fatto che il paese sia frutto di quello che tutti insieme abbiamo costruito. Ci sono alcuni che hanno costruito molto di più, forse troppo di più, in tutti i sensi (sto pensando al cemento), quindi manteniamo un pochino separate responsabilità anche di costruzione, sia in positivo, sia in negativo. La questione fondamentale, presidente, resta quella che il documento, pur avendo ben distinto tra responsabilità penale e Pag. 1769 responsabilità politica, non decide sulla responsabilità politica, perché trova una soluzione tipicamente non anglosassone, cioè quella di demandare a un'istanza superiore, vale a dire al Parlamento, una valutazione definitiva. Lei sa che io non sono d'accordo con questo punto di vista. Io ritengo che la documentazione a disposizione della Commissione (e alludo al lavoro intenso fatto in questi mesi, ma anche a tutta la documentazione precedente) avrebbe consentito alla Commissione stessa, in ordine proprio alla questione della responsabilità politica - non, Mastella, di tutta la democrazia cristiana, perché di questo mai ci siamo occupati, ma di alcuni personaggi più o meno eminenti della democrazia cristiana - di essere, come dire, molto più netti. Penso che avremmo potuto applicare a noi stessi la famosa frase di Bernardo di Chartres "Siamo nani, ma siamo sulle spalle di giganti", e quindi riusciamo a vedere più in là dei giganti sulle cui spalle stiamo. E questo accenno alla deformità fisica dei nani e dei giganti credo che vada anche bene rispetto alla situazione complessiva che ci troviamo a vivere. ANTONIO BARGONE. Chi sono i giganti? MASSIMO SCALIA. Trovare i giganti? Erano quelli che ci hanno preceduto, Bargone. Mi pare evidente e spero che ... ALFREDO BIONDI. E' una frase di Fanfani questa! (Si ride). MASSIMO SCALIA. Onestamente di nani ce ne sono stati tanti nella storia dell'umanità; non mi sembra che bisogna puntualizzare le scelte! Ad ogni modo, dicevo, la non convinzione, appunto, è questa: noi avevamo quella vista in più che ci avrebbe potuto tranquillamente consentire di attribuire - e lo dico con chiarezza - responsabilità politica al senatore Andreotti. L'ho ascoltato con grande attenzione in questi giorni in cui si è pronunciato attraverso la telediffusione ed ho sentito eminentemente due argomentazioni fatte da lui. La prima è che un uomo che si trova a vivere una così lunga vita politica sicuramente nelle sue frequentazioni potrà incontrare Calvi, Sindona, Ciancimino, perché troppa gente ha incontrato e quindi non è questo un aspetto puntuale su cui costruire un castello accusatorio. L'altra riflessione proposta dal senatore Andreotti è il suo forte impegno nella battaglia contro la mafia con provvedimenti presi da Governi da lui presieduti, a partire, grosso modo, dalla fine del 1990. Non entro neanche nel merito del primo dei suoi argomenti (non era competenza di questa Commissione), ma sul secondo argomento, che invece è stato ben valutato nel lavoro della Commissione, penso che i tempi nei quali il senatore Andreotti, come Presidente del Consiglio, ha preso provvedimenti contro la mafia, sono tempi che andrebbero commisurati - non per recuperare un modo passato di contare gli anni - in questo modo: da quanti anni era latitante Totò Riina quando sono stati presi questi provvedimenti? Nel ventesimo anno della latitanza, nel ventunesimo anno della latitanza! Questo forse ci fa capire - io credo e spero faccia capire ai colleghi - perché noi abbiamo insistito su questa posizione: un eminente esponente della democrazia cristiana (ma un eminente esponente), capo di sette Governi, presente in tutti i Ministeri o quasi della Repubblica italiana, non può non essersi accorto del degrado e dell'infiltrazione mafiosa che permeava le istituzioni, e non soltanto a livello siciliano, ma anche a livello nazionale. E, se non se ne è accorto, è ancora peggio, peggiore ancora è la responsabilità. Quindi, non trovo convincenti, per questo aspetto, le conclusioni della relazione che ella ci propone, presidente. Mi riservo anch'io di presentare un'eventuale modesta integrazione al documento sottoposto alla nostra approvazione e, nonostante il non convincimento, mantengo il voto favorevole del mio gruppo, perché forse questa non sarà una svolta storica, come qualche collega ha richiamato, ma sicuramente è Pag. 1770 un contributo che va nella direzione del nano sulla spalla del gigante. GIOVANNI FERRARA SALUTE. A nome del gruppo repubblicano, esprimo il voto favorevole alla relazione. La cosa importante che vorrei sottolineare, piuttosto che tornare su un testo che nel complesso mi soddisfa (che mi soddisfaceva già prima delle correzioni e mi soddisfa ancora di più dopo), è lo spirito col quale mi sembra che la Commissione si stia avviando a concludere questo dibattito. E' un segnale importante che noi diamo, pur senza perdere assolutamente il senso della razionalità, della misura e della complessità dei problemi e della loro enorme gravità, tuttavia noi percepiamo anche in modo diverso, ciascuno con la sua storia, l'atmosfera di tensione e di bisogno di chiarezza che ha questo paese, il bisogno di chiudere delle pagine. Naturalmente ciò porta a leggere questa relazione secondo prospettive diverse, a seconda della propria storia e delle proprie preoccupazioni. Ma questo, a mio giudizio, è un pregio della relazione stessa, poiché deriva non da una serie di compromessi che ne riducono il significato ma da una serie di aperture e, soprattutto, da una razionalità di condotta che, in qualche modo, consentono a ciascuno di coloro che l'approvano di muoversi per la propria strada. Non intendo dire, con ciò, che ciascuno può interpretare la relazione nel senso a sé più favorevole ma che ognuno di noi non può non avere un proprio modo di vedere i problemi in essa affrontati. Non mi stupisce, dunque, che nella stesura definitiva si ritrovino considerazioni che non sono del tutto personali del presidente ma derivano dall'aver ascoltato le osservazioni di tutti i commissari. Non mi stupisce, lo ripeto, che vi sia una certa varietà di posizioni perché questa è, in definitiva, la relazione della Commissione: questo è il suo grande significato. Come dicevo, questa relazione non nasconde nulla. Per quanto concerne alcune questioni particolarmente delicate e difficili da affrontare - è inutile farsi illusioni, vi sono cose difficili che dobbiamo affrontare non con lo stesso spirito con il quale diamo vita ad un dibattito politico, elettorale o giornalistico, ma con il necessario senso di responsabilità anche riguardo alle conseguenze - la relazione si attiene all'essenza dei problemi, si limita ad indicare le questioni; ma questo, lo ripeto, è un pregio di misura, che non significa certo spirito di compromesso. Del resto, pur nell'ambito della sua relativa limitatezza, essa è ampiamente diffusa, perché quando si parla di Cosa nostra si parla di qualcosa di molto grande ed importante. Torno a dire che a me sembra veramente illuminante il fatto che, in un modo o nell'altro, tutti ci siamo piegati al dovere di dare un'indicazione al Parlamento, quindi al paese, sulle linee di massima, fondamentali di una diagnosi che è inevitabile, e lo è nonostante le difficoltà che porta con sé e i problemi aspri che apre. D'altra parte, siamo in un'epoca nella quale, probabilmente, possiamo sottrarci alla morsa veramente distruttiva della realtà soltanto risolvendo i problemi e non più rinviandoli. Per quanto riguarda i rapporti tra mafia e politica in Sicilia - parlo di Sicilia perché questo è l'argomento della relazione ma il discorso è più ampio - siamo arrivati al punto in cui bisogna decidere se vi siano o non vi siano stati; di conseguenza, la discussione si sposta sul modo in cui affrontare un problema del genere e sul tipo di argomentazioni da portare ma non era possibile continuare a rimanere nel limbo dell'indecisione. D'altra parte, è evidente che uno studio attento del problema, il dibattito svoltosi nel paese e gli avvenimenti che si sono verificati portano necessariamente alla conclusione che quei rapporti vi sono stati e sono stati importanti, sia per la mafia sia per la politica. Naturalmente, a noi interessa soprattutto l'importanza che essi hanno avuto per la politica, perché è la salute della democrazia, la salute della Repubblica, del Parlamento e della politica che ci interessano direttamente, mentre di Cosa nostra in Pag. 1771 quanto tale dovrà occuparsi in modo particolare la magistratura. Dunque, noi non potevamo fare a meno di compiere una scelta e mi sembra che la relazione l'abbia compiuta, una scelta non arbitraria ma derivante inevitabilmente da una serie estremamente dolorosa e difficile di avvenimenti diversi, che ancora oggi ci pesano, che vanno dall'incrinatura di figure politicamente assai autorevoli alla morte di personaggi straordinariamente illustri ed importanti per la storia anche morale di questo paese, come i magistrati, dei quali più volte in questa sede si è parlato. Se il collega Mastella me lo consente, vorrei chiudere questa breve dichiarazione di voto favorevole con un rilievo. Abbiamo veramente superato un certo stadio della nostra storia: se il collega Mastella, cattolico, che ha rivendicato di essere tale, ha voluto usare una frase di Martin Lutero per indicare il punto di scelta in cui ci troviamo, vuol dire che veramente lo spirito ha superato le sue particolarità, come direbbe - permettete anche a me una citazione - Hegel, e siamo arrivati al momento in cui dobbiamo gettare dietro le spalle certe identificazioni troppo parziali di noi stessi e guardare in modo più ampio ai grandi modelli della coerenza morale, politica e, in questo caso, anche religiosa. Senza trionfalismi, perché il momento drammatico in cui viviamo non ce lo consente ma con molta soddisfazione aggiungo il mio sì ai molti colleghi che mi hanno preceduto. ALTERO MATTEOLI. Condividendo quanto affermato all'inizio del suo intervento dal presidente, collocandosi cioè nella logica di un confronto duro ma libero, il gruppo del Movimento sociale italiano voterà contro la relazione predisposta e ne presenterà una sua. Eravamo già convinti della necessità di farlo prima di ascoltare le dichiarazioni di voto dei colleghi ma ora lo siamo ancora di più. Il collega Calvi ha affermato che si tratta di una relazione ovattata ma chiara e che essa è passata dalle certezze agli atti dovuti, a valutazioni più generali di carattere politico. Il collega Galasso ha dichiarato di votare a favore ma si è riservato di presentare un documento integrativo. Per l'onorevole Mastella "è venuto meno lo stupido assioma che l'interfaccia della mafia sia la democrazia cristiana"; "anche la giunta Orlando - egli aggiunge - aveva l'apporto dell'onorevole Lima". L'onorevole Scalia esprime un voto favorevole ma non convinto e si riserva anch'egli di presentare un documento integrativo. Che la relazione predisposta dal presidente venga votata, per il suo contenuto, dall'onorevole Mastella e dal suo gruppo e contemporaneamente dall'onorevole Galasso è di per sé una contraddizione. Non voglio certo intromettermi nella libera decisione di altri gruppi, ma devo sottolineare che dal punto di vista politico questa confluenza di voti favorevoli è una contraddizione. Da questa situazione discende infatti, a nostro avviso, una relazione scritta a più mani, nella quale ognuno ha ritenuto di poter disporre di uno o più pagine per scrivere ciò che voleva in funzione del partito di appartenenza. La proposta presentata dall'onorevole Violante la scorsa settimana partiva da un presupposto di fondo: le dichiarazioni dei pentiti; noi non abbiamo condiviso tale proposta, ma riconosciamo che essa aveva una sua logica. Oggi viene meno anche questa logica. La relazione finale è piena di contraddizioni; per rendersene conto basterebbe leggere il brano di pagina 7 in cui si dice che: "Le collusioni tendono a sconfinare dagli ambiti locali perché i capi mafia che controllano i voti, orientandoli a favore di uomini politici locali, sono disponibili a sostenere anche candidati regionali e nazionali". Vi è in questo passaggio una forte ammissione della collusione tra mafia e politica ma quando si arriva alle conclusioni tutto diventa soft; a questo riguardo, concordo con il collega Calvi che parlava di una relazione ovattata. Alcuni punti sono poi pleonastici. A pagina 17, paragrafo 13, leggiamo addirittura: "Risulta indispensabile che ogni settore delle istituzioni e della società civile rompa i rapporti con Cosa nostra". Ci Pag. 1772 mancava anche che scrivessimo il contrario! Evidentemente, nella fretta di accontentare tutti per far votare la relazione si è arrivati anche a scrivere cose di questo genere. Non sono tra coloro che sono convinti che un parlamentare debba esprimere giudizi su aspetti di ordine penale. Questo non è compito nostro ma del magistrato e noi dobbiamo aspettare. Però questa relazione annacqua - uso un termine forse poco parlamentare - tutto ciò che riguarda il senatore Andreotti, mentre mantiene fermi i punti relativi a Lima e Carnevale: un colpo al cerchio e uno alla botte. Una parte alquanto confusa della relazione è anche quella che riprende la polemica tra Meli e Falcone; non si capisce se si tratti di una concessione al gruppo socialista o se voglia essere un attacco al gruppo la rete, cui si fa riferimento, pur senza citarlo, alle pagine 16 e 17. Anche per quanto riguarda i pentiti, dunque, l'impianto resta ma viene sfumato; passando dalla proposta alla relazione finale, si passa da un valore penale ad un valore politico. Sarà forse più attinente al nostro compito di parlamentari, comunque è a questo che siamo arrivati. Infine, nel paragrafo 52, pagina 64, della originaria proposta di relazione - paragrafo che aveva suscitato polemiche ed aveva provocato l'irrigidimento del gruppo democratico cristiano - si leggeva chiaro e tondo: "Sulla base dei documenti di cui dispone la Commissione, l'accertamento delle eventualità responsabilità penali del senatore Andreotti è un atto dovuto". Il paragrafo 64, pagina 92, della stesura definitiva della relazione recita - mi si consenta di dire che vi è un combinato di ipocrisia -: "Risultano certi alla Commissione i collegamenti di Salvo Lima con uomini di Cosa nostra. Egli era il massimo esponente in Sicilia della corrente democristiana che fa capo a Giulio Andreotti. Sulla eventuale responsabilità politica del senatore Andreotti, derivante dai suoi rapporti con Salvo Lima, dovrà pronunciarsi il Parlamento". Inoltre a pagina 5, evidentemente a seguito dell'accoglimento dell'emendamento presentato dal gruppo della democrazia cristiana, che non contesto - lo spirito di partito ha trionfato un'altra volta! - si trova un forte riconoscimento al Governo Andreotti-Scotti-Martelli. Mentre su Maira, Occhipinti e Culicchia - a questo riguardo mi ha meravigliato molto la dichiarazione di voto del collega Ferrauto - personaggi politici minori, si spara a zero e si citano punto per punto i motivi della richiesta di autorizzazione a procedere, per Andreotti tutto diventa sfumato, soft (lo ripeto per l'ennesima volta). A nostro avviso, le forze politiche non si sono rese conto nemmeno in questa circostanza che, per vincere la guerra decisiva contro la mafia e la camorra, occorre innanzitutto liberare lo Stato e le istituzioni dal potere soffocante di una partitocrazia che finisce inevitabilmente per essere alleata della criminalità organizzata e, a volte, addirittura la sua ispiratrice. Dalle dichiarazioni di voto che si sono fin qui succedute è chiaro che la relazione otterrà la maggioranza che il presidente auspicava; ma ritengo che non si sia affatto reso un servigio alla verità, anzi si siano ulteriormente confuse le acque. Questa sarà certamente la prima relazione che il Parlamento licenzia in merito alla collusione tra mafia e politica; ma essa ha raggiunto un tale grado di annacquamento da allontanare la verità, almeno per quanto riguarda il Parlamento. Voglio sperare che i magistrati siano più bravi di noi e riescano, invece, ad acclarare la verità fino in fondo. Nella nostra relazione - che presenteremo nel termine di 30 giorni ricordato dal presidente - cercheremo di mettere in risalto gli aspetti che non abbiamo trovato nella relazione presentata. SALVATORE CROCETTA. Signor presidente, colleghi, il gruppo di rifondazione comunista voterà a favore di questa relazione per una serie di motivi, tra i quali quello che molte proposte, sia soppressive sia sostitutive, da noi presentate sono state accolte. Il nostro orientamento, che non era stato deciso dall'inizio, tiene conto delle Pag. 1773 novità che sono presenti nella relazione e di approfondimenti estremamente importanti. Aver affermato che l'onorevole Salvo Lima era il punto di riferimento di Cosa nostra in Sicilia non è certo cosa da poco, così come non lo è il riferimento alla corrente andriottiana. Ritengo si tratti di elementi da valutare positivamente, nell'ambito dell'intera relazione, perché hanno un significato profondo. In passato, infatti, poco si è potuto discutere di questi argomenti: in genere, quando le precedenti Commissioni antimafia intervenivano su di essi, si arrivava alle querele. Ricordo, ad esempio, che Girolamo Li Causi è stato più volte querelato da Gioia, allorquando parlava dei rapporti tra mafia e politica e di quelli di una parte considerevole della democrazia cristiana siciliana con la mafia stessa. Oggi, invece, scriviamo alcune cose che, a mio avviso, hanno un loro significato ed una loro importanza. Nella relazione, inoltre, sono state inserite una serie di questioni anch'esse estremamente importanti: ad esempio quella riguardante la massoneria. Si tratta di un approfondimento da noi richiesto, ed il fatto che sia stato accolto ci soddisfa. Indubbiamente all'interno della relazione sono contenute ancora delle ombre. Anche se ci riserviamo la facoltà di presentare un documento integrativo nei termini previsti dal regolamento, desideriamo dire subito che il punto non è comunque questo, quanto quello di sottolineare che con la relazione si va verso l'approfondimento ed il chiarimento di alcune situazioni. Ritengo che ciò, al di là delle affermazioni contenute nella relazione, debba servire per la fissazione di un codice di comportamento dei partiti. Infatti, questo, a mio avviso, è il fatto più importante da realizzare in futuro; da questo sarà giudicato il rapporto tra mafia e politica. Se si continuerà a presentare candidature sospette di personaggi legati alla malavita ed alla mafia, nulla sarà cambiato. Se, invece, il voto che quasi all'unanimità ci accingiamo ad esprimere si tradurrà in un comportamento concreto, avremo raggiunto davvero un obiettivo. Francamente, devo dire che la dichiarazione di voto dell'onorevole Mastella non mi ha convinto molto, come non mi ha convinto il suo riferimento a Goethe circa il "vivere dentro". Io avrei voluto non vivere dentro una situazione così tragica come quella siciliana. Essendo siciliano ed operando in quel contesto, invece dentro ci vivo: non avrei però voluto assistere a quegli avvenimenti tragici e drammatici, che ognuno di noi ha dovuto subire sulla propria pelle. Ribadisco, quindi, che il problema principale è rappresentato dai futuri comportamenti, e ciò motiva il nostro voto favorevole. Sotto questo profilo, la relazione - che può pure contenere luci ed ombre, limiti ed aspetti poco chiari - stabilisce un punto di riferimento preciso e cioè che tra mafia e politica c'è stato un rapporto e che il partito di maggioranza relativa ha avuto un rapporto privilegiato con quel mondo. Questo è stato scritto e detto. Rimane oggi da affrontare il futuro: per questo motivo - lo ribadisco - voteremo a favore della relazione. ANTONIO BARGONE. Signor presidente, devo esprimere il voto favorevole del gruppo del PDS alla relazione e la soddisfazione per il suo valore politico-istituzionale, che rappresenta sicuramente una novità. Per la prima volta, infatti, si relaziona sul rapporto tra mafia e politica e lo si fa con grande equilibrio, senza indulgere a valutazioni di parte, con estremo rigore ed alto senso delle istituzioni. Si tratta di una relazione che può essere considerata un primo passo verso un approfondimento più generale dello stato della nostra realtà e delle organizzazioni criminali. Tuttavia, credo vada sottolineato il fatto che essa costringe a fare i conti con un processo storico che ha visto la mafia estendersi e radicarsi progressivamente nel paese, passando attraverso momenti di vera e propria legittimazione, e diventare, consolidando un intreccio fra sistema politico, istituzioni, mondo delle professioni e società civile, un elemento costitutivo del sistema, così come era Pag. 1774 scritto nella relazione di minoranza del gruppo del PCI nella Commissione antimafia nel 1989. Questo processo ha portato ad una scelta - che nella relazione viene definita di "coabitazione" - che ha coinvolto molti settori della nostra società ed ha prodotto, oltre ad un'espansione del radicamento mafioso, anche effetti devastanti, quale quello dell'estendersi della cultura mafiosa, che in qualche modo ha interessato vaste aree del paese. Tale coabitazione non ha coinvolto tutti ma certamente ha reso debole l'azione dello Stato fino a tempi recenti, giungendo a non far applicare leggi dello Stato, che pure erano state approvate e che avrebbero invece avuto bisogno di un' incisiva applicazione, così come per esempio ha detto oggi in un articolo l'onorevole Scotti, parlando anche degli ostacoli che ha trovato nell'applicare queste norme. Abbiamo sentito dire qui - e lo abbiamo rilevato anche dai documenti di questa Commissione - dell'azione repressiva "a fisarmonica" dello Stato proprio in virtù di quella coabitazione, che ha coinvolto anche pezzi della magistratura e delle forze dell'ordine, così com'è stato detto e com' è giusto che venga sottolineato nella relazione. Il coinvolgimento del sistema politico può aver trovato un momento di rottura nell'omicidio Lima e nelle stragi di Capaci e via D'Amelio; una rottura di quella sorta di patto - come l'ha chiamato anche il ministro Mancino - tra la mafia ed il potere politico. La relazione fa bene però a lanciare un allarme. Si rileva, infatti, che la reazione a tale rottura - che ha portato anche ad una maggiore determinazione degli apparati dello Stato nell'azione di contrasto alla mafia - è anche reazione della società civile. Essa rappresenta sicuramente un fatto nuovo in Sicilia, che ha bisogno però - come è scritto nella relazione - di un impegno collettivo, quindi di una rottura definitiva con il passato. Ritengo che sia proprio questo il punto che l'indicazione della responsabilità politica intende porre in evidenza. La sconfitta di Cosa nostra non passa dunque soltanto attraverso la sconfitta militare (da ottenere con un'azione repressiva tenace e determinata che porti fino all'eliminazione dell'organizzazione), ma anche attraverso un processo che deve portare le forze politiche e le istituzioni ad uscire da una situazione di grave degenerazione ed aiutare conseguentemente il sistema politico a liberarsi di quelle parti che ne intaccano la credibilità e ne minano la funzionalità democratica. Non si è voluto e non si vuole certamente fare un processo ad un partito. Esistono atteggiamenti indubbiamente sbagliati in questo senso ma credo che non si possano neppure accettare improprie chiamate di correo, che vanno contro la storia e che sono sicuramente in contraddizione con i ruoli diversi che storicamente le forze politiche hanno avuto nel paese. Del resto, non è neppure possibile superare la contraddizione intrinseca nell'affermare che non si può dare nessuna delega ai magistrati per l'espressione di un giudizio politico sul sistema, sulle forze politiche e sulle istituzioni perché ciò impone atti politici conseguenti. Se non bisogna richiamarsi alla responsabilità penale e soprattutto se non si delega alla responsabilità penale un giudizio politico, occorre che la politica, le istituzioni autonomamente si assumano il compito ed abbiano il coraggio di porre in essere atti politici capaci di dare un segnale preciso circa la rottura con vecchi metodi e vecchie logiche, e quindi di sconfiggere l'emblematica filosofia del senatore Andreotti secondo cui, finché non è intervenuta una sentenza passata in giudicato nei confronti di un uomo politico, sicuramente quest'ultimo non può essere messo in discussione. Tale filosofia rappresenta esattamente il contrario di quanto si sostiene nella relazione ed il contrario di quello che deve essere un orientamento capace di indurre il risanamento della politica e delle istituzioni. Per far questo, ritengo occorra superare resistenze, riserve mentali ed anche fuorvianti polemiche sui pentiti, che non possono essere fatte qui ma che devono trovare collocazione in sede giudiziaria. Le Pag. 1775 valutazioni devono essere fatte sulla base di elementi, e mi sembra di poter dire che la relazione, con molto rigore, tenga conto di tutti gli elementi. Credo che nessuna valutazione successiva sia stata fatta a scapito della verità: al contrario, ogni elemento è stato tenuto nella giusta considerazione con il rigore che deve contraddistinguere una relazione che è atto che dovrà essere valutato dal Parlamento. Attraverso il duplice passaggio della sconfitta militare di Cosa nostra e di un ampio impegno che passi per l'accertamento delle responsabilità politiche, ritengo si possa superare anche un atteggiamento che dà conto soprattutto di ragioni di parte e che potrebbe consentire alla mafia di riorganizzarsi, di costruire nuove alleanze, così come indicato nella relazione. E ciò potrebbe anche ipotecare le prospettive future del paese. MARCO TARADASH. Signor presidente, innanzitutto desidero darle atto dello sforzo compiuto per integrare, nella nuova versione della proposta di relazione, alcuni degli argomenti portati dai diversi gruppi politici. In particolare, considero assolutamente essenziale il nuovo capitolo riguardante il narcotraffico, anche se, a mio giudizio, ci si è fermati ai preliminari, cioè a porre il problema; è bene comunque che ciò sia avvenuto. Detto questo, confermo il mio voto contrario alla relazione per le ragioni che ho indicato nel mio intervento della precedente seduta e per altre che ho ricavato dalla lettura del nuovo testo. Comprendo benissimo l'adesione - manifestata dall'onorevole Mastella - della democrazia cristiana alla relazione. In effetti, rappresenta una dilagante vittoria della democrazia cristiana il fatto che sull'unico punto sul quale si era creato un conflitto asperrimo in Commissione, sui giornali e nella società civile, essa abbia potuto imporre il proprio punto di vista: il fatto che le responsabilità politiche identificate appartengono ad una sfera della democrazia cristiana che è stata abbandonata dal partito oltre che dagli eventuali, supposti alleati di un tempo. Oggi non abbiamo nessun quadro di riferimento delle reali implicazioni tra la mafia e la politica e neppure delle ragioni di tali implicazioni. E' proprio questo ciò che non riesco a intravedere. Certo, è indubbiamente importante l'aver per la prima volta tematizzato il rapporto tra mafia e politica. Ma come è possibile non andare a verificare come il rapporto fra politica e partitocrazia e settori malavitosi della società, o non malavitosi, ma costretti o condotti o che hanno condotto a comportamenti malavitosi se stessi e la politica, come questo rapporto, che è stato globale in tutto il paese a causa della natura del nostro sistema politico, abbia trovato in Sicilia specificazioni particolari ed in che forme si sia espresso? Come è possibile che questa relazione sia chiara ed esplicita sui rapporti tra la mafia e la politica fino al 1964 e poi, da quella data ad oggi, si passa ad un favoleggiare - tale è secondo me - di massoneria, quando noi oggi avremmo ben altro (in termini di documentazione, di analisi) sui partiti politici e sui dirigenti dei medesimi. Le massonerie saranno anche implicate ma, fino a questo momento, individuare un terzo soggetto per giustificare l'identità del fenomeno politico-mafioso in una massoneria di cui si hanno decine di sigle ma della quale né la magistratura né l'analisi storica e politica hanno detto nulla di definitivo e neppure di provvisorio e, in questo modo calare quel velo di Maja - dov'è il senatore Ferrara? - per impedirci di vedere la realtà delle cose... Oltre alla democrazia cristiana, tutti sanno che il partito repubblicano è stato un pezzo determinante del potere-mafioso in Sicilia. Eppure non c'è nessun riferimento a questo partito. GIOVANNI FERRARA SALUTE. Come no! C'è Gunnella. MARCO TARADASH. Ci sono riferimenti "vaganti" nella relazione. Dobbiamo capire come un partito politico nazionale possa essere colonizzato in Sicilia dal rapporto politico-mafioso senza che le strutture nazionali oppongano una chiarificazione Pag. 1776 che - me lo consenta il senatore Ferrara - è arrivata con qualche decennio di ritardo. GIOVANNI FERRARA SALUTE. Anche su quei milioni di cui si parla. MARCO TARADASH. Non ce l'ho con il senatore Ferrara; sono d'accordo con le cose che dice. E' però un fenomeno obiettivo quello di cui la Commissione dovrebbe prendere atto. La giunta Orlando non è citata o lo è, come diceva il collega Matteoli, attraverso allusioni. Non so se sia vero quanto sostenuto da Matteoli ma capire cosa e quale tipo di novità storica questa giunta abbia rappresentato, quale alternativa concreta attraverso la gestione di appalti diversi o la rimessa in causa di una vecchia questione degli appalti vi sia stata, quale sia stato il ruolo delle forze politiche che l'hanno appoggiata, condurrebbe a verificare il tipo di rapporti esistenti, così come le inchieste di Milano e, oggi, quelle di Napoli cominciano a farci capire quale tipo di rapporto malavitoso - io dico di associazione a delinquere di stampo mafioso - si sia realizzato tra i poteri politici ed i poteri affaristici in quelle regioni. In questo caso c'era anche il potere militare. Tuttavia, pensare che l'aver arrestato il capo dell'ala militare di Cosa nostra possa essere così significativo da consentire di formulare auspici che non si abbiano a ricreare connivenze e connessioni tra politica e mafia è sbagliato. Sono convinto invece che certi pentiti, certi arresti, certe situazioni, certe morti (come sta dicendo giustamente il collega Biondi) si possano venire a creare anche perché forse le nuove alleanze si sono già costituite. Questa l'obiezione di fondo sull'impostazione generale della proposta di relazione, che credo sia stata ispirata, come l'atteggiamento politico complessivo degli anni passati, dal tentativo di raccogliere il massimo di consensi, soprattutto quello della democrazia cristiana. Se ci fosse stato un bookmaker e se la cosa non fosse così tragica, avrei vinto un sacco di soldi perché avevo detto nei giorni scorsi che la DC alla fine avrebbe votato a favore: così è avvenuto. Una cosa che in modo particolare mi diverte (o forse mi indigna o mi scandalizza) è l'allegato n. 1. Cosa si vuol dimostrare con questo allegato, al quale non ne segue nessun altro? Forse che elencando chi ha votato a favore o contro alcune leggi di contrasto alla mafia - la DC è il partito che ha sempre votato in favore di tutte, tranne una o due - si dimostra che la DC è il partito più antimafioso? Non credo che sia questo il modo per capire cosa siano stati in questi anni il saccheggio e la depredazione del diritto a tutti i livelli, oltre che l'espressione della violenza e della criminalità organizzata in Italia ed in Sicilia, attraverso la ricerca del consenso di tutti. Non è possibile, così come non è possibile poi indicare i nemici cattivi, coloro sui quali va gettato il peso della responsabilità, dai defunti a coloro - quali il giudice Carnevale e gli inquisiti membri di questo Parlamento non ancora processati - che oggi vengono indicati - e lo sono - come i capri espiatori, i punti di responsabilità delle compromissioni tra politica e mafia. Vedremo se il giudice Carnevale risulterà mafioso; in questa relazione sono indicate alcune sentenze, sei o sette, giudicate sbagliate: vorrei vedere le altre sei o sette mila, perché mi si dice che il giudice Carnevale, a differenza dei suoi predecessori, smaltisse arretrati enormi. Non voglio fare la difesa di questo giudice ma non voglio neppure che questa Commissione sancisca - prima che si abbiano le procedure formali di incriminazione e di decisione - che al vertice della Cassazione abbia seduto un giudice mafioso. Ritengo che questo sia il modo sbagliato di procedere, indicando termini di riferimento che finiscono per diventare più che un "velo di mafia", una saracinesca di piombo impenetrabile sull'oggettività dei percorsi mafiosi. Non condivido il valore dato alle dichiarazioni dei pentiti. Costoro possono essere citati come riferimento ma il peso che, sia pure in modo attenuato, ancora viene dato all'interno della relazione ai Pag. 1777 pentiti di Palermo, che non hanno saputo indicare un fatto concreto nel loro pentimento, che dura per molti di essi da decenni ed è un pentimento protetto, sorvegliato ed anche coordinato; il fatto che non si riesca ad estrarre una verità pratica e concreta, un termine che sia soggetto al riscontro, per voi sarà accettabile, in me desta mille sospetti sugli effettivi movimenti politici e mafiosi intorno alle vicende siciliane ed italiane. Quanto all'indicazione del voto al partito radicale, ritengo che sia impropria in termini di fatto e che questa Commissione, che ha aperto un'indagine sul voto mafioso in Sicilia nel corso degli anni, forse avrebbe agito più prudentemente andando a verificare i fatti, piuttosto che "attaccarsi" alle prime parole di un pentito. MARIO BORGHEZIO. Nel preannunciare il voto favorevole del gruppo della lega nord, riteniamo che rispetto ad esso si debbano continuare a svolgere, nonostante le integrazioni e le correzioni opportune, alcuni rilievi che saranno oggetto di documenti aggiuntivi e, in qualche misura, correttivi. Abbiamo giudicato e giudichiamo favorevolmente questo documento, la cui portata è indubbiamente da considerarsi storica ma il cui primo limite sta nella data: il nostro paese arriva finalmente a fare il punto, criticabile finché si vuole, sui rapporti tra mafia e politica con un documento parlamentare soltanto nel 1993. Questo è il primo rilievo da avanzare. Riflettevo in proposito rileggendo quanto scriveva, solo quattro anni fa, il giudice Cordova al Presidente Cossiga, laddove parlava di un clima di diffuso torpore e di assuefazione alla sopraffazione mafiosa; mi sono recato di recente al sud ed ho potuto riflettere su tale situazione. Il magistrato concludeva dicendo: "L'attuale stato di cose è l'ideale per l'indisturbato prosperare della mafia. Le reazioni si scatenano quando si intraprendono le azioni penali, non quando si commettono i reati". A mio modo di vedere - questa la riflessione sulla situazione alla lotta alla mafia che compio leggendo la proposta di relazione - non è cambiato molto dal 1988 ad ora. Ecco perché non condividiamo totalmente l'ottimismo che traspare: se è ottimismo della volontà, il giudizio politico è favorevole; ritengo però che su quest' argomento si debba restare ancorati ad un sano pessimismo dell'intelligenza, anche perché la cronaca politica continua a portare elementi al riguardo. Possiamo leggere nella seconda pagina de Il Popolo di oggi valutazioni molto interessanti sull'iniziativa recentissima ed eclatante dei gruppi parlamentari, che hanno inviato un esposto-denuncia all'autorità giudiziaria di Roma, sul preteso complotto contro il partito della democrazia cristiana. Tale esposto-denuncia risulta firmato dai due capigruppo democristiani della Camera e del Senato ma, secondo le dichiarazioni dell'onorevole Bianco, è pienamente condiviso ed anzi in qualche modo partecipato dal segretario politico della democrazia cristiana. Tutto ciò la dice lunga sulle reazioni che, come diceva il giudice Cordova, si scatenano quando si intraprendono le azioni penali, non quando vengono commessi i reati. Suggella il nostro giudizio positivo quanto leggiamo alle pagine 91 e 92 della relazione, cioè che è difficile credere che il rapporto di Cosa nostra con il sistema politico si sia esaurito nell'attività di garante degli interessi mafiosi che sarebbe stata svolta da Salvo Lima. Affrontando i punti sui quali intendiamo mantenere la nostra posizione un po' diversa rispetto all'orientamento che pare emergere in Commissione, ritengo sia importante trattare due argomenti. Il primo riguarda la legislazione concernente i finanziamenti agevolati al sud, un argomento che continua ad essere tabù, ma solo per i politici, anche per quelli della Commissione antimafia, non per i documenti che la Commissione stessa ha acquisito. Basta leggere, infatti, la trascrizione delle intercettazioni telefoniche effettuate a cura di un capitano della compagnia dei carabinieri di Corleone: per una decina di pagine, dopo la pagina 11, emerge quello che l'acuto inquirente ha dedicato interamente Pag. 1778 all'argomento "finanziamenti della legge n. 64 del 1986", quello che viene definito un filone investigativo specifico, che nasce da una conversazione telefonica non tra personaggi casuali ma tra Toni Juvara e Antonio Mandalari, che è l'utenza telefonica del commercialista di Totò Riina. Tutto fa riferimento ai caratteri ed agli aspetti della legge ed a come approfittarne. Mi sembra che questa sia la prova cartolare di quanto la lega aveva intuito e che saltava agli occhi di tutte le persone oneste che lavorano ed operano nel sud. Mi pare che chi voglia operare veramente per un risanamento della politica dall'inquinamento mafioso dovrebbe fare e dire molto di più di quanto sia stato fatto e detto finora. Il secondo argomento riguarda la penetrazione della mafia al nord. Il nuovo testo della relazione, anche su nostra richiesta, dedica notevole spazio alla penetrazione negli ambienti economici e bancari. Questo è un aspetto molto importante perché la penetrazione mafiosa al nord tocca particolarmente aspetti come il riciclaggio e via dicendo. Tra l'altro, mi pare ancora necessario insistere sulle applicazioni della normativa antiricilaggio e sui dati molto preoccupanti che si registrano in proposito, al nord come al sud. Per quanto riguarda la penetrazione mafiosa al nord, vanno ulteriormente sottolineati non soltanto la pericolosità e l'oggettività di questi insediamenti, ma anche la loro origine, l'importanza che ebbero, secondo le stesse parole dei collaboratori di giustizia, le normative sul soggiorno obbligato, il tipo di attività, i collegamenti, gli intrecci - che sono in corso di documentazione e di approfondimento da parte dell'autorità giudiziaria - con il mondo degli affari, delle tangenti e del finanziamento illecito dei partiti. Anche in proposito vi sono già riscontri obiettivi molto importanti, per cui chi si occupa di antimafia non deve far finta di ignorare questi aspetti, non deve considerarli secondari. Proprio in relazione a quanto ricordavo all'inizio, citando le affermazioni di Cordova, è molto grave che il non vedere, il non sentire, il non reagire di fronte a questi evidenti sintomi di penetrazione mafiosa comincino a realizzarsi anche nelle zone non tradizionalmente toccate dal problema mafia. Dobbiamo ancora domandarci a quale punto sia ormai arrivata la sapiente capacità della piovra di mimetizzarsi e di introdursi nei livelli istituzionali del nostro paese. Sotto tale aspetto, mi pare molto importante quello che dovrà emergere dagli sviluppi successivi del lavoro della Commissione. Questo documento può essere valutato e da noi votato soltanto nella direzione di un'azione che sicuramente dovrà essere molto più incisiva anche in relazione ai riscontri, alle proposte, ai suggerimenti. Pensiamo - per tornare al solito argomento del riciclaggio - al fatto che in tutta questa normativa non sappiamo chi si curi di andare a controllarne l'applicazione regione per regione, provincia per provincia. Chi è andato a parlare in alcune realtà meridionali con funzionari della Banca d'Italia ha riferito alla Commissione come stanno le cose. Più in generale tutto il sistema dei controlli amministrativi è demandato all'attività inquirente dell'autorità giudiziaria ordinaria. Ma ricordiamo che il nostro ordinamento legislativo prevede una pluralità, tutto un sistema di controlli! E questi controlli nel nostro paese non vengono svolti! I controlli amministrativi, i poteri dello stesso cittadino! Lo Stato ha responsabilità notevoli al riguardo. Se il giudice Cordova parla di un clima di "non sentire" che desta scandalo, tutto questo deve essere combattuto con una serie di iniziative decise; è compito della Commissione antimafia, attraverso tutti i mezzi e naturalmente in primis tramite gli organi istituzionali ma anche utilizzando tutte le possibilità offerte dai mass media, dalla comunicazione sociale e dalle proprie possibilità di intervento, attivare e verificare, controllare l'attività di questi organi di controllo, a cominciare dagli uffici della Corte dei conti, per terminare - e non per Pag. 1779 ultimi - con gli organi di vigilanza, che sono quelli della Banca d'Italia ma anche quelli del Ministero del tesoro. ALFREDO BIONDI. Non ho partecipato ai lavori importanti che si sono svolti sulla prima proposta di relazione. Voglio anche dire per quale motivo - il presidente lo sa, perché glielo avevo scritto - avevo avuto qualche dubbio di procedura e di merito in ordine a come le cose si erano proposte, particolarmente per la fuoriuscita della relazione avvenuta prima che ne potessi prendere personale visione, forse un po' per la mia personale pigrizia che mi induce a ritirare i documenti dalla casella il più tardi possibile, un po' per non esser stato informato del suo deposito. Comunque, avendo letto il giornale arrivando a Roma da Genova, mi ero arrabbiato: una cosa è discutere collegialmente un documento, altra cosa è leggerlo, anche in sintesi, e poi trarre da questo - sempre succede, leggendo, che nascano contrapposizioni logiche, dialogiche, dialettiche e via dicendo - una sorta di imbarazzo nel dover, ragionandoci rapidamente, prendere posizioni che invece hanno bisogno di essere verificate. E la gente intanto ne ha contezza, sa come la pensa il presidente. Questo mi ha disturbato anche perché mi era parso - ho colto poi questo aspetto ancora di più dopo aver letto la relazione - che vi fosse una sorta di visione unilaterale del problema, un'impostazione nella quale, nonostante le alte proclamazioni sulla necessità di tener conto di tutte le posizioni, si trovasse una realtà abbastanza precostituita e - ripeto - unidirezionale, di fronte alla quale mi trovavo in imbarazzo, imbarazzo che ho esplicitato direttamente al presidente (non sono tra coloro che vanno a dichiararlo in giro). Questa mattina tardi ho riletto, quando l'ho avuta, a mezzogiorno e mezzo, la seconda proposta di relazione nata dall'elaborazione e dagli interventi dei colleghi. Mi accorgo di quanto ho perso; per aver ascoltato quanti sono intervenuti, comprendo che il dibattito precedente deve essere stato assai stimolante. Gli assenti hanno sempre torto; quindi, sono qui a farne pubblica ammenda. Questa proposta, così come si è evoluta, tiene conto di alcune considerazioni. Diceva poco fa l'onorevole Taradash che non arriva alle ultime conseguenze; anche l'onorevole Borghezio ha svolto alcune osservazioni molto giuste. In ogni caso mi pare che la proposta contenga alcuni valori, tanto meno - per fortuna, starei per dire - quelli che temeva vi fossero il collega Matteoli, quando (non so se facendo un complimento alla verità oppure all'aspirazione alla stessa) affermava che questa relazione non è un servizio alla verità. Ma noi non dobbiamo rendere un servizio alla verità! Dobbiamo rendere un servizio alla possibilità di accertare la verità politica, in attesa che la verità, che è sempre di ordine processuale, sia valutata dai magistrati. Da questo punto di vista, la proposta di relazione che stiamo per votare tiene conto di parecchi fatti importanti sotto il profilo della realtà politica e sociale di cui Cosa nostra è un'espressione, un coabitante interessato, stimolante, beneficiario, una specie di soggetto concorrente in determinati momenti alla propria sopravvivenza attraverso la sua capacità di influire sulle decisioni più modeste, più elevate, generali, a seconda dei casi. Se si tiene conto di questo, l'implicita - starei per dire ovvia - conseguenza che il rapporto mafia-politica è coessenziale per l'esistenza della mafia mi pare sia di tautologica evidenza. Perché questo si sia potuto verificare nel tempo e abbia potuto avere correlazioni con le situazioni politiche, raramente diversificate dal punto di vista dell'entità numerica e delle modificazioni elettorali in Sicilia, è un problema che forse dovremmo discutere in maniera più ampia. Fatto è che la mafia sta con chi conta di più e, di conseguenza trova in chi conta di più i soggetti cui fare riferimento. Se si valuta opportunamente questa circostanza, allora si comprende come anche in relazione a momenti della storia e dell'evoluzione della vita politica in Sicilia la mafia ha avuto certamente propensioni che sono variate e - diciamolo francamente - determinate dal cedimento, dalla possibilità di Pag. 1780 presa sui soggetti cui si è rivolta. Questo spiega perché al proprio interno e al proprio esterno li prenda a bordo e poi li posi, li assuma e poi li licenzi, con una visione nella quale il criterio della reciprocità è qualche volta esplicito e qualche volta implicito. Vi sono infatti situazioni che possono far comodo senza scomodare la coscienza (parlo di un tipo di mondo politico che è disposto ad accettare un vantaggio senza chiedersi quale ne sarà il costo) e vi sono di coloro che accettano vantaggi e costi commisurandoli alle proprie esigenze di progressione politica. Può accadere - l'ha detto anche un procuratore della Repubblica di Caltanissetta - che un bravo picciotto venga scelto per le sue doti intellettuali e gli si faccia fare, a seconda della quota delle doti, o l'avvocato o - stavo per dire il giudice - anche qualcos'altro, magari il maresciallo dei carabinieri (faccio per dire)! Si scelgano le colonne della società. Se si parte da questo concetto, anche i rapporti con la democrazia cristiana e con gli altri partiti di Governo che con essa hanno collaborato sono dal punto di vista della propensione fisiologici, da quello della scelta delle persone patologici, perché occorre richiedere a questi soggetti la capacità di adattarsi alla logica mafiosa, che è una logica coinvolgente, non tanto facile da respingere! Mi sono sempre chiesto, per esempio, quando vado ad Imperia o a San Remo per qualche comizio o per difendere qualche persona, se i parenti di questa gente che vive in trasferta nello stesso modo in cui vive in casa, accorpati, collegati, sostenuti, quando mi danno il loro voto, in ipotesi non facciano un ragionamento; magari non sarà quello di darmi una P38 per sparare al procuratore generale della corte d'appello ma quello di avere una comodità, se avranno bisogno, un piacere. Lo faranno! Il problema è quello di non essere aggiogati a questa situazione. Leggendo la relazione, mi sono un po' preoccupato - dico la verità - nel vedere come questo crepuscolo finale, questa caduta di soggetti di enorme valore morale e funzionale (come Falcone e Borsellino) e di forte relazione politica (come Lima) e quindi l'arresto di Riina siano una cosa così coordinata, così stranamente coincidente, temporalmente e tragicamente riferita ad un crepuscolo di relazioni. Mi sono anche chiesto perché tutto questo sia successo improvvisamente l'estate scorsa. Mi sono anche posto un quesito, che è abbastanza importante: se la mafia, che si regola per avere una enclave, una nicchia ecologica nella quale vivere più tranquillamente possibile, ad un certo punto squassi tutto. In contemporanea il capo (non so se militare, certo non civile) che si chiama Totò Riina viene offerto non alla pubblica fede ma alle pubbliche galere... ALFREDO GALASSO. L'hanno catturato? ALFREDO BIONDI. Sono sempre meno sospettoso di te in tutti gli aspetti della mia vita (è una battuta)! Questo problema forse andrà affrontato successivamente. Non è detto che non si possa fare qualche altra riflessione. L'aspetto positivo è dato oggi da una consapevolezza, da una relazione con la pubblica opinione, da un sentimento di tutti, e quindi anche delle forze politiche, sulla necessità di andare avanti. L'altro aspetto - sono accusato dal dottor Giorgio Bocca di essere un garantista peloso (mostrerò i peli magari in altre occasioni) - investe la necessità di avere una posizione rigorosamente garantista. Desidero dire questo: il problema che oggi abbiamo è quello di integrare opportunamente questa relazione, sulla quale voterò a favore. Ho la sensazione che il rischio che la mafia abbia cambiato non dico padrone ma garzone esista ancora; ho la sensazione che vi sia apparentemente un mutamento di strategie e di relazioni ma che ancora esista la possibilità che ci si serva di qualcuno. Non credo che la guerra sia finita; la guerra continua ed è giusto affrontarla in modo più sereno. Sono stato anche contento come avvocato; tra i colleghi, Pag. 1781 vi è qui un pubblico ministero che ha avuto parte nella vicenda Dalla Chiesa ed altri nel maxiprocesso ed io ho provato qualche personale turbamento nell'affrontare questi temi, magari con diverse valutazioni rispetto ad altri problemi che abbiamo vissuto con tanta sofferenza durante quella realtà processuale. PRESIDENTE. Onorevole Biondi, la sua esperienza di vicepresidente dell'Assemblea dovrebbe... ALFREDO BIONDI. Ha ragione, signor presidente, ma ignoro quanto tempo abbia a disposizione. PRESIDENTE. Quello concesso per le dichiarazioni di voto rese in Assemblea. ALFREDO BIONDI. Concludo dicendo che ho avuto qualche dubbio di carattere deontologico nel decidere se parlare di cose di cui si è avuta una cognizione propria, che si è utilizzata per una parte processuale; quindi, magari, la nostra serenità non è uguale a quella di coloro che questa vicenda non hanno vissuto con la stessa penetrazione e partecipazione. Voterò pertanto a favore della relazione per ciò che contiene e soprattutto per ciò che può stimolare a realizzare nell'ambito di un dibattito più vasto. LUIGI BISCARDI. Riconfermo la valutazione pienamente positiva manifestata in sede di discussione generale nei riguardi della relazione, per cui esprimo, a nome del gruppo misto e per conto anche del collega Acciaro, voto favorevole. Vorrei fare alcune brevi considerazioni in ordine alla nuova edizione della relazione. Vi sono alcune varianti come quella, ad esempio, contenuta a pagina 35, allorquando si mette al condizionale il rapporto tra mafia e forze politiche. PRESIDENTE. A che pagina si riferisce? LUIGI BISCARDI. A pagina 35. L'uso del condizionale ha stemperato, rispetto al voto per le forze politiche e rispetto alla connessione... PRESIDENTE. Mi scusi, senatore Biscardi, si riferisce all'MSI ed al PCI? Testualmente la relazione così recita: "In Sicilia avrebbe votato (si intende Cosa nostra) per i candidati di tutti i partiti politici tranne l'MSI ed il PCI". LUIGI BISCARDI. Prima si è usato l'indicativo, poi il condizionale ed infine l'imperfetto ("... alla DC che la riteneva responsabile di un irrigidimento, rispetto al passato, della lotta alla mafia"), mutando in positivo quello che prima era un giudizio negativo. Credo che questa sia la variante di maggior rilievo. Per quanto riguarda le integrazioni, ritengo che la nuova edizione della relazione sia più ordinata rispetto alla precedente e contenga quelle necessarie integrazioni, apportate a seguito della discussione svoltasi, che ha toccato in particolar modo le connessioni droga-economia-finanza e la responsabilità degli enti locali e delle varie amministrazioni statali. Per la verità in sede di discussione generale, ho sottolineato l'esigenza di un ampliamento dell'analisi della posizione delle burocrazie in Sicilia: non si tratta infatti di una sola burocrazia in quanto occorre esaminare la burocrazia degli enti locali, di quella regionale, di quella statale e soprattutto la loro formazione e le loro assegnazioni di sede, che costituiscono un aspetto fondamentale per la loro presenza nel territorio. Ritengo invece che sia stata accolta, anche sulla scorta delle indicazioni dei pentiti, la tesi della possibile reinsorgenza di strumentalizzazioni separatiste da parte della mafia. Anche da questa edizione della relazione, forse più pacata e descrittiva della precedente, emerge un dato essenziale: il quadro della contiguità (continua e senza interruzioni) tra mafia e politica. E' stato qui ricordato il primato della politica, dal quale deriva anche il primato delle responsabilità politiche; e la causa e l'origine prima della responsabilità politica Pag. 1782 è stata (e ciò va sottolineato) l'occupazione totalitaria del potere, simboleggiata dal connubio sempiterno Andreotti-Lima. ALBERTO ROBOL. Biscardi, Biscardi, non dare giudizi a palate! LUIGI BISCARDI. E' la verità. Mi sembra pertanto che vi sia un'adesione generale nei confronti della relazione. Ora però i distinguo interpretativi, che sono accettabili in sede di discussione, avranno la loro verifica in sede di comportamenti politici. Sotto questo aspetto, l'esposto della democrazia cristiana si colloca in evidente contraddizione con la sua adesione alle risultanze di questa relazione, la quale non appartiene, né vuole appartenere, ai cieli della pura storiografia ma vuole e deve essere uno strumento di rigenerazione politica. Ecco perché questo primo tempo di una più vasta indagine sulle organizzazioni criminali dovrà avere la sua eco in Parlamento ma dovrà investire anche il paese e, come ho detto durante la discussione generale, le giovani generazioni. Abbiamo infatti bisogno che questa verità, che appartiene alla storia più terribile ed angosciosa del nostro tempo, sia diffusa e conosciuta nelle scuole d'Italia. Pertanto, anche in questa sede insisto sulla proposta avanzata durante la discussione generale. PRESIDENTE. Prima di procedere alla votazione, dovrei fare una breve comunicazione, riservandomi di renderne un'altra subito dopo. Vorrei innanzitutto ricordare che, ai sensi dell'articolo 22 del regolamento interno, è possibile presentare relazioni di minoranza. Nella seduta del 30 marzo 1993 è stato fissato il termine di trenta giorni per depositare eventuali relazioni di minoranza. Ricordo inoltre che, secondo precedenti, sono consentite note integrative di gruppi o di singoli commissari che pur abbiano votato a favore della relazione o si siano astenuti. Naturalmente il termine di presentazione per tali note è anch'esso di trenta giorni. La pubblicazione di tali note integrative in allegato alla relazione, da cui comunque restano concettualmente separate, deve essere deliberata dalla Commissione, così come la Commissione deve deliberare sulla proposta, che io avanzo, di allegare alla relazione il resoconto stenografico del dibattito e delle dichiarazioni di voto. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito. (Così rimane stabilito). GIROLAMO TRIPODI. Per quanto riguarda gli emendamenti? PRESIDENTE. Si possono inserire nel documento integrativo. Pongo in votazione la proposta di relazione sui rapporti tra mafia e politica. (E' approvata). PRESIDENTE. Al termine di questa fase, la cui importanza credo non sfugga a nessuno, ritengo doveroso rivolgere un ringraziamento vivo e sentito all'intero ufficio di segreteria, coordinato dal dottor Arsini. Più in particolare desidero manifestare un convinto apprezzamento per le grandi doti di capacità e di impegno dimostrate dal consigliere, dottor Stevanin, dai documentaristi, dottoressa Amendola, dottor Grazian, dottor Montecchiarini e dottoressa Minervini e dei consulenti tutti. Un ringraziamento del tutto particolare dobbiamo rivolgere alla signora Antonella Placidi ed alla signora Simona Tocci, senza il cui contributo vi assicuro che il lavoro della Commissione non si sarebbe concluso oggi (Applausi). Ricordo che martedì 20 aprile 1993 alle 15 è convocato l'ufficio di presidenza, allargato ai rappresentanti di gruppo, mentre alle 16 è fissato l'incontro con il movimento per il volontariato italiano. La seduta termina alle 17,15. Pag. 1783 ALLEGATO Pag. 1784 Pag. 1785 Proposta di relazione sui rapporti tra mafia e politica I 1. La Commissione parlamentare antimafia decise, il 15 ottobre 1992, nel corso della definizione del programma generale dei lavori, di dedicare un settore della propria attività al rapporto tra mafia e politica, in adempimento della legge istitutiva che impone, tra l'altro, l'accertamento di tutte le connessioni del fenomeno mafioso. Successivamente, nel corso della seduta del 22 ottobre, alcuni componenti proposero che la Commissione avviasse con immediatezza una sessione di lavoro sui rapporti tra Cosa Nostra e la politica. La richiesta nasceva dal contenuto dell'ordinanza che disponeva la misura cautelare della custodia in carcere per gli imputati dell'omicidio dell'on. Salvo Lima(1). In tale provvedimento il g.i.p. presso il tribunale di Palermo, accogliendo la richiesta della procura della Repubblica, indicava alcuni elementi dai quali si traeva la convinzione che tra la vittima di quell'omicidio ed esponenti di Cosa Nostra fossero intercorse stabili relazioni aventi ad oggetto la prestazione di consenso politico in cambio di favori di carattere giudiziario o di altro tipo. La Commissione approvava questa proposta nella seduta del 29 ottobre 1992. L'Ufficio di presidenza, allargato ai capigruppo, decideva all'unanimità nella seduta del 25 marzo 1993 di iniziare la discussione della relazione nella giornata di mercoledì 31 marzo. Nel corso della seduta di martedì 30 marzo, la proposta di relazione era distribuita a tutti i componenti della Commissione. In quella sede si confermava il calendario dei lavori stabilito dall'Ufficio di presidenza. La votazione finale sul testo presentato, con integrazioni proposte dai componenti della Commissione è avvenuta nella seduta del 6 aprile 1993. 2. E' la prima volta che la Commissione antimafia dedica un'apposita relazione ai rapporti tra mafia e politica. Questo documento perciò non pretende di esaurire la materia. Altri approfondimenti si renderanno indispensabili. Sarà necessario, in particolare, analizzare la stessa questione in relazione alla 'ndrangheta, alla camorra e alla Sacra Corona Unita. Questo documento rappresenta perciò solo una prima tappa nel lavoro della Commissione. 3. Il Parlamento è già intervenuto su questa materia. La legge istitutiva della commissione d'inchiesta presieduta dal senatore ---------- (1) Salvo Lima venne ucciso in Palermo il 12 marzo 1992. Pag. 1786 Chiaromonte (legge 23 marzo 1988 n.94) dava mandato alla Commissione di "accertare e valutare la natura e le caratteristiche dei mutamenti e delle trasformazioni del fenomeno mafioso e di tutte le sue connessioni". Il mandato era riconfermato negli identici termini per questa Commissione. I successivi interventi del Parlamento hanno approfondito il rapporto tra mafia e politica individuando tre direttrici. * Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per collegamenti diretti o indiretti di singoli amministratori con esponenti della criminalità organizzata o per condizionamento degli amministratori stessi da parte di tali forme di criminalità (articolo 15-bis legge n.55 del 1990, introdotto con il decreto-legge n.164 del 1991, convertito con legge n.221 del 1991). ** La limitazione dell'elettorato passivo, la sospensione e la decadenza dalle cariche elettive e di governo negli enti locali e nelle regioni per gli imputati del delitto di associazione per delinquere mafiosa (legge 18 gennaio 1992, n.16). Non sfugge, e la questione fu oggetto di serrato dibattito parlamentare, che il far derivare conseguenze così gravi da un'accusa non corroborata da sentenza definitiva comporta una valutazione particolarmente preoccupata delle connessioni tra criminalità organizzata e politica e, insieme, dalla difficoltà, per molti partiti politici, di liberarsi dai condizionamenti locali di personaggi non degni di rivestire pubblici incarichi. In particolare la Commissione antimafia aveva accertato, in quel torno di tempo, che alcuni dei candidati ad elezioni amministrative e regionali erano imputati o erano stati condannati per reati gravi, nonostante che, in precedenza, i segretari nazionali di tutti i partiti politici avessero accettato l'impegno, proposto dalla stessa Commissione, a non candidare un tale genere di persone. *** La punibilità del voto di scambio elettorale con la mafia. Per iniziativa parlamentare si introdussero nel testo del decreto legge 8 giugno 1992 n.306, convertito con la legge 7 agosto 1992 n.356, due nuove norme incriminatrici. La prima (articolo 11-bis) integra la definizione di associazione per delinquere mafiosa, tipicizzata dall'articolo 416-bis c.p.: costituisce associazione mafiosa anche quella che si avvale "della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva... al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali". La seconda disposizione (articolo 11-ter) punisce lo scambio elettorale politico-mafioso individuato come promessa di voti effettuata dall'aderente all'associazione mafiosa, che riceve in cambio somme di danaro. La punizione riguarda chi ottiene la promessa di voto, essendo la controparte già punita ad altro titolo(2). ---------- (2) Da più parti si è osservato che la promessa di voti in cambio di denaro è una ipotesi di reato la cui prova è quasi impossibile. Sarebbe necessaria una riformulazione della norma che, pur non lasciando alla magistratura eccessivi margini di discrezionalità interpretativa e applicativa, sanzionasse in modo efficace, e non soltanto declamatorio, il voto di scambio politico. Pag. 1787 Le norme incriminatrici non hanno ancora avuto significativa applicazione perché sono trascorsi solo pochi mesi dalla loro approvazione da parte del Parlamento e perché, trattandosi di norme penali, la loro applicazione consentita solo ai fatti commessi successivamente alla entrata in vigore. Invece, tanto le disposizioni sullo scioglimento dei consigli comunali quanto quelle sulla sospensione degli amministratori ex lege 16/92, hanno avuto una significativa applicazione. Sono stati sciolti, sinora, 56 consigli comunali dei quali 22 in Campania, 11 in Calabria, 4 in Puglia e 19 in Sicilia. Ampia applicazione con riferimento alle connessioni tra amministratori locali e criminalità organizzata ha avuto, inoltre, l'articolo 40 della legge 142/90, che stabilisce la rimozione di amministratori di enti locali "quando compiano atti contrari alla Costituzione, o per gravi e persistenti violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico". Le relazioni del Ministro dell'interno informano che per 31 dei 104 amministratori rimossi sino al 22 dicembre 1992, il provvedimento è stato determinato da rapporti con gruppi di criminalità organizzata. Undici di questi amministratori operavano in comuni campani, nove in comuni siciliani, otto in comuni pugliesi, tre in comuni calabresi. Non deve stupire l'apparente distonia di questi dati con ciò che si conosce in ordine alla criminalità mafiosa in Sicilia. I dati di per sé non sono comparabili per varie ragioni. Occorre valutare complessivamente il quadro degli interventi effettuati dal Ministero dell'interno sulle amministrazioni comunali di ciascuna regione. Il rapporto tra organizzazioni mafiose e persone che rivestono responsabilità politiche varia, inoltre, a seconda del tipo di organizzazione mafiosa. Laddove l'organizzazione ha una struttura più pulviscolare, come appunto la camorra campana o la Sacra corona pugliese, questo rapporto tende a svilupparsi con maggiore visibilità; dove più concentrata e gerarchizzata, come in Sicilia, si manifesta con minore evidenza. In questa regione si è determinata da più lungo tempo una sorta di integrazione tra le organizzazioni mafiose e settori del sistema politico ed amministrativo e si è quindi sviluppato un più collaudato meccanismo di regolamentazione degli interessi comuni. In base alla legge 16/92 sono stati sospesi sinora 127 amministratori; 12 di questi per imputazioni concernenti delitti di mafia o di criminalità organizzata. L'applicazione delle singole disposizioni rivela la vastità degli intrecci e dimostra, per la prima volta, le connessioni tra mafia e politica anche indipendentemente dall'accertamento di specifici reati. 4. L'attività del Parlamento sul fronte della lotta alla mafia è stata particolarmente intensa nell'ultima parte della X Legislatura, in coincidenza con l'assunzione delle responsabilità del Ministero dell'interno da parte di Vincenzo Scotti (dal 16 ottobre 1990 al 28 giugno 1992), del Ministero della giustizia da parte di Claudio Martelli (dal 1^ febbraio 1991 al 10 febbraio 1993) e della chiamata del dott. Giovanni Falcone alla Direzione generale degli Affari penali del dicastero di Via Arenula (27 febbraio 1991). Pag. 1788 Vicende gravissime, come si dirà più avanti(3), spinsero a quella legislazione. E tuttavia non rileva soltanto il numero delle leggi approvate(4). Rilevano i loro contenuti, fortemente innovativi rispetto al passato. Per la prima volta non si tratta solo di norme penali, ma di misure che riguardano l'amministrazione dello Stato, gli enti locali, la disciplina degli appalti e dei subappalti, il sistema finanziario e bancario, i nodi strutturali, insomma, dell'intreccio tra mafia e istituzioni. Scalpore suscitò il decreto legge 1^ marzo 1991 n.60 emanato per correggere una anomala interpretazione della prima sezione penale della Cassazione che aveva comportato la scarcerazione di pericolosi capimafia. Fu un atto di coraggio e di responsabilità politica proposto dal Ministro della giustizia e da quello dell'interno. Furono determinanti, nella messa a punto delle nuove norme, la passione e la competenza di Giovanni Falcone. Molte di queste misure hanno trovato un'applicazione faticosa e parziale da parte dell'amministrazione. Ma il Parlamento, anche per il contributo della Commissione antimafia, guidata dal sen. Gerardo Chiaromonte, fece il suo dovere, innovando radicalmente il sistema tradizionale di risposta alla mafia, sino ad allora, in modo quasi esclusivo, imperniato sulle sole leggi penali. Non si è trattato, di un lavoro facile. Residui di vecchi atteggiamenti culturali spesso rallentarono l'iter dei lavori parlamentari(5). La non attenta valutazione dei danni derivati dalla infiltrazione dei capitali sporchi nel mercato finanziario, danni vigorosamente segnalati dal Governatore della Banca d'Italia, rese assai faticosa la riforma relativa alle società finanziarie. Più in generale, ha pesato una cultura per la quale qualsiasi aumento dei poteri dello Stato nei confronti dei cittadini comporterebbe di per sé pericoli per le garanzie individuali. E' un atteggiamento teorico che ha nobili origini. Esso presuppone una situazione storica nella quale il potere pubblico è invasivo, e la tutela dei diritti dei cittadini consiste nel costruire argini contro l'espansione di tale potere. Quelle condizioni sono oggi largamente superate e non trovano riscontro nella complessa realtà delle società contemporanee. Esistono poteri privati, competitivi con lo Stato, capaci di influire sulla pubblica opinione e di orientare le politiche generali. In Italia vi sono intere aree geografiche nelle quali la prima garanzia da stabilire è quella della effettività delle leggi statuali e della difesa dei cittadini contro le intimidazioni e i delitti mafiosi. Cosa Nostra è un moderno potere criminale, capace di contendere allo Stato il monopolio della coercizione. Per disarticolarla definitivamente occorrono misure capaci di incidere sulla sua struttura più profonda. Oggi i cittadini vanno difesi non solo dagli abusi dei poteri pubblici, ma anche dalle prevaricazioni dei grandi poteri criminali. E' un obiettivo raggiungibile soltanto con profonde innovazioni nei contenuti della legislazione.{note} ---------- (3) Vedi par. 50. (4) Si tratta di 13 leggi. (5) cfr. all. 1, D.L. 143/91, D.L. 152/91, D.L. 419/91. Pag. 1789 Non sempre queste esigenze sono state colte nel Parlamento; anzi il tipo di cultura cui si è fatto prima riferimento ha reso accidentato e lento l'iter di molte leggi antimafia, come emerge dal quadro dei tempi di approvazione e dai voti espressi sulle singole leggi(6). Peraltro è necessario rinviare alle dichiarazioni di voto ed all'intero dibattito sulle singole leggi, per individuare le effettive ragioni dei voti dati da ciascun gruppo parlamentare. 5. Il riconoscimento delle connessioni con la mafia non ha riguardato solo i "rami bassi" della politica. E' impensabile che un fenomeno di collusioni così vaste nei comuni del Mezzogiorno potesse svilupparsi senza una qualche partecipazione di volontà politiche di livello superiore. Le collusioni tendono a sconfinare dagli ambiti locali perché i capi mafia che controllano i voti, orientandoli a favore di uomini politici locali, sono disponibili a sostenere anche candidati regionali e nazionali, legati ai primi da fedeltà di partito o, più spesso, di gruppo. Gli interessi che cementano queste alleanze spaziano, dalle piccole esigenze locali ai grandi affari nazionali. Può essere necessario alla mafia attivare direttamente il politico locale per modeste questioni comunali e poter ricorrere ai referenti regionali e nazionali per risolvere questioni di maggiore importanza, facendo valere il consenso elettorale prestato. 6. Nella XI Legislatura sono state chieste dalle procure della Repubblica che operano in Sicilia quattro autorizzazioni a procedere nei confronti di parlamentari per il delitto di associazione per delinquere mafiosa. La procura della Repubblica di Caltanissetta ha chiesto l'autorizzazione a procedere nei confronti dei deputati Maira e Occhipinti. Il deputato Maira è accusato di aver versato, in occasione delle elezioni regionali siciliane del 1991, alla famiglia mafiosa di Caltanissetta la somma di 25 milioni di lire per ottenere il controllo e la protezione dell'ufficio elettorale nonché la distribuzione "porta a porta" dei facsimile elettorali. Avrebbe ottenuto, altresì l'assegnazione, come guardia del corpo, dell'"uomo d'onore" Giancarlo Giugno, capo storico della mafia di Niscemi. Egli, inoltre, avrebbe influito su deliberazioni amministrative al fine di avvantaggiare esponenti mafiosi. Si sarebbe adoperato per il trasferimento del funzionario di polizia Casabona, dirigente della squadra mobile di Caltanissetta, noto per la particolare penetrazione delle indagini nei confronti delle famiglie mafiose. Il dr. Casabona non venne trasferito e riuscì successivamente a sfuggire ad un grave attentato. Il deputato Occhipinti è accusato di aver fatto parte di un comitato d'affari politico-mafioso, che alterava le gare d'appalto per favorire Cosa Nostra e le imprese a lei vicine. In particolare, Occhipinti, amministratore del comune di Caltanissetta, avrebbe consegnato al mafioso Leonardo Messina, poi diventato collaboratore della giustizia, la busta contenente l'offerta di una ditta per la{note} ---------- (6) cfr. all. 1. Pag. 1790 partecipazione all'aggiudicazione dell'appalto relativo alla costruzione dell'Istituto Tecnico per geometri di Caltanissetta. Messina sottrasse dalla busta, rimuovendo i sigilli di ceralacca, il certificato antimafia della ditta, per invalidare la sua offerta. Restituì quindi la busta all'on. Occhipinti, conservando per sé il certificato sottratto che poi consegnò al dr. Paolo Borsellino, che lo interrogava, il 30 giugno 1992(7).Íh10.5Ï La procura della Repubblica di Marsala ha chiesto l'autorizzazione a procedere nei confronti del deputato Culicchia, anche per omicidio doloso. Al parlamentare è stato contestato di "essere al servizio della famiglia mafiosa degli Accardo" e di essere il mandante dell'omicidio di Stefano Nastasi, consigliere comunale della DC, consumato a Partanna nel 1983. Il deputato Culicchia era altresì presidente della Cassa Rurale ed Artigiana del Belice, avente sede a Partanna, che aveva molti soci e consiglieri strettamente legati alla famiglia Accardo. Lo stesso parlamentare era presidente del collegio dei probiviri della cooperativa socio sanitaria del Belice tra i cui soci figurano esponenti della famiglia mafiosa degli Accardo(8).Íh10.5Ï La Camera dei Deputati ha già concesso l'autorizzazione per il deputato Culicchia; deve pronunciarsi sulla decisione della Giunta per autorizzazioni a procedere nei confronti dei deputati Maira e Occhipinti, decisione che è favorevole alla concessione. La procura della Repubblica di Palermo ha chiesto l'autorizzazione a procedere nei confronti del senatore Giulio Andreotti. Al senatore Andreotti è contestato di "aver contribuito non occasionalmente alla tutela degli interessi e al raggiungimento degli scopi dell'associazione per delinquere denominata Cosa Nostra, in particolare in relazione a processi giudiziari a carico di esponenti dell'organizzazione". Il Senato, in relazione alla personalità politica del senatore Andreotti, ha deciso di deliberare con particolare rapidità sulla richiesta che lo riguarda. 7. Esplicite conferme di responsabilità che investono il sistema politico nazionale sono recentemente venute da vertici istituzionali. Intervistato nel corso del programma televisivo "Lezioni di mafia", il 27 luglio 1992, il presidente del consiglio Amato ammetteva "Lo Stato non innocente" per i colpi perduti nella lotta contro la mafia. Nella relazione semestrale sulla DIA, presentata dal Ministro dell'interno Mancino nel gennaio 1993 si legge a p. 6: "Cosa Nostra sembra avere messo da parte l'antica prassi di manipolazione e di collusione in favore di una tattica di scontro aperto con uomini ed istituzioni dello Stato"; a p. 7: "Grazie alla maggiore sensibilità delle forze dell'ordine e della magistratura nel perseguimento dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché della accresciuta reattività dell'opinione pubblica verso i fatti di corruzione e di malversazione, i rischi della (per la, ndr) mediazione e della (per la, ndr) protezione degli interessi mafiosi in sede politica si sono notevolmente innalzati."; a pag. p. 8 infine si parla di Ignazio Salvo come uomo {note} ---------- (7) Cfr. AAPP, Camera dei Deputati, XI Leg., Doc. IV, n.149, p. 3. (8) Camera dei Deputati, Relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere, XI leg., doc. IV/1-a, pag. 4. Pag. 1791 "considerato uno dei principali tramiti tra le famiglie mafiose e settori inquinati delle istituzioni". Su "Il Messaggero" del 17 gennaio 1993 lo stesso Ministro, rispondendo ad una domanda sui ritardi della lotta contro la mafia chiariva che i motivi sono due: "L'inadeguatezza culturale, ma soprattutto politica di chi doveva combattere il fenomeno; e il fatto che Cosa Nostra ha avuto collusioni con lo Stato.". Prima ancora, nella relazione sull'attività della D.I.A. relativa al semestre gennaio-giugno 1992, il Ministro dell'interno Scotti spiegava: "Caratteristica fondamentale di Cosa Nostra la sua tendenza al confronto da pari a pari con lo Stato ed i suoi rappresentanti, nonché l'infiltrazione in esso, tramite relazioni occulte con esponenti dei suoi apparati e degli organismi elettivi, fino alla neutralizzazione, tramite corruzione e violenza, di chiunque si opponga al suo strapotere (p. 10)... Cosa Nostra costituisce solo il segmento, il livello più nascosto, profondo e pericoloso di ciò che viene chiamato mafia: a causa della sua capacità di confronto-scontro diretto con l'autorità legale che deriva dalla sua collaudata attitudine verso la manipolazione, l'assoggettamento di uomini ed istituzioni... (p. 14)". Esponenti del Governo non si erano mai espressi con questa nettezza. 8. Sino a ieri l'esistenza di connessioni tra mafia e politica veniva considerata alla stregua di una mera ipotesi da dimostrare. Dopo le decisioni assunte dal Parlamento e dal Governo e le valutazioni del Presidente del Consiglio e dei Ministri dell'interno, quell'atteggiamento è del tutto superato. Se le connessioni non fossero esistite, Parlamento e Governo non avrebbero assunto quelle decisioni, le leggi non avrebbero avuto quella attuazione, il presidente del Consiglio e i Ministri dell'interno non avrebbero espresso quelle valutazioni. Perciò la relazione non si propone la pura e semplice dimostrazione di questi rapporti. Si propone invece di cogliere i caratteri che essi hanno avuto, le condizioni che li hanno favoriti, il modo in cui si sono diversificati nel corso delle fasi politiche, i fattori che li hanno resi così determinanti in alcuni momenti della vita politica siciliana e nazionale. Da questa analisi deve trarsi l'indicazione delle misure più adeguate per superare il passato e per evitarne la riproposizione. 9. E' sbagliato pensare al rapporto tra mafia e politica come ad una relazione totalizzante, che assorbe tutte le attività dei due soggetti. Non tutti i partiti politici sono stati coinvolti e le connessioni, anche laddove sono state più intense, non hanno mai riguardato tutti gli uomini o tutti i dirigenti di un singolo partito. Cosa Nostra, inoltre, ha intelligentemente pervaso, in Sicilia, non solo la politica, ma anche l'imprenditoria, le libere professioni, la burocrazia statale, regionale e comunale. Il rapporto con la politica va colto in questa dimensione assai complessa. Ci si rivolge al politico quando non si può per altra via ottenere ci che serve. Se ciò che serve può essere fornito dal funzionario o dall'imprenditore o dal libero professionista, Cosa Nostra preferisce rivolgersi a loro perché instaura un rapporto diretto con il Pag. 1792 fornitore del servizio richiesto. Il politico deve invece, a sua volta, rivolgersi ad altri. Il rapporto diretto con chi esercita funzioni amministrative è particolarmente utile quando i governi locali sono o fragili o squassati da crisi frequenti. Mentre i responsabili politici sono instabili, la burocrazia appare l'unica struttura dotata in modo continuativo di competenza e di poteri. Ciò accade frequentemente in tutto il Mezzogiorno e conferisce un particolare peso ai rapporti tra mafia e burocrazie locali. Per di più, dalle relazioni dei commissari straordinari dei comuni sciolti per mafia(9) e dalla stessa esperienza delle autonomie locali nel Mezzogiorno, risulta che i dipendenti comunali sono frequentemente assunti in modo clientelare, non hanno preparazione specifica, e costituiscono una rappresentanza di notabili o di forze politiche locali. 10. I rapporti di Cosa Nostra con settori delle istituzioni e delle libere professioni hanno un peso formidabile nello sviluppo dell'organizzazione mafiosa. Perciò la rottura delle connessioni con la politica, se restano intatti tutti gli altri rapporti, con liberi professionisti, appartenenti alla magistratura e alle forze dell'ordine, funzionari di ogni tipo, imprenditori, rischia di avere risultati insufficienti. 11. Alcuni espisodi inquietanti riguardano, i magistrati. Il procedimento per l'applicazione della misura di prevenzione personale contro Vito Ciancimino è stato sollecitamente definito nel primo grado in otto udienze, dall'ottobre 1984 al giugno 1985; in appello, invece, si è protratto dal gennaio 1986 al maggio 1990, con ben 25 udienze e numerosi, ingiustificati rinvii, così come riferito in data 2 luglio 1990 dall'Ispettorato Generale del Ministero di grazia e giustizia. Il 19 settembre 1992 il Ministero di grazia e giustizia disponeva l'immissione in possesso anticipato del dott. Pietro Falcone, giudice a latere del collegio che stava processando Vito Ciancimino, nell'ufficio di pretore del lavoro di Palermo. Poiché il provvedimento non assegnava un termine per l'assunzione del nuovo incarico, lo stesso veniva stabilito dal Presidente della Corte d'appello per il 30 settembre 1992. Il dott. Pietro Falcone prendeva immediatamente possesso del nuovo incarico. Il Presidente del tribunale di Palermo, peraltro, aveva chiesto alla Corte d'appello la proroga del termine per la presa di possesso del nuovo ufficio da parte del dott. Pietro Falcone. Si intendeva in tal modo evitare che l'immediato trasferimento del medesimo vanificasse la fase dibattimentale già espletata in numerosi processi, tra i quali quello contro Vito Ciancimino, imputato per gravi reati in relazione agli appalti concessi dal Comune di Palermo. La Corte d'appello, invece, accoglieva la richiesta, formulata in via subordinata dal Presidente del tribunale, di applicazione del dott. Pietro Falcone presso il Tribunale, ma solo con decorrenza 30 ---------- (9) Cfr. relazione del Sen. Paolo Cabras, approvata dalla Commissione il 26 gennaio 1993. Pag. 1793 settembre 1992, quando il processo contro il Ciancimino era già stato rinviato per diversa composizione del collegio e l'ipotesi di vanificazione della fase dibattimentale, prospettata dal Presidente del tribunale, si era verificata. Il 14 febbraio 1991 il Consiglio superiore della magistratura deliberava il collocamento a riposo del presidente della Corte d'Appello di Palermo Carmelo Conti per raggiunti limiti di età e con decorrenza dal 15 agosto 1991. Nel maggio del 1991 la Giunta regionale siciliana inopportunamente chiamava il dott. Conti - mentre era ancora in servizio attivo in una delicatissima funzione - alla presidenza dell'Ente Acquedotti Siciliani. In data 2 luglio 1991 il Presidente della Regione emanava il decreto n.107 relativa alla nomina deliberata dalla Giunta e il successivo 20 agosto il dott. Conti si insediava alla presidenza dell'E.A.S. Sembra particolarmente grave alla Commissione che l'alto magistrato, titolare della più alta responsabilità di direzione nel distretto di Palermo, abbia accettato un incarico amministrativo mentre era ancora in servizio. Il Consiglio Superiore della Magistratura si è ripetutamente occupato di magistrati degli uffici giudiziari di Palermo in relazione a comportamenti censurabili tenuti nell'esercizio della giurisdizione, disponendo la destituzione (dott. Salvatore Sanfilippo, con provvedimento del 25 settembre 1992 contro il quale pende ricorso) o la sospensione dalle funzioni (dott. Girolamo Alberto Di Pisa, dott. Luigi Urso le cui dimissioni venivano accolte il 22 gennaio 1985). Si devono, infine, ricordare i tanti ostacoli incontrati da Giovanni Falcone nella sua attività di procuratore aggiunto presso la procura della Repubblica di Palermo. Il ricordo dei contrasti con il procuratore Giammanco (affidato ad un diario fatto leggere anche a Paolo Borsellino) su questioni non certo secondarie, come la mancata inchiesta sulle possibili connessioni tra le attività della "Gladio" e i delitti politici palermitani, costituiscono una viva testimonianza delle difficoltà che può incontrare la lotta contro la mafia all'interno degli uffici giudiziari. 12. Il CSM può svolgere funzioni di rilievo fondamentale per l'organizzazione degli uffici giudiziari più esposti. Al fine di fornirsi di uno strumento di intervento permanente il Consiglio istituì, all'indomani dell'omicidio del consigliere Chinnici (29 luglio 1983), all'interno della Commissione Riforme, uno speciale Comitato antimafia. Le analisi svolte e le proposte avanzate dal Comitato costituiscono un materiale di straordinaria rilevanza per l'elaborazione di una completa ed efficace strategia antimafia. Un particolare rilievo ha assunto la risoluzione approvata dal CSM nel settembre 1988, con la quale si tracciavano le linee direttive per l'organizzazione del lavoro dei pool antimafia presso gli uffici istruzione e le procure della Repubblica. Punto di partenza era la constatazione che Cosa Nostra ha una struttura verticistica e centralizzata; la risposta giudiziaria doveva conseguentemente puntare alla razionalizzazione ed all'efficienza, mediante il coordinamento dei singoli magistrati e la loro specializzazione. Particolare peso doveva Pag. 1794 assumere, alla luce di questa impostazione, il metodo di lavoro degli uffici giudiziari di Palermo, città sede dei vertici di Cosa Nostra. Si rivelarono però i limiti dei poteri del CSM. La deliberazione, infatti, fu impunemente disattesa dal consigliere istruttore di Palermo, dottor Meli, il quale ritenne che essa non lo vincolasse minimamente. Dall'inosservanza derivò lo smantellamento del pool dell'ufficio istruzione, che, unito allo smembramento dei processi decisi nello stesso periodo dalla I Sezione penale della Cassazione, su ricorso del dr. Meli, segnò un irrecuperabile arretramento, con straordinari benefici per Cosa Nostra. Pagine drammatiche ha scritto il CSM quando ha dovuto affrontare, in diverse occasioni, problemi relativi agli uffici di Palermo e, in particolare, al lavoro del dr. Falcone. Alla figura di un magistrato con una profonda cultura professionale, che aveva raggiunto risultati investigativi mai prima d'allora conseguiti, si è spesso contrapposta una logica di routine, un'incomprensione delle questioni sostanziali che erano in gioco a Palermo, con effetti di grave indebolimento dell'intervento giudiziario e di mortificazione ed isolamento per i magistrati più esposti. Contribuirono le tensioni esterne, proprie del mondo politico, le polemiche sui "cosiddetti professionisti dell'antimafia" e, più tardi, su pretese inerzie del dott. Giovanni Falcone un clima complessivo in cui le logiche di schieramento prevalsero sui contenuti. Una delle decisioni più importanti ha riguardato la determinazione, anche per la Cassazione (circolare del CSM in data 17 luglio 1991), di criteri oggettivi per l'assegnazione dei processi e la composizione dei collegi, dopo che era stata eccepita l'inopportunità della esclusiva, costante attribuzione dei processi di mafia alla prima sezione penale, presieduta dal dott. Carnevale. Per evitare che l'impegno sulle questioni della lotta contro la mafia si esaurisca o si disperda è necessario che i poteri e gli strumenti organizzativi del CSM vengano adeguati alle esigenze di un'efficace risposta giudiziaria ai crimini di Cosa Nostra. 13. In base a quanto accertato dalla Commissione antimafia, soprattutto attraverso il contributo dei collaboratori della giustizia, risulta indispensabile che ogni settore delle istituzioni e della società civile rompa i rapporti con Cosa Nostra. L'impegno maggiore per la rottura di questi rapporti va richiesto alla politica per le responsabilità che le competono e l'autorevolezza che deve sorreggere il suo operato. Ma nessuno può ritenersi estraneo. Sono stati chiamati in causa avvocati, notai, medici, commercialisti; magistrati ed appartenenti alle forze dell'ordine; burocrati di diverso livello. Ciascuna professione, ciascun ceto deve impegnarsi nell'isolamento della mafia. Altrimenti è facile scivolare o nell'estremismo moralistico o in un cinico rinvio alle responsabilità degli altri, con il risultato di rendere più lontana la sconfitta di Cosa Nostra. Questa mafia, dopo un breve periodo di clandestinizzazione, potrebbe riprendere a tessere i suoi affari come e forse meglio di prima. Pag. 1795 14. Il nostro Paese si avvia ad un cambiamento di sistema politico. Non si possono disconoscere i meriti del sistema nato dopo la seconda guerra mondiale. Tuttavia la mancanza di ricambio, il mutamento delle condizioni politiche internazionali e nazionali in cui era sorto, lo sfibramento dei partiti che ne hanno costituito la struttura portante, la stessa volontà dei cittadini hanno sancito la necessità del mutamento. Questo mutamento non può fondarsi soltanto su nuove regole formali. Prassi, abitudini, comportamenti nelle istituzioni, nelle libere professioni, nel mondo politico, che sono stati sino a ieri accettati, oggi non lo sono più. Il fenomeno della corruzione politica, istituzionale ed imprenditoriale, che esplode con una rapidità impressionante, effetto di questa sopravvenuta inammissibilità. Le responsabilità che si profilano sul versante dei rapporti tra mafia e politica appartengono anch'esse al capitolo delle incompatibilità sopravvenute. Come per la corruzione, anche per la mafia tutte le giustificazioni accampate si rivelano intollerabili. Nessuno pu ritenere che il futuro sistema sar davvero diverso da quello che lo ha preceduto, se al suo interno continueranno ad esserci gli stessi rapporti con la mafia. Perciò l'impegno contro la mafia, come l'impegno contro la corruzione nella politica e nel mercato, è parte essenziale del più generale impegno per il cambiamento. Quella specifica mafia che si chiama Cosa Nostra non un fenomeno sociale o una pura degenerazione di comportamenti individuali e collettivi, come la corruzione. E' una organizzazione formale, dotata di regole e di capi, di un esercito armato e di potenti circuiti finanziari. La lotta contro Cosa Nostra non può essere costituita solo da un mutamento di regole e di comportamenti; deve essere concretamente finalizzata alla distruzione di quella specifica organizzazione che tanto negativamente ha pesato in molti momenti della vita della Repubblica, dalla Liberazione ad oggi. In questo senso la lotta contro la mafia, l'individuazione degli uomini di Cosa Nostra e dei loro alleati nelle istituzioni e nella società civile, la cattura e la giusta condanna dei responsabili dei più gravi delitti sono parte costitutiva del cambiamento del sistema politico. Tuttavia, per quanto evidente possa apparire questa essenzialità della lotta contro la mafia per il cambiamento del sistema politico, la lotta non sarà semplice né breve. Tra coloro che sul versante della mafia o su quello dei pubblici poteri, delle libere professioni, dell'imprenditoria hanno tratto sino a ieri cospicui vantaggi in termini di impunità, di potere, di ricchezze personali, potrebbero non mancare ancora oggi tentativi per frenare il rinnovamento, conservare i vantaggi acquisiti, impedire la scoperta di scomode verità. Tali tentativi potrebbero manifestarsi anche in modo violento. E' probabile che Cosa Nostra cerchi oggi nuove alleanze politiche o all'interno delle vecchie forze od anche in forze nuove, che potrebbero garantire una maggiore libertà di movimento ed un ridotto numero di rischi. Alcuni collaboratori hanno fatto espresso riferimento a nuove formazioni politiche che sarebbero guardate con attenzione Pag. 1796 dalla mafia. E' comunque probabile che Cosa Nostra, seguendo la sua filosofia utilitaristica, faccia questa scelta, anche all'insaputa del prescelto, come già altre volte è avvenuto. Ciascuna formazione politica, tanto vecchia quanto nuova, di fronte alla consapevolezza del pericolo che questa relazione intende comunicare, deve adottare le misure più efficaci per evitare infiltrazioni, intrecci, utilizzazioni improprie. II 15. Durante la sessione si sono acquisiti numerosi documenti dall'autorità giudiziaria e dalla pubblica amministrazione. Si sono effettuate audizioni di magistrati, dirigenti delle forze dell'ordine, direttori dei servizi di sicurezza, amministratori. Si proceduto all'audizione di alcuni collaboratori della giustizia. Il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno e i Ministri della giustizia hanno prestato ogni collaborazione alla Commissione, partecipando a diverse sedute, fornendo con sollecitudine la documentazione richiesta, mettendo a disposizione la competenza e l'esperienza di magistrati e funzionari dotati di grande capacità professionale. Nel corso dei suoi lavori la Commissione ha ascoltato quattro collaboratori della giustizia(10). Il codice di procedura penale e la giurisprudenza fissano criteri rigorosi in presenza dei quali le dichiarazioni possono costituire prova nel processo penale. In una sede politica tali dichiarazioni vanno valutate con pari attenzione. I collaboratori sono stati essenziali nella prima metà degli anni '80 per la sconfitta del terrorismo rosso. A partire dalla seconda metà dello stesso decennio il fenomeno si è esteso alla mafia. I collaboratori provenienti dalla mafia hanno consentito la cattura di pericolosi criminali (tra i quali, da ultimo, Salvatore Riina), hanno contribuito a comprendere gli organigrammi mafiosi, hanno fornito i criteri per la migliore comprensione delle modalità di azione di Cosa Nostra. La mafia ha reagito spietatamente: sono stati uccisi 12 parenti di Contorno; 11 parenti di Buscetta, tra questi due figli; la madre, la sorella e la zia di Marino Mannoia. Ad oggi i collaboratori sono circa 300. Si è verificato un solo caso di calunnia nei confronti di una persona che svolgeva funzioni politiche, immediatamente accertata(11). Non si è verificato alcun caso di utilizzazione strumentale di collaboratori. Tuttavia occorre evitare tanto l'adesione acritica alle dichiarazioni di un collaboratore, quanto l'utilizzazione strumentale di quelle dichiarazioni ai fini della lotta politica. ---------- (10) Si è trattato di Antonino Calderone (seduta del 11 novembre 1992), Tommaso Buscetta (seduta del 16 novembre 1992), Leonardo Messina (seduta del 4 dicembre 1992), Gaspare Mutolo (9 febbraio 1993). Sono i collaboratori le cui dichiarazioni risultano fondamentali nelle motivazioni dell'ordinanza di restrizione della libertà personale degli accusati per l'omicidio di Salvo Lima. (11) E' il caso di Giuseppe Pellegriti, che accusò Salvo Lima di essere il mandante dell'omicidio di Piersanti Mattarella. Il dr. Falcone individuò immediatamente la calunnia e dispose il rinvio a giudizio del falso collaboratore nell'ottobre del 1989. Pag. 1797 Il rilievo che i collaboratori hanno nella lotta contro la mafia esige il più grande rigore e sconsiglia l'adozione di atteggiamenti pregiudiziali. Il senso della misura nella politica può contribuire in modo determinante a creare un clima rigoroso e sereno attorno ai processi penali, e a prevenire l'utilizzazione da parte di Cosa Nostra di falsi collaboratori per dichiarazioni calunniose. 16. In questa materia, che molto spesso al confine con l'attività dell'autorità giudiziaria, come accaduto per altre commissioni d'inchiesta, quella per il sequestro e l'omicidio di Aldo Moro, quella per la vicenda Sindona, per la loggia massonica P2, per le stragi, la Commissione ha effettuato una distinzione preliminare tra responsabilità penale e responsabilità politica, in relazione a manifestazioni di illegalità che abbiano comunque un'incidenza sul sistema politico. Il primo tipo di responsabilità è di esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria; il secondo di esclusiva competenza dell'autorità politica. La responsabilità penale accertata dalla magistratura attraverso le regole formali e certe del processo, e si concreta in sanzioni giuridiche prestabilite. La responsabilità politica si caratterizza per un giudizio di incompatibilità tra una persona che riveste funzioni politiche e quelle funzioni, sulla base di determinati fatti, rigorosamente accertati, che non necessariamente costituiscono reato, ma che tuttavia sono ritenuti tali da indurre a quel giudizio di incompatibilità. Le funzioni politiche si fondano su un principio di fiducia e di dignità. Ciascun politico ha una responsabilità aggiuntiva rispetto agli altri cittadini, perché egli coinvolge la credibilità delle istituzioni in cui opera. La responsabilità politica non mai per fatto altrui, ma può certamente nascere dal fatto altrui quando da tale fatto si desume un giudizio di inaffidabilità sull'uomo politico. Se la persona di fiducia di un uomo politico compie atti di grave scorrettezza o di rilevanza penale, l'uomo politico non risponde dei fatti commessi dalla persona di fiducia, ma risponde per aver dato prova di non saper scegliere o di non aver accertato o di aver tollerato comportamenti scorretti. Per lungo tempo vi è stata confusione tra responsabilità politiche e responsabilità penali. Il meccanismo di difesa è stato spesso negare autonomia alla responsabilità politica e rimandare ogni giudizio di disvalore all'esito delle decisioni penali. La misura della responsabilità dipende anche dai rapporti effettivamente intercorsi tra la persona che ha tenuto comportamenti scorretti e l'uomo politico; si può, in sintesi, sostenere che la responsabilità proporzionale ai vantaggi procurati all'uomo politico dalla persona che ha tenuto i comportamenti illegali o gravemente scorretti. Per vantaggio deve intendersi non solo un incremento di natura economica, ma ogni tipo di utilità che si sia tradotta in un contributo significativo alla posizione e all'influenza dell'uomo politico in tutto il territorio nazionale o, per lo meno, in una parte rilevante di esso. 17. L'identificazione dei soggetti legittimati a sollevare una contestazione per responsabilità politica, in relazione a manifestazioni di illegalità, è uno dei capitoli più complessi di questa materia. E' tuttavia Pag. 1798 incontestabile che tra tali soggetti ci sia il Parlamento con il diritto ed il dovere di sollevare questioni di responsabilità politica. 18. Il presupposto per muovere una contestazione di responsabilità politica la conoscibilità di fatti o di vicende che a quella contestazione possono dar luogo; se non si conosce, non si in grado di esercitare alcun controllo. La costituzione di commissioni d'inchiesta risponde alla necessità che il Parlamento avverte, per vicende di particolare rilevanza, di acquisire, tramite un proprio organo, la documentazione necessaria a verificare i presupposti per una contestazione di responsabilità politica. Non è nelle competenze della commissione, così come definite dalla legge istitutiva, far valere direttamente la responsabilità politica. E' invece suo dovere predisporre per il Parlamento la documentazione idonea ad esprimere quel giudizio. La natura e la specificità della responsabilità politica esigono che essa sia di esclusiva competenza di organi politici. E' questo il presupposto dell'autorevolezza della politica; rafforza il rapporto di fiducia tra cittadini ed istituzioni, consente di esigere dai cittadini comportamenti rispettosi delle leggi. Quando ci non avviene, l'onere di accertare le responsabilità politiche o non esercitato da nessuno oppure finisce con l'essere delegato, nei fatti, all'autorità giudiziaria. Un secondo equivoco può derivare dalla confusione tra responsabilità politica e lotta politica. Ciò avviene quando la maggioranza, di fronte a manifestazioni di illegalità, respinge a priori la configurabilità di un giudizio di responsabilità politica. Oppure quando un'opposizione particolarmente spregiudicata agita il giudizio di responsabilità politica come una pura arma polemica, imputando la responsabilità politica agli avversari soltanto in ragione dell'appartenenza ad un partito e ad uno schieramento e non in base a fatti specifici. Quando non esiste responsabilità politica si creano ingiustificate impunità che delegittimano le istituzioni. Quando l'accertamento della responsabilità politica è demandata all'autorità giudiziaria, che è politicamente irresponsabile, si verificano gravi distorsioni istituzionali, perché all'esercizio di una funzione politica non si accompagna l'assoggettamento ad una responsabilità politica. Del pari inammissibile sarebbe il caso dell'autorità politica che intenda occuparsi delle responsabilità penali. Quando c'è confusione tra lotta politica e responsabilità politica nascono esasperazioni dello scontro tra le varie parti, irrigidimenti e sospetti che danneggiano, alla fine, tanto l'ordinaria dialettica politica quanto la vita delle istituzioni. La Commissione ritiene opportuno sollevare un allarme, nei confronti di tutte le forze politiche perché accettino il principio di responsabilità politica e perché tengano ben distinto il profilo della lotta politica, anche aspra, da quello della responsabilità politica. La responsabilità politica, proprio in quanto rigorosamente accertata sulla base di fatti specifici, richiede precise sanzioni, rimesse all'impegno del Parlamento e delle forze politiche, e consistenti nella stigmatizzazione dell'operato e, nei casi più gravi, nell'allontanamento del responsabile dalle funzioni esercitate. Pag. 1799 19. Per salvaguardare la distinzione tra responsabilità politica e responsabilità penale, la Commissione non ha indagato su autori di fatti specifici penalmente rilevanti. Ha invece cercato di sviluppare un'approfondita conoscenza della struttura e delle alleanze di Cosa Nostra per offrire un contributo ulteriore alla lotta contro questa organizzazione. III 20. Questa relazione si occupa delle connessioni politiche dell'associazione mafiosa denominata Cosa Nostra. Non si occupa delle altre associazioni mafiose che operano nel nostro paese. La scelta dovuta a due ragioni. La sessione di lavoro stata decisa dopo i mandati di cattura per l'omicidio dell'on. Salvo Lima, che stato attribuito ai vertici di Cosa Nostra. L'associazione mafiosa Cosa Nostra, inoltre, rispetto alle altre, ha una importanza prevalente per tradizione nel tempo, forza organizzata all'interno e all'esterno dei confini nazionali, potenza criminale e finanziaria. E' certamente sbagliato sottovalutare la forza della 'ndrangheta o della camorra, che hanno loro specifici rapporti con la politica e con le istituzioni. Ma la Commissione ritiene che mentre la sconfitta di Cosa Nostra potrebbe determinare un indebolimento delle altre associazioni mafiose, l'eventuale sconfitta della 'ndrangheta o della camorra o della Sacra Corona Unita non avrebbe lo stesso effetto nei confronti di Cosa Nostra. Quest'ultima infatti, rispetto alle altre forme di criminalità organizzata, riesce a svolgere una funzione strategica generale, impone i propri modelli comportamentali, assume il ruolo di volano per i traffici di maggiore importanza, costituisce in definitiva un modello organizzativo(12). Collaboratori della giustizia hanno inoltre riferito che oggi alcuni capi della 'ndrangheta e della camnorra sarebbero "uomini d'onore" e che attraverso questi collegamenti Cosa Nostra interferirebbe nelle scelte fondamentali delle altre organizzazioni. 21. E' opinione largamente condivisa che il salto qualitativo tra la mafia dei suoli urbani e quella contemporanea si sia determinato con l'ingresso massiccio di Cosa Nostra nel traffico degli stupefacenti, a partire dagli anni '70(13). Il primo effetto è stato l'internazionalizzazione delle relazioni criminali. Cosa Nostra iniziò a muoversi sistematicamente sullo scacchiere del mondo perché queste erano ormai le dimensioni del traffico di stupefacenti. La droga è una sostanza che, in genere, si ---------- (12) Cfr. Nicola Tranfaglia, La mafia come metodo, cit. (13) Cfr. Relazione Zuccalà nella prima Commissione antimafia. Cfr. Atti parlamentari della Camera dei Deputati, VI Legislatura, doc. XXIII, n.2, pag. 329 ss. Íh10.5Ï Pag. 1800 produce e si raffina in luoghi del mondo diversi da quelli dove si consuma. Il trattarla comporta di per sè l'internazionalizzazione delle relazioni(14).Íh10.5Ï Íh10.5Ï Il secondo effetto riguarda l'eccezionale accelerazione delle "carriere" all'interno dell'organizzazione. All'epoca del latifondo, ma anche in seguito, seppure in misura più limitata, erano necessari decenni per conquistare il prestigio necessario. Il traffico di stupefacenti, con gli enormi guadagni che assicura(15), ha sconvolto le vecchie regole.Íh10.5Ï Il terzo effetto riguarda la riduzione della capacità di mediazione dei vertici mafiosi. A differenza del latifondo e dei suoli urbani, l'eroina, la cocaina, l'hashish e la marijuana si spostano, possono essere acquistati e rivenduti da chi ha maggiori risorse e maggiore mobilità. Conseguentemente le decisioni devono essere rapide. Di quì l'intensificarsi del ricorso all'omicidio come mezzo per risolvere i contrasti interni e quelli esterni, sul fronte delle istituzioni. Il magistrato o il poliziotto che individua un "filone" del traffico o del riciclaggio mette in crisi l'organizzazione, avvantaggia indirettamente i suoi concorrenti, nuoce alla sua credibilità. L'eliminazione di questo uomo non serve solo a superare un ostacolo, serve a restituire prestigio all'organizzazione colpita. Il quarto effetto è costituito dai rapporti con il sistema bancario e finanziario: "L'Istat... ha recentemente stimato il fatturato (annuo - n.d.r.) del mercato dei narcotici illegali in Italia valutandolo nell'ordine di 9.000 miliardi (anzi in un range di 8-11.000 mld)... Per l'eroina si avrebbe un fatturato di 6.200 mld, di cui 5.600 per rifornire il mercato interno (compresa l'eroina trattenuta dai trafficanti-spacciatori per il loro consumo) e 600 per il transito... Per la cocaina il fatturato stimato è dell'ordine di 1.200-4.800 mld..."(16). Non tutto questo danaro, naturalmente, entra nei conti di Cosa Nostra; ma ne entra una quota assolutamente maggioritaria. Di qui il quarto effetto: l'ingresso di Cosa Nostra nel circuito bancario-finanziario e, necessariamente, lo svilupparsi di rapporti con esponenti significativi della società civile, del mondo degli affari e del mondo politico. Chi voglia comunque avere un'idea del fiume di danaro illegale che ha invaso la città di Palermo, anche per effetto del traffico di stupefacenti, può utilizzare uno studio sull'edilizia in quella città(17). 22. La grande disponibilità di liquido per effetto del traffico di stupefacenti ha prodotto alcune vistose anomalie nel sistema bancario siciliano. ---------- (14) cfr. Nicola Tranfaglia, La mafia come metodo, Bari, Laterza, 1991. (15) A. Becchi, M. Turvani, Proibito? Il mercato mondiale della droga, 1993, Donzelli, Roma, pp. 49 ss. (16) A. Becchi, M. Turvani, Proibito?, cit. p. 121. (17) M. Centorrino, L'economia mafiosa, Rubettino ed., 1986, p. 38. Tra il 1971 e il 1981, a Palermo e provincia, sono stati costruiti palazzi per un totale di 584.000 vani, 290.000 dei quali in provincia e 230.000 in città. Durante tutto il periodo esaminato, il contributo dell'Istituto autonomo case popolari è stato di soli 54.000 vani. La spesa complessiva si aggira intorno ai 3.000 miliardi. Secondo le stime del sindacato bancari, il credito fondiario ha fornito soltanto 400 miliardi. Da dove sono venuti i 2.600 miliardi mancanti? Pag. 1801 La Regione Sicilia, come altre regioni a statuto speciale, dispone di alcuni poteri in materia di credito e risparmio. Essi sono regolati dalle norme di attuazione dello statuto regionale, emanate per la Sicilia nel 1952 (D.P.R. 27 giugno 1952, n.1133) e rimaste da allora immutate. Tali norme risalgono ad un'epoca in cui la disciplina creditizia era collegata alla programmazione economica ed alle politiche di sviluppo. Questo nesso giustificò allora l'attribuzione alle regioni a statuto speciale di alcuni poteri all'interno dell'ordinamento del credito. I poteri della Regione Sicilia in materia creditizia sono già più ampi rispetto a quelli delle altre regioni a statuto speciale. Per l'autorizzazione all'apertura di nuovi sportelli, la Regione ha in alcuni casi competenza esclusiva, in altri concorrente con gli organi centrali, dovendo sottoporre al parere vincolante del Comitato Interministeriale per il credito ed il risparmio lo schema dei provvedimenti che intende assumere. Peraltro "trascorsi quattro mesi senza che le sia stato comunicato il relativo parere", la Regione può emanare i provvedimenti di sua competenza, prescindendo dal parere del Comitato Interministeriale (articolo 3 del citato D.P.R. 1133/52). L'uso che la Regione Sicilia ha fatto dei propri poteri in materia di sportelli bancari è stato eccessivo fino ad oltre la metà degli anni '80. Ciò è stato reso possibile anche dalle rare riunioni del C.I.C.R. che non consentiva di fatto alle Autorità centrali di esercitare il potere di veto. La Regione ne ha approfittato per emanare le autorizzazioni nonostante il parere negativo della Banca d'Italia, peraltro privo dell'efficacia vincolante che avrebbe avuto la delibera del C.I.C.R. Un tentativo effettuato nel 1981 dal Ministro del tesoro di emettere il parere in via d'urgenza ha formato oggetto di contestazione in punto di diritto da parte della Regione. Tale impostazione ha dato luogo a disfunzioni ed inefficienze. Nell'audizione innanzi alla Commissione antimafia del 25 ottobre 1983 il Governatore della Banca d'Italia rilevava che nel periodo 1952-1982 l'aumento degli sportelli nel territorio siciliano era stato del 125 per cento, quasi doppio rispetto a quello nazionale (64 per cento). Questa diversa evoluzione rifletteva orientamenti non omogenei assunti dagli organi competenti. In particolare, mentre fino al 1970 le iniziative della Regione risultavano sostanzialmente allineate con i criteri seguiti in campo nazionale, successivamente la Regione ha esercitato in modo sistematico la propria facoltà di emanare provvedimenti per scadenza del termine di quattro mesi assegnato al C.I.C.R. Il Governatore riferiva che la Regione si era avvalsa di tale facoltà in 72 casi, di cui 65 riguardanti aperture di sportelli e 7 costituzioni di nuove aziende. Il Governatore denunciava già allora un eccesso di sportelli in Sicilia, con bassa produttività in termini di depositi e impieghi per addetto. Fatto pari a 100 il numero degli sportelli esistenti al 1970, tale indice si eleva per la Sicilia a 117 nel 1975, a 124 nel 1980 e a 130 nel 1985, contro valori nazionali rispettivamente pari a 110, 115 e 123. Le disfunzioni si riconnettevano nella sostanza ad una impropria commistione tra l'autorità politica che emanava le autorizzazioni, il contesto locale caratterizzato da presenze mafiose e lo svolgimento Pag. 1802 dell'attività bancaria. Quest'ultimo ne risultava condizionato soprattutto nei momenti fondamentali dell'erogazione del credito e delle assunzioni di dipendenti. In questa situazione la Banca d'Italia ha intensificato la propria azione di vigilanza in Sicilia e, nei casi più gravi, ha proposto il commissariamento di alcune aziende locali, talora in connessione anche a vicende penali (C.R.A. di Villagrazia, Banca Popolare Don Bosco, le due C.R.A. di Palma di Montechiaro, C.R.A. del corleonese, Banca Popolare di Gagliano Castelferrato, C.R.A. di Mazara del Vallo, Banca Popolare di Marsala, ecc.). In linea generale gli interventi della Vigilanza centrale si sono concretizzati soprattutto nel favorire l'ingresso in Sicilia di enti creditizi a carattere nazionale attraverso fusioni, acquisti di pacchetti azionari di banche locali, interventi nei confronti di aziende in crisi. Le principali operazioni sono state effettuate dal Monte dei Paschi di Siena, dall'Istituto Bancario San Paolo di Torino, dalla Banca Popolare di Novara, dalla Banca Commerciale Italiana, dal Credito Emiliano, dal Credito Italiano. Non sono mancate le resistenze da parte dell'amministrazione regionale, che hanno dato luogo anche a contenziosi giudiziari. La sentenza della Corte Costituzionale del 29 dicembre 1988 ha fornito una importante chiarificazione, dichiarando illegittime alcune disposizioni contenute nella legge regionale di recepimento della prima direttiva CEE di coordinamento in materia bancaria e confermando i limiti del potere regionale in tema di apertura di sportelli bancari e di costituzione di aziende di credito. Il 10 aprile 1989 è intervenuta un'ulteriore significativa pronuncia della Corte Costituzionale che ha respinto un ricorso promosso dalla Regione Sicilia e ha riconosciuto la competenza dell'autorità statale ad autorizzare la fusione di una banca siciliana con un'altra avente sede fuori della regione (si trattava dell'incorporazione della Banca Popolare di Catania nella Banca Popolare di Novara). 23. Nella seconda metà degli anni '80 si registra un mutamento nei comportamenti della Regione in questa materia. Ciò potrebbe dipendere da vari fattori tra cui: la saturazione del mercato bancario, anche per effetto della accresciuta concorrenza; un maggiore raccordo con gli orientamenti delle Autorità centrali; infine, la diffusione specie in talune province (es. Palermo, Trapani, Catania) di società finanziarie che, operando al di fuori di ogni autorizzazione o controllo, hanno assunto un ruolo supplente rispetto a quello delle banche nell'attività di intermediazione, e talora abusivamente anche in quella di raccolta diretta di risparmio tra il pubblico. Di tale inversione di tendenza si dà atto già nella audizione del Governatore della Banca d'Italia alla Commissione Antimafia dell'aprile 1989. Essa trova ulteriore conferma nella recente audizione del 19 marzo 1993. Da quest'ultima si evince tra l'altro che nel triennio 1980-82: * il numero delle banche locali si è ridotto in Sicilia da 94 a 78 (tenendo conto di 2 banche entrate a far parte di gruppi creditizi a carattere nazionale); Pag. 1803 ** gli sportelli bancari sono cresciuti in Sicilia del 5 per cento, contro una crescita di oltre il 10 per cento nel resto d'Italia; *** la quota di sportelli in Sicilia detenuta da banche locali è scesa dall'88 per cento all'80 per cento, a favore di una maggiore presenza di aziende con sede al di fuori della regione; **** sono state effettuate 11 operazioni di concentrazione, di cui 5 con intervento di aziende non siciliane. Ciò dimostra che la crescita degli sportelli bancari in Sicilia non presenta più quelle forti anomalie che si erano verificate in passato. Restano naturalmente da assorbire le conseguenze negative degli errori a suo tempo compiuti in termini di efficienza del sistema bancario siciliano, caratterizzato attualmente da sportelli con un volume di intermediazione mediamente assai più ridotto rispetto ai valori nazionali (al 31/12/92 i depositi per sportello erano pari in Sicilia a L. 29 miliardi, contro L. 43 miliardi nel resto d'Italia; gli impieghi per sportello a L. 20 miliardi, contro L. 37 miliardi). Può darsi, infine, che a questa riduzione degli sportelli bancari corrisponda l'incremento di società finanziarie. 24. Secondo i dati dell'Ufficio Italiano dei Cambi il numero delle società finanziarie siciliane iscritte nell'elenco ammonta a 465 unità così distribuite: Agrigento 13, Caltanissetta 17, Catania 106, Enna 1, Messina 62, Palermo 176, Regusa 13, Siracusa 16, Trapani 61. La recente istituzione dell'Elenco non consente di operare raffronti su base storica per verificare l'incremento del numero delle società finanziarie. Ma sembra rilevante il numero delle società finanziarie "clandestine", operanti ma non dichiaratesi all'U.I.C. Il raffronto con le altre regioni meridionali fa emergere che il numero delle finanziarie operanti in Sicilia, raffrontato al volume degli impieghi bancari e al numero degli abitanti, risulta superiore a quello della Puglia e della Calabria, inferiore a quello della Campania. L'analisi della distribuzione delle finanziarie e il raffronto con altri dati consentono tuttavia di ricavare ulteriori indicazioni significative. La prima consiste nel rilevare come in Sicilia sia notevolmente più elevata che nel resto del Paese la quota di società che svolgono attività di prestiti e finanziamenti (47 per cento del totale delle finanziarie a fronte di un dato nazionale del 29 per cento). Le distribuzione per province indica poi un particolare "affollamento" di finanziarie in alcune zone: vengono in rilievo soprattutto le province di Trapani, Palermo, Catania e Messina. Per ogni 1.000 miliardi di impieghi bancari (indicatore dei volumi finanziari intermediati nella zona) le province che si collocano sopra la media regionale sono nell'ordine: Trapani (che dispone di 22 società finanziarie), Palermo (20), Messina (17) e Catania (15). Le stesse province vengono in rilievo ove si raffronti il numero delle finanziarie con quello delle banche operanti nella medesima zona; per ogni banca insediata in provincia, Palermo presenta n.5 finanziarie, Catania 3, Messina e Trapani 2. Per ogni centomila abitanti Trapani ha 15 finanziarie, Palermo 14, Catania 10. Pag. 1804 Circa l'attività concretamente svolta dalle finanziarie siciliane, elementi conoscitivi vanno emergendo dai controlli che la Guardia di Finanza ha avviato sulla base della nuova disciplina e che hanno comportato frequenti denunce all'Autorità Giudiziaria. Sono in corso, specie a Trapani, Marsala e Palermo, numerosi procedimenti penali riguardanti società finanziarie per reati di abusivismo bancario e per violazione della legge anti-riciclaggio, alcuni dei quali hanno già dato luogo a sentenze penali che costituiscono importanti precedenti giurisprudenziali. Nella zona del marsalese si è potuto accertare una penetrante presenza mafiosa nelle società finanziarie, attraverso le quali viene curato il reinvestimento dei proventi illeciti. In alcuni casi dette società hanno svolto un ruolo puramente formale, fornendo cioè supporti documentali a giustificazione di trasferimenti di denaro in realtà avvenuti lontano dalle loro casse. Dalle emergenze processuali risulta anche un forte coinvolgimento di personaggi del mondo politico negli interessi economici mafiosi. Non va trascurato, infine, il ruolo elusivo che le finanziarie possono svolgere nei confronti della normativa che limita il trasferimento di contante tra privati contribuendo ad occultare ogni collegamento tra i guadagni illeciti e il loro reinvestimento. Indicazioni in tal senso emergono dalle esperienze di indagini penali effettuate. 25. Cosa Nostra un'organizzazione criminale, dotata di precise regole di comportamento, di organi formali di direzione, con aderenti selezionati sulla base di criteri di affidabilità, con un territorio sul quale esercita un controllo tendenzialmente totalitario. Ha una struttura organizzata di tipo verticale, con commissioni provinciali ed una commissione regionale. La commissione provinciale di Palermo è, di fatto, quella più potente. L'obiettivo permanentemente perseguito l'accumulazione del massimo potere possibile nella situazione concreta. Questa caratteristica la differenzia dalle organizzazioni criminali affini e le conferisce una cultura, una dimensione ed una strategia politica. Agisce con particolare flessibilità allo scopo di meglio adattarsi all'ambiente e meglio estendere la propria influenza, e quindi il proprio potere, attraverso relazioni di scambio, favoritismi, sviluppo di rapporti familiari, costituzione di clientele, prestazione di favori che costituiscono il presupposto per ottenere contropartite. Il criterio guida delle azioni di Cosa Nostra è l'utilitarismo. Tutto ci che giova all'organizzazione si deve fare. Tutto ci che la danneggia o può, eventualmente, danneggiarla severamente proibito. Cosa Nostra non ha convincimenti politici; usa il voto secondo le convenienze concrete. In Sicilia avrebbe votato per candidati di tutti i partiti politici tranne MSI e PCI. Nel 1987, in molti quartieri di Palermo, avrebbe deciso di votare per candidati del PSI e del Partito radicale, senza intese con questi partiti, al solo fine di segnalare in modo evidente alla DC che la riteneva responsabile di un irrigidimento, rispetto al passato, della lotta contro la mafia. Durante i processi di particolare importanza vige la pax mafiosa. Nelle carceri gli "uomini d'onore" sono garanzia di ordine. L'esecuzione di condanne e vendette, salvo casi eccezionali, si compie quando non sono in corso processi rilevanti e fuori delle carceri. Pag. 1805 All'utilitarismo si ispirano regole e comportamenti altrimenti inspiegabili(18). 26. Importante per l'organizzazione mafiosa è il prestigio, il rispetto degli altri, aderenti e non, all'organizzazione. Il prestigio il connotato dell' "uomo d'onore", gli consente di esercitare il comando nei confronti di chi gli sottoposto e di influire sulla collettività che gli sta attorno. In una tradizione storica, come quella siciliana, dove grande peso hanno l'esercizio del potere personale ed i segni esteriori che lo accompagnano, la ricerca del prestigio diventa essenziale per un'organizzazione che tende a svolgere una funzione egemonica nei confronti dell'ambiente. 27. In Cosa Nostra l'aggressione alle persone o alle cose ha tradizionalmente la stessa funzione residuale che hanno la minaccia e l'esecuzione della sanzione negli ordinamenti legali. Cosa Nostra cerca di realizzare i propri obbiettivi con il consenso; ma poi usa la violenza se quel consenso non prestato e, in ogni caso, quando viene messa in pericolo, dall'interno o dall'esterno, la sua leadership. Verso la fine degli anni 70, ad esempio, Cosa Nostra decise di sviluppare una reazione contro appartenenti alle forze dell'ordine per contrastare una fase di particolare efficacia. Questa reazione si svilupp lungo due direttrici: l'intimidazione prima e l'eliminazione poi di quei funzionari che non si fossero piegati. Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo, venne ucciso perché non si era piegato(19). 28. Essenziale per Cosa Nostra è il controllo del territorio; serve per svolgere impunemente ogni sorta di traffico; serve a conoscere e prevenire le manovre degli avversari, ad esercitare dominio sulle popolazioni, a praticare le estorsioni, a presentarsi come autorità che tutto conosce e tutto può. Un capomafia senza territorio è come un re senza regno. Esempi relativi all'esigenza di riaffermare, anche "ideologicamente", il dominio territoriale non mancano. Le estorsioni, ad esempio, sono una grande fonte di accumulazione e sono in grande espansione. Dei proventi delle stesse beneficiano, però, anche soggetti che hanno ---------- (18) Il criterio per il quale l'"uomo d'onore" non deve avere stabili relazioni extraconiugali non risponde a principi di carattere moralistico. Risponde, invece, all'esigenza di evitare che una delle due donne sentendosi tradita, abbia a denunciare l'uomo alla polizia (cfr. dichiarazioni di Gaspare Mutolo davanti alla Commissione, nel corso dell'audizione del 9 febbraio 1993, p. 1238-9 del resoconto stenografico). Nell'eliminazione degli avversari lo strangolamento è preferito all'uso di arma da fuoco perché lascia meno tracce. La vittima è avvicinata da persone che crede di sua fiducia, si allontana tranquillamente dal domicilio, è condotta in luogo idoneo all'eliminazione, viene quindi eliminata senza lasciare le tracce tipiche dell'arma da fuoco. I familiari che l'hanno vista allontanarsi tranquillamente non denunciano immediatamente la scomparsa e lanciano inconsapevolmente agli assassini il tempo di far sparire il corpo, mentre le indagini si avviano con notevoli ritardi (ibid., pag. 1275). (19) Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo venne ucciso il 21 luglio 1979 dopo aver scoperto le prove del traffico di stupefacenti tra Palermo e gli USA; in particolare aveva scoperto che l'eroina veniva raffinata a Palermo ed inviata negli Usa. Gli successe il dr. Contrada, la cui gestione, secondo il provvedimento restrittivo della libertà personale, confermato dalla Corte di cassazione, sarebbe stata fortemente condizionata da Cosa Nostra. Pag. 1806 una posizione patrimoniale più che florida solo per ribadire il proprio dominio territoriale. La famiglia Madonia, operante a Palermo, nel quartiere di Resuttana, è particolarmente ricca, ma non trascura di dedicarsi anche alle estorsioni proprio per manifestare un pieno controllo del territorio. Con malcelato orgoglio il collaboratore Leonardo Messina ha riferito alla Commissione che nell'ambito del suo territorio non si "posava vugghia", non si metteva cioè neanche un ago per terra, senza autorizzazione della sua famiglia(20). Gli organi di Cosa Nostra si distinguono in relazione al territorio sul quale esercitano la propria attività; il "governo" del territorio rivela il capo autorevole e la famiglia rispettata; una delle trasgressioni più gravi, prima dell'arrivo dei corleonesi, che hanno stravolto le regole originali di Cosa Nostra, era la commissione di un delitto senza informare preventivamente la famiglia insediata in quel territorio. 29. Cosa Nostra estende la propria attività a nuovi mercati poiché la mondializzazione dell'economia porta con sè, inevitabilmente, anche l'espansione delle attività criminali collegate al traffico delle merci ed allo spostamento delle persone. Già esistono segnali rilevanti della sua espansione verso l'Est, documentati dal moltiplicarsi in quei Paesi di iniziative apparentemente commerciali a cura di appartenenti a gruppi mafiosi italiani(21). Ma vanno decisamente contrastate quelle ipotesi interpretative secondo le quali saremmo in presenza di una "mondializzazione" della mafia, di un allentamento cioè dei suoi rapporti con il territorio siciliano e con la città di Palermo per effetto dell'espansione in aree nuove. Queste ipotesi sono smentite dai fatti. Risulta dalle indagini in corso che Cosa Nostra opera attivamente in Sicilia e che considera i Paesi dell'Est non nuova madrepatria, ma nuove aree di sfruttamento. Cosa Nostra segue un modello di espansione coloniale e non un modello di trasferimento migratorio. D'altra parte già nel passato, quando sono mutate le aree dalle quali ha tratto le sue principali risorse, non c'è stato un abbandono del territorio. Così è accaduto tanto con la trasformazione da mafia agricola a mafia urbana, a cavallo tra gli anni '50 e gli anni '60, quanto con la trasformazione da mafia dei suoli urbani a mafia degli stupefacenti, tra gli anni '70 e gli anni '80. La Commissione segnala il pericolo politico di questa tesi: se si dovesse ritenere, contrariamente ai fatti, che la mafia non ha più sede a Palermo e in Sicilia, si allenterebbe la pressione che oggi è in atto con buoni risultati nei confronti dei livelli militari della mafia. Dietro l'alibi dell'avvenuto trasferimento altrove dei centri di interesse di Cosa Nostra, potrebbero agevolmente svilupparsi i rapporti della mafia con nuove e vecchie formazioni politiche. Invece Palermo e la Sicilia restano il territorio di Cosa Nostra. Non a caso nella capitale dell'Isola, cuore politico della Regione e punto di snodo delle ingenti risorse finanziarie regionali e statali, Cosa Nostra ha realizzato e mantiene una struttura di controllo del territorio non rinvenibile in nessun'altra realtà locale. ---------- (20) Cfr. res. sten. del 4 dicembre 1992 pag. 523. (21) Cfr. resoconto stenografico dell'audizione del gen. Pucci, direttore del SISMI, seduta del 12 gennaio 1993. Pag. 1807 A Palermo, infatti, contrariamente ad altre località, dove Cosa Nostra è rappresentata da una sola "famiglia", l'organizzazione mafiosa è presente con una molteplicità di "famiglie" che si sono suddivise la città in modo da non lasciare scoperto e incontrollato nessun pezzo di territorio. Questa centralità è ribadita da tutti i collaboratori della giustizia. 30. Cosa Nostra considera indispensabile l'impunità. L'impunità consente di azzerare il rapporto costi-benefici nell'attività criminale, il segno visibile del prestigio dell'uomo d'onore, rende evidente la sua capacità di condizionare l'attività dello Stato. L'impunità presenta vari aspetti: non essere perseguiti per attività criminali, essere assolti o essere condannati a pene risibili, godere di trattamenti particolarmente privilegiati in carcere, non essere arrestati nonostante si sia destinatari di provvedimenti restrittivi della libertà personale. L'impunità sanziona il carattere di "Stato nello Stato" che Cosa Nostra tende ad assumere; se non si è puniti dallo Stato è segno che si o più forti dello Stato o riconosciuti e legittimati dai pubblici poteri. Esiste una vera e propria strategia di Cosa Nostra per il conseguimento dell'impunità in tutte le forme possibili. Il metodo principale è l' "aggiustamento dei processi", l'intervento cioè su magistrati e su giudici popolari al fine di ottenere provvedimenti favorevoli(22). Questo intervento compiuto con tutte le modalità possibili, dall'avvicinamento cauto e confidenziale, alla minaccia, sino all'omicidio punitivo-preventivo, che è eseguito per eliminare un avversario ed intimidire tutti quelli che si trovano nella sua condizione. Così è avvenuto per il dr. Antonino Saetta che aveva fama di persona integerrima, ucciso il 25 settembre 1988 per ritorsione dopo le condanne inflitte dalla Corte d'Assise da lui presieduta nel processo (ma in altra fase ed altro grado) per l'assassinio del capitano Basile(23), Comandante della Compagnia dei Carabinieri di Monreale. Nella relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei Deputati, relativa al deputato Culicchia si riferisce un episodio particolarmente grave, che conferma quanto dichiarato dai collaboratori. "...il dottor Salvatore Scaduti nella qualità di presidente della Corte d'Assise d'appello incaricata del giudizio... in sede di rinvio (dopo che la prima sezione penale della cassazione aveva annullato la ---------- (22) Su questo punto concordano tutte le deposizioni dei collaboratori della giustizia che trovano purtroppo riscontro nell'impunità di cui ha goduto per lunghi anni Cosa Nostra. (23) Il processo Basile ha una storia assai particolare. Il 23 febbraio 1987 la prima sezione penale della Cassazione annulla le condanne inflitte per l'omicidio del capitano Basile; sostenendo, con una brusca innovazione giurisprudenziale che l'omissione ad un solo difensore (avendolo ricevuto tutti gli altri) dell'avviso del giorno dell'estrazione a sorte dei giurati comportava nullità assoluta. Successivamente, il 27 giugno 1987, le sezioni unite ristabiliscono la precedente giurisprudenza, ma ormai l'annullamento era stato pronunciato. Gli sviluppi sono tragici. La Corte d'Assise d'Appello, presieduta dal dr. Saetta, ricondanna gli imputati (tra i quali il potente gruppo dei Madonia di Resuttana). Il presidente Saetta viene ucciso il 25 settembre 1988, mentre comincia a circolare il suo nome come probabile presidente per l'appello relativo al maxiprocesso. La prima sezione della Cassazione annulla di nuovo il 7 marzo 1989 la sentenza di condanna, questa volta per difetto di motivazione. Recentemente gli imputati sono stati condannati con sentenza divenuta definitiva. Pag. 1808 sentenza di condanna redatta dal dr. Saetta, n.d.r.) riguardante l'omicidio del capitano dei carabinieri Basile, fu avvicinato, alla vigilia della Camera di Consiglio, dal notaio Pietro Ferraro che avrebbe esercitato una velata ma pesante intimidazione su di lui su incarico di un politico |P'trombato|P' a nome Enzo, di area manniniana (potrebbe appunto trattarsi del deputato Vincenzo Culicchia. n.d.r.); sulla base di tale elemento e sul fatto che tale politico dovesse essere vicino ad ambienti massoni, giacché l'intervento sul magistrato implicava anche un apposito quesito circa l'appartenenza del medesimo alla massoneria, si può ritenere fondato a giudizio degli inquirenti il collegamento con l'on. Culicchia, la cui vicinanza ad ambienti massonici emergerebbe da una serie di risultanze probatorie"(24). Cosa Nostra era riuscita ad "avvicinare" alcuni giudici popolari; ma gli imputati furono egualmente condannati(25). Precedentemente lo stesso dr. Saetta aveva presieduto la Corte d'assise d'appello di Caltanissetta che aveva condannato all'ergastolo i fratelli Greco per l'omicidio Chinnici. Si trattava perciò di un magistrato sicuramente impermeabile a qualsiasi influenza, che per Cosa Nostra non avrebbe dovuto in alcun modo presiedere l'appello del maxiprocesso. E' stato questo il primo omicidio di un magistrato componente di un collegio giudicante, e ne è derivato un esteso effetto intimidatorio. La composizione dei collegi giudicanti nei più gravi processi di mafia è un problema di soluzione non facile. Per il primo grado del maxiprocesso, si fece ricorso ad un presidente di sezione che veniva dal civile, il dr. Giordano, che diresse ottimamente il dibattimento, perché i presidenti delle sezioni penali che avrebbero dovuto dirigere il dibattimento, per diversi motivi, erano risultati indisponibili. E' doveroso segnalare che difficoltà altrettanto gravi si incontrano oggi per la composizione della Corte d'assise d'appello che dovrà giudicare in sede di rinvio dalla Cassazione un gruppo di imputati accusati, tra l'altro, dell'omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa. 31. L'impunità per lunghi anni stata una condizione naturalmente acquisita da Cosa Nostra. Alcuni collaboratori(26) hanno riferito dei rapporti che Cosa Nostra aveva, tanto a Catania quanto a Palermo, con appartenenti alle forze di polizia e ufficiali dei carabinieri, che rivelavano loro in anticipo notizie sui destinatari dei mandati di cattura, favorendone la fuga. Nei confronti del dr. Bruno Contrada, già capo della squadra mobile di Palermo, è stato spiccato provvedimento restrittivo della libertà personale, confermato dalla Corte di Cassazione, nella cui motivazione si ipotizza che egli, dopo l'omicidio del capo della squadra mobile di Palermo, Boris Giuliano (1979), fosse divenuto "permeabile" a pressioni o influenze mafiose. ---------- (24) Camera dei Deputati, XI Leg., Relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere. Doc. IV 1/A, p. 4. (25) Audizione di Leonardo Messina davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia, 4 dicembre 1992, p. 558 e Gaspare Mutolo, 9 febbraio 1993, pp. 1277-1279. (26) Audizioni di Calderone, 11 novembre 1992, p. 302; Mutolo, 9 febbraio 1993, pp. 1247, 1248-1252, 1253-1262-1270. Pag. 1809 I mafiosi hanno tradizionalmente goduto in carcere di trattamenti privilegiati. Erano destinati preferibilmente all'infermeria, avevano ampio spazio di manovra in cambio di un contributo al mantenimento dell'ordine nell'istituto penitenziario; nell'Ucciardone potevano addirittura incontrarsi con latitanti, scambiare messaggi con l'esterno, avere a disposizione cibi e bevande di particolare raffinatezza sino a disporre di una vera e propria dispensa(27), godere di misure premiali anche quando non ne ricorrevano i presupposti. Infine, le latitanze. E' stata sempre considerata una singolare anomalia quella delle latitanze pluriennali di pericolosi criminali che, peraltro, sembrava vivessero nella propria citt e, a volte, nel proprio quartiere. La Commissione ha constatato che la latitanza, infatti, si organizza nel proprio territorio o in quello di famiglie amiche perché il radicamento sociale permette al latitante di nascondersi meglio, di evitare delazioni, di essere tempestivamente avvisato da tutto il quartiere in caso di operazioni di Polizia. Ma per lunghi periodi è mancato l'impulso politico per la cattura dei latitanti. Solo nel luglio 1992 il Ministero dell'interno (Ministro l'on. Scotti) ha stabilito la ripartizione tra le forze di polizia dell'attività di ricerca dei singoli latitanti, potenziando i gruppi specializzati, proposta che in Parlamento era stata avanzata da alcuni anni. Dall'esame dei dati emerge che i latitanti sono arrestati, in genere, dopo i grandi omicidi, e che un'alto numero di latitanti per mafia arrestato presso la propria abitazione, segno evidente di un'attenzione non continuativa al problema. Buscetta durante la latitanza aveva abitato presso la casa del figlio ad un indirizzo noto tanto all'autorit giudiziaria quanto all'autorità di polizia, dove nessuno si era mai recato a cercarlo(28). Mutolo abitava nel proprio quartiere, a pochi metri dall'indirizzo anagrafico, mandava i figli alla scuola del proprio quartiere, fornendo agli insegnanti il proprio indirizzo ed il proprio numero di telefono(29). Vanno condotte e sollecitate approfondite indagini su questi ed altri numerosi episodi che denotano gravi responsabilità da parte degli organismi cui spettava il compito della cattura dei latitanti. Ha fortemente inciso sull'impunità il permanere degli stessi appartenenti alle forze dell'ordine per molti anni nello stesso quartiere o nello stesso paese. Le precedenti Commissioni antimafia hanno frequentemente segnalato come un limite all'efficacia dell'azione repressiva la lunga permanenza in sede di sottufficiali, che nello stesso paese avevano la caserma e la famiglia e che potevano essere indotti per questa ragione a preoccuparsi più dell'ordine pubblico, dell'assenza cioè di eclatanti manifestazioni di disordine, che della lotta alla mafia. Le generalizzazioni sono fuor di luogo, ma non c' dubbio che questo stato di cose non agevola la repressione, contribuisce al clima di "coabitazione", lascia soli ed esposti i servitori leali dello Stato. Gaspare Mutolo ha confermato le preoccupazioni delle precedenti commissioni antimafia. Sulle "latitanze domiciliari", così rispondeva: "Guardi, quando parlo di latitanti mi riferisco, almeno per la zona di Palermo, al fatto che ci sono paesini dove c'è il maresciallo dei carabinieri. Ci pu essere pure il commissariato di Palermo. Per un ---------- (27) Audizione di Gaspare Mutolo davanti alla Commissione Parlamentare, 9 febbraio 1993, p. 1303 ss. (28) Audizione Tommaso Buscetta, 16 novembre 1992, pp. 365-366. (29) Audizione Gaspare Mutolo, 9 febbraio 1993, pp. 1234-1235-1260. Pag. 1810 discorso ambientale, noi i carabinieri non li toccavamo perché erano persone che abitavano là cioè vivevano con i nostri amici e parenti. A noi non ci conoscevano, non che noi li salutavamo. Se io incontravo il maresciallo non gli dicevo "buongiorno"; voltavo la faccia e il discorso era chiuso. L'unica preoccupazione poteva essere la polizia di Palermo, se qualche pattuglia sprovvedutamente si allontanava, passava da una certa zona e magari ci incontravamo con le macchine. Anche in questo caso prima di tutto era difficile conoscerci e poi si trattava sempre di zone dove, anche se venivano tre poliziotti a fare un certo pattugliamento e vedevano una macchina con delle persone a bordo, pure se vedevano che era un latitante non che si fermassero.... Quando si sapeva che c'era qualche personaggio scomodo, si cercava di eliminarlo, si eliminava... se c'era uno che eccedeva nelle indagini e nella ricerca dei latitanti, si sapeva e si eliminava. Ci fu un certo Aparo(30) che per esempio stato ucciso perché lo chiamavano il segugio, perché andava sempre cercando i latitanti. Ed stato ucciso."(31). 32. L'impunità per Cosa Nostra ha un rilievo di gran lunga superiore alla naturale speranza che hanno i criminali di sfuggire alla responsabilit penale per i delitti commessi. Prima ancora di salvaguardare posizioni di singoli, conferma la potenza complessiva dell'organizzazione, la legittima agli occhi dei cittadini, ridicolizza la funzione dello Stato. Perci si tratta di una necessit strutturale dell'organizzazione, che conferisce il crisma di "legalità materiale" alle sue operazioni. L'impunità la principale preoccupazione di Cosa Nostra. "In tal modo si comanda meglio e si acquista un certo carisma. Infatti chi riesce a far annullare un processo acquista agli occhi degli uomini d'onore un grande prestigio"(32). Proprio il carattere costitutivo che l'impunità ha per Cosa Nostra spiega lo spasmodico interesse con cui l'organizzazione persegue questo obiettivo e le profferte di coloro che mirano al suo appoggio. Il primo manifesto per il separatismo, movimento che aspirava a conquistare il consenso di Cosa Nostra, pubblicato clandestinamente a Catania nel 1942, ritornava più volte sul tema del "perdono": "La nuova storia della Sicilia libera e indipendente dovrà ricominciare sotto il segno della concordia e del perdono. Noi dimenticheremo tutte le colpe che saranno riscattate con un comportamento degno di siciliani... Guai a chi tradisce!... Il passato sarà dimenticato non l'avvenire" (33). ---------- (30) Filadelfo Aparo, maresciallo della pubblica sicurezza, ucciso a Palermo attorno l'11 gennaio del 1979. (31) Cfr. resoconto stenografico del 9 febbraio 1993, p. 1270. In senso conforme cfr. anche Messina in res. sten. 4 dicembre 1992, pp. 532 e 608, Calderone in res. sten. 11 novembre 1992, p. 329. (32) Cfr. res. sten. audizione Antonino Calderone, 11 novembre 1992, p. 301. (33) Il testo è pubblicato in Filippo Gaja. L'esercito della lupara, II ed., Milano, pag. 381 ss. Pag. 1811 Quando l'organizzazione decise di farsi coinvolgere nel tentativo di colpo di Stato di Junio Valerio Borghese (dicembre 1970), chiese, ed ottenne, come unica contropartita l'impunità. "Agivamo così per farceli amici e perché ci promisero che avrebbero revisionato i processi di Liggio, Rimi e qualche altro. Naturalmente non ci garantivano che poi avremmo potuto effettuare omicidi a nostro piacimento, poiché vi sarebbe comunque stata una legge. Intanto però si potevano revisionare i processi,"(34) spiega Antonino Calderone alla Commissione, quando espone le ragioni dell'interesse di Cosa Nostra al tentativo di colpo di Stato di Valerio Borghese. Ancora oggi Cosa Nostra potrebbe essere interessata, secondo il collaboratore Messina(35), a forme di accentuata autonomia della Sicilia anche per poter meglio influire sui processi; "logicamente sarebbe un fatto positivo" ha risposto Mutolo (p. 1256) ad una domanda che riguardava la costituzione di Corti regionali di Cassazione. 33. Per quanto sinora noto, i rapporti con esponenti politici nazionali erano prevalentemente finalizzati all'impunit attraverso l' "aggiustamento" dei processi in Cassazione. In realtà un'analisi a campione conferma che nel passato, in molti casi, i processi non sono neanche cominciati o si sono conclusi positivamente per gli imputati mafiosi già in primo grado e in appello. Alcuni di quegli imputati potevano essere effettivamente innocenti. Tuttavia il risultato preoccupante è quello complessivo e cioè l'impunità generalizzata. Più recentemente, a partire dalla metà degli anni 80, è stato chiamato in causa l'operato della prima sezione penale della Cassazione e del suo presidente, dottor Corrado Carnevale(36). A carico del dott. Carnevale(37) è in corso presso il CSM un procedimento per il trasferimento d'ufficio in base all'articolo 2 della legge sulle guarantigie. Gli sono state contestate non valutazioni ---------- (34) cfr. audizione Antonino Calderone, cit. p. 300. (35) cfr. res. sten. del 4 dicembre 1992, pp. 522-523, 556 ss., 585, 599, 608, 611. (36) "(Carnevale) per noi era una persona intelligentissima; alla quale andava tutta la nostra ammirazione; c'era anche qualche movimento di avvocati che consigliava gli altri sulla linea da adottare. In noi prevaleva principalmente l'idea che egli fosse una persona molto intelligente; scaltra e furba in cui un avvocato... amico del giudice Carnevale, poteva ascoltare, "assorbire" chiarimenti sul processo", audizione di Gaspare Mutolo, cit., pag. 1298. (37) Il dott. Carnevale, inoltre, è oggetto di un procedimento disciplinare perché imputato "del reato p.p. degli articoli 81 c.p.v., 110 c.p., 237-228 r.d. 16.3.1942 n.267 e D.L. 30.1.1979 n.26 conv. in L. 3.4.1979 in L. 3.4.1979 n.95 perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nella qualità di Presidente del Comitato di Sorveglianza del |P'Gruppo Lauro|P' in Amministrazione Straordinaria, in concorso con De Luca Flavio, quale Commissario straordinario del suddetto Gruppo e di Pianura Salvatore e Buontempo Eugenio, quali legali rappresentanti della |P'Starlauro S.p.a.|P', esorbitando dalle funzioni istituzionalmente e normativamente attribuitegli, in particolare, partecipando direttamente alla trattativa in corso per la vendita della |P'Flotta Lauro|P', determinava le condizioni di cessione della flotta stessa ed induceva il De Luca alla stipula o comunque alla sottoscrizione, prima di un contratto preliminare di vendita della |P'Flotta Lauro|P' contenente modifica (in particolare l'accollo del T.F.R. da parte dell'acquirente in conto prezzo) rispetto alle condizioni del bando d'asta e deroghe rispetto alle condizioni ministeriali in materia e, poi, di un contratto definitivo ulteriormente modificativo delle condizioni del bando d'asta e del preliminare, riguardo Pag. 1812 interpretative, che sono insindacabili, ma gravi errori di fatto che si sono risolti in vantaggi di rilievo per i mafiosi. Tra gli allegati della comunicazione del CSM si enucleano elementi specificamente relativi a gravi processi di mafia: * "procedimento penale di cui poi alla sentenza n.674 dell'11.2.1991 (ricorr. Agate Mariano 42: si dispone la scarcerazione, con altri, anche di tal Lucchese Giuseppe, per il quale invece i termini di custodia cautelare non erano scaduti)"; ** "procedimento penale di cui poi alla sentenza n.2288 del 5.7.1990 (ricorr. Cardone Antonio: erronea individuazione di termini processuali senza tener conto di timbri datari e di date di spedizione di avvisi, dandosi poi luogo ad annullamento di ordinanza del Tribunale di riesame di Napoli)"; *** "procedimento penale di cui poi alla sentenza n.147 del 18.2.1991 (ricorr. Parisi Salvatore: omesso esame di atti in ordine alla tempestività dell'eccezione di nullità del decreto di irreperibilità, ritenuta invece non tempestivamente proposta)"; **** "procedimento penale di cui poi alla sentenza n.1571 del 1.6.1990 (ricorr. Tagliavia: omesso esame di atti - dichiarazione del pentito Mannoia - invece facenti parte delle allegazioni del P.M.)"; ***** "procedimento penale di cui poi alla sentenza n.1779 del 18.6.1990 (ricorr. Denaro Antonio Rosario: erronea individuazione del termine processuale di cui all'articolo 309 cpp)"; ****** "procedimento penale di cui poi alla sentenza n.1781 del 18.6.1990 (ricorr. Ciotta Giuseppe: erronea individuazione del termine processuale di cui all'art. 309 cpp)"; ******* "procedimento penale di cui poi alla sentenza del 18.6.1990 (ricorr. Bartolo Giuseppe: erronea individuazione del termine processuale di cui all'art. 309 cpp)"; ---------- alle modalità di pagamento, al numero di dipendenti da assumere ed allo stesso ammontare del prezzo contratto concluso nonostante le avvenute violazioni da parte del permittente-acquirente di obblighi assunti (in particolare, costituzione di un fondo di lire 1 miliardo per spese correnti, controllo da parte del commissario degli atti di gestione, e la mancata definizione dei conti finali della gestione interinale, dell'ammontare del. T.F.R., nonché della questione dell'attribuibilità delle spese per bunker, olii, combustibili ed altro relativo alle navi oggetto della cessione, prendeva in tal modo interesse privato in atti d'ufficio, assicurando a Buontempo e Pianura condizioni contrattuali più favorevoli di quelle contenute nel bando d'asta e nel preliminare e consentendo agli stessi Buontempo e Pianura di non pagare fino ad oggi il corrispettivo della cessione. In Napoli il 21.4.1987 ed il 26.9.1987". Così si esprimeva il Ministro Martelli nell'atto di esercizio dell'azione disciplinare. "Osservo che la Corte, nel motivare il provvedimento con il quale dispone il giudizio, dopo aver posto in rilievo che la vendita della flotta Lauro fu condotta con modalità tali da rivelarsi un affare dannoso per l'economia pubblica e per i creditori, ha conclusivamente ritenuto che nelle censurabili condotte ascritte ad altri soggetti, già condannati con sentenza di primo grado in separato procedimento relativo alla stessa vicenda, non può escludersi il concorso del dottor Carnevale, tenuto conto del ruolo di assoluta preminenza ad esso conferito nell'ambito del Comitato di Sorveglianza. Nei confronti del medesimo magistrato - ed in ragione dell'obbiettiva gravità dei fatti contestati - ho formulato richiesta, in data 2 febbraio 1993, di sospensione delle funzioni e dello stipendio, ai sensi dell'art. 31 del R.D.L. 31 maggio 1946 n.511. Ritengo che il dott. Carnevale, con il comportamento sopra descritto, abbia gravemente mancato ai propri doveri rendendosi immeritevole della fiducia e della considerazione di cui il magistrato deve godere, così compromettendo il prestigio dell'ordine giudiziario". Pag. 1813 ******** "procedimento penale di cui poi alla sentenza n.1942 del 3.6.1986 (ricorr. Greco Michele ed altri: erronea individuazione del decisivo orario del fatto-reato)"; ********* "procedimento penale di cui poi alla sentenza n.1363 del 21.5.1990 (ricorr. Argano Gaspare ed altri: omessa valutazione di aggravante ad effetto speciale per il ricorrente Vernengo Ruggero contenuta in imputazione, in relazione al termine di durata della custodia cautelare)". Il CSM, come già detto, ha deliberato che per la Corte di cassazione valgano i criteri di predeterminazione delle composizioni dei collegi (cosiddette tabelle): tuttavia nel corso del forum con le direzioni distrettuali antimafia è stato comunicato alla Commissione che da un'indagine ispettiva condotta dal Ministero risulta che per la prima sezione la predeterminazione delle tabelle comunicate al CSM è stata derogata in misura statisticamente oscillante dal 50 per cento al 71 per cento. Ciò significa che i collegi giudicanti in un elevato numero di casi erano costituiti in modo non rispondente alle regole prefissate. Intervenendo su una relazione del sen. Brutti, che ha ribadito la necessità del rispetto di criteri oggettivi per la composizione dei collegi di tutte le sezioni della Cassazione, il Ministro guardasigilli Conso così rispondeva: "Sono lieto di informare che la commissione istituita dal mio predecessore (il Ministro Martelli, n.d.r.) con la finalità di studiare i problemi relativi all'attività e al funzionamento della Corte di Cassazione, aveva già inserito nel programma dei suoi lavori le questioni relative al modo in cui prevenire tutti gli aspetti che potrebbero essere discutibili sul piano della composizione dei collegi... la strada è già imboccata e potrà presto condurre ad una conclusione importante"(38). La Commissione non può soffermarsi sulle specifiche responsabilità individuali, perché esse integrano ipotesi di carattere penale e disciplinare, che non sono di sua competenza. I nomi dei funzionari, dei militari e dei magistrati che avrebbero ceduto alle pressioni mafiose sono stati trasmessi alle autorità competenti al fine di esperire gli eventuali giudizi di responsabilità. E' opportuno che i nomi dei politici vengano comunicati ai segretari dei rispettivi partiti. In ogni caso la Commissione ritiene inopportuno, in questa fase, che procedimenti penali concernenti dichiarazioni di collaboratori della giustizia che hanno chiamato in causa la prima sezione penale della Cassazione vengano affidati alla stessa sezione o comunque a magistrati che abbiano partecipato alle decisioni oggetto di contestazione. Nell'ordine giudiziario importante non solo essere ma anche apparire indipendenti, tanto che previsto l'allontanamento dalla sede del magistrato che non per sua colpa abbia perso la considerazione e la stima dei cittadini del luogo. Sino a quando non verrà accertata la verità, decisioni favorevoli agli imputati, nei casi indicati, potrebbero ---------- (38) Cfr. res. sten. audizione Ministro Conso, 23 febbraio 1993, p. 1366. Pag. 1814 essere considerate la riprova della verità delle accuse o il tentativo di togliere credito agli accusatori; decisioni contrarie agli imputati potrebbero essere considerate frutto del timore di dar corpo ai sospetti di connivenza. L'alta funzione costituzionale della Corte di Cassazione deve essere messa al riparo da simili pericoli. E' in ogni caso dovere della Commissione informare il Parlamento che responsabilità gravi di alcuni magistrati e di alcuni appartenenti alle forze dell'ordine esistono e sono state determinate o da viltà o da corruzione o da superficialità o da condivisione degli interessi di Cosa Nostra. Esse non hanno solo salvaguardato posizioni di singoli criminali, ma hanno rafforzato tutta l'organizzazione mafiosa che apparsa in grado di condizionare l'operato degli organi dello Stato. L'individuazione e la severa punizione di queste responsabilità un capitolo essenziale della lotta della democrazia contro Cosa Nostra, per dimostrare nei fatti al Paese e agli ambienti mafiosi che non sono più tollerate le collusioni di un tempo e che non esiste più l'impunità come regola per Cosa Nostra. 34. Cosa Nostra ha una propria strategia politica. L'occupazione e il governo del territorio in concorrenza con le autorità legittime, il possesso di ingenti risorse finanziarie, la disponibilità di un esercito clandestino e ben armato, il programma di espansione illimitata, tutte queste caratteristiche ne fanno un'organizzazione che si muove secondo logiche di potere e di convenienza, senza regole che non siano quelle della propria tutela e del proprio sviluppo. La strategia politica di Cosa Nostra non è mutuata da altri, ma imposta agli altri con la corruzione e con la violenza. Cosa Nostra si occupa anche di fatti politici nazionali; può perciò intrecciare le proprie azioni agli interessi di altri gruppi. E' ormai noto che l'organizzazione fu contattata tramite esponenti della massoneria per la partecipazione al tentativo di colpo di Stato messo in opera da Junio Valerio Borghese nel dicembre 1970. Ma è emerso anche che Cosa Nostra, nel 1970 fece esplodere molte bombe a Palermo per preparare il clima idoneo a quel tentativo eversivo. "Dovevamo scassare la credibilità del Governo italiano" dirà Buscetta(39). Discusse dell'opportunità di aiutare le ricerche della prigione ove era sequestrato Aldo Moro. Decise poi di non intervenire; forse perché le sembrò non conveniente immischiarsi in una questione dalla quale riteneva di non poter trarre particolare utilità e che era comunque controversa. Il finanziere Sindona tornò in Sicilia, nel 1979, pare per saggiare le disponibilità di Cosa Nostra ad un "colpo" separatista, appoggiandosi a personalità massoniche del posto e ad alcuni "uomini d'onore". Lo sostennero, in particolare, i massoni aderenti al C.A.M.E.A (Centro Attività Massoniche Esoteriche Accettate) di cui era autorevole esponente Joseph Miceli Crimi, il medico che, d'accordo con Sindona, lo ferì al fine di simulare meglio il sequestro di persona. Sembra che Cosa Nostra non sia rimasta estranea alle vicende del Banco Ambrosiano e che anzi una delle cause dell'omicidio di Roberto Calvi possa essere stata la dilapidazione del danaro lasciatogli in deposito da organizzazioni mafiose. ---------- (39) cfr. res. sten. audizione Tommaso Buscetta, 16 novembre 1992, pp. 368, 396. Pag. 1815 Gli omicidi politici, di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Pier Santi Mattarella e di Pio La Torre sembrano andare oltre la comune azione di mafia, proprio per la personalità degli assassinati, per i progetti che essi perseguivano.Íh10.5Ï A proposito di La Torre Buscetta dirà: "... non è vero che si vuole ammazzare perché quello merita di essere ammazzato: è un mezzo. Pio La Torre stava facendo la legge antimafia per il sequestro dei beni; va bene allora l'ammazziamo tanto... l'ammazziamo per questa ragione poi vediamo se..."(40). E a proposito dell'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, lo stesso Buscetta precisa, con il linguaggio allusivo che gli è proprio: "(L'attività antimafia di Dalla Chiesa n.d.r.) era un problema, ma non era un problema tale da arrivare al punto di ammazzarlo pubblicamente insieme alla moglie" (p. 419). "... Cercare (cioè uccidere, n.d.r.) Dalla Chiesa nel 1979 non è più un problema mafioso; è un problema che va al di là della mafia" preciserà Buscetta, informando la commissione che già nel 1979 Cosa Nostra aveva chiesto a lui, che era detenuto nel carcere di massima sicurezza di Cuneo, di contattare qualche terrorista per sapere se le BR sarebbero state disponibili a rivendicare l'eventuale omicidio del generale, compiuto da Cosa Nostra. Il terrorista contattato respinge l'offerta. E a proposito dell'omicidio di Giovanni Falcone: "Il giudice Falcone è stato ucciso da Cosa Nostra perché fu uno strenuo lottatore contro la mafia. Strenuo, onesto e dignitoso. Però è un mezzo per coprire altre cose, secondo il mio punto di vista" (p. 377). Buscetta, che è l'uomo più addentro alle logiche di Cosa Nostra, e che è perciò in grado di offrire attendibili chiavi interpretative per gli omicidi più rilevanti, disegna uno scenario nel quale Cosa Nostra non prenderebbe ordini da nessun altro soggetto ma concerterebbe i fatti più gravi con altri soggetti: "I mafiosi non prendono ordini, ma possono i mafiosi dire ad altri noi faremo così"(41), ma aveva chiarito che "un'entità"(42) avrebbe chiesto nel 1979 a Cosa Nostra, che allora non poteva avere alcun interesse diretto all'omicidio(43), di uccidere il generale Dalla Chiesa. Buscetta, inoltre, apprese dell'assassinio di Dalla Chiesa tramite la televisione mentre era a Belem in Brasile, con Gaetano Badalamenti. Badalamenti gli avrebbe detto che "qualche uomo politico si era sbarazzato, servendosi della mafia, della presenza troppo ingombrante...". A domande della Commissione ha precisato che Badalamenti ---------- (40) Res. sten. audizione di Tommaso Buscetta, 16 novembre 1992, p. 376. (41) cfr. res. sten audizione di Tommaso Buscetta, 16 novembre 1992, pag. 377. (42) Audizione Tommaso Buscetta, 16 novembre 1992, p. 357. (43) Dalla Chiesa, infatti, iniziò la sua attività antimafia il 1^ maggio 1982, il giorno successivo all'omicidio di Pio La Torre. Pag. 1816 fece il nome di uomini politici e che si tratterebbe di persone attualmente viventi(44). Pippo Calò non ebbe difficoltà, previa informazione alla Commissione provinciale di Cosa Nostra, a contattare ambienti del terrorismo di estrema destra e della camorra per organizzare l'attentato al rapido 904 (23 dicembre 1984) al fine di deviare dalla mafia l'attenzione dei mezzi di informazione, dell'opinione pubblica e delle forze di polizia. Nelle settimane precedenti alla strage, grazie alle dichiarazioni di Buscetta e di Contorno, e al preciso lavoro degli uffici giudiziari di Palermo, erano stati emessi ed eseguiti molti mandati di cattura. Cosa Nostra risponde con la strage per distogliere dalla mafia l'attenzione dell'opinione pubblica. Non è nei compiti della Commissione accertare responsabilità di carattere giudiziario, nè ricostruire in quest'ottica le vicende soprarichiamate. Ma dal complesso degli elementi di cui la Commissione dispone, rivela la capacità di Cosa Nostra di intervenire anche nei fatti politici nazionali(45). Da qui nasce non solo l'esigenza di integrare le tradizionali interpretazioni sul ruolo dell'organizzazione, ma anche la necessità di portare continuativamente e sino in fondo l'azione repressiva nei confronti di Cosa Nostra e dei suoi alleati, per non darle la possibilità, in una fase così difficile per la vita del Paese, di condizionare con la violenza gli sviluppi politici. "La mafia con l'estendersi del suo potere economico, oltre ad avere allacciato rapporti con altri ambienti criminali, è sempre maggiormente divenuta sensibile all'assetto politico dello Stato... la mafia ha oggi un suo progetto politico. Chi infatti accumula entrate che annualmente possono valutarsi... non può essere privo di progetti politici che assicurino, quanto meno, il consolidamento e la tolleranza nel reimpiego di queste ricchezze." Scriveva il dott. Piero Vigna, procuratore della Repubblica di Firenze, nella requisitoria per la strage del 23 dicembre 1984. La capacità di penetrazione del sistema criminale di Cosa Nostra nasce proprio da questa naturale propensione dell'organizzazione a creare e sostenere condizioni politiche che la favoriscano. La mafia non si augura certo di avere una magistratura onesta, partiti politici trasparenti e legittimati, un sistema istituzionale impermeabile alle corruzioni e alle collusioni. Al contrario essa opera costantemente per conservare quelle parti del sistema politico, economico ed istituzionale che possono esserle utili e più in generale per conservare equilibri politici che considera a lei favorevoli. In questo contesto può riproporsi il terrorismo politico-mafioso. IV 35. Per quali ragioni Cosa Nostra ha potuto svolgere così a lungo la sua attività senza essere permanentemente contrastata? per quali ragioni riuscita a sviluppare veri e propri rapporti di integrazione con i pubblici poteri? La spiegazione non può essere costituita soltanto dalle viltà o dai calcoli dei singoli. Troppo duraturi nel tempo, vasti e diffusi sono stati quei rapporti per poter essere fondati su debolezze individuali. Le ---------- (44) Res. sten Tommaso Buscetta 11.16.1992 pp. 422-423. (45) Già nel periodo 1943-1950 emerse questa capacità di Cosa Nostra; cfr. parr. Pag. 1817 compromissioni soggettive non sarebbero state di per sé sufficienti e non si sarebbero certamente manifestate con quell'ampiezza, quella continuità e quell'efficacia se non fossero state sostenute da più generali condizioni di carattere storico-politico. Precise ragioni di carattere storico e politico hanno infatti favorito, da più di un secolo, i rapporti di Cosa Nostra con i pubblici poteri, le hanno attribuito una specifica e riconosciuta funzione politica, le hanno consentito di svolgere un ruolo di sostegno ad esperienze politiche, a partiti, a uomini politici. Tutto ci ha sinora impedito la liberazione del Paese da quei condizionamenti. Ed evidente che la sconfitta definitiva di Cosa Nostra passa non solo attraverso la punizione delle responsabilità individuali, ma anche attraverso il superamento definitivo delle condizioni oggettive che hanno favorito le compromissioni. 36. La relazione di maggioranza della prima commissione antimafia, depositata il 4 febbraio 1976, descrive con sintesi efficace la funzione politica che la mafia assunse al tempo dell'Unità d'Italia: " La mafia... fin dalla sua nascita e con un impegno sempre maggiore nel corso degli anni, si esercit nella costante ricerca di un intenso, incisivo collegamento con i pubblici poteri della nuova societ nazionale, rifiutando il ruolo di una semplice organizzazione criminale in rivolta contro lo Stato, o magari interessata soltanto ad una funzione di supplenza del potere legittimo. Ma se la mafia si rafforzò, grazie ai collegamenti con l'apparato pubblico dello Stato sabaudo, lecito supporre che anche il nuovo Stato abbia tratto un preciso vantaggio da questi collegamenti, il vantaggio cio di garantirsi una facile posizione di dominio, senza essere costretto ad affrontare il problema scottante di un radicale rinnovamento della societ siciliana. Per realizzare l'Unit - prosegue la relazione - la borghesia nazionale.... non esitò ad allearsi in Sicilia con la nobiltà feudale locale ed proprio dalla logica di questo accordo e, correlativamente, dall'ostinata opposizione all'autogoverno che nacque e si sviluppò il fenomeno della mafia." Infatti, conclude la relazione, la nobiltà feudale, in una condizione di debolezza delle strutture statuali, si avvalse del formidabile potere repressivo della mafia per tenere a bada i contadini e per frenare le rivendicazioni espresse in quegli anni dai fasci dei lavoratori. Questi collegamenti furono essenziali per la mafia che venne cos legittimata e di ciò si avvalse per meglio esercitare il controllo del territorio, delle attivit economiche, delle istituzioni e dei cittadini. 37. Diversa fu la situazione nel corso del regime fascista. Il fascismo si assunse direttamente il compito di salvaguardare gli interessi dei ceti agrari, che nel periodo precedente erano stati salvaguardati dalla mafia. Coerentemente, il fascismo operò in due direzioni. Sviluppò una vasta azione repressiva nei confronti dei livelli militari della mafia, che non erano tollerati come concorrenti dello Stato nell'esercizio di una funzione d'ordine. Cercò di inglobare nel regime dei livelli medio-alti della mafia. Secondo alcune fonti, nelle Pag. 1818 importanti elezioni amministrative del 1925, a Palermo, la lista fascista era stata particolarmente votata nei quartieri a più alta densità mafiosa ed aveva al suo interno sette boss ancora incriminati per associazione per delinquere(46). La notizia aveva qualche fondamento. Alcune settimane dopo le elezioni, infatti, il leader fascista di Palermo, Guido Cucco, riferì a Mussolini che la convenienza elettorale aveva richiesto alleanze con "fiancheggiatori non sempre desiderabili "(47). Molti studi sull'epoca riportano le preoccupazioni di Mussolini di inimicarsi gli agrari con un eccesso di politica antimafia e segnalano i limiti dell'azione del prefetto Mori, che non giunse a colpire i vertici mafiosi. Tutto il sistema mafioso tornò alla luce in poche settimane dopo la caduta del fascismo. 38. Durante il regime fascista vennero soprattutto eliminate le intermediazioni parassitarie di carattere mafioso ("i gabelloti mafiosi") con effetti positivi per i proprietari dei latifondi, che riuscirono a riscuotere affitti più elevati rispetto al passato, in numerosi casi superiori del 100 per cento. Peraltro i vantaggi vennero tratti da una sola parte perch gli indici ufficiali tra il 1928 ed il 1935 rivelano un ribasso del 28 per cento delle paghe agricole. L'azione antimafia in quest'epoca colpì la manodopera militare di Cosa Nostra, ma servì anche a stringere un patto politico con il grandi proprietari terrieri; essa fu possibile perché il contenimento delle istanze dei contadini venne effettuato in prima persona dal fascismo, che surrogò in questa funzione le famiglie di Cosa Nostra. 39. Cosa Nostra ricompare in Sicilia nel 1943, alla vigilia dell'occupazione alleata. Gli Usa si avvalsero dei rapporti tra mafiosi italiani o italo americani che erano nel loro territorio e mafiosi che erano in Sicilia per preparare il terreno per lo sbarco. Il caso più noto fu quello di Lucky Luciano, che essendo detenuto, fu contattato dalle autorità degli Stati Uniti per saggiare la sua disponibilità a favorire lo sbarco alleato. Luciano si adoperò positivamente. Quindi fu espulso dagli Usa e inizi il suo soggiorno a Napoli. Altri mafiosi detenuti negli Usa seguirono la sua sorte. Questa degli "espulsi" fu una questione posta più volte all'attenzione della prima commissione antimafia, all'interno della quale si rilevò che l'elevato numero degli espulsi dagli Usa, immediatamente dopo la fine della guerra, non poteva che corrispondere ad una ricompensa per il contributo fornito nella preparazione e nell'esecuzione dello sbarco. Dalla documentazione prodotta a quella Commissione, ed acquista da questa, risulta che complessivamente i mafiosi espulsi dagli Usa nel primissimo dopoguerra furono 65. Una seconda forma di legittimazione, certamente meno necessitata della prima, venne dalla protezione che il governo alleato conferì,, soprattutto nei primi tempi dopo lo sbarco, al movimento separatista, che era l'unica organizzazione antifascista organizzata in Sicilia, ma con stretti rapporti con la mafia. Nella prima commissione antimafia vennero depositati i frontespizi di due documenti del consolato ---------- (46) C. Duggan, La mafia durante il fascismo, 1986, pag 29. (47) C. Duggan, La mafia, cit. p.30. Pag. 1819 americano a Palermo, in data 21 novembre 1944 e 27 novembre 1944, che avevano come oggetto il primo: "Riunione di capi della mafia con il generale Castellano e la formazione di gruppi per favorire l'autonomia" e il secondo: "Formazione di gruppi per favorire l'autonomia sotto la direzione della mafia". L'ufficio dei servizi strategici americano nel Confidential Appendix II al Report on conditions in liberated Italy n.11, con data 11, gennaio 1944, segnalava che: "I leaders principali del partito separatista, si potrebbe dire addirittura la quasi totalità dei suoi aderenti, provengono dalle seguenti categorie: 1) l'aristocrazia... 2) i grandi proprietari fondiari latifondisti, anche se di origine plebea 3) i capi massimi e intermedi della mafia (n.del rel.), 4) professionisti mediocri o politici che sarebbero altrimenti condannati all'oscurità in un paese avanzato..."(48). La confluenza di settori della mafia nel movimento indipendentista rafforzò tanto i separatisti quanto i mafiosi. I primi poterono avvalersi della forza della mafia sul territorio; i secondi trassero motivo di legittimazione dall'inserimento in un movimento politico, che appariva sostenuto dagli alleati. Successivamente, osserva la relazione Carraro: "...il governo di occupazione, tenendo fede alle promesse della vigilia, si affrettò a consegnare l'amministrazione dell'Isola ai militanti del separatismo, mettendoli così in condizione di esercitare sui cittadini un potere reale e un'influenza spesso decisiva". Nacque così la terza legittimazione per la mafia. Quella che derivò dalla collocazione ai vertici delle amministrazioni comunali di politici separatisti sostenuti dalla mafia e, in alcuni casi, di autentici mafiosi, come Calogero Vizzini nominato sindaco di Villalba e Genco Russo nominato sindaco di Mussomeli. A mafiosi, inoltre, vennero conferiti altri incarichi pubblici. Vincenzo Di Carlo, capo della mafia di Raffadali fu nominato responsabile dell'Ufficio per la requisizione del grano ed altri cereali. Michele Navarra venne autorizzato a raccogliere gli automezzi militari abbandonati dall'esercito. Il boss della mafia italoamericana Vito Genovese prestava servizio presso il quartier generale alleato di Nola. Nell'agosto 1943 Lord Rennel, capo del governo militare alleato nei territori occupati, così scriveva in un rapporto inviato a Londra: "Io temo che nel loro entusiasmo nel destituire i podestà fascisti e i funzionari municipali delle localit rurali, i miei ufficiali, in alcuni casi per ignoranza della società locale, abbiano scelto un certo numero di capimafia o autorizzato tali personaggi a proporre docili sostituti pronti a obbedirli. La mia difficoltà risiede a questo punto nel codice siciliano dell'onore, o omertà. Quasi non riesco ad ottenere informazioni da parte degli stessi carabinieri del posto, i quali ritengono che sia preferibile tacere e salvare la vita quando il locale rappresentante ---------- (48) Public Record Office, Foreign Office, 371/37326, R 8305/G, cit. in F. Renda, Storia della Sicilia, vol.III, 1987, Sellerio, Palermo, p.82. Pag. 1820 dell'AMGOT decide di nominare un mafioso piuttosto che vedersi accusati dall'AMGOT di simpatie filo-fasciste", accuse, si comprende da un passo successivo, che i mafiosi lanciavano disinvoltamente contro i loro nemici(49). La quarta legittimazione venne dai grandi latifondisti siciliani, che, preoccupati per le rivendicazioni contadine ritornarono ad affidare ai gabelloti mafiosi il controllo dei campi: "Accanto ai gabelloti, osserva la relazione Carraro (p. 119), tornarono sulla scena le schiere di soprastanti, di campieri, di guardiani, in una parola di tutti coloro che i proprietari incaricavano di amministrare le proprie terre e di proteggerle dalle ruberie dei piccoli delinquenti, ma soprattutto dalle pretese dei contadini". In questo modo giunsero ad amministrare vastissimi feudi alcuni tra i più potenti capimafia, da Calogero Vizzini a Giuseppe Genco Russo, a Vanni Sacco a Luciano Leggio che riuscì a svolgere tali sue mansioni nonostante fosse colpito da mandato di cattura per alcuni gravi delitti. 40. La quinta legittimazione venne alla mafia dalla vicenda del bandito Giuliano. Cosa Nostra risultò il burattinaio di tutta la vicenda, nel corso della quale si verificarono avvenimenti idonei ad incrinare fortemente la credibilità dello Stato. Si venne a sapere ad esempio di un incontro tra il bandito Giuliano ed il procuratore generale di Palermo Pili. L'ispettore di polizia Verdiani, dopo essere stato esonerato dall'incarico della lotta al banditismo, si incontrò più volte con il bandito Giuliano. Alcuni banditi furono muniti di documenti di riconoscimento che permettevano loro di muoversi liberamente in Sicilia. Esplosero pubblicamente gravi rivalità tra Carabinieri e Polizia. In questo quadro contorto e confuso, aggravato dalle oggettive difficoltà in cui trovava il giovane Stato democratico italiano, la mafia si comportò da padrona. Prima favorì i rapporti tra separatisti e banditi; poi assicurò una lunga impunità a Salvatore Giuliano, utilizzandolo ai propri fini; infine contribuì all'arresto dei banditi pi pericolosi ed alla stessa liquidazione fisica di Giuliano. Il quadro delle complicità appariva tale che persino il prudente estensore della sentenza che concluse il processo di Viterbo per la strage di Portella della Ginestra fu costretto a scrivere, avendo documentato che con il bandito erano riusciti ad incontrarsi giornalisti, fotografi e persino tre giovani appositamente venuti in Sicilia dall'Italia del Nord: "... egli, solo per le forze di polizia era diventato inarrivabile." "Può dirsi ormai storicamente accertato - scrive inoltre la relazione Carraro - che fu la mafia di Monreale... a frantumare le ulteriori resistenze della banda Giuliano e a permettere la cattura di alcuni degli uomini che gli erano più vicini... e fu sempre la mafia che, puntando sul tradimento di Gaspare Pisciotta, arrivò alla liquidazione fisica di Giuliano per l'interesse che aveva al suo definitivo silenzio sulle troppe cose che forse sapeva". ---------- (49) Cole e Weinberg, Civil affairs, soldiers become governors, Washington, 1964, p. 210. Pag. 1821 Gaspare Pisciotta, che sarebbe stato ucciso in carcere il 9 febbraio 1954 da una dose di stricnina, gridò nell'aula della Corte d'Assise di Viterbo: "Siamo un corpo solo banditi, polizia e mafia, come il padre, il figlio e lo spirito santo.". Era una vanteria; ma rispecchiava probabilmente il pensiero di larga parte della popolazione siciliana. V 41. Le modalità dell'integrazione, in questa prima fase, furono via via diverse; non sempre ci fu un patto, come con settori del separatismo. Più spesso si verificò confluenza oggettiva di interessi e tolleranza da parte dei pubblici poteri che, ancora fragili, guardavano con una certa preoccupazione al crescente peso di Cosa Nostra. Il generale Silvio Robino, che comandava la terza divisione Carabinieri, in una relazione del 30 luglio 1948 denunci duramente la situazione di assoggettamento di settori delle istituzioni, dei partiti politici e della società tanto alla mafia quanto al banditismo. Sentenze benevoli nei confronti di parenti del bandito Giuliano, promesse di amnistia a mafiosi e banditi fatte da candidati durante la campagna elettorale, interventi di esponenti politici presso le autorità di polizia per favorire delinquenti arrestati, l'accoglienza da parte di "autorità e personalità varie" dei parenti di Giuliano che ostentavano una crescente ricchezza. In questa situazione, sintetizzava l'ufficiale, "si rafforza nella popolazione la convinzione che le varie autorit non sono in condizioni di opporsi a tale sconcio"(50). D'altra parte nonmancava alle autorità del tempo la lucidità nella valutazione dello stato delle cose. Le autorità USA di stanza in Sicilia avevano chiesto ai loro superiori direttive sulle iniziative da intraprendere contro la mafia "a causa della delicata natura politica del problema". Il capitano dei servizi segreti americani W.E. Scotten fu incaricato di redigere un rapporto sulla situazione. Il rapporto di straordinario interesse per la storia di quegli anni e rivela la piena consapevolezza dell'amministrazione alleata della gravità dei processi che si erano oggettivamente avviati. "Secondo alcune fonti, scrive Scotten, l'AMG non solo svantaggiata dal trattare con la mafia, (evidentemente trattative c'erano, n.d. rel.) ma ha finito per farne il gioco". Scotten poi passava ad indicare tre possibili soluzioni. Arresto e deportazione per tutta la durata della guerra di 500 o 600 capimafia "senza badare alle personalit e alle connessioni politiche". Per qualche anno la mafia sarebbe stata frenata e la popolazione avrebbe acquisito il senso della legalità; nel frattempo la polizia si sarebbe riorganizzata ed avrebbe potuto contrastare con pienezza di mezzi l'eventuale ripresa di attività mafiose. La seconda ipotesi prevedeva un accordo con la mafia, che avrebbe dovuto rinunciare all'ingresso sul mercato degli alimenti e dei generi di prima necessità, nonché ad azioni contro obbiettivi di carattere ---------- (50) Rapporto 30 luglio 1948 al Comandante Generale dell'Arma dei carabinieri, gen. Fedele De Giorgis, ACS, Min. Int., Gabinetto, 1949, fasc. 1489/2/1, Sicilia ordine pubblico, cart. 1. Pag. 1822 militare. In cambio gli alleati non avrebbero interferito nelle vicende della mafia, salvo a chiedere la punizione per i reati comuni. Non ci sarebbe stata cioè un'azione repressiva contro la mafia in quanto tale. La terza soluzione prevedeva la via della resistenza e del contenimento, ma senza azioni dirette a distruggere l'organizzazione mafiosa(51). Non si mai trovata la risposta dell'autorit superiore, che aveva sede in Algeri, forse perduta o forse mai inviata. Ma le vicende successive fanno ritenere che si sia optato, di fatto, per la terza soluzione. Né può costituire prova un altro rapporto del gen. Robino al suo comandante generale. Informandolo sulle vicende dell'Ispettorato generale della PS per la Sicilia, il generale scrive "Il successore del comm. Messana, Comm. Vittorio Modica, a causa delle elezioni politiche che sconsigliavano un'azione a fondo contro la mafia e favoreggiatori, non ha potuto far nulla di conclusivo anche perché attendeva che il Ministero risultante dalle nuove elezioni si decidesse a fornirgli i maggiori mezzi per l'azione."(52). 42. L'intervento di Cosa Nostra nella vicenda Giuliano chiude la fase apertasi sette anni prima con lo sbarco angloamericano in Sicilia. Nel corso degli anni che vanno dal 1943 al 1950 la mafia riuscì ad insediarsi stabilmente nella società siciliana sfruttando con abilità ogni occasione che le si presentava per radicarsi nella società, stringere relazioni con pubblici poteri, irrobustire le file ed incrementare le risorse. Su un altro versante, l'assassinio di esponenti politici, capilega e sindacalisti, la devastazione delle Camere del Lavoro e di sedi dei partiti comunista e socialista collegò Cosa Nostra agli ambienti più reazionari ed agli interessi più retrivi. L'impunità per tutti questi crimini valse a fondare il convincimento popolare della "legalità sostanziale" della sua presenza e del suo operato. "La mafia in questo modo finisce per perdere quel rilievo che invece dovrebbe avere e di fronte alle sue manifestazioni delittuose si attenua o addirittura scompare la necessit di una valutazione rigorosamente negativa, tale da non lasciare spazio con pericolosi cedimenti od omissioni, a tentativi di infiltrazione o comunque alle possibilit di successo dell'organizzazione mafiosa." (rel. Carraro, p. 169) I primi anni del nuovo Stato, lungi dal segnare una rottura delle vecchie collusioni, cementarono Cosa Nostra dentro il nuovo assetto. Ci che avvenne in quegli anni segn profondamente la vicenda degli anni successivi. Fatti e personaggi determinanti in quegli anni, hanno continuato ad esserlo per lunghissimo tempo in tutta la vicenda siciliana ed in parte, anche, nella vicenda nazionale. Le ragioni oggettive per le quali le vicende della mafia e dell' antimafia costituiscono parte non irrilevante della storia repubblicana, affondano le loro radici in quei sette anni di passaggio dal regime fascista all'Italia democratica. ---------- (51) W.E.Scotten, Report on the Problem of Mafia in Sicily, Public Record Office, Foreign Office R 11483321/37327, R 11483 cit. in Renda, Storia della Sicilia, cit. p.85 ss. (52) ACS, cit., rapporto 21 aprile 1948. Pag. 1823 VI 43. Il permanere e l'irrobustirsi dei rapporti tra mafia e pubblici poteri nei decenni successivi fu determinato, oltre che da corruzioni individuali, da tre fattori di carattere oggettivo, tra loro molto diversi, uno relativo alla situazione politica generale, l'altro alle tradizionali tecniche di investigazione, il terzo ad alcuni caratteri del rapporto tra lo Stato centrale e la Sicilia. 44. La lotta politica nei primi anni del dopoguerra non ha avuto come traguardo una pura alternanza dentro schemi comunemente accettati da tutte le parti. Entrarono in gioco scelte di vita, schieramenti di campo, sistemi di civiltà. In un mondo dominato dal bipolarismo la vicenda italiana, vedeva da un lato il più forte partito comunista e dall'altro uno schieramento maggioritario di indirizzo nettamente filoccidentale. La preoccupazione maggiore delle forze di governo era di rinsaldare costantemente la propria alleanza che avrebbe potuto condurre il paese fuori della propria collocazione internazionale. In questo scontro non sono stati risparmiati nè colpi nè strategie. In un lucido articolo apparso il 28 luglio 1992 su "Il Corriere della Sera", il filosofo Emanuele Severino riconduceva i rapporti tra settori dello Stato e la mafia e la conseguente impunità della mafia, alle esigenze del bipolarismo. Ciascuna delle parti in campo, sostiene Severino, si avvalsa di ogni opportunità, lecita ed illecita, per consolidare se stessa e destabilizzare l'avversario. In sostanza Cosa Nostra è stata una componente non secondaria del fronte filoccidentale e questo ha contribuito per lungo tempo a preservarla da un'azione repressiva permanente e decisiva. Ne è derivata una condizione di coabitazione politica con la mafia che molti hanno rifiutato; ma chi la ha accettata ha concorso ad indebolire il sistema democratico e a rendere unica l'Italia per gli omicidi politici e le stragi, nel panorama delle democrazie occidentali. La "coabitazione" ha favorito tentativi di infiltrazione negli apparati dello Stato, nella magistratura, nelle forze di polizia e negli Enti Locali. Alcuni tentativi sono andati in porto, con conseguenze disastrose per la legalità e per la credibilità dell'azione dei pubblici poteri. 45. Un ulteriore fattore di indebolimento strutturale dell'azione dello Stato derivato dai limiti oggettivi delle tradizionali tecniche di investigazione. Tali tecniche si sono basate per molti decenni sulla figura del confidente. Si trattava di delinquenti, in genere di basso livello, che fornivano informazioni agli organi di polizia sugli autori dei reati commessi nella zona e guadagnavano in cambio favori di vario tipo, dalla licenza, che altrimenti non avrebbero potuto ottenere, al silenzio su taluni dei loro reati. Nelle regioni prive di organizzazioni mafiose e radicate nel tessuto sociale, la negoziazione con i confidenti non incideva sull'efficacia dell'attività repressiva. Diversa era la situazione laddove, invece, tali forme di criminalità si manifestavano con forza. Nei luoghi ove era radicata Cosa Nostra, nessun piccolo delinquente avrebbe osato tradire un "uomo d'onore", Pag. 1824 pena la vita. In queste aree l'attività di informazione era discretamente svolta dai capimafia o da loro emissari nei confronti, naturalmente, non di altri uomini d'onore ma delle forme minute di criminalità. Ma è inevitabile che le contropartite da offrire a questi speciali confidenti dovessero essere tali da agevolare l'organizzazione mafiosa ed indebolire la possibilità di reazione dello Stato. In sostanza questa tecnica investigativa ha agevolato forme di negoziazione tra Cosa Nostra e istituzioni repressive, con nessun vantaggio per lo Stato e risultati di legittimazione ed impunità per Cosa Nostra. E' il caso di ricordare la franca esposizione del problema presentata alla Commissione dal capo della polizia, prefetto Vincenzo Parisi: "...in merito alla natura dei rapporti tra l'operatore di polizia ed il confidente ritengo che egli potesse indifferentemente avvicinare grandi e piccoli personaggi, quando questi ultimi fossero inviati dal grande personaggio non sono immaginabili margini di manovra dei piccoli personaggi, salvo penalizzazione irreversibile da parte dell'organizzazione. Tutto poteva fare parte di un gioco concertato soltanto dall'organizzazione. Questo è il lavoro svolto negli anni passati, di profilo medio-basso, dove si operava su segmenti e si assecondavano gli scontri tra i gruppi di mafia senza che lo Stato traesse un vantaggio effettivo, al di là di quello meramente apparente... l'intervento dello Stato sui pentiti è stato fondamentale: ha determinato l'elevazione della dignità degli operatori dello Stato, magistrati e forze dell'ordine"(53). 46. Un ruolo di rilievo ha giocato infine un certo isolamento della Sicilia dal resto d'Italia. Il fenomeno è stato determinato dallo scarso entusiasmo con il quale il nuovo Stato accolse l'ipotesi autonomista e da quello spirito "sicilianista" assai diffuso nei primi anni della regione e spesso risorgente in esperienze politiche ed istituzionali di segno assai diverso(54). L'autonomia fu riconosciuta alla Sicilia prima che fossero consolidate le fondamenta del nuovo Stato democratico, per l'esigenza di fronteggiare e respingere le istanze separatiste. Ma la situazione siciliana e quella del resto d'Italia era tale nel maggio 1946 da non consentire la predisposizione delle condizioni politiche ed istituzionali idonee a raccordare la Sicilia autonoma allo Stato nazionale. Lo Stato centrale dimostrò in non poche occasioni la sua ostilità all'autonomia. Le forze politiche siciliane reagirono con un'esasperazione della loro anima autonomistica. Il governo nazionale non accolse la richiesta di inviare nella neonata regione un nucleo di funzionari esperti che potessero costituire l'ossatura della nuova amministrazione regionale. Ciò contribuì a determinare reclutamenti affrettati e privi di garanzie. Delle 8887 persone entrate alle dipendenze della Regione dal 1946 al 1963 ben 8236, il 90 per cento, sono state assunte senza concorso "e ciò si deve ritenere sulla base di segnalazioni e di rapporti di amicizia e di ---------- (53) cfr. res. sten. audizione prefetto Vincenzo Parisi, 2 febbraio 1993, p. 913. (54) G.C. Marino, L'ideologia siciliana, Flaccovio, Palermo, 1971; Salvatore Butera, Introduzione al volume da lui stesso curato Regionalismo siciliano e problema del mezzogiorno, SVIMEZ, (Giuffrè, 1981, p. 9 ss.). Pag. 1825 favore" (rel. Carraro, p.206); la percentuale saliva ancora per i dipendenti della Presidenza, il maggior centro di potere amministrativo, 405 su 431. A questa debolezza amministrativa si aggiunse una tendenza alla esasperazione dei poteri regionali; come riconosce la relazione Carraro: "...la conquista del governo o anche la partecipazione alla maggioranza rappresentarono fin dall'inizio un traguardo decisivo per esercitare nell'isola un'influenza effettiva. Nacquero di qui le gravi deviazioni nella politica regionale e un'abitudine tutta particolare agli incontri e alle alleanze più inverosimili e in genere alla pratica del trasformismo" (p.125). Contro l'ipotesi di Sturzo della "Regione nella nazione" prevalse, nei primi anni, l'ipotesi "Sicilia senza Mezzogiorno", specificità siciliana come ragione della sua separatezza dal resto d'Italia e come fondamento di peculiari assetti istituzionali, economici e finanziari. Questo atteggiamento, politico e culturale, consentì nel passato e consente tutt'ora di anticipare in Sicilia processi in corso in tutto il Paese ma che a livello nazionale faticano a manifestarsi: così è stato nel passato per il centro-sinistra, che venne costituito in Sicilia nel 1961 con due anni di anticipo sull'esperienza nazionale e, nei nostri tempi, con la riforma del sistema elettorale per i comuni e per la riforma del sistema degli appalti, approvate dal parlamento siciliano prima che da quello nazionale. Ma presenta costi assai gravosi: è stato correttamente notato che il sicilianismo, non del tutto scomparso, tende ad isolare la regione dal Mezzogiorno e dal resto del Paese(55). L'intreccio tra il disinteresse dello Stato centrale e la vocazione "sicilianista" agevolò il rapporto tra Cosa Nostra ed i pubblici poteri. La debolezza amministrativa comportò l'ingresso negli uffici regionali di persone non sperimentate ed indebolì la funzione amministrativa nel suo complesso, favorendo le organizzazioni mafiose che si nutrono proprio della debolezza dei poteri pubblici. Il sicilianismo ha costituito in più occasioni una cintura di sicurezza attorno ai processi degenerativi considerati troppo spesso un "fatto interno" della Sicilia; ha fornito un alibi a quelle autorità del governo nazionale che non intendevano impegnarsi sino in fondo nello scontro con la mafia; non ha agevolato il pieno dispiegarsi dell'azione repressiva; ha allontanato nel tempo la comprensione della vera matrice del potere mafioso. Alcuni collaboratori hanno adombrato il pericolo che Cosa Nostra potrebbe favorire il sorgere e lo svilupparsi di nuove tendenze separatiste in Sicilia. Il separatismo è oggi antistorico e profondamente lontanto dagli interessi della Sicilia, mentre il regionalismo e l'autonomia appartengono a pieno titolo alla migliore cultura democratica. Ma atteggiamenti separatisti potrebbero essere usati, come a volte nel passato da settori delle classi dirigenti, per potenziare la capacità contrattuale della regione nei confronti dello Stato centrale, specie in una fase in cui si riducono le possibilità di manovra sui flussi di danaro pubblico, che hanno tradizionalmente alimentato nel Mezzogiorno non l'interesse di tutti ma catene clientelari alle quali non sono stati estranei gli interessi mafiosi. ---------- (55) S. Butera, cit., p.24. Pag. 1826 47. Una delle sperimentazioni più controverse e distorte del "sicilianismo" si è avuta nel triennio 1958-1961 con la cosiddetta operazione Milazzo, che ha visto per la prima ed unica volta nella storia siciliana, la DC all'opposizione. Il raggiungimento di questo fine, che le forze politiche di sinistra e di destra, nonché forze economiche emergenti nell'Isola sentivano come determinante per conquistare uno spazio autonomo e non subalterno, produsse una grave sottovalutazione dei mezzi usati. Alcuni intenti apparivano apprezzabili, in particolare quelli legati ad uno sviluppo economico autonomo della Sicilia, in coincidenza con le forti entrate fornite dalle royalties sulla estrazione del petrolio(56). L'innaturale alleanza tra destra e sinistra, rendeva di per sè fragile il progetto politico. Della fase di confusione istituzionale e politica seppe approfittare la mafia, che sostenne l'operazione ed introdusse uomini propri o a lei vicini. "Nella costituzione del governo Milazzo - dice Antonino Calderone alla Commissione antimafia(57) - l'azione di Cosa Nostra è stata molto incisiva. Prima della costituzione del governo si dovevano votare delle leggi speciali a Palermo(58). Era molto vicino a Milazzo un uomo d'onore consigliere della famiglia di Catania, l'onorevole Concetto Gallo.... Alcuni deputati uomini d'onore dicevano a Totò Greco, detto Cicchiteddu, che all'epoca era segretario della provincia di Palermo, che certi deputati erano contro queste leggi. Ebbene Nicola Greco, uomo d'onore della famiglia di Ciaculli, telefonò ad alcuni deputati minacciandoli ed intimando loro di non andare a votare, ad altri mise lettere di minaccia sotto la porta. Così è nato il governo Milazzo ed è stato un boom. La mafia l'ha sostenuto in modo fortissimo". VII 48. I fattori indicati nei tre paragrafi precedenti, le esigenze di politica internazionale ed interna, la negoziazione istituzionale, le tendenze isolazioniste in Sicilia, concorsero a creare un clima di "coabitazione", nel quale si sono sviluppate le connessioni tra mafia e politica a partire dagli anni '50. Ma le condizioni politiche ed investigative che hanno favorito l'intreccio tra mafia, politica ed istituzioni, non hanno mai integrato uno "stato di necessità". Hanno reso difficile ma non impossibile la lotta contro la mafia. Molti, infatti, hanno combattuto duramente e non pochi tra questi sono stati uccisi per il loro impegno. E' necessario riconoscere le responsabilità politiche dei vertici del vecchio sistema che hanno favorito o non hanno osteggiato la convivenza tra Stato e mafia. Questo riconoscimento segna, con la massima nettezza possibile, la capacità e la volontà di rinnovamento. 49. L'azione repressiva ha proceduto "a fisarmonica", come ha riconosciuto il direttore del Sisde nel corso dell'audizione davanti alla ---------- (56) V. Vincenzo Carollo, Petrolio e sviluppo economico, in Banco di Sicilia, Notiziario economico finanziario siciliano, 1959, p. 20 ss.; Eugenio Peggio, Il complesso petrolchimico di Gela, in Politica ed Economia, n.11, novembre 1959. (57) Cfr. res. sten. audizione dell'11 novembre, p. 286. (58) Potrebbe trattarsi della legge sulla industrializzazione siciliana approvata dall'assemblea regionale siciliana il 31 luglio 1957. Pag. 1827 Commissione(59). Si è attaccato quando Cosa Nostra attaccava; e poi si ritornava alla coabitazione. Si è commesso l'errore di scambiare la pax mafiosa, frutto di un rigido controllo delle cosche, con l'assenza di attività criminali. Lo Stato non colpiva Cosa Nostra in quanto associazione criminale, ma solo quando compiva omicidi particolarmente gravi. Cosa Nostra, dal canto suo, non colpiva i rappresentanti dello Stato in quanto tali, ma soltanto coloro che, compiendo atti repressivi particolarmente efficaci, derogavano alle regole non scritte della convivenza(60). In pratica i rapporti tra istituzioni e mafia si sono svolti per moltissimi anni come relazioni tra due distinte sovranità; nessuno dei due ha aggredito l'altro sinché questi restava entro i propri confini. Le indagini giudiziarie, come osservò la relazione Carraro, per troppi decenni si sono limitate ad accertare se esistevano elementi di prova sulle persone denunciate, e non si sono impegnate a trovare i responsabili dei delitti commessi. I rapporti di polizia, inoltre, non erano considerati altrettanti punti di partenza dai quali sviluppare le indagini, ma il punto di arrivo delle indagini stesse. Il magistrato inquirente per limiti culturali, per abitudine, quieto vivere o per peggiori ragioni, sceglieva il più delle volte per sè stesso un ruolo notarile, di verifica dell'operato della polizia giudiziaria; rifiutava, in genere, un ruolo propulsore, investigativo. Di qui l'altissimo numero di assoluzioni per insufficienza di prove. 50. Solo la sottovalutazione della necessità di combattere la mafia in quanto tale, può spiegare perché le leggi antimafia più importanti sono tutte successive ai grandi delitti. La legge sulle misure di prevenzione (1965) successiva alla strage di Ciaculli (1963); la proposta di legge presentata dal deputato Pio La Torre il 31 marzo 1980 e che sino a quel momento aveva visto l'approvazione di un solo articolo, fu approvata in dieci giorni, dopo l'assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa(61). Le integrazioni della legge La Torre e la concessione di più incisivi poteri all'Alto Commissario antimafia (legge 15 novembre 1988, n.486), seguirono all'omicidio del presidente Antonino Saetta (25 settembre 1988). Le leggi in materia di sequestri di persona e di protezione dei collaboratori di giustizia (L. 15 marzo 1991, n.197), di buon andamento dell'attività amministrativa (L. 12 luglio 1991, n.203), di ---------- (59) Cfr. res. sten. audizione prefetto Angelo Finocchiaro, 12 gennaio 1993,p. 740. (60) Res. sten. Gaspare Mutolo, 9 febbraio 1993, p. 1258. (61) Nei mesi precedenti la presentazione erano stati uccisi Michele Reina, segretario provinciale della DC (9 marzo 1979), Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo (21 luglio 1979), Cesare Terranova, capo dell'ufficio istruzione di Palermo (25 settembre 1979), Pier Santi Mattarella, presidente della Regione siciliana (6 gennaio 1980). Dopo la presentazione e prima dell'omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa (3 settembre 1982) vennero uccisi il capitano Emanuele Basile, Comandante della Compagnia di Monreale (3 maggio 1980), il procuratore della Repubblica di Palermo Gaetano Costa (6 agosto 1980), lo stesso Pio La Torre (30 aprile 1982), tre carabinieri di scorta al mafioso Alfio Ferlito, più l'autista e lo stesso Ferlito (16 giugno 1982, cosiddetta strage della Circonvallazione), Paolo Giaccone (12 agosto 1982), medico legale, che si era rifiutato di redigere una falsa perizia in favore di Giuseppe Marchese, responsabile della strage di Bagheria, che inizierà la collaborazione con l'autorità giudiziaria dopo la strage di Capaci. La sequenza è impressionante, erano state decapitate tutte le istituzioni, ma solo l'omicidio del prefetto Dalla Chiesa convinse della necessità di una svolta strategica nella lotta contro la mafia. Pag. 1828 scioglimento dei consigli comunali inquinati (L. 22 luglio 1991, n.221), di irrigidimento del processo penale, trasparenza degli appalti e dell'attività amministrativa (L. 13 maggio 1991, n.152), di coordinamento dell'attività antimafia della polizia (L. 30 dicembre 1991, n.410 e L. 20 gennaio 1992, n.8), di limitazione dell'elettorato passivo per gli imputati di reati di mafia (L. 18 gennaio 1992, n.16), furono precedute ed accompagnate da un fortissimo clima di tensione dovuto ad un eccezionale numero di omicidi nelle regioni tradizionalmente infestate dalla mafia. Gli omicidi di mafia furono 226 nel 1988, 377 nel 1989, 557 nel 1990, 718 nel 1991(62). L'opinione pubblica fu straordinariamente colpita da un omicidio, quello del giovane magistrato Rosario Livatino (21 settembre 1990) ad Agrigento. Il decreto-legge antiracket, richiesto da tempo, venne presentato il 31 dicembre 1991, dopo l'omicidio a Palermo dell'imprenditore Libero Grassi (29 agosto 1991). Le più recenti misure antimafia sono state introdotte con decreto legge 8 giugno 1992, 15 giorni dopo l'assassinio del giudice Giovanni Falcone (23 maggio 1992) e furono convertite in legge il 7 agosto 1992, diciannove giorni dopo l'assassinio del giudice Paolo Borsellino (19 luglio). Le prime proposte di riforma del codice di procedura penale, accolte in quel decreto, erano state avanzate all'unanimità dalla Commissione antimafia nell'ottobre 1991. La faticosa approvazione di questi provvedimenti, nella gran parte dei casi indispensabili per una più moderna lotta contro la mafia, è stata frenata da un lento processo applicativo. Le più significative innovazioni avanzate nella X legislatura, quelle che prevedono regolamenti amministrativi di esecuzione, hanno cominciato a trovare applicazione soltanto nella legislatura successiva. Per superare queste lentezze si cerca a volte di recuperare il terreno perduto con provvedimenti eccezionali: ma contro la mafia serve una "straordinaria ordinarietà", un eccellente funzionamento degli strumenti ordinari. Gli strumenti straordinari reggono se funziona l'ordinario; altrimenti, come è accaduto tante volte, vengono risucchiati nella generale dispersione. 51. Nonostante i ritardi, c'è un forte risveglio nelle istituzioni e nella società civile e la repressione dei livelli militari della mafia sta procedendo con efficacia. Questi risultati, ottenuti con un sistema di risposta non ancora perfezionato, devono convincere le autorità di governo ad agire energicamente perché vengano accantonate esasperanti rivalità, perché vengano premiati coloro che hanno manifestato efficienza e capacità professionale, perché vengano individuati i responsabili di vecchie e nuove connivenze. 52. Il clima di "coabitazione" ha impedito di prendere tempestivamente in considerazione informazioni preziose, proprio perché riferentesi a Cosa Nostra in quanto tale e sganciate dalla responsabilità per specifici gravi delitti. E' noto il caso del mafioso Leonardo Vitale che il 30 marzo 1973 si presentò spontaneamente alla squadra mobile di Palermo, confessò delitti da lui stesso commessi, riferì notizie di eccezionale rilievo su ---------- (62) Dati desunti dai dossiers "Andamento della criminalità. Situazione aggiornata", relativi agli anni 1989, 1990, 1991, redatti dal Ministero dell'interno. Pag. 1829 Cosa Nostra; nel giudizio, venne ritenuto attendibile e condannato solo per le accuse che riguardavano se stesso; venne invece ritenuto seminfermo di mente e non attendibile per le accuse rivolte agli altri componenti di Cosa Nostra; uscì dal carcere nel giugno 1984, fu ferito gravemente in un agguato il 2 dicembre dello stesso anno e morì cinque giorni dopo. Meno nota un'altra vicenda altrettanto grave. Il 25 agosto 1978 i carabinieri di Palermo presentarono alla Procura di quella città un rapporto giudiziario scaturente dalle confessioni spontaneamente rese da Giuseppe Di Cristina, boss di Riesi, e dalle indagini conseguenti. Di Cristina aveva anticipato la guerra di mafia che porterà i corleonesi ai vertici di Cosa Nostra; aveva annunciato l'omicidio di Cesare Terranova (che verrà ucciso il 25 settembre 1979); aveva indicato la famiglia dei Brusca di San Giuseppe Jato come una tra le più pericolose alleate dei corleonesi; aveva svelato l'organigramma delle famiglie mafiose; aveva fornito informazioni nuove ed assai rilevanti sul traffico di stupefacenti. Ma sulla base di quel rapporto non venne compiuta alcuna indagine. 53. La "coabitazione" è stata un criterio largamente dominante, ma non esclusivo nei rapporti tra Stato e mafia. Lo Stato la interruppe dopo la strage di Ciaculli nel 1963, dopo l'omicidio del procuratore di Palermo Pietro Scaglione nel 1971 e dopo l'assassinio del generale Dalla Chiesa nel 1982. In tutti e tre i casi le risposte immediate furono eccellenti ma si arenarono dopo pochi anni. La prima si arenò verso la fine degli anni '60 dopo la mite sentenza emessa nel 1968 dalla Corte di Assise di Catanzaro. La seconda nel 1974 dopo la sentenza del tribunale di Palermo contro Albanese 74, con la condanna soltanto di 34 imputati a pene miti e per lo più già espiate. La terza si arenò nel 1988, quando la maggioranza del CSM decise di inviare a dirigere l'Ufficio istruzione di Palermo, non Giovanni Falcone, ma Antonino Meli, un magistrato più anziano, del tutto inidoneo a comprendere il processo di modernizzazione della mafia. Il dr. Meli sollevò conflitto di competenza con il tribunale di Termini Imerese, sostenendo che Cosa Nostra non era una struttura unitaria. La prima sezione penale della Cassazione gli dette ragione e le inchieste si frantumarono in decine di rivoli l'uno separato dall'altro e tutti inoffensivi per Cosa Nostra(63). Il fatto che in quelle occasioni le risposte dello Stato ci furono, dimostra che è ben possibile sconfiggere Cosa Nostra. Le modalità del loro arenarsi dimostrano che la forza di Cosa Nostra non è tanto in se stessa quanto nelle debolezze del sistema politico, nella episodicità degli interventi e nelle contraddizioni degli apparati istituzionali. 54. Cosa Nostra ruppe, a sua volta, le regole della "coabitazione" quando ai suoi vertici ascesero i corleonesi, in una "guerra" che durò ---------- (63) Lo spezzettamento dei processi è un grave errore non solo perché non consente una valutazione uniraria di un fenomeno che è unitario, ma anche perché disperde e contrappone preziose energie giudiziarie. Oggi non si profila un errore analogo a quello compiuto dalla prima sezione della Cassazione nel caso citato nel testo. Può profilarsi, invece, il rischio che per un malinteso "primato" nella gestione dei diversi procedimenti nascano tensioni tra vari uffici giudiziari che possano avere come effetto quella dannosa frantumazione delle indagini. Pag. 1830 tra fine degli anni '70 e i primi anni '80. I collaboratori della giustizia ascoltati dalla Commissione hanno chiarito che prima dell'avvento dei corleonesi il principio di fondo era che "non si doveva fare la guerra allo Stato"(64). Sino a quel momento la violenza era stata usata sul fronte interno per i regolamenti di conti e per eliminare testimoni pericolosi; sul fronte esterno per colpire avversari politici, come nei casi degli assassinii dei capilega e dei sindacalisti e nel caso, meno noto, dell'assassinio di Pasquale Almerico, ex sindaco di Camporeale e segretario della locale sezione DC, ucciso la sera del 25 marzo 1957 perché contrastava nel suo comune lo strapotere del capomafia Vanni Sacco. Questi fu assolto per insufficienza di prove dalla Sezione istruttoria della Corte d'Appello di Palermo il 21 luglio 1958. I corleonesi, invece, proposero una strategia di tipo diverso, fondata su un più immediato ricorso all'omicidio, anche nei confronti di quelle autorità dello Stato che non si piegavano al compromesso. D'altra parte, il ricorso alla violenza veniva deciso molto spesso senza ricercare il consenso di tutte le componenti della commissione interprovinciale. Questa strategia corrispondeva ai caratteri originari del gruppo che faceva capo a Liggio, a Riina e a Provenzano. Si trattava di mafiosi che si erano affermati dopo una lunga guerra contro i vecchi boss culminata con l'omicidio di Michele Navarra, capo della mafia di Corleone (2 agosto 1958, ad opera di Luciano Liggio, suo luogotenente), abituati a latitanze disagiate nelle campagne del corleonese, intendevano egemonizzare il traffico di stupefacenti e dominare sulle famiglie mafiose di Palermo, non erano abituati alle frequentazioni della città ed anzi erano presi in giro per la loro rozzezza(65). A questo mutamento di strategia corrisposto un alto numero di omicidi di esponenti delle forze dell'ordine, magistrati, politici. 55. Il rapporto tra mafia e politica negli anni che vanno dalla morte di Salvatore Giuliano ai nostri giorni è stato particolarmente complesso. Lo snodo decisivo è costituito dalla trasformazione della mafia del latifondo in mafia dei suoli urbani, una modernizzazione rapida e violenta, indotta da quello che fu chiamato "il sacco di Palermo". Nacque un nuovo modello di comportamento mafioso, che si è successivamente esteso a tutto il Mezzogiorno e all'interno del quale si sono intrecciati i rapporti tra la mafia, i burocrati, i politici e gli imprenditori. 56. Il passaggio dalla mafia di campagna a quella di città avviene tra la fine degli anni '50 e gli inizi degli anni '60, in coincidenza con due fattori, uno demografico ed uno politico. Nella svolta di fine decennio si verifica in tutta Italia un processo di urbanizzazione. A Palermo questo processo è frenetico. In dieci anni, dal 1951 al 1961, gli abitanti aumentano di centomila unità. Cosa Nostra si rende conto che la città può diventare un Eldorado e rivolge perciò la propria interessata attenzione in una prima fase ai mercati ---------- (64) L'espressione è di Gaetano Badalamenti cfr la relazione del sen. Massimo Brutti sulle DDA. (65) Cfr., ad es. resoconto stenografico dell'audizione di Tommaso Buscetta, 16 novembre 1992, p. 372. Pag. 1831 ortofrutticoli, che costituiscono il tramite tra le risorse della campagna, ove la sua forza resta considerevole, e le esigenze della città che va crescendo. Ma non fatica ad accorgersi che il grande affare di quegli anni è l'edilizia. Il processo di urbanizzazione preme su Palermo. Contemporaneamente si assiste ad una profonda trasformazione nei gruppi dirigenti della città. Nel 1954 Amintore Fanfani vince il congresso nazionale della DC sulla linea dell'assoluta centralità democristiana. I gruppi dirigenti democristiani dell'isola avevano sino a quel momento tenuto ai bordi del campo i partiti liberale e monarchico, cui facevano riferimento i vecchi latifondisti con il loro seguito di capimafia. La vittoria di Amintore Fanfani porta ad un cambio della guardia anche a Palermo; le redini vengono prese da Gioia e Lima, che inglobano i vecchi latifondisti con il loro seguito e si lanciano sullo sviluppo urbanistico di Palermo. Dal 1959 al 1964 è sindaco Salvo Lima, vicino alla mafia di Bontate; assessore ai lavori pubblici è Vito Ciancimino, legato invece ai corleonesi. Furono gli anni del "sacco di Palermo", con l'avvio di un patto tra mafia, amministrazione pubblica e costruttori, che diventò un modello criminale per moltissime aree del Mezzogiorno. Si crearono molte "cordate" tra mafiosi, imprenditori e singoli uomini politici, che portarono allo snaturamento delle funzioni pubbliche, alla distruzione del mercato, alla ridicolizzazione della legalità amministrativa. Nacque la particolarità palermitana delle "alleanze verticali" tra mafiosi, imprenditori, burocrati, professionisti e uomini politici, l'una contrapposta all'altra. Gli uomini politici che contavano avevano ciascuno i propri imprenditori, i propri professionisti e il proprio capomafia. Nacque una sorta di sistema integrato di competenze, di funzioni e di poteri che aveva il suo centro di gravità in Cosa Nostra e che riusciva a condizionare le vicende della spesa pubblica, gli equilibri politici e i rapporti di forza tra i vari gruppi di Cosa Nostra. La lotta politica diventava immediatamente terreno per ampliamenti o restrizioni delle fette di mercato dei contendenti e Cosa Nostra interveniva frequentemente, con la minaccia o con l'eliminazione fisica, anche nelle vicende politiche perché da esse, in quell'assetto, dipendevano le sorti degli imprenditori, le entrate della mafia ed il peso dei singoli uomini d'onore. Il rapporto del dr. Bevivino, incaricato il 15 novembre 1963 dal presidente della regione D'Angelo, di compiere un'ispezione straordinaria presso il comune di Palermo (AAPP, Senato della Repubblica, VIII Leg., doc. allegata alla relazione conclusiva della Commissione antimafia, Doc. XXIII, n.1), ed allegato agli atti della Commissione, documenta uno straordinario artificio di falsificazioni, che culminò nella concessione di 2.500 licenze edilizie su un totale di 4.000 a tre pensionati, che fungevano da prestanome di uomini di Cosa Nostra o di imprenditori sospetti. Qui preme indicare i mutamenti che la vicenda edilizia impose nei rapporti tra mafia e politica. Quel rapporto, che nel passato era stato occasionale, diventa essenziale perché l'edilizia comporta per necessità un rapporto con la pubblica amministrazione e con gli uomini politici che ne sono responsabili. Pag. 1832 Ma è un rapporto che per forza di cose non si ferma all'edilizia. Investe tutte le attività comunali, gli appalti, le locazioni, le manutenzioni. E' criterio guida per fare e disfare alleanze politiche, maggioranze e governi locali. Il comune in quest'ottica è considerato una mucca da mungere sinché si può, una stazione di smistamento della spesa pubblica, ma anche una sede nella quale arrivare ad insediare uomini che operino per conto della cordata(66). La mafia si modernizza, diventa mafia di città e di affari, cerca di integrarsi coni centri più importanti nella vita della città, spesso riuscendovi. La cultura dello scambio, del rapporto permanente ed integrato con il politico nasce in questa fase e su quel terreno. Non è solo un salto di qualità nel rapporto mafia e politica; nasce un modello che ritroviamo oggi in molte città del sud e che si riprodurrà in Campania, con un'accelerazione violenta dopo il terremoto, quando il passaggio dalla camorra "solidaristica" di Cutolo a quella di Bardellino, affaristica ed incline al rapporto con gli enti locali, sarà proprio legato alla spesa per la ricostruzione. Bardellino d'altra parte, che era uomo d'onore, come Zaza e Nuvoletta, conosceva già la tecnica dell'intreccio tra mafia, affari ed enti locali. 57. Nei trent'anni successivi i rapporti tra uomini della mafia ed esponenti della politica si sviluppano sui diversi piani con diverse modalità e responsabilità e secondo diverse linee-guida. Il terreno fondamentale sul quale si costituiscono e si rafforzano i rapporti di Cosa Nostra con esponenti dei pubblici poteri e delle professioni private è rappresentato dalle logge massoniche. Il vincolo della solidarietà massonica serve a stabilire rapporti organici e continuativi. L'ingresso nelle logge di esponenti di Cosa Nostra, anche di alto livello, non è un fatto episodico ed occasionale, ma corrisponde ad una scelta strategica. Il giuramento di fedeltà a Cosa Nostra resta l'impegno centrale al quale gli uomini d'onore sono prioritariamente tenuti. Ma le affiliazioni massoniche offrono all'organizzazione mafiosa uno strumento formidabile per estendere il proprio potere, per ottenere favori e privilegi in ogni campo: sia per la conclusione di grandi affari sia per "l'aggiustamento" dei processi, come hanno rivelato numerosi collaboratori di giustizia. Tanto più che gli uomini d'onore nascondono l'identità dei "fratelli" massonici, ma questi ultimi possono anche non conoscere la qualità di mafioso del nuovo entrato. Oltre alle logge massoniche, Cosa Nostra stabilisce rapporti con settori o singoli esponenti del sistema politico, anche attraverso il controllo del voto e del meccanismo degli appalti. Si tratta di due canali istituzionali, su cui pesano fortemente le attività di intimidazione e di corruzione che Cosa Nostra è in grado di dispiegare. 58. Rapporti tra Cosa Nostra e la Massoneria erano già emersi nell'ambito dell'attività di due commissioni parlamentari d'inchiesta, quella sul caso Sindona e quella sulla loggia massonica P2, che avevano approfondito la vicenda del finto rapimento del finanziere e della sua permanenza in Sicilia dal 10 agosto al 10 ottobre 1979. ---------- (66) Res. sten. Leonardo Messina, 4 dicembre 1992, p.602. Pag. 1833 Della vicenda si erano anche occupate la magistratura milanese e quella palermitana, accertando i collegamenti di Sindona con esponenti mafiosi e con appartenenti alla massoneria. In Sicilia sono particolarmente presenti comunioni e pseudocomunioni massoniche che si richiamano all'obbedienza di Piazza del Gesù, con peculiarità organizzative che le contraddistinguono rispetto all'altra obbedienza massonica, quella del Grande Oriente d'Italia. Le comunioni di Piazza del Gesù, infatti, sono spesso caratterizzate dalla presenza di strutture organizzative che aggregano gli affiliati sulla base della comune professione svolta (camere tecnico-professionali), sovrapponendosi alla tradizionale organizzazione territoriale (logge). Molte logge di queste comunioni, spesso coperte, operano esclusivamente nel campo delle cosiddette "attività profane", professionali, politiche, amministrative, affaristiche. Esse si caratterizzano per una troppo estensiva interpretazione del concetto di solidarietà massonica e sono perciò in grado di determinare gravi interferenze nell'esercizio di funzioni pubbliche. Sui rapporti tra mafia e circoli massonici esiste una piena corrispondenza tra gli elementi acquisiti dalle commissioni d'inchiesta sul caso Sindona, sulla loggia massonica P2, da questa commissione, dall'autorità giudiziaria e quelli forniti dai collaboratori della giustizia. Nel gennaio 1986 la magistratura palermitana aveva disposto una perquisizione e un sequestro presso la sede palermitana del Centro sociologico italiano, sito in Via Roma, 391. Furono sequestrati gli elenchi degli iscritti alle logge siciliane della Gran Loggia d'Italia di Piazza del Gesù. La Commissione antimafia ha recentemente acquisito le schede anagrafiche di quegli iscritti: tra i quali figurano Salvatore Greco e Giacomo Vitale. Sui 2.032 nominativi in questione e su quelli di altri 400 affiliati a logge siciliane, questi ultimi già resi pubblici dalla Commissione P2, sono state elaborate analisi statistiche. Di particolare interesse appare quella relativa alla distribuzione dei soggetti, in base ai periodi di iscrizione, aggregati per quinquenni, che rivela un'impennata delle iscrizioni proprio nel quinquennio 1976-1980, che conferma le dichiarazioni dei diversi collaboratori. I riscontri effettuati negli archivi delle forze di polizia hanno inoltre messo in luce che molti dei soggetti presi in esame risultano avere precedenti penali per reati di mafia. Nell'aprile del 1986 la magistratura trapanese dispose il sequestro di molti documenti presso la locale sede del Centro studi Scontrino. Il centro studi, di cui era presidente Giovanni Grimaudo (con precedenti penali per truffa, usurpazione di titolo, falsità in scrittura privata e concussione), era anche la sede di sei logge massoniche: Iside, Iside 2, Osiride, Ciullo d'Alcamo, Cafiero ed Hiram. L'esistenza di un'altra loggia segreta, trovò una prima conferma nel rinvenimento, in un'agenda sequestrata al Grimaudo, di un elenco di nominativi annotati sotto la dicitura "loggia C"; tra questi quello di Natale L'Ala, capo mafia di Campobello di Mazara. Nella loggia Ciullo d'Alcamo risultano essere stati affiliati: Fundarò Pietro, che operava in stretti rapporti con il boss mafioso Natale Pag. 1834 Rimi; Pioggia Giovanni, della famiglia mafiosa di Alcamo; Asaro Mariano, imputato nel procedimento relativo all'attentato al giudice Carlo Palermo. Nel procedimento trapanese contro Grimaudo vari testimoni hanno concordato nel sostenere l'appartenenza alla massoneria di Mariano Agate; dagli appunti rinvenuti nelle agende sequestrate al Grimaudo risultano poi collegamenti con i boss mafiosi Calogero Minore e Gioacchino Calabrò, peraltro suffragati dai rapporti che alcuni iscritti alle logge intrattenevano con gli stessi. Alle sei logge trapanesi ed alla "loggia C" erano affiliati amministratori pubblici, pubblici dipendenti (comune, provincia, regione, prefettura), uomini politici (l'onorevole Canino ha ammesso l'appartenenza a quelle logge, pur non figurando il suo nome negli elenchi sequestrati), commercialisti, imprenditori, impiegati di banca. Gli affiliati a questo sodalizio massonico interferivano sul funzionamento di uffici pubblici, si occupavano di appalti e di procacciamento di voti in occasione delle competizioni elettorali, tentavano di favorire posizioni giudiziarie e di corrompere appartenenti alle forze dell'ordine amici. Il Grimaudo risulta aver chiesto soldi agli onorevoli Canino (DC) e Blunda (PRI) per sostenerne la campagna elettorale; la moglie di Natale L'Ala ha testimoniato che, su richiesta del Grimaudo, il marito si attivò per favorire l'elezione degli onorevoli Nicolò Nicolosi (DC) e Aristide Gunnella (PRI). Particolare rilevanza assume, infine, nel contesto descritto, il rapporto di Grimaudo con Pino Mandalari. Mandalari fu arrestato nel 1974 per favoreggiamento nei confronti di Leoluca Bagarella e nel 1983, fu imputato con Rosario Riccobono. E' legato a Totò Riina e socio fondatore nel 1974, con il mafioso Giuseppe Di Stefano, della società Stella d'oriente di Mazzara del Vallo, della quale fece parte dal 1975 Mariano Agate. Della società facevano parte parenti del boss camorristico Nuvoletta, membro di Cosa Nostra. Mandalari è un esponente significativo della massoneria e riconobbe, nel 1978, le logge trapanesi che facevano capo a Grimaudo(67). Nel 1973 Gelli convocò nella sua villa di Arezzo i vertici dell'Arma dei Carabinieri auspicando l'avvento di un governo di destra presieduto dal magistrato Carmelo Spagnuolo. Il collaboratore Leonardo Messina ha parlato di un tentativo eversivo, che avrebbe dovuto verificarsi nello stesso anno, del quale Cosa Nostra era stata messa a conoscenza tramite le proprie relazioni massoniche. I magistrati di Milano e di Palermo hanno accertato i collegamenti di Sindona con esponenti della mafia e della massoneria siciliana, nel corso della vicenda del finto rapimento del finanziere e della sua permanenza in Sicilia dal 10 maggio al 10 ottobre 1979. Sindona era stato aiutato da Giacomo Vitale, cognato di Stefano Bontate e Joseph Miceli Crimi, entrambi aderenti ad una comunione di Piazza del Gesù, il C.A.M.E.A (Centro attività massoniche esoteriche accettate). Nel 1984 Buscetta aveva per la prima volta parlato del rapporto tra mafia e massoneria nel contesto del tentativo golpista di Junio ---------- (67) Giovanni Grimaudo risulta anche iscritto ad una delle logge di Via Roma, 391. Pag. 1835 Valerio Borghese del dicembre 1970; anche Luciano Liggio e Antonino Calderone rievocano, in momenti diversi, lo stesso episodio davanti ai giudici palermitani. Le dichiarazioni recentemente rese alla magistratura ed alla Commissione antimafia da Calderone, Buscetta, Messina, Mutolo e Mannoia, confermano le conoscenze già acquisite e forniscono ulteriori elementi utili per ridisegnare l'insieme dei collegamenti intercorsi nel tempo tra Cosa Nostra e la massoneria. Le richieste di cooperazione erano sollecitate dalla massoneria e talora accolte da Cosa Nostra in una logica utilitaristica. Cosa Nostra ha conservato la sua autonomia decisionale e non è mai stata subalterna alla massoneria, con la quale non ha condiviso strategie, limitandosi a compiere azioni che potevano anche risultare gradite alla massoneria, ma che da questa non erano mai state imposte. Antonino Calderone sostiene che nel 1977 una loggia segreta della massoneria avrebbe chiesto ai vertici di Cosa Nostra di far affiliare due uomini d'onore per ciascuna provincia. Stando a quanto riferitogli dal fratello Giuseppe, la proposta sarebbe stata accettata, con l'ingresso in massoneria di Michele Greco e Stefano Bontate per la provincia di Palermo; di Giuseppe Calderone e di un altro uomo d'onore per la provincia di Catania; di Bongiovino per quella di Enna e di Totò Minore per quella di Trapani. I personaggi citati rappresentavano all'epoca i vertici di Cosa Nostra. Calderone ha illustrato il ruolo che gli iscritti alla massoneria potevano svolgere nel favorire la posizione giudiziaria degli uomini d'onore, avvicinando i magistrati massoni. Tommaso Buscetta dichiara che alcuni massoni si erano interessati al cosiddetto "processo dei 114"(68) e che il massone Giacomo Vitale aveva accompagnato Michele Sindona, massone anch'egli, presso Salvatore Inzerillo e Stefano Bontate. Nel corso della sua audizione davanti alla Commissione antimafia, Buscetta conferma le dichiarazioni rese alla magistratura sul golpe Borghese. Il collegamento tra Cosa Nostra e gli ambienti golpisti era stato stabilito attraverso il fratello massone di Carlo Morana, uomo d'onore; la contropartita offerta a Cosa Nostra consisteva nella revisione di alcuni processi. Buscetta parla del coinvolgimento della massoneria al tentativo eversivo del 1974. Al golpe erano interessati ambienti massonici e militari, ma certamente anche Cosa Nostra, sostiene Buscetta, poiché il direttore, anch'egli massone, del carcere dell'Ucciardone lo informò dell'evento, assicurandogli che nell'occasione lo avrebbe fatto evadere ospitandolo a casa sua. Sostiene inoltre che Sindona nel '79 lasciò la Sicilia perché Cosa Nostra non condivise il suo progetto separatista. Leonardo Messina nella sua audizione dichiara che il vertice di Cosa Nostra sarebbe affiliato alla massoneria e, in particolare, sarebbero massoni Totò Riina, Michele Greco, Francesco Madonia, Stefano Bontate, Giacomo Vitale, Mariano Agate, nonché vari esponenti della famiglia di San Cataldo: Nicola Terminio (che avrebbe affiliato in massoneria Bontate), Moreno Micciché e Gaetano Piazza(69). Terminio e Piazza avrebbero ospitato a San Cataldo Sindona durante la sua permanenza in Sicilia. E' anche iscritto alla massoneria l'imprenditore Angelo Siino(70), referente dei corleonesi nella gestione ---------- (68) Processo contro Angelo La Barbera ed altri svoltosi presso la Corte d'assise di Catanzaro nel 1968 (sentenza del 22.12.1968). (69) Gaetano Piazza risulta essere affiliato alla loggia coperta periferica I normanni di Sicilia di Palermo della Gran Loggia d'Italia degli A.L.A.M.: vedi allegati relazioni Commissione P2, volume IV, tomo 2, p. 1.153. (70) Siino risulta essere affiliato alla loggia Orion di Palermo del CAMEA insieme a Giacomo Vitale: vedi allegati relazione Commissione P2, volume VI, tomo XIV, pag. 167. Pag. 1836 degli appalti in Sicilia. Messina ritiene che spetti alla commissione provinciale di Cosa Nostra decidere l'ingresso in massoneria di un certo numero di rappresentanti per ciascuna famiglia; trattasi, in particolare, di un'ala segreta della massoneria, per cui non sarà mai possibile dimostrare queste affiliazioni. A suo giudizio il rapporto mafia-politica si concretizza attraverso gli appalti e la massoneria. Quest'ultima è definita "un punto di incontro per tutti". Cosa Nostra può ritenere utile avere propri uomini all'interno della massoneria o stabilire rapporti con massoni: servono per combinare appalti, contattare magistrati al fine di "aggiustare" processi, garantire contatti esterni. Gaspare Mutolo ha sostenuto davanti alla Commissione antimafia di non essere a conoscenza diretta dell'appartenenza di uomini d'onore alla massoneria, ma di aver sentito parlare, soprattutto in tempi più recenti, dell'importanza che la massoneria rivestiva per Cosa Nostra "in quanto tutti i punti chiave, sia commercialmente, sia nelle istituzioni, si sa che sono occupati per la maggior parte da massoni". Mutolo conferma che alcuni uomini d'onore possono essere stati autorizzati ad entrare in massoneria "per avere strade aperte ad un certo livello" e per ottenere informazioni preziose, ma esclude che la massoneria possa essere informata delle vicende interne di Cosa Nostra. Gli risulta che iscritti alla massoneria sono stati utilizzati per "aggiustare" processi attraverso contatti con giudici massoni. Riferisce anche sul ruolo svolto dagli psichiatri Semerari e Ferracuti, di cui non conosceva la comune appartenenza alla loggia P2, nel predisporre perizie favorevoli agli uomini d'onore. Il complesso delle dichiarazioni dei collaboratori della giustizia appare dunque essere concordante su almeno tre punti: * intorno agli anni 1977-1979 la massoneria chiese alla commissione di Cosa Nostra di consentire l'affiliazione di rappresentanti delle varie famiglie mafiose; non tutti i membri della commissione accolsero positivamente l'offerta; malgrado ciò alcuni di loro ed altri uomini d'onore di spicco decisero per motivi di convenienza di optare per la doppia appartenenza, ferma restando la indiscussa fedeltà ed esclusiva dipendenza da Cosa Nostra; ** nell'ambito di alcuni episodi che hanno segnato la strategia della tensione nel nostro Paese, vale a dire i tentativi eversivi del 1970 e del 1974, esponenti della massoneria chiesero la collaborazione della mafia; *** all'interno di Cosa Nostra era diffuso il convincimento che l'adesione alla massoneria potesse risultare utile per stabilire contatti con persone appartenenti ai più svariati ambienti che potevano favorire gli uomini d'onore. 59.E' pacifico che Cosa Nostra influisce sul voto. Ciò non corrisponde ad una scelta ideologica, ma alla convenienza di sfruttare nel miglior modo possibile il radicamento sociale e territoriale: i vasti compiti degli enti locali hanno incentivato l'attenzione della mafia per le amministrazioni comunali. Non sembra sia stata ancora svolta una analisi seria degli effetti che ha avuto sulla crescita dei rapporti tra mafia ed enti locali il tradizionale decentramento della spesa. Piccole amministrazioni comunali, prive di strutture burocratiche adeguate, e prive anche dei necessari livelli di competenza, si sono trovate a spendere somme Pag. 1837 enormi che sono finite frequentemente nelle mani di speculatori, o di gruppi mafiosi. Troppo spesso il decentramento è stato puro spostamento di poteri dal centro alla periferia senza creazione di supporti efficienti e culture adeguate. 60. Agli atti della Commissione ci sono documenti che non riguardano solo l'attivazione "spontanea" di Cosa Nostra verso uno o più candidati, ma l'attivazione dei candidati verso gli uomini di Cosa Nostra. Alcuni candidati hanno pagato somme di danaro in cambio dei voti. L'appoggio di Cosa Nostra può anche consistere nella prestazione di una particolare "vigilanza" a favore del candidato che, girando per il collegio insieme agli uomini della famiglia, non solo è protetto nella sua incolumità, ma mostra ai suoi elettori, di essere sostenuto da uomini che contano. Il procuratore della Repubblica di Caltannissetta così ha sintetizzato le tre ipotesi possibili di intervento di Cosa Nostra nella campagna elettorale: "... La mafia decide: questo picciotto è uomo d'onore, è laureato, ha cultura, si presenta bene, ne facciamo un politico, i voti li abbiamo e possiamo portarlo nell'amministrazione locale, in quella regionale o in Parlamento.... La seconda ipotesi è quella di un uomo politico non mafioso che chiede aiuto a Cosa Nostra per la sua campagna elettorale.... La terza ipotesi, infine è quella dell'uomo politico il quale, pur non facendo parte di Cosa Nostra, è talmente vicino ad essa che ne riceve un aiuto concreto (il guardaspalle, l'autista, la garanzia di tranquillità nel corso della campagna elettorale e via dicendo). In sostanza si crea un rapporto di dare-avere: "Ti do i voti in cambio dell'appoggio che fornirai quando servirà"(71). Per comprendere il rilievo di questo scambio si può ricordare quanto ha riferito un magistrato della Direzione Distrettuale di Catania. Da un'intercettazione ambientale è risultato che un gruppo mafioso rivendicava nei confronti di altro gruppo il contributo decisivo dato all'elezione di un candidato e conseguentemente manifestava una sorta di "proprieta'" dell'eletto in relazione alle prestazioni che questi avrebbe potuto successivamente assicurare. Magistrati della stessa Direzione hanno riferito che nell'ambito del loro distretto si registra, naturalmente non da parte di tutti i partiti, nè da parte di tutti i candidati, un ricorso sistematico ai gruppi mafiosi per ottenerne il voto. Cosa Nostra non ha mai avuto preclusioni. Nessun partito può essere aprioristicamente immune. Ma i mafiosi non votano a caso; scelgono naturalmente candidati non ostili alla mafia e vicini agli interessi dei singoli gruppi. A Palermo, ha ricordato il dr. Giaocchino Natoli, sostituto procuratore della Repubblica, dalle indagini compiute risulta che i mafiosi "facevano convergere naturalmente i loro voti verso la democrazia cristiana, in quanto essa aveva rappresentato, fin dalla costituzione della Repubblica, il centro e l'asse d'equilibrio ---------- (71) Cfr. res. sten. audizione Procura Distrettuale di Caltanissetta, 17 novembre 1992, p. 448, 449. Pag. 1838 dell'intero sistema(72). Ma nello stesso capoluogo ed in altre aree della Regione i voti vanno anche a candidati di altri partiti. La Commissione ritiene che questo problema vada visto nella sua obbiettiva storicità e ciò comporta l'esigenza di precisare i seguenti criteri: * la scelta del partito e degli uomini è ispirata ad una logica di pura convenienza; più conta il partito e più ampia è la disponibilità di Cosa Nostra; questo spiega l'appoggio costantemente fornito a candidati appartenenti a partiti di governo, ancorché piccoli. Per questi anzi la dimensione ristretta dell'elettorato rende i voti di Cosa Nostra più produttivi, talora essenziali al raggiungimento del quorum ed alla elezione dei candidati. ** Il rapporto tra Cosa Nostra e i politici è di dominio della prima nei confronti dei secondi; la disponibilità di mezzi coercitivi conferisce a Cosa Nostra una illimitata possibilità di richiesta e di convincimento; *** da ciò non può derivare una interpretazione vittimistica di quel rapporto; il politico non è costretto ad accettare i voti di Cosa Nostra e se li accetta non può non sapere quali saranno le richieste e gli argomenti dei suoi partners; **** oggi, essendo cresciuta la sensibilità delle istituzioni e dell'opinione pubblica, il tradizionale rapporto mafia-politica può avere risvolti tragici: per il politico è impossibile sottrarsi all'abbraccio di Cosa Nostra una volta che ha chiesto ed accettato i voti, ma per lui è sempre più difficile rendere i favori per i quali è stato eletto. 61. Cosa Nostra influisce sulle elezioni in vari modi. Fa ritenere all'ambiente nel quale opera che è in grado di controllare il voto e quindi fa nascere negli elettori il timore di rappresaglie. L'intimidazione è assai diffusa e così anche il presidio dei seggi. In vari casi si ricorre ai brogli. Più spesso non c'è bisogno di alcuna intimidazione. E' sufficiente il consiglio. L'assenza di tensione e passione politica, la concezione per la quale il voto serve soltanto a contrassegnare l'appartenza ad una clientela e non ad indicare una scelta ideale, l'appiattimento delle tradizioni politiche tra i diversi partiti può condurre quasi naturalmente, senza alcuna forzatura, a rispettare gli ordini di scuderia, come Messina chiama le designazioni elettorali che venivano dai vertici di Cosa Nostra. 62. Da appartenenti alla Commissione è stato chiesto ai collaboratori della giustizia quale dovesse essere il comportamento ufficiale dei loro "amici" nei confronti di Cosa Nostra. La risposta è venuta con l'abituale cinismo degli "uomini d'onore". Il politico può anche partecipare a manifestazioni antimafia, fare discorsi contro la mafia, l'importante è che poi, nella sostanza, protegga gli interessi di Cosa Nostra. Un politico può anche proporre e far approvare leggi contro la mafia, se questo è necessario a dargli un alibi. Importante è che ---------- (72) Res. sten., audizione della DDA di Palermo, 5 novembre 1992, p. 219. Pag. 1839 quelle leggi non vengano applicate o che i processi si possano "aggiustare"(73). Nel corso dell'audizione di Tommaso Buscetta, il presidente chiese: "Se un uomo politico amico di Cosa Nostra deve fare una legge contro di voi... deve avvertirvi e spiegarvi qualcosa?" Buscetta: "...prima che si approvi una legge in Italia passano degli anni..." Presidente: "Ma se la legge si fa?" Buscetta:"Si fa e lui deve conservare quell'immagine pubblica anche a scapito di Cosa Nostra." Presidente: "E Cosa Nostra capisce questa cosa?" Buscetta: "Nel passato la capiva. Non so se adesso la capisca più" (pag. 428). 63. Nelle vicende riguardanti i rapporti tra mafia e politica e in una serie di indagini giudiziarie ricorre costantemente il nome di Salvo Lima. Per anni egli è stato l'esponente politico di maggiore rilievo tra quelli di cui venivano denunciati collegamenti con Cosa Nostra. Per sette anni, a partire dal 1958, è stato sindaco di Palermo, poi deputato al Parlamento per tre legislature e parlamentare europeo per altre tre fino alla sua morte nel 1992. Ha guidato l'amministrazione comunale di Palermo negli anni in cui la speculazione edilizia è stata più intensa ed è cresciuto il potere mafioso. La stabilità delle giunte al comune di Palermo ed alla Provincia si è fondata a lungo sull'accordo politico tra il gruppo di Lima e quello di Ciancimino, già esponente democristiano, più volte inquisito, sottoposto a misure di prevenzione personale e patrimoniale e condannato anche per reati di mafia. Nel periodo in cui Lima è stato sindaco di Palermo, Ciancimino è stato assessore ai lavori pubblici per cinque anni consecutivi(74). Come ha avuto occasione di dichiarare Elda Pucci, vi era una sostanziale unità di azione tra i cianciminiani e la corrente che faceva capo a Salvo Lima. Secondo quanto affermato da Giuseppe Insalaco, è proprio attraverso l'accordo con Lima che Ciancimino ha portato il proprio gruppo a confluire per alcuni anni nella corrente di Giulio Andreotti. E' certo che un incontro tra Lima, Ciancimino ed Andreotti, volto a realizzare tale intesa, si svolse in data 6 novembre 1976(75). Le conflittualità all'interno della maggioranza sorgeranno dalla rottura di tale accordo. Ciò porterà all'ascesa di sindaci democristiani anomali, perché più autonomi rispetto alle forze che tradizionalmente controllavano l'amministrazione, come Nello Martellucci, Elda Pucci, Giuseppe Insalaco e Leoluca Orlando. Essi tuttavia saranno sempre eletti con l'appoggio determinante della corrente di Lima. In particolare, la corrente di Lima partecipò con propri esponenti alla prima giunta di pentapartito diretta da Leoluca Orlando; votò in ---------- (73) Cfr. le audizioni dei collaboratori, res. sten. Buscetta del 16 novembre 1992, pp 419-428; Mutolo, il 9 febbraio 1993 p. 1288. (74) Dal luglio 1959 in sostituzione di Lima, al luglio 1964; precedentemente era stato assessore alla azienda municipalizzata, dal giugno 1956 al luglio 1959. (75) Confronta le dichiarazioni di Elda Pucci (4.11.1984) e di Giuseppe Insalaco (6.11.1984), in ordinanza-sentenza emessa nel proc. penale contro Baio Giuseppe 8, tribunale di Palermo n.1588/88 R.G.U.I., pp. 105-109. Sull'incontro tra Lima, Ciancimino e Andreotti confronta requisitoria della procura della Repubblica di Palermo nel procedimento penale contro Greco Michele ed altri (n. 3162/89A-p.m.),volume I, pp. 90 e ss; 117 e ss. Lo stesso Lima definì quell'incontro "... volto a raggiungere una pacificazione generale a Palermo". Pag. 1840 consiglio comunale per la seconda giunta, che vedeva la partecipazione del PCI, pur avendola osteggiata nelle sedi interne di partito. Gli uomini di Lima hanno poi sostenuto le giunte che si sono succedute dal 1990 sino ad oggi. Esistono numerosi elementi di conoscenza circa i rapporti tra Salvo Lima e gli uomini di Cosa Nostra. E' pacifico che egli avesse un forte legame con i cugini Antonino ed Ignazio Salvo (entrambi processati per associazione a delinquere di tipo mafioso, il primo deceduto in data anteriore al giudizio ed il secondo condannato con sentenza definitiva). Furono essi - come è emerso nel maxiprocesso - a fornirgli un'auto blindata a scopo di tutela personale, durante i primi anni '80, quando la guerra di mafia era al suo culmine. La vicinanza tra l'on. Lima e i due cugini Salvo, per lungo tempo titolari delle esattorie siciliane, oltre ad essere ben nota, era già dalla fine degli anni '60 considerata estremamente imbarazzante all'interno della democrazia cristiana, come è stato puntualmente segnalato dall'on. Sergio Mattarella, in una deposizione davanti ai giudici di Palermo, relativa a vicende del 1968(76). I rapporti intrattenuti da Salvo Lima durante gli anni '60 con elementi mafiosi ed in particolare con Salvatore La Barbera, che lo stesso Lima ammise di avere conosciuto e con Tommaso Buscetta, sono indicati come certi nella sentenza ordinanza del 23 giugno 1964 contro La Barbera ed altri, redatta dal giudice istruttore del tribunale di Palermo Cesare Terranova assassinato da Cosa Nostra il 25.9.1979. A proposito dei collegamenti di Lima con ambienti mafiosi in epoca più recente, vanno menzionati due rapporti del Comando Generale della Guardia di Finanza risalenti al gennaio 1983. Con il primo del 4.1.1983 il comando riferiva a proposito di un traffico di armi facente capo a Cosa Nostra: "Di Chiara Lorenzo (poi condannato con sentenza definitiva n.d.r.) era coinvolto con membri della famiglia Bonanno nel traffico di armi destinate in Italia ad esponenti di rilievo della mafia, compresi tale "Sal.", sindaco di Palermo, e persone di Castellammare del Golfo...". Nel secondo rapporto del 25.1.1983 la Guardia di Finanza riferiva che "Nell'estate 1982 a Pantelleria vi era stato un incontro tra uno dei fratelli Di Chiara e Fidanzati Stefano, fratello di Gaetano, noto trafficante di armi e di stupefacenti; che il |P'Sal. sindaco di Palermo|P', di cui al precedente rapporto, era da identificarsi non già nel sindaco di Palermo in carica bensì nell'onorevole Salvo Lima, ex sindaco di Palermo(77)". Inoltre, è agli atti della Commissione il verbale della intercettazione di una telefonata intercorsa il 7 aprile 1990, tra l'on. Lima e l'ing. Nino Ciaravino della SIRAP(78). Nel colloquio telefonico concernente l'interessamento dell'uomo politico, per far assumere un suo raccomandato, risulta direttamente dalla voce di Lima l'esistenza di buoni rapporti tra lui e l'imprenditore mafioso Cataldo Farinella. Ciò che caratterizza la posizione di Lima nei suoi rapporti con Cosa Nostra è il fatto di essere stato a lungo punto di riferimento per varie famiglie mafiose. Ciò risulta chiaramente dalle convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Dapprima, soprattutto attraverso i Salvo, egli aveva rapporti con Stefano Bontate e con Tommaso Buscetta. Ignazio Salvo, in piena guerra di mafia e dopo l'omicidio di Stefano Bontate (aprile 1981), ---------- (76) La deposizione è del 17.12.1990, quando Lima era ancora vivo: confronta la già citata requisitoria contro Greco Michele ed altri, volume I, pag. 97. (77) Il testo dei due rapporti è trascritto nella sentenza della Corte d'assise di Caltannissetta nel processo per l'omicidio del giudice Ciaccio Montalto. (78) La SIRAP è coinvolta nelle indagini sugli appalti controllati da Cosa Nostra. Pag. 1841 tramite l'ing. Lo Presti, suo cognato, si era messo in contatto con Buscetta, in Brasile, per sollecitare il suo ritorno in Italia. L'esistenza di un collegamento diretto tra Lima e Buscetta è stata ammessa di recente dallo stesso Buscetta, che, dopo essersi a lungo rifiutato di approfondire nelle proprie deposizioni il capitolo relativo ai rapporti fra mafia e politica, ha deciso di cambiare atteggiamento all'indomani dei tragici omicidi di Falcone e Borsellino. Egli ha fornito dettagliate notizie circa i propri personali rapporti con l'on. Lima, sia negli anni 60, quando si rivolgeva al sindaco di Palermo per ottenere favori (e ciò conferma quanto già accertato dal giudice Terranova), sia nel 1980, prima di lasciare l'Italia. E' in questo quadro che Buscetta ha messo in luce come, dopo l'omicidio di Stefano Bontate, Salvo Lima fosse ben presto diventato un punto di riferimento, sempre attraverso la mediazione dei Salvo, anche per altri esponenti di Cosa Nostra, a partire da Totò Riina, e quindi per famiglie diverse da quelle con le quali aveva avuto rapporti negli anni precedenti. "Mi consta - ha dichiarato Buscetta - che Salvo Lima era effettivamente l'uomo politico a cui principalmente Cosa Nostra si rivolgeva per le questioni di interesse dell'organizzazione che dovevano trovare una soluzione a Roma"(79). Altri collaboratori di giustizia hanno fornito in momenti diversi notizie concordi sui rapporti di Lima con Cosa Nostra. Francesco Marino Mannoia ha dichiarato ai giudici di Palermo: "l'on. Salvo Lima frequentava Stefano Bontate e credo anzi che fosse il personaggio politico con il quale il Bontate avesse maggiore intimità. Io stesso l'ho visto più volte insieme con Stefano Bontate, ma non nel fondo Magliocco, bensì in una casa adibita ad ufficio di Gaetano Fiore; inoltre qualche volta l'ho visto nei locali del Baby Luna, nei giorni di chiusura..."(80). Sul voto mafioso a favore di Lima ha reso dichiarazioni il collaboratore di giustizia Vincenzo Marsala. Leonardo Messina ha riferito di aver saputo, attraverso altri uomini d'onore,da lui specificamente indicati, che Lima non era uomo d'onore, ma che "era stato molto vicino a uomini di Cosa Nostra, per i quali aveva costituito il tramite presso l'on. Andreotti per le necessità della mafia siciliana". Sostanzialmente identiche sul ruolo di Lima sono state le dichiarazioni di Buscetta e di Mutolo(81), anche davanti alla Commissione antimafia. Tutte le notizie di cui la Commissione dispone circa le modalità del rapporto tra Lima e le famiglie mafiose mettono in luce una prassi consolidata, un circuito di favori che riguardano essenzialmente due questioni, alle quali l'organizzazione mafiosa attribuisce un particolare rilievo ai fini della propria autodifesa e per la conquista dell'impunità. Anzitutto si chiede l'intervento dell'uomo politico per il trasferimento di funzionari scomodi. Antonino Calderone ha ricordato in proposito un incontro con Lima a Roma, organizzato con la mediazione dei Salvo, al quale egli partecipò insieme al fratello (allora rappresentante della famiglia di Catania), per ottenere il trasferimento di un funzionario della Questura, che faceva seriamente le indagini. In secondo luogo, l'organizzazione chiede ed ottiene l'aiuto dell'esponente politico (che ha collegamenti ed amicizie importanti a ---------- (79) Res. sten. audizione Buscetta, 16 nevembre 1992, pp 372-373. (80) Cfr. ordinanza custodia cautelare sul delitto Lima. (81) Res. sten. Mutolo 9 febbraio 1993, p. 1287. Pag. 1842 Roma), allo scopo di "aggiustare" i processi, impedendo che i mafiosi vengano condannati a lunghe pene detentive. Gaspare Mutolo(82) ha riferito di uno specifico interessamento di Lima, contattato da Ignazio Salvo, per un processo di omicidio nel quale era coinvolto. Anche egli ha dichiarato che a Lima ci si rivolgeva solitamente attraverso i Salvo, e attraverso Bontate negli anni precedenti alla sua eliminazione. Gaspare Mutolo(83), Giuseppe Marchese e Leonardo Messina(84) hanno dichiarato, con varie sfumature, che i mafiosi confidavano in un annullamento del maxiprocesso in Cassazione(85). A ciò , secondo questi collaboratori, si sarebbe impegnato l'on. Lima. Già in appello vi era stato un "aggiustamento" parziale. La Cassazione avrebbe dovuto smentire l'operato di Falcone, annullando persino l'ordinanza di rinvio a giudizio e facendo retrocedere il processo alla fase istruttoria; cosa puntualmente verificatasi per la posizione di Bono Giuseppe, stralciata in appello e per la quale la prima sezione penale della Cassazione ha proprio annullato l'ordinanza di rinvio a giudizio(86). E' difficile credere che il rapporto di Cosa Nostra con il sistema politico si sia esaurito nell'attività di garante degli interessi mafiosi che sarebbe stata svolta da Salvo Lima direttamente a Palermo e a Roma, attraverso i propri referenti nazionali. I collaboratori di giustizia hanno descritto una prassi ed un sistema. Ma dell'una e dell'altro non poteva essere Lima l'unico esecutore. E' necessario identificare gli altri politici che hanno agevolato Cosa Nostra. 64. Risultano certi alla Commissione i collegamenti di Salvo Lima con uomini di Cosa Nostra. Egli era il massimo esponente in Sicilia della corrente democristiana che fa capo a Giulio Andreotti. Sulla eventuale responsabilità politica del senatore Andreotti, derivante dai suoi rapporti con Salvo Lima, dovrà pronunciarsi il Parlamento. 65. Gli appalti di opere pubbliche costituiscono uno dei principali terreni di incontro tra mafia, imprenditori, uomini politici, funzionari amministrativi. Gli obiettivi pratici sono tre: lucrare tangenti, collocare mano d'opera nei subappalti, far acquisire le forniture dalle ditte "amiche". Ma l'obiettivo generale è più ambizioso: con le mani sugli appalti, Cosa Nostra riesce a controllare gli aspetti essenziali della vita politica ed economica del territorio, perché condiziona gli imprenditori, i politici, i burocrati, i lavoratori, i liberi professionisti. Questo aspetto contribuisce a rafforzare il dominio sul territorio, consolida il consenso sociale, potenzia le singole famiglie mafiose nel territorio, nella società e nell'ambiente politico e amministrativo. Cosa Nostra controlla totalmente gli appalti in Sicilia. Ha la funzione di garantire che gli accordi siano rispettati ed eseguiti, di ---------- (82) Res. sten. audizione Gaspare Mutolo, 9 febbraio 1993, pp. 291-599. (83) Res. sten. audizione Gaspare Mutolo, 9 febbraio 1993, p. 1255. (84) Res. sten. audizione Leonardo Messina, 4 dicembre 1992, p. 565. (85) Cfr.l'ordinanza di custodia cautelare delitto Lima. (86) La sentenza è del 24.6.1992 n.555, depositata il 24.7.1992, presidente Carnevale, relatore Grassi. Il dott. Grassi, sostituto procuratore della Repubblica di Catania, era stato sottoposto ad una indagine del CSM per atti di favoritismo nei confronti dell'imprenditore Costanzo; l'indagine fu archiviata perché il dott. Grassi chiese spontaneamente il trasferimento ad altra sede. Pag. 1843 intervenire laddove si verifichino "disfunzioni", danneggiando le imprese che si rifiutano di sottostare e, se necessario, uccidendo gli imprenditori recalcitranti. In una importante audizione tenuta dalla sottocommissione Appalti(87), presieduta dal sen. Cutrera, è risultato che in Sicilia esiste un comitato di gestione degli appalti, "una sorta di direttivo formato da imprenditori, i più importanti imprenditori siciliani e qualche imprenditore di valenza nazionale, che decidono a priori, al di la di tutte le scelte della pubblica amministrazione, l'aggiudicazione degli appalti alle imprese.". Il comitato può funzionare solo perché Cosa Nostra garantisce: e questa presenza spiega il silenzio degli imprenditori in Sicilia sulle corruzioni. La mafia non interviene per decidere chi deve vincere l'appalto, a meno che non tenga a qualche impresa in particolare o non debba esigere con la minaccia il rispetto dei criteri di spartizione. Chiunque vinca, la sua quota di reddito è assicurata. Il comitato non potrebbe svolgere la sua funzione se, oltre alla garanzia di Cosa Nostra, non ci fosse la connivenza degli amministratori e dei direttori dei lavori. La vicenda degli appalti in Sicilia dimostra la molteplicità delle connessioni di Cosa Nostra e, insieme, la necessità che oltre ai politici anche i diversi ceti imprenditoriali e professionali rompano con decisione i rapporti che intrattengono con i gruppi mafiosi. 66. La Commissione antimafia ha in corso una importante verifica sugli appalti del comune di Palermo, con particolare riferimento agli ultimi anni. Si trae l'impressione di un particolare disordine nella materia, che risale negli anni, senza soluzione di continuità. Si sono verificati standard di ribassi analoghi per lo stesso tipo di opere, del 24 per cento circa, per gli edifici scolastici, che appaiono particolarmente sospetti. E' emersa l'esigenza di esaminare la gestione dei piani regolatori generali dei comuni siciliani. Essa costituisce in molti casi una delle fonti di maggior guadagno per Cosa Nostra e di maggior corruzione per gli uffici pubblici e per i privati professionisti. Per quanto concerne, più in particolare, i 211 immobili di proprietà privata destinati a scuole e ad uffici, la lettura degli atti acquisiti dalla Commissione evidenzia una grave situazione caratterizzata da ritardi, inadempienze ed omissioni da parte dell'amministrazione comunale di Palermo. La Commissione stima che tali irregolarità comportino un onere annuale a carico del comune di circa 20-30 miliardi l'anno. I competenti organismi comunali, oltre a provvedere nel più breve tempo possibile a sanare tale situazione, individuando tutte le eventuali responsabilità di amministratori e funzionari, dovrebbero nel futuro fare ricorso ad immobili di proprietà comunale, avviando nel contempo un piano di edilizia scolastica in grado di soddisfare definitivamente il fabbisogno di aule della popolazione scolastica palermitana. ---------- (87) La sottocommissione, coordinata dal sen. Cutrera, si occupa tanto dell'analisi del fenomeno, con particolare attenzione per le città di Palermo e di Catania, quanto della riforma legislativa. La relazione del sen. Cutrera affronterà ampiamente i temi specifici. Pag. 1844 La vicenda suscita comunque il dubbio che dalle manovre speculative messe in atto possano aver tratto beneficio personaggi legati alle organizzazioni mafiose. La Commissione compirà le necessarie indagini presso il comune di Palermo per gli appalti e per le locazioni di edifici privati, con particolare riferimento a quelli destinati ad uso scolastico e presso alcuni comuni siciliani, scelti come campione, per la gestione dei piani regolatori generali. Riferirà quindi rapidamente al Parlamento. 67. L'applicazione della legge sullo scioglimento dei consigli comunali ha rivelato una dimensione locale dei rapporti tra mafia e pubblici poteri che ha effetti molto gravi sulla vita delle comunità. La questione stata specificamente affrontata dalla Commissione con una relazione del vicepresidente sen. Cabras gi inviata al Parlamento. Dal quadro delineato emerge una costante: l'ingresso della mafia nelle istituzioni locali fortemente agevolato dalla fragilit amministrativa. Laddove la pubblica amministrazione inerte o corriva, dove i controlli amministrativi non funzionano, si crea in modo quasi automatico l'ambiente favorevole all'intreccio tra mafia e politica. Spesso non pi di intreccio si tratta, ma di occupazione delle pubbliche istituzioni da parte di emissari dei gruppi mafiosi, che gestiscono il potere per conto della famiglia di appartenenza, contro gli interessi dei cittadini e a volte nel silenzio degli organismi di controllo, tanto amministrativi quanto giurisdizionali. In queste aree, si tratta per lo più di piccoli comuni, si è sviluppato un microsistema mafioso che condiziona la vita quotidiana dei cittadini in modo particolarmente opprimente; il degrado profondo e non esiste diritto civile di un qualche rilievo che possa essere esercitato senza la mediazione mafiosa. Alla Commissione preme rappresentare al Parlamento che il rapporto mafia-politica non si sviluppa soltanto nelle macrodimensioni nazionali o regionali o delle grandi città, ma anche nelle microdimensioni dei piccoli comuni, dove si realizza una sospensione della legalità. VIII 68. Oggi sono superate le condizioni oggettive che hanno favorito quel processo che si è definito di "coabitazione". Il tragico spartiacque è costituito dalle stragi di Capaci e di Via Mariano D'Amelio. I due massacri, per la popolarità dei magistrati caduti, per la potenza e la determinazione che Cosa Nostra rivelò in quell'occasione, hanno fatto scattare nell'opinione pubblica un senso di solidarietà e di ribellione che ha coinvolto tutto il Paese. Nelle istituzioni si è colta l'impossibilità di proporre il tradizionale stop and go e si sta agendo con determinazione, conseguendo risultati di evidente rilievo. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati i grandi delegati delle istituzioni e della società civile nella lotta contro la mafia. Ma questa è una battaglia troppo dura, troppo sanguinosa perché possano essere pochi a combatterla. L'antimafia del giorno dopo non compensa Pag. 1845 le schermaglie insidiose che hanno progressivamente isolato quei due uomini contribuendo a creare le condizioni per la loro soppressione. 69. Anche gli omicidi di Lima e Salvo hanno, per profili assai diversi, una propria tragicità. Uccidere i vecchi mediatori, o per punirli, o perché non si ha più bisogno di loro, è un ammonimento spaventoso per tutti i politici che sono stati vicini a Cosa Nostra. Nulla è sicuro, dopo quegli omicidi, nelle relazioni tra mafia e politica. 70. Non è solo lo sdegno per Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e per le loro scorte, che ha reso decisa e penetrante la risposta alla mafia dopo la terribile primavera del '92. E' anche la consapevolezza che gli omicidi di Lima e Salvo sono espressione di una inedita fragilità, dell'affanno per recuperare un terreno perduto. 71. Questa lezione la società civile e le istituzioni sembra l'abbiano finalmente compresa. L'impegno sembra divenire collettivo. Ma sopravvivono ancora gli strascichi della vecchia fase. E' sempre in agguato il ciclo tradizionale che segue le stragi: lo sdegno, le misure eccezionali, una fase di efficienza straordinaria e poi, lentamente, l'assorbimento nell'ordinaria amministrazione. La Commissione antimafia ha avuto modo di rilevare, oltre a prove di straordinaria efficienza, anche fatti di segno diverso: il trattamento insolitamente ossequioso di cui ha goduto nelle prime udienze il capomafia Riina; la concessione della liberazione anticipata a numerosi pericolosi "capimafia", trattati come se fossero piccoli ladri d'auto; la non tempestiva applicazione di misure di controllo al boss della camorra D'Alessandro, che ne ha facilitato la fuga dopo la scarcerazione; la permanenza di conflitti e gelosie tra i diversi settori delle forze dell'ordine che non consentono ancora il pieno dispiegamento delle potenzialità della DIA e frenano la complessiva spinta degli apparati antimafia. A differenza del passato, però, queste sono eccezioni in un panorama complessivamente positivo. La Commissione le sottopone all'attenzione del Parlamento e del Governo perché si assumano provvedimenti per correggere gli errori e punire i responsabili. L'esperienza dimostra che in tema di mafia nessuna fase è irreversibile; queste eccezioni, senza una pronta reazione, possono ritrasformarsi in regola. 72. Il sicilianismo è ormai comunemente ritenuto un cascame del passato perché, come ha sottolineato il presidente del governo regionale siciliano, on. Campione, oggi la Regione tende ad un rapporto più organico con lo Stato centrale al fine di far entrare pienamente i propri interessi nel grande circuito nazionale. "Il prestigio di questa opposizione "sicilianista" di una Sicilia siciliana, quella del potere e della violenza - osserva Giuseppe Giarrizzo(88) - alla Sicilia moderna dei diritti, naturali e civili, sembra da qualche tempo in declino...". ---------- (88) G. Giarrizzo, introduzione a "La Sicilia" in Le regioni dall'unità a oggi, Einaudi, 1987, LVII. Pag. 1846 E' vero che lo stesso Giarrizzo osserva che la partita non è ancora vinta, ma è la prima volta, probabilmente, che si delinea con forza e con consenso sociale una Sicilia dei diritti contro quella della violenza. Sono altresì venute meno le due condizioni oggettive del bipolarismo e dei limiti investigativi. Il superamento del partito comunista italiano sul versante interno ed il successivo superamento del bipolarismo sul versante internazionale, hanno tolto ogni alibi politico alla mafia ed ai suoi alleati. L'emergenza anticomunista, fondata o infondata che fosse, non può più costituire un collante per nessun agglomerato di forze o di interessi. Perci oggi non dovrebbero più manifestarsi resistenze di carattere politico al dispiegamento di un'azione permanente ed efficace contro la mafia. L'efficacia che negli ultimi mesi sta caratterizzando nel suo complesso l'azione antimafia sembra confermare tale ipotesi. Analogo il ragionamento sul piano investigativo. Oggi le forze di polizia dispongono di una penetrante legge sui collaboratori della giustizia, sono autorizzate dall'autorit giudiziaria ad infiltrazioni, a controlli delle conversazioni tra persone presenti, anche in via preventiva, prescindendo cio dalla commissione di un delitto. Possono svolgere con particolare flessibilit i loro interventi fuori degli schematismi del passato: ogni negoziazione, insomma, sarebbe oggi un atto di inescusabile favoritismo. Sono quindi venute meno tutte le condizioni oggettive che hanno nel passato ostacolato un pieno e continuativo dispiegarsi dell'azione antimafia dello Stato. 73. Il superamento delle condizioni oggettive della "coabitazione" e lo spartiacque costituito dalle stragi di Capaci e di Via Mariano d'Amelio, non garantiscono di per se il definitivo avvio della rottura dei rapporti tra mafia ed esponenti del mondo politico. Le vecchie condizioni oggettive, infatti, non hanno determinato quei rapporti in modo automatico, inevitabile; le convenienze, mascherate dietro l'alibi delle condizioni oggettive, non sono state certamente tutte sradicate e restano in agguato. Di qui la necessità di avviare un processo positivo con regole e comportamenti nuovi, che riallaccino un rapporto di fiducia tra cittadini ed istituzioni. La Commissione ritiene innanzitutto indispensabile che i partiti politici, indipendentemente dagli accertamenti di carattere giudiziario, allontanino gli eletti, i dirigenti, gli iscritti che in modo diretto od indiretto abbiano dato luogo con i propri comportamenti a quel giudizio di responsabilità politica cui si è fatto innanzi riferimento. Se non lo fanno, ritengono compatibili quelle presenze con il proprio indirizzo politico. Significativo è il caso del deputato regionale siciliano Biagio Susinni, tratto in arresto per abuso d'ufficio a scopo patriominiale nel marzo del 1991 in relazione ad appalti concessi in qualità di sindaco del comune di Mascali (Catania). Il Susinni, espulso dal PRI, alle elezioni regionali del successivo giugno 1991, presentava una propria lista, "Democrazia repubblicana", e veniva nuovamente eletto con oltre 20 mila voti. Il suo voto Pag. 1847 risultava determinante per l'elezione del governo regionale formato subito dopo tali elezioni dell'on. Vincenzo Leanza, che lo ringraziò esplicitamente in Aula, per l'appoggio fornitogli. Utile è la decisione assunta dalla direzione della democrazia cristiana di sollecitare i propri parlamentari, che abbiano in corso una richiesta di autorizzazione a procedere, a chiedere essi stessi la concessione dell'autorizzazione. Non si tratta di subordinazione alla giurisdizione, ma della sensibilità ad un'esigenza di chiarezza che è molto viva in tutto il Paese. 74. La Commissione intende sollevare un'allarme in ordine ai possibili condizionamenti di logge massoniche coperte e deviate nelle pubbliche istituzioni. Qualunque sia il giudizio che si ritenga di dare della massoneria, è certo che questa associazione non può essere considerata, nella sua globalità, illegale ed eversiva nonostante i gravi fatti che hanno coinvolto molti aderenti a logge massoniche. Ma c'è il pericolo che la fedeltà massonica si sovrapponga a doveri di lealtà istituzionale. Questo pericolo ha indotto alcune istituzioni a stabilire il principio di incompatibilità tra l'esercizio di funzioni pubbliche particolarmente delicate e l'adesione a logge massoniche. L'assemblea regionale siciliana ha approvato nel novembre 1992 una mozione con la quale si impegna il presidente della Regione a far sottoscrivere ai componenti della Giunta, nonché a tutti i dirigenti e dipendenti della regione una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà attestante la non appartenenza alla massoneria ovvero l'indicazione della loggia di appartenenza, anche se coperta, e a ritirare la delega agli assessori che risultino affiliati a logge deviate, coperte o che risultino mendaci. Anche il CSM, con propria risoluzione del 22.3.1990, ha rilevato l'inopportunità dell'iscrizione alla massoneria da parte dei magistrati e, nella seduta del 12.11.1992, nel ribadire il contenuto della risoluzione suddetta, ha chiesto a varie autorità giudiziarie di acquisire i nominativi di magistrati che risultino iscritti a logge massoniche. Queste iniziative rendono ancora più opportuno che i vertici massonici prendano esplicitamente le distanze da queste logge, da questi iscritti e da questi comportamenti ed adottino la linea della massima trasparenza; altrimenti, sul piano delle valutazioni dell'opinione pubblica, sarà impossibile separare la loro responsabilità da quella di quegli iscritti e di quelle logge. 75. Si riflette, soprattutto in questa fase della vita del Paese, su quale sia il sistema elettorale che garantisca meglio l'impermeabilità alla mafia. Non esiste un sistema che garantisca in assoluto. La mafia controlla la formazione e l'espressione del consenso politico e quindi occorre innanzitutto impedire questo controllo isolando e sconfiggendo Cosa Nostra. Va prestata maggiore cura alla formazione dei seggi elettorali, nella designazione dei presidenti di seggio, nell'impedire i "piantonamenti" dei seggi da parte di gruppi criminali. Il cittadino deve sentirsi tutelato dalla presenza e dall'attenzione dello Stato. 76. Restano passività in molti organismi dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali. Sono necessari interventi sanzionatori adeguati. Ma Pag. 1848 serve un indirizzo politico nuovo e visibile, che dia a tutti il senso di un'etica professionale in grado di resistere alle pressioni mafiose. Si può morire anche per questo, come dimostra il caso di Giovanni Bonsignore(89), ma lo Stato ha comunque il dovere di non lasciare soli i funzionari che operano nelle aree più esposte. Al di là delle regole formali, a questi funzionari va data la consapevolezza che si muovono secondo indirizzi riconosciuti e garantiti. Invece, ancora oggi, sono lasciati soli, tra enormi difficoltà, come accade il più delle volte per i commissari straordinari dei consigli comunali sciolti per mafia. 77. Compito delle forze politiche, delle autorità di governo e della magistratura è perseguire l'obbiettivo della distruzione di Cosa Nostra, attraverso la confisca di tutte le ricchezze, l'arresto, il processo e la condanna dei vertici, degli alleati e di tutta la struttura militare. Non sono più ammissibili i discorsi di un tempo sul contenimento di Cosa Nostra o sulla sua riduzione a "dimensioni fisiologiche". Verso questo obbiettivo vanno indirizzate le risorse. I partiti e le istituzioni devono assumere comportamenti coerenti. Questo consentirà di chiedere anche ai cittadini nella loro quotidianità, una coerenza. Non esiste un'etica pubblica, se sono disastrate le etiche private; ma la ricostruzione deve partire dalla politica. L'Italia ha i mezzi, le intelligenze e le volontà per rompere i vecchi rapporti, sconfiggere Cosa Nostra, guardare fiduciosa al proprio futuro. C'è uno Stato che funziona, nonostante la mafia e le corruzioni; anche i segnali che sembrano più inquietanti sono il frutto di un ritrovato primato della legalità, premessa per la ricostruzione del sistema politico. La Commissione, nell'ambito delle responsabilità affidatele dal Parlamento, ha inteso contribuire a questo difficile passaggio. ---------- (89) Giovanni Bonsignore, funzionario della Regione Siciliana, fu ucciso il 9 maggio 1990. Si era opposto, nelle sue funzioni, alla destinazione di 38 miliardi di lire, previsti per i centri commerciali all'ingrosso, ad una società che si occupa di mercati agro-alimentari. La vicenda fu oggetto di una relazione della Commissione antimafia della X legislatura, doc. XXIII, n.43. Pag. 1849 ... (omissis) ... Pag. 1850 ... (omissis) ... Pag. 1851 ... (omissis) ... Pag. 1852 ... (omissis) ... Pag. 1853 ... (omissis) ...