AUDIZIONE DEL CAPO DELLA POLIZIA, PREFETTO VINCENZO PARISI, DEL COMANDANTE GENERALE DELL'ARMA DEI CARABINIERI, GENERALE LUIGI FEDERICI, DEL COMANDANTE GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA, GENERALE COSTANTINO BERLENGHI E DEL DIRETTORE DELLA DIREZIONE INVESTIGATIVA ANTIMAFIA, DOTTOR GIANNI DE GENNARO, SUL TEMA DELL'ORDINE PUBBLICO, SULLO STATO DELLA CRIMINALITA' MAFIOSA E SULLA RELATIVA AZIONE DI CONTRASTO PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Audizione del capo della polizia, prefetto Vincenzo Parisi, del comandante generale dell'Arma dei carabinieri, generale Luigi Federici, del comandante generale della Guardia di finanza, generale Costantino Berlenghi e del direttore della direzione investigativa antimafia, dottor Gianni de Gennaro, sul tema dell'ordine pubblico, sullo stato della criminaltà mafiosa e sulla relativa azione di contrasto: Violante Luciano, Presidente ______________________ 2021 2039, 2041, 2044, 2045, 2046, 2048 2049, 2051, 2052, 2053, 2054, 2059 2062, 2063, 2065, 2066, 2067, 2068 Ayala Giuseppe Maria __________________________________ 2039 Berlenghi Costantino, Comandante generale della Guardia di finanza _____________________________________2033, 2060 Boso Erminio Enzo __________________________2042, 2052, 2054 Brutti Massimo ________________________________________ 2049 Cabras Paolo _____________________________________2047, 2058 Calvi Maurizio ________________________________________ 2057 Cappuzzo Umberto ______________________________________ 2042 Covello Francesco Alberto _____________________________ 2044 De Gennaro Gianni, Direttore della Direzione investigativa antimafia __________________________2034, 2039, 2059, 2062 De Matteo Aldo _____________________________2044, 2050, 2051 Federici Luigi, Comandante generale dell'Arma dei carabinieri ______________________________2030, 2062, 2063 Florino Michele _______________________________________ 2055 Galasso Alfredo ____________________________2045, 2046, 2066 Imposimato Ferdinando _____________________________ &&P 2051 Mastella Mario Clemente __________ &&P2044, 2047, 2048, 2053 Matteoli Altero __________________________________2047, 2054 Parisi Vincenzo, Capo della polizia __________2021, 2063 2065, 2066, 2067, 2068 Tripodi Girolamo ___________________________2052, 2053, 2054 Comunicazioni del Presidente: Violante Luciano, Presidente ______________________ 2059 Sostituzione di un membro della Commissione : Violante Luciano, Presidente ______________________ 2059 Pag.2020 Pag.2021 La seduta comincia alle 9,25. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Audizione del capo della polizia, prefetto Vincenzo Parisi, del comandante generale dell'Arma dei carabinieri, generale Luigi Federici, del comandante generale della Guardia di finanza, generale Costantino Berlenghi e del direttore della direzione investigativa antimafia, dottor Gianni de Gennaro, sul tema dell'ordine pubblico, sullo stato della criminalità mafiosa e sulla relativa azione di contrasto. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del capo della polizia, prefetto Vincenzo Parisi, del comandante generale dell'Arma dei carabinieri, generale Luigi Federici, del comandante generale della Guardia di finanza, generale Costantino Berlenghi e del direttore della Direzione investigativa antimafia, dottor Gianni de Gennaro, sul tema dell'ordine pubblico, sullo stato della criminalità mafiosa e sulla relativa azione di contrasto. Desidero innanzitutto rivolgere, a nome della Commissione, l'apprezzamento più vivo nei confronti dei capi delle tre forze dell'ordine e del direttore della DIA per i risultati molto importanti che sono stati conseguiti quest'anno. Si tratta di risultati davvero straordinari, che probabilmente saranno illustrati da chi dirige le tre forze dell'ordine e la DIA: credo, tuttavia, che tutti abbiamo presente il fatto che mai, in così poco tempo, si erano raggiunti obiettivi di così alto livello. Vi siamo davvero grati per l'impegno che state profondendo, sotto la guida politica dei responsabili di Governo. Do senz'altro la parola al prefetto Parisi, direttore del dipartimento della pubblica sicurezza: successivamente interverranno i capi delle altre due forze ed il direttore della DIA. VINCENZO PARISI, Capo della polizia. Signor presidente, onorevoli commissari, darò innanzitutto lettura di una relazione, dichiarandomi pronto ad aderire poi a qualsiasi richiesta di integrazione e chiarimento. Farò inoltre riferimento ad alcuni allegati alla relazione stessa. Gli attentati dinamitardi di maggio, a Roma ed a Firenze, ed il fallito attentato del 2 giugno a Roma - che verranno in prosieguo analizzati e particolarmente esposti - non possono esulare da un contesto generale illustrativo dell'ordine e della sicurezza pubblica del paese, cornice ineludibile delle successive valutazioni e delle analisi di competenza. Valutazioni ed analisi che risentono, evidentemente, degli influssi che, da più parti, giungono ad interessare le mie funzioni di direttore generale della pubblica sicurezza, comportando le conseguenti misure di prevenzione e repressione. La mia esposizione, pertanto, anche a fini di maggiore incisività e sintesi delle problematiche, si svilupperà lungo ampi riscontri di schede allegate, che consegnerò, giungendo, in epilogo, ad una valutazione più specifica degli eventi criminosi in argomento. Il panorama generale dell'ordine pubblico (allegato 1), che è oggetto di attento e costante monitoraggio, nonché di puntuali e calibrate iniziative da parte del dipartimento della pubblica sicurezza e Pag.2022 delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, risulta interessato da molteplici dinamiche, connesse, per lo più, ai seguenti fattori: vicende sindacali, con aspetti, talvolta, di tensione, risalenti alle problematiche occupazionali ed alle vertenze per i rinnovi contrattuali, sfociate, tra l'altro, nel 1993, in 81 blocchi stradali, 79 ferroviari e 4 aeroportuali; tornate elettorali, attuate e di prossima attuazione; attività contestative delle formazioni estremiste, concretizzatesi, in alcuni casi, in circoscritti episodi di intolleranza razziale e di aggressione politica; sicurezza delle manifestazioni sportive, laddove viene profuso ogni sforzo per l'attivazione di misure, preventive e repressive, sempre più efficaci contro ogni degenerazione delle tifoserie; esigenze di tutela a beneficio delle persone destinatarie di misure di protezione individuale, delle personalità straniere in visita in Italia, degli obiettivi sensibili, delle sedi diplomatiche e consolari. In proposito, emergono come di particolare rilevanza le misure di protezione adottate per le seguenti esigenze: scorta; tutela; vigilanza fissa; vigilanza ad orari convenuti; vigilanza generica. I parametri emergenti di maggiore rilievo risultano nell'allegato 2 che, tra l'altro, pone in luce: le modalità amministrative di adozione; il numero delle persone protette (755, di cui 185 personalità politiche, 355 magistrati, 215 altre persone a rischio); l'entità delle forze dell'ordine impegnate (3.608); l'intendimento di giungere, in armonia con le disposizioni del ministro dell'interno, ad una revisione straordinaria dei servizi di protezione individuale, in vista della verifica rigorosa dell'attualità e del grado di effettiva esposizione a pericolo dei destinatari. L'entità dell'azione dispiegata dalle forze di polizia per il mantenimento dell'ordine pubblico è agevolmente sintetizzabile nei dati riferiti all'impiego, in sede e fuori sede per la specifica esigenza, del relativo personale, che ha interessato, nel solo 1992, 818 mila appartenenti alla polizia di Stato, 825 mila carabinieri e 48 mila elementi della Guardia di finanza (espressi in termini di giornate di impiego). Le terminologie terroristiche ed eversive (allegato 3) prospettano un quadro che suggerisce costante attenzione e capillare vigilanza. In particolare, le formazioni dell'estrema sinistra eversiva hanno fatto registrare un certo risveglio, manifestatosi, oltre che in talune iniziative contestative e nella costante ricerca di consenso, nel tentativo di danneggiamento, mediante ordigno esplosivo, degli uffici della Confindustria a Roma (18 ottobre 1992). L'area dell'extraparlamentarismo di destra, dal canto suo, è stata interessata da una certa reviviscenza dei temi di fondo più cari a tale area, sempre più orientata in senso xenofobo, razzista e antisemita, laddove assai tempestivo si è rivelato il recentissimo varo di una calibrata normativa di contrasto. Il terrorismo internazionale, infine, risente della difficile congiuntura internazionale, con pericolosità emergenti dalla virulenza dell'ETA militare, dalle perduranti gravissime tensioni sullo scenario mediorientale, vieppiù caratterizzate dall'espansione del fondamentalismo e, ancora, dagli avvenimenti in atto nella ex Jugoslavia, che postulano gli specifici interventi a spettro generale e locale, già posti in essere a fini di tutela preventiva. L'incisività dell'azione sviluppata dal dipartimento della pubblica sicurezza è testimoniata dall'arresto, dal 1^ gennaio 1992, di 80 appartenenti all'eversione di sinistra e di 32 elementi dell'eversione di destra (tra i quali il pericoloso latitante Augusto Cauchi, catturato in Argentina). La situazione della sicurezza pubblica (allegato 4) rileva la considerevole flessione dell'andamento della delittuosità nel primo trimestre del 1993 rispetto all'analogo periodo del 1992, con concreti arretramenti che sembrano consolidarsi su una diminuzione pari a circa l'11 per cento. In tale valore generale è di rilievo il calo degli omicidi volontari (20,31 per cento), dei tentativi di omicidio (8,18 per cento), degli attentati dinamitardi (29,68 Pag.2023 per cento) e della cosiddetta microdelinquenza (13,63 per cento). Il decremento, già significativo nei suoi aspetti quantitativi, acquista ulteriore pregnanza nella valenza qualitativa, laddove lo stesso ha riguardato, incisivamente, anche la situazione delle cosiddette regioni a rischio (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia). Sostanzialmente stabile è rimasto l'andamento delle rapine gravi e degli episodi estorsivi denunciati. Oltremodo positiva si è rivelata l'azione dispiegata dalle forze di polizia, come confermato dai dati relativi a: denunce ed arresti effettuati, aumentati, rispettivamente, del 10,36 per cento e del 14,5 per cento nel rapporto tra il primo trimestre del 1993 e quello del 1992; lotta alla droga, con 7.289 chilogrammi di sostanze stupefacenti sequestrate ed 11.292 trafficanti e spacciatori deferiti all'autorità giudiziaria, dei quali 8.187 tratti in arresto; contrasto ai traffici di armi ed esplosivi (certamente favoriti dalle note vicende belliche nei vicini territori della ex Jugoslavia) laddove, già nel raffronto tra il 1992 ed il 1991, si era registrato un incremento dei sequestri di tali materiali pari al 7 per cento, mentre nel 1993 la sola polizia di Stato ha condotto ben 700 operazioni, sequestrando 195 armi da guerra, 50 bombe, 305 confezioni di esplosivo, 344.642 munizioni e 196,299 chilogrammi di esplosivo. In tale contesto, non marginale rilievo assume la considerazione per la quale, nel raffronto degli indici nazionali di criminalità per 100 mila abitanti del 1991, quozienti più alti di quelli registrati in Italia (4.612) si sono avuti in Svezia (13.871), Regno Unito (10.402), Olanda (9.507), Finlandia (8.434), Germania Federale (6.649), Lussemburgo (6.801), Francia (6.580), Austria (6.074), USA (5.897), Svizzera (5.631) e Norvegia (5.220). Quozienti più bassi sono stati rilevati solo in Belgio (3.639), Grecia (3.576), Irlanda (2.679), Spagna (2.482) e Portogallo (921). Ancora più significativa, infine, risulta la rilevazione della tendenza all'incremento degli indici di delittuosità osservata, nel raffronto tra gli anni 1991 e 1992, in Germania Federale, Austria, Lussemburgo e Giappone, circostanza, questa, che contribuisce a connotare positivamente la contestuale predetta flessione del 10 per cento realizzatasi nel nostro paese. L'attualità dei profili della criminalità organizzata (allegato 5), rivelatrice di indubbie potenzialità eversive, prospetta un quadro di perdurante perseguimento, da parte dei sodalizi mafiosi, dei tradizionali fini di profitto e di illecito arricchimento, con il protervo ricorso alle regole dell'intimidazione e della violenza per il consolidamento di un proprio potere nelle aree di rispettiva influenza. L'inconciliabile confliggenza tra tali esiziali obiettivi e l'intensa e penetrante attività di contrasto sviluppata, con crescente efficacia, da parte dello Stato, informa anche talune recenti manifestazioni proprie di una strategia criminale d'ampio respiro, sfociata in delitti emblematici contro la collettività. In tale contesto, se da un lato vanno certamente inseriti gli omicidi, pur assai diversi nelle motivazioni sottese, di Salvatore Lima, dei compianti magistrati Falcone e Borsellino e delle loro scorte, di Ignazio Salvo, dall'altro appare congruo includere, per i profili di partecipazione di organizzazioni di stampo mafioso e camorristico in sintonia con forze eversive e destabilizzanti, i recenti attentati di Roma e di Firenze in un perverso intendimento di freno allo sforzo repressivo dello Stato ed alla realizzazione democratica dei mutamenti socio-politico-economici del paese. L'analisi delle dinamiche interne alla criminalità organizzata, riguardata con specifico riferimento alle cosiddette aree a rischio (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia), rivela, oltre ad una tendenza alla contrazione degli scontri tra sodalizi criminosi, il crescente coinvolgimento degli stessi nel settore della droga, con inserimenti sia nei traffici di cocaina per le esigenze del mercato europeo, sia nelle rotte degli oppiacei e cannabinoidi interessate Pag.2024 dai mutamenti del sistema geopolitico dei paesi dell'Est. In questo nuovo programma, caratterizzato dalla rimozione di barriere che impedivano la mobilità di persone e capitali, vanno considerate le condizioni che favoriscono gli ulteriori contatti della malavita organizzata italiana con quella dell'Europa orientale, con possibilità di utilizzare aggiornati circuiti per la conduzione di attività correlate, prioritariamente, al riciclaggio di denaro sporco, alla collocazione di banconote false, ai traffici di armi, di droga e di tecnologia. Una specifica analisi, riferita alle interazioni fra i gruppi delinquenziali nazionali e quelli dei paesi dell'Est, considerati maggiormente disponibili ad operazioni illecite, ha permesso di individuare, con prospettive investigative e repressive, importanti circuiti praticati dalla criminalità organizzata e di gettare le basi, attraverso accordi intergovernativi, per concreti approcci di collaborazione tra le forze di polizia. Per una ricognizione più compiuta degli accertati rapporti intessuti dalla malavita italiana con quella dell'Europa orientale, si richiamano le note di riferimento contenute nell'allegato 5. Non è sottovalutabile inoltre l'indiscutibile, stretto rapporto tra criminalità organizzata e fenomeno estorsivo, mentre si registra positivamente la marcata flessione nei sequestri di persona, certamente risalente alla diminuita remuneratività di tale odiosa pratica per effetto sia dell'efficacia normativa antisequestro ed antiriciclaggio recentemente introdotta, sia dell'incisiva azione preventiva ed investigativa dispiegata dalle forze dell'ordine nei migliorati spazi operativi dischiusi dalla normativa stessa. Perdura, infine, il tentativo mafioso di cooptazione degli strati sociali che vivono nell'illegalità, di coinvolgimento della delinquenza giovanile, di sviluppo di una rete di appoggi garantiti con la minaccia, l'intimidazione e la corruzione: tutti volani, questi, funzionali al perfezionamento del ciclo produttivo delle organizzazioni criminali nell'ambito dei circuiti illeciti internazionali ed all'espansione del sistema che lo alimenta con proiezioni operative in altri paesi. La risposta istituzionale contro la criminalità organizzata, sostenuta da una lungimirante, sensibile e acuta politica legislativa, ha coinvolto, in armonica sinergia, l'intera compagine statuale - magistratura, forze dell'ordine, apparati di tutela - con risultati invero assai lusinghieri che si auspicano prodromici del più generale successo contro la minaccia mafiosa. A questo punto desidero rivolgere un vivissimo ringraziamento al presidente di questa Commissione, che ha rivolto parole di apprezzamento e sostegno per l'operato della magistratura e delle forze dell'ordine, e a tutta la Commissione per l'azione di impulso che è stata data. Il mio è un saluto particolarmente deferente e cordiale in quanto non poca linfa a questa attività è giunta proprio dall'impulso di grande rilievo morale, civile e politico che questa Commissione ha saputo dare anche con indicazioni preziose sul piano giuridico ed operativo. L'azione investigativa ha consentito, nel decorso anno e nei primi mesi del 1993, il perseguimento di 301 sodalizi di tipo mafioso, con il coinvolgimento di 4.423 affiliati, in una successione di operazioni che hanno inflitto duri colpi, tra gli altri, ai clan Mariano, Ranieri-Cardillo e Alfieri-Galasso in Campania; Imerti e Mammoliti, presenti a Reggio Calabria e lungo le coste ionica e tirrenica del reggino in Calabria; Corleonesi, Cursoti, Santapaola, Urso e Carbonaro-Dominante, in Sicilia. Molteplici inoltre le indagini, talvolta molto complesse e con proiezioni estere, conclusesi favorevolmente ( "Green Ice" , "Leopardo", "Mare Verde", "Pegaso", tra quelle più note; l'arresto degli autori della strage di Acerra; l'individuazione dei mandanti dell'omicidio Lima; la cattura di uno dei partecipanti alla strage di via D'Amelio a Palermo e così via). Di grande importanza si è rivelato l'apporto dei collaboranti di giustizia, il cui numero sempre crescente (420 al 7 giugno 1993) è da porre in correlazione Pag.2025 non solo con dinamiche interne alle organizzazioni criminali ma anche con l'ormai comprovata efficacia delle norme di protezione e di assistenza dei collaboranti stessi e delle loro famiglie. Norme, queste, che hanno trovato piena e proficua attuazione da parte del Servizio centrale di protezione - istituito in seno alla direzione centrale della polizia criminale del dipartimento della pubblica sicurezza -, struttura interforze in costante raccordo con le autorità provinciali di pubblica sicurezza per la realizzazione degli articolati, compositi programmi di protezione, la cui latitudine spazia dalla garanzia della tutela agli interventi in campo organizzativo, logistico ed assistenziale. Altrettanta professionalità, non disgiunta da notevoli doti di equilibrio, è richiesta dalla gestione "operativa" dei pentiti, laddove massimo è l'impegno profuso dall'autorità giudiziaria e dalle forze di polizia nella delicata fase di riscontro delle dichiarazioni ricevute, in una prospettiva di perseguita progressiva spersonalizzazione del rapporto a beneficio di approcci ancor più strutturali, coordinati, omogenei. Di tutto rilievo sono altresì gli importanti successi conseguiti sul piano, fondamentale, della ricerca e della cattura dei latitanti; risultati testimoniati, ancor più che dalle cifre (224 pericolosi latitanti, dei quali 21 oggetto di speciale programma interforze, assicurati alla giustizia dal gennaio 1992 al 7 giugno 1993), dal livello criminale degli arrestati. Per citare solo i più noti: Salvatore Riina, Benedetto Santapaola, Giuseppe Madonia, Giuseppe Pulvirenti, Carmine Alfieri, Umberto Ammaturo, Rosetta Cutolo, Antonino Imerti, Domenico Libri, Matteo Boe (si veda l'allegato 6, contenente il prospetto di sintesi relativo ai latitanti, con riguardo al coordinamento interforze della ricerca, alla ripartizione per singola forza di polizia o a gruppi interforze, alla situazione nominativa attuale degli arrestati dal 1^ gennaio 1992 ad oggi). E' proseguito ancora l'impegno nei settori sia delle misure di prevenzione patrimoniali, quantificabile nel sequestro, a far data dal gennaio 1992, di beni di provenienza illecita per un valore commerciale di oltre 4.100 miliardi di lire, sia della salvaguardia della trasparenza della pubblica amministrazione, laddove il forte impulso impresso dal ministro dell'interno ha consentito, per la parte di competenza e nel medesimo periodo, lo scioglimento di 39 consigli comunali inquinati da condizionamenti mafiosi ed il deferimento alla magistratura di oltre 1.300 tra amministratori e funzionari pubblici. Mirati interventi legislativi in tema di poteri investigativi dell'autorità giudiziaria e della polizia giudiziaria (norme in materia di "colloqui investigativi", di potenziamento delle attività di iniziativa della polizia giudiziaria, di intercettazione di comunicazioni autorizzate dalla magistratura, eccetera); oculate scelte di politica penitenziaria, col trasferimento, in ispecie, di pericolosissimi detenuti in carceri di massima sicurezza di zone diverse da quelle di provenienza; ulteriore affinamento delle procedure di controllo del territorio, col prezioso contributo in Sicilia di molti reparti delle forze armate; ulteriore slancio alla forza trainante del coordinamento interforze, nel perfezionamento dei modelli di intelligence , così come nell'organizzazione informatica, nell'aggiornamento delle "mappe" della criminalità, nella migliore reciprocità informativa e negli avviati programmi di collegamento fra le sale operative; rinnovata attenzione dedicata alla lotta al riciclaggio, anche con l'ausilio del fattivo contributo del Ministero del tesoro e della Banca d'Italia in funzione valutativa e propositiva per più rispondenti strumenti normativi nello specifico settore: sono questi solo alcuni dei parametri che hanno supportato lo slancio generoso ed - è d'uopo riconoscerlo - efficace delle migliori risorse dello Stato contro la delinquenza mafiosa; impegno, però, che può essere pienamente valorizzato e coronato da definitivo successo solo in un quadro collaborativo internazionale idoneo a Pag.2026 spezzare il perverso reticolo, ormai planetario, dei traffici di armi e di droga, nonché delle manovre finanziarie collegate ad attività illecite. In tale contesto, il nostro paese ha assunto un ruolo trainante adoperandosi su più direttrici: ratifica di importanti convenzioni; impulso al canale Interpol; stipula di intese bilaterali e plurilaterali; cooperazione di carattere giudiziario ed investigativo; formazione ed assistenza delle forze di polizia dei paesi di produzione e transito della droga. Il tutto, in un quadro che ha evidenziato ancor più il rinsaldamento degli ottimi rapporti collaborativi con tutti i paesi alleati ed amici, con particolare riguardo a quelli, ormai decennali, con gli Stati Uniti d'America. Altrettanto risoluta la ricerca di ogni migliore formula collaborativa in ambito comunitario, con iniziative che vanno dal pieno sostegno del programma EDU-Europol, varato in ambito TREVI, all'organizzazione di imprescindibili momenti di approfondimenti, quali la conferenza ministeriale di Roma del 26-27 maggio scorso, alla predisposizione degli strumenti per la migliore partecipazione del nostro paese al concerto europeo sul piano della lotta alla criminalità organizzata. Nel quadro complessivo - così delineato nei suoi tratti essenziali che investono le problematiche dell'ordine pubblico, del terrorismo e dell'eversione, della sicurezza pubblica nonché dei profili di attualità della criminalità organizzata - devono essere inseriti ulteriori riferimenti ricognitivi delle minacce qualificate di attentati (allegato 7), delle minacce generiche e rivendicazioni (allegato 8), dei rinvenimenti di esplosivo (allegato 9) e degli attentati dinamitardi effettuati (allegato 10). E' su tale generalità, quindi, che in armonia con le direttive del ministro dell'interno si è innestata la funzione di indirizzo operativo propria del dipartimento della pubblica sicurezza, estrinsecatasi in mirate direttive (allegato 11), riferite sia alla più idonea predisposizione delle misure di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, sia alle iniziative decise con specifico riguardo allo scenario delineatosi a seguito degli attentati di Roma in via Fauro (allegato 12), di Firenze (allegato 13), di Roma in via dei Sabini (allegato 14). Dalla fine del 1991 il risveglio di un più consapevole senso civico, il supporto di una valida normativa di prevenzione e di contrasto del crimine, l'attuazione di importanti provvedimenti ordinamentali ed organizzativi a favore dell'impegno della magistratura e delle forze dell'ordine, l'accentuata cooperazione internazionale, i contributi di circa 400 pentiti hanno concorso a migliorare i parametri di convivenza civile, consentendo tra l'altro al ministro dell'interno l'illustrazione al Parlamento dei dati e delle valutazioni presentati con la Relazione sull'attività delle forze di polizia e sullo stato dell'ordine e della sicurezza pubblica nel territorio nazionale, per il 1992 . In tale cornice si collocano altresì le recenti approvazioni, rispettivamente della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, di un disegno di legge del Governo in materia di controllo degli assetti societari delle aziende commerciali e delle compravendite di negozi e di suoli e del disegno di legge n. 688 del 1992, relativo alla ratifica ed all'esecuzione della convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, redatta a Strasburgo l'8 novembre 1990, che ha riformulato la citata fattispecie criminosa facendo riferimento alla sostituzione o al trasferimento di denaro o altre utilità provenienti non più da un limitato numero di reati ma da qualsiasi delitto non colposo, con il non trascurabile significato rivestito dai più recenti impegni assolti sul terreno della politica criminale, diretti a rendere più difficili i processi di indebita accumulazione di ricchezze. La progressiva perdita di consenso popolare da parte della mafia e la caduta di compositi sistemi delinquenziali fondati sulla coordinata gestione di affari Pag.2027 illeciti, logica conseguenza dei successi derivati dall'azione di contrasto dell'apparato dello Stato, hanno fatto tenere in debito conto i rischi concreti di azioni di riaffermazione dei poteri illegali. In proposito giova ricordare l'importante operazione di polizia, conclusa positivamente il 19 ed il 22 marzo scorso, nelle città di Palermo e di Milano, con l'individuazione e l'arresto di tre pericolosi esponenti della "famiglia" Altofonte di Palermo che stavano preparando gravi attentati in pregiudizio di strutture giudiziarie, di rappresentanti dell'ordine giudiziario e delle forze di polizia nonché del mondo imprenditoriale. Nel cennato contesto sono stati, inoltre, analizzati i segnali di minacce di attentati, registrati anche di recente, oggetto di approfondite valutazioni, e le conseguenti operazioni di controllo della criminalità che hanno portato al rinvenimento ed al sequestro di esplosivi, precipuamente nelle regioni cosiddette a rischio. Tra questi taluni eventi che hanno riguardato un episodio del 15 maggio a Vittoria (Ragusa), dove il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giovanni Galloni, stava tenendo una conferenza. La minaccia di un attentato nel teatro, luogo del convegno, con segnalazioni pervenute alle forze di polizia ed alla stampa, ha fatto scattare l'allarme, determinando l'interruzione dei lavori ed il rinvenimento di un finto ordigno. Altro episodio, quello riferito all'incendio doloso dell'istituto professionale statale per l'industria e l'artigianato di Bagheria (Palermo), del 26 maggio, dopo che la Commissione parlamentare antimafia guidata dal suo presidente si era recata, il 19 dello stesso mese, a visitare il citato complesso scolastico, a seguito di una richiesta avanzata dagli studenti e dal corpo docente. Collaterali fattori possono aver inciso, altresì, in chiave eziologica, sulla consumazione di successivi efferati delitti. Tra questi, il grande consenso sociale e la mobilitazione dei cittadini registrati in occasione della ricorrenza, il 23 maggio, dell'anniversario della strage di Capaci e l'intensità della lotta alla malavita organizzata, esaltata in termini di attualità dal contrasto dialettico tra collaboratori di giustizia ed appartenenti al consesso mafioso, mentre la forte cooperazione delle forze di polizia e l'efficacia dei dispositivi di vigilanza esistenti nelle aree a maggior rischio - dove per altro tentativi di ripresa e reazione della malavita erano stati scoperti e sventati - potrebbero avere contribuito alla scelta di obiettivi diversificati, per altro ben ponderata, in città nelle quali più eclatanti sarebbero apparsi gli effetti destabilizzanti ricercati. Nella situazione generale dell'ordine e della sicurezza pubblica sopra delineata che, pur conservando momenti non scevri di preoccupazione, è stata e resta contrassegnata da sicuri segnali di positività, vengono a collocarsi con tratti, per diversi aspetti analogici, i tre barbari attentati di maggio e giugno, a Roma e a Firenze. In merito alla valutazione di tali fatti delittuosi, desidero premettere che ogni possibile contributo conoscitivo ed informativo, ricadente in un contesto di attività di polizia giudiziaria, è stato e sarà offerto dalle strutture investigative delle forze di polizia alla magistratura. Vorrei però ribadire la proponibilità e, nel contempo, la doverosità di una mia valutazione degli attentati suddetti, per il profilo delle responsabilità riguardanti la mia persona, sia in tema di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica sia in materia d'analisi di ipotesi, di ragionamenti, di spunti e ovviamente senza travalicare i confini oltre i quali si sviluppa il lavoro dell'inquirente, nell'ottica della prevenzione da attivare in direzioni ben focalizzate ad evitare vuoti e dispersioni di energia. Accedendo alla costruzione logica di una convergenza di interessi di diversificate ma contigue forze del crimine, dirette a tarpare l'anelito di ripresa della comunità nazionale, appare quanto mai significativo il fatto che l'attentato di Firenze sia stato perpetrato nel cuore Pag.2028 della città con il fine di produrre la massima risonanza a livello universale e con il risultato, tra l'altro, di arrecare un'offesa indelebile alla cultura mondiale e gravissimi danni all'economica fiorentina e nazionale, fondata in gran parte sui flussi turistici. Giustapposte le considerazioni afferenti le tentate stragi di Roma, va sottolineato che l'insieme dei parametri di contrasto suddetti, in uno con la caduta di coperture di sistemi economici non trasparenti, ha comportato sia coincidenze temporali tra gli attentati, sia contemporaneità di esecuzione degli stessi con importanti momenti espressivi della vita nazionale. Si rammenta, infatti, che l'episodio di via Fauro in Roma si è verificato il giorno della celebrazione della festa della polizia di Stato e che quello di Firenze è avvenuto nella notte precedente l'apertura nella capitale della Conferenza internazionale sulle "rotte europee della droga", con la partecipazione dei ministri dell'interno, o di loro rappresentanti, di 41 paesi, finalizzata alla ricerca di sistemi di intercettazione delle correnti di traffico e di nuovi scambi informativi per assicurare una tempestiva ed efficace azione repressiva, mentre quello di via dei Sabini, sempre in Roma, era stato preordinato per il 2 giugno, festa della Repubblica. Operando lungo le citate direttrici, appare logico considerare, inizialmente, talune circostanze volte a cogliere la oggettiva sistematicità di tali attentati stragistici, in un contesto ideativo ed esecutivo che pare omogeneo, anche per le finalità tipiche che sembrano percorrere le strade di una vera e propria strategia del terrore. Le affinità tra gli attentati si ricavano, in primo luogo, dal modus operandi , caratterizzato dall'impiego di autovetture rubate, utilizzate per celarvi cariche esplosive risultate poi, in base ai primi accertamenti, similari od omologhe, con modalità operative che richiamano altresì alla mente le stragi di Capaci e di via D'Amelio del decorso anno, che determinarono una risposta istituzionale di alto contenuto repressivo. Altri elementi meritevoli di considerazione riguardano: il brevissimo arco di tempo che separa gli attentati, tanto da farli considerare passaggi di un unico programma; la scelta dei luoghi, suscettibile di creare un'eco sempre più vasta, prima entro i confini nazionali e, successivamente, su scala internazionale, in una chiara prospettiva di forte pregiudizio all'immagine del paese e d'intento esiziale nel frenarne il cammino democratico, caratterizzato da positive operazioni di rinnovamento sul piano della trasparenza istituzionale e della vita economica e sociale. Ulteriore analogia accomuna gli episodi nel fatto che si è operato contro obiettivi non specificamente protetti, con l'intento stragistico tipico di ingenerare distruzioni, conseguenze letali, terrore e panico indiscriminati. La configurazione di proponibilità per un accostamento degli ultimi eventi ai fatti di Palermo - in specie per quanto riguarda la capacità tecnico-operativa e l'uso di esplosivi - comporta l'esigenza di scoprire la logica perversa seguita dagli autori dei delitti. Sembra indubitabile che gli attentati relativi alle "stragi Falcone e Borsellino", realizzate in Sicilia, siano da correlarsi al perseguimento di obiettivi di tutto spessore, per un verso strettamente connessi all'azione giudiziaria dei due magistrati e, per altro verso, risalenti all'intento omicida contro il personale della polizia di Stato direttamente colpito, con riflessi di forte intimidazione sia nei confronti della magistratura e del personale addetto alle scorte, sia nei riguardi della cittadinanza di Palermo. Di contro, il coinvolgimento della mafia nelle ultime operazioni criminali, di elevato profilo terroristico ed eseguite fuori dalla Sicilia, non appare che situabile in un disegno ancor più ampio, laddove interessi macroscopici illeciti, sistemazioni di profitti, gestioni d'intese con altre componenti delinquenziali ed affaristiche nazionali ed internazionali Pag.2029 emergono con ogni evidenza, in una prospettiva che tende sempre più a sfumare dal rango di mera ipotesi a quello di tesi di rilievo. Inoltre, tutte le componenti delinquenziali sopra delineate verrebbero ad assumere veste di sensore altamente reattivo per i processi di aggiornamento dei circuiti dell'illecito, provocati anche dalla spinta degli stessi mutamenti socio-politico-economici, riscontrabili in contesti geografici internazionali, a cominciare da quelli europei. La spettacolarità, la proditorietà, la luttuosità, i sottesi messaggi proposti dalle stragi ripetono i connotati di quelli della strage del rapido 904 del 23 dicembre 1984, per la quale furono acclarate giudiziariamente le responsabilità di componenti mafiose e camorristiche, unitamente ad elementi dell'eversione di destra che avevano agito, pure in quella circostanza, al chiaro fine di bloccare l'intervento repressivo dello Stato nelle aree di maggior radicamento della criminalità di tipo mafioso, con lo scopo non secondario sia di distrarre l'attenzione da tali aree, sia di indurre a modificare le priorità repressive statuali. Non può sfuggire, nella cennata valutazione, l'importanza del tipo di rivendicazioni effettuate dopo i fatti criminosi dei giorni scorsi. L'esperienza maturata a seguito di azioni terroristiche induce a sottolineare che la paternità degli attentati viene reclamata normalmente in modo da non cedere ad altri la paternità dell'evento, con ciò contribuendo anche ad orientare gli investigatori circa la matrice degli stessi. Gli attentati in argomento si presentano contraddistinti, invece, dal silenzio tipico degli eventi stragistici che, per la loro efferatezza, non possono essere rivendicati da alcuno, rimanendo solamente suscettibili di essere affidati all'intelligenza di coloro che devono capire il perché siano avvenuti. Le rivendicazioni giunte da parte della Falange armata e da poche altre sedicenti formazioni (allegato 8), anche per l'ora e le modalità, risultando inattendibili. Esse sono altresì tali per la Falange anche per il fatto che finora questa sigla si è attribuita la responsabilità di quasi tutti i fatti delittuosi di una certa gravità registrati negli ultimi anni e non riconducibili certamente ad un unico spazio programmatico. Permane, tuttavia, un alone di mistero che circonda l'evidente pretesa di proporsi, come forza eversiva, di tale sedicente formazione che, proprio per la continuata reiterazione del suo manifestarsi, ha indotto a specifiche investigazioni volte a svelarne i tratti, in particolare con il concorso dedicato da parte dei servizi di informazione e sicurezza. La configurabilità di una matrice diversa da quella tipicamente mafiosa non può essere, evidentemente, scartata a priori , specie in presenza della complessità dei menzionati delitti, che - comunque omologa a quelli praticati dalla mafia - congiunge interessi più che compositi, nazionali ed internazionali. La volontà terroristica, espressa nelle menzionate circostanze, si pone senza alcun dubbio come diretta a creare notevolissimo allarme sociale ed a determinare un'accentuata spinta alla sfiducia generalizzata. La ricerca di una corretta valutazione sulle motivazioni dei segnalati delitti e sulle scelte temporali effettuate dai criminali, potrebbe anche comportare immediate risposte, correlanti il tutto al momento storico vissuto dal nostro paese per il cambiamento ed il rinnovamento, dove fondamentali appaiono l'impegno ed i risultati conseguiti nella lotta alla criminalità organizzata. Sono indubitabili gli effetti prodotti dall'efficace risposta dello Stato: disarticolazione di solide organizzazioni criminali di stampo mafioso; neutralizzazione di fortune economiche appartenenti al sistema criminale; interruzione di consolidati circuiti praticati per i traffici di droga ed il riciclaggio del denaro "sporco", in un contesto di pregnante valenza per le relazioni intessute dalla malavita associata a livello internazionale; operazioni molteplici per la cattura di pericolosi Pag.2030 latitanti; individuazione, con riflessi giudiziari, di forti legami illeciti tra ambienti mafiosi e settori sia economici sia amministrativi. I successi investigativi ottenuti hanno assunto poi particolare rilievo per essere stati conseguiti, oltre che sul territorio nazionale, anche all'estero, e questo in virtù dell'ampliamento e del sistematico sviluppo della cooperazione internazionale e del più aggiornato quadro normativo, idoneo ad alimentare il processo di armonizzazione delle specifiche legislazioni a livelli comunitario. Appare evidente, alla luce di quanto detto, che, in un momento segnato dall'impegno di tutte le componenti istituzionali - comprese quelle giudiziarie, vivificate dal nuovo impianto della Direzione nazionale antimafia e delle procure distrettuali - volto a riscattare l'immagine del paese e ad assicurargli condizioni di sviluppo e di ripresa anche economica, la lettura dei gravi fatti delittuosi di Roma e Firenze non può prescindere da un'attenzione speciale all'area della illegalità, nella quale si collocano centrali malavitose di tipico stampo mafioso ed aree inquinate della vita economica, che praticano il riciclaggio e gli investimenti di profitti acquisiti illecitamente, con presenze in circuiti nazionali ed internazionali, con una prospettiva di impedire, anche dall'esterno, la realizzazione dei mutamenti in atto. La sfida posta dalla criminalità organizzata, portatrice oltre tutto di odiosi, recenti riferimenti di mafiosità stragistica, con connotati di impatto traumatizzante, è quella che quindi, più di ogni altra, ci impegna sulla tormentata via del progresso civile ed ordinato del paese. Su tale linea di progresso, puntualmente delineata anche da codesta Commissione, si sta operando con alacrità per perfezionare e potenziare il controllo del territorio, nello sviluppo di un imponente lavoro di intelligence e di numerose e consistenti inchieste - in pieno raccordo con le varie procure - che incrociano anche trasversalmente progetti e fatti criminosi di inusitato spessore. Questi, a loro volta, sembrano collegare il grande arcipelago dei diversi sodalizi delinquenziali all'intreccio di interessi diversificati, tra i quali primeggiano quelli risalenti a proventi illeciti, acquisiti ed utilizzati quali mezzi di perverso potere che vuole, a qualunque costo, riaffermarsi, perpetuarsi, espandersi. E' sullo sfondo di questo scenario che si sono collocati, in meno di dodici mesi, le stragi di Palermo e gli attentati di Roma e Firenze. La serena valutazione dei fatti, aperta per altro, come ho detto, alla configurazione di ogni possibile matrice degli eventi, ha comportato la verifica degli attuali sistemi di difesa dell'apparato istituzionale, l'intensificazione delle attività di prevenzione e di sicurezza, il dispiegamento sul territorio di tutte le risorse disponibili. Ulteriori iniziative, assunte in sede di Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica, riguardano sia i dispositivi di vigilanza, quelli già esistenti ulteriormente potenziati, sia l'apparato investigativo, interamente mobilitato. Le forze dell'ordine, in strettissimo raccordo con la magistratura, continueranno a profondere ogni energia con determinazione, coraggio e fermezza per il mantenimento della legalità ed a sviluppare, con coerenza ed unità di intenti, le attività di contrasto del fenomeno delinquenziale, attivando, inoltre, ogni attività collaborativa con gli organismi giudiziari e di polizia dei paesi alleati ed amici, ai quali fin d'ora si indirizza, grato, il nostro pensiero per l'insostituibile apporto di conoscenza e di volontà già in passato profusi. Le singole istituzioni statuali, le aggregazioni sociali, i cittadini sono chiamati, tutti, ad un corale appoggio che, dalla collettività, si volga a favore della società democratica per giungere, insieme, alla sconfitta delle forze illiberali che tramano, nell'ombra, contro la Repubblica ed i supremi valori della nostra Costituzione. LUIGI FEDERICI, Comandante generale dell'Arma dei carabinieri . Anzitutto Pag.2031 voglio esprimere al presidente e a tutti i componenti la Commissione il piacere e la soddisfazione di sedere per la prima volta attorno a questo tavolo e parlare loro dell'impegno dell'Arma dei carabinieri nel contrasto della criminalità organizzata. Dopo il quadro globale ed esauriente fatto dal prefetto Parisi sulla situazione della criminalità e sulla situazione della sicurezza pubblica, incentrerò il mio brevissimo intervento sui provvedimenti attuati recentemente e da attuare a breve scadenza, per rendere sempre più attuale ed adeguata all'evolvere della criminalità l'operatività dell'Arma dei carabinieri. Inizio il mio intervento da una brevissima sintesi sui provvedimenti già adottati. Come loro sanno, a partire dal 1991, l'Arma ha adottato un nuovo modello ordinativo che consiste: nell'elevazione del numero delle divisioni da 3 a 5; nella soppressione del livello di Brigata, la cui competenza territoriale non trovava riscontro nell'ordinamento amministrativo; nella istituzione dei comandi regionali retti da generali di Brigata, con estensione territoriale corrispondente alle regioni amministrative; nella costituzione, in ciascuna provincia, di un solo comando provinciale nel cui ambito sono collocati anche i gruppi eventualmente esistenti in zona diversa dal capoluogo; nell'attribuzione dei comandi di compagnia particolarmente impegnativi a maggiori, che hanno una più qualificata esperienza, anziché a capitani; nel potenziamento delle stazioni, finalizzato (come vedremo dopo anche nel programma 1994) a consentire l'apertura al pubblico delle stazioni almeno per 12 ore al giorno, ossia stazioni di seconda fascia; infine nel potenziamento di alcuni presidi carabinieri in zone particolarmente a rischio, quali il comune di Terlizzi, quello di San Luca e quello di Barcellona Pozzo di Gotto. Parallelamente è stato incrementato il personale da impiegare nei servizi esterni mediante l'adozione di servizi telematici avanzati che consentono di limitare gli oneri nelle attività non specificatamente operative e la contrazione dei tempi necessari per la trasmissione degli ordini, per lo sviluppo dell'attività informativa e la gestione degli oneri tecnico-logistici; infine è stato perseguito il recupero di personale da incarichi non prettamente istituzionali. A due anni dall'avvio di questo nuovo ordinamento, posso dire senza dubbio, e confermare alla Commissione, che il nuovo modello ordinativo, più strettamente correlato al territorio, ha già confermato la sua piena ed assoluta validità. Passiamo rapidamente ad esaminare i provvedimenti di prevista attuazione a breve scadenza, che sono poi quelli che interessano di più. Per adeguare ulteriormente la struttura dell'Arma all'evolvere della criminalità, sono in atto i seguenti provvedimenti da attuare entro l'anno, intesi ad elevare il livello di prontezza operativa dell'istituzione nel suo complesso e dei singoli presidi. Innanzitutto è prevista l'istituzione entro l'anno, direi entro l'autunno, del comando regione Basilicata nella città di Potenza; è prevista l'istituzione di altri otto comandi provinciali (Prato, Lecco, Lodi, Rimini, Crotone, Vibo Valentia, Biella, Verbano). E' prevista inoltre l'istituzione di venti nuovi comandi di compagnia, soprattutto nell'Italia meridionale: Palermo-Brancaccio, Roma-Appia, Campi Salentina (Lecce), Mercato San Severino (Salerno), Latisana (Udine), Montebelluna (Treviso), Bojano (Campobasso), Rende (Cosenza), San Donà di Piave (Venezia), San Lazzaro di Savena (Bologna), Peschiera del Garda (Verona), San Vito dei Normanni (Brindisi), San Giuseppe Vesuviano (Napoli), Venafro (Isernia), Follonica (Grosseto), Scandicci (Firenze), Orte (Viterbo), Massafra (Taranto), Solofra (Avellino) e Misterbianco (Catania). E' prevista inoltre l'istituzione di trentasei nuove stazioni, tra cui quella di Firenze-Uffizi; è previsto il trasferimento di 537 stazioni dalla prima fascia (apertura otto ore) alla seconda (apertura 12 ore), è prevista l'acquisizione entro il mese di ottobre di altre 171 stazioni mobili che si aggiungono alle 173 già Pag.2032 distribuite, che possono integrare sul territorio il controllo delle aree più sensibili con un'attività diuturna, mobile su tutto il territorio; è prevista la realizzazione di dieci casermette, già in avanzata fase di realizzazione, direi quasi in fase conclusiva, in Sardegna per il controllo delle zone impervie ed isolate che verranno presidiate entro l'anno con stazioni carabinieri fisse o con squadriglie. Grazie all'impegno del prefetto Parisi è stato concesso l'aumento da otto a quindici del tetto delle ore di straordinario mensile di possibile retribuzione al personale delle stazioni, il che consente un deciso aumento del livello di operatività delle stazioni stesse. Oltre ai provvedimenti indicati, che sono essenzialmente ordinativi, segnalo alcuni provvedimenti organizzativo-logistici che contribuiscono ad incrementare la complessiva efficienza dei reparti. Tra questi voglio ricordare l'estensione della rete in ponte radio a tutti i comandi intermedi ed ai nuclei elicotteri; l'acquisizione di "moduli cripto", di cui sentivamo la necessità, per apparati radio-veicolari; la distribuzione di apparati per trasmissioni in facsimile sino a livello stazione; l'acquisizione di terminali mobili in gamma radio per collegamenti con le banche dati; la distribuzione a livello comando provinciale di sistemi per archiviazione dati a tecnologia ottica che consentiranno di recuperare sensibili tempi che potremmo dedicare all'attività operativa; la distribuzione di sistemi elaborativi per la gestione automatizzata dei dati fino a livello stazione; la sperimentazione in programma di radio localizzazione dei veicoli; il completamento delle dotazioni per artificieri antisabotaggio, con l'acquisizione di robot filo-guidati e rilevatori di esplosivi, come quello comparso recentemente in televisione; il potenziamento delle dotazioni di sistemi per le intercettazione delle comunicazioni; l'acquisizione di sistemi automatizzati per la realizzazione di identikit elettronici e memorizzazione di foto segnaletiche; l'acquisizione di laboratori per analisi del DNA, indagini foniche e balistiche, individuazione ed identificazione di esplosivi. I problemi ancora da risolvere più significativi, le cui soluzioni peraltro sono già allo studio, sono prevalentemente di carattere infrastrutturale e riguardano il completamento del programma previsto dalla cosiddetta legge Botta, la n. 16 del 1985; programma che sarebbe indispensabile riprendere e che dovrebbe prevedere un rifinanziamento della legge stessa per circa mille miliardi; la unificazione della scuola sottufficiali, in atto frazionata in tre sedi, il che comporta notevoli oneri organizzativi e di personale, che vorremmo unificare nella sede di Firenze e che comporterà un onere globale di circa 500 miliardi; il completamento del comando regione Calabria in Catanzaro. L'opera, avviata sin dal 1984 con fondi ordinari del competente provveditorato regionale alle opere pubbliche, è ferma alle strutture portanti, per cui è indispensabile un ulteriore finanziamento di 43 miliardi. Infine, occorre completare il complesso polifunzionale di Roma-Tor di Quinto che pone una esigenza finanziaria di 100 miliardi. Con questo ho terminato di illustrare il quadro panoramico dei provvedimenti già adottati, di quelli allo studio e di quelli da attuare. Vorrei ora fare un rapidissimo quadro delle valutazioni sui recenti attentati di Roma e Firenze. Le valutazioni formulate sull'argomento dal prefetto Parisi non richiedono ulteriori integrazioni. Posso solo sottolineare che le risultanze dei primi accertamenti tecnici sugli episodi di via Fauro e di Firenze, consentono di rilevare notevoli analogie quantitative e qualitative nell'esplosivo impiegato, posto che non sono state sinora rinvenute tracce dei congegni impiegati per l'innesco. Posso ancora precisare che la vicenda del rinvenimento, in via dei Sabini a Roma, della Fiat 500 contenente un composto esplosivo, per gli elementi valutativi allo stato disponibili, non sembra assolutamente riconducibile o assimilabile agli altri fatti. Gli accertamenti in atto, che tengono presenti anche gli altri attentati, non possono escludere una matrice Pag.2033 indipendente sulla spinta di motivazioni che, allo stato, non è possibile intravedere. Il fatto che, in questo caso, vi sia la presenza di un teste collaborante, che ha messo magistrati ed investigatori nelle condizioni di acquisire integra l'autobomba, consente però di poter sviluppare le indagini concrete sulla base di una serie di dati di fatto negli altri casi non disponibili. Le valutazioni espresse sugli attentati di Roma e Firenze, rafforzate dalla mancanza di rivendicazioni attendibili o decifrabili, come ha detto poc'anzi il prefetto Parisi, portano a preponderare per una matrice mafiosa. Tale pista, priva peraltro di obiettivi concreti riscontri, può trovare una spiegazione solo nella volontà di una componente di Cosa nostra di perseguire un disegno di scontro finale con le istituzioni, già avviato con gli attentati di Capaci e di via D'Amelio, riaffermando nel contempo, con la politica del terrore, l'egemonia interna all'organizzazione. L'arresto del capo assoluto, Salvatore Riina, e dei suoi collaboratori, potrebbe infatti aver posto in discussione la leadership del gruppo corleonese. Da qui l'esigenza di riaffermarne la forza con la massima violenza, ricercando forse nuove alleanze e nuovi spazi operativi anche al di fuori di quelli tradizionali. COSTANTINO BERLENGHI, Comandante generale della Guardia di finanza . Vorrei innanzi tutto rivolgere il mio deferente saluto al presidente e a tutti i membri della Commissione. Dico subito che consegnerò un documento al termine della mia esposizione; la mia sarà una valutazione molto più semplice e meno articolata di quella fatta dal Capo della polizia, prefetto Parisi, alla quale mi rimetto, nella sua interezza, trattandosi di una valutazione ben più completa di quella che io potevo fare. Mi soffermerò su alcuni punti di rilievo riguardanti in particolare l'attività del corpo della Guardia di finanza. Più volte abbiamo avuto modo di valutare la normativa vigente in questa ed in altre sedi; ritengo che essa sia molto valida: dal 1990 al 1992 ha consentito l'adozione di decisioni e determinazioni così fondamentali, che in questo momento il contrasto alla criminalità mafiosa può essere svolto - mi riferisco all'azione della Guardia di finanza - in maniera pressoché completa. Sicuramente, i movimenti di denaro relativi al riciclaggio e ad altri tipi di reati che riguardano la criminalità mafiosa, possono essere contrastati in misura adeguata. Senza alcun dubbio alla normativa potranno essere apportati dei perfezionamenti, ma si tratta di modifiche marginali poiché essa è all'avanguardia. Per quanto riguarda l'attività della Guardia di finanza nel contrasto alla criminalità mafiosa, mi limiterò a sottolineare alcuni elementi. In primo luogo, l'attività svolta dalla Guardia di finanza è preventiva e repressiva e riguarda le diverse forme sia di microcriminalità sia di macrocriminalità. Per quanto riguarda la microcriminalità, si tratta del contrasto alla minuta vendita di tabacchi lavorati esteri, allo spaccio di sostanze stupefacenti, che sicuramente danno manovalanza alla criminalità di tipo mafioso. L'azione di contrasto contro la macrocriminalità riguarda, invece, il traffico su larga scala di tabacchi lavorati esteri, delle sostanze stupefacenti, nonché le interferenze in appalti e subappalti di opere pubbliche, e soprattutto la percezione indebita di contributi comunitari. In tali contesti si estrinseca anche un'attività di rilievo, che è quella dell'emissione di fatture per operazioni inesistenti che vengono ad incidere anche sull'aspetto fiscale. Per quanto riguarda la Guardia di finanza, che, come sappiamo, ha funzioni prevalenti di polizia economica, posso dire che la nostra azione è tesa alla ricostruzione finanziaria delle attività criminose. Riteniamo che in questo momento vi siano elementi di una certa soddisfazione per quanto si riesce a fare nel seguire i movimenti del denaro "sporco". In particolare, sarebbe auspicabile che tali movimenti potessero essere Pag.2034 seguiti attraverso una banca-dati realizzata a livello centrale, sia pure con tutte le garanzie richieste per non arrivare oltre certi limiti nel controllo dei contribuenti. Sempre relativamente alla criminalità mafiosa, le fondamentali direttrici che vengono seguite riguardano l'assolvimento di compiti demandati dalla normativa antimafia, l'espletamento di indagine di polizia giudiziaria nei confronti delle organizzazioni criminose e delle imprese sospettate, la prevenzione e la repressione del contrabbando e del traffico di stupefacenti, l'incremento dell'attività di natura prettamente fiscale concernente soprattutto i soggetti sospettati di appartenere alla criminalità organizzata ed i settori economici di maggior rischio; con ciò intendo riferirmi - ne ho già fatto cenno - agli appalti pubblici, alle società finanziarie che vengono distinte in fasce di minore e maggiore pericolosità, nonché alle imprese beneficiarie di contributi comunitari. In questi settori vi è anche una incentivazione dell'attività informativa e soprattutto di controllo dei cantieri edili, talvolta anche in rapporto ad esigenze di carattere tributario relative a carenze nella dichiarazione dei redditi, ai fini del rispetto dell'IRPEF e, d'accordo con l'INPS, a fini contributivi. Tutto questo ci consente anche di controllare l'esistenza di eventuali subappalti nei cantieri. Logicamente, la Guardia di finanza concorre con le altre forze di polizia, nei limiti delle sue possibilità e della sua professionalità, anche ad azioni di controllo del territorio. Fra i risultati di maggior rilievo realizzati in questi tempi, c'è quello - ben noto - dell'autoparco Salesi di Milano, che ha portato alla denuncia di 88 persone, di cui 47 in stato di arresto, alla esecuzione di 191 perquisizioni, nonché al sequestro di ingenti quantitativi di armi e di sostanze stupefacenti. I dati sono riprodotti nella documentazione allegata e sono suscettibili di aggiornamenti in quanto le indagini sono ancora in corso. Per quanto riguarda il futuro del Corpo non ho particolari esigenze da rappresentare. Dirò soltanto che anche per la Guardia di finanza è giunto il momento di attuare una ristrutturazione. Una ristrutturazione che vorrebbe attribuirle massima elasticità e ridurre i livelli gerarchici. In questo momento un disegno di legge (atto Senato n. 1151) attende di essere esaminato. Tale disegno di legge è a costo zero; con esso, in pratica, i livelli di comando vengono ridotti da 4 a 3. Ciò consentirebbe di avere, così come è già avvenuto per l'Arma dei carabinieri, una maggiore corrispondenza con l'organizzazione territoriale del paese. In questo modo sarebbe possibile avere un comando generale, comandi regionali e comandi provinciali. Nient'altro! Sarebbe inoltre possibile realizzare una struttura più flessibile ed aperta, non vincolata a livelli predeterminati di comando. Faccio un esempio: il comando provinciale potrebbe benissimo essere retto da un ufficiale superiore, un maggiore, oppure un colonnello nelle provincie di maggior rilievo, soprattutto a fini fiscali. Nell'intento di poter utilizzare al meglio l'attività degli uomini, la loro professionalità e capacità ci auguriamo che il suddetto disegno di legge - che giudico flessibile - possa essere rapidamente approvato dal Parlamento. GIANNI DE GENNARO, Direttore della Direzione investigativa antimafia . Signor presidente, la ringrazio ancora per avermi dato l'ulteriore onore di intervenire in questa Commissione. Dopo la relazione fatta dal capo della polizia, che ha dato un quadro completo ed esaustivo della situazione della criminalità, mi riesce un po' difficile integrare in qualche modo la visione dei fatti. Se mi è consentito, a supporto della individuazione che il capo della polizia ha fatto della possibilità di inserire questi attentati in un contesto riferito alla criminalità organizzata, darò lettura di una relazione, data la natura specialistica dell'ufficio da me diretto. Tale relazione Pag.2035 cercherà di dimostrare o indicare come questi attentati possano essere direttamente riconducibili all'attività criminale di tipo mafioso e forse ad altre componenti, comunque di criminalità organizzata in genere. La brevità del tempo trascorso dalla commissione dei delitti ad oggi e la conseguente fisiologica incompletezza dei dati finora raccolti in sede di indagini, debbono indurre ad un'assoluta prudenza nell'anticipare conclusioni che potrebbero rivelarsi solo parzialmente esatte al vaglio dell'ulteriore sviluppo dell'azione investigativa. Ciò nonostante alcune considerazioni di carattere tecnico possono essere svolte sulla base degli elementi già acquisiti o partendo da valutazioni espresse in occasione delle stragi di Capaci e di via D'Amelio, che seppure relativamente più lontane nel tempo, appaiono alle ultime strettamente correlate. Nel mese di maggio dello scorso anno, allorché fu sviluppata un'analisi delle motivazioni e delle circostanze che avevano determinato la strage di Capaci, il mio ufficio valutava il gravissimo attentato quale momento saliente di una strategia di attacco alle istituzioni attuata da Cosa nostra per reagire alla condotta repressiva degli organi statuali nei suoi confronti. In quel contesto si osservava che il delitto andava a collocarsi, in un ordine temporale, a breve distanza dall'omicidio di Salvo Lima, prima tappa di un unico disegno criminoso di cui era dato conoscere il momento iniziale, ma non erano altresì prevedibili la successiva evoluzione ed il punto terminale. La conoscenza di questi ultimi dati (evoluzione e fine) veniva ritenuta condizionata, infatti, da due variabili: la capacità, da un lato, e la possibilità, dall'altro, degli apparati dello Stato di incidere con ulteriore profondità nel tessuto delle strutture criminali fino a ridurle ad una definitiva impotenza. In quel contesto, in base a valutazioni fatte subito dopo l'episodio delittuoso, si attribuiva all'omicidio in danno del giudice Giovanni Falcone, così come all'omicidio in danno dell'onorevole Lima, una valenza di tipo strategico, e ciò a differenza di quanto rilevato in occasione di altri delitti che, seppur altrettanto violenti ed eclatanti, erano apparsi rivestire una valenza piuttosto tattica, finalizzata ad incidere su uno specifico fenomeno o fatto che costituiva un momentaneo intralcio per l'organizzazione mafiosa. Si citavano, a titolo di esempio, gli omicidi del giudice Saetta, del giudice Livatino, del giudice Scopelliti e dell'imprenditore Libero Grassi, che potevano essere tutti letti come reazioni violente di Cosa nostra contro la società civile per contrastare effetti dannosi di natura contingente (la presidenza di un processo o il sostenimento della pubblica accusa e così via). La strage di Capaci ed ancora prima l'omicidio di Salvo Lima apparivano, invece, come l'avvio da parte di Cosa nostra di una strategia di difesa dell'intera organizzazione, la cui sopravvivenza era stata particolarmente compromessa dalla definitività della sentenza di condanna del maxi-processo e dal valore attribuito alle testimonianze dei collaboratori di giustizia, le cui deposizioni, particolarmente devastanti per la struttura criminale, erano assurte a rango di prova in sede giurisprudenziale per decisione della Suprema Corte. A conclusione di queste osservazioni, in cui si riconduceva l'esecuzione del delitto solo ed esclusivamente alla matrice delinquenziale di Cosa nostra, si formulava la previsione secondo cui la reazione violenta del sodalizio criminale sarebbe proseguita, stante la necessità dei suoi vertici di riaffermare il proprio potere all'interno dell'organizzazione, di garantirsi ulteriori consensi all'esterno e di evitare disgregazioni interne o fughe destabilizzanti. Si prevedeva, in altri termini, l'avvio di una vera e propria stagione di terrorismo mafioso. Dopo due mesi, il 27 luglio dello stesso anno, a ridosso della strage di via D'Amelio, i risultati conclusivi erano lievemente Pag.2036 diversi da quelli enunciati a margine del precedente delitto. Le circostanze dell'eccidio di via D'Amelio, i tempi e le modalità di esecuzione, gli effetti negativi di quella che si è rivelata una vera e propria ritorsione dello Stato contro la struttura criminale, che appariva aver ideato e consumato il delitto, erano stati ritenuti elementi validi per imporre di suggerire un allargamento degli orizzonti investigativi. Se per un verso, si riteneva che le considerazioni svolte in precedenza avessero trovato puntuale conferma nel delitto di via D'Amelio, per l'altro era altrettanto chiaro che la precedente analisi dovesse essere meglio sviluppata alla luce di una serie di ulteriori e diversificati elementi di valutazione che offrivano un quadro di riferimento più ampio ed articolato. Benché il delitto di via D'Amelio fosse stato consumato in un contesto tale da farne ricondurre con sufficiente certezza l'esecuzione a Cosa nostra - non solo per il luogo di esecuzione, ma anche per la qualità delle vittime - e benché risultasse in tal senso confermata l'attualità di una strategia di attacco di Cosa nostra nei confronti delle istituzioni e la validità delle previsioni che la stessa non si sarebbe fermata con il delitto di Capaci, ciò nonostante si intravedevano elementi tali da far sospettare che l'intero progetto eversivo non fosse di esclusiva gestione dei vertici di Cosa nostra, bensì che allo stesso potessero aver contribuito altri esponenti di un più vasto potere criminale. Era infatti evidente nell'omicidio Borsellino una chiara anomalia nel tradizionale comportamento mafioso, aduso a calibrare le proprie azioni delittuose sì da raggiungere il massimo risultato con il minimo danno; al delitto, infatti, era stata data una cadenza temporale tale da accelerare anziché infrenare l'azione reattiva delle istituzioni, con un conseguente ed apparente danno per l'organizzazione criminale. Con riferimento allo specifico episodio, si può rilevare come l'azione statuale e governativa di risposta alla strage di Capaci si era all'inizio limitata all'emanazione di un decreto-legge in cui venivano esaltati alcuni poteri repressivi degli organi inquirenti ed investigativi, ma il provvedimento non aveva incontrato l'unanime favore dei tecnici del diritto e di alcune categorie di operatori della giustizia (la classe forense ed anche l'associazione magistrati) e non si poteva escludere che in sede di conversione la sua incisività avrebbe potuto essere di molto limitata. La strage di via D'Amelio, per cui in realtà, come i fatti hanno ampiamente dimostrato, non esisteva una effettiva motivazione di urgenza nell'esecuzione, fa superare ostacoli e perplessità nei confronti del provvedimento governativo, che viene anzi rafforzato nella sua capacità repressiva e privilegiato nel suo iter parlamentare. Poi, come prima ricordava il prefetto Parisi, presso il Governo e l'opinione pubblica trovano anche accoglimento misure repressive straordinarie: l'intervento dell'esercito a presidio del territorio, il trasferimento dei mafiosi in carceri speciali con regime di detenzione differenziato. Aggiungendo a tali osservazioni la considerazione della particolare valenza stragistica dell'attentato e la preventiva accettazione del rischio di colpire decine di cittadini non direttamente coinvolti nell'evento, non si poteva non riflettere sul fatto che l'obiettivo potesse essere forse più ampio di quello di eliminare soltanto un giudice "scomodo". Il risultato avrebbe potuto essere, infatti, quello di provocare nella gente reazioni ancora più ampie di quanto in effetti è accaduto a seguito della strage. Fin dalla data della sua esecuzione, il delitto di via D'Amelio veniva letto anche in chiave di azione strategica indirizzata, potenzialmente, nei confronti di persone estranee alla repressione del fenomeno mafioso. In tal senso, e per evidenziare, altresì, come il fatto non rappresentasse una novità assoluta per il gruppo direzionale al tempo operante ai vertici di Cosa nostra, fin da allora si cercò un Pag.2037 riscontro storico, chiaro ed evidente nella strage del treno rapido 904, del 23 dicembre 1984. Nelle considerazioni conclusive di questo elaborato si diceva, infine che, laddove l'analisi svolta fosse stata esatta ed avesse trovato riscontro nelle successive indagini, non era difficile prevedere che la strategia di attacco contro le istituzioni da parte di Cosa nostra sarebbe proseguita anche con azioni dimostrative eclatanti, tendenti ad innalzare il livello della protesta civile, e che in una fase successiva poteva anche coinvolgere i vertici dello Stato o altre istituzioni. In quel senso, si suggeriva di adottare nell'azione investigativa particolare attenzione ad eventuali accordi tra potere mafioso e centri di potere occulto, così come ai risvolti di carattere internazionale, per i rilevanti interessi che, come il signor capo della polizia ricordava prima, derivano da specifiche attività delinquenziali (il contrabbando degli stupefacenti, il traffico delle armi, il reinvestimento di capitali illeciti), il cui esito era fortemente compromesso dalle indagini di polizia e magistratura e dall'azione repressiva dello Stato nel suo complesso (i risultati illustrati lo hanno ampiamente dimostrato). Dalla data di esecuzione della strage di via D'Amelio al 14 maggio di quest'anno, giorno in cui si è registrata l'esplosione a Roma, in via Ruggero Fauro, si sono verificati numerosi eventi di natura diversa che possono assumere un particolare significato per meglio comprendere i fatti in esame. Il primo episodio di rilievo si verifica a Palermo nel mese di settembre dello scorso anno, allorché viene ucciso nella propria abitazione, a colpi di pistola, con modalità operative analoghe a quelle del delitto Lima, il mafioso Ignazio Salvo. Non sono note ancora le motivazioni dell'omicidio Salvo, è però un dato certo che lo stesso fosse strettamente collegato all'onorevole Salvo Lima, e non può escludersi che la sua eliminazione fisica possa avere una correlazione con il delitto in danno del parlamentare europeo. Il secondo episodio meritevole di attenzione è rappresentato dall'ordinanza di custodia cautelare, emessa dal tribunale di Palermo, nei confronti dei presunti mandanti del delitto Lima. Il provvedimento giudiziario, la cui validità ai fini dell'accertamento dei fatti è del tutto relativa, stante la fase iniziale del procedimento penale, individua però, quale movente del delitto, proprio quella definitività della sentenza del maxiprocesso che sembra essere stato il momento scatenante della reazione di Cosa nostra contro gli apparati statuali. Terzo fondamentale episodio è l'arresto del capo indiscusso di Cosa nostra, Salvatore Riina, che rivela, fin dalle prime apparizioni pubbliche, tutto il suo carisma, dimostrando di essere saldamente al vertice dell'organizzazione criminale ed in grado di determinarne le scelte con la virtuale prosecuzione di quella linea di condotta violenta e stragistica posta in essere quando era ancora latitante. Significativa appare anche l'emissione del provvedimento di custodia cautelare, all'inizio del 1993, contro 60 e più esponenti di spicco di Cosa nostra, molti dei quali, sebbene detenuti, vedevano avvicinarsi la data di espiazione di una pena abbastanza lieve, e che venivano ora invece imputati dall'autorità giudiziaria di Palermo per gravissimi delitti, in particolare omicidi, su una base di riscontro probatorio sufficientemente solida. Una citazione infine merita, tra i fatti più salienti intercorsi nello spazio temporale sopra indicato, cioè dalla strage di via D'Amelio alla strage di via Fauro, l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal tribunale di Reggio Calabria contro mandanti ed esecutori dell'omicidio Scopelliti, con la quale vengono raggiunti da imputazione i vertici della commissione provinciale di Cosa nostra palermitana e nella quale, da una diversa autorità giudiziaria e con differenti fonti di prova, viene ribadito il timore dell'organizzazione mafiosa di una definitività della sentenza di condanna del maxiprocesso. Pag.2038 Gli eventi citati, tutti cronologicamente successivi, rafforzano un'ipotesi iniziale secondo la quale, con riferimento proprio alla strage di via D'Amelio, i fatti hanno dimostrato come l'intenzione dell'organizzazione mafiosa nel decidere l'omicidio del giudice Borsellino non fosse soltanto quella di rallentare l'azione repressiva dello Stato, ma avesse l'effetto più ampio di creare nella società civile una reazione di timore generalizzato e quindi di dissuasione dal proseguimento della predetta attività repressiva. Se le considerazioni espresse all'indomani della strage di Capaci trovavano una qualche conferma nella strage di via D'Amelio era logico presupporre che le analoghe ed ancor più preoccupate valutazioni formulate dopo il delitto Borsellino avrebbero potuto trovare ulteriore riscontro. Attesa l'unitarietà di linea strategica dell'organizzazione mafiosa, anche dopo l'arresto del suo capo, e l'evidente presenza carismatica al vertice del sodalizio di quest'ultimo, anche in regime di detenzione, era logico, come peraltro preannunciato anche da alcune alte cariche istituzionali, prevedere l'esecuzione di altri gravi attentati. Che le strutture organizzative ed operative di Cosa nostra, nonostante l'incisività delle operazioni repressive di polizia e magistratura, fossero vive e vitali e pienamente il linea con la strategia di violenza che da anni ormai aveva permeato la struttura dell'organizzazione, emerge anche con assoluta certezza nel contesto di un'indagine sviluppata a Palermo nel mese di marzo a carico di due qualificati esponenti del sodalizio. Come ha già ricordato il prefetto Parisi, possono citarsi alcuni particolari dell'indagine in quanto la stessa nei giorni scorsi ha acquisito una relativa pubblicità con l'emissione di un complesso provvedimento di custodia cautelare. L'attività investigativa, consistita nell'installazione di un'intercettazione ambientale in un "covo" di latitanti mafiosi, ha permesso, da un lato, di vedere confermate le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia attraverso la viva voce di chi dagli stessi era stato accusato, mentre, dall'altro, ha evidenziato la disponibilità di armi da parte dell'organizzazione, la programmazione di gravissimi delitti contro dipendenti delle istituzioni, la dimestichezza all'uso di notevoli quantità di esplosivi. Tutto ciò si rivelava con prove inconfutabili e successivamente all'arresto di Salvatore Riina. C'è da osservare, in oltre, che le indagini in atto ormai da circa un anno sulle stragi di Capaci e di via D'Amelio sembrano portare a riscontri attendibili, al di là delle semplici considerazioni derivanti dalle circostanze di tempo e di luogo dell'esecuzione dei delitti, circa una diretta partecipazione di elementi collegati a Cosa nostra, ovvero addirittura di esponenti di primo piano della stessa in veste di esecutori materiali. Se le considerazioni fin qui svolte hanno un senso compiuto e si basano su parametri di riferimento oggettivamente validi, appare legittimo individuare, nonostante la scarsità di elementi di riscontro investigativo, nell'attentato di via Ruggero Fauro il primo atto grave riconducibile ad una medesima strategia criminale. Non sembrano ormai esserci grandi dubbi in ordine al fatto che la vittima designata potesse essere il giornalista Maurizio Costanzo. L'ora ed il luogo dell'esecuzione del delitto sono indicazioni sufficienti, così come il modus operandi , che evidenziano l'accuratezza dell'attività preparatoria, a partire dal furto dell'auto utilizzata, all'idoneità del luogo prescelto per commetterlo, alle dimensioni ed alla composizione dell'ordigno per assicurarne la riuscita, all'individuazione stessa dell'obiettivo. Se l'attentato era dunque rivolto al giornalista, la miracolosa assenza di vittime non può che essere ragionevolmente attribuita a circostanze fortuite, quali il ritardo nell'innesco dell'ordigno e la provvidenziale presenza di ostacoli che hanno interrotto il potere dell'onda d'urto. Né deve meravigliare oltre tanto l'intempestivo azionamento del congegno laddove Pag.2039 si consideri che esempi di errori analoghi da parte di mafiosi sono stati già riscontrati in passato, come nel caso della strage di Pizzolungo, dove il non puntuale innesto dell'ordigno ha salvato la vita al giudice Palermo, pur provocando altre vittime innocenti. PRESIDENTE. Forse, anche Capaci, tutto sommato. No? GIANNI DE GENNARO, Direttore della Direzione investigativa antimafia . In quel caso si dovrebbe discutere un attimo, perché il congegno potrebbe essere stato attivato in anticipo. Però, probabilmente volevano colpire la prima macchina e non altre, per essere certi di coinvolgerle tutte e tre, così dice il magistrato. GIUSEPPE MARIA AYALA. Che però Falcone fosse a bordo di quella di mezzo lo sapevano tutti! GIANNI DE GENNARO, Direttore della Direzione investigativa antimafia . In assenza di altri elementi che possano far ritenere la strage indirizzata verso obiettivi diversi, ovvero eseguita a scopo meramente dimostrativo, ed in assenza altresì di dati certi che possano far ritenere autori del gesto criminoso gruppi eversivi nazionali od internazionali, non sembra che si possano avanzare grandi dubbi in ordine al fatto che l'attentato di via Fauro presenti tutte le caratteristiche per apparire, in sintonia con le considerazioni svolte, come logica prosecuzione di Capaci e di via D'Amelio, in grado di realizzare una strategia destabilizzante. Se dunque, come le indagini tendono a dimostrare negli attentati di Palermo ha operato la criminalità organizzata siciliana, la sua presenza non può escludersi, almeno a livello di componente determinante, anche nel delitto di via Fauro. Né possono non essere rilevate le conseguenze potenzialmente gravi dell'evento, che ben più lo sarebbero state se nel raggio dell'esplosione, oltre al giornalista, alla sua compagna, al suo autista, agli uomini della scorta, si fossero trovati occasionali passanti o se fosse stato mortalmente attinto qualcuno degli abitanti del quartiere rimasto invece solo ferito. Se nelle considerazioni conclusive a margine della strage di via D' Amelio si riteneva di ipotizzare un proseguimento della strategia di attacco di Cosa nostra contro le istituzioni con azioni eclatanti tendenti ad innalzare il livello della protesta civile e a far cadere il consenso sociale nell'azione repressiva dello Stato contro Cosa nostra, tutto ciò è certamente riscontrabile nell'attentato di via Fauro. L'uccisione del giornalista poteva costituire, infatti, uno strumento valido per un'azione intimidatrice della mafia che raggiungeva con una sola impresa due obiettivi: eliminare un personaggio scomodo protagonista di continue, mirate azioni di disturbo nei confronti dell'organizzazione, cercando tra l'altro di creare un sentimento popolare di reazione contro la criminalità organizzata; suscitare una reazione di sdegno nell'opinione pubblica, ma al contempo un diffuso clima di insicurezza generalizzato teso ad indebolire quel consenso di cui lo stesso Costanzo aveva partecipato contribuendo alla lotta e al contrasto alla criminalità organizzata. In un'analisi successiva all'attentato di via Fauro, riprendendo poi le considerazioni espresse all'indomani della strage di via D'Amelio, si riproponeva la similitudine tra il delitto di Roma e l'attentato al treno rapido 904. L'esecuzione di un attentato fuori della Sicilia portava a far prendere in considerazione una compartecipazione al delitto di elementi criminali non necessariamente organici a Cosa nostra, anche se con la stessa strettamente collegati. La sentenza definitiva di condanna per la strage del 904 aveva peraltro già ampiamente dimostrato la possibilità che interagissero in un medesimo progetto criminoso esponenti di Cosa nostra in collusione con elementi della malavita napoletana e personaggi legati a gruppi estremistici di destra. Un'eventualità di tal fatta avrebbe potuto realizzarsi altrettanto validamente Pag.2040 a Roma, dove le tre componenti criminali hanno svolto in passato attività congiunte. E' sufficiente citare gli stretti rapporti esistenti tra Pippo Calò ed alcuni esponenti della banda della Magliana e l'utilizzazione di personaggi della malavita romana nell'esecuzione di attentati, come nel caso di Danilo Abbruciati in missione a Milano per eliminare Rosone. La strage del 904 e quello di via Ruggero Fauro presentano peraltro analogie e similitudini: entrambe avvengono in un momento in cui fortissima è la pressione statuale nei confronti della criminalità organizzata di tipo mafioso; entrambe trovano esecuzione al di fuori di territori tradizionalmente controllati dalle cosche criminali; entrambe hanno come obiettivo persone non istituzionalmente interessate alla repressione del fenomeno mafioso. Se dopo l'attentato di via D'Amelio si era fatto cenno alla elevata potenzialità terroristica dell'atto criminoso ed alla sua capacità di acuire la tensione in seno agli organismi deputati all'attività investigativa e di prevenzione, nonché di creare le condizioni di un innalzamento della protesta civile, ancor più dopo la strage di via Fauro le suddette valutazioni acquistano rilievo soprattutto alla luce dell'attualità di approfondite indagini pendenti presso diverse autorità giudiziarie e svolte in direzione di potentati economici e finanziari, strettamente collegati con centri di potere occulto, oltre che con la criminalità organizzata di tipo mafioso. Basti a tal proposito citare le iniziative investigative, che di certo vanno ad incidere su ingenti capitali di origine illecita, in atto pendenti presso le autorità giudiziarie di Roma e di Salerno nei confronti dell'imprenditore faccendiere romano Enrico Nicoletti, sicuramente collegato ad ambienti camorristici e mafiosi e a personaggi, già coinvolti in vicende giudiziarie complesse, quali il noto Flavio Carboni. In questo senso, pur nell'attribuire un ruolo determinante nell'esecuzione dell'attentato di via Fauro ai gruppi mafiosi, si è dianzi fatto riferimento alla possibilità di altre presenze criminali coinvolte nell'esecuzione del delitto. Mi è stato chiesto di esprimere valutazioni tecniche sui recenti attentati dinamitardi. Allo stato delle indagini, mentre per l'episodio di via Fauro sembra possibile avere un quadro di riferimento quale quello fin qui esposto, può apparire forse un po' più difficile un analogo collegamento con l'attentato di via dei Georgofili. L'elemento di incertezza nella strage di Firenze può derivare, anche se la valenza dell'obiettivo creava sicuramente una situazione di terrore generalizzato, dall'apparente mancanza di un obiettivo riconducibile, sulla base di argomenti oggettivi, ad un'azione intimidatrice della mafia. Sul punto occorrerà attendere l'esito delle indagini per poter sciogliere una serie di dubbi circa: la casualità del luogo dove è stato collocato l'ordigno esplosivo, la possibilità che fosse effettivamente destinato a danneggiare il museo degli Uffizi, l'effettiva consapevolezza che nell'edificio colpito abitassero delle persone. L'elemento di raccordo, credo determinante tra i due fatti criminali, sembra però possibile individuarlo nel modus operandi , nella potenza devastatrice della bomba, nella composizione della miscela esplosiva, che fin dai primi accertamenti speditivi, presenta concrete analogie con la carica utilizzata in via Fauro e similitudini con quelle di via D'Amelio e di Capaci. Perché possa vedersi anche nello specifico episodio un'iniziativa criminale riconducibile ad un medesimo disegno criminoso posto in essere da organizzazioni mafiose, sia pure in collegamento con altre frange di criminalità, occorre far riferimento a fatti comportamentali susseguenti al delitto. Elemento determinante in tal senso potrebbe essere l'assoluta mancanza di una rivendicazione attendibile dell'attentato che potrebbe offrire la possibilità di ricondurre l'evento delittuoso ad un'iniziativa di carattere terroristico. Pag.2041 L'esecuzione della strage a Firenze potrebbe essere comunque compatibile con l'attività della criminalità organizzata, che in Toscana può contare da sempre su insediamenti mafiosi ormai consolidati nella regione. Basti pensare che già agli inizi degli anni ottanta Tommaso Spadaro utilizzata Firenze come base operativa per ingenti traffici di droga, che in quel periodo nel capoluogo toscano si riuscirono a sequestrare 81 chilogrammi di eroina in una sola volta, quantità enorme considerati i tempi. In Toscana, come peraltro ricordava già il generale Berlenghi, la puntuale azione incisiva della procura distrettuale e degli organismi investigativi ha anche recentemente consentito di portare a compimento importanti operazioni antimafia - quella dell'autoparco di Milano è significativa - e di trarre in arresto esponenti di spicco dell'organizzazione. Ipotizzando a questo punto una possibile responsabilità anche nell'attentato di Firenze della criminalità mafiosa, può trovarsi la continuità logica con i precedenti, analoghi delitti nel possibile movente della strage, già ipotizzato per via D'Amelio e di via Fauro: realizzare una frattura tra l'opinione pubblica e gli organi istituzionali deputati alla repressione del fenomeno mafioso, togliendo a questi ultimi il consenso e il supporto della gente comune, che, con l'instaurazione di un regime di terrore, potrebbe essere indotta a ritenere troppo elevato in termini di rischio di vite umane il contrasto di tale forma di criminalità. Accanto a ciò, il tentativo, già in parte attuato nel 1984 con la strage al treno rapido 904, di distogliere l'attenzione degli investigatori (Commenti del deputato Matteoli) da un preciso campo d'indagine, indirizzandone gli sforzi in direzione di diversi scenari criminali di natura puramente terroristica. Maggiore difficoltà si incontra a dare un'esatta collocazione logica all'attentato sventato a Roma in via dei Sabini. E' ancora troppo presto per dare una valutazione altrettanto correlata, anche perché gli elementi in possesso degli investigatori sono non sufficienti per poter dare un quadro certo di riferimento. Comunque, è un fatto gravissimo, che, come ricordava il generale Federici, consente di attivare indagini più puntuali proprio perché l'evento non si è verificato e sono rimasti in mano degli investigatori elementi possibili per sviluppare le indagini. In punto di sintesi, credo di aver offerto una serie di elementi utili per poter privilegiare la pista mafiosa quale quadro di riferimento investigativo delle indagini per gli attentati di Capaci, via D'Amelio e via Fauro e di poter considerare compatibile con questi, nello stesso contesto investigativo, anche l'attentato di via dei Georgofili. Sarebbe limitativo, specialmente negli attentati di Roma e Firenze, ritenere però che sia unica la matrice dei delitti e non prendere in esame la possibilità - come peraltro ripetutamente è stato sottolineato - che con l'organizzazione criminale mafiosa possano aver interagito anche altri gruppi criminali, soprattutto nel timore di vedere ulteriormente indebolita la loro potenzialità delinquenziale nel settore delle iniziative economico-finanziarie. Soltanto gli esiti delle indagini, che puntualmente in modo raccordato vengono svolte dalle procure distrettuali di Firenze, Roma, Palermo e Caltanissetta, potranno evidenziare la presenza di centri di interesse criminale diversi da quelli fin qui delineati o confermare la bontà delle analisi svolte. PRESIDENTE. Passiamo alla seconda fase dei nostri lavori. Il prefetto Parisi ha fornito un quadro complessivo della situazione dell'ordine pubblico. I colleghi porranno le singole questioni specifiche; mi pare comunque che interessi alla Commissione conoscere la valutazione dei nostri interlocutori odierni circa l'opportunità e la sussistenza delle condizioni per costituire un apposito ufficio che si occupi specificamente della tutela dei pentiti, separato dagli organi investigativi. Pag.2042 Il generale Federici ha chiarito gli indirizzi dell'Arma. A questo proposito, credo che alla Commissione interessi sapere in particolare se l'estensione della presenza dell'Arma stessa interessi paritariamente tutte le aree del territorio nazionale o cominci ad esservi una differenziazione tra aree urbane, metropolitane e non metropolitane. Credo che i colleghi desiderino conoscere più approfonditamente la questione del teste collaborante, cui ha fatto riferimento in relazione a via dei Sabini. Il teste collaborante farebbe pensare ad un qualche soggetto presente dentro la struttura criminale che poi ha fornito, per fortuna, una deposizione testimoniale. Il generale Berlenghi ha riproposto l'aspetto legislativo ed organizzativo, se non ho capito male, della questione del riciclaggio, sulla quale i colleghi stanno lavorando. Il dottor De Gennaro ha formulato un'analisi molto specifica ed importante per noi dei singoli attentati. Forse ai colleghi interessa anche conoscere quale sia stato il ruolo di Ganci - la persona arrestata ieri - nella struttura di comando mafioso. Sono iscritti a parlare, nell'ordine, i colleghi Cappuzzo, Covello, Galasso, Matteoli, Mastella, Brutti, De Matteo, Imposimato, Tripodi, Ayala, Boso... ERMINIO ENZO BOSO. Mi scrive sempre in fondo; poi quando è il momento di parlare, la Commissione è in procinto di chiudere ... come l'altra volta! UMBERTO CAPPUZZO. Desidero innanzitutto esprimere il mio vivo apprezzamento al presidente per la sensibilità e la prontezza nell'indire questa audizione, che si colloca in un momento particolare. Vorrei sottolineare questo punto perché da esso poi discende quello che ci attendiamo dall'audizione stessa. Intendo anche esprimere un apprezzamento alle relazioni svolte; sono complete, esaurienti, danno un quadro interessante non soltanto delle azioni compiute e delle iniziative assunte, ma anche di quello che è in itinere per quanto riguarda la stessa struttura e l'organizzazione. Questi aspetti meriteranno qualche approfondimento. Il prefetto Parisi si è anche soffermato sulle statistiche; queste però sono un po' pericolose. Interessa non tanto il confronto con gli altri paesi sull'indice di criminalità, quanto la sensazione di insicurezza che si registra nel nostro paese. E' un fatto indubitabile che, pur avendo magari indici di criminalità diversa, abbiamo in Italia un senso di insicurezza maggiore; il fatto è che questa insicurezza discende da tanti fattori, anche di carattere psicologico, in un paese caratterizzato da un altissimo tasso di inefficienza. Insicurezza diffusa e microcriminalità; ricordo, per esempio, l'insistenza con cui ieri un giornale di grande tiratura si è soffermato su aspetti particolari di quanto si verifica a Bari. E' questo un paese che sente di non essere, sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblica, sufficientemente garantito. La prima domanda che rivolgo al prefetto Parisi è dunque la seguente: che cosa ritiene al riguardo e cosa si potrebbe fare per dare agli italiani doverosamente questo senso di sicurezza? Un fatto molto importante è il numero dei successi ottenuti, ma naturalmente l'uomo della strada si chiede: perché adesso e non prima? In proposito dovremmo togliere tanti interrogativi; perché questi benedetti latitanti, che peraltro sono stati presi alle porte di casa, nelle loro zone di influenza, per tanto tempo sono riusciti a sfuggire alle forze dell'ordine? Quali misteriosi canali si erano stabiliti? Non voglio ora dare una risposta, ma certamente l'uomo della strada si chiede: perché adesso e non prima? Vorrei ricevere una risposta rispetto a questo interrogativo; mi si dirà che c'è tutta una legislazione premiale e via dicendo, ma desidero riascoltare queste ragioni per avere motivo di maggiore tranquillità. Da tempo sostengo - il dottor De Gennaro ha dato valide argomentazioni, che approvo - che tutto il complesso Pag.2043 dell'attività criminale è legato ad una strategia dell'azione molto importante, cui si accompagna a mio avviso una strategia della disinformazione. In proposito ho anche presentato in questi giorni un'interpellanza, che varrebbe la pena di considerare attentamente. Dico subito che non tralascerei anche che in questo gioco si inseriscano spezzoni di servizi segreti disintegrati, che vanno vagando per tutta Europa e si offrono anche al miglior offerente. Giorni fa ho seguito con molto interesse alla televisione un'intervista rilasciata dal presidente della commissione antimafia russa, in cui si parlava di prospettive estremamente interessanti sotto il profilo operativo ma molto pericolose: addirittura di possibilità di commercio di materiale fissile, nucleare. Qualche parola al riguardo non sarebbe forse superflua. Faccio notare che il nostro paese sembra particolarmente permeabile; ritengo che il passaggio di armi sia molto maggiore di quanto non risulti e non sia stato messo in evidenza nelle relazioni. Non è un mistero che in alcune regioni di frontiera il traffico delle armi ha raggiunto dimensioni assai preoccupanti. Dirò di più: a livello locale si sa benissimo dove si possono comprare tali armi. Richiamerei soprattutto l'attenzione sulla Puglia, sul brindisino e su altre aree similari. Che cosa si sta facendo per rendere impermeabile il nostro paese? Capisco che è difficile, che è facile caricare armi su TIR che portano altra merce; vi sono anche movimenti di questo tipo dalle aree della ex Jugoslavia, che fanno temere un' escalation . Mi collego anche alla visione strategica del dottor De Gennaro: stiamo attenti, perché potremmo arrivare a forme molto, molto più pericolose e sanguinose. L'interessante dichiarazione del presidente della commissione antimafia russa meriterebbe qualche considerazione - lo dico alla Commissione - con i contatti che la presidenza potrà ritenere opportuni. Ci sono infatti riferimenti alla mafia italiana, ai siciliani, che sono arrivati in zona con l'acquisto di ristoranti e attività imprenditoriali varie, i quali probabilmente potrebbero fornire un panorama ancora più vasto di questi fenomeni. Quando si parla di strategia, bisogna sempre porsi la domanda: a chi giova? E' stato fatto in genere. Tuttavia, una tesi che non mi convince molto è che alzando il tiro la mafia possa ottenere più consenso. In realtà, notiamo con piacere che in Italia si registra un coinvolgimento quale mai si era avuto, una vasta presa di coscienza con partecipazione popolare e giovanile, per cui credo che il panorama vada esaminato in maniera più compiuta. Non ritengo che la gente sottoposta all'azione di questi criminali reagisca chiedendo che si sia più teneri nei loro riguardi. In ordine al controllo del territorio - mi rivolgo al capo della polizia - riferisco quello che ho avuto modo di constatare personalmente. Si dice che il territorio viene controllato; ebbene, tra domenica scorsa e l'altro ieri ho fatto rimuovere, ricorrendo al 112 - chiedo al comandante dell'Arma di dare un plauso al tenente Argiolaz che prontamente è intervenuto domenica - le seguenti vetture: una Renault rossa senza targa, una Ritmo blu senza targa, una Fiat 128 verde senza targa, una Fiat 500 bianca targata Roma M97564, una Fiat 127 rossa targata Roma Y34967. Tutte queste vetture erano regolarmente parcheggiate in uno spazio di non più di cinquecento metri in prossimità di via Marghera (Castro Pretorio) e della caserma della polizia di Stato. Come cittadino intervengo sempre in casi del genere, ma dico questo perché c'è una grande carenza da parte degli organi e degli enti locali: si segnalano queste macchine e i vigili urbani non intervengono. Alcune di quelle rimosse erano parcheggiate da circa un anno e nonostante i miei interventi nulla si era determinato. Al riguardo avevo presentato un'interpellanza, ottenendo una risposta dal ministro Mancino, ma la situazione non era cambiata. Occorrerebbe attivare la partecipazione degli organi locali affinché questo non si verifichi più. Tra Pag.2044 l'altro, le macchine erano diventate il luogo di soggiorno di individui poco raccomandabili. Controllo del territorio: si è accennato alla costituzione della compagnia Brancaccio. Credo che due anni or sono sia stato creato anche un commissariato con lo stesso nome: si ripropone quindi il fenomeno della ridondanza e della sovrapposizione delle presenze, dal quale scaturiscono problemi di coordinamento locale, con il che mi ricollego alla domanda del presidente. Avrei altre argomentazioni da evidenziare, ma mi limito ad un'ultima osservazione. La questione della centralità del traffico della droga si pone in maniera drammatica. Gli episodi recenti e le stragi ci ricordano Medellin: se quelle tecniche si trasferissero nel nostro paese ci sarebbe da pensare al narcotraffico - il collega Taradash potrà essere più preciso in argomento - e quindi alla centralità del traffico delle sostanze stupefacenti. PRESIDENTE. Se i colleghi sono d'accordo si potrebbe far intervenire un oratore per gruppo e successivamente gli altri. ALDO DE MATTEO. Non si possono porre domande brevissime? PRESIDENTE. Scusate, colleghi, poiché martedì si svolgerà l'audizione del ministro, le questioni politiche verranno trattate in quella sede. Oggi sono presenti i dirigenti tecnici ai quali vanno poste domande di carattere tecnico. Ripeto, con il ministro svolgeremo il dibattito politico. MARIO CLEMENTE MASTELLA. Signor presidente, stabiliamo un criterio valido per tutti. PRESIDENTE. La questione è la seguente: si può porre un limite ragionevole (cinque minuti) agli interventi oppure, per permettere a tutti i gruppi di esprimere, con rapidità, la propria posizione - il collega Boso ha posto una questione non secondaria, anche se è abbastanza accidentale annotare l'ordine degli interventi quando tutti insieme chiedono la parola - si consente di intervenire uno per gruppo. Il termine ristretto deve essere comunque rispettato. Mi sembra di capire che si preferisca la prima proposta; procediamo pertanto con interventi di cinque minuti. FRANCESCO ALBERTO COVELLO. Senza essere ripetitivo vorrei rivolgere un apprezzamento alla presidenza perché la Commissione è diventata un punto di riferimento per le istituzioni, grazie anche all'attivismo del presidente, il quale gira tutta l'Italia, dell'ufficio di presidenza e di tutti i colleghi. Un apprezzamento va rivolto anche agli ospiti presenti, dal prefetto Parisi al comandante Federici, dal comandante Berlenghi al dottor De Gennaro per le brillanti operazioni portate a termine negli ultimi mesi (sottolineo ultimi mesi). Cari colleghi, stiamo vivendo una delle stagioni più difficili, si incontrano difficoltà obiettive e si registra un senso di smarrimento da parte della gente: i recenti attentati dimostrano che qualcuno vorrebbe minare alle radici la nostra democrazia. Ancor più grave è la constatazione di una demotivazione della classe politica, la quale viene presa di mira come punto di riferimento dell'impotenza che esisterebbe nel nostro paese. Ecco perché la riunione odierna, presidente Violante, giunge in un momento importante al fine di instaurare un clima di collaborazione tra il Parlamento e i responsabili - ad alto livello, quali sono gli ospiti odierni - dei settori più delicati del nostro paese. Poiché la cultura del sospetto dilaga nel paese, la collaborazione dovrebbe essere instaurata non solo a livello centrale, ma anche periferico, che non è più come una volta, almeno per quello che riscontriamo. In Parlamento - ha ragione il comandante Berlenghi - vi sono molti provvedimenti in itinere , il cui esame credo debba essere affrontato con determinazione e celerità. Pag.2045 Ai responsabili dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza, della polizia e della DIA vorrei chiedere se i successi registrati con le ultime brillanti operazioni siano dovuti ad un certo tipo di organizzazione interforze e ad un migliore coordinamento tra le forze presenti e se gli ultimi attentati avrebbero potuto essere evitati, prevenuti, se vi fossero azioni propedeutiche in tal senso. Vorrei inoltre sapere se esista quella collaborazione che dovrebbe esserci (e mi auguro ci sia) tra le forze qui rappresentate e i servizi segreti. In altri termini, vorrei capire che ruolo è stato svolto dal SISMI e dal SISDE in questi ultimi mesi; che collaborazione e che confronto esiste con l'Arma dei carabinieri, le forze di polizia, la DIA e la Guardia di finanza. Credo infatti si avverta il bisogno di una grande organizzazione per ciò che si sta verificando nel paese e per il grado di tensione del momento politico: occorre predisporsi a tutto e prevenire alcuni fatti, altrimenti si parlerà e si interverrà in ritardo. Allora, presidente Violante, con la sua caparbietà e la grande disponibilità che ha sempre dimostrato, vorrei che organizzasse un incontro con il Comitato di vigilanza sui servizi di informazione e sicurezza. Abbiamo capito dalle dichiarazioni del neo presidente, senatore Pecchioli, che si sta cercando di individuare una revisione, una verifica degli 007, un modo diverso di organizzazione dei servizi segreti italiani. Dal momento che lei, presidente Violante, ha organizzato forum con le superprocure ed altri soggetti, le chiedo di pensare ad un incontro, alla presenza dei ministri dell'interno e di grazia e giustizia, nonché dei rappresentanti del SISMI, SISDE e degli autorevoli rappresentanti delle forze dell'ordine - qui presenti - come momento di confronto per una grande organizzazione, che sia efficiente nella prevenzione e nel dare garanzie ai cittadini, i quali di questo hanno bisogno. Le chiedo con umiltà di organizzare questo incontro come momento di confronto oltreché per conferire grande efficienza ai nostri servizi. PRESIDENTE. Grazie, senatore Covello. Sentiremo l'opinione degli altri colleghi e, se si manifesterà consenso, investiremo le Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato, competenti in materia. ALFREDO GALASSO. Grazie, signor presidente. Quando ho sollecitato - ricevendo una risposta immediata - all'onorevole Violante un incontro del genere, pensavo che dopo gli ultimi attentati si stesse disegnando o ridisegnando una strategia della tensione. Stamane ho avuto un'autorevole conferma che richiede - può sembrare un dato banale - da parte dello Stato, delle forze politiche e sociali una strategia, non una pura e semplice azione di contrasto, benché più puntuale rispetto a quella determinatasi in anni precedenti. Detto questo, poiché voglio rispettare i tempi, farò un rapido elenco dei "punti interrogativi". Rivolgendomi al prefetto Parisi, vorrei sottolineare come la situazione delle scorte - questione da me sollevata anche con un'interrogazione parlamentare - sia ancora largamente insoddisfacente: questo lavoro è svolto da ragazzi e ragazze, che ho imparato a conoscere direttamente in questi anni, che sono straordinari non solo per professionalità, ma anche per impegno costante; vi è però, a quanto constato, anche un moltiplicarsi delle scorte e una difficoltà di selezione. Ciò che disse il ministro un anno fa, ossia che si sarebbero rivisti i criteri, rendendo più efficienti le scorte e più sicuro il lavoro svolto, in realtà ha avuto un'attuazione molto, molto parziale. In altri termini, i mezzi sono rimasti pressoché identici, o meglio sono stati aumentati e riqualificati in proporzione assolutamente inferiore all'incremento dei compiti attribuiti. E' un problema umano, professionale e politico di grande rilievo che ritengo debba essere considerato, altrimenti quando celebriamo le vittime facciamo una pura e semplice declamazione. Ho ricevuto una lettera - che credo abbia ricevuto anche il presidente della Pag.2046 Commissione antimafia - che mi ha fatto pensare: parlo dei pentiti cosiddetti remoti, che in gran parte credo siano attualmente ospitati a Paliano, i quali pongono un problema non secondario. Questi hanno parlato tanti anni fa, dando contributi decisivi - ne ricordo uno per tutti, Sinagra - ... PRESIDENTE. Quando era più rischioso, tra l'altro. ALFREDO GALASSO. Certo, quando era più rischioso, più difficile, più complicato e ci si esponeva di più. Costoro lamentano di essere praticamente abbandonati o trattati in maniera non più rigorosa, ma più pesante in termini di pena e di altro rispetto al piano di protezione. Il principio elementare di uguaglianza, di giustizia richiederebbe di riprendere in considerazione ciò che dico. Al comandante della Guardia di finanza vorrei dire che la questione del riciclaggio, dei circuiti finanziari, che appare come centrale, è da collegare a quanto sosteneva il dottor De Gennaro, poiché vi sono potentati economici e finanziari a livello internazionale e anche da parte di Cosa nostra vi è un riciclaggio continuo di denaro che sta inquinando altre regioni d'Italia, non soltanto la Toscana. E' un punto essenziale rispetto al quale rilevo (a quanto mi consta) non solo una insufficienza delle forze disponibili nella Guardia di finanza, che è il corpo più qualificato per lavori del genere, ma anche qualche resistenza proveniente dai circuiti bancari e finanziari; ciò peraltro era stato rilevato dallo stesso governatore della Banca d'Italia, a quel tempo era ancora il dottor Ciampi, quando fornì dati sulle cosiddette operazioni sospette francamente molto ridotti. Sulla Falange armata il ministro ha affermato cose abbastanza gravi: in sostanza, questa sigla o voce nasce dall'interno, ma non si sa da dove; si è parlato di indagini in corso. In relazione all'azione di contrasto e alla dissuasione, vi sono due aspetti che intendo sottolineare. Credo si debba sciogliere un nodo (anche in sede investigativa) solo accennato, rispetto al quale noto delle oscillazioni. Non tutto ciò che riguarda la criminalità organizzata di tipo mafioso si può riferire oggi a Cosa nostra: lo sostengo da tempo e mi pare che la situazione si stia sviluppando in tale direzione. Probabilmente però vi è ancora una riserva legata al fatto che forse le investigazioni non sono giunte ancora al punto da capire che tipo di intreccio si sia determinato tra i capi mafia di Cosa nostra e gli altri soggetti presenti nel circuito. Questo è un punto cruciale se vogliamo stabilire una strategia di contrasto adeguata, altrimenti si continua a ragionare in termini di mafia come se fosse soltanto Cosa nostra quando quest'ultima probabilmente si è integrata in un circuito molto più vasto di strategia della tensione. Rispetto a questo ci sono due aspetti che riguardano l'investigazione. PRESIDENTE. Ha superato di molto il tempo a sua disposizione, onorevole Galasso. ALFREDO GALASSO. Lo so. Uno riguarda i rapporti tra mafia... PRESIDENTE. La consapevolezza dell'illecito lo rende più grave. ALFREDO GALASSO. Lo so. Quello dei rapporti tra mafia e politica è un tema non più soltanto generico o sociologico ma di investigazione. Si vede, non possiamo far finta che non esista. L'altro aspetto è quello relativo ai rapporti tra mafia e istituzioni. Quando si parla di servizi (deviati o meno, non lo so) si parla anche di personaggi con nome e cognome venuti alla ribalta della cronaca giudiziaria che sono attualmente sotto processo. Il silenzio non è possibile in sede politica ma neanche in sede di responsabilità dell'ordine pubblico, perché anche i rapporti tra mafia e politica e mafia e istituzioni riguardano l'ordine pubblico. Pag.2047 ALTERO MATTEOLI. Spero di utilizzare soltanto una parte dei cinque minuti che mi sono concessi. L'audizione di oggi si svolge - consentitemelo - in un clima di autocelebrazione per i risultati conseguiti. Io appartengo, forse per mia colpa, a quella schiera di cittadini che non possono dimenticare che Riina è stato latitante 22 anni, Santapaola 12, Pulvirenti 11. Quindi, questo clima di soddisfazione per l'arresto dei latitanti è da parte mia sempre meno compreso, dal momento che tali ritardi hanno causato tanti e tanti morti. In tutti gli interventi ho riscontrato una sintonia, quasi da fotocopia, escluso il generale Federici che ci ha fornito alcuni dati aggiuntivi di un certo interesse. Da questi interventi è emersa una frase ripetuta due volte: Cosa nostra si sta attrezzando per un attacco definitivo alle istituzioni. La prima domanda che vorrei porre è la seguente: pensate che Cosa nostra abbia reciso ogni legame e che quindi agisca da sola senza più rapporti politici? Intendo non citare la mia relazione di minoranza, nella quale sostengo una determinata tesi, ma la relazione di maggioranza votata quasi all'unanimità ad esclusione di due gruppi, nella quale sono contenute alcune affermazioni. Quindi, la prima domanda che vorrei porre è questa: pensate voi che non esistano più questi rapporti? Se così fosse, o viene meno tutta la relazione approvata, oppure vuol dire che c'è stato un cambiamento ed oggi Cosa nostra è svincolata da tali rapporti e quindi combatte le istituzioni. La seconda domanda che desidero porre è la seguente. Quali misure preventive sono state adottate soprattutto dopo l'attentato di via Fauro che poi ha portato a quello disastroso di Firenze? La terza domanda che desidero porre è la seguente: c'è una spiegazione sul modo in cui la Fiat 500 è giunta in via dei Sabini a Roma? In pochi secondi, non per citare fatti personali, vorrei ricordare alla Commissione che in data 11 marzo ho subìto il furto della mia autovettura parcheggiata sotto la mia abitazione. Nella denuncia del furto da me subìto ho segnalato che nell'autovettura erano custoditi i permessi di accesso al centro storico e di parcheggio. Faccio presente che abito in piazza Euclide a Roma e la mattina quando mi reco alla Camera con la piccola autovettura oggi a mia disposizione vengo fermato per ben tre volte e precisamente in via Veneto, in piazza San Silvestro e infine in piazza del Parlamento. Tutte le volte devo spiegare che mi è stata rubata l'autovettura e mostrare la denuncia del furto subìto. Mi chiedo come sia possibile che la Fiat 500 sia stata parcheggiata a circa 200 metri da palazzo Chigi. Voglio sperare che le massime autorità dello Stato, oggi di fronte a noi, siano in grado di fornire una spiegazione in proposito. PAOLO CABRAS. Dopo le 20 chiunque può accedere al centro storico. ALTERO MATTEOLI. Volevo sentirmi dire proprio questo! Vi pare possibile che dopo le 20 l'accesso non sia controllato? Se questa è la risposta, allora sono ulteriormente disgustato di ciò che è accaduto e si spiega perché Cappuzzo, che ha l'esperienza che ha, pone domande del tipo di quelle formulate nel suo intervento! L'ultima domanda che desidero porre probabilmente sarebbe più adatta al ministro Mancino e la farò in futuro. Vorrei sapere quali giudizi diano i due nuovi vice dei servizi segreti sui modi e sulle scelte e soprattutto quale sia il loro curriculum che li ha portati a fare una scelta di questo tipo. MARIO CLEMENTE MASTELLA. Non soltanto per ragioni di stile, come richiede la sobrietà della nostra Commissione, vorrei ringraziare i nostri interlocutori anche se esiste una doverosità della politica e una doverosità per quanto riguarda le vostre responsabilità. Attraverso loro vorrei ringraziare l'anonimo carabiniere, poliziotto e finanziere che sul territorio promuove l'azione di contrasto nei confronti della criminalità. Pag.2048 La prima domanda è la seguente: si è parlato di collegamenti internazionali; evidentemente, esiste anche una forma di politologia sulle questioni alle quali abbiamo fatto riferimento. Per quanto riguardava le vicende drammatiche della Sicilia qualcuno parlò per la prima volta di fatti di natura quasi sudamericana. E' possibile realisticamente affermare o escludere che tali collegamenti esistono? Si è parlato dei successi fin qui registrati, abbastanza eclatanti, e della capacità di risposta della criminalità organizzata che alza il tiro nelle varie direzioni in dipendenza dei successi ottenuti dallo Stato. Nel momento in cui (lo dico come avvocato del diavolo) maggiori sono i successi probabilmente la "piovra" dovrebbe contrarsi anziché passare ad azioni più forti. Se si è in fase di riorganizzazione ed i successi dello Stato sono importanti dovremmo assistere ad una fase di rimessa e non di attacco e ne spiego i motivi. Sono tra coloro che hanno plaudito alla dichiarazione di guerra comune, smentendo alcune asserzioni giornalistiche secondo le quali il mio sarebbe stato un partito demotivato a fronteggiare tali questioni. All'interno del partito abbiamo avuto qualche problema per sostenere determinate tesi. La dichiarazione di guerra, non soltanto quella che giustamente viene dichiarata dalle istituzioni che voi rappresentate, alla criminalità organizzata ci fa ritenere che non tutto deve essere assommato in una sorta di equazione, secondo la quale tutto ciò che avviene è legato alla mafia, a Cosa nostra e a coloro che ad essa sono collegati. Da più parti, anche De Gennaro lo ha ricordato, ho sentito parlare della presenza di una donna all'interno del commando. Se ciò è vero, ci troveremmo di fronte ad una ritualità diversa dalla tipicità con la quale sono avvenuti i fatti di natura stragistica tipicamente mafiosa. E' vero o non è vero che per la prima volta sarebbero labili i rapporti ed i collegamenti con dati di natura politica? Mi spiego meglio. Se in passato - lo dico tra virgolette - dietro il treno c'era la criminalità o parte della criminalità (credo in questo caso la camorra) e c'era la condizione di convivenza con la destra, oggi non si può, con una forma di malizia abbastanza strana, far riferimento solo ad alcuni partiti. Voglio sia fatta giustizia netta da questo punto di vista. Se allora dietro il treno c'era un certo atteggiamento politico, vorrei che oggi si dicesse non in maniera generica chi c'è dietro questi fatti: in sostanza se la loro matrice è di destra, di sinistra o di centro. Vedete con quale onestà d'intenti svolgo tali considerazioni! E' opportuno che si smentisca un certo tipo di ritualità che altrimenti diventa un'equazione abbastanza assurda e dal mio punto di vista anche abbastanza goffa. Non ricordo chi abbia parlato di opinione pubblica-istituzioni: mi pare anche il giudice Di Lello qui presente. Dai giornali ho appreso (ho questa mania un po' hegeliana di leggere tantissimi giornali, come preghiera quotidiana, spiegava Hegel)... PRESIDENTE. Tutti siamo costretti ad essere hegeliani. MARIO CLEMENTE MASTELLA. Chi più chi meno. Dopo i fatti di Roma e Firenze il problema che si poneva era quello di stabilire se fossimo di fronte ad una strategia della tensione stabilizzante o destabilizzante. Non so se tali fatti stabilizzino o destabilizzino. Vorrei dire (da questo punto di vista la mia opinione è molto netta e molto ferma, al pari di altri) che nessuno può pensare che la criminalità spinga a favore dell'opinione pubblica. Non esistono queste condizioni perché quando si uccidono bambini non c'è la commozione dell'opinione pubblica, ma soltanto il desiderio che si faccia molto di più nei confronti della criminalità organizzata. Non so se tali fatti stabilizzino o destabilizzino. Probabilmente destabilizzano di più, danno l'impressione che alcuni siano più resistenti di altri e che mentre altri vorrebbero assolutamente cambiare c'è qualcuno che non vuole cambiare, come si fece agli Pag.2049 esordi del terrorismo quando si addossarono responsabilità ad un certo tipo di destra, mentre poi scoprimmo che l'album di famiglia riguardava altre connotazioni. Nel nostro recente viaggio in Campania ci siamo resi conto della presenza del fenomeno camorristico in una città come Napoli dove la collera dei poveri potrebbe sfociare in fatti molto forti, in presenza di una disoccupazione che cresce a dismisura in termini geometrici nel sud d'Italia e a Napoli in particolare. Vorrei sapere dai responsabili dell'ordine pubblico (mi rivolgo in particolare al capo della polizia) quali azioni di prevenzione si intenda porre in essere in una situazione quale quella da me descritta. Non dimentichiamo che nei mesi di luglio o di agosto migliaia di disoccupati non riceveranno più alcuna forma di sussidio e che quindi potrebbe realizzarsi una miscela che in passato ha dato luogo ad alcuni fatti di sangue. Ricordo l'assessore regionale - mio amico e compagno di scuola - Delcogliano ucciso dalla criminalità organizzata e dal terrorismo in Campania. MASSIMO BRUTTI. Anzitutto una considerazione sui risultati. Non si può non sottolineare come rispetto al passato si registri una forte discontinuità nel rendimento delle operazioni delle forze di polizia (nei cui confronti non possiamo che esprimere il nostro apprezzamento) ed alcuni risultati molto significativi soprattutto sul terreno della cattura dei latitanti. Desidero approfittare di questa occasione per chiedere a voi, con grande rispetto per il vostro lavoro e la delicatezza delle indagini in corso, di adoperarvi perché sia fatto il massimo di chiarezza possibile in ordine all'ultimo fallito attentato verificatosi a Roma. Il punto riguarda il ruolo e la funzione svolta da questo test collaborante o confidente di cui si è parlato, poiché due sono le ipotesi che subito vengono alla mente. Innanzitutto, che egli fosse interno al gruppo che ha organizzato l'attentato, tanto interno da conoscere la decisione di chi l'ha presa. Ciò vorrebbe dire, desidero sottolinearlo, che l'attentato di via dei Sabini è cosa diversa dall'attentato di via Fauro e dalla strage di Firenze, poiché mi rifiuto di credere... PRESIDENTE. E' cosa diversa o cosa fatta da organizzazioni diverse? Sono due concetti distinti. MASSIMO BRUTTI. Si può dire che è cosa fatta da organizzazione diversa, perché mi rifiuto di credere che persona interna a tale organizzazione abbia assistito alla preparazione e all'effettuazione di quegli attentati senza mettere immediatamente gli apparati con cui era in contatto in condizione di sventarli. L'altra ipotesi è che invece egli non fosse interno al gruppo che ha deciso ed organizzato l'attentato. Su questo interrogativo vorremmo una risposta e vi chiedo di fare il possibile perché su questo punto specifico vi sia la massima trasparenza. Non è infatti del tutto remota l'ipotesi - non saprei come articolarla in concreto perché me ne mancano gli elementi - che l'attentato fallito di via dei Sabini potesse avere un'altra funzione, una funzione cioè di depistaggio, o segnasse l'ingresso di un altro gruppo all'interno di una strategia che, a questo punto, diventerebbe multipolare anziché monopolare. Vi è poi una seconda questione. Tutte le relazioni - e mi sembra tutti gli interventi - hanno toccato la questione dei rapporti tra la mafia ed altri centri occulti di potere. Sono convinto che l'offensiva non si sposti al di fuori delle aree di insediamento tradizionale se non si dispone di una rete efficiente di alleanze e mi sembra che un dato che emerge - se ho ben capito - dalle indagini, quello cioè di una distanza di tempo molto breve tra il furto della vettura e la sua utilizzazione come autobomba, faccia pensare ad una rete efficiente sul territorio della zona in cui l'attentato è stato compiuto. Per mettere oggi meglio a fuoco lo scenario relativo ai rapporti tra mafia ed altri centri occulti di potere, vorrei richiamare l'attenzione su alcune questioni, Pag.2050 in primo luogo su quella del riciclaggio, strettamente legata alla natura dell'organizzazione mafiosa. I collaboratori di giustizia ci hanno parlato a volte della funzione che svolgono professionisti, notai, commercialisti nel meccanismo del riciclaggio. Mi domando se vi sia soltanto questo, o se esista un sistema più complesso e più alto, di portata non solo nazionale, e cosa potete dirci per delinearlo. Ho letto alcuni atti giudiziari che si riferiscono all'operazione Big John , al ruolo giocato dal Lottusi a Milano. In quel caso ci troviamo già di fronte ad una personalità più complessa, ad una rete di rapporti assai più estesa e solida; però, a quanto ho potuto rilevare, anche la personalità del Lottusi mi sembra inadeguata rispetto ad un sistema nel quale si spostano, superando i confini nazionali, enormi quantità di denaro. Sarebbe allora opportuna la definizione dello scenario, per ricostruire a grandi linee, sulla base di quanto voi potete dirci, cosa sia oggi il sistema del riciclaggio. Per quanto riguarda poi il problema dei rapporti con la camorra, vorrei sapere se oggi vi siano elementi, e quali, per pensare a rapporti diversi rispetto al passato con i gruppi camorristici. Non abbiamo dati - in proposito vorrei da voi una conferma - per ritenere che sia avvenuta una mutazione genetica della mafia, né per credere che il centro strategico, il quartier generale, si sia spostato al di fuori di Palermo. Vorrei comunque una conferma sulla centralità di Palermo. Dallo scenario che ci è stato descritto dal dottor Di Gennaro mi sembra si ricavasse che si è rotto un compromesso tradizionale tra mafia e settori della politica e degli apparati; non possiamo dire, però, che questo compromesso tradizionale si sia spezzato e sia venuto meno soltanto perché si ricorre ad eclatanti delitti politici e si commettono stragi. In realtà negli anni ottanta, questo compromesso, sia pure sottoposto ad una forte pressione (perché i Corleonesi avevano ereditato referenti nazionali prima propri dei gruppi tradizionali, quelli che facevano capo a Bontate) perdurava, ma le stragi già si verificavano. Mi riferisco alla strage del rapido 904, ad attentati di tipo stragista; l'assassinio di Chinnici nel 1983 è già di quel genere, così come l'attentato contro Palermo. Oggi si può dire invece che questa fase, in cui da un lato si pigiava l'acceleratore sui delitti politici e dall'altro si ricercava comunque un compromesso, sia finita? I Corleonesi hanno oggi referenti politici locali sul modello di Ciancimino oppure no? Utilizzano referenti politici nazionali, oppure non lo fanno più? Il rapporto con le logge massoniche coperte continua? Si può presumere che abbiano ancora rapporti con uomini degli apparati, con settori deviati? Vorrei sapere se qualcosa è cambiato e cosa, tenendo conto di questo tentativo di rappresentazione analitica dei diversi tipi di rapporto. ALDO DE MATTEO. Vorrei illustrare tre osservazioni riprendendo in primo luogo un argomento affrontato dal collega Cappuzzo per fare una sottolineatura che ritengo importante. Credo infatti che ci troviamo di fronte ad una sottovalutazione, in particolare, del fenomeno del traffico di armi. Questo argomento è passato, nella nostra graduatoria, in secondo ordine; al centro della nostra attenzione vi è il narcotraffico, mentre il commercio delle armi è un qualcosa che viene dopo. Probabilmente si giustificano così i risultati che su questo terreno appaiono modesti. Peraltro, un riscontro interessante si potrebbe fare con studi anche recenti svolti a livello internazionale su questo traffico, al quale invece si presta un'attenzione maggiore rispetto alle operazioni di polizia condotte nel nostro paese. La seconda osservazione riguarda i risultati straordinari che sono stati conseguiti in quest'ultima fase ed un ragionamento, molto semplice, che viene fatto e che ripropongo perché credo abbia un suo significato. Secondo voi, la tesi di una riorganizzazione della mafia può provocare anche l'espulsione dei vecchi ingombri - chiamiamoli così -, delle cose più Pag.2051 pesanti al suo interno? E' qualcosa di teorico, di menti non allenate ad apprezzare... PRESIDENTE. Per capirci, senatore De Matteo: questo processo dovrebbe riguardare però tutte le organizzazioni, perché il pari livello di smantellamento è in tutte le organizzazioni. ALDO DE MATTEO. Sì. PRESIDENTE. Lo dico per capirci, perché lei faceva riferimento solo ad un'organizzazione. Se facciamo riferimento a tutte forse questo quadro risulta più chiaro. ALDO DE MATTEO. Certo. Ho posto il problema solo per accertare se vi sia un approfondimento, oppure se la materia sia stata messa da parte rispetto invece ad altri risultati che sono straordinari. La terza considerazione che intendo svolgere riguarda i collaboratori di giustizia, tema delicatissimo del quale credo però si debba parlare nel modo giusto. Siamo ormai di fronte ad un nucleo di oltre 400 collaboratori (tale cifra ci è stata riferita questa mattina; io ero rimasto al dato di 384 collaboratori riportato dagli ultimi rapporti). A questo proposito vorrei richiamare un problema politico di carattere generale, consapevole come tutti noi della difficile fase di transizione che viviamo, nella quale credo sia necessario introdurre tutti gli elementi di chiarezza possibili, proprio a partire dall'utilità dei collaboratori rispetto agli obiettivi che perseguiamo per combattere la mafia. Vengono spesso richiamate differenze che vi sarebbero nell'utilizzo dei pentiti rispetto a quanto avviene in altri ordinamenti e si fa riferimento agli Stati Uniti d'America, affermando che in quel paese i pentiti vengono diversamente impiegati. Un elemento di questa differenziazione, spesso esplicitato, riguarda il resoconto, la confessione del pentito che negli Stati Uniti sarebbe resa in un'unica soluzione, mentre nel nostro paese avverrebbe a seconda delle "dosi" necessarie. Si tratta, a mio avviso, di un ragionamento molto pericoloso, perché si rischia di indurre nell'opinione pubblica la convinzione che possono esservi trame nelle trame che si vogliono combattere. Ciò sarebbe estremamente dannoso per la democrazia. Mi chiedo allora se sia possibile una trasparenza sulle modalità di utilizzo dei pentiti, sui codici, sui criteri, in modo da sgombrare il campo da tutta una serie di elementi che rischiano di inquinare un importante strumento che in questa fase stiamo utilizzando in modo molto efficace. L'ultima osservazione riguarda il generale Federici. Sono soddisfatto delle novità delle presenze: quando penso però ad una stazione dei carabinieri aperta part-time , anche se la durata del servizio passa dalle otto alle dodici ore, la considerazione che magari dalle 20 della sera fino alle 8 della mattina quella stazione dei carabinieri è chiusa - o, come spesso accade, è funzionante una segreteria telefonica - fa sorgere qualche perplessità. Occorrerebbero dunque un piano, un'accelerazione, i sacrifici necessari per arrivare a presenze che non siano soltanto burocratiche, ma risultino significative ed incisive in considerazione dei fenomeni che si vogliono combattere. FERDINANDO IMPOSIMATO. Desidero rivolgere un ringraziamento ed un saluto al capo della polizia, ai comandanti dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza ed al mio amico, dottor Di Gennaro. Vorrei arrivare subito al cuore del problema, che riguarda in particolare le stragi. Non intendo pormi il problema di stabilire se queste stragi siano destabilizzanti o stabilizzanti, ma vorrei sapere se sia possibile prevederle e prevenirle. In particolare, mi riferisco a quanto hanno più volte affermato i responsabili del dicastero dell'interno, a partire dal ministro Scotti, circa la possibile consumazione di stragi. Ricordo che il ministro Scotti parlò appunto di una strategia della tensione che si sarebbe risolta nella Pag.2052 consumazione di una serie di stragi. Mi sembra anche di rammentare che alcune delle notizie provenivano da Ciolini il quale, come è noto, è collegato con la strategia della tensione e che sono state preparate da parte della mafia stragi in danno di Di Pietro, Vigna e Caselli (mi sembra che un attentato mirasse addirittura a far saltare il palazzo di giustizia di Palermo). Vi è dunque una serie di fatti che hanno preceduto le ultime stragi. Mi chiedo allora se, sommando tutti i segnali precedenti - che non sono di ordine logico, ma storico -, sia possibile offrire un quadro più preciso non solo delle matrici, diciamo così, in astratto, ma in concreto delle responsabilità degli organizzatori delle stragi stesse, tenendo presente appunto che Ciolini parlò delle azioni di Cosa nostra contro istituzioni, uomini politici e personaggi del mondo giudiziario. Vorrei anche sapere se si possa ritenere che l'obiettivo di queste stragi sia stato non solo quello di creare una spaccatura tra il mondo istituzionale - cioè la polizia e la magistratura - e l'opinione pubblica, perché, in realtà, si vorrebbe che l'opinione pubblica ritenesse causa, sia pur indiretta, di queste stragi i magistrati impegnati nelle inchieste "mani pulite" contro la mafia. Ciò perché il perdurare di queste inchieste può provocare come reazione la consumazione di stragi di questa portata. Vorrei sapere, inoltre, quale sia stato e quale sia il ruolo dei mafiosi arrestati rispetto alle stragi. Visitando le carceri, con il gruppo di lavoro che si occupa della materia, ho avuto la sgradevole sensazione di percepire un certo lassismo dello Stato rispetto alla gestione dei mafiosi e dei camorristi i quali, anziché essere isolati ed internati in istituti di massima sicurezza dove possono essere più facilmente controllati, per una ragione o per l'altra continuano a girare per l'Italia e secondo me hanno ancora oggi il potere di intervenire e di dare ordini che possono incidere sulla consumazione delle stragi. Infine, vorrei chiedere al capo della polizia, ai comandanti dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza e al dottor De Gennaro se possano fornirci un quadro preciso di tutti i fatti di strage che si sono verificati negli ultimi anni, in particolare di quegli episodi che si riferiscono alla preparazione di stragi che non sono state consumate, in modo da avere una visione unitaria. Non possiamo fermarci, infatti, soltanto alla riflessione su quanto è accaduto, ma dobbiamo cercare, purtroppo, di fare una previsione su quello che potrà verificarsi. Su questo punto, ripeto, credo sia necessario avere un'idea: la strategia delle stragi, in sostanza, continuerà - come io purtroppo temo - oppure assisteremo alla sua stasi? PRESIDENTE. La parola all'onorevole Tripodi. E' poi iscritto a parlare l'onorevole Ayala che però credo abbia di fatto rinunciato (Interruzione del deputato Mastella) . ERMINIO ENZO BOSO. Mi difendo da solo, onorevole Mastella, non ho bisogno di avvocati! Non mi serve il burattinaio! PRESIDENTE. Su questo non abbiamo dubbi, senatore Boso. GIROLAMO TRIPODI. Desidero anch'io esprimere il più sincero apprezzamento alla polizia, all'Arma dei carabinieri, alla Guardia di finanza e alla DIA per gli eccezionali risultati conseguiti con la cattura di pericolosi latitanti, anche se mi domando anch'io per quale motivo quanto è avvenuto adesso non si sia verificato in passato, quando tutti denunciavamo che i latitanti rimanevano sul posto, dove passeggiavano, dominavano e decidevano. Del resto è clamoroso e scandaloso il fatto che Mammoliti, che mi pare sia stato citato, si è sposato in una chiesa distante cinquanta metri dalla caserma dei carabinieri ed abbia avuto anche molti figli sebbene fosse latitante; cito questo ma potrei citare tanti altri Pag.2053 casi. Ecco dunque l'interrogativo che la gente si pone e al quale bisogna dare una risposta. Vorrei poi fare un'altra osservazione, attinente alla precedente. Nonostante i risultati raggiunti, non credo che qualcuno si possa convincere che ci troviamo ormai di fronte ad una imminente sconfitta dell'organizzazione criminale mafiosa: su questo dobbiamo essere molto chiari perché la mafia è presente, è organizzata e controlla ancora il territorio nelle zone in cui dominava, anche se ha subìto colpi molto pesanti. La più importante questione che mi pare questa mattina sia stata posta concerne gli attentati di Roma e di Firenze. Non mi convince - me lo consentano i nostri illustri interlocutori - la versione che è stata data, cioè quella secondo la quale questi attentati sono stati effettuati dalla mafia che si prepara ad assaltare il "palazzo d'inverno", cioè lo Stato. Non ne sono convinto perché questa analisi sarebbe a mio avviso molto limitata in quanto la mafia non poteva colpire Firenze e Roma senza avere collegamenti con altre forze; la mafia, infatti, è forte laddove ha un'ambiente favorevole. Credo pertanto che questa analisi sia lontana dalla realtà. Bisogna allora considerare se vi siano stati o vi possano essere collegamenti con servizi deviati, del resto questi fatti si sono verificati, come dimostrano le vicende degli ultimi tempi (vi sono persone appartenenti ai servizi segreti che oggi sono inquisite per rapporti con la mafia). Del resto neanche le stragi di Capaci e di via D'Amelio sono convinto che siano state organizzate soltanto dalla mafia: anche in quei casi il fatto che non si scopra ancora niente e neppure i pentiti dicano chi sono stati i mandanti e gli esecutori è la dimostrazione di una grande debolezza e di una situazione molto più oscura e complicata. A Firenze vi è stata non solo la cattura dei mafiosi ma anche l'individuazione di rapporti precisi tra mafia e massoneria. Questo, quindi, può essere un altro elemento da valutare, ed altri ancora possono essere i rapporti con i servizi; la questione, comunque, va approfondita. Non so in che modo potete stabilire che questi attentati mirano a destabilizzare. Personalmente non sono di questo avviso, ritengo semmai che la mafia vuole impedire il cambiamento dell'assetto istituzionale e politico. E' questo uno dei punti fondamentali: la mafia, assieme alle altre forze che con essa collaborano, vuole stabilizzare. Vorrei infine porre la questione delle scorte. Il capo della polizia ha affermato che vi sono 3.608 agenti addetti alle misure di sicurezza, di scorta a politici, funzionari, magistrati. Innanzitutto vorrei sapere come avvenga la scelta per l'assegnazione della scorta. Si dice poi, dottor Parisi, che Licio Gelli sia superscortato. Perché un uomo che in questi giorni viene processato a Palmi per collegamenti con la criminalità organizzata nel processo Pesci di Rosarno, ha una scorta, mentre altri che dovrebbero avere qualche tutela, magari quelli che sono in prima linea nella lotta contro la mafia, ne sono privi? Vorrei sapere per quali meriti, se è vero, Licio Gelli abbia diritto a questa tutela, e chi l'abbia decisa. Per concludere, in merito ai collegamenti con la politica, vorrei sapere se in queste ultime elezioni abbiate avuto modo di accertare l'impegno della mafia verso forze politiche e se si sia trattato delle forze tradizionali. Vorrei sapere, per esempio, come si è comportata la mafia a Taurianova, dove è stato sciolto un consiglio comunale per mafia, dove si è votato e vi sono stati tanti camuffamenti. PRESIDENTE. Come sono andate le elezioni a Taurianova? MARIO CLEMENTE MASTELLA. La DC ha perso punti, quindi... GIROLAMO TRIPODI. No, non ha perso niente perché il candidato della DC è il primo in ballottaggio ed è, caro Mastella, uno degli inquisiti per reati contro il patrimonio che faceva parte della vecchia giunta. Questo è molto grave. Pag.2054 PRESIDENTE. Vi prego, colleghi. GIROLAMO TRIPODI. Mi scusi, signor Presidente, ho soltanto risposto all'interruzione dell'onorevole Mastella. Il comandante generale della Guardia di finanza ha affermato che viene svolta particolarmente un'azione contro gli evasori fiscali. Al riguardo, se possibile, vorrei avere qualche notizia in ordine all'individuazione dell'evasione fiscale da parte delle cosche mafiose o dei prestanome ad esse collegati. ERMINIO ENZO BOSO. Vorrei partire da una delle ultime questioni poste dal collega Tripodi. Si è parlato di oltre 3 mila agenti di scorta a politici che a volte hanno anche caratteristiche delinquenziali. Io credo che basterebbe un carabiniere o un poliziotto del centro sportivo per scortarli e non i 9 o 10 agenti che accompagnano questi personaggi e le loro famiglie dalle loro abitazioni, dalle loro ville, a Roma. Da quanto ne so, vengono impiegati anche agenti della Guardia di finanza per proteggere persone come la figlia di Moro che non vedo per quale motivo debba essere scortata dai carabinieri sotto casa e dalla Guardia di finanza che l'accompagna a fare la spesa. Sarebbe l'ora che questi agenti, anche ripiegando sul discorso dei comandi stazione citofonici, vengano recuperati ed utilizzati correttamente nella società. Mi lascia poi perplesso il fatto che non si sia parlato del cosiddetto decreto Conso, che scadrà domenica, il quale permette ai carabinieri e agli agenti della Guardia di finanza e della polizia di Stato di arrestare gli extracomunitari clandestini, i delinquenti ed espellerli direttamente dal territorio. Si guarda sempre ai quadri alti, dove si può gestire un certo tipo di politica, ma molti di voi si dimenticano facilmente dove veramente operano gli agenti o se ne ricordano soltanto al momento dei funerali di Stato, per le connivenze politico-mafiose di coloro da cui siamo amministrati. Vorrei rivolgere una domanda in particolare al dottor Parisi: sul suo tavolo sono mai arrivate notizie di indagini sulle falangi armate? Ha mai esaminato il decreto voluto per i naziskin e quanta pericolosità viene imputata ai cittadini nazionali in difesa degli extracomunitari, anche quando questi ultimi diventano delinquenti, anche quando fanno parte di quei gruppi di contrabbando della droga, della delinquenza organizzata, di avvicinamento alla mafia? Forse si deve soltanto combattere la delinquenza locale, ma dovrei richiamare anche a lei il fatto che a luglio scadrà il decreto per la riorganizzazione del corpo della pubblica sicurezza, di cui qui non si è fatto parola. Ci sono uomini che all'interno del corpo al quale appartengono vivono nel malessere e ciò si ripercuote anche nei servizi che effettuano. Uomini che si lamentano di questa condizione sociale all'interno del proprio corpo e poi devono fare quello che si sta facendo all'esterno. Oltre al servizio c'è anche il malessere all'interno. Dottor Parisi, la richiamo anche come responsabile ... ALTERO MATTEOLI. Lo richiama all'ordine! ERMINIO ENZO BOSO. Parlo come voglio io, tu fai la tua parte! Io dico quello che voglio! (Commenti) . Il dottor Parisi ha difeso la figura di Contrada, che oggi è stato riconosciuto uno dei collettori della mafia, da quel che si dice. Quindi, dottor Parisi, vorrei veramente sapere se lei non ne sapeva niente, perché mi sembra veramente pericoloso che all'interno dei servizi, da dove lei proviene, un responsabile come Contrada abbia avuto collegamenti, sia stato garante della mafia. Come ricordava poco fa il collega Tripodi, non si sente più parlare di riaprire l'indagine sulla massoneria, di poter reincriminare Gelli. Quali sono stati i medici che hanno certificato che Gelli sarebbe morto entro 90 giorni, per cui doveva essere scarcerato? Quali sono stati quei giudici creduloni, secondo i quali Gelli avrebbe dovuto morire sei Pag.2055 anni fa e invece ancora gira, dal mare alle Dolomiti, scortato da quegli agenti che dovrebbero difendere la comunità da questi soggetti? E' questo che mi fa paura. Qua dentro si sente da parte vostra fare macropolitica, che è una cosa pericolosa. Invece dovreste darci i riscontri che chiedo. Perché questi giudici e questi dottori stanno ancora esercitando? Perché Gelli, se stiamo a questo punto, è stato protetto. E' stato protetto da responsabili della medicina (gente che deve curare), da giudici, dai servizi, da forze dello Stato che dovrebbero garantire la cittadinanza. E lei, dottor Parisi, che da quello che si sente dovrebbe aspirare a diventare il nuovo collettore della lotta alla criminalità, in qualità di segretario generale delle forze di polizia incorporate secondo l'indirizzo della Comunità europea, ci fa trovare di fronte a queste condizioni? Questo, come cittadino, mi fa veramente paura! Poiché abbiamo queste indicazioni, le chiedo: dove andremo a finire se a lei stesso, che dovrebbe coordinare, sfuggono queste situazioni in casa sua? E' questo che mi fa paura! Ecco perché le chiedo e voglio sapere chi siano i responsabili. Gelli doveva morire: chi l'ha messo in libertà? Da chi è protetto? Dal Ministero dell'interno, dal Ministero delle finanze, dalla Banca d'Italia? Chi è che garantisce quest'uomo, che è collettore di grossi atti delinquenziali? Se all'interno dei suoi servizi... Lei, dottor Parisi, proveniva dal SISDE e dal SISDE è rientrato Contrada. Chi pilota questi funzionari, chi li mette in condizione di controllare? Questo io voglio sapere. Mio nonno diceva sempre: il pesce puzza dalla testa. MICHELE FLORINO. Desidero porre una domanda che già hanno formulato altri colleghi ma forse con più brutalità, poiché ho qui con me una rassegna di stampa, anche vecchia, degli allarmi lanciati dall'ex ministro dell'interno Scotti, dall'attuale ministro dell'interno Mancino e dallo stesso presidente della Commissione antimafia Violante sulle ipotesi di attentati; ipotesi di attentati che, come è evidente da queste dichiarazioni, partono da lontano. In considerazione di ciò che questi hanno dichiarato, e che quindi hanno saputo da fonti ben informate, perché i due ministri dell'interno lasciano presumere di ricevere voci confidenziali che superano gli aspetti delle notizie che rimbalzano ogni giorno sui quotidiani, quali misure di sicurezza sono state adottate sul territorio? E' questa la prima domanda che pongo, ricordando che quelle voci erano più che un'informazione e facevano presagire stragi che poi si sono puntualmente verificate. La seconda, più che una domanda, è un'osservazione su tesi ed ipotesi che, sempre con riferimento alle stragi, sono rimbalzate in quest'aula. Non intendo polemizzare sulla questione dell'accostamento, anche perché c'è una sentenza e quindi ci inchiniamo al volere dei magistrati (mi riferisco soprattutto al rapido 904 e al fatto che si cerchi di collegare a quella strage il nostro collega, quindi elemento di destra, onorevole Abbatangelo). Lasciamo che sia l'operato dei giudici, che dovranno giudicare Abbatangelo da qui a qualche mese, a far crollare tutta la montatura; crediamo infatti che sia una montatura creata apposta per coinvolgere l'amico di destra Abbatangelo, che certamente è molto lontano da questo tipo di pensiero, non solo di attività ma di pensiero, mentre il solo ricordo di una simile strage fa accapponare la pelle. Proprio perché alcuni hanno voluto dare spiegazioni e suggerimenti - qui abbiamo eminenti uomini che lottano contro la mafia e la delinquenza organizzata - vorrei però ricordare alcune ipotesi. La mafia, la camorra ed altre associazioni similari ormai hanno consolidato il sistema economico e finanziario nelle aree ad alta densità criminale e in relazione a tale sistema sta emergendo tutta una serie di collegamenti che fanno addirittura allibire, se non saltare sulla sedia (giudici, avvocati, politici e criminali). Se questo sistema di collegamento è diventato Pag.2056 così solido nelle aree ad alta densità criminale e si sta estendendo ad altre aree, vi sembra che le associazioni criminali abbiano intenzione di sfidare lo Stato, quindi nello stesso tempo di allertarlo? Che interesse avrebbero a farlo in una situazione di fatto garantita da una serie di attività economiche che hanno tutto il sapore ed anche l'aspetto del lecito rispetto agli illeciti che vengono fuori? Perché per quanto riguarda gli illeciti poi ci pensano i giudici, che a fronte del sacrificio della Guardia di finanza e delle altre forze dell'ordine, che riescono a requisire patrimoni criminali, emanano subito l'ordinanza di derequisizione per cavilli - abbiamo letto alcune sentenze - che mettono nuovamente in piedi l'impero economico. In questa situazione mi sembra molto fragile la tesi che è prospettata qui e che qualche volta mi ha affascinato, quella cioè della mafia e della camorra che vogliono sfidare lo Stato. Perché sfidare lo Stato se sono presenti con imponenti ricchezze su tutto il territorio e soprattutto nelle aree ad alta densità criminale? Abbiamo letto in questi giorni le dichiarazioni del collaboratore Galasso: nemmeno un complesso di banche avrebbe potuto mettere insieme mille miliardi, ma l'ha potuto fare tutta una serie di attività presenti sul territorio. Ritengo, allora, che forse si debba distogliere un po' l'attenzione dagli aspetti mafiosi e criminali, perché già consolidati sul territorio, per guardare a quella che si può definire, come qualcuno ha affermato in questa sede, strategia della tensione. A chi fa comodo? Bisogna indubbiamente dare a voi il compito di accertare queste responsabilità. Ma a questo riguardo desidero focalizzare una serie di interventi che sono stati fatti in quest'aula, rappresentando un dubbio che assale l'opinione pubblica: è possibile che Riina, Pulvirenti, Santapaola, lo stesso Alfieri, Imparato a Castellammare di Stabia siano stati trovati in breve giro di tempo dopo che si era creato un mito intorno alle loro figure? Sorgono al riguardo sospetti e misteri che tocca a voi diradare. La terza ed ultima domanda concerne la camorra, che mi interessa più da vicino e che agisce in un'area ad alta densità criminale peggiore di quella di Palermo. Ho dichiarato in varie occasioni che a mio giudizio la camorra è più pericolosa di Cosa nostra, ed il presidente di recente lo ha confermato: mi fa piacere che vi sia questa nuova visione dell'evolversi delle organizzazioni criminali sul territorio. La camorra ha una funzionalità mutuante sul territorio, non ha l'efferratezza della mafia (diciamo che va avanti con il sorriso sulle labbra), però ha la capacità di assoggettare a sé tutte le attività, anche quelle lecite. E' presente sul territorio ed a Napoli ne abbiamo avuta la conferma. La situazione - e qui mi rivolgo al capo della polizia - è a dir poco disperata: rispetto al sacrificio delle forze dell'ordine, alle quali va il nostro apprezzamento, si registra una infiltrazione consistente negli apparati della polizia; emblematico è il caso, emerso in questi giorni, dei cinque agenti arrestati per riciclaggio di auto rubate, ma posso fare riferimento a tanti altri episodi inquietanti. Proprio per la situazione particolare in cui versa Napoli ed anche per la situazione di aggressione politica che tende ad allentare la presa del potere istituzionale, che è quello delle forze dell'ordine, mi rivolgo ora al comandante dei carabinieri per far presente il caso di un coraggioso maggiore che avendo combattuto senza sosta la camorra ed avendo conseguito grossi successi per l'Arma è stato inspiegabilmente trasferito alla scuola di addestramento dei giovani carabinieri di Chieti: parlo del maggiore Tommasoni. Proprio perché questo ufficiale si era dedicato alla lotta non solo alla camorra ma anche al sistema di rapporti tra politici e camorra, ho il sospetto - non la prova - che un certo potere politico agisca ed imperversi nella città di Napoli al fine di neutralizzare qualsiasi reazione dello Stato. Pag.2057 Dunque, con riferimento a quell'infiltrazione cui accennavo poco fa - mi dispiace dover segnalare queste cose - invito il capo della polizia a promuovere un'ispezione ministeriale che esamini da vicino soprattutto le vicende che hanno interessato la polizia nel napoletano. Naturalmente le mie obiezioni non riguardano il questore, che è stato nominato da poco e quindi, forse, deve ancora rendersi conto della situazione napoletana. MAURIZIO CALVI. Rivolgo innanzitutto un ringraziamento non formale ma sostanziale agli uomini ed agli apparati impegnati nel contrasto alla criminalità organizzata. Faccio una prima domanda. In tutte le fasi della storia democratica del nostro paese, quando l'incertezza del clima politico è diventata sempre più forte, la strategia della tensione ha creato le condizioni della instabilità. Sulla base di questo primo giudizio, esprimo soltanto una riserva sulle analisi compiute in relazione agli avvenimenti degli ultimi giorni e alla diversità degli obiettivi che si sono voluti conseguire. Mentre nel primo caso il giornalista rientra nella casistica degli obiettivi strategici della mafia (che comprende anche uomini che possono essere imprenditori, avvocati, magistrati), nel caso del mancato attentato e in quello di Firenze vi sono obiettivi di carattere indiscriminato, che fuoriescono dalla logica onnicomprensiva della strategia della mafia e rientrano di più in strategie che tendono ad alimentare il clima dell'insicurezza nel nostro paese, soprattutto in vista (purtroppo ho constatato che questo tipo di analisi non è ancora presente) delle elezioni del 6 giugno. Gli obiettivi (quello mancato e quello di Firenze) possono essere ricollegati a motivi di carattere politico per aumentare il regime di insicurezza e probabilmente per orientare l'elettorato italiano in maniera diversa. Vorrei capire se anche in riferimento all'obiettivo politico delle elezioni del 6 giugno si possa compiere un'analisi in considerazione della diversità degli obiettivi che possono essere collegati alle stragi, mancate e non. La seconda questione che intendo affrontare prende spunto da un elemento indicato dal dottor De Gennaro quando ha registrato un passaggio strategico da parte dello Stato nella lotta contro la mafia e contro la criminalità organizzata in genere, quando cioè ha indicato il passaggio dalla tattica alla strategia della criminalità e della mafia in particolare. Ovviamente vi è stato il passaggio conseguente alla strategia dell'azione dello Stato in relazione alla tattica e alla strategia della criminalità organizzata. Vorrei capire se sia possibile compiere analisi su questi passaggi di carattere storico e permanente, oltre che sui passaggi successivi a questa fase di strategia della tensione in relazione a possibili obiettivi della criminalità organizzata e della mafia nei prossimi mesi. Se è stato colto come elemento quello relativo alle elezioni del 6 giugno e se la strategia dovesse terminare oggi, dovremmo registrare una diversità di giudizio nei confronti di tali obiettivi. Mi chiedo se si stia compiendo un'analisi delle strategie future della mafia nel nostro paese e quali possano essere i filoni che tali strategie sottendono. Per noi è importante cogliere i momenti della grande prevenzione, il recupero della sicurezza e dell'ordine pubblico nel nostro paese, perché dobbiamo passare dalla fase della insicurezza a quella della sicurezza sociale, politica, istituzionale ed economica. Ritengo che questo sia uno dei passaggi politici che la Commissione parlamentare antimafia debba cogliere maggiormente per capire soprattutto e per prevenire fenomeni destabilizzanti o quanto meno contenere quella fase di incertezza politica che ho descritto e che, se perdurasse, potrebbe mettere in crisi la stessa democrazia del nostro paese. Probabilmente a queste domande di carattere politico avrebbe potuto rispondere il ministro dell'interno ma, sia per le responsabilità che esercitate collettivamente Pag.2058 sia per una strategia comune che avete affinato, credo che un'analisi sulle proiezioni future della strategia della criminalità di qualsiasi tendenza ed espressione possa essere compiuta per comprendere e per contenere le attuali fasi di strategia della tensione nel nostro paese. PAOLO CABRAS. Innanzitutto, vorrei rivolgere un apprezzamento sincero e non formale per le relazioni puntuali, precise, concrete e ricche di dati e di risposte ad interrogativi che avevamo ed abbiamo nutrito in questi mesi di fronte agli avvenimenti che abbiamo ricordato. Mi limiterò a tre brevi domande, la prima delle quali fa riferimento al traffico di droga e di armi e al relativo problema del riciclaggio dai paesi dell'Europa orientale. A me sembra che la situazione politica ed economica di tali paesi rappresenti un elemento importante, ma comunque sappiamo che le indagini in corso portano su questo terreno. Vorrei quindi avere qualche notizia in più sulle rotte delle armi e della droga dall'Europa orientale e, soprattutto, sui livelli di cooperazione internazionale stabiliti. A me risulta infatti che da parte dei governi e dell'opinione pubblica di questi paesi c'è un'assoluta indifferenza, c'è un assoluto silenzio su questi argomenti. Mi è accaduto di essere intervistato da un giornalista della televisione ungherese il quale si è molto sorpreso del fatto che nel suo paese non si parli di questi argomenti (a dir la verità non se ne parla molto neanche in altri paesi dell'Europa orientale). Per quanto concerne la criminalità economica (tema al quale la Commissione ha dedicato un forum a cui tutti voi avete partecipato) è da molto tempo che siamo particolarmente attenti agli intrecci, alle implicazioni, ai coinvolgimenti che banche e società di intermediazione finanziaria hanno nelle vicende non solo di riciclaggio ma anche di investimento e reinvestimento dei profitti di natura criminale. Anche oggi al riguardo sono stati fatti riferimenti e nella relazione del direttore della DIA erano contenuti alcuni nomi, in particolare quelli di Carboni e di Nicoletti. Il nome di Carboni è sicuramente significativo per gli intrecci che portano fuori dell'Italia in connessione con vicende importanti, come quella del Banco Ambrosiano e che per questo hanno una dimensione che indubbiamente indica una pista da non abbandonare. Quella di Nicoletti sembra più una vicenda legata alla criminalità nazionale, anche se lo vediamo molto mobile sul territorio nazionale, non limitato ai suoi noti rapporti di camorra a Roma, in Campania e in altre regioni d'Italia. Rimane tuttavia, almeno al nostro livello ma mi auguro che vi sia la possibilità di riempire questo vuoto, una certa carenza di informazione e conoscenza, perché credo che questa sia la strada per corrispondere alle indicazioni che oggi concordemente, dal capo della polizia e dal direttore della DIA, ci sono state date sulle forze esterne alla mafia che possono aver supportato attentati stragistici di chiara matrice mafiosa. Non credo che questo possa essere ricercato soltanto nelle direzioni più conosciute, più note, quelle che consentono un'analisi politica che ripete altri momenti della storia del paese e che fa giocare su quelle parole - stabilizzazione o destabilizzazione - in cui si impegnano tanti, secondo me con poco costrutto e poco frutto perché riecheggiano polemiche diverse, polemiche del passato; occorre invece avere maggiori conoscenze su questi intrecci, sui personaggi, sulle intermediazioni, sulla mappa dei colletti bianchi nazionali ed internazionali che stanno dietro a colossali interessi finanziari. La forza della mafia certamente sta nel suo radicamento territoriale. Sono convinto che i capi della mafia si chiamino Totò Riina e non con nomi esotici o con terzi livelli, ma sono altrettanto convinto che i prolungamenti della mafia, nazionale ed internazionale, soprattutto a livello economico, siano oggi più importanti dei mafiosi e dei boss che, per fortuna, riusciamo ad assicurare alla giustizia. Pag.2059 L'ultima domanda riguarda la Falange armata. Il capo della polizia ha fornito alcune notizie e voglio ricordare, più a me stesso che alla Commissione, che il ministro dell'interno Mancino l'ultima volta che è venuto qui ha usato espressioni allarmanti che qualcuno ha sottolineato con meraviglia ("Ma come, un ministro parla così?"). Io invece l'ho ringraziato perché finalmente ho sentito un ministro usare un linguaggio esplicito e chiamare le cose con il proprio nome. Ebbene, a proposito della Falange armata, il ministro Mancino ha dichiarato che questi comunicati vengono da uffici e da tavoli e in orari di lavoro, intendendo il riferimento di questi messaggi denominati "falange armata" come qualcosa che abbia a che vedere con attività della pubblica amministrazione o istituzionali. Ho avuto, e non da oggi, analogo sospetto. Ricordo che l'estate scorsa, quando a luglio fu trovato il famoso documento sulla procura di Palermo in cui accanto a molti depistaggi e a molte calunnie erano presenti elementi verosimili, cioè di sicura provenienza da fonti che conoscevano e sapevano in Parlamento rispetto ad altre fantasie che sempre si sprigionano in questi casi, avvertii la necessità di guardare all'interno di uffici e di amministrazioni pubbliche. Vorrei dunque sapere se qualche passo avanti sia stato compiuto o possa essere compiuto perché questa sigla sta diventando quella di una provocazione, e non vorrei che dovessimo pensare ad una provocazione troppo interna ad ambiti ed istituzioni che vogliamo difendere anche da questo tipo di intrusioni e strumentalizzazioni. PRESIDENTE. Propongo che le risposte vengano date in ordine inverso, lasciando al prefetto Parisi la parola conclusiva. Informo che nel rispondere ci si può riservare di produrre successivamente risposte scritte poiché alcune delle questioni poste esigono la consultazione di documenti. Sostituzione di un membro della Commissione. PRESIDENTE. Comunico che, in data 9 giugno 1993, il Presidente del Senato ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare antimafia il senatore Antonio Guerritore in sostituzione del senatore Carlo Ballesi, dimissionario. Comunicazioni del presidente. PRESIDENTE. Comunico che, a norma dell'articolo 25- decies della legge 7 agosto 1992, n. 356, l'ufficio di presidenza allargato ai capigruppo all'unanimità ha chiesto che venga designato come consulente a tempo pieno della Commissione il colonnello Castore Palmerini della Guardia di finanza. Siamo grati al generale Berlenghi per aver messo a disposizione della Commissione un ufficiale di altissime qualità professionali. Si riprende la discussione. PRESIDENTE. Ha facoltà di rispondere il dottor De Gennaro. GIANNI DE GENNARO, Direttore della direzione investigativa antimafia . Cercherò di essere breve e di soffermarmi su quei due o tre aspetti che possono essere direttamente correlati alla precedente relazione. Partirò dall'osservazione del senatore Calvi sulla diversità degli obiettivi per ricordare che nel mio intervento ho indicato con sufficiente certezza e continuità logica le successioni dei delitti Capaci, via D'Amelio, via Fauro, esprimendo un minimo di riserva sull'attentato di Firenze proprio perché sembra esserci un obiettivo non definito, anche se tale poteva essere considerata la strage al treno n. 904, per la quale vi è una sentenza passata in giudicato. Circa la tattica e la strategia da seguire, finora nelle analisi via via svolte si è notata una conseguenzialità di azioni criminose e forse un'unicità di disegno Pag.2060 criminoso, certamente con riferimento fino a Firenze. L'analisi politica, ovviamente, non spetta a noi tecnici e non mi permetto di avventurarmi su questo tema. Per quanto riguarda la domanda che poneva il senatore Florino sulla situazione garantita (perché gli attentati?), credo che proprio per mantenere lo status quo ci sia questa azione statuale, istituzionale, pesante, precisa e convergente che mette in difficoltà notevolissima le organizzazioni criminali. Quell'obiettivo può essere di interromperla soprattutto nel modo che mi sono permesso di accennare prima, cioè quello di togliere all'azione degli organismi istituzionali un consenso che è importantissimo per portare avanti un'azione puntuale. L'onorevole Mastella ha posto una domanda circa la presenza di una donna nel commando. Mi pare che al riguardo vi siano ancora indagini in corso di cui è opportuno aspettare l'esito. Comunque, con riferimento ai collegamenti internazionali, certamente questi esistono e sono comprovati da attività investigative precise e puntuali. Il capo della polizia ha ricordato soltanto le più importanti azioni investigative che hanno messo in luce chiaramente i collegamenti internazionali (gli interessi possono essere comuni ad organizzazioni criminali che operano fra di loro) e un'azione investigativa che può essere sviluppata al riguardo. Su altri argomenti specifici mi riservo di rispondere in un secondo momento. COSTANTINO BERLENGHI, Comandante generale della Guardia di finanza. Rispondendo alle domande che riguardano direttamente la Guardia di finanza, affronterò in primo luogo il problema del riciclaggio, quindi quello dell'eventuale insufficienza delle disponibilità del corpo; in proposito sono intervenuti gli onorevoli Galasso e Brutti. Per il riciclaggio, aspetti fondamentali sono la criminalizzazione degli investimenti illeciti, il riordino e la razionalizzazione dei sistemi di intermediazione finanziaria, l'acquisizione coatta dei profitti illeciti. La normativa vigente è valida ed anzi potrebbe essere definita di avanguardia; non è però sufficiente a contrastare il fenomeno: siamo all'avanguardia ma non troviamo riscontro sul piano internazionale in misura adeguata; al di fuori del nostro paese, quello del riciclaggio è un problema che non merita grande attenzione. Dunque, mentre a livello internazionale occorre ricercare una omogeneizzazione ed una identica volontà di contenimento del fenomeno, sul piano interno occorrono ancora perfezionamenti. E' vero che la legge n. 197 del 1991 ha introdotto per la prima volta in Italia, come già in vigore in Inghilterra, la collaborazione degli intermediari finanziari, prevedendo l'obbligo di segnalare al questore, e quindi al nucleo speciale di polizia valutaria, le operazioni soggette a riciclaggio. E' però altrettanto vero che sono necessari perfezionamenti che dovrebbero riguardare soprattutto la miglior disciplina della segnalazione dei casi sospetti, oggi nell'ordine di qualche centinaio mentre in Inghilterra raggiungono il livello di migliaia, nonché una più pronunciata partecipazione del sistema finanziario. La Banca d'Italia ha emanato un decalogo di comportamento che praticamente delinea alcune fattispecie e le relative segnalazioni. Purtroppo questo intervento non è sufficiente, perché gli operatori finanziari non sempre si sentono impegnati a dare risposte; qualche volta ciò accade per paura. Sulla base di questa esperienza, la Guardia di finanza ha proposto di spersonalizzare le segnalazioni, di eliminare ogni valutazione soggettiva da parte degli operatori bancari, imponendo la segnalazione in presenza di alcuni indici, quali ad esempio lo "sconsultamento" notevole di prelevamenti e versamenti anomali, quali una serie di libretti al portatore di 19 milioni 900 mila lire l'uno. Di casi simili se ne sono verificati molti e le indagini di polizia giudiziaria, ad esempio nel settore delle tangenti, hanno verificato casi di versamenti ripetuti per tali entità, ovvero di somme cospicue non segnalate da Pag.2061 parte delle banche; in quest'ultimo caso i responsabili saranno sottoposti a procedimenti penali. Sempre in materia di riciclaggio, vorrei dire al senatore Brutti che il Corpo sul fenomeno ha predisposto una relazione nella quale vengono indicate le cause, le connessioni, le tecniche e le strategie operative. Tale relazione, che è stata inviata al presidente Violante a metà aprile, al ministro di grazia e giustizia ed ai vertici delle forze di polizia, nonché alla Banca d'Italia, potrebbe essere oggetto di ulteriori approfondimenti e ci riserviamo di aggiornarla continuamente con i dati più recenti. Per quanto riguarda l'insufficienza delle forze disponibili, non credo che la Guardia di finanzia soffra di particolari carenze. In questo momento gli uomini sono circa 60.500; gli organici prevedono, in base al cosiddetto pacchetto-Scotti, che nei prossimi anni la cifra possa arrivare fino a 66.256 uomini. Le attuali carenze rispetto agli organici del futuro sono di circa 300 ufficiali e di circa un migliaio di finanzieri (non molto rilevanti), ma soprattutto di 4 mila sottufficiali, la cui carenza in particolare è dovuta alla mancanza di scuole di reclutamento. Ne avevamo una a Cuneo ed una ad Ostia; mentre quella dell'Aquila, che ha la capienza di un battaglione di 1.350 uomini ed eventualmente di un secondo battaglione allievi (oltre 400 unità provenienti dagli appuntati e dai finanzieri), è in fase di realizzazione. Una volta ultimato il progetto, per il quale sono necessari 170 miliardi, riusciremo a migliorare il reclutamento del personale e a riorganizzare le altre scuole, elevando il livello, già valido, dei nostri uomini. Relativamente al traffico di armi ed all'evasione fiscale da parte delle cosche mafiose, l'intervento della Guardia di finanza è illustrato nella relazione; per mia carenza, non ne ho parlato nel corso dell'intervento svolto poc'anzi ed anche ora per brevità rinvio a quella relazione. I risultati raggiunti sono di una certa validità. In proposito vorrei dire che non siamo affatto convinti di aver raggiunto risultati di altissimo rilievo al punto tale da considerare che la criminalità mafiosa sia stata sconfitta. Anzi, siamo determinati a continuare perché forse siamo solo all'inizio di un'attività che tutte le forze di polizia devono perseguire fino al raggiungimento di risultati ancora più validi. Il senatore Boso mi ha chiesto informazioni sulla tutela che la Guardia di finanza esercita nei confronti della signora Maria Fida Moro. Si tratta di un compito oneroso che ci è stato attribuito e che in quanto tale espletiamo: non siamo noi a decidere. Credo che la decisione sia stata assunta del comitato provinciale dell'ordine della sicurezza pubblica; potrà essere più chiaro di me il prefetto Parisi, anche perché mi risulta che il ministro dell'interno abbia deciso che il caso deve essere rivisto. Le armi e la droga sono argomenti oggetto della relazione, per cui rinvio a questa per quanto concerne le domande poste dal senatore Cabras. Quanto alle società di intermediazione finanziaria, mi riservo di fornire ulteriori elementi. Come già ho detto nel corso di altre riunioni, le forze di polizia devono controllare una enorme quantità di soggetti, poiché le società di intermediazione finanziaria sono nell'ordine delle 23-24 mila, una cifra che arriva a 90 mila se si calcolano anche le società atipiche. La Guardia di finanza ha sperimentato un intervento di contrasto che poi è stato esteso a tutto il territorio nazionale alla fine del 1991. Praticamente, ho deciso di far dividere le società in quattro fasce, la prima delle quali comprendente le società tradizionali, che non hanno rilievo se non ai fini di carattere fiscale, mentre le altre tre comprendono società che, per la presenza di operatori implicati in fenomeno mafiosi o camorristici, devono essere controllate con maggiore determinazione; i controlli sono più pressanti a seconda della fascia. A tale proposito, la normativa vigente consente ampie facoltà di intervento alla Guardia di finanza ed alle altre forze di polizia, che sono tutte molto sensibili al problema. Ciò non Pag.2062 toglie che il dio denaro sia l'elemento motore della criminalità e quindi ci dia grandi preoccupazioni. Non siamo affatto convinti di aver raggiunto risultati determinanti. PRESIDENTE. Ringrazio il generale Berlenghi per la completezza della sua replica. Vorrei chiedere al dottor De Gennaro un chiarimento circa la figura di Ganci. GIANNI DE GENNARO, Direttore della direzione investigativa antimafia. L'operazione relativa a Raffaele Ganci rappresenta uno dei risultati maggiori raggiunti negli ultimi tempi. Questo soggetto appartiene ad una famiglia mafiosa che dovrebbe essere capeggiata da Mariano Troia, nella zona di Capaci. Dalle indagini svolte nell'ultimo anno sia dalla polizia di Stato sia dall'Arma dei carabinieri, è emerso che tale personaggio è tra i più vicini a Salvatore Riina, direttamente impegnato nell'esecuzione delle sue direttive criminali. Ritengo perciò che le azioni investigative su tale soggetto siano state di valenza eccezionale. LUIGI FEDERICI, Comandante generale dell'Arma dei carabinieri . Risponderò su quattro argomenti di mia stretta competenza: il primo riguarda la gravitazione dell'Arma dei carabinieri sul territorio; il secondo la collaborazione dei servizi; il terzo l'episodio del mancato attentato di via dei Sabini; il quarto l'impiego ed il reimpiego di ufficiali preposti all'attività investigativa. Quanto al primo argomento, la costituzione di nuovi presidi riguarda soprattutto le aree periferiche dei grandi centri urbani. Ne fa fede l'istituzione di 36 nuove stazioni e di 20 nuovi comandi di compagnia, nonché l'intendimento di passare almeno il 50 per cento delle stazioni dalla prima alla seconda fascia. In particolare, per quanto riguarda la compagnia di Palermo-Brancaccio, la decisione è stata assunta dopo forti richieste delle autorità amministrative locali, d'intesa con la polizia di Stato; il provvedimento, rimasto fermo per indisponibilità di infrastrutture, è in condizione di diventare operativo entro l'anno. In merito all'esistenza di stazioni di carabinieri, l'ansiosa ricerca è di renderle operative 24 ore su 24. Le recenti conquiste sociali e l'introduzione del lavoro straordinario, nonché la riduzione delle ore lavorative a sei giornaliere hanno di fatto quadruplicato le esigenze. Ecco il motivo per cui l'operatività delle stazioni è stata condizionata. Se volessimo trasformarle tutte in stazioni di terza fascia, avremmo bisogno di un incremento organico di oltre 10 mila uomini. Stiamo perciò cercando di risparmiare il possibile, per rinforzare le stazioni. Il primo obiettivo è quello di eliminare quelle di prima fascia e di limitare la presenza sul territorio a quelle di seconda e terza fascia. Oggi, su circa 5 mila stazioni, il 57 per cento è di prima fascia, il 19 per cento è di seconda e solo il 24 per cento di terza. Per quanto riguarda la collaborazione con il SISMI e il SISDE, preciso che le più recenti operazioni contro la criminalità organizzata e contro il traffico di armi e droga sono state conseguite proprio grazie a tale collaborazione. In particolare, la cattura di Pulvirenti è stata realizzata grazie all'impiego oculato di personale e di mezzi, nonché di apparecchiature sofisticate fornite dal SISMI. Aggiungo che le ultime requisizioni di armi e di droga sono state ottenute grazie alla continua ed efficace attività del SISDE. Si tratta quindi di una cooperazione e di una collaborazione abituale che sta dando i suoi frutti. Per quanto riguarda il mancato attentato di via dei Sabini, devo dire che il fatto è ancora all'attenzione dell'autorità giudiziaria, quindi tutelato da segreto istruttorio. Tuttavia, quando si parla di collaborante, si intende una fonte, non un pentito; si tratta in pratica di un individuo che avrebbe assistito ad un colloquio avvenuto in un locale pubblico vicino Roma. Questa fonte in questo momento è al vaglio dell'autorità giudiziaria. Pag.2063 PRESIDENTE. E' una fonte accidentale? LUIGI FEDERICI, Comandante generale dell'Arma dei carabinieri. Si tratta di una fonte accidentale e questo ci fa ancora meglio sperare, come ella può ben capire. Per quanto riguarda infine l'impiego e il reimpiego degli ufficiali preposti alle attività investigative, devo dire che quotidianamente ricevo stimoli dall'autorità giudiziaria affinché determinati ufficiali dei carabinieri mantengano il loro incarico di investigatori. Mi riferisco in particolare alla richiesta poc'anzi avanzata sul reimpiego del maggiore Tommasoni. Devo però sottolineare che questi ufficiali e sottufficiali sono non solo investigatori ma anche dei comandanti e quindi hanno bisogno di completare il loro iter formativo che è multiforme e che richiede periodi di impiego in altre attività operative dell'Arma. Proprio per il fatto che esistono dei vincoli imposti dalla legge circa i periodi di comando per l'avanzamento, è indubbio che non è sempre facile conciliare le diverse esigenze. Allora dobbiamo cercare di contemperare le esigenze della DIA, quelle del ROS e quelle dell'attività investigativa territoriale per soddisfare le singole esigenze dell'Arma dei carabinieri territoriale, della formazione del personale e degli organi come la DIA ed il ROS. PRESIDENTE. Credo che alla Commissione interessi cogliere un aspetto della sua relazione. Il potenziamento della presenza dell'Arma sul territorio segue criteri di differenziazione tra aree metropolitane e non? LUIGI FEDERICI, Comandante generale dell'Arma dei carabinieri . Direi di sì. Come ho detto, il fatto che costituiamo già quest'anno trentasei nuove stazioni in piccoli centri, testimonia la volontà dell'Arma dei carabinieri di essere presente soprattutto nella periferia, senza però rinunciare ad una presenza nei centri urbani, secondo una filosofia già concordata in passato con la polizia di Stato. VINCENZO PARISI, Capo della polizia . Signor presidente, desidero ringraziarla per l'eccellente opportunità che ha voluto offrirci di parlare dei temi del nostro lavoro ed anche del reticolo delle attività di prevenzione. Sono convinto che il materiale prodotto e consultato dai componenti la Commissione potrà far superare ogni incertezza in merito all'esigenza di tutelare la comunità nazionale da insidie come quelle recentemente manifestatesi. Il problema Cosa nostra si lega ad una vera e propria internazionalizzazione del crimine. Quello che ha detto prima l'onorevole Galasso in ordine alle aree del riciclaggio ed ai potentati economici retrostanti, è un dato di fatto. E' vero che esiste una milizia che si chiama Cosa nostra, che poi è un'azienda che produce ricchezza attraverso i vari traffici di droga, di armi, di valuta, i diversi investimenti che effettua, ma alla base di tutto ci sono centri di grande convergenza, poli in cui si concentrano queste ricchezze, che rappresentano certamente strutture a livello sovranazionale con poteri sempre più vasti. Il centro delle attività di Cosa nostra è Palermo, però sicuramente vi è una tendenza alla irradiazione periferica del fenomeno per effetto anche del mutamento delle rotte della droga. Pertanto, invece di aversi, come una volta, una concentrazione tutta orientata verso la Sicilia ed alcune aree meridionali con irradiazione in altre parti d'Italia, ora si registra un alleggerimento della presenza di criminali mafiosi in Sicilia ed una loro proiezione verso altre aree geografiche. Nella mia relazione ho allegato un documento concernente la penetrazione ad est della mafia. Ecco allora che si colgono i primi sintomi di una vera e propria comunicazione tra mafia italiana, mafia russa, mafia turca, eccetera, e ciò dimostra che la situazione è mutata. E' vero che Cosa nostra è forte, però indubbiamente gli assetti tendono a determinare Pag.2064 anche centri periferici di potere: più si allontanano e si irradiano in altri paesi, più è immaginabile individuare un distacco dalla casa madre, con il rischio di contaminazioni sempre più vaste di altre aree e di alleggerimento delle aree originali. Il nostro ruolo rispetto alla lotta al crimine organizzato mafioso, ai traffici di droga ed al riciclaggio è non solo esemplare per tutti ma anche in grado di mettere in difficoltà i governi; e noi ci accorgiamo, nel confronto con gli altri, di rappresentare un esempio che è difficile emulare e che infastidisce e qualche volta mette in difficoltà gli interlocutori. Con la caduta del muro di Berlino e il venir meno della monoliticità degli assetti individuabili in due grandi raggruppamenti di Stati, si è determinata una frammentazione a livello non soltanto di Stati, che si sono sfaldati ed allontanati l'uno dall'altro, ma anche di strutture al loro interno, che si sono frammentate nella ricerca di nuovi assetti. Non era immaginabile che tutto questo si producesse senza che si trasferisse nel sociale dai settori istituzionali a quelli antistituzionali. E quindi è evidente che oggi porre tout cout il problema se l'attentato stabilizzi o destabilizzi significa non tener conto che gli attentati hanno il preciso effetto di bloccare, di intimidire, di portare messaggi perentori. Infatti, se è vero che un episodio isolato può determinare una qualche destabilizzazione, è anche vero che una serie di episodi, che diffondono l'insicurezza di cui parlava poc'anzi il senatore Cappuzzo, producono l'effetto di far crescere l'allarme sociale e la sfiducia nelle istituzioni e nelle loro capacità di tenuta. Il che certamente non produce effetti stabilizzanti. La nostra società è rimasta ancora legata alla tradizione anche se inserita nel mondo post-industriale e post-moderno e non coglie i prezzi che purtroppo si pagano. Noi viviamo le nostre bombe ed i nostri danni, ma bombe e danni vi sono anche in altri paesi. Ciò non per giustificare le nostre bombe che certamente sono peggiori di quelle degli altri paesi in quanto tendono a condizionare uno Stato nel momento in cui vuol fare pulizia. Qui viene lo stesso tipo di risposta al perché tale pulizia non sia fatta prima: perché la monoliticità precedente bloccava. Non è che bloccasse perché vi era un input politico al capo della polizia o ai comandanti dell'Arma dei carabinieri o della Guardia di finanza di non fare qualcosa: nessuno si permetterebbe mai di dare input del genere ed il senatore Cappuzzo, che è stato comandante dell'Arma, sa bene che nessuno ha dato input del genere. Però di fatto vi era un assetto sociale così radicato che il controllo del territorio non era delle forze dell'ordine, quindi dello Stato, bensì della controparte mafiosa e paramafiosa. Devo dire che questa sensazione l'ho avvertita piuttosto lungamente ed intensamente per un primo periodo. Il controllo del territorio deve essere innanzitutto informativo. Non è tanto importante il presidio fisico, quanto quello informativo e quindi è chiaro che il boss dominus da un punto di vista informativo poteva stare tranquillo perché l'ambiente non consentiva di passare informazioni. Anche noi eravamo meno attrezzati di adesso, meno organizzati, meno abili. Gli arresti di ieri sono avvenuti per effetto di un'azione di intelligence nel senso che ci si è arrivati con mezzi tecnici, senza confidenti, senza pentiti, senza spendita di pubblico denaro: un'operazione normale. Certamente una volta questo tipo di operazione non era facilmente proponibile, non eravamo ancora abituati ed educati a ciò. Diciamo anche che il Parlamento ci ha dato una mano consentendoci di operare in una maniera non del tutto convenzionale. Quando queste cose non si potevano fare, la nostra azione era più gracile o ci affidavamo all'eventuale intraprendenza dei servizi di informazione che avevano delle remore a penetrare, per tanti comprensibili motivi. Adesso cosa sta accadendo? Quello che è accaduto durante i tempi del terrorismo: nella prima fase non collaborava nessuno; quando hanno cominciato a Pag.2065 collaborare i pochi pentiti erano esposti a rischi gravissimi; ora collaborano in tanti. Quando nessuno parlava era difficile poter conseguire dei risultati; da quando hanno cominciato a parlare i risultati si moltiplicano: il vantaggio del pentitismo è innegabile. Noi abbiamo una serie di elementi per cui via via riusciremo a ricostruire, soprattutto per la magistratura che è impegnatissima, molti fatti della storia italiana. Si ricostruiranno molte vicende, si riuscirà a chiarire tante cose e spero che tutto sia in positivo per noi. Certamente non possono escludersi in passato infiltrazioni anche negli apparati; non voglio assolutamente rivolgere accuse ad alcuno e rifiuto la provocazione dell'onorevole Boso che voleva riportarmi a parlare di un caso ampiamente trattato. Non rimetto in discussione gli elementi che sono al vaglio della magistratura: ho già chiarito la mia posizione strettamente istituzionale che confermo e non revoco, ma senza andare oltre. Certo oggi è particolarmente importante la collaborazione dei servizi d'informazione, collaborazione di cui non ci lamentiamo. Dobbiamo però tener conto che la realtà ed il quadro storico in cui i servizi operavano ed operano, quello della legge n. 821 del 1977, è mutato, per cui si deve apprezzare il massimo impegno dei servizi, ma anche tener conto che tutta la società tende a cambiare e che le stesse insidie tendono ad evolversi verso scenari più ampi. Abbiamo avuto modo di apprezzare atti di qualificata collaborazione del SISDE e del SISMI, ai quali va rivolto un doveroso plauso. Devo però dire (possiamo fornire alla Commissione un quadro delle operazioni ispirate da atti di collaborazione, il che può dare una migliore intelligenza e comprensione della portata della collaborazione stessa) che oggi è a livello internazionale che bisogna sviluppare un'azione più solida, cercando di capire cosa accade e valutando le interazioni che attengono ad ambienti particolari della nostra società. Questo vale anche per Napoli, per ciò che si diceva. Naturalmente, il problema prospettato dal senatore Florino è alquanto esasperato, in quanto da un caso isolato vorrebbe addirittura arrivare ad una ipotesi di criminalizzazione di interi apparati. Penso che questo non sia giusto; ho il dovere istituzionale, anche in questo caso, di rifiutare quel tipo di valutazione. La Falange armata costituisce sicuramente un argomento e un motivo di riflessione. Ho detto qualcosa nel preambolo; a tale riguardo ho preparato, immaginando che potesse esserci una richiesta del genere, alcuni documenti. Lo schema è stato preparato dal personale degli uffici (il dottor Fasano cura questa materia in maniera diretta). Dallo schema riepilogativo delle comunicazioni effettuate dalla Falange armata, risulta che ci troviamo di fronte ai seguenti dati: 509 comunicazioni, 20 missive e 498 telefonate - un dato quindi rilevantissimo - 340 comunicazioni minatorie, 92 rivendicazioni, 36 proclami, 50 di altro tipo, così ripartite: 251 all'ANSA, 98 alle redazioni dei quotidiani, 28 alle carceri, 30 all'agenzia ADN Kronos, 35 alla polizia di Stato, 14 ai carabinieri, 4 all'agenzia Reuter, 58 ad altri. PRESIDENTE. Signor prefetto, esiste una sigla effettiva e seria di identificazione oppure no? Taluni hanno fatto riferimento ad un codice; vorrei sapere se si tratti di un codice serio oppure no. VINCENZO PARISI, Capo della polizia . Io penso di no. PRESIDENTE. Parlo di un codice numerico. VINCENZO PARISI, Capo della polizia . No. PRESIDENTE. Chiunque allora può telefonare a nome della Falange armata! VINCENZO PARISI, Capo della polizia . Penso che Falange armata sia una sigla Pag.2066 costruita in laboratorio, con intenti di inserimento e di manovra in ambienti di pubblico interesse. Il ministro dell'interno nel corso di una intervista a la Repubblica aveva detto che si tratta di una istituzione fantomatica: una centrale di intelligence che pratica orari di ufficio e simula una struttura burocratica; la sua attività sembra sottrarsi ai normali canoni logici. ALFREDO GALASSO. Mi scusi, quando è iniziata la sua attività? VINCENZO PARISI, Capo della polizia . Da un paio d'anni. PRESIDENTE. Da più tempo. VINCENZO PARISI, Capo della polizia . Dal 1990, dall'omicidio Mormile... PRESIDENTE. E' l'assassinio dell'educatore ad Opera. Praticamente è l'unico rivendicato! Ad Opera viene assassinato un'educatore penitenziario; la cosa importante è che nella rivendicazione si dimostra di conoscere conversazioni riservate avvenute all'interno dell'amministrazione penitenziaria. VINCENZO PARISI, Capo della polizia . Siamo all'aprile del 1990. Ci troviamo quindi di fronte a 3 anni di attività feconda, in cui si registrano 180 accenti privi di inflessione, 85 in tedesco, 6 in spagnolo, 31 in altra lingua straniera, 91 con altra inflessione e 104 la cui inflessione non viene indicata. Abbiamo l'intero elenco delle comunicazioni, in cui vengono indicate tutte le personalità minacciate o citate dalla Falange armata. I magistrati indicati sono: Dino Amato, Borrelli, Bossi, Caponnetto, Catenacci, Colombo, Cordova, Di Pietro, Guastapane, Macrì, Mancuso, Mele, Neri, Pomarici, Sapio, Vigna. Vi sono poi uomini di Governo e parlamentari; sono indicati Presidenti della Repubblica, il Presidente del Consiglio Amato, il Presidente del Senato Spadolini, ministri dell'interno, della giustizia, della difesa, delle finanze, senatori e deputati. Per i parlamentari sono indicati: Agnelli, Gualtieri, Imposimato, Andreotti, Bossi, La Malfa, Ayala, Occhetto, D'Alema, Violante, Forlani, De Mita, Segni, Cristofori, Pomicino, Casini, Craxi, De Lise, De Michelis, Formica, Manzo, Manco, D'Acquisto, Orlando, Scozzari, Vizzini, Arnone, Pagani, Pecchioli e Veltroni. Vi sono poi anche le coincidenze in cui vengono fatte queste comunicazioni. Sono poi indicati giornalisti, ambasciatori, prefetti e via dicendo. C'è poi la sequenza delle telefonate per le singole personalità, dove certamente un ruolo di spicco lo riveste il prefetto Nicolò Amato, proprio perché il settore carcerario era particolarmente preso di mira. Vi è altresì l'elenco di numerosissime altre persone, con rivendicazioni anche di attentati. Penso che la lettura di questo documento possa confermare il ruolo antistituzionale di questa fantomatica organizzazione che tende soprattutto a teorizzare la debolezza dello Stato e la sua incapacità di affrontare le situazioni. Essa dunque si inserisce in una logica frenante ed intimidatoria, perseguita peraltro da altri gruppi. Spero che con l'ausilio dei servizi di sicurezza si possa arrivare a comprendere cosa c'è realmente dietro e si possano quindi identificare questi personaggi. Naturalmente esistono poi altri problemi. L'ipotesi dei pentiti remoti, abbandonati a Paliano sarà verificata. A noi non risultano problemi pendenti... PRESIDENTE. Possiamo farle arrivare questa nota che è giunta a noi? VINCENZO PARISI, Capo della polizia . Certamente, non vi sono problemi. Spesso noi ci troviamo di fronte a sollecitazioni di pentiti che tuttavia si ripropongono senza che questi fossero mai stati trascurati. Se ci fosse stata qualche omissione, si sarebbe intervenuti senz'altro. A titolo di collaborazione, posso dire che innanzi tutto abbiamo dato un effettivo Pag.2067 carattere interforze a questo servizio, che è imminente la gestione dell'apposito fondo da parte di una commissione interforze, composta da rappresentanti delle tre istituzioni che collegialmente amministreranno il fondo. Quest'ultimo è diventato piuttosto impegnativo, e francamente né il prefetto Rossi né io ce la sentiamo di continuare a seguirlo da soli; ci sarà dunque una gestione collegiale. Si avverte altresì la necessità di una regolamentazione di questa materia per cui è già stata inoltrata al ministro dell'interno una proposta per costituire una commissione e dettare delle regole comuni per evitare squilibri. Non vi è niente di anomalo, perché tutto si sta svolgendo in maniera pienamente ortodossa: ciò servirà soltanto a dare all'attività di assistenza ai pentiti un indirizzo paritario, evitando forme di concorrenzialità ingiustificata. PRESIDENTE. Mi scusi, signor prefetto, vorrei un chiarimento sul problema di designare un gruppo ad hoc che si occupi della sicurezza diverso da quello che svolge investigazioni. VINCENZO PARISI, Capo della polizia . Stavo proprio per arrivare a questo punto. Si tratta di un problema che stiamo esaminando anche con le altre istituzioni e che presto porteremo all'attenzione del consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata per valutarne i pro e i contro tenendo conto di queste istanze. Però ciò si ricollega anche al problema delle scorte. Secondo l'ordinamento amministrativo dello Stato, vi è un rinvio tout court alle organizzazioni periferiche. Non è pensabile che siano gli organi centrali a farsi carico di valutazioni che spettano soltanto alle autorità di pubblica sicurezza e che trovano nel tavolo dei comitati provinciali dell'ordine pubblico la sede naturale. Naturalmente, tutto questo ci porta a considerare il problema in un contesto che non deve alterare o squilibrare il sistema amministrativo. Vi è poi il tema relativo al mantenimento di scorte per soggetti politici inquisiti. La scorta a Gelli, quella all'ex parlamentare Maria Fida Moro sono problemi che sono stati più volte presi in esame; in questi giorni li stiamo affrontando per definirli al fine di avere su queste scelte anche il parere di ratifica del comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica. Vi è poi il problema della scorta ai politici inquisiti. Secondo logica, lasciati gli incarichi, perdute le posizioni di Governo, verrebbe meno l'esigenza di protezione e dovrebbe essere dismesso tale servizio. Senonché sono state avvertite preoccupazioni maggiori per questi politici inquisiti rispetto al tempo in cui inquisiti non erano, registrandosi per essi una forte esposizione. Una delle preoccupazioni che nella mia posizione devo nutrire non è quella di accattivarmi le personalità inquisite e conseguentemente in difficoltà, quanto quella di evitare che gravi episodi possano ulteriormente turbare la società, magari perché manovrati al solo fine di destabilizzare. Nella stessa ottica si pone il caso Gelli, che è uno dei primi casi che lo stesso ministro dell'interno in carica - e gli fa tanto onore - mi propose come caso da rivedere. Avevo e continuo a nutrire preoccupazioni, perché un Gelli che venisse soppresso farebbe pensare ad un Gelli che non lo si vuol far parlare. La mia speranza è invece che Gelli parli e racconti tutto quello che sa e che non ha detto. La tutela non gli viene accordata come status symbol , cioè per fargli un favore (esiste anche un precedente: è sufficiente cercare negli archivi della P2 per vedere come il rapporto sulla P2, che ne rivelava l'autenticità degli elenchi e metteva in luce le qualità sinistre degli apparati deviati, recava proprio la mia firma), ma in funzione di un interesse pubblico alla sua protezione e anche alla verifica delle sue frequentazioni. D'altra parte, anche questo è un dato di fatto. Spiace doverlo pubblicamente dire, ma alla provocazione si risponde con un'affermazione. Pag.2068 Attesa la pretesa pericolosità del soggetto è giusto evitare che venga soppresso, ed è anche giusto che nella verifica, a sua protezione, delle persone che egli frequenta si possa anche acquisire qualche dato sulle stesse (credo che ne siano state registrate circa 2 mila da quando abbiamo iniziato questo servizio di cosiddetta protezione). Infine vi è il problema relativo alla protezione della figlia dell'onorevole Moro. Si tratta di una persona che si sente fortemente minacciata, e che si è rivolta a tutti i corpi di polizia per essere protetta. C'è da considerare il dramma della famiglia così duramente colpita. Finora è prevalsa la ragione umanitaria su effettive valutazioni di rischio. Al prossimo comitato dell'ordine pubblico sarà portato anche questo problema che verrà affidato ad una decisione politica. Perché, in definitiva - voglio chiarire questo aspetto - tali decisioni sono anche politiche. PRESIDENTE. E' giusto, sono politiche. VINCENZO PARISI, Capo della polizia . Se esiste, in qualche caso, un preponderante interesse politico, è possibile prevedere delle deroghe. PRESIDENTE. Certo! VINCENZO PARISI, Capo della polizia . Non esistono mai ragioni assolute. Vi è poi il problema della valutazione, in riferimento alla quale l'onorevole Matteoli ha chiesto se vi fosse o meno un'adesione alla scelta dei nuovi vicedirettori dei servizi. Una valutazione del genere non compete a noi, in quanto è di natura politica. Si tratta di due persone la cui onorabilità non è in discussione; sono due persone perbene e ampiamente rassicuranti dal punto di vista professionale. Sono stati altresì posti altri problemi. Il senatore Boso sopravvaluta le mie funzioni e non si rende conto che io sono uno scrivano destinato ad esercitare funzioni che attengono alla sicurezza. Non sono un leader politico, meno che mai un monarca o un capo di Stato assoluto, per cui non ho alcuna incidenza nella formazione delle leggi (naziskin, extracomunitari, segretariati generali e via dicendo). Ho invece titolo per occuparmi marginalmente, per fiancheggiamento al ministro, delle carriere del personale di polizia, un argomento che forma oggetto di attenzione, si può dire quasi giornaliera. Su di esso abbiamo avuto tantissimi incontri; da ultimo mi sono recato anche a trovare il generale Federici a viale Romania per cercare di portare avanti tale discorso. Venerdì o sabato della scorsa settimana ho parlato con il ministro Cassese; stiamo lavorando per la sua soluzione. PRESIDENTE. Vi siamo davvero grati per il quadro che ci avete offerto e vi auguriamo buon lavoro. La seduta termina alle 13,30.