Pagina 2969 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE Comunicazioni del presidente: Violante Luciano, Presidente 2978 Seguito della discussione della relazione annuale: Violante Luciano, Presidente, Relatore 2971, 2972 2973, 2977, 2978 2989, 2990, 2991, 2993, 2994 2996, 2997, 2999, 3000, 3001, 3002 Biscardi Luigi 2997 Borghezio Mario 2998, 2999, 3000, 3001 Brutti Massimo 3001, 3002, 3005, 3006 Buttitta Antonino 2977, 2994, 2996, 3001, 3005 Cappuzzo Umberto 2984 Galasso Alfredo 2978, 3001, 3005, 3006 Matteoli Altero 2973, 2977, 2978 Montini Walter 2971, 2972 Robol Alberto 2978 Scalia Massimo 2990, 2991, 2993 Tripodi Girolamo 2986, 2989, 2991 Pagina 2970 Sui lavori della Commissione: Violante Luciano, Presidente 3008, 3009, 3010 Bargone Antonio 3010 Buttitta Antonino 3009 Galasso Alfredo 3009 Smuraglia Carlo 3009 Pagina 2971 La seduta comincia alle 15,15. Seguito della discussione della relazione annuale. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della relazione annuale. WALTER MONTINI. Premetto che non avrò la presunzione di riassumere, in questo mio intervento, la posizione del partito che rappresento, in quanto ciascun commissario, in un contesto delicato qual è quello della Commissione antimafia, ha piena e completa autonomia di pensiero e, quindi, di conseguente comportamento. Dico subito che, condividendo in ogni suo punto la relazione annuale presentata dal presidente, trattandosi di una puntuale rassegna dell'attività svolta dalla Commissione dalla sua ricostituzione ad oggi, mi limiterò a svolgere alcune osservazioni che giudico importanti per il prosieguo del nostro lavoro. Come ha scritto anche il presidente nella presentazione del libro che ci ha fatto recapitare in questi giorni, la mafia è un fenomeno complesso che va combattuto su diversi fronti. Mi sembra che sul versante culturale, quello che a me interessa maggiormente, la Commissione abbia compiuto - ed è evidente nella relazione - un notevole sforzo nella direzione di far maturare, crescere e rafforzare una nuova coscienza civica nella lotta contro la mafia che avvolge le istituzioni e la gente complessivamente. Ciò è tanto vero che a pagina 39 viene affermato che il paese attraversa una fase positiva nella lotta contro la mafia. Su questo versante, va accolta con favore la proposta, contenuta a pagina 22, che individua nella scuola il canale di collegamento e di trasmissione - in questa accezione comprendo anche il Forum sulla scuola già deliberato dalla Commissione - di un nuovo modo di pensare e di agire. Mi pare che sia doveroso ringraziare il ministro della pubblica istruzione, onorevole Jervolino, per la sensibilità e per la volontà dimostrate circa l'opportunità di istituzionalizzare un momento formativo antimafia nella scuola, inteso come fatto culturale e non di propaganda politica. Del resto, come viene detto a pagina 11 della relazione, anche il potenziamento del settore documentazione va in questa direzione e va valutato in termini positivi. Passando dal versante culturale a quello istituzionale-sociale, ritengo opportuno che la Commissione continui a seguire le situazioni locali con visite e sopralluoghi condotti sul posto per controllare il funzionamento delle istituzioni anche tramite le audizioni di amministratori e di rappresentanti di organi di controllo. Nell'ambito della lotta alla mafia e alle altre associazioni criminali similari si sta facendo ricorso, sempre più frequentemente, allo scioglimento dei consigli comunali (è questo il tema su cui mi vorrei soffermare un attimo) sospetti di infiltrazioni e di condizionamenti mafiosi e al successivo commissariamento straordinario degli stessi. Il ricorso al commissariamento, che dura 18 mesi e che avviene soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia ed in comuni in cui si riscontra una cronica e grave disfunzione della macchina burocratica Pagina 2972 comunale, con una costante evasione fiscale, fa sì che nel settore urbanistico, a causa della mancanza di piani regolatori generali, si verifichino fenomeni di selvaggia speculazione edilizia. Sottolineata l'esistenza di questo problema, va evidenziato che la legge n. 142 attribuisce ampi poteri alla burocrazia comunale (è questo il tema che mi interessa sottolineare) e che il ricorso al commissariamento dei comuni attraverso l'utilizzazione di funzionari part-time da parte delle prefetture avviene solo per alcune ore e per alcuni giorni settimanali, con elementi, come alcune volte si è riscontrato, non dotati di specifica competenza amministrativa o comunque raramente esperti in materia tecnico-urbanistica. Inoltre, tra i motivi di scioglimento di molti consigli comunali, vengono indicate presunte collusioni non solo di politici ma anche di funzionari pubblici, di dipendenti comunali, senza, però, che nei riguardi di questi sia stato attuato oppure previsto alcun provvedimento di tipo cautelativo, come la sospensione dal lavoro, il trasferimento, eccetera. Al termine dei 18 mesi di commissariamento, alla luce delle considerazioni esposte, è prevedibile che non saranno stati ottenuti concreti e stabili risultati né alla lotta per eliminare l'eventuale collusione e i condizionamenti mafiosi dalle amministrazioni locali, né alla modernizzazione, efficientizzazione - per usare un brutto termine, che però rende l'idea - e trasparenza di queste ultime. Ritengo opportuno che la Commissione spinga il Governo verso urgenti e completi correttivi al decreto-legge del 31 maggio 1991, n. 164, tali da poter favorire la trasparenza e la correttezza degli amministratori dei comuni - obiettivo giustissimo e sacrosanto -, nonché quelle della classe burocratica. Credo che ciò sia possibile prevedendo indagini patrimoniali sui dipendenti sospetti dei comuni. Inoltre, bisognerà ovviare alla lacuna dei funzionari della prefettura non specializzati nel settore. L'ultima annotazione che voglio svolgere è relativa ai gruppi di lavoro di cui si parla nella relazione. PRESIDENTE. Senatore Montini, a proposito della burocrazia, che rappresenta un problema importante, stando a quanto abbiamo potuto constatare, nella bozza di relazione si fa riferimento alla possibilità che i funzionari dei comuni disciolti, laddove emergano necessità particolari, possano essere spostati nel raggio di una cinquantina di chilometri al fine di consentire... WALTER MONTINI. Sì, ma questo non è mai avvenuto! PRESIDENTE. Infatti, si tratta di una proposta. Lei l'accetta? WALTER MONTINI. Senz'altro, perché rappresenterebbe già un passo avanti rispetto a questa situazione. Dicevo, avendo parlato del versante culturale, di quello istituzionale e sociale e del problema dello scioglimento dei comuni, che un'ultima annotazione vorrei farla sui gruppi di lavoro, di cui si parla nella relazione, costituiti all'interno della Commissione. Premesso che alcuni di essi sono già operativi, mentre altri non hanno ancora iniziato ad operare o sono comunque agli inizi, a mio parere è opportuno che in sede plenaria o ristretta venga approfondito non solo il fenomeno mafioso ma anche il suo collegamento con i canali esteri, soprattutto in materia di droga e di riciclaggio di denaro sporco legato ad affari internazionali (se ne parla alle pagine 27 e 34 della relazione). Da questo punto di vista, sono stati conseguiti risultati significativi, come si evince anche dal libro sul Forum che il presidente ci ha inviato, dove vengono indicati alcuni risultati positivi ottenuti grazie all'attività di coordinamento tra le varie forze di polizia (se ne parla anche a pagina 34 della relazione) in un quadro più ampio di riorganizzazione e potenziamento delle strutture a presidio del territorio. Difatti, basta analizzare i dati Pagina 2973 riportati nella relazione a proposito della flessione degli omicidi, delle rapine eccetera, nelle regioni più flagellate dalla criminalità organizzata per constatare come questo coordinamento in effetti funzioni ma sia ancora lontano, a mio parere, dall'essere presente in maniera incisiva nel nostro panorama. Sono queste le osservazioni che ho voluto svolgere; chiedo scusa se non sono state del tutto esaurienti, ma credo che di ciò vogliate giustificarmi tenendo conto del fatto che sono stato nominato da poco membro della Commissione e che questo è il primo intervento che svolgo in questa sede. In conclusione, ribadisco che condivido ed apprezzo la relazione e che su di essa il mio gruppo è intenzionato a lavorare. PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Matteoli. ALTERO MATTEOLI. A mio avviso, la relazione non vuole - e lo ha detto il presidente - apparire impegnata più di tanto. Risulta pertanto come una specie di scopiazzatura delle tante cose che sono state dette in Commissione, come una sintesi di tutto, come una sorta di puntuale rassegna. Insomma, la relazione è stata presentata volutamente, da parte del presidente, non in pompa magna: non ha voluto affrontare gli aspetti politici preferendo farlo al termine della replica, a conclusione della quale ha altresì rinviato la possibilità di eventuali aggiustamenti e modifiche. Ma se questa è l'apparenza della relazione, nella sostanza, quando si va a leggerla, si trovano sei o sette punti - sui quali desidero soffermarmi, seppur sinteticamente - che invece mirano, a mio parere, a qualificare in un modo anziché in un altro la relazione stessa. Premetto che per dimostrare le mie osservazioni seguirò la traccia della relazione. Quando diciamo che tra i compiti della Commissione c'era quello di controllare il funzionamento delle leggi esistenti, uno dei compiti che la Commissione si era prefisso e verso il quale era indirizzata anche dalla legge istitutiva, dobbiamo constatare che su questo fronte, nonostante il lavoro svolto, siamo stati non del tutto efficienti e che vi è stata anche una carenza. A mio avviso, pertanto, di questo dobbiamo occuparci con un lavoro più approfondito. Le commissioni, sottocommissioni e i comitati di lavoro istituiti, per colpa di chi ne fa parte - ed io sono tra loro, per cui sono ugualmente responsabile - non hanno svolto un lavoro comparato, non sono andati a constatare se le leggi esistenti fossero sufficienti e tutte applicate nel modo giusto. Infatti, la filosofia della relazione è quella supportata dall'affermazione fatta dal presidente fin dalle prime riunioni, quando ha detto che a suo avviso non si trattava di emanare nuove leggi ma di rendere operative quelle esistenti. Concordo con la relazione dove sottolinea che la lotta contro la mafia non può fondarsi soltanto sull'azione repressiva, però nella filosofia della relazione stessa si tenta di attribuire la colpa alla mancanza di servizi, nel senso che sarebbe stata questa carenza a favorire la mafia. Indubbiamente, questo è uno dei punti su cui tutti ci siamo soffermati in questo anno di lavoro. Però, a mio avviso, è riduttivo incentrare sul fenomeno della mancanza di servizi la responsabilità del dilagare della mafia. Gli italiani sono stanchi di leggere i soliti trattati a sfondo sociologico, che evidenziano il male e ne denunciano le cause ma in tema di responsabilità preferiscono non approfondire più di tanto. Se c'è una caratteristica soprattutto degli anni settanta è quella di avere affrontato tutto da un punto di vista sociologico. In quegli anni dilagava una cultura che io definisco di sinistra - e lo era - e che mirava ad affrontare tutto sotto questo aspetto. Se c'è un merito, però, di questa Commissione, seppure tra tante difficoltà e a volte tra alcune reticenze, anche per il mutato clima politico dovuto a Tangentopoli, è quello di aver parlato di collusione politico-affaristico-mafiosa: Pagina 2974 è la prima volta e noi lo abbiamo detto. Anche se non ho condiviso la relazione che è stata presentata, nelle prime pagine vi è la storia dei lavori delle precedenti Commissioni: mai era stata redatta una relazione come quella predisposta nel febbraio 1976 da un parlamentare scomparso - non dico questo per citare una persona che mi è cara anche da un punto di vista famigliare - l'onorevole Niccolai, che affrontava questo aspetto. Quindi, rivendico a questa Commissione un merito che addirittura mi sembra sia sfumato, non so se volutamente in attesa delle conclusioni che trarremo, per non urtare la solita suscettibilità di gruppi politici che poi, all'ultimo momento, si presentano in Commissione e minacciano di non votare le relazioni; per cui questa volta il presidente, forte dell'esperienza precedente, ha usato toni soft per non dover poi modificare alcuni aspetti, come è accaduto in precedenti occasioni. Intendo dire con questo che dobbiamo approfondire ulteriormente e non tornare a trincerarci dietro gli aspetti sociologici. Gli italiani sono stati governati da formule, o meglio, da slogan: arco costituzionale, centro sinistra, compromesso storico, antifascismo; ci siamo riempiti la bocca di democrazia, libertà, consociativismo ma dietro a tutto ciò si è annidata la corruzione, la mafia, la P2, i servizi segreti deviati, eccetera. Tutto questo deve essere affrontato in una relazione che riproponga aspetti anche importanti emersi in questo anno di lavoro e che, a mio avviso, dovrebbe essere più marcata di quanto sia. L'aspetto sociologico si ritrova anche ai punti 27 e 28, dove si chiama in causa il ministro Jervolino e quindi la pubblica istruzione. Si dice nella relazione che gli insegnanti parteciperanno in aree pilota a corsi di formazione sullo specifico tema della mafia. Con una battuta posso dire che in questo modo nasce nelle scuole il "mafiologo". Per carità, non che io sia contrario ad un'iniziativa di questo genere, però anche qui bisogna essere chiari: la mafia non è dilagata perché la società civile non ha una coscienza antimafia; sono altri i motivi. La società civile ha subìto la mafia, mentre i politici, pezzi dello Stato, sono stati collusi - auspichiamo che non lo siano più - con la criminalità organizzata. La proposta del ministro della pubblica istruzione, che è stata sponsorizzata con tanta veemenza dall'onorevole Violante, ci sembra un po' improvvisata. Non siamo stati capaci di operare in tal senso, ad esempio, per il fenomeno della droga che è molto più attinente al mondo giovanile e quindi al mondo della scuola; ora si improvvisa - come io credo - un'iniziativa alla quale non sono contrario aprioristicamente, anche se ritengo che tutto questo non possa mettere a posto le nostre coscienze, perché affronta un aspetto molto marginale di quello che ha rappresentato il fenomeno. Dirò sempre, fino alla noia, che quello della mafia è un problema non di ordine giudiziario o di coscienza dei cittadini ma di ordine politico. Se siamo d'accordo su questo assunto, è chiaro che si scrivono relazioni diverse da quella predisposta - correttamente dal suo punto di vista - dall'onorevole Violante. Nel punto 30 si dà un giudizio positivo, attraverso la valutazione della congruità dell'azione dei pubblici poteri e della proposta di idonee misure amministrative. Si dà atto che il presidente del Consiglio, i ministri dell'interno, di grazia e giustizia e gli altri ministri che sono stati via via interessati dal lavoro della Commissione, hanno collaborato con essa. Qui, pongo una domanda ai commissari e a me stesso: siamo certi che abbiano collaborato? Quanti problemi sono stati risolti rispetto a quello che la Commissione ha evidenziato e segnalato? Ne voglio citare alcuni: molti tribunali sono ancora a corto di magistrati, molte questure e commissariati non sono stati integrati e si è provveduto ad inviare personale, trascurando il fatto che era privo di esperienza specifica. Alcuni commissariati o questure che sono stati sicuramente potenziati dal punto di vista numerico non hanno avuto personale Pagina 2975 specificamente qualificato. La Commissione ha segnalato l'inadeguatezza di alcuni commissari straordinari inviati nei comuni disciolti, senza che siano stati presi apprezzabili provvedimenti; è stata dimostrata la carenza degli uffici giudiziari e delle strutture connesse che limita l'applicazione e la gestione delle normative di natura patrimoniale nei confronti della criminalità; il controllo del territorio in vaste plaghe della Calabria (lo abbiamo visto quando abbiamo affrontato la relativa relazione) è ancora insufficiente. Nel punto 39 della relazione si legge: "La Commissione ritiene che in questa situazione il criterio politico assolutamente prioritario debba essere costituito dall'utilizzazione delle risorse esistenti". Non è sufficiente. Sempre nella relazione, si parla di un momento di crisi dal punto di vista economico che rende necessario far fronte alle varie esigenze con ciò che si ha. Non siamo d'accordo, perché uno sforzo deve essere fatto; eventualmente si deve tagliare da altre parti indirizzando verso la lotta alla criminalità organizzata personale e strutture più efficienti di quelle che si hanno attualmente. Uno dei problemi di fondo della lotta alla criminalità comune ed organizzata resta quello dell'inadeguatezza degli organici della magistratura, sia nei distretti della corte d'appello, sia in alcune procure; mancano i GIP la cui carenza fa svanire il lavoro del pubblico ministero. Non sono un'operatore del diritto ma mi rendo conto che per un pubblico ministero è sufficiente mezza giornata per istruire un processo mentre ad un GIP o a un tribunale occorrono giorni e mesi, però dobbiamo fare in modo che il lavoro del pubblico ministero arrivi al processo. Nei collegi giudicanti è diffusa la preoccupazione (basta ricordare ciò che abbiamo appreso a Reggio Calabria e a Palmi) di fronte a ponderosi processi che aspettano di essere celebrati. Qualcosa indubbiamente è stato fatto: possiamo dire, come si legge nella relazione, che "la cooperazione realizzata rappresenta un significativo esempio di corretta sinergia tra soggetti istituzionali" ma non che il lavoro svolto abbia inciso più di quanto doveva. Insomma, tra ciò che abbiamo notato essere carente e ciò che è stato realizzato c'è ancora una megadistanza. Al capitolo 5, punto 31, la relazione insiste sul teorema mafia-massoneria-servizi segreti-terrorismo nero. Questo è il solito teorema che non ha consentito di individuare i colpevoli delle stragi dal 1969 ad oggi o lo ha fatto soltanto in rarissimi casi. E noi insistiamo su questo teorema! Per carità, può darsi che sia giusto e che la magistratura e le forze dell'ordine non siano state capaci di trovare le prove, però non si è mai tentato di mettere in un cassetto questo teorema e di cercare altre strade. Gli attentati della primavera-estate sembrano provenire da Cosa nostra - si dice nella relazione - e da suoi alleati tradizionali e si fa capire che questi sono i servizi segreti deviati, la massoneria deviata, il terrorismo nero, eccetera. Non credo ai servizi segreti deviati, così come non credo alla massoneria deviata: esistono in Italia purtroppo i servizi segreti che sono tutti o nessuno deviato; non esistono i buoni o i cattivi ma i servizi segreti che sono stati al servizio dei partiti politici anziché dello Stato e hanno partorito tutto questo. Affronteremo tale aspetto quando discuteremo sul capitolo che abbiamo aperto. Si è sposata in toto, insomma, la tesi - anche con quella del pentito Annacondia - che gli attentati mirassero ad ammorbidire l'applicazione dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario. Di tutti i pentiti ascoltati Annacondia, a mio avviso, è stato il più fumoso; vi pare possibile che gli attentati di Roma, Firenze e Milano siano stati pensati e realizzati esclusivamente per l'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario? Non credo che questo sia stato il motivo degli attentati; credo che vi sia stato qualcosa di più importante di un articolo dell'ordinamento penitenziario, che poi abbiamo compreso, ascoltando i pentiti, Pagina 2976 che non viene rispettato quasi mai quando si tratta di mafiosi o di camorristi. Al punto 33 della relazione si sostiene che "l'azione di contrasto si sta dispiegando in tutti i settori istituzionali". Considerando questo con i successivi punti 34 e 35 mi è sorto il dubbio che vi siano, da parte dell'estensore, delle incoerenze, perché mentre afferma che lo Stato si sta muovendo, tanto che nel punto 34 vi è l'elenco dei catturati - per la verità notevole -, al punto 35 leggiamo: "La cattura di Riina e Santapaola non sembra abbia causato un riassetto degli equilibri interni a Cosa nostra, né sono emersi sino ad ora segni evidenti di un disagio interno all'organizzazione. Ciò dimostra la notevole capacità di autoriproduzione del gruppo mafioso, anche dopo la cattura dei suoi capi storici". Da una parte si dice che lo Stato si è mosso e che l'azione di contrasto si sta dispiegando e dall'altra si afferma che non si è inciso più di tanto, nonostante gli arresti, nell'organizzazione mafiosa. Manca, quindi, un'analisi del perché Cosa nostra è capace di riciclarsi tanto celermente. Questa analisi in una relazione del genere va fatta; se non la facciamo, viene meno il motivo principale della relazione stessa che, tra l'altro - come è emerso nel corso della precedente seduta - è stata richiesta da parte di chi certamente non conosceva la normativa che rende obbligatorio per la Commissione predisporre e dibattere una relazione di questo tipo. Anche l'esaltazione della nascita delle associazioni antiracket la leggo in maniera diversa da come è spiegata nella relazione, perché tali associazioni sono state costituite da privati che si organizzano perché non hanno fiducia nello Stato; se l'avessero, andrebbero alla caserma dei carabinieri o al commissariato a denunciare il racket e non si costituirebbero in associazioni, perché lo Stato penserebbe a risolvere il problema. Al punto 37 meritava un approfondimento anche la tesi secondo cui in Calabria "il numero dei collaboratori è obiettivamente inferiore". Infatti, ad una distanza di 10 chilometri vi sono pentiti a decine mentre in Calabria non ve ne sono (apprezzo il fatto che nella relazione si sia voluto affrontare questo capitolo). Ciò è spiegato con il fatto che in Calabria non esiste una struttura verticistica simile a Cosa nostra. E' una tesi sulla quale possiamo dibattere, che comunque ci permette di ragionarci sopra, ed è importante farlo. Ho l'impressione (ma l'argomento merita un ragionamento più completo di quello che possiamo fare in sede di esame di questa relazione) che in Calabria gli uomini delle istituzioni si attrezzino nell'azione di contrasto della criminalità con una mentalità vecchia, ossia che essi continuino a seguire, stando a quello che abbiamo visto nei nostri sopralluoghi, la cultura del confidente, che andava bene per il ladro di polli, ma non certamente per un'azione ponderosa contro la criminalità organizzata. In Calabria come in Puglia non hanno avuto uomini e mezzi del calibro di Borsellino o di Falcone, che hanno fatto quello che hanno fatto nella lotta a Cosa nostra, della quale avevano fatto una ragione di vita e quindi avevano studiato il fenomeno nei minimi particolari, per cui oggi conseguiamo qualche risultato nell'azione di contrasto grazie a questi personaggi. In Calabria si ha l'impressione che tutto questo non ci sia stato, che quella che abbiamo avuto di fronte sia una magistratura non del livello che abbiamo riscontrato da altre parti e sicuramente non del livello di questi due personaggi che hanno pagato con la vita. Sicuramente, quindi, può andare bene anche la tesi secondo cui non esiste una struttura verticistica perché essa è più "familiare", ma c'è anche questo fenomeno. Per essere ancora più chiaro, voglio dire che se è vera la nostra tesi, sostenuta nella relazione di minoranza sulla mafia e la politica (ossia in quello che io ho scritto), cioè che i pentiti, nonostante l'alto grado di affidabilità dimostrato, restano uomini d'onore e che quello che cambia è la natura di protezione verso lo Stato, ciò significa che il Pagina 2977 pentito vuole le stesse cose che vuole la mafia, ma con metodi diversi. Il pentito resta mafioso anche da pentito: egli continua infatti a volere protezione dallo Stato e si è avuta l'impressione che in Calabria le istituzioni operanti non disponessero di una mentalità adeguata alle necessità e ovviamente neanche di strutture adeguate ad incoraggiare il pentitismo prima e la protezione del pentito dopo. Per tale ragione vi sono anche meno pentiti. E' prevalsa la mentalità che ha visto i pentiti come semplici confidenti ed una lotta alla mafia condotta con strumenti, per così dire, di bassa polizia (in Calabria ho avuto questa impressione). PRESIDENTE. Non adeguati. ALTERO MATTEOLI. Sì, non adeguati. Si mira ancora a trovare il piccolo confidente, che magari la sera ha bevuto un bicchiere di più e ci si appella a lui per svolgere le indagini, cosa che in Sicilia mi sembra superata. Questo sistema ha inficiato molto anche i servizi segreti, perché anch'essi hanno operato in questo modo, ossia avvalendosi del confidente più che dello specialista, per usare termini certamente impropri. Le ultime considerazioni che desidero svolgere fanno riferimento al punto 39 della relazione, in cui si afferma che vi sono stati 22 sostituti che hanno polemizzato pesantemente con il dottor Bruno Siclari. Allo stesso punto 39 della relazione viene affrontato questo argomento, anche se non specificatamente tale polemica. Violante sposa la tesi "niente gerarchie", sostenendo che le procure distrettuali antimafia devono trasmettere alla direzione nazionale antimafia i risultati, elaborarli e poi redistribuirli alla periferia. Questo è, in larghissima sintesi, quanto sostiene il presidente. Io la penso in modo contrario, perché a nostro avviso occorre unità di comando: se infatti quest'ultima manca, si verificano queste discrasie. Voglio sperare che il dibattito dedichi qualche considerazione a tale aspetto. Desidero svolgere un'ultima considerazione su un argomento che è stato anche motivo di polemica sulla stampa, io ritengo garbata, ma comunque anche con il presidente. Le ultime pagine della relazione sono dedicate ai nostri interventi fuori d'Italia e forse nella polemica, per colpa mia, non sono stato sufficientemente chiaro. C'è una frase che dimostra onestà intellettuale da parte del presidente, laddove egli parla dell'incontro con il presidente della Commissione antimafia russa e afferma che in Russia "è tutto in vendita". Si legge inoltre: "Manifestano, per ragioni storiche ben note, un particolare fastidio per ogni forma di controllo dello Stato sull'attività dei cittadini". Qui c'è evidentemente un'allusione ad un sistema... PRESIDENTE. E' più di un'allusione. ALTERO MATTEOLI. Ciò dimostra, considerando la tessera che il presidente che ha in tasca, onestà intellettuale. PRESIDENTE. Se lei permette, più per quella che ho avuto che per quella che ho adesso. ALTERO MATTEOLI. Comunque, il fatto che lei abbia scritto una frase di quel tenore è come se io scrivessi qualcosa del genere sul periodo fascista; c'è quindi onestà intellettuale. ANTONINO BUTTITTA. Ma la scriverai mai una cosa del genere? ALTERO MATTEOLI. L'associazione per delinquere mafiosa è presente, come reato, solo in Italia (così si dice nella relazione). Ma la mafia che troviamo negli altri paesi europei, compresa la Russia, non può essere paragonata alla mafia che é presente in Italia (dirò poi una frase che sintetizza bene, a mio avviso, quello che intendo dire). In Italia la mafia ha sempre cercato l'accordo con il potere politico ed in casa nostra ci è quasi sempre riuscita. Diversa è l'attività mafiosa negli altri paesi europei. Voglio Pagina 2978 citare un esempio: Kohl, in Germania, non ha ricevuto un avviso di garanzia per collusione ai sensi dell'articolo 416-bis, ma Andreotti l'ha ricevuto. Evidentemente allora in Italia vi è una situazione completamente diversa rispetto a quella degli altri paesi europei. ALBERTO ROBOL. Kohl è ancora al governo. ALTERO MATTEOLI. Ho parlato di Andreotti perché è il caso più eclatante, ma vi sono anche altri personaggi. Voglio dire che più o meno questa collusione è stata sufficientemente acclarata. In conclusione (mi rendo conto che mi sono dilungato troppo ma a mio avviso la relazione lo meritava), al punto 50 della relazione si afferma che, dopo le stragi della primavera-estate del 1992 non si sono manifestate, come altre volte, lacerazioni istituzionali. Questa è un'affermazione importante e penso che, anche se non è del tutto vera, vi è comunque in essa un fondamento di verità. Se quanto il presidente afferma nelle ultime pagine della relazione è vero, ciò significa che esiste un margine per trovare un punto di incontro anche tra di noi per affrontare la questione in maniera unitaria, soprattutto se ci convinciamo che quelle lacerazioni istituzionali che, di fronte ad una strage, hanno caratterizzato per anni il dibattito politico oggi sono venute meno (nella relazione si dice che non ve ne sono state per nulla; a mio avviso ve ne sono state meno, ma comunque posso dire che siamo sulla strada giusta da questo punto di vista). Attendo quindi la conclusione di questo dibattito e la relazione, come verrà integrata o modificata anche alla luce dello stesso dibattito, per poi esprimere il mio voto sulla relazione. Comunicazioni del presidente. PRESIDENTE. Informo i colleghi che è stata avanzata la proposta di rinviare la visita a Milano (ricorderete che sono state mosse obiezioni da alcuni colleghi), prevista per il 18 e 19 ottobre, a venerdì 22 e sabato 23 ottobre, ossia alla fine anziché all'inizio della prossima settimana. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito. (Così rimane stabilito). Si riprende la discussione. PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulla relazione annuale con l'intervento dell'onorevole Galasso. ALFREDO GALASSO. Vorrei sapere quanto tempo ho a disposizione, non per impressionarvi ma per regolarmi. PRESIDENTE. Il regolamento della Camera prevede 30 minuti di tempo. ALFREDO GALASSO. Mi riserverò eventualmente la trattazione di un'altra parte per un momento successivo. Parto dal presupposto, dichiarato dal presidente, che in questa relazione è stata volutamente omessa una valutazione, una ricostruzione di carattere politico da porre alla fine della discussione. Quindi, le osservazioni che svolgerò sono in gran parte in linea con questa indicazione del presidente. Lo dico per evitare che tali osservazioni possano essere assunte come note critiche o polemiche rispetto alla relazione. Vi è tuttavia un dato di fondo che mi pare di cogliere e che voglio mettere in evidenza, che del resto si riflette - posso dirlo anche in questa sede - nell'antico dibattito con il presidente, e quindi non è una novità; voglio esplicitarlo subito perché questa mi sembra la sede opportuna nella quale sottoporlo ad un confronto anche con gli altri colleghi. La divergenza sta nella considerazione, che mi pare di cogliere nuovamente nelle note di questa bozza di relazione, secondo cui fondamentalmente la mafia è un'organizzazione criminale, denominata Cosa nostra in Sicilia e in qualche altro modo in Pagina 2979 Calabria, in Puglia e in Campania, con tutta una serie di ramificazioni, collegamenti, intrecci e così via, mentre io sono convinto - voglio dirlo all'inizio di questo intervento - che la mafia sia principalmente un sistema di potere all'interno del quale agiscono organizzazioni criminali potenti e ferocissimi, e innanzitutto Cosa nostra. Questa non mi pare una divergenza di poco conto, perché ne discendono anche conseguenze diverse di ordine pratico e politico, a seconda della concezione, dell'idea che ragionevolmente si riesce ad esprimere rispetto a questo fenomeno. Svolgerò una serie di osservazioni puntuali partendo dalla sequenza delle Commissioni antimafia. Questa Commissione antimafia si è segnalata per un'iniziativa ed una concezione del fenomeno mafioso di gran lunga più avanzata rispetto alle precedenti Commissioni, collegandosi caso mai alla prima delle Commissioni antimafia. I casi allora sono due (lo dico molto schematicamente, presidente, colleghi, perché non voglio farla lunga, anche perché sappiamo di che cosa stiamo parlando); come si suol dire, delle due l'una: o non ne parliamo o, se ne parliamo, credo che non sia giusto evidenziare una sorta di larvata, "scivolosa" continuità tra questa Commissione e quelle precedenti. Questo ha a che fare con la mia premessa. Questa Commissione ha percepito - io credo - nei suoi comportamenti e nelle sue analisi una specificità pregnante del rapporto tra mafia e politica che le altre Commissioni non hanno espresso; mi riferisco non tanto alla massa dei documenti acquisiti, quanto al taglio dato al proprio lavoro. Per quanto riguarda la ricognizione del lavoro svolto, vi è un'elencazione puntuale, ma in questa relazione occorre mettere in evidenza che cosa ha rappresentato il nucleo essenziale e determinante di questo lavoro della Commissione. Non trovo, per esempio, l'importantissima relazione su mafia e politica neanche tra gli allegati. Pur avendo io stesso contribuito, credo, a dare rilievo alla relazione sull'edilizia scolastica a Palermo, mi pare che tuttavia non sia possibile un paragone fra queste due relazioni. Come per quella su mafia e politica, mi riferisco anche alla relazione sulla Puglia e a quella - da me non condivisa - sulla Calabria. Tutto questo mi sembra un punto di partenza della ricognizione del lavoro, non una delle tante cose fatte. Terzo punto: il sistema informatico, le esigenze di ordine tecnico, e via dicendo. Inizialmente, quando cominciò il lavoro della Commissione, posi un problema: la necessità di raccogliere, catalogare, ordinare il materiale esistente. Non si tratta solo di un lavoro tecnico-pratico da svolgere. Qui si tratta di dare un orientamento politico, nel senso che sono convinto che noi abbiamo ormai in questo Parlamento - non dico neanche negli archivi della Commissione antimafia - una mole di documenti, di informazioni, di notizie (in larga parte sconosciute all'opinione pubblica, in larga parte prive di adeguata elaborazione anche all'interno della Commissione antimafia), che ci permetterebbe di ricostruire, con maggiore puntualità di quanto non abbiamo fatto finora, il quadro di ciò che è successo in questi anni tragici. Anche questo ha a che fare con quel che dicevo inizialmente, perché si tratta di partire da un presupposto piuttosto che da un altro. Partire dal presupposto che la mafia è un sistema di potere significa mettere insieme, ricostruire un quadro di informazioni e di notizie con un raggio di ricerca e di accumulazione del materiale più ampio che se si ponesse come presupposto il fatto che comunque, prevalentemente, la mafia è un'organizzazione criminale denominata Cosa nostra o altrimenti. C'è un passaggio - che mi pare francamente quello meno condivisibile di questa relazione - in cui si mette in evidenza il successo dello Stato, in particolare dell'azione repressiva, che in questi ultimi anni è indubbio. Ma ciò che una relazione antimafia credo debba mettere in evidenza, con grande coraggio e Pagina 2980 con grande incisività, per evitare che questo successo sia effimero, è la messa in luce - cruda, dolorosa, se si vuole - delle ragioni dell'insuccesso e del ritardo trascorso. Rispetto a questo, non credo che possiamo affidarci alla consolante valutazione di alcuni governanti di questo paese o di alcuni poliziotti di questo paese, secondo la quale finalmente la gente si è svegliata, ha deciso di collaborare, di rompere il muro dell'omertà o ad un certo punto ci sono stati i pentiti che hanno cominciato a rivelare dall'interno notizie ed informazioni e dunque si è sviluppato questo successo dello Stato. Questo è stato detto e ripetuto. Considero sbagliato e deviante tale atteggiamento. Le ragioni dell'insuccesso e del ritardo trascorso e anche dell'addormentamento delle coscienze per un lungo periodo di tempo sono dovute al fatto che lo Stato non ha svolto fino in fondo la propria azione di lotta alla criminalità organizzata e alle cosche mafiose. Lo dico sommariamente ma si possono fare una serie di esempi, che pure sono sotto gli occhi di questa Commissione. In un altro punto della relazione si sostiene l'esigenza della trasparenza delle logge massoniche. Il fenomeno della massoneria, se si parte dall'idea che la mafia è un sistema di potere e non solo un'organizzazione criminale, non è un aspetto collaterale, marginale del fenomeno mafioso. Naturalmente, se si parte dal presupposto che la mafia è prevalentemente Cosa nostra, mi rendo conto che si tratta di vedere quali siano le logge massoniche deviate o "opache" all'interno delle quali si sia realizzata una qualche complicità. Se, viceversa, pensiamo a quella bellissima prolusione svolta a Bologna dal professor Spagna Musso sul fatto che la massoneria e questo genere di associazioni riservate o segrete rappresenta un potenziale pericolo per la democrazia, proprio per questo carattere di segretezza, ci si rende conto che la questione e la valutazione di essa cambia. Non intendo con questo, presidente e colleghi, dire che da qui deve partire un'anatema verso la massoneria. Sto dicendo però che mi sembra del tutto insoddisfacente, rispetto alle analisi che abbiamo compiuto e alle cose che sappiamo della mafia, limitarsi a dire che qui si tratta, sentiti i "grandi maestri", di sollecitare la trasparenza delle logge massoniche. Lo stesso discorso vale per i cosiddetti servizi deviati. Anche qui, per quello che è successo in questi anni e se la mafia è un sistema di potere, non mi contento di sentire, come ancora recentemente, che alla base delle stragi ultime di Roma, Firenze e Milano c'è Cosa nostra innanzi tutto - questo lo si ripete nella relazione - e poi collegamenti di Cosa nostra con frammenti dei servizi segreti, pezzi di terrorismo nero e via dicendo. A parte il fatto che da un capo della DIA mi aspetterei elementi di riferimento un poco più precisi, non solo delle ipotesi, che normalmente sono dovute agli studiosi. Ma a parte questo - che non è il punto - a me pare che, in realtà, abbiamo elementi per poter esprimere un giudizio politico molto più netto sulla funzione che in questi anni hanno svolto, rispetto al sistema di potere mafioso, i servizi (cosiddetti "di sicurezza", non cosiddetti deviati!) e i personaggi che si sono succeduti. Presidente e colleghi, noi qui abbiamo ascoltato - almeno io - con una dose notevole di inquietudine la difesa di Bruno Contrada da parte del capo della polizia e del capo del SISDE, quando agli atti - e sono andato a rileggermi queste carte - ci sono da tempo elementi di grave preoccupazione nei confronti dell'operato di questo personaggio! Mi domando se questo non sia un esempio per poter mettere in discussione... Cosa è accaduto? Perché questo personaggio continua ad essere difeso, nonostante un'azione giudiziaria insistente, documentata, convincente? Sto parlando di un giudizio politico, non sto dicendo che da qui deve venire la condanna di Bruno Contrada. Ma sappiamo tutti che Bruno Contrada non era un personaggio casualmente deviato nella questura o nei servizi di sicurezza. E' stato un esempio la cui Pagina 2981 difesa rappresenta un elemento di preoccupazione, perché dimostra la permanenza di questo genere di soggetti e di azioni. Venendo ad un altro punto, non credo, presidente, che abbiamo inventato qui l'antimafia dei diritti. Abbiamo scoperto che è diversa! Abbiamo scoperto che la mafia, l'azione mafiosa, l'azione dei poteri di marca mafiosa - che sono poteri criminali ma anche economici, finanziari, sociali, politici, amministrativi - ha determinato la violazione sistematica di diritti e di libertà fondamentali! Ha compromesso la realizzazione di servizi pubblici essenziali nel nostro paese! Mi sembra - se mi è consentito, presidente - che il modo come tale questione è stata posta dia credito a chi, in maniera strumentale, spesso becera, in questi anni ha sostenuto che non bisognava limitarsi all'azione repressiva della criminalità organizzata, che bisognava costruire, invece, condizioni sociali ed economiche: polemica strumentale e becera! Non esiste un "prima" ed un "dopo" tra l'azione di repressione e l'azione di ricostruzione morale, sociale e politica: le due cose vanno insieme! Perché la mafia non è il prodotto del sottosviluppo; la mafia è protagonista della creazione di condizioni di sottosviluppo economico, sociale, culturale e politico! E dunque questo sistema di potere è naturalmente protagonista della violazione sistematica di diritti e di libertà fondamentali! Ecco perché poi scopriamo, giustamente, il problema dell'edilizia scolastica a Palermo. Non abbiamo incontrato Totò Riina nell'edilizia scolastica a Palermo ma abbiamo incontrato quel sistema di potere; un sistema di potere che ha violato diritti e libertà fondamentali, a cominciare da quello dei bambini, delle bambine e degli insegnanti rispetto all'istruzione. Anche il riferimento alle lacerazioni istituzionali, presidente, vorrei che fosse esplicitato con molta chiarezza. Mi limito a fare questa osservazione. Non riesco ad immaginare a quali lacerazioni istituzionali il presidente si riferiva. Vorrei che fossero esplicitate, perché ci sono state lacerazioni istituzionali ma ci sono stati anche contrasti che originavano non solo da una concezione diversa della mafia - che è cosa dialetticamente e democraticamente legittima - ma anche dal fatto che c'era chi stava da una parte e chi dall'altra; chi era complice della mafia e agiva dentro le istituzioni, dentro la politica, dentro la magistratura e la polizia e chi stava dall'altra parte! Queste non sono lacerazioni istituzionali! Non si possono liquidare così. Bisogna dunque indicare di quali lacerazioni si tratti, in quali periodi si sarebbero verificate e su quali questioni, se no è meglio non parlarne. Vorrei affrontare una questione che mi consente di arrivare a conclusioni di carattere più generale, come mi ero ripromesso inizialmente di fare: il rapporto mafia-politica. Un'altra parte cruciale di questa relazione è quella di pagina 24, dove si dice in sostanza che i rapporti tra mafia e politica negli ultimi tempi si sono allentati, si sono rotti. Non sono sicuro di questo. Non sono affatto sicuro che la mafia - in questo senso, intendo Cosa nostra o la Sacra corona unita o la 'ndrangheta calabrese o la camorra napoletana nelle varie famiglie e articolazioni attuali - abbia definitivamente rotto i suoi legami con i vecchi padrini politici di riferimento. Presidente, non sono affatto sicuro - per intenderci - che un personaggio come Andreotti - ne cito uno ma potrei citarne molti altri - dopo il delitto Lima non sia più il padrino politico, come sembra voglia dire la nota in questa pagina della relazione. Non sono sicuro, perché non lo so, non ho gli elementi per dirlo. Trovo abbastanza significativo che Giulio Andreotti non abbia mai in alcun momento avuto un ripensamento circa il ruolo e l'azione di Salvo Lima, né prima né dopo la sua morte. Dunque già questo mi induce ad essere prudente. Ma soprattutto io non sono affatto sicuro, presidente, che ai vecchi padrini politici non si siano sostituiti nuovi padrini politici, nuovi riferimenti politici. Pagina 2982 Abbiamo avuto notevoli indicazioni in questo senso. Certo, non prove giudiziariamente rilevanti e non è detto che ne dovessimo avere, né possiamo aspettare di averne prima di esprimere un giudizio, anche perché di giudizi basati non su prove giudiziarie ma su convinzioni di questa Commissione ve ne sono parecchi nella relazione. Io credo che la mafia come sistema di potere non sia affatto sconfitta, non sia affatto in crisi. Può darsi che sia in crisi in questo momento il piano militare, il piano organizzativo di Cosa nostra. Certo - e questo nella relazione è detto - che fenomeni come l'assassinio indotto, il suicidio procurato di Gioé in carcere dimostrano che c'è ancora una potenza guidatrice di non poco conto, però mi preoccuperei meno di questo e molto di più della ricostruzione di un sistema di potere. Ricostruzione di un sistema di potere alla quale bisogna prestare estrema attenzione, perché credo sia caratterizzata da tre o quattro elementi che sono agli atti della Commissione. Il primo è costituito dalla mondializzazione del sistema di potere mafioso, che non è soltanto, presidente e colleghi, l'inserirsi di Cosa nostra e della 'ndrangheta - che pure c'è - dentro un circuito di grande criminalità organizzata nella dimensione planetaria; né è soltanto l'occupazione di mercati, come quello della Russia o dei paesi dell'Est dopo la caduta del muro di Berlino. E' qualcosa che ha a che fare, come sappiamo, con circuiti economici e finanziari, con multinazionali dell'economia e della finanza che agiscono non soltanto sul piano criminale ma anche sul piano della formazione delle politiche di Governo. Dunque, il sistema di potere sta assumendo questa dimensione ed il problema non dico che non sia quello, ma non è solo quello di stabilire una migliore cooperazione a livello internazionale tra le polizie e le magistrature, cosa di cui parliamo da decenni e che si è almeno in parte realizzata, senza che si sia però ottenuto il risultato sperato. Il riciclaggio di denaro, gli appalti illeciti e quanto altro vanno infatti proliferando, non sono affatto scomparsi; la cooperazione internazionale fa sì che dalla Svizzera ci si sposti al Liechtenstein, all'Austria o alla Germania, ma dobbiamo individuare quali siano i circuiti del potere economico e politico, oltre che criminale, che si muovono. Una seconda caratteristica sta nel fatto che la mafia (e qui mi riferisco a Cosa nostra) sta diventando sempre più, nelle sue articolazioni italiane e straniere, integrata in un sistema di potere, cioè ha assunto una strategia politica molto più evidente di quanto non lo fosse in precedenza, persino pagando da questo punto di vista dei costi in termini di autonomia della propria organizzazione. Ritengo dunque che essa sia pronta a prestare le proprie armi micidiali, la propria organizzazione al servizio di obiettivi politici nei quali si riconosce ma che non sono soltanto suoi. C'è, come dire, una compenetrazione in questa strategia politica di Cosa nostra rispetto ad una autonomia; per intenderci, credo che fino a qualche tempo fa potevamo considerare i padrini politici della mafia ed i governanti, che erano complici della mafia nel nostro ed in altri paesi, come soggetti che stabilivano degli accordi con i capi di Cosa nostra ciascuno però - il capo di Cosa nostra ed il padrino politico - mantenendo la propria autonomia. Torno all'esempio di Andreotti: sono convinto che egli abbia svolto la sua azione di governante in larga misura in maniera indipendente dalla suggestione o dagli interessi di Cosa nostra, salvo naturalmente mettersi d'accordo, di volta in volta, quando arrivavano il piano elettorale, il piano degli appalti e via dicendo. Oggi, invece, credo che l'unificazione formidabile della strategia politica faccia sì che i nuovi padrini politici della mafia siano coloro che contemporaneamente decidono le azioni militari, le azioni economiche e finanziarie e le azioni politiche. Quindi non si tratta, presidente, di condizionamento dei pubblici poteri; non si tratta di inquinamento dell'economia e della finanza; non si tratta di complicità all'interno degli apparati dello Stato o Pagina 2983 di deviazione dei servizi; non si tratta di internazionalizzazione del crimine: si tratta di vastità e profondità di un sistema di potere, che è mutato e all'interno del quale è mutata anche la collocazione di ciascuno dei protagonisti - il protagonista criminale, il capo mafia, il protagonista politico, il governante, il protagonista istituzionale, il magistrato o il poliziotto corrotto di volta in volta -. Tanto è vero che, in questi anni, si è determinato il condizionamento non dei singoli soggetti, bensì della stessa azione di contrasto complessivo dello Stato. Ecco perché le ragioni vanno messe in evidenza e non ci possiamo contentare di dire che qualche successo si è determinato. Sappiamo che con una strategia che in questi anni si è via via raffinata, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura non sono state attaccate soltanto dai capi mafia, ma sono state attaccate sul piano politico, sono state attaccate sul piano dell'opinione pubblica da giornali compiacenti, insomma da tutti i protagonisti di un sistema di potere che, pur non essendo direttamente mafiosi, avevano comunque una convergenza reale di interessi con la mafia. La corruzione della magistratura non ha determinato soltanto il fenomeno eclatante di Corrado Carnevale, ma anche il fatto che questi all'interno della magistratura non è mai stato allontanato dalla sua funzione e dal suo incarico. Ha fatto sì che Curtò a Milano avesse complici che non erano quelli che prendevano la valigetta direttamente o tramite la propria moglie, ma coloro che comunque convivevano dentro questo sistema. Dunque, il condizionamento è stato all'interno delle istituzioni rispetto all'esercizio di funzioni essenziali. Ho già fatto l'esempio di Contrada per quanto riguarda l'azione della polizia, che ancora qui abbiamo visto vincolata, condizionata da questo genere di giudizi. E' per questa ragione che credo nella relazione manchi il riferimento ad una valutazione dei delitti politici che si sono tragicamente susseguiti in questi anni, compresi quelli di Falcone e di Borsellino. Non credo che abbiamo bisogno, in questa Commissione, di commemorare eroi che sono ormai consegnati alla coscienza collettiva come tali. Abbiamo bisogno di capire cosa sia successo e perché; di andare anche oltre il livello degli autori materiali o dei mandanti di Cosa nostra degli assassini di Falcone e Borsellino, per capire in quale contesto ed in quale scenario tutto ciò sia maturato. Per ciascuno di questi, naturalmente, si potrebbe fare un discorso specifico ampio; io cito però l'esigenza di parlarne, di non limitarsi sicuramente e semplicemente ad attribuire a Cosa nostra l'esecuzione materiale (nella quale pure io credo) di questi delitti. Così, per quanto riguarda le stragi del 1992 e del 1993, non voglio accreditare all'opinione pubblica più che tanto, ma non credo che nel senso comune sia condiviso un giudizio così netto, comunque non lo condivido io; intendo dire che io credo che c'entri Cosa nostra, che probabilmente abbiano detto la verità i pentiti che hanno parlato dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario e di altro, ma che mai i capi di Cosa nostra o chi, comunque, attualmente comanda all'interno di Cosa nostra, della camorra e della 'ndrangheta avrebbe compiuto stragi di questo genere se non fosse entrato in un circuito di interessi e di convenienze che si muovono ad un livello molto più elevato e che hanno a che fare - io credo - con le sorti della democrazia e del sistema politico in questo paese. Quindi concludo tornando alla mia considerazione iniziale. Mi rendo conto che le mie sono valutazioni ancora molto approssimative, che costituiscono un riepilogo di osservazioni più che una riflessione approfondita; credo però di dover confermare, presidente e colleghi, quello che ho detto inizialmente ed in alcune occasioni ho avuto modo di ripetere in questa sede. La mia convinzione è che questa Commissione debba lasciare al Parlamento ed al paese un'analisi aggiornata (e lo sta facendo) ma anche una ricostruzione, se volete uso questa espressione, allarmante, cioè che determini un Pagina 2984 allarme nella coscienza collettiva circa la natura profonda della mafia come sistema di potere e circa la sua capacità di essere permanentemente o di atteggiarsi permanentemente come protagonista di un'azione di contrasto alla democrazia ed allo sviluppo di tutti i diritti e di tutte le libertà fondamentali. Se non muoviamo la nostra analisi puntuale, la ricostruzione dei documenti e degli atti a questo livello, faremo un utilissimo lavoro di aggiornamento dell'analisi, che potrà servire alla magistratura ed alla polizia e potrà rappresentare anche elemento di informazione per l'opinione pubblica e sarà dunque comunque apprezzabile, ma resteremo al di sotto della natura e della gravità di questo fenomeno. Poiché il presidente ha scritto e ripetuto che la valutazione di ordine politico, che è quella che determina il succo di una relazione annuale, è rinviata all'esito della discussione, mi auguro che queste mie osservazioni, insieme alle altre che altri colleghi hanno fatto e faranno, potranno essere utili per quella ricostruzione. Dichiaro fin d'ora, tuttavia, che di questa idea, di questa valutazione, che è più che un'ipotesi, del fenomeno mafioso come sistema di potere sono sempre più convinto, per cui intendo mantenere questa convinzione agli atti della Commissione. UMBERTO CAPPUZZO. Signor presidente, innanzi tutto desidero esprimere vivo apprezzamento per questa relazione che tratta in maniera completa tutti gli aspetti del nostro impegno in questa legislatura. Fatto questo apprezzamento, devo però osservare che la relazione, così ricca di dati, a volte manca di incisività. Sarebbe forse stato opportuno estrapolare tutta la parte che si riferisce alla documentazione e metterla in allegato, in modo da avere soltanto valutazioni che abbiano pregnanza politica. A tale riguardo, presidente, vorrei anche richiamare la sua attenzione su problemi di carattere terminologico. Si parla delle quattro Commissioni facendo riferimento a volte ai poteri, alle funzioni, alle potestà, ai compiti: per evitare confusioni sarebbe opportuno precisare meglio questo aspetto. Le quattro fasi sono descritte in maniera molto esauriente, completa ed interessante, perché si riesce a comprendere la differenza tra le varie Commissioni nel tempo: dall'idea dell'informazione, della ricognizione, all'idea dell'intervento sul piano legislativo, alla presa d'atto di quanto realizzato sul piano legislativo e quindi alla possibilità di verificare l'incidenza della legislazione sull'attuazione pratica. Sono cose molto interessanti, che ho veramente molto apprezzato. Fatto questo riferimento generale, mi chiedo se non fosse stato opportuno inserire, a premessa, una considerazione sul momento che stiamo vivendo. Siamo in presenza di un'autentica svolta e tale svolta, a mio avviso, è data non soltanto dai successi ottenuti, ma dal fatto che misteriosamente, in questa fase, abbiamo avuto la possibilità di catturare dei latitanti; abbiamo avuto un fenomeno del pentitismo che ha raggiunto livelli notevoli; abbiamo visto in azione nuove forme di strategia: i delitti politici e gli attentati. Siamo in presenza di un'espansione territoriale, perché le zone a rischio non sono più quelle tradizionali; siamo in presenza anche di un fenomeno di internazionalizzazione e di globalizzazione, che l'onorevole Galasso ha accortamente messo in evidenza. Dobbiamo valutare il momento storico: perché solo adesso sono stati catturati i latitanti? Perché in passato ci sono state omissioni e carenze? Come mai il pentitismo si è manifestato soltanto adesso? Come mai le vecchie strategie sono state abbandonate, e per che cosa? Sarebbe stata interessante una valutazione della svolta alla quale abbiamo assistito, anche per poter comprendere quello che ci resta da fare. Mi ha colpito un tema affrontato nella relazione, cioè che l'attività delle multinazionali si basa su una strategia che va Pagina 2985 oltre il nostro paese. Forse sarebbe stato interessante soffermarsi su queste ipotesi. Rilevo poi che, per quanto riguarda le classiche manifestazioni della mafia (droga, estorsioni, usura, appalti, riciclaggio) una più puntuale ricostruzione avrebbe consentito al lettore di questo ampio documento di comprendere con più facilità in quale momento viviamo. Da tempo andiamo ripetendo - mi spiace che non sia presente il collega Taradash - quale sia stato il ruolo centrale della droga, ma nella relazione questa affermazione si attenua e viene in un certo senso ammorbidita, poiché si giunge subito a trattare della fase finale, importantissima anche sul piano internazionale, del riciclaggio; manca una ricostruzione puntuale delle nuove manifestazioni del traffico di droga e cosa esso significhi ai fini dell'individuazione dei flussi di riciclaggio. Sono rimasto favorevolmente colpito dall'accento posto sulla razionalizzazione del lavoro; mi riferisco al processo di informatizzazione della documentazione. Mi chiedo, però, se un capitolo così interessante non possa essere messo in allegato, per non appesantire troppo la relazione e consentire al lettore di soffermarsi sugli aspetti della lotta alla mafia sotto il profilo legislativo e amministrativo della repressione. Quanto a quest'ultimo aspetto ed allo scioglimento dei consigli comunali, forse sarebbe stata opportuna una riflessione sulle eventuali modifiche che la Commissione potrebbe proporre per questi istituti. In passato è stato messo più volte in evidenza come l'intervento indiscriminato nei riguardi di un consiglio comunale, senza la chiara indicazione dei colpevoli da allontanare definitivamente dalla vita politica, faccia sì che questi riescano a mascherarsi nel complesso dell'attività amministrativa ed a riciclarsi; è successo che, alle elezioni successive, soggetti del genere siano risultati addirittura eletti. A poco serve il codice di comportamento etico dei partiti perché, nelle sedi in cui si è intervenuti, i partiti sono in condizione di "sonno" e non partecipano attivamente; alcune persone si riciclano grazie alle clientele da loro stessi create. Il relatore ha opportunamente ricordato il lavoro svolto nel corso della X legislatura dalla Commissione antimafia presieduta dal senatore Chiaromonte, caratterizzato dalla traduzione in legge di un complesso di esigenze; questa Commissione vuole invece agire sul versante delle istituzioni e sull'applicazione delle leggi. Il relatore ha svolto considerazioni molto sagge sulla scarsa applicabilità delle norme. Sarebbe stata forse opportuna una maggiore puntualizzazione degli aspetti particolari, per vedere quale legge si sia rivelata non adatta o abbia fatto addirittura perseguire lo scopo opposto. Un altro aspetto al quale è stato fatto solo un rapido cenno riguarda l'intervento sul piano sociale e formativo. Dalla visita a Palermo ed al quartiere Brancaccio è emerso un forte degrado. Un capitolo dedicato alla vulnerabilità del sistema democratico rispetto agli attacchi del potere mafioso ed al rapporto tra il degrado e la manifestazione di quel potere (degrado voluto perché favorisce la criminalità organizzata di stampo mafioso) forse sarebbe stato opportuno. Quanto al problema dell'internazionalizzazione, finora abbiamo avuto collegamenti sul piano internazionale tra istituzioni repressive, informative e legislative per addivenire ad un fronte comune. Mi chiedo se non possa essere data una dimensione parlamentare alla lotta contro la mafia. Proporrei addirittura il coinvolgimento di esponenti del Parlamento per affrontare il tema della criminalità organizzata, a simiglianza di quanto avviene per l'Assemblea dell'Atlantico del Nord. Mi riferisco all'esigenza di inserire, nella lotta contro la mafia, la componente democratica popolare, sia pure attraverso i suoi rappresentanti, affinché questo fenomeno, nel momento in cui assume connotazioni particolarmente pericolose, non costituisca più soltanto elemento di dibattito e valutazioni all'interno delle istituzioni bensì spunto per l'intervento Pagina 2986 delle varie forze politiche con proposte sul piano parlamentare e quindi elemento di una democrazia di tipo diverso attraverso l'azione convergente di esponenti politici di tutti i paesi che sono a rischio o che possono diventarlo. Mi permetto di sottoporre questa proposta all'attenzione del presidente. Procedendo ad una sintesi, ribadisco l'opportunità di alleggerire la relazione, collocando in allegato le parti relative alla documentazione. Rinnovo anche la proposta di dare una dimensione democratica alla lotta contro la mafia. Come il presidente ha preannunciato nella lettera, manca la parte relativa alla valutazione complessiva di carattere politico; vedremo cosa dovrà essere inserito dopo la conclusione del dibattito. Ritengo, però, sin d'ora che debba essere individuata una nuova linea strategica, che sia vincente a fronte di una mafia che ha mutato la sua linea strategica rispetto a pochi anni fa. Oggi siamo di fronte ad un fenomeno completamente nuovo rispetto al passato, di fronte a metodi nuovi ed a nuove estensioni territoriali. Tutto ciò esige una strategia diversa rispetto alla quale la componente italiana può avanzare proposte anche a livello internazionale. Dunque, nella sintesi finale dovrebbero essere date indicazioni su tale strategia, sul piano preventivo, sul piano repressivo e su quello amministrativo, per evitare di limitarci alla cronistoria di quanto è avvenuto. In conclusione, desidero brevemente tornare su un argomento che avevo tralasciato. Mi riferisco alle valutazioni sugli interventi dei commissari nei comuni di cui sono state sciolte le amministrazioni. Queste valutazioni sono velate di un certo ottimismo; mi risulta che talvolta i commissari siano stati soltanto dei burocrati mentre, non avendo problemi di consenso, avrebbero potuto approfittare per vincere connivenze e collusioni: purtroppo non l'hanno fatto. Il commissario non deve soltanto mandare avanti il sistema a livello burocratico; deve eliminare tutte le contiguità e le connessioni esistenti negli apparati amministrativi. Non esiste soltanto la burocrazia. Naturalmente, bisogna porre l'accento sulla vulnerabilità dei nostri sistemi, sull'inefficienza diffusa degli apparati, sul ben noto sistema degli appalti. Se in futuro volessimo fare un lavoro di maggior pregio, non disdegnerei di procedere ad un'analisi del voto nei bacini territoriali nei quali è maggiore l'impronta mafiosa, per verificare eventuali spostamenti di voti, su chi vengano diretti e se i mafiosi abbiano veramente la capacità di convogliare il consumo. Sarebbe interessante un'analisi, anche a campione, svolta nelle zone più esposte. Infine, vorrei chiedere al presidente se non sia il caso, a seguito delle notizie che abbiamo appreso poche ore fa dagli organi di informazione, di dedicare attenzione a questi nuovi sviluppi. Si tratta di fatti che possono avere notevole incidenza anche su giudizi che finora abbiamo formulato e per la definizione delle linee strategiche per il futuro. Se le notizie diffuse sono vere, siamo in presenza di elementi di seria preoccupazione che si collocano sulla stessa linea di quelli che l'onorevole Galasso ha voluto evidenziare per il caso Contrada. Mi domando, perciò, se sia il caso di approvare subito la relazione ovvero sia preferibile aspettare, per inserire elementi di valutazione alla luce degli ultimi sviluppi, di grande importanza. GIROLAMO TRIPODI. Desidero confermare il giudizio già espresso in altre occasioni circa la validità della strategia che questa Commissione ha seguito sin dal suo insediamento. L'intenso lavoro compiuto - per molti aspetti eccessivo - ha prodotto risultati importanti che hanno consentito di delineare un quadro più limpido della delinquenza organizzata sia a livello regionale sia a livello più generale, nelle sue diramazioni territoriali e nei suoi collegamenti di livello internazionale, con riferimento ai grandi traffici di droga e armi ed ad interventi che possono essere ricondotti a rapporti politici. Questo lavoro ha favorito lo svilupparsi degli eventi, cioè l'emergere in Pagina 2987 quest'ultimo anno del rapporto tra mafia e politica; questo è stato l'elemento fondamentale che ha caratterizzato l'azione portata avanti in particolare dalle forze dell'opposizione; mentre le forze di Governo negavano questa possibilità o evidenza, noi, invece, abbiamo agito in questo modo, come è stato confermato nella relazione sui rapporti tra mafia (Cosa nostra) e politica. Ma non lo abbiamo fatto solo noi, perché una serie di inchieste giudiziarie ha messo in evidenza qual è il rapporto stretto tra potere politico e potere criminale. Credo che, senza esagerare, dobbiamo affermare che in certe zone del paese - grazie alla conoscenza dell'attività giudiziaria e a quello che abbiamo scritto nella relazione - abbiamo potuto riscontrare che la mafia, per i rapporti politici, per i collegamenti con la pubblica amministrazione, per i rapporti con gli apparati dello Stato, per il controllo dell'economia, degli affari, degli appalti e del territorio è diventata un'organizzazione statale. Dobbiamo dire che non ci troviamo di fronte ad un antistato ma che ci siamo trovati e ci troviamo di fronte ad uno Stato vero e proprio. Se non lo facessimo, non andremmo fino in fondo, non scaveremmo nel modo giusto. Ritengo, perciò, che si debba dire qualcosa in più. Se questo è il tipo di organizzazione criminale cresciuto nel nostro paese negli anni, come lo è (come risulta dai fatti oggi appresi dalla televisione circa un'operazione in grande stile, condotta dalla DIA, che coinvolge oltre 200 persone a livello nazionale, ed anche - si dice - un generale dei carabinieri e 4 magistrati a livello nazionale ed uno a livello locale - non so chi possa essere, perché il nome non è ancora noto -), questa è la dimostrazione che la delinquenza organizzata, proprio per i rapporti che è riuscita a determinare è diventata anche un'organizzazione eversiva. Se consideriamo che la democrazia nelle zone dove opera la mafia praticamente non esiste oppure che è vietato esercitarla e che la libertà individuale dei cittadini non è garantita, se consideriamo che in molte zone la scelta libera del voto non è assolutamente possibile, è evidente che dobbiamo definirla un'organizzazione eversiva, anche per i collegamenti che ha avuto. Mi riferisco anche alle stragi dovute a terrorismo politico-mafioso, che hanno visto coinvolte anche forze di destra. Mi pare che anche in questi giorni emergano ancora, anche se sotto forme diverse, disegni autoritari che vedono coinvolte anche parti delle forze armate. Ritengo, allora, che dobbiamo affermare queste cose nella relazione. Pensavo che la relazione sarebbe stata un resoconto di quello che abbiamo fatto, perché io ritengo giusto che sia corredata dall'elenco dei risultati conseguiti. Altrimenti, si potrebbe dire che abbiamo svolto soltanto riunioni, compiuto sopralluoghi, ascoltato responsabili politici, della magistratura e dei corpi dello Stato o eletti nelle varie istituzioni. Credo invece che dobbiamo aggiungere qualcosa. Bisogna affermare - come osservava molto bene il collega Galasso - che un rapporto non solo tra mafia e politica ma anche tra mafia e poteri esiste non soltanto nelle zone in questione. Anche se qualche volta si è esagerato, abbiamo visto che la mafia è riuscita a tenere rapporti con i massimi poteri dello Stato, con il potere politico, con il Governo: abbiamo visto coinvolti un Presidente del Consiglio, diversi ex ministri, in particolare dell'interno. Questi sono fatti gravissimi sui quali non possiamo sorvolare. E' giusto che vi sia il massimo equilibrio, ma queste sono cose che la gente da noi attende, perché vuole che diciamo le cose senza mettere alcun velo. Non dobbiamo avere alcuna ambiguità, perché questo non sarebbe utile a nessuno. Un'altra questione che dovremmo approfondire è quella relativa al rapporto che la mafia ha instaurato con corpi separati dello Stato; si dice qualcosa sui servizi segreti. Credo che occorra citare, per esempio, il caso Contrada, che è uno dei casi: ancora non sono emersi, ma ve ne sono altri. Parte della magistratura è coinvolta. Credo allora che dobbiamo precisare. Ancora non abbiamo le sentenze, Pagina 2988 ma è stato detto che, se la mafia è cresciuta in questo modo, arrivando a creare legami in ogni modo, a determinare decisioni a livello del potere politico, non vi è dubbio che vi sono state responsabilità, responsabilità politiche. Credo che bisogna rompere, perché se si lasciano ancora elementi di ambiguità è evidente che, anche se il rapporto viene tagliato con alcuni, si riproduce con altri. La mafia ha alzato il tiro con gli ultimi attentati, che certamente non sono stati opera soltanto sua, anche se un giorno si dice che è stata la camorra, un giorno che è stata la mafia e poi si smentisce, poi si dice che sono collegate a questa strategia del terrore anche altre organizzazioni. Se le cose stanno così dobbiamo dire con molta chiarezza che è evidente che la mafia ha potuto crescere perché vi sono state responsabilità politiche precise. Per quanto riguarda la situazione attuale, non è che la mafia, avendo subito colpi con l'arresto di capi storici, di capi indiscussi, anche se nella relazione sono indicati dati che possono indicare una caduta, sia sbandata: credo, anzi, che stia ricostruendo il suo tessuto di dominio e di capacità di imporre la sua forza e le sue regole. Dobbiamo dire il nostro parere senza esprimere un giudizio secondo il quale siamo di fronte ad un fenomeno decrescente, perché questo non si può assolutamente affermare. Circa i rapporti mafia-poteri e mafia-politica, a pagina 10 della relazione si parla dei rapporti tra organizzazioni mafiose e massoneria. Credo che anche su questo dobbiamo dire di più. Non si comprendono, infatti, i motivi che hanno spinto la Commissione antimafia ad approfondire questi collegamenti e quali siano, allo stato attuale, i riscontri acquisiti in merito. Non si parla, insomma, della natura dei rapporti posti in essere tra mafiosi e massoni nell'ambito di affari di varia natura, in primo luogo negli appalti, nell'ambito dell'aggiustamento dei processi, di una comune strategia della tensione, nell'ambito del separatismo e così via. Queste cose, viceversa, devono essere dette nel modo più chiaro e circostanziato possibile, così come si deve dire che il lavoro della Commissione antimafia deve proseguire al fine di appurare la natura di identici collegamenti in tutte le altre regioni, non soltanto in Sicilia, ivi comprese quelle che definiamo le regioni dove è più infiltrata la mafia, per esempio, in Toscana (come sta emergendo in questi giorni). Deve essere inoltre valorizzato il patrimonio di notizie portate avanti e a conoscenza della Commissione antimafia. L'inchiesta aperta dal procuratore della Repubblica di Palmi Cordova ha potu-to scoperchiare il pentolone esistente. Quindi, bisogna dire che, su questa questione, ci troviamo di fronte all'inchiesta più delicata e più importante degli ultimi tempi nel nostro paese. Basti pensare a quello che accade sul piano nazionale: si dice che vi sono 26 comunioni massoniche, la maggior parte delle quali fungono da stimolo per la presenza di strutture occulte. A questo riguardo è doveroso riflettere, così come lo è sulla presenza, ancora, della P2. Il collegamento che l'altro giorno abbiamo individuato è inserito nella relazione sulla Calabria. Le inchieste della magistratura di Palmi, che vedono coinvolto Gelli, sono la dimostrazione che questa organizzazione ancora esiste. A questo riguardo, bisogna sottolineare che, di fronte ad un'inchiesta così importante e decisiva anche per la nostra democrazia, vi è il rischio che vada in porto la strategia volta a sabotarne ed ostacolarne la conclusione. A parte il fatto che nei giornali abbiamo letto che una parte del Consiglio superiore della magistratura ritiene che questa inchiesta segni il passo, credo che nella relazione non possiamo non ricordare gli ostacoli di ogni tipo che ad essa sono stati frapposti: vi sono stati sabotaggi portati avanti persino dall'ex ministro di grazia e giustizia, il quale sin dall'inizio ha cercato di mettere i bastoni fra le ruote per impedire che l'inchiesta potesse andare in porto. Eppure essa, stando anche alla definizione che le ha dato il procuratore, Pagina 2989 riguarda un'organizzazione che "rappresenta" il tessuto connettivo del potere esistente in Italia. Credo, quindi, che certe cose vadano dette, aggiungendo che bisogna mettere a disposizione tutti i mezzi necessari per sconfiggere qualsiasi operazione di sabotaggio, di ostacolo e di freno allo sviluppo dell'inchiesta, altrimenti lasceremo un vuoto significativo. Considerando che non concluderemo questa sera la discussione, preannuncio la presentazione di un emendamento da parte del mio gruppo... PRESIDENTE. L'accordo che avevamo preso era che si concludesse questa sera la discussione, e dopo di che mi sarei riservato di... GIROLAMO TRIPODI. No, io mi riferivo alla conclusione con un voto. Quindi, credo che avremo il tempo per presentare un emendamento su questa parte della relazione, a meno che, sulla base di questo dibattito, da parte sua, signor presidente, vi sia una riflessione circa la necessità di dire di più su questa questione, specificando come si è sviluppata, sottolineandone gli ostacoli, nonché le soluzioni, i sostegni e gli aiuti necessari. Credo debba essere evidenziato anche un altro aspetto, e cioè che il Governo e le varie amministrazioni pubbliche, nonostante sia stata scoperta l'appartenenza alla massoneria di molti funzionari, magistrati, esponenti delle forze armate, delle forze dell'ordine e dei servizi segreti, non hanno ancora assunto nessuna iniziativa a proposito dell'incompatibilità tra il giuramento di fedeltà prestato alla Repubblica e quello del rispetto e dell'esercizio della fede massonica. Credo che questo fatto debba essere richiamato, altrimenti può accadere che queste forze, che sono all'interno degli stessi apparati dello Stato, passino al contrattacco. Nella relazione vi è un richiamo all'incontro con gli esponenti delle due organizzazioni massoniche. Per quanto mi riguarda, quello che dicono loro a noi non interessa, anche se è bene che collaborino per smascherare chi non fa il proprio dovere. Ho sottolineato la necessità di stare attenti, sia in considerazione delle applicazioni richieste dal ministro Conso presso la procura di Palmi per poter portare avanti questa inchiesta, sia del fatto che rispetto a dodici richieste sono state cinque quelle dichiarate accettabili e che nei confronti di una di queste vi è un certo ostracismo; mi riferisco a quello esercitato, con la ricerca di mille cavilli - non capisco perché si cerchino per lui e non, per esempio, per un altro magistrato di una delle sedi della giustizia romana - nei riguardi di un magistrato che ha molta esperienza. Mi riferisco al sostituto procuratore della Repubblica di Bologna Libero Mancuso, la cui nomina ha subito un'ulteriore bocciatura. Si tratta di un fatto che evidentemente non può essere giustificato sul piano tecnico e che ha, invece, un valore ed una valenza politica. Infatti, questo magistrato paga l'impegno profuso in passato nella lotta alla massoneria deviata. Credo che questo dimostri il disegno destabilizzante che si intende portare avanti anche per impedire che questa inchiesta vada in porto. Qualche parola va spesa sull'organizzazione della giustizia, cioè sulle carenze degli organici, sul fatto che alcune fasce della magistratura ancora non svolgono il loro dovere - per cui vanno individuate - e che anche i mezzi messi a disposizione dallo Stato non vengono dati alla magistratura. La stessa situazione carceraria deve essere messa in evidenza. Tutte le questioni che ho adesso elencate, credo che debbano essere oggetto di opportuni interventi non solo in termini di giudizio ma di proposte concrete. Qualche considerazione sulla superprocura, sulla DNA. Ricordo che a suo tempo sulla costituenda superprocura non ci siamo limitati ad esprimere delle riserve ma ci siamo opposti. Comunque, visto che oggi è una realtà, dobbiamo sottolineare il rischio che la superprocura faccia la fine dell'Alto commissario. Mi rendo conto che esistono difficoltà nei rapporti tra superprocura e procura distrettuale, ma credo che allo stesso tempo ve ne siano altre che vanno ricercate Pagina 2990 all'origine dell'istituzione di questo organismo e nel modo in cui viene gestito. Dopo otto mesi dalla sua costituzione non abbiamo avuto alcun risultato, o meglio, ne abbiamo avuto uno, che però non è un aiuto ma un danno: il documento pubblicato giorni fa e sottoscritto da 18 sostituti su 20. Si trattava di una critica, anche se poi hanno cercato di porla in termini positivi. Per quanto mi riguarda, si tratta di un'istituzione che oggi conferma il giudizio che esprimemmo a suo tempo, in quanto continuo a ritenere che le forze e le risorse che essa ha sottratto potevano essere utilizzate diversamente. Non è sufficiente che Siclari partecipi alle conferenze dopo le grandi retate! Bisogna cambiare, bisogna esprimere un giudizio, nonché proporre soluzioni. Ripeto, per quanto mi riguarda, non serve, però, visto che esiste, vediamo se è possibile trovare altre soluzioni, le quali non pregiudichino i poteri periferici, né diventino sovrapposizioni di compiti e di ruoli. Deve essere riaffermato il principio della distinzione dei compiti e del loro coordinamento. In conclusione, ritengo che la relazione debba essere completata con i suggerimenti dati, perché se non li recepisse esprimendo un giudizio più generale, resterebbe soltanto un elenco di ciò che abbiamo fatto. Per evitare che la relazione sia monca, dobbiamo essere più precisi possibile. Quando abbiamo redatto il documento sui rapporti tra mafia e politica, abbiamo discusso, cercando di contribuire ognuno per la sua parte, e siamo giunti ad una conclusione fornendo un documento che credo fosse più corrispondente alla realtà. La relazione di cui discutiamo è più importante di quella che riguardava una parte dell'attività da noi svolta, perché attiene al lavoro che abbiamo compiuto in un anno e perché di essa devono tenerne conto il Governo ed il Parlamento per quanto riguarda le dovute e, a mio avviso, doverose decisioni. In conclusione, valuteremo gli aspetti di cui ho detto e che a me sembrano rilevanti per completare il documento al nostro esame e non per aggiungervi qualcosa al fine di stravolgere certe posizioni o affermarne di particolari. Riteniamo che la realtà debba essere recuperata e fotografata con i fatti che abbiamo riscontrato nel nostro lavoro e con i suggerimenti da avanzare all'Esecutivo e al Parlamento per gli ulteriori provvedimenti da assumere. E' necessario che gli stessi apparati dello Stato tengano conto del fatto che oggi siamo in un'altra fase e che bisogna cominciare a fare pulizia, anche all'interno degli apparati preposti alla lotta alla criminalità. Iniziative come quelle assunte ieri dal ministro nei confronti di un generale sono importanti e non vorremmo che si ripetessero circostanze nelle quali ministri o responsabili della polizia difendono coloro che sono o sono stati collusi con la mafia ai danni della democrazia e della Repubblica. MASSIMO SCALIA. Vorrei dedicare pochi istanti del mio intervento ad una questione che riguarda l'ordine dei lavori. Il presidente confermerà se - come ritengo di aver capito - chiuderemo entro oggi la discussione sul documento e definiremo alcune sedute nelle quali sarà possibile proporre emendamenti non al testo in esame ma a quello che a seguito di questa discussione il presidente vorrà predisporre, un testo dotato di una premessa e, ancor più significativamente, di conclusioni che diano il risalto politico che, come molti colleghi hanno sottolineato, deve avere un documento del genere. PRESIDENTE. Questo rischia di diventare un lavoro infinito. Suggerisco, quindi, di porre come termine per la presentazione degli emendamenti lunedì sera, in modo che io abbia la possibilità di risistemare il testo. MASSIMO SCALIA. Questa è un'ipotesi che può andare benissimo per la parte che ella ha già presentato. Però, come è istanza di molti colleghi e come sarà mia istanza, è importante, proprio per il risalto politico del documento, Pagina 2991 avere anche il testo definitivo, perché una cosa sono gli emendamenti correttivi e aggiuntivi di alcuni aspetti riportati, altro è il taglio politico generale della relazione che, come ella ci ha detto nel momento in cui l'affidava alla discussione, è presente molto limitatamente, mentre invece sembra essere - e lo è sicuramente per me e per altri colleghi - un elemento fondante l'approvazione del documento stesso. Per questo la prego di stabilire dei tempi emendatizi per quello che riguarda il testo a disposizione, prevedendo anche la possibilità di procedere ad una discussione finale, con la possibilità di presentare emendamenti su quelle che possono essere anche poche pagine di conclusioni e valutazioni politiche generali. Non sarei soddisfatto di emendare questo testo che può anche essere modificato dal presidente sulla base di una serie di considerazioni eminentemente aggiuntive che sono state fatte. Invece le sottolineature politiche credo che difficilmente potrebbero avere corso rispetto al testo dato perché attengono ad una valutazione generale che può essere allegata in conclusione al documento. Sarebbe un lavoro improbo anche per noi emendare in modo prevalentemente aggiuntivo il testo, senza avere mai l'occasione di dire quello che pensiamo - se non in sede di dichiarazione di voto - sul segno politico complessivo del documento. PRESIDENTE. Alla fine della seduta decideremo cosa fare. GIROLAMO TRIPODI. Desidero aggiungere una considerazione. Nel documento vi è una notizia non vera relativa agli appalti. PRESIDENTE. No, quello approvato dalla Camera certo che è vero ed io ho parlato del testo approvato dalla Camera e non di quello del Senato. MASSIMO SCALIA. Ho fatto questa premessa sull'ordine dei lavori perché volevo sottolineare, come hanno già fatto altri membri della Commissione, l'aspetto politico del documento. Intendo dire che il presidente ci ha dato - e noi apprezziamo la fatica e il lavoro svolto - una sinossi dell'attività attuale della Commissione antimafia (ovviamente nessuna sinossi è completamente neutra e anodina, né peraltro sarebbe corretto che lo fosse) che però, pur essendo suscettibile di alcune modifiche, correzioni e aggiunte - che sono state suggerite e sulle quali interverrò anche io -, lascia in pregiudicato quello che deve essere il taglio politico della relazione. Il collega Galasso, intervenendo prima, temeva che questa potesse essere l'ossatura non solo espositiva ma anche politica della relazione, per cui ha approfondito esigenze di carattere politico che io in larga misura condivido da un punto di vista meno impegnativo di quello che egli proponeva, seppure come ipotesi. Anche io appartengo alla scuola di pensiero di coloro che ritengono, sulla base di una serie di dati, documentazioni e valutazioni politiche, che la mafia vada trattata come sistema di potere che ostacola in maniera consapevole la possibilità di ogni forma di espansione, da quella economica a quella della libertà, dei diritti dei cittadini. Quindi, sono alieno dal ritenerla o ridurla a fatto di criminalità organizzata, a fatto di Cosa nostra o altro. Però, non ritengo che sia necessario aderire a questa scuola di pensiero per richiedere che le valutazioni e le conclusioni politiche del documento abbiano un aggetto molto più forte ed un livello politico molto più elevato e responsabile di una sinossi. Questo oltre tutto - senza dover chiedere ad alcuno di condividere i miei punti di vista - sulla base di una notazione che nella relazione stessa viene fatta quando si ricorda che la Commissione d'inchiesta ha gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria ma che questa Commissione ha limitato le proprie competenze all'accertamento di fatti idonei a promuovere un giudizio di responsabilità politica. Cioè, si riconosce esplicitamente che, essendo accaduto per questa Commissione (come anche per altre) e cioè che la materia d'indagine veniva a coincidere con materia su cui Pagina 2992 erano aperte indagini della magistratura, questa Commissione ha preferito limitarsi - come viene detto esplicitamente - alle valutazioni di responsabilità politica. Allora, proprio perché la Commissione sceglie questa linea, questo modo di essere e questi comportamenti, diventa tanto più importante che, sul piano della responsabilità politica, essa sia in grado di fornire valutazioni. Altrimenti, da un lato c'è la magistratura e ci pensa lei e dall'altro vi è una responsabilità politica che però non viene "riempita" da questa Commissione, che si troverebbe in una situazione neutra, a mio modo di vedere, inaccettabile. Proprio per questo motivo dico che la valutazione politica del lavoro della Commissione è fondamentale. Ritengo che, anche in termini brutalmente quantitativi e materiali, ciò che ha occupato di più, in senso relativo, il lavoro e l'attenzione della Commissione sia stata la sessione mafia e politica. Allora, è ovvio che nell'andare alla sinossi non può esservi la famosa notte hegeliana in cui tutte le vacche sono nere ma ci deve essere un principio che guida nella gerarchia dell'importanza dell'impegno che la Commissione ha avuto. Dico questo perché, a proposito di responsabilità politica - il presidente me lo consenta - se all'epoca votai a favore del documento proposto dal presidente Violante su mafia e politica, non celai la sofferenza di questo voto a favore, la cui natura oggi ritengo opportuno esplicitare: mi sono chiesto più volte se, per i motivi politici che poi portarono anche me ad esprimere un voto favorevole, non abbiamo perso allora un'occasione molto importante dal punto di vista politico, etico e storico, che era quella di individuare - lo dico con grande nettezza - la responsabilità politica del senatore Andreotti - quella giudiziaria è altra cosa e non ci riguardava - in ordine alla degenerazione di un sistema di potere che era politico e che aveva avuto, a partire dalla Sicilia e poi in tutto il paese, ampie compenetrazioni col sistema di potere mafioso, responsabilità politica che andava attribuita al senatore Andreotti per il fatto di essere stato uno dei massimi dirigenti della democrazia cristiana, sette volte capo del Governo, per cui non poteva ignorare il tipo di degrado e degenerazione che la politica stava assumendo. Abbiamo perso - secondo me - quell'occasione rimandando molto astrattamente al Parlamento una pronuncia in merito. Credo che questo Parlamento non avrà realisticamente occasione di potersi pronunciare e guardo con rammarico al fatto che una sede che aveva la piena legittimità ad esprimersi a livello di responsabilità politica, in qualche modo non lo ha fatto, anche con il mio contributo. L'understatement che va benissimo nei club inglesi e probabilmente va anche molto bene nella vita ordinaria politica (se si strillasse un po' meno e si usassero toni e locuzioni molto più ragionevoli tutti ne trarrebbero vantaggio) non è più accettabile in questa Commissione: si tratta di un possibile understatement sulla pregnanza politica di alcuni lavori che questa Commissione ha svolto; intendo dire che non è accettabile che la sessione di lavoro su mafia e politica abbia a patire un'elencazione che sta al pari delle altre cose. Per lo stesso motivo ritengo che, sottolineata la modalità, si debba anche essere molto precisi su due cose, vale a dire sul prima e sul dopo. Credo che non si possa ritenere - lo hanno già detto altri colleghi - di vedere, in sede di valutazione e conclusioni politiche, la storia dei pentiti e della repressione come elemento centrale, anche se importantissimo, nella lotta contro il fenomeno mafioso. Ritengo che dobbiamo essere in grado di valutare il perché per anni, per decenni non si sia riusciti ad intervenire. Mi dispiace, a questo punto, dover nominare di nuovo il senatore Andreotti che all'epoca del famoso documento, in varie interviste televisive, sostanzialmente sosteneva di essere stato il primo capo del Governo ad intraprendere iniziative di carattere legislativo su questo terreno, cosa in linea di massima vera col peccato che, essendo stato lui al suo sesto o settimo Governo, tali iniziative avrebbero potuto essere meglio "targate", usando come misura Pagina 2993 del tempo gli anni di Riina latitante, perché venivano prese nel ventesimo, ventunesimo anno della latitanza di Riina. Non possiamo avere una visione completamente appiattita e senza una diacronia di responsabilità. PRESIDENTE. Ma queste cose non le abbiamo già scritte nella relazione mafia-politica? E' scritto lì perché prima non si è proceduto: dobbiamo riscriverlo anche qui? Allora dovremmo riscrivere tutto di tutto. Dico questo per capire cosa dobbiamo fare. MASSIMO SCALIA. Questa è una mia idea: vedevo una premessa, se necessario, un corpo di relazione e poi delle conclusioni politiche nelle quali, assumendo sempre - visto che sto citando molto dall'anglosassone - la proverbiale capacità sintetico-pragmatica degli anglosassoni, se io ritengo e se la Commissione ritiene che il lavoro su mafia e politica debba avere una posizione centrale nell'illustrare al Parlamento cosa ha fatto quest'anno la Commissione antimafia, forse - anche questo è un understatement- sarà del tutto opportuno che nella relazione vengano riportate in modo sintetico le valutazioni politiche forti che possono essere tratte. Credo di restare entro un limite di ragionevolezza, perché si tratta non di rifare la relazione ma di dare ad essa risalto politico, ricordando, appunto, queste cose. Analogamente, con riferimento agli esiti (questo aspetto era già presente nel documento su mafia e politica ma credo che vada ripetuto, come altri colleghi hanno detto), occorre rilevare l'esigenza di battere qualsiasi illusione o tentazione di dire (ma onestamente non l'ha detto nessuno) che bene o male la mafia è stata sconfitta o può essere sconfitta, ed invece sottolineare ancora l'esistenza di questo sistema di potere (si scelgano altre locuzioni se questa non piace), mantenendo comunque molto ferma e alta la vigilanza nei confronti degli esiti di questa battaglia. In questo senso - il collega Galasso me lo consenta - è molto interessante e probabilmente va sottolineato il problema della mondializzazione della mafia. Sappiamo, tanto per citare un esempio, che la mafia russa è entrata pesantemente in scena ed esercita la sua presenza e il suo controllo dal narcotraffico fino al mercato di materiale fissile e nucleare, il che non può non destare una grave preoccupazione a livello della proliferazione connessa a questa torbida presenza. Detto questo, mi trovo un po', per così dire, "sconvolto" nello scenario che il collega Galasso delinea, nel momento in cui questa mondializzazione della mafia diventa (vi sono certamente elementi in questo senso) una sorta di pania inglobante tutte le attività sociali, perché dal mondo della finanza a quello della grande impresa e delle multinazionali, in qualche modo tutto recita mafia. E' possibile che vi siano elementi preoccupanti di realizzazione di questo scenario, ma ho qualche dubbio che sia utile che noi proponiamo una visione del genere, perché mi ricorda un po' troppo una critica che talvolta viene mossa giustamente agli ambientalisti a proposito del catastrofismo: se noi diciamo che nel 2020 il mondo andrà a farsi benedire perché a causa dell'effetto "serra" si scioglieranno i ghiacci polari perché i livelli di inquinamento saranno tali per cui la crosta terrestre sarà invivibile, probabilmente diciamo cose che forse non sono neanche troppo lontane dalla realtà ma che non danno né forza né coraggio a coloro i quali, invece, stanno cercando di combattere per evitare questo tipo di catastrofi. La mia non era comunque una critica rivolta al collega Galasso, il quale ragionava soltanto in termini di scenario e di ipotesi, ma dal punto di vista delle conclusioni politiche di questo documento, credo vada senz'altro sottolineato un aspetto di mondializzazione, oltre agli aspetti di connessione e compenetrazione nei diversi cicli, circuiti e sistemi, sempre però con una certa moderazione. Soffermandomi molto brevemente su temi già evidenziati o forse ancora non Pagina 2994 sottolineati, la sinossi mi sembra carente laddove, pur menzionando il tema, non si dice poi che cosa fare per misurare l'impatto della legislazione antimafia sul fenomeno mafioso. Ma forse più che la relazione è stato carente il lavoro, anche se un'affermazione del genere suona quasi come una bestemmia, perché questa Commissione ha lavorato sicuramente moltissimo. Credo comunque che non disponiamo di molti elementi per effettuare una valutazione dell'impatto legislativo sul fenomeno mafioso. Vi sono state alcune presunzioni che ritengo corrette, secondo cui probabilmente è il momento non tanto di continuare a legiferare quanto di valutare l'efficacia delle leggi già approvate (su questo atteggiamento concordo); credo però che manchi, o sia carente, quello che potrebbe essere definito un'osservatorio dell'impatto legislativo sul fenomeno mafioso. Sottolineo anch'io l'esigenza di "stressare" maggiormente gli aspetti relativi al rafforzamento della magistratura, del sistema giudiziario, agli interventi che questa Commissione può suggerire anche sul piano del sistema carcerario, con particolare attenzione - mi sia consentito -, secondo l'esperienza di questa Commissione, al problema della riabilitazione minorile rispetto al sistema carcerario. In conclusione, concordo con il collega Tripodi nel momento in cui sottolinea la necessità di pervenire in questo documento a delle prime valutazioni che, pur nell'autonomia e nel rispetto di tutti, si pronuncino anche in maniera più definitiva sulla direzione nazionale antimafia. Vorrei esprimere conclusivamente e in modo non diplomatico esattamente ciò che penso: credo che quel tipo di struttura della direzione nazionale antimafia (lo sanno tutti coloro che hanno seguito questa vicenda ed io ebbi per altro la ventura di parlarne direttamente con l'allora protagonista, in un momento molto delicato della sua vita, cioè con Giovanni Falcone) era concepita e costruita, se mi è permesso dirlo, molto a immagine e somiglianza dell'esperienza e delle capacità che aveva Giovanni Falcone. Il fatto che questa organizzazione sia stata posta in essere può essere anche positivo, ma non è affatto irrilevante la considerazione, peraltro anche banale, che esistono strutture pensate e volute in funzione di determinati uomini e che non ci sono più, non è affatto vero che quella struttura funzioni lo stesso o allo stesso livello di efficienza e di efficacia per il quale era stata pensata. Desidero aggiungere, sempre per non essere diplomatico, che ho qualche garbato dubbio circa l'efficienza e l'efficacia dell'azione del procuratore capo (non so esattamente come chiamarlo) Siclari, che vedo sorridere dalla televisione ma che (magari sbaglio e vorrò essere corretto) non mi ha dato l'immagine di una capacità di coordinamento efficiente ed efficace di una struttura che certo veniva posta in essere, che certo era complessa, ma la cui azione pone, non solo a me ma anche ad altri colleghi, dei dubbi. Credo che uno spazio per recepire questo tipo di riflessioni debba essere individuato nella parte, che ritengo conclusiva, di valutazioni politiche, che chiedo al presidente di proporre alla Commissione per effettuare poi una valutazione completa. ANTONINO BUTTITTA. Vorrei sdrammatizzare... PRESIDENTE. Non c'è nulla di drammatico, mi pare. E' la situazione che è drammatica. ANTONINO BUTTITTA. Il tema che stiamo trattando lo è sicuramente. Tra tanti esperti, che hanno legittimo spazio in questo mondo, è giusto che ne abbiano anche coloro i quali hanno esperienza delle tinture, soprattutto quando queste tinture afferiscono alla capigliatura, che è una cosa importante. A parte questa boutade, ritorno alla notte hegeliana: ho la sensazione che viviamo in un tempo in cui tutte le mucche sono nere, tutto si appiattisce e si spegne nell'indifferenza. Dico questo perché ho la sensazione Pagina 2995 che non si attribuisca a questa relazione annuale l'importanza dovuta, ed ha ragione il collega Tripodi a segnalarlo. La relazione non è, a mio avviso, una rassegna notarile di quanto si è fatto fino a questo momento, ma é anzi, in un certo senso, un compendio critico del lavoro svolto, che può offrire l'occasione sia di una migliore valutazione del fenomeno di cui stiamo parlando sia anche di una migliore organizzazione del lavoro che in futuro dovremo svolgere. Per quanto riguarda il lavoro già svolto, dalla relazione emerge sicuramente un'attività intensa, organica e, a mio giudizio, intelligente, anche se, come è naturale che sia, si tratta di un'attività non del tutto esaustiva. Intanto la relazione, a mio avviso (la penso diversamente da altri colleghi), fa bene a ricordare il lavoro delle precedenti Commissioni, soprattutto della penultima, in ordine alla quale giustamente si dice che l'impianto legislativo mediante il quale le forze dell'ordine e la magistratura operano oggi nasce proprio da proposte di quella Commissione, dal suo lavoro. Secondo me (questa è la lettura che ho fatto della relazione), dalla relazione stessa emergono tre direttrici lungo le quali si è mosso il lavoro della Commissione. La prima è l'accrescimento del patrimonio conoscitivo delle strutture criminali e delle loro connessioni. I risultati, da un punto di vista conoscitivo, sono sicuramente buoni e avrebbero potuto essere migliori se tutte le strutture chiamate a collaborare l'avessero fatto con lo stesso impegno, mentre così non è stato. La seconda direttrice è la valutazione dei risultati conseguiti nel settore della repressione del fenomeno mafioso. Tali risultati farebbero ipotizzare un indebolimento della criminalità mafiosa; sappiamo però che la realtà non corrisponde ai numeri, sappiamo cioè che il fenomeno mafioso, anziché indebolito, risulta attualmente semmai rafforzato, potenziato, ampliato, esteso anche su territori non tradizionali. Secondo me, la spiegazione di questo fatto può dedursi dalla stessa relazione, riflettendo su quella che considero la terza direttrice del lavoro della Commissione, che consiste nell'affiancare all'antimafia dei delitti, come la stessa relazione segnala, l'antimafia dei diritti. Si tratta, a mio avviso, di un percorso che ha dato risultati sicuramente positivi: penso, per esempio, ai problemi connessi all'edilizia scolastica a Palermo. Ma proprio questi risultati devono farci riflettere meglio su che cosa è la mafia e su come si deve battere. La mafia non nasce direttamente (dico una cosa ovvia) da condizioni di malessere sociale; l'equazione mafia-povertà è sicuramente sbagliata. Certamente la criminalità ha radici immediate nel malessere sociale, ma la mafia non è solo criminalità, è un fenomeno più complesso (in questo senso il collega Galasso, a mio avviso, ha ragione ed ha colto perfettamente nel segno), ed è anche un sistema di interessi, cioè di potere, di interessi illegalmente costituiti e illegalmente protetti, un sistema sostenuto da una cultura, cioè da una ideologia, da regole, da soggetti che questa ideologia e queste regole rappresentano. Il problema è allora quello di determinare un radicale mutamento culturale, e quindi ideologico, un mutamento del sistema delle regole. In tal senso (questo è almeno il mio parere, diverso, stando a quando ho sentito, da quello di altri colleghi), avere chiamato la scuola a farsi soggetto attivo della lotta alla mafia è un fatto positivo. Molto più importante - ma i due fatti sono collegati - è determinare un mutamento delle regole sociali. I soggetti di queste regole possono essere, nel territorio in cui operiamo, o la mafia, cioè l'organizzazione mafiosa, oppure lo Stato; tertium non datur: i detentori delle regole sociali sono infatti soltanto questi due, relativamente all'orizzonte territoriale nel quale ci muoviamo. Accrescere dunque la presenza dello Stato, il suo migliore funzionamento, sia nel senso dell'adeguatezza dei servizi Pagina 2996 sociali (al riguardo la penso diversamente rispetto ad altri colleghi) sia in direzione della lotta razionale a tutti i fenomeni di devianza, soprattutto, nel nostro caso, alla criminalità mafiosa, è, a mio avviso, un fattore decisivo. Il lavoro che hanno svolto la Commissione ed il Governo per "presentificare" lo Stato nel territorio è sicuramente positivo, però non è - altrettanto sicuramente - adeguato rispetto alla richiesta che la risoluzione del fenomeno comportava. Le iniziative fino a questo momento messe in opera non sono del tutto positive. Non possono essere assunte tutte come funzionali alla risoluzione del problema di cui stiamo parlando. Relativamente a questo aspetto, ci sono due questioni su cui vale la pena in questa sede soffermarsi. Sulla prima di esse più volte si è discusso senza riuscire mai a trovare una soluzione. Mi riferisco all'irrazionalità dell'azione delle molteplici, forse troppe, strutture chiamate a combattere la mafia. PRESIDENTE. Sì. ANTONINO BUTTITTA. Penso in particolare a quel che è stato più volte denunciato, cioè all'assenza di un impegno unitario dello Stato relativamente a questa lotta. L'esistenza di diversi soggetti tra loro spesso in conflitto è una cosa paradossale, lasciatemelo dire: un fatto dissennato, che costituisce non solo uno spreco di risorse umane e finanziarie ma soprattutto un fattore di debolezza, che impedisce - come di fatto ancora dobbiamo constatare - di colpire la mafia nei suoi veri centri di potere. Voglio essere molto chiaro ed esplicito: non sono fra coloro che pensano che catturando Riina e Santapaola si sia colpita la mafia al cuore, semmai al braccio! Su questo aspetto occorre riflettere e soffermarsi, perché è il nodo cruciale che siamo chiamati a sciogliere. Altro fatto su cui occorre una riflessione più attenta è lo scioglimento di alcuni consigli comunali. Una decisione che andava presa; un provvedimento dunque che andava adottato. Però, a mio giudizio, andava adottato in modo diverso; così come è stato assunto ha penalizzato colpevoli ed innocenti, ha danneggiato anche l'azione di coloro che la mafia l'avevano da sempre combattuta e che ancora la combattono. Qual è il risultato? La stessa relazione lo indica: in alcuni casi si è spenta completamente la vita politica dei centri interessati e questo ha finito con l'aiutare la mafia non con il danneggiarla. Questo è proprio quello che la mafia vuole! In sostanza, voglio dire una cosa estremamente semplice, del tutto banale, addirittura scolastica: l'unico vero modo per battere la mafia è quello di far funzionare lo Stato a tutti i suoi livelli. Secondo me, questa Commissione, che ha già dato un serio contributo in tale direzione, può darne ancora uno maggiore: può potenziare il suo impegno ed ampliare la propria attività in direzione di quanto ho detto. La Commissione fino a questo momento, in ordine all'osservazione del fenomeno, si è mossa nel senso di un suo esame per linee orizzontali; penso che sia venuto il momento di passare dall'analisi orizzontale all'analisi verticale. Ritengo che sia venuto il momento di osservare, studiare, scavare ed elaborare relazioni di carattere tematico. Per esempio, abbiamo analizzato con qualche attenzione le connessioni tra mafia e politica ma con minore attenzione quelle tra mafia e finanza. Io ed altri colleghi abbiamo sottolineato l'importanza di un'analisi di questo settore. Troppe banche sono improvvisamente fiorite nel nostro paese ed altre altrettanto rapidamente sono scomparse. In tale settore, poiché - ritorno a quanto diceva il collega Galasso - il potere è denaro e il denaro è potere, secondo me la Commissione deve lavorare di più. PRESIDENTE. La prendiamo in parola, senatore Buttitta! (Si ride). ANTONINO BUTTITTA. Altro tema su cui la Commissione deve lavorare di più Pagina 2997 è la connessione - visto che il tema delle connessioni è uno dei compiti affidati dal legislatore - tra mafia e Stato. Quando dico "Stato" intendo riferirmi alla pubblica amministrazione - ho visto che nella relazione già c'è un'attenzione in questo senso - ma anche alle forze dell'ordine e soprattutto alla magistratura. Le connessioni con pubblica amministrazione, forze dell'ordine, magistratura - alle quali più volte si è accennato nel corso dei dibattiti all'interno della Commissione - non sono state ancora considerate nella loro giusta misura, in rapporto all'importanza che almeno la loro conoscenza ha per ricostruire tutto il sistema del potere mafioso nel nostro paese. A mio giudizio, bisogna proseguire su questa strada, allo scopo di elevare il livello di produttività del lavoro della Commissione, che, in questa fase, come viene rappresentato dalla relazione, ritengo di poter giudicare in termini del tutto positivi. LUIGI BISCARDI. Signor presidente, innanzi tutto ringrazio i colleghi Borghezio e Brutti che mi hanno ceduto il turno a causa di un mio impegno. Li ringrazierò soprattutto essendo breve nel mio intervento, nel quale voglio esprimere un giudizio, un compiacimento e qualche osservazione. Il giudizio che do della relazione è nettamente positivo, sia per il suo equilibrio sia per un aspetto che intendo sempre sottolineare, cioè la sobrietà e direi anche l'antiretorica del suo dettato. Non è cosa da poco nelle relazioni parlamentari ed in genere in tutta la vita politica italiana. Il compiacimento riguarda il rilievo che è dato nella relazione alla necessità di investire del problema della mafia, in fase di assoluta prevenzione, la scuola. In questa Commissione, credo di aver rappresentato in qualche misura l'esigenza di dare al rapporto scuola-Commissione antimafia un segno di rilevante importanza. Credo che l'opinione pubblica abbia risposto positivamente. Recentemente, il presidente ha sottolineato questo particolare e si è avuta l'impressione che la stampa abbia accolto quasi con un certo stupore, come novità assoluta, questo fatto. Credo che occorra non limitarsi soltanto a qualche rapporto - ma ci sono già iniziative ulteriori - e che questo punto debba essere sempre all'attenzione costante della Commissione. Per quanto riguarda le osservazioni, credo che due punti debbano essere particolarmente approfonditi, soprattutto come indicazione per il futuro lavoro della Commissione. Il primo punto è quello dell'amministrazione pubblica in generale. Questo aspetto è presente nella relazione ma credo che l'analisi debba essere molto più approfondita e che debbano essere indicate... PRESIDENTE. Scusi, su quale punto? LUIGI BISCARDI. Sull'amministrazione pubblica in generale. Dicevo che credo debbano essere indicati anche rimedi particolari, suggerimenti da dare all'amministrazione pubblica, tanto più che nelle norme collegate alla finanziaria vi è anche il riordinamento dei ministeri e si prefigura una riforma dell'amministrazione pubblica. Credo che possano essere fornite indicazioni, proprio perché è in gestazione la delega sul riordinamento e sulla riforma dei ministeri. Una parte che per la verità mi ha un po' sorpreso, non perché manchi ma in quanto forse non è stato sottolineata abbastanza - ma sollevo la questione soprattutto come approfondimento per il futuro -, è quella sul rapporto tra mafia e potere politico, che pure è stato affrontato nella relazione fondamentale di questa Commissione. La Commissione ha raggiunto la convinzione che il salto di quantità e di qualità - ovviamente, si fa per dire - della mafia sia avvenuto attraverso questa compenetrazione; da momenti isolati e circoscritti, come alcuni anni fa, i rapporti sono diventati strettissimi e determinanti. Quindi, credo che questi due punti - dell'amministrazione nel suo complesso, senza escludere alcuna zona, e del Pagina 2998 rapporto mafia e politica - possano costituire le linee principali degli approfondimenti per il futuro lavoro della Commissione. MARIO BORGHEZIO. Anch'io cercherò di essere sintetico, pur non dovendo trascurare, nel quadro di un giudizio complessivamente abbastanza positivo del documento sottoposto alla nostra attenzione, tutta una serie di rilievi che mi pare necessario formulare, anche come valutazione del risultato di un anno di lavoro, che in alcuni settori è stato sostanzialmente nuovo per la Commissione. Nel nuovo vorrei subito indicare - anche per l'interesse specifico che il nostro gruppo ha per questa tematica particolare, che dovrebbe essere affrontata in maniera sistematica - la penetrazione mafiosa nelle regioni non tradizionalmente note per la rilevanza, appunto, dell'infiltrazione mafiosa, in particolare quelle del nord. La Commissione si appresta a compiere in Lombardia una missione che sicuramente è la più importante tra quelle riguardanti le regioni non tradizionali e dobbiamo riflettere sugli elementi che abbiamo raccolto e sull'adeguatezza dell'intervento che la Commissione sta svolgendo in questo settore. Intervento che ha importanza anche storica, perché mi pare che rappresenti qualcosa di nuovo rispetto all'indagine che le forze politiche e le autorità preposte all'azione di contrasto hanno svolto riguardo ad un problema così importante. Nella relazione si fa cenno alla decisione, che ad un certo punto sarebbe stata assunta dai capi della mafia, di investire in Germania. Ritengo che dobbiamo riflettere sul fatto che ciò sicuramente è avvenuto qualche anno prima, quando si è deciso di investire al nord, di scegliere i rifugi del nord, quando, probabilmente, a seguito della scelta scellerata del soggiorno obbligato - e la relazione deve dare atto delle conclusioni alle quali siamo giunti sentendo le autorità competenti dell'azione di contrasto, le quali hanno espresso un giudizio unanime di condanna di tale nefando e pericolosissimo istituto - attraverso i comodi canali aperti da queste prime strutture di penetrazione si è deciso, ad un certo punto, di partire all'assalto del nord. Io ritengo che sia il momento di tirare una serie di conclusioni che credo possano essere preziose nel momento in cui ci apprestiamo ad andare in Lombardia. La prima è che, molto spesso, noi riceviamo dalle autorità costituite pareri che sono in stridente contrasto tra loro - prefetti che ci dicono che va tutto bene, questori che parlano di un allarme in vari settori - sia tra autorità dello stesso ordine sia tra livelli diversi delle varie autorità. Spesse volte abbiamo sentito livelli diversi di magistratura esprimere opinioni notevolmente divergenti sulla realtà della presenza mafiosa. Ricordo che ciò è avvenuto a Genova come anche in Piemonte. Vi sono, inoltre, vuoti di intervento. Certi prefetti - come a Torino - si sono dimostrati interventisti in ordine, ad esempio, al ruolo importante che l'autorità prefettizia ha riguardo al rilascio delle licenze di pubblici esercizi ed al controllo sulle compravendite di queste, che sono determinanti nella penetrazione mafiosa al nord; altri sembrano ignorare totalmente il problema. Mi domando quindi se non sia necessario richiedere a tutte le prefetture anche del nord un monitoraggio costante, magari inviando una relazione trimestrale alla Commissione in modo che questa possa avere un quadro aggiornato della situazione. Dovendo relazionare alla Commissione, è facile immaginare che anche i prefetti meno sensibilizzati al problema possano utilmente essere invogliati ad una più attenta azione di controllo. Altro punto è quello riguardante l'informazione giornalistica. Le conferenze stampa che hanno fatto seguito alle nostre missioni mi hanno sostanzialmente deluso; raramente al nord ho trovato giornalisti preparati su questi problemi. C'è un'informazione molto superficiale, esclusivamente sensazionalistica: sui giornali che vengono pubblicati al nord il tema della mafia è trattato a livello Pagina 2999 ANSA, a livello di notizie quali che ci giungono stasera, con estrema superficialità si indica il fatto del giorno senza approfondire nulla. Forse non è un caso che non esista neanche una bibliografia aggiornata ed approfondita sull'argomento mafia al nord; non c'è documentazione tranne quella che si trova nei nostri archivi, che non sono molto frequentati dagli operatori dell'informazione, fatta eccezione per gli stretti addetti ai lavori. Anche sotto questo aspetto, dunque, sarebbe molto importante sensibilizzare maggiormente, con iniziative specifiche, affinché l'occasione di una presenza importante qual è quella di un organo istituzionalmente rilevante come la Commissione, che raccoglie documentazione e crea impulsi di intervento in aree così importanti e pericolose per la penetrazione mafiosa, produca anche messaggi giornalistici adeguati, cioè atti ad approfondire i temi ed a sottolineare i problemi effettivamente rilevanti ai fini dell'efficienza e dell'efficacia dell'azione di contrasto. Mi sembra, inoltre, che sia stata sostanzialmente trascurata una serie di segnali che ci sono stati dati - in Piemonte ed in particolare a Genova, quando la missione della Commissione coincise purtroppo con il verificarsi di fatti di ordine pubblico abbastanza rilevanti - sui legami indubbi che esistono tra mafia, immigrazione irregolare e spaccio di droga. Si tratta di un'attività che nelle grandi metropoli del nord - Milano, Torino, Genova, Venezia, Verona - è sotto gli occhi di tutti e pare strano che gli unici a non accorgersene ufficialmente siamo noi della Commissione antimafia. Naturalmente trattando la questione con la delicatezza che merita ed in maniera totalmente lontana da qualsivoglia intento di natura razzistica, ritengo che di questo grave problema vada dato atto. Anche perché è a tutti evidente che l'equazione immigrazione-spaccio di droga-mafia è tale da creare, essa sì, il razzismo. Segnali allarmanti sono giunti da varie autorità e ritengo che particolare attenzione vada riservata a quelli relativi alla moltiplicazione di società finanziarie, improvvisamente spuntate come funghi. Gli esperti del settore ci dicono che ciò è profondamente anomalo rispetto al tessuto normale dell'attività: non è pensabile che improvvisamente sul quotidiano di una città compaiano colonne e colonne di annunci economici di società finanziarie che prestano denaro a tutti. Pare che questo fenomeno ora si sia attenuato nelle grandi città del nord; non così a Roma ed in molte città del sud, dove i maggiori utilizzatori del messaggio pubblicitario economico pare siano gli usurai. Come ho detto, nel nord ciò è avvenuto per molto tempo, c'è stato uno sviluppo anomalo e di questo bisogna dare atto. Evidentemente queste attività hanno per lungo tempo drenato il denaro sporco. Non mi pare che siano emersi elementi sufficienti su un'altra realtà che esiste e riguardo alla quale nel corso delle missioni che abbiamo concluso abbiamo riscontrato una strana omertà; mi riferisco alla realtà del voto mafioso al nord. Il voto mafioso al nord esiste e come: noi che lì facciamo politica lo vediamo attorno a noi. Stranamente, quando incontriamo le delegazioni dei consiglieri comunali e regionali (ricordo sotto questo aspetto lo spettacolo poco edificante dei consiglieri regionali del Piemonte) sentiamo parlare genericamente di tutto un po' ma non della realtà del voto mafioso al nord che, al contrario, chi vive e lavora politicamente in quelle regioni dovrebbe conoscere molto bene, almeno se ha qualche amico in Val di Susa... PRESIDENTE. Anche nella cintura di Torino. MARIO BORGHEZIO. Sì, nelle varie zone di penetrazione. Tutto questo contrasta, tra l'altro, con le mappature che altre autorità ci hanno dato. Lo stesso dicasi del rapporto tra mafia e contrabbando. Anche questo è un tema che è stato trascurato, mentre mi pare che le associazioni categoriali vi insistano. Tutti noi riceviamo puntualmente in casella la Voce del tabaccaio e leggiamo di allarmi, indicazioni, segnalazioni... Pagina 3000 PRESIDENTE. Non credo tutti! MARIO BORGHEZIO. Intendevo dire che tutti la riceviamo, non che la leggiamo. Comunque, in essa sono contenuti allarmi continui ed indicazioni molto specifiche su questa realtà, che pare trascurata. Sembra incredibile, ma basterebbe un intervento legislativo puntuale, soprattutto al fine di snellire tutte quelle norme di carattere burocratico-operativo che impediscono i sequestri e le azioni per contrastare efficacemente tale fenomeno. Basti pensare a come in una città come Roma, nella quale evidentemente la presenza di autorità centrali rende molto più difficile lo svolgimento di questa attività, non si vedano per le strade venditori abusivi di generi di monopolio di contrabbando, a differenza di quanto avviene in tutte le grandi città del nord. Sempre con riferimento alle missioni al nord, in particolare a quella che stiamo per compiere in Lombardia, vorrei raccomandare alla Commissione, che ha avuto attenzione giusta ed encomiabile per le vittime delle azioni di racket, di non dimenticare i parenti delle vittime dei vecchi sequestri, alcuni dei quali sono ancora in atto. Spero, ad esempio, che riusciremo a sentire i genitori di Andrea Cortellezzi, che ancora non sanno nulla su quanto sia avvenuto al loro caro. Infine, al nord sono concentrati i quattro casinò italiani e mi pare che anche su di essi l'azione di controllo della Commissione non debba mancare. I rappresentanti sindacali dei dipendenti, che ho incontrato in questi giorni, rilevano, ad esempio (e su questo ho presentato un'interrogazione parlamentare) come non vi sia trasparenza nella composizione societaria della società di gestione di alcuni di essi. Sono molti i problemi legati a questa attività e quindi anche un controllo attraverso la direzione degli affari civili del Ministero degli interni sarebbe opportuno. In Italia non esiste una polizia specializzata al riguardo, a differenza di quanto avviene negli altri paesi europei e segnatamente in Francia. Ma quello che soprattutto mi preoccupa è il risultato sconcertante, direi addirittura - se mi consente il termine - risibile delle audizioni che abbiamo fatto con le cosiddette autorità di controllo per quanto riguarda l'attività finanziaria bancaria. Il riflesso è molto grave dal momento che conosciamo la centralità del problema del riciclaggio del denaro sporco. Sotto questo aspetto soltanto il giudice Colombo è recentemente riuscito - nel corso di una conferenza molto importante - a fornire il senso della gravità del fenomeno nel settore dell'alta finanza, in quanto è riuscito a delineare i canali veri di riciclaggio e la pericolosità del fenomeno in un momento come quello attuale, che è molto particolare per la nostra economia e nel quale intere strutture imprenditoriali stanno cambiando proprietà sotto i nostri occhi, passando forse anche nelle mani di soggetti mafiosi attraverso società fantasma coperte dall'anonimato e comode localizzazioni nei paradisi fiscali. E non mi si venga a dire che ci sono le azioni di controllo, perché la recente vicenda della Ferruzzi-Montedison ha dimostrato molto bene quanto valgano i controlli. Approfondendo in sede CONSOB, insieme al collega senatore Pagliarini, quanto avvenuto, abbiamo scoperto quale sia l'incidenza dei controlli CONSOB: se tutte l'enorme attività di back to back che ha consentito alla banda di Ravenna di dilapidare centinaia e centinaia di miliardi in barba ai piccoli azionisti e comunque al mercato è potuta avvenire, il motivo è che i sistemi di controllo non hanno mai funzionato. I sistemi di controllo vigenti nel paese non hanno consentito di rilevare dati segnaletici che pure erano contenuti nei bollettini CONSOB. L'attuale legislazione impone la pubblicazione di tutte le movimentazioni attinenti quote societarie che superano il 2 per cento della composizione sociale per le società quotate in borsa (nel caso Ferruzzi queste operazioni di estero su estero in nero erano quindi evidenziate da un'affollarsi improvviso, in alcuni mesi se non in pochissimi anni, di operazioni Pagina 3001 ingentissime); accanto a queste indicazioni, nel bollettino CONSOB non è previsto che vengano indicati né i nomi dei destinatari, quindi i titolari dei conti correnti, né gli estremi bancari dei pagamenti relativi allo scostamento di quote, per cui questa pubblicazione non serve a niente e non consente a chi di dovere di andare fino in fondo. PRESIDENTE. Sarebbe utile che lei scrivesse un appunto su questa materia, affinché se ne possa tenere conto nella relazione. MARIO BORGHEZIO. Anche in sede di bilancio l'ordinamento consente in realtà l'elusione di determinati controlli, perché la CONSOB spiega che quando le partecipazioni riguardano società aventi sedi nei paradisi fiscali - me l'ha detto pochi giorni fa il presidente Pagliarini - ci si deve arrendere di fronte a bilanci presentati secondo la legislazione di quei paesi. E' inutile precisare che negli Stati Uniti per la certificazione dei bilanci nei quali siano contenute partecipazioni a società aventi sede all'estero si esige il rispetto della legislazione vigente negli Stati Uniti. Questo è quanto dovrebbe avvenire anche nel nostro paese se non vogliamo farci prendere in giro da chi viene dinanzi a questa Commissione e ci dice che i sistemi funzionano, che il controllo esiste. Questo abbiamo sentito dai rappresentanti della Banca d'Italia. A tale proposito, vorrei esprimere i più fondati dubbi, anche tenendo conto del clima di non giustificata riservatezza con cui vengono coperti alcuni episodi molto importanti. Basti pensare a quelli recenti, riguardanti attività di riciclaggio, di cui abbiamo sentito parlare nel corso della missione a Genova; guarda caso, riguardavano una banca di interesse nazionale, la stessa presso la quale noi deputati apriamo un conto corrente agevolato. ANTONINO BUTTITTA. Qual è? PRESIDENTE. Si tratta del Banco di Napoli. ALFREDO GALASSO. La stessa che ha venduto alla Camera un palazzo senza averlo mai consegnato! MARIO BORGHEZIO. Basti pensare al fatto che della Banca di Girgenti e della collegata società Dominion non abbiamo neppure un foglio. Di sua iniziativa, la Banca d'Italia avrebbe dovuto sentire l'esigenza, nel momento in cui ha avuto contezza della nostra attenzione a questi problemi, di trasferire tutto quanto, al di là delle norme sul segreto bancario, fosse possibile trasferire; quanto meno i verbali di iscrizione in tutti i casi in cui contengono elementi segnaletici. Lo stesso è avvenuto in una banca del Piemonte dove si sono verificati notevoli episodi di riciclaggio: era stato promesso l'invio di documenti che non sono arrivati. L'archivio andrebbe integrato anche con adeguata documentazione fonica e di videocassette per costituire, in una prospettiva anche internazionale, dati gli sviluppi che questa documentazione può avere in una società globale, una centrale di documentazione adeguata alla gravità dei problemi e al tipo di risposta che uno Stato serio e civile deve dare al pericolo-mafia. Concludendo, vorrei che nella relazione fosse contenuta qualche preoccupazione in ordine a due grandi problemi. Mi riferisco in primo luogo alla realizzazione di importanti stabilimenti al sud. La società politica e civile deve pretendere che essi vengano realizzati rispettando le normative antimafia, anche nei subappalti; il che risulta non avvenire, stando alle puntuali denunce delle organizzazioni sindacali operanti in quelle regioni. In secondo luogo, mi riferisco alle privatizzazioni, per le quali è evidente che l'authority che dovrà controllare la trasparenza delle operazioni dovrà tener conto del pericolo-mafia. MASSIMO BRUTTI. Lo scopo della relazione annuale è essenzialmente quello di fornire un rendiconto di ciò che si è fatto e gli elementi di previsione e le direttive di lavoro che possano ricavarsi Pagina 3002 da questo rendiconto. La relazione non deve affrontare il merito dell'analisi o definire proposte; questo è il compito delle relazioni di settore, che nascono da un lavoro istruttorio e nelle quali si consolida il risultato dell'attività d'inchiesta. Abbiamo di fronte agli occhi il bilancio del lavoro svolto in quest'anno, un bilancio che ha in sé un significato politico che deve essere esplicitato e condotto essenzialmente a formulazioni nette che valgano anche per il futuro; questa la funzione dell'ultima parte: esplicitare quanto già risulta dalla relazione e fissare dei punti che possano servire per il lavoro futuro. Il significato politico non sta soltanto nella grande mole delle attività compiute, che costituisce un dato positivo, né soltanto nei Forum realizzati, che hanno fatto della Commissione antimafia un interlocutore di settori rilevanti della società italiana; non sta neppure nella classificazione e memorizzazione delle informazioni, che pure rappresenta un fatto nuovo e rilevantissimo. Anche la ricerca che abbiamo avviato, le audizioni, le relazioni sulle aree di insediamento non tradizionale, per il modo in cui il problema viene affrontato rappresentano una novità. Il significato politico nuovo non si esaurisce in questi elementi; c'è qualcosa di più. La Commissione antimafia dell'XI legislatura ha affrontato con una nitidezza senza precedenti, che non c'era neppure nel lavoro della vecchia Commissione Carraro, il rapporto tra poteri criminali e poteri politici. I poteri criminali sono i centri militari che dirigono le organizzazioni mafiose; sono i poteri finanziari che ne garantiscono l'espansione, che rendono possibile il riciclaggio, che favoriscono la penetrazione nella sfera dell'economia legale. Il settore militare di questi poteri criminali ha una sua forza e, nell'ambito dell'organizzazione criminale, come è emerso nella prima relazione sui rapporti tra Cosa nostra e sistema politico, conserva un vero e proprio primato. Un'organizzazione segreta e clandestina, che per decenni affida tutta la sua forza al monopolio della violenza che riesce ad esercitare in aree geografiche determinate, non può non vedere in posizione di comando e di direzione il potere militare. Sono convinto che questo primato del potere militare nelle grandi organizzazioni mafiose sia storicamente simile al primato del potere militare negli Stati che per intere generazioni hanno avuto come attività fondamentale la guerra. Chi ricorda le vicende del Vietnam del nord ricorderà che l'elite di capi militari che guidava il paese era il prodotto raffinatissimo di generazioni e generazioni di lotta armata e di guerra; questo è un esempio storico di come il potere militare di un'organizzazione che si è forgiata nella guerra sia più rilevante di tutti gli altri, abbia più forza. Quindi, non dobbiamo sottovalutare il peso che nelle grandi organizzazioni criminali italiane hanno i centri di potere militare, i centri di amministrazione della violenza. Accanto ad essi, vi sono altri centri che fanno anch'essi parte, a pieno titolo, del tessuto dei poteri criminali e che non hanno una funzione militare; tra questi vi sono certamente i gruppi finanziari, i riciclatori, i professionisti, i partecipi più diretti. PRESIDENTE. Tant'è vero quello che lei dice, senatore Brutti, che in tutti i sistemi autoritari c'è un'elite militare che detiene il potere. La mafia è un sistema autoritario. MASSIMO BRUTTI. Di più: è un sistema autoritario che vive in una situazione di guerra permanente da tempo. Tutto ciò dà maggiore forza al potere militare. Credo che la Commissione abbia affrontato il problema dei rapporti tra poteri criminali e poteri politici con una chiarezza senza precedenti. Non è questa la sola novità delle indagini svolte e delle relazioni finora consegnate. Balza agli occhi un altro aspetto della vicenda storica dei poteri mafiosi nel nostro paese, Pagina 3003 un aspetto che in passato non era mai stato messo a fuoco con questa chiarezza. Una delle ragioni fondamentali per le quali si stabiliscono le amicizie, si apre un negoziato con ampi settori del mondo politico non necessariamente compromessi fino al collo nell'organizzazione mafiosa è l'aggiustamento dei processi. Abbiamo messo a fuoco questo problema ed individuato la tecnicità della parola "aggiustamento", che io non avevo ben chiara in precedenza. Tutto ciò implica una ricaduta sulla magistratura; questo è un altro aspetto emerso dal nostro lavoro. E' evidente il significato politico dell'aver messo a fuoco questo problema e l'esigenza che ne deriva di affermare nei fatti principi e regole di rigore nella tutela della credibilità della magistratura: scacciare gli uomini compromessi e togliere di mezzo le ombre. Credo che siamo all'inizio del percorso e che dobbiamo andare avanti con decisione. La Commissione ha avuto un alto senso di responsabilità nell'affrontare la questione della Puglia. Rilevo però che in quel caso il problema è rimasto aperto; su di esso voglio richiamare l'attenzione dei colleghi perché vi sono ombre che permangono e pesano sull'intera amministrazione della giustizia quando un procuratore della Repubblica continua ad occuparsi di procedimenti nell'ambito dei quali il suo nome ed il suo ruolo vengono chiamati in causa. La terza questione nuova emersa in questi mesi, dopo quella riguardante i rapporti tra i poteri criminali e i poteri politici e l'aggiustamento dei processi, è costituita dal ruolo della massoneria, come luogo di incontro, e la grande proliferazione delle logge massoniche coperte. Non vi sono soltanto, quindi, una distorsione, un'inquinamento, una tendenza a comportamenti criminali di queste associazioni particolarmente riservate, ma si pone un problema più generale. E' un problema che credo debba essere posto con chiarezza anche agli ambienti della massoneria e alle personalità e ai gruppi dirigenti che oggi intendono riflettere seriamente. Il problema è come il modello massoneria, la forma massoneria, si sia prestato nei decenni passati a divenire luogo di incontro di interessi criminali ed eversivi. La storia della P2 è questa, è la storia di una loggia massonica di cui ad un certo momento si impadronisce un gruppo che ha interessi affaristici ed eversivi, sia pure di una eversione che cammina per linee interne, che si traveste da stabilità, di una eversione che può andare bene a settori ampi delle classi dominanti. Ma questo è possibile perché il gruppo dirigente che occupa questa loggia massonica e che la fa diventare uno strumento di affari e di eversione riesce a condizionare l'insieme della massoneria, a cominciare dai suoi vertici. La storia di Gelli è la storia del capo di un settore della massoneria, di una loggia particolare, che viene coperto, protetto, tutelato e che comunque è in grado di condizionare e di intimidire anche i vertici della massoneria ufficiale. Questo ci deve indurre ad una riflessione su come la forma, il modello massoneria, l'organizzazione storica sia diventata una specie di colabrodo attraverso il quale sono passati i disegni più diversi ed anche disegni di gruppi criminali ed eversivi. Quando parliamo di poteri occulti, parliamo del costituirsi di centri di comando, di centri di governo invisibili rispondenti ad interessi diversi, che però hanno trovato nella massoneria il luogo più favorevole per crescere e svilupparsi. Ora, su questi temi si è realizzato nel nostro lavoro uno scambio di idee, un confronto, con punte di dialettica, di contrapposizione. Ma quello che io voglio sottolineare è che, dal confronto, è emerso nella relazione del presidente Violante su mafia e politica, nella relazione del senatore Robol sulle organizzazioni mafiose in Puglia, nella relazione sui comuni sciolti del senatore Cabras, nella relazione sulla Calabria sempre del senatore Cabras, nel lavoro che è stato avviato in tema di appalti, con il contributo utile, determinante, in tutta una prima fase, del senatore Cutrera, nella relazione che io stesso ho elaborato a seguito del Forum con le procure distrettuali, e che ha Pagina 3004 ottenuto un amplissimo consenso da parte dei colleghi, un accordo, una convergenza, un incontro, che è il fatto politico del lavoro di questa Commissione durante questo anno e che non va sottovalutato. Pensiamo un momento a quale valore ha avuto la relazione sui rapporti Cosa nostra-politica, a che cosa hanno significato le pagine sul ruolo di garante svolto in Sicilia e a Roma da Salvo Lima ed anche le pagine relative alla responsabilità politica del senatore Giulio Andreotti, capocorrente per molti anni, tutore della posizione politica di Salvo Lima. Lo stesso Giulio Andreotti, nel suo intervento al Senato, quando si discuteva della richiesta di autorizzazione a procedere in relazione alle vicende siciliane, ha dovuto prendere atto della novità rappresentata dal fatto che, per la prima volta, in un atto parlamentare sorretto da un consenso amplissimo, venivano analiticamente segnalati i collegamenti tra Salvo Lima e i gruppi mafiosi in Sicilia. E ne ha preso atto correttamente dicendo che non si trattava più di una denuncia dell'opposizione, e questo poneva un problema. E', anche rispetto a quanto affermava il collega Galasso, un elemento di novità, nel senso che per la prima volta non dico che vi sia una presa di distanze, però il senatore Andreotti ha preso atto che in un atto politico-parlamentare approvato quasi all'unanimità venivano dette cose che mai eravamo riusciti a dire, che erano sempre state patrimonio dell'opposizione o di alcuni giudici, come il giudice Terranova che nel 1964 aveva segnalato in una sentenza i legami tra Lima e la mafia; ma poi non era successo niente, anzi, l'unica cosa che è successa è che quindici anni dopo Terranova è stato assassinato. Esiste quindi un fatto nuovo, rilevantissimo, nel lavoro di questa Commissione, che non è patrimonio degli uni o degli altri, è patrimonio di tutti. Ho volutamente elencato i nomi degli estensori delle relazioni più rilevanti perché appartengono a forze politiche diverse, o di quelli che hanno dato un contributo rilevante al lavoro. Potrei citare anche gli autori delle note integrative, tra cui quella lunga e corposa del collega Galasso. Insomma, il fatto nuovo è che in questa Commissione vi è una spinta unitaria, uno sforzo di rinnovamento che è il tema politico che credo debba accompagnare il suo lavoro per la parte rimanente di legislatura, che auspichiamo sia breve. Il rifiuto della coabitazione con la mafia, la messa a fuoco lucida ed impietosa dei rapporti esistenti tra settori del sistema politico e i poteri criminali e mafiosi è un terreno sul quale i soggetti della politica oggi devono misurarsi, si qualificano e costruiscono un'identità, un rinnovamento vero e non a parole. Ho seguito con molta attenzione l'intervento del senatore Martinazzoli nell'assemblea del Senato, qualche settimana fa, nel quale egli proponeva temi di riflessione relativi al lavoro della Commissione antimafia e anche al rapporto tra Commissione e lavoro della magistratura. E' certo che la Commissione antimafia ha poteri identici a quelli della magistratura inquirente, ma i suoi scopi, le sue finalità sono diverse. La riflessione che Martinazzoli proponeva era seria purché si tenga presente la necessaria distinzione tra responsabilità politica e responsabilità penale ed anche la necessaria autonomia della questione della responsabilità politica. Questa viene definita secondo criteri diversi da quelli che regolano l'accertamento della responsabilità penale e può anche essere discussa e definita prima di qualsivoglia accertamento di responsabilità penale: non c'è bisogno di aspettare sentenze definitive per individuare una responsabilità politica. Esiste un'autonomia della responsabilità politica rispetto a quella penale. Il tema della responsabilità politica è di grande rilievo nel lavoro della Commissione, come si è visto nelle relazioni fin qui approvate. I soggetti di una politica nuova, coloro che dovranno porre mano alla fondazione di un nuovo sistema politico sulla base di nuove regole elettorali ed anche in un clima morale rinnovato (che è quello che il paese chiede) si misurano e costruiscono la propria identità anche e soprattutto, Pagina 3005 in questo momento, su questo terreno: il rifiuto della coabitazione con i poteri criminali e la capacità e la volontà di andare fino in fondo nella denuncia delle responsabilità politiche di questa coabitazione, perché è con questo che noi facciamo i conti, con un lungo e duraturo compromesso che è dentro il potere clientelare tradizionale in una parte del paese, ha fatto avanzare la presenza e la forza dei gruppi criminali. Via via, è entrata in crisi la capacità di elaborazione programmatica e di partecipazione democratica dei partiti: e la storia degli anni ottanta è questa, un progressivo deperimento dei partiti come soggetti di sviluppo di vita democratica. Forse dopo il fallimento della solidarietà nazionale comincia questo deperimento, arriva la manovra politica pura e fine a se stessa, arrivano i rampanti, comincia il deperimento dei grandi partiti democratici. All'interno di questo deperimento viene avanti il clientelismo, viene avanti anche il potere mafioso, con forme diverse di raccordo con la politica: da una parte i garanti, coloro che garantiscono dall'esterno i poteri criminali, aiutano ad aggiustare i processi, fanno favori; dall'altra quelli che invece entrano in un rapporto di osmosi più diretta con i poteri criminali, diventano interlocutori forti. Ascoltando le dichiarazione di Pasquale Galasso, cercando di esaminare e capire lo scenario della camorra napoletana, ho avuto l'impressione che là i gruppi politici sono qualcosa di più che garanti o alleati, diventano interlocutori, e a volte interlocutori che hanno anche maggiore peso nella trattativa con i gruppi criminali puri. Questo è documentato, ormai, anche a livello locale, da relazioni prefettizie poste a base dello scioglimento dei consigli comunali. ANTONINO BUTTITTA. Questo è in contraddizione con quello che hai detto all'inizio a proposito di potere militare e poteri finanziari. MASSIMO BRUTTI. Perché in certi settori i gruppi politici diventano interlocutori forti. Ma non è questo il caso di Cosa nostra, ho l'impressione che questo avvenga di più in Campania, nell'ambito delle organizzazioni camorristiche. Cosa nostra che abbiamo conosciuto ci appare ancora adesso con connotati che sono di continuità con il passato. Quando sento parlare di una cosa che mi sembra ovvia, per certi aspetti, e cioè del carattere di sistema di potere che hanno le organizzazioni mafiose, e in particolare Cosa nostra, temo la costruzione di una struttura unica, piramidale, nella quale non tutti gli elementi di funzionamento sono chiari, nella quale vi è una costruzione concettuale che non trova rispondenza e verifica nei fatti concreti. ALFREDO GALASSO. E' esattamente ciò che hai detto tu. Quello si chiama sistema: non saprei definirlo altrimenti. MASSIMO BRUTTI. Se noi intendiamo il sistema di potere come una serie di relazioni di poteri che però sono mobili e che bisogna di volta in volta individuare, allora certamente possiamo parlare di un sistema di potere. Quando vedo questo concetto di sistema di potere messo accanto all'idea della mondializzazione, vedo anche il fantasma di una sorta di piramide di cui non so bene quale possa essere il vertice. Insomma, temo una rincorsa di astrazioni che ci impedisce di cogliere, di volta in volta, concretamente, quali sono i collegamenti e le strutture, qual è l'intreccio di poteri. Faccio un esempio. Si è detto nel dibattito odierno: ma possibile che mettano le bombe soltanto per l'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario? Andiamo a vedere concretamente che cosa questo significa. L'articolo 41-bis indica una serie di restrizioni il cui effetto si riflette su masse, su moltitudini di persone. Si tratta di intere comunità familiari, è una struttura di collegamenti che dal regime carcerario più duro viene colpita e viene messa in discussione. E' evidente che i gruppi dirigenti dell'organizzazione mafiosa, per mantenere la presa di massa su questo mondo complesso Pagina 3006 fatto di famiglie, e non soltanto costituito dai detenuti, che pure sono tanti, hanno bisogno di dimostrare che qualcosa riescono ad ottenere. Per questo l'articolo 41-bis, cioè un regime carcerario più duro e più severo per i mafiosi, diventa un fatto rilevante, perché ha una incidenza a livello di massa. ALFREDO GALASSO. Questo è il movente sicuramente specifico di Cosa nostra, ma non c'è solo quello. Non vorrei che si facciano polemiche su elementi inesistenti. MASSIMO BRUTTI. Su questo sono d'accordo. L'importante è mettere a fuoco che esiste questa motivazione specifica, dopo di che, accanto alla motivazione specifica con la quale si muove Cosa nostra, ve ne sono altre, probabilmente, e vi sono anche altri gruppi che partecipano, come del resto è sempre accaduto, alle azioni più eclatanti di Cosa nostra. ALFREDO GALASSO. L'omicidio Dalla Chiesa è significativo. MASSIMO BRUTTI. Ci sono altri gruppi e c'è probabilmente la presenza di soggetti e di gruppi che hanno svolto un ruolo in vicende passate. Credo che non si debba prendere sotto gamba questa presenza costante delle rivendicazioni telefoniche o comunque degli interventi del sedicente gruppo Falange armata. Si tratta di una sorta di agenzia di informazione che fa capo a soggetti e ad ambienti probabilmente collocati all'interno di servizi segreti o che di essi hanno fatto parte. Se noi riuscissimo a portare alla luce tutte le azioni clandestine, tutto quello che in nero e fuori controllo è stato fatto nei servizi di informazione e di sicurezza, per lo meno da un ventennio a questa parte, avremmo elementi in più per capire il senso degli interventi e delle rivendicazioni della Falange armata, e forse anche per capire la logica di chi collabora con Cosa nostra e con le altre organizzazioni criminali alla strategia degli attentati e degli avvertimenti. Ma, per tornare a ciò che dicevo prima, nelle relazioni dei prefetti abbiamo una fotografia di come molecolarmente si strutturino e si costituiscano il rapporto e la relazione fra sistemi politici e gruppi criminali. In questo fa bene la relazione a richiamare il valore che hanno avuto nella Commissione della passata legislatura sia il tentativo e lo sforzo di mettere a fuoco il problema mafia-politica, sia l'importanza della legge che disponeva lo scioglimento dei consigli comunali per mafia. Nella relazione vi è un punto di cui voglio sottolineare l'opportunità, perché credo che un segno debba restare anche nelle conclusioni politiche. Dobbiamo andare avanti sulla strada intrapresa, non basta sciogliere i consigli comunali. Vi è un problema che riguarda gli uffici, le amministrazioni, gli apparati. Dicevo prima al collega Buttitta che una settimana fa sono stato a Bagheria. Ebbene, lì c'è un paradosso che dimostra, probabilmente, la necessità di un nuovo intervento legislativo. Il paradosso è conseguente a ciò che è avvenuto quando, disciolto il consiglio comunale di Bagheria per infiltrazioni mafiose, gli assessori ed i consiglieri comunali sono stati mandati a casa: resta infatti una struttura amministrativa, nella quale vi era un capo dell'ufficio tecnico che, essendo a sua volta interessato da una vicenda giudiziaria pesante, in quanto inquisito in base all'articolo 416-bis, dopo essere stato sottoposto a custodia cautelare per un certo periodo, al termine della medesima si ripresenta per riassumere la funzione che esercitava prima (mi riferisco all'ingegner Giammanco). I commissari straordinari lo sospendono in via cautelare, per cui il ruolo di capo dell'ufficio tecnico viene affidato ad un altro ingegnere, cioè al più anziano. Singolarmente, questo ingegnere anziano, che assume il ruolo di capo dell'ufficio tecnico, è appena stato scacciato dal posto che occupava come assessore al comune di Caccamo (ciò è accaduto quando questo consiglio comunale è stato sciolto per infiltrazioni mafiose). Dunque, si verifica che questo Pagina 3007 soggetto può essere scacciato come assessore, mentre come ingegnere anziano può divenire capo dell'ufficio tecnico del comune di Bagheria. C'è qualcosa che non funziona. C'è la necessità di intervenire con norme che consentano di fare piazza pulita anche nell'amministrazione. Voglio ancora sottolineare due punti sui quali nonostante tanto si sia discusso ancora devono essere raggiunti risultati positivi. Il primo è quello relativo alle audizioni dei collaboratori di giustizia. Esse non rappresentano una novità per le Commissioni parlamentari, essendovi già state nella Commissione d'inchiesta sul terrorismo, tuttavia a me sembra che su questo punto vi sia un nervo scoperto, nel senso che a volte recepisco malumori da parte di colleghi o nell'ambito delle forze politiche. Lo stesso intervento del senatore Martinazzoli partiva proprio dall'audizione di un collaboratore di giustizia. Credo che noi abbiamo affrontato correttamente il problema e che esistano tutte le garanzie per fa sì che agli occhi dell'opinione pubblica non si emettano, sulla base di queste audizioni, giudizi sommari. Le garanzie sono rappresentate dal fatto che là dove si creino rischi di interferenza con attività giudiziarie in corso resta un vincolo di riservatezza e soprattutto dal fatto che tutte le audizioni, tutto il rapporto che viene a stabilirsi tra noi e i collaboratori di giustizia è accompagnato passo passo da una consultazione con le autorità giudiziarie, cioè quelle che ascoltano questi collaboratori nell'ambito delle inchieste che esse conducono. Quindi, vi è uno sforzo continuo per evitare qualsiasi disturbo al lavoro giudiziario, qualsiasi interferenza, qualsiasi giudizio sommario. Accanto a questo sforzo, che finora mi sembra sostanzialmente coronato da successo, abbiamo realizzato un fatto politico di grande rilevanza, cioè l'ascolto, davanti agli occhi dell'opinione pubblica, di uomini che non solo illustrano la composizione, l'organizzazione, lo stile delle organizzazioni criminali alle quali appartenevano, offrendoci quindi uno scenario ed uno spaccato insostituibile, ma manifestando davanti agli occhi di tutti il fatto della defezione e dicendo i motivi per cui ad essa sono stati indotti, rappresentano un elemento di delegittimazione del potere mafioso, dei gruppi dirigenti della mafia, rispetto a quella base di massa su cui le organizzazioni mafiose contano. E' senza precedenti questo fatto. Soprattutto quando abbiamo disposto le prime due audizioni, quella di Calderone e quella di Buscetta, credo che l'effetto sia stato notevolissimo. E lo stesso si è avuto con l'audizione di Mutolo, il quale aveva abbandonato l'organizzazione da poco tempo ed era anche molto vicino ai vertici. Credo sia senza precedenti questo colpo inferto ai dirigenti delle organizzazioni mafiose mettendo davanti agli occhi di tutti il fenomeno della defezione, perché essa significa debolezza e perdita di potere per i gruppi dirigenti. Un precedente in questo senso può riscontrarsi nelle audizioni di Joe Valachi che si tennero negli Stati Uniti davanti alla commissione anticrimine del Congresso USA: in questo caso, forse, non si può parlare di audizioni pubbliche, ma è indubbio che esse ebbero ugualmente una grande eco. L'altro punto sul quale voglio brevemente richiamare l'attenzione, e che nella relazione è messo in luce, in quanto se ne ripercorrono le tappe, è relativo al risveglio della società civile, all'emergere di soggetti e di potenzialità nuove, a cominciare dalle iniziative che si sono svolte in Sicilia dopo le stragi del 1992. La Commissione parlamentare antimafia è diventata e deve ancor più diventare il punto di riferimento di questo risveglio, dando ad esso e al movimento sorto nel paese un canale istituzionale, cioè quello parlamentare. In un momento in cui tutti avvertiamo che il Parlamento è lontano, lontanissimo dal paese, dobbiamo valorizzare il carattere pluralistico di questo sforzo, il quale non può essere di una sola parte, ma delle diverse, autorevoli componenti appartenenti a parti politiche diverse. Esse si muovono, anche con uno sforzo di rinnovamento all'interno della Pagina 3008 propria parte politica, per portare avanti questo lavoro difficile e per garantire che, all'interno delle istituzioni, vi sia un punto di riferimento parlamentare alla domanda di pulizia e di rinnovamento che viene dalla gente e che si è espressa in questo risveglio della società civile. Vorrei concludere con un altro punto affrontato dalla relazione e sul quale abbiamo discusso più volte, cioè quello relativo al concetto di sinergia tra le istituzioni. Sono d'accordo con il collega Galasso, nel senso che il significato di sinergia è molto preciso, non è un invito generico alla concordia o all'embrasson nous: sinergia tra le istituzioni significa lavorare, facendo leva sulle forze coerenti, leali e pulite che esistono all'interno delle istituzioni stesse, per neutralizzare i traditori, il che significa far funzionare i normali strumenti di controllo; significa anche lavorare per neutralizzare gli inerti, e anche qui c'è una funzione di controllo che deve essere esercitata. Ebbene, a Palermo la sinergia tra le istituzioni diventa possibile quando se ne va Giammanco, questo deve essere chiaro. La sinergia tra le istituzioni diventa possibile quando si riesce a togliere Carnevale dalla presidenza della prima sezione penale della Cassazione, anche questo deve essere chiaro. Quindi, sinergia fra le istituzioni significa neutralizzare anche gli indifferenti ed emarginare i professionalmente incapaci, perché nella lotta contro la mafia abbiamo bisogno di mettere a frutto il massimo delle competenze e della professionalità. Ma per questo credo giusto che la Commissione antimafia nel suo complesso, al di là delle divergenze di opinione che vi sono state all'inizio, quando la superprocura è stata varata, compia uno sforzo per far funzionare la direzione nazionale antimafia, dove oggi vi sono competenze e forze. C'è un'istituzione e smobilitarla sarebbe comunque un segnale negativo usato e rivenduto dai capi dell'organizzazione mafiosa per riacquistare quella riconquista di potere di cui dicevamo: possono presentarsi ai loro accoliti dicendo: "Vedete, abbiamo ottenuto di cancellare la superprocura!". Per loro questo sarebbe un successo. E' dunque per evitare che ciò accada che dobbiamo farla funzionare, assumendo, anche in riferimento a questo istituto ibrido, una posizione costruttiva che tenda ad individuare le linee lungo le quali può recare un contributo utile al circuito complessivo costituito dalle procure distrettuali e, aggiungo personalmente, dalle procure ordinarie delle zone a più alta densità mafiosa, che occorre integrare di più nel circuito. Rispetto a tutti questi organismi, la procura nazionale antimafia può svolgere un'utile funzione di coordinamento, di raccolta delle informazioni e di elaborazione delle medesime. Dobbiamo impegnare il Governo a rendere possibile questa attività e questa funzione anzitutto tramite una informatizzazione attuata in tempi ragionevoli e non rinviata all'infinito. Sono questi i punti che mi sembravano più rilevanti nella relazione presentata dal presidente della Commissione. Credo che su di essa debba articolarsi una conclusione agile e ferma che individui i punti nuovi del lavoro svolto durante questo anno e che soprattutto segnali il fatto politico emerso dal nostro lavoro, cioè uno sforzo comune per fare della istituzione parlamentare, in questo delicato momento che vive il paese, il punto di riferimento della volontà di rinnovamento, di pulizia e di risveglio della società civile contro quella che è stata una delle più pesanti ipoteche che hanno gravato sul sistema politico italiano e che è diventata mortale nell'ultimo quindicennio, vale a dire la coabitazione con i poteri criminali e mafiosi. Sui lavori della Commissione. PRESIDENTE. A questo punto avremmo terminato la discussione generale. Però devo informarvi che mi è giunta una lettera del senatore Frasca che vi leggo: "Poiché sono febbricitante ed il medico mi ha consigliato di raggiungere Pagina 3009 casa, la pregherei di differire il mio intervento di oggi ad altro giorno utile". Se i colleghi sono d'accordo, potremmo chiedere al senatore Frasca di intervenire martedì. Per quanto riguarda il prosieguo dei lavori, premesso che in base alle cose dette sistemerò il testo apportandovi le correzioni necessarie, farò in modo che lo abbiate un'ora prima della seduta di martedì, così che possiate prendere visione delle parti nuove che avrò aggiunto (magari potrebbero essere scritte con caratteri diversi rispetto a quelli del testo, in modo che sarebbe più facile evidenziarle). Credo che sulla base del testo corretto vi sarà una seconda, rapida discussione, la quale può comportare, eventualmente, ulteriori piccoli aggiustamenti. ALFREDO GALASSO. In linea di massima sono d'accordo, signor presidente. Vorrei soltanto preannunciare che su alcuni punti specifici, peraltro toccati dai colleghi Brutti e Tripodi, che volutamente non sono stati oggetto del mio intervento, farò pervenire al presidente, in tempo ragionevole, non tanto emendamenti quanto una segnalazione integrativa rispetto all'intervento generale che ho svolto. PRESIDENTE. In modo che io possa utilizzarli per il testo che presenterò martedì? ALFREDO GALASSO. Sì, penso di riuscire a farglieli avere nella giornata di domani. Del resto, riguardano alcuni punti significativi che, per chi se ne intende come lei, non necessitano di una grande spiegazione. Per esempio, sulla questione della direzione nazionale antimafia, avrei delle osservazioni ma è chiaro che rimetto alla sua valutazione l'opportunità o meno di tenerne conto. Invece, per quanto riguarda la parte attinente alla valutazione politica, approfitto di questo intervento sull'ordine dei lavori per dire qui, formalmente ed ufficialmente, che mi ritrovo integralmente nelle cose dette dal collega Brutti, ad eccezione dell'ultima parte riguardante la direzione nazionale antimafia, e che considero questo il senso vero, a proposito del riferimento che ho fatto agli atti della nostra Commissione, di ciò che considero sistema. Siccome non amo le parole vuote, non tengo particolarmente all'espressione ma alla sostanza delle cose. Quindi, voglio dire che intendevo esattamente questo, che mi pare davvero un non insignificante e neanche tiepido modo di presentare il lavoro di questa Commissione. PRESIDENTE. Possiamo fissare la prossima seduta per martedì alle 16,30. Alle 15 dello stesso giorno sarà disponibile il testo con le correzioni. Vi è il rischio di una scorrettezza nei confronti del senatore Frasca che troverà un testo già corretto, per cui, se i colleghi ritengono, dopo che egli avrà parlato, vedrò come riprendere alcune delle cose dette. CARLO SMURAGLIA. Più volte si è parlato delle indagini e dei lavori in corso di svolgimento: vorrei sottoporre al presidente e ai colleghi un'esigenza relativa al lavoro cui ha fatto riferimento ampiamente il collega Borghezio, cioè all'indagine, che stiamo concludendo, sulle zone non tradizionalmente interessate dal fenomeno della mafia. Vi è un punto che rischia di rimanere oscuro: i rapporti eventuali tra forme di criminalità organizzata, mafia, infiltrazioni in zone non tradizionali e altri tipi di organizzazioni fra cui, ad esempio, la massoneria. Mi pare che siano stati acquisiti gli elenchi relativi alle zone tradizionali e credo che potrebbe esserci utile acquisire anche quelli relativi alle altre zone, almeno quelle che abbiamo visitato, perché da lì potremmo ricavare qualche ulteriore elemento di completezza, anche rispetto ad accenni fatti che non abbiamo potuto approfondire. ANTONINO BUTTITTA. Premesso che voterò a favore della relazione, vorrei Pagina 3010 sapere se il presidente abbia intenzione di raccogliere alcuni suggerimenti, avanzati da me e da altri colleghi, relativi ad una futura attenzione da prestare ai rapporti tra mafia e finanza e tra mafia e magistratura. PRESIDENTE. Sì, senz'altro; sono due punti un po' deboli. ANTONIO BARGONE. Vorrei avanzare la richiesta di completare l'indagine sulla Campania con una visita a Castellammare di Stabia, dove, sulla base di notizie che ci sono state fornite anche dal Ministero dell'interno, pare vi sia una situazione di particolare delicatezza che merita di essere approfondita dalla Commissione in modo da poter offrire un quadro complessivo della situazione campana. PRESIDENTE. Credo non vi siano obiezioni su questo. Le chiedo, onorevole Bargone, visto che ha formulato la proposta, di assumersi l'onere di concordare con gli uffici la data nella quale effettuare la visita. La seduta termina alle 19,05.