Pagina 3011 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Seguito della discussione ed approvazione della relazione annuale: Violante Luciano, Presidente, Relatore 3013, 3021 3025, 3026, 3029, 3031, 3032, 3033, 3034 Borghezio Mario 3031 Buttitta Antonino 3028, 3029 Cabras Paolo 3018, 3027 D'Amelio Saverio 3024, 3025, 3033 Frasca Salvatore 3013, 3032 Galasso Alfredo 3026, 3027 Rapisarda Santi 3033 Smuraglia Carlo 3030, 3031 Tripodi Girolamo 3028, 3029 Sui lavori della Commissione: Violante Luciano, Presidente 3034 Bargone Antonio 3034 Frasca Salvatore 3034 ERRATA CORRIGE 3034 ALLEGATO: Nota aggiuntiva alla Relazione annuale: paragrafo relativo ai rapporti tra mafia e massoneria, presentata dall'onorevole Girolamo Tripodi per il gruppo di Rifondazione comunista 3035 Pagina 3012 Pagina 3013 La seduta comincia alle 16,30. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Seguito della discussione ed approvazione della relazione annuale. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della relazione annuale. Do la parola al senatore Frasca che, per un malessere, non è potuto intervenire nella precedente seduta. SALVATORE FRASCA. La ringrazio, signor presidente, per avermi consentito di parlare al di fuori dei tempi che ci eravamo imposti. Ho letto la sintesi degli interventi degli altri colleghi sulla sua relazione. Tutti sono stati pregevoli e sono serviti certamente ad arricchire la sua relazione, che è esaustiva del lavoro che abbiamo svolto nel corso di questo primo anno di vita della Commissione. Per la parte che mi riguarda, cercherò di spigolare in un campo che è stato già mietuto, andando alla ricerca di qualche altro argomento che possa essere aggiuntivo rispetto alle tante argomentazioni già svolte dai colleghi. Ho chiesto più volte un dibattito sul lavoro fin qui svolto dalla Commissione perché volevo che la Commissione facesse un esame autocritico della sua attività e, se necessario, apportasse i necessari correttivi al suo modo di essere e alle sue linee di movimento. Mi si è precisato che questo si poteva fare in sede di discussione sulla relazione annuale: ne ho preso atto con piacere e sono qui anche per svolgere gli argomenti che erano all'origine della mia richiesta. Nel corso di quest'anno ho fatto alcune riflessioni sul nostro lavoro e le ho fatte anche alla stregua di precedenti esperienze compiute anche in altre Commissioni. L'articolo 25 della legge 7 agosto 1992, n. 356, prevede i compiti di questa Commissione: verificare l'attuazione della legge 13 settembre 1982, n. 646, accertare la congruità della normativa vigente e della conseguente azione dei pubblici poteri, formulando le proposte di carattere legislativo e amministrativo ritenute opportune per rendere più coordinata ed incisiva l'iniziativa dello Stato e delle regioni, accertare e valutare la natura e le caratteristiche dei mutamenti e della trasformazione del fenomeno mafioso e di tutte le sue connessioni, riferire al Parlamento al termine dei suoi lavori e ogni volta che lo ritenga opportuno, e comunque annualmente. Il regolamento che abbiamo discusso ed approvato in data 6 ottobre 1992 disciplina il nostro lavoro. Ebbene, è proprio sul nostro lavoro che ho riscontrato alcune storture sulle quali vorrei intrattenere brevemente la Commissione. Si è subito constatato che vi è un'organizzazione elefantiaca, molto burocratica di questa Commissione, che spesse volte non fa apparire all'esterno, nella sua giusta luce, la Commissione stessa. Ho sotto gli occhi una dichiarazione di un nostro autorevole collega, che ha fatto parte più volte di Commissioni antimafia, l'onorevole Mancini. Dice l'onorevole Mancini: "L'onorevole Violante, presidente della Commissione antimafia che è venuto ad acquistare poteri superiori a quelli dei due ministri dell'interno e della Pagina 3014 giustizia, sostiene che il sistema della legislazione premiale dei pentiti funziona in modo più che soddisfacente", per poi arrivare alla conclusione, in materia di pentitismo, che vi sono alcune cose da rivedere. Comunque, questa è l'immagine che offre, dinanzi all'esame dei commentatori politici o anche di quanti hanno vissuto l'esperienza parlamentare, questa nostra Commissione. Se poi si tiene presente la qualificazione politica di questa presidenza come di quelle del Comitato di vigilanza sui servizi segreti e della Commissione stragi occorre osservare che, molto probabilmente, in nome del consociativismo che governa il nostro paese si viene a manifestare la mancanza di un equilibrio all'interno dello Stato. A ciò desidero aggiungere alcune considerazioni sul modo in cui la Commissione ha organizzato gli uffici e, in particolare, le consulenze. A questo proposito, ho richiamato a suo tempo l'attenzione della Commissione, senza avere una risposta. Desidero affrontare nuovamente la questione in questo momento di autocritica per ricordare che le consulenze non appaiono all'esterno della Commissione e nel nostro ambito - non sempre ne parliamo, perché a volte governa l'omertà anche al nostro interno - serene ed obiettive, non tanto in rapporto alle persone quanto ai ruoli che le stesse svolgono al di fuori della Commissione e del Parlamento. Non condivido la presenza, tra l'altro numerosa, di certi magistrati; non la condivido perché ritengo che vi sia incompatibilità di natura funzionale e morale tra il ruolo che essi svolgono nell'ordine giudiziario e quello di consulente della Commissione. Ai tanti argomenti che ho affrontato nel corso del precedente intervento, desidero aggiungerne un altro. L'articolo 25 del regolamento stabilisce: "I collaboratori prestano giuramento circa l'osservanza del vincolo del segreto ai sensi dell'articolo 25- novies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306...". Mi domando se, nell'eventualità di un conflitto tra questi magistrati e l'ordine ai quali questi appartengono, avendo prestato costoro giuramento di fedeltà al loro ordine, a quale vincolo si sentiranno legati. A quello di segretezza prestato alla Commissione o a quello a suo tempo assunto al momento dell'entrata a far parte dell'ordine giudiziario? Credo che in proposito occorra riflettere se vogliamo che l'immagine della Commissione appaia sempre più trasparente, non solo dinanzi al Parlamento ma soprattutto dinanzi all'opinione pubblica. Sempre in merito alla parte organizzativa, ho notato una preponderanza dell'ufficio di presidenza rispetto alla Commissione. Ritengo che sia compito della presidenza e dell'ufficio di presidenza elaborare programmi e sottoporli all'approvazione della Commissione, senza impedire che i singoli commissari possano, al momento opportuno e chiedendone l'iscrizione all'ordine del giorno, chiedere un pronunciamento della Commissione su proposte che intendano avanzare. Invece, allorquando qualcuno di noi ha avanzato proposte si è sentito rispondere che le medesime sarebbero state sottoposte all'esame dell'ufficio di presidenza, come se tra i compiti di quest'organo ci fosse anche quello di sindacare le proposte dei singoli membri della Commissione. Così non è e lo chiarisce la norma del regolamento. Del resto, credo che in nessuna Commissione della Camera, del Senato o bicamerale avvenga qualcosa del genere. Parlando dell'ufficio di presidenza, della prevaricazione e della sua preponderanza rispetto alla Commissione, c'è anche da osservare che quest'organo viene dilatato, a seconda della particolare convenienza, a tre, quattro, cinque interlocutori privilegiati. Compio queste affermazioni con riferimento alla proposta, che ho avanzato nel corso della precedente riunione, di ascoltare il presidente dell'ENEL, dottor Viezzoli. L'avevo avanzata quando ancora la sua nomina a presidente dell'ENEL non era stata confermata, ma non ho avuto alcun riscontro positivo. Desidero far presente che nel frattempo si è proceduto Pagina 3015 a questa nomina e Viezzoli continua ad amministrare l'ENEL senza che siano stati tenuti presenti alcuni dati particolari ed oggettivi che possono non interessare la Commissione, nonché altri dati, anch'essi significativi, che non possono non interessarla. Viezzoli è stato nominato presidente dell'ENEL senza sapere che alcuni membri del consiglio di amministrazione da lui presieduto sono accusati di gravi reati e molti sono addirittura detenuti. Viezzoli è diventato nuovamente presidente senza che si fosse tenuto conto delle indagini avviate dalla procura della Repubblica di Palmi sulle connivenze tra l'ENEL ed alcune ditte mafiose. L'audizione di Viezzoli sarebbe servita almeno per garantire la Commissione, e con essa lo Stato, che quanto è accaduto nella prima fase della realizzazione della centrale non avvenisse successivamente. Ci siamo sentiti dire che questa proposta doveva essere esaminata dall'ufficio di presidenza, anche se sarebbe stato nel nostro diritto avanzarla e chiedere alla Commissione di pronunciarsi. Comunque, insisto affinché questa audizione venga svolta, così come ribadisco la richiesta di acquisire l'intero fascicolo processuale riguardante l'inchiesta avviata dalla procura della Repubblica di Palmi sulle inframmettenze mafiose nel rapporto tra l'ENEL e le varie società dei Piromalli. Tornerò fra qualche momento ad affrontare le questioni d'ordine organizzativo. Mi sia consentito ora dire, dopo aver studiato la legge istitutiva della Commissione, che in questo anno di lavoro è stato privilegiato il lavoro di indagine e di studio del fenomeno mafioso e non è stato adeguatamente valutato il controllo sui meccanismi dello Stato preposti alla lotta alla mafia. Ad esempio, la Commissione ha organizzato dei Forum sulla giustizia e sul rapporto tra economia e criminalità, debordando a mio avviso da quelli che sono i suoi compiti. La Commissione non è il Governo, non è un ministero, non è una Commissione ordinaria che può assumere iniziative di questo genere, anche se lodevoli ed apprezzabili per le conclusioni cui siamo pervenuti. E' strano però che, mentre è stato svolto il Forum sulla giustizia e quello sull'economia e la criminalità, non ne è stato svolto uno sulle condizioni sociali che hanno determinato la nascita ed il rafforzamento del potere mafioso. Devo anche rilevare che sono state svolte un'infinità di audizioni, una delle quali - il presidente mi consenta di dirlo - assolutamente strumentale. Abbiamo ascoltato il procuratore della Repubblica di Palmi proprio nel momento in cui il Consiglio superiore della magistratura doveva decidere se nominarlo procuratore della Repubblica di Napoli. Voglio dire che abbiamo messo a disposizione del procuratore Cordova una tribuna per rilanciare la sua candidatura. Credo che questi episodi debbano essere evitati. Desidero anche precisare che siamo stati ospiti a Palermo di società civili proprio nel momento in cui il presidente di una di queste società preannunciava la sua candidatura alle imminenti elezioni amministrative di Palermo. La Commissione non deve dare la benché minima sensazione di voler favorire questa o quella situazione. Ancora a proposito del non sufficiente studio dei meccanismi di controllo utilizzati dallo Stato nel contrasto alla mafia, mi sia consentito dire che una gamma di attività ed un'ampia problematica sono rimaste inosservate. Vi è stata, per esempio, una polemica all'interno della stessa DNA, e alcuni sostituti procuratori hanno attaccato il procuratore Siclari, il quale in conseguenza di ciò ha detto testualmente: "E' stato un regalo ai boss ma noi non vogliamo chiudere", e per quanto riguarda gli attacchi alla DNA, si sono letti titoli quali "Non diamo fastidio solo alla mafia", eccetera. Ebbene, avremmo dovuto chiederci per quale motivo stiano accadendo certi episodi e perché si tenda a mettere in crisi questa struttura; avremmo anche dovuto constatare la veridicità dell'assunto del presidente quando nella sua Pagina 3016 relazione sottolinea che vi sono elementi equivoci all'interno della procura nazionale antimafia. Inoltre, nell'indagine che abbiamo compiuto vi è stato un versante rispetto al quale questa Commissione ha dimostrato tutta la sua impotenza, tanto che esso costituisce una delle maggiori lacune nel nostro lavoro: nella stampa di oggi si legge che alcuni magistrati sono inquisiti in relazione all'aggiustamento dei processi, però voglio ricordare che di questo se ne parlò sin dall'inizio della nostra attività, cioè quando venne in Commissione il procuratore di Caltanissetta Tinebra, il quale confermò l'esistenza di questo fenomeno; da parte nostra chiedemmo che fosse approfondito ma in tal senso nulla è stato fatto; dunque, se oggi ci accorgiamo che quel fenomeno è esploso, dobbiamo dedurre che siamo stati a rimorchio degli avvenimenti, lasciando, cioè, che essi si verificassero nel modo in cui sono accaduti. Abbiamo ascoltato le dichiarazioni rese dai pentiti e sulla base di alcune di esse abbiamo messo sotto accusa - non so se a torto o a ragione, lo diranno i processi - eminenti uomini di Stato. Dal pentito Galasso abbiamo appreso che nell'ambito di competenza del suo clan sono stati ben sei i magistrati ad interessarsi dell'aggiustamento dei processi. Ci risulta che vi è stato l'arresto di uno dei magistrati chiamati in causa ma poiché per gli altri non si è fatto niente mi chiedo perché da parte nostra non si sia mossa una virgola per appurare la veridicità di quelle dichiarazioni. Sempre interrogandoci sul nostro operato, potrei citare ciò che è accaduto a proposito della relazione sulle Puglie, dove non abbiamo avuto il coraggio necessario per far notare, a chi di competenza, la scabrosa posizione del procuratore antimafia di Bari, il quale si trova a rivestire non solo tale ruolo ma anche quello di inquisito per fatti di mafia. Nonostante che dal pentito Galasso avessimo appreso che alcuni rappresentanti della cooperazione avevano trattato con la camorra, allo stato delle cose non ci risulta che sia stata avviata la benché minima azione penale, per cui anche su questi fatti finora nessuno è stato chiamato a rispondere. Sia chiaro, noi non vogliamo capri espiatori, perché siamo sostenitori dello Stato di diritto, per cui alcune delle cose che stiamo dicendo le diciamo proprio in rapporto al concetto che abbiamo del nostro Stato e della nostra società. Però non può esserci una disparità di trattamento nei confronti dei cittadini, i quali devono essere considerati tutti uguali in certe circostanze, anche se si tratta di uomini politici o di magistrati. Inoltre, nulla si è detto e nulla si dice a proposito di alcune situazioni di difficoltà e direi anche di immoralità che abbiamo riscontrato o constatato nell'ambito di certi uffici giudiziari. In Calabria, tanto per parlare ancora della mia regione, la gestione della magistratura o, per meglio dire, di certi uffici giudiziari, è di natura familiare: nell'ambito della procura presso la corte d'appello di Catanzaro lavorano cinque persone appartenenti allo stesso nucleo familiare. Ciò contravviene all'ordine giudiziario, e ci meraviglia profondamente il fatto che si tollerino realtà come questa. Situazioni identiche esistono presso taluni uffici giudiziari di Catanzaro e di Lamezia, dove il presidente del tribunale è cognato del procuratore della Repubblica. Ripeto, si tratta di fatti gravi, di macigni che cadono su di noi, eppure non li prendiamo nella necessaria considerazione. Ciò facendo veniamo certamente meno al nostro dovere, che è quello di dire la verità e nient'altro che la verità, come una volta si diceva prestando giuramento dinanzi all'autorità giudiziaria. Credo sia stato fatto ben poco anche a proposito di quanto abbiamo constatato per quanto concerne gli uffici giudiziari. In ordine a questo problema, infatti, è mancato un confronto con il Consiglio superiore della magistratura. Intanto, le carenze aumentano. A quelle constatate, per esempio, posso aggiungerne un'altra, che mi è stata denunciata proprio l'altro giorno dal sostituto procuratore della Pagina 3017 Repubblica di Castrovillari (facente funzione): presso questa procura, dove vi erano quattro magistrati, poiché il procuratore capo è andato in pensione, uno dei sostituti è stato trasferito a Salerno e un altro è assente perché deve frequentare un corso, attualmente vi è un solo procuratore. Mi chiedo come possa andare avanti quella procura. Credo sia giusto tenere conto anche di queste realtà quando si rivolgono critiche nei confronti degli uffici giudiziari. Dico ciò non senza aver ribadito ancora una volta che l'esercizio dell'attività giudiziaria presso gli uffici giudiziari di Castrovillari è di natura strettamente familiare, come dimostrano alcune decine di interrogazioni e di interpellanze da me presentate nel corso degli anni. Su tutto questo, un confronto con il Consiglio superiore della magistratura sarebbe stato necessario ma per quanto lo andiamo invocando non riusciamo ad averlo. E aggiungo, signor presidente, che quando parlo di confronto con quest'organo intendo riferirmi ad una delegazione del medesimo. Ricordo che nella precedente legislatura spesso eravamo in contatto con ben sette membri del Consiglio superiore della magistratura, assieme ai quali assumevamo anche delle decisioni. Adesso sembra che i rapporti con il Consiglio superiore della magistratura siano affari riservati di questo o di quest'altro, il che non depone certamente bene ai fini dell'immagine della nostra Commissione. Anche per quanto riguarda i suggerimenti da dare al Parlamento, devo dire che non sempre siamo stati e siamo tempestivi. Abbiamo esaltato il ruolo e la funzione dei pentiti, a proposito dei quali Mancini ricordava che all'interno di questa Commissione vi è stata anche una polemica con il presidente Violante: mi riferisco a quando, presidente della Commissione l'onorevole Alinovi, l'attuale presidente Violante, allora membro di quella Commissione, aveva dei pentiti un concetto diverso rispetto a quello di molti altri colleghi; però ricordo che si giunse ad un punto di equilibrio - peraltro ben registrato in questa relazione - quando si addivenne alla conclusione che doveva esservi un riscontro di ciò che veniva detto dai pentiti. Ciò nondimeno, oggi accade spesso che le dichiarazioni di un pentito mettano in crisi determinate situazioni o privino un cittadino del suo diritto elettorale. Per esempio, le prossime elezioni che si svolgeranno a novembre sono state condizionate dalle dichiarazioni dei pentiti, perché chiamati in causa e sottoposti ad indagine giudiziaria persone che sono state sempre contro la mafia, che probabilmente con essa non hanno mai avuto niente a che fare, e questo per una dichiarazione resa da un pentito e sulla quale non sono mai stati fatti riscontri. Bisogna tener presente, signor presidente, che quando ascoltiamo i pentiti ci troviamo di fronte a criminali i quali, anche se non vogliono denunciare esattamente il numero dei delitti che hanno commesso, ammettono però che sono stati senz'altro parecchi, cioè decine. Non bisognerebbe consentire a costoro di continuare a consumare delitti attaccando la dignità e la moralità delle persone o facendo diventare morti civili uomini che sono di provata fede nei confronti dello Stato e di nitida onestà. La materia dovrebbe essere regolata e in proposito dovremmo sviluppare un dibattito in Commissione. Per quanto riguarda le audizioni dei pentiti, se li vogliamo utilizzare ai fini della nostra conoscenza, dobbiamo evitare che il giorno successivo a questi incontri tutto quello che hanno detto - sia in sede riservata, sia in sede pubblica - venga pubblicato dai giornali. Queste audizioni dovrebbero rimanere nell'ambito della segretezza, se non vogliamo che il giorno dopo si intentino processi nei confronti di parlamentari, uomini di Governo e cittadini dal comportamento inequivocabile. Anche rispetto ai sequestri di persona è mancato un ulteriore approfondimento. Abbiamo appreso che a Bovalino è stato soppresso il nucleo operativo antisequestro perché si diceva che tali reati non Pagina 3018 avevano più ragione d'essere essendo ritenuti dalla mafia non più redditizi; al contrario, ci sono ancora perché nel frattempo, accanto alle cosche di grande rilievo dal punto di vista della criminalità precedentemente interessate ai sequestri, sono nate bande di balordi, le quali sequestrano le persone e spesse volte chiedono riscatti - sta accadendo nel caso del fotografo di Bovalino - di 800 milioni destinati a diventare, come è noto, 300 o 400. Dobbiamo quindi vedere come ritornare ad una prevenzione in questo campo, come mobilitare le forze dell'ordine nella maniera più giusta per impedire simili eventi. Infine, signor presidente, si ha la sensazione che questa stia diventando una Commissione itinerante; facciamo troppi viaggi e li facciamo anche in maniera disordinata. Dico questo soprattutto in difesa dei gruppi minori, che non sempre hanno la possibilità di assicurare la loro presenza. Si viaggia molto senza un minimo di programmazione e venendo spesso informati tre o quattro giorni prima quando ognuno di noi ha già calendarizzato il suo lavoro e i suoi impegni. Occorrerebbe dunque una programmazione dell'attività della Commissione quanto meno mese per mese, che tale programmazione venisse predisposta con il concorso di tutti, non esclusivamente dall'ufficio di presidenza, il quale può semmai "esorbitare" rispetto ai viaggi all'estero. Dobbiamo essere messi nelle condizioni di dire con la massima schiettezza il nostro punto di vista su tali programmi. Dalla relazione del presidente emerge tutto quello che abbiamo fatto: è tanto, è tantissimo, ma il nostro lavoro può certamente migliorare nella qualità, qualora la Commissione ritenga che le modeste riflessioni da noi fatte abbiano un minimo di veridicità ed adotti i necessari provvedimenti perché il nostro lavoro sia il più produttivo e il meno dispendioso possibile ed appaia finalizzato esclusivamente alla difesa dello Stato contro il crimine. PAOLO CABRAS. La relazione annuale illustra con puntualità il cammino svolto durante quest'anno, che ha portato ad un arricchimento del nostro patrimonio di conoscenza, della nostra esperienza sul fenomeno mafioso. Dall'insieme delle visite, delle indagini e delle audizioni - anche quelle mirate a singole realtà o a problemi specifici (penso in particolare al Forum sulla criminalità economica) - mi sembra sempre più delinearsi questa struttura criminale, questo modello di potere chiuso, dotato di sue regole, sue gerarchie, suoi obiettivi di potere, nonché della capacità di inserirsi nella vita economica, sociale, soprattutto istituzionale. Sempre più la mafia ci è apparsa in queste indagini - non è una novità - una struttura capace di relazioni a tutto campo. Direi che la differenza maggiore tra un gruppo di criminalità comune, una grande banda criminale e la mafia risiede proprio in questa possibilità, in questa tendenza a crescere, ad espandersi, a infiltrarsi, nel mantenere e sviluppare rapporti in varie direzioni. Non credo invece ad un teorema che qui è stato illustrato con efficacia dall'onorevole Galasso, non credo che non si debba parlare di struttura ed organizzazione criminale, ma di un sistema di potere all'interno del quale c'è anche la mafia. Ritengo che questo teorema sia lo stesso che tante volte nel corso degli ultimi anni - non è neanche una valutazione nuova - ha fatto parlare di stragi e di mafia di Stato. Non coltivo un pregiudizio che fa riferimento alla natura sempre violenta dello Stato, non ho la convinzione che ogni potere sia corruzione e sopraffazione, anche se so che nella cultura politica, non soltanto italiana, - che ha echi, rimandi o obiettivi rivoluzionari - questa diffidenza e questa contrapposizione allo Stato ha illustri precedenti; alcune teorie che hanno sviluppato concezioni leniniste si muovono in questa direzione. Tale avversione nei confronti dello Stato è quella che porta al famoso aforisma, al famoso paradosso di Pagina 3019 Lenin sulla cuoca, per cui quando si passa dallo stato di necessità allo stato di libertà, quando si realizza l'ideale di uno stato comunista, anche la cuoca può dirigere lo Stato perché non hanno più importanza le strutture, le istituzioni, le centrali di potere. Mi sembra che questa utopia - rispettabile come tutte le altre - la quale pure ha percorso il mondo negli ultimi settant'anni, si sia in qualche modo incontrata con le realtà della storia, dello sviluppo, della crescita civile ed economica dei popoli, dell'edificazione, dell'inizio e della fine degli stati. Penso che in qualche modo debba fare i conti con la fine dei modelli costruiti su questo tipo di identificazione dello Stato con il sistema di potere, con la corruzione e con la prevaricazione. Certo, ciò non toglie che all'interno del sistema di potere costituzionale ci siano violazioni, slealtà, anche tradimenti e che tutto questo porti a degenerazioni. Sono convinto che anche la nostra democrazia in Italia è stata incompiuta, bloccata, ma non credo che in questi decenni abbiamo vissuto all'insegna dell'oscurantismo, della violenza totalizzante delle istituzioni. Ritengo che il paese si sia sviluppato, sia cresciuto tra mille contraddizioni, tensioni, anche pericoli, rischi di involuzione che sono passati in fasi cicliche della nostra vita nazionale; credo che abbiamo vissuto fondamentalmente preservando la tenuta del quadro democratico, che significa poi la garanzia delle libertà per i cittadini. In questo senso ritengo che la mafia sia nemica delle istituzioni, perché pretende essa stessa di essere istituzione, di dettare le sue leggi, di applicare le sue regole al di là di quelle dello Stato e del sentire comune. Poi certamente la mafia è stata forte per carenza di volontà politica, per comportamenti illegali. Ho sempre sostenuto e ritenuto che la degenerazione della politica, la crisi politica-istituzionale del paese, la politica ridotta ad un mero scambio di potere abbia agevolato il corso della vicenda mafiosa, la sua infiltrazione, la sua espansione, quella capacità straordinaria di collegamento, di suggestione su nodi essenziali della vita politico-istituzionale ed economica. Credo, però, che questo debba essere vissuto per quello che è, senza confusione, perché altrimenti non credo che troviamo le armi - che sono quelle di regole nuove, di comportamenti nuovi, di cambiamenti veri nella politica e nelle istituzioni - che consentono di vincere la violenza, la sopraffazione, l'intimidazione della mafia, che tende a farsi stato, regola, contro lo Stato e contro le regole. Per questo qualche invocazione che vi è stata nel dibattito, secondo cui, tutto sommato, l'elenco degli inquisiti, soprattutto se sono politici, può trasformarsi nell'archivio dei responsabili della crescita della mafia, o addirittura identificarsi con l'archivio dei committenti politici della mafia, mi sembra che sia lontana da una cultura dello Stato di diritto e non gioverebbe ai nostri compiti istituzionali. Sono convinto che il lavoro svolto in quest'anno sia stato utile, soprattutto perché ha aperto varchi ed ha arricchito la nostra conoscenza sul rapporto mafia-politica, un rapporto sul quale non dobbiamo stancarci di indagare, sapendo che si tratta di un nodo essenziale legato ad un discorso generale di rinnovamento, di rilegittimazione della politica. E' un terreno importante che, costi quel che costi, va esplorato e verificato fino in fondo. Dobbiamo sapere, anche se non solo in base agli ultimi avvenimenti: cerco di non inseguire mai l'ultima emozione perché molte volte questo è deviante. Ma poiché gli ultimi avvenimenti e la chiamata in causa di uomini della magistratura non fanno che riecheggiare e, semmai, ove fosse confermato, rimandare ad informazioni che abbiamo sempre avuto sul cosiddetto aggiustamento dei processi, cioè sull'espansione dell'infiltrazione mafiosa che ha toccato anche i palazzi della giustizia, e quindi gli uomini cui spetta di assolvere alla grande funzione del giudizio sui reati, sulle illegalità dei cittadini, tutto questo non meraviglia. Dimostra che occorre inseguire la mafia nella politica ma anche negli altri percorsi istituzionali. Pagina 3020 Per dare, con l'approvazione della relazione annuale, alcune indicazioni sul metodo di lavoro - poiché condivido la relazione e il lavoro svolto, avendo collaborato e partecipato alla definizione e all'assunzione del metodo di lavoro -, ritengo che le nostre indagini e, soprattutto, il controllo sul posto della tenuta istituzionale, della risposta istituzionale alla mafia e anche le conoscenze sul posto della trasformazione e dei mutamenti del fenomeno mafioso - quando avvengono in zone tradizionalmente a rischio ma anche in circuiti che non sono solo quelli del crimine e della violenza omicida, ma anche quelli dell'insediamento economico, produttivo, quindi dell'acquisizione di potere per questa via (la mafia che inseguiamo al centro e al nord del nostro paese, anche per una direttrice che ci siamo dati) - non solo non siano inutili ma siano anzi estremamente interessanti. Non mi sento di condividere il giudizio su un eccesso di viaggi, ritenendo che compiamo missioni contenute nel tempo e con ritmi di lavoro abbastanza ossessivi per non dover cercare giustificazioni. Credo che tutto questo sia utile, perché determina un effetto stimolante ed anche un effetto chiarificatore. Lo abbiamo notato anche in zone non toccate dal fenomeno. Con i colleghi Smuraglia, Bargone, Ricciuti, Ferrauto e Calvi ci siamo recati in Abruzzo, accolti da una certa campagna di stampa, ed anche da un certo pregiudizio politico di partiti influenti nella zona, come coloro che deturpavano il volto onesto dell'Abruzzo e addirittura mettevano in pericolo investimenti e futuro economico: alla fine hanno dovuto riconoscere questo contributo ad adottare una misura di vigilanza, di prevenzione, e a sapere che la mafia non ha confini e va prevenuta per non piangere sul latte versato. Tutto questo costituisce un momento importante di una dialettica tra un organismo istituzionale come il nostro e le tensioni, gli umori, le aspettative, i giudizi ed anche i pregiudizi che esistono nella realtà della società italiana. Ritengo che questo tipo di mobilità della Commissione antimafia sia un modo giusto di spendere le istituzioni a confronto con i problemi. Credo anche - questo è un indirizzo (Violante ama parlare, giustamente, dell'antimafia dei diritti) - che dovremo, nei mesi di attività di questa legislatura che ci restano, per pochi che siano, fare qualche approfondimento sui temi dei servizi sociali, dell'area della prevenzione sociale, della scuola, su cui già ci siamo cimentati con qualche successo anche in un utile confronto con i responsabili di Governo della pubblica istruzione. Penso che questo sia un terreno su cui forse l'apporto di idee, ma anche e soprattutto il confronto con chi è interessato, nel mondo della scuola, nel mondo dei servizi sociali, del volontariato, a questi problemi, possa costituire un contributo. Questa è la nostra convinzione: noi ci dobbiamo occupare del contrasto istituzionale, della repressione, dei processi, di tutto quello che deve far chiarezza e consentire, garantire la punibilità del crimine mafioso; però dobbiamo anche fare un'opera di prevenzione, un'opera che in qualche modo cerchi di togliere alla mafia le zone di cedevolezza del tessuto istituzionale, del tessuto economico e di quello sociale dove la mafia alligna, prospera, cresce, esercitando anche la sua capacità di attrazione, la sua ricerca - che sembra paradossale - di consenso sociale, che pure esiste, in modi impropri, in modi indiretti, a volte in modi manipolati. Ma esiste anche questo e credo che, con quella che io definisco opera di prevenzione sociale, dobbiamo dare un contributo. Ritengo che la relazione costituisca un tratto importante del nostro percorso, la fase di un processo anche di responsabilità secondo i fini della Commissione antimafia, sapendo benissimo che tutte le Commissioni che ci hanno preceduto, come la nostra, fanno solo un tratto di strada. In fondo, l'esaurimento del compito di indagare, ma soprattutto di controllare e di seguire questo fenomeno che Pagina 3021 allerta le istituzioni, potrà avvenire solo quando la mafia, che non è invincibile, finirà anch'essa. PRESIDENTE. A conclusione degli interventi dei colleghi, svolgo la replica. Ringrazio tutti i colleghi intervenuti perché la discussione è entrata molto nel merito delle questioni. Come avrete avuto modo di notare, il testo della relazione che ho presentato oggi contiene una serie di integrazioni sulla base delle cose che una serie di colleghi (Montini, Matteoli, Brutti, Galasso, Scalia, Biscardi ed altri) aveva sottolineato. Questo proprio perché gli interventi non sono stati formali ma sono entrati nel merito delle questioni. In particolare, il senatore Montini ha posto l'attenzione sulle questioni relative allo scioglimento dei consigli comunali e all'impreparazione, a volte, degli amministratori straordinari. Anche altri colleghi hanno sottolineato che questi amministratori non sono abituati ad amministrare. Il ministro dell'interno ha da poco affidato ad una direzione generale del Ministero l'incarico di seguire questa questione. Anche nella nuova stesura della relazione questo aspetto mi è sfuggito: se i colleghi sono d'accordo, la integrerei sottolineando la necessità che gli amministratori straordinari abbiano competenza o, per lo meno, che vi sia una struttura di consulenza del Ministero che dia loro la possibilità di sapere come fare. La seconda questione posta dal senatore Montini riguarda i dipendenti degli enti locali che a volte - si dice - sono un elemento di freno. Questo è giustissimo, per cui ho cercato di sottolineare questo aspetto. Il collega Matteoli ha posto in luce il rapporto tra la mafia e la massoneria. C'è una parte nuova riguardante le connessioni tra la mafia e la politica, la questione della magistratura e quella della massoneria. E' stata inserita nella relazione. Il collega Galasso ha affrontato il tema della mafia come sistema di potere. Se si intende che esiste un sistema di potere in cui tutto ciò che è compreso è mafioso, non posso essere d'accordo; credo però che lui intendesse dire che la mafia tende a costituirsi come sistema di potere, cioè come organismo che ha rapporti con una serie di entità anche diverse, che cerca di inglobare in sé. Il senatore Cappuzzo ha sollevato un'obiezione relativa alla presenza nella relazione della parte relativa alla informatizzazione dei lavori. La questione non è secondaria perché per la prima volta una Commissione parlamentare ha potuto utilizzare documentazione informatizzata e quindi avere ad essa un accesso immediato e trasparente; tutto ciò è stato possibile grazie alla collaborazione del Ministero dell'interno. Credo che questo risultato sia rilevante, perché in mancanza di certi strumenti non possono conseguirsi determinati risultati; il rapporto tra obiettivi e strumenti è molto stretto. Riterrei perciò opportuno mantenere questo paragrafo nel testo della relazione. Anche il senatore Cappuzzo ha fatto riferimento al problema dei consigli comunali sciolti per mafia. L'onorevole Tripodi ha chiesto un approfondimento sui servizi segreti ed i rapporti con la magistratura. L'arresto del colonnello Citanna e precedentemente il caso Contrada, sul quale la Commissione è intervenuta, mi ha indotto ad integrare la relazione con questo argomento, naturalmente demandando proposte specifiche all'organo parlamentare competente e cioè il Comitato per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato. Mi sono permesso di segnalare nella relazione che questi episodi dimostrano un'abitudine alla tecnica della confidenza, cioè al rapporto con il confidente; oggi che ci sono alcune tecniche, quali le intercettazioni ambientali, mantenere questo tipo di rapporti comporta ricattabilità; non è necessario che costoro siano coinvolti: il fatto stesso che intendano la loro professione in questo modo li espone in modo anomalo, tanto che i casi che si sono verificati risultano abbastanza gravi. Si propone quindi al Comitato ed al Governo di valutare se non si possa Pagina 3022 ricorrere a meccanismi per cui, nel tempo, ci sia una rotazione complessiva degli appartenenti ai servizi, perché quelli che sono maturati in questa logica, indipendentemente dalla loro qualità, rischiano di essere nelle mani di coloro che hanno contattato in passato. Il collega Buttitta ha fatto riferimento alla questione dello scioglimento dei consigli comunali ed alla eventuale possibile penalizzazione di persone estranee ai fatti. Credo che questa considerazione vada collocata nell'ambito di un ragionamento complessivo; qualcuno ha proposto di mantenere un altro strumento, quello della sospensione degli amministratori. Certamente, non tutti meritano lo stesso trattamento, ma è anche vero che nelle relazioni concernenti lo scioglimento spesso si fa riferimento nominativo alle persone che hanno responsabilità specifiche. Questo, forse, può essere un elemento di distinzione. Il senatore Biscardi ha affrontato il tema della scuola nella sua dimensione generale e sociale, argomento affrontato anche dal vicepresidente Cabras. L'argomento è trattato nella relazione. L'onorevole Borghezio proponeva di sviluppare una riflessione sul nord e sul voto in quelle zone; infatti, nel colossale ordine di cattura di pochi giorni fa (e che è a disposizione dei colleghi) viene fatto riferimento anche al tipo di influenza esercitato sul voto; in altre sedi, ad esempio in Val d'Ossola, sono stati arrestati elementi appartenenti alla 'ndrangheta ed amministratori locali. Dunque, il problema si pone anche al nord; pertanto, nella relazione si propone che vengano acquisiti elementi in proposito, ad esempio relativamente al numero degli amministratori imputati nel nord per questo tipo di reati, per verificare le dimensioni del fenomeno. Il senatore Brutti si è riferito alle principali novità affrontate dalla Commissione, in particolare ai rapporti tra mafia e politica, mafia e magistratura e mafia e massoneria. Sono riportati nella relazione. Oggi sono intervenuti il senatore Frasca e il senatore Cabras. Ringrazio il primo per le valutazioni critiche, sempre utili per il lavoro, e vorrei precisare due punti. In primo luogo, ho detto che esistono elementi equivoci nella legge istitutiva della procura nazionale, non nell'istituzione-procura. In secondo luogo, ritengo utile la sua proposta di un confronto con il Consiglio superiore della magistratura, specie dopo gli ultimi avvenimenti. Sono venti i magistrati sotto inchiesta per rapporti con la mafia - due di questi sono stati arrestati - e questo dato è citato nel nuovo testo della relazione. Evidentemente, se per tanti anni questi fenomeni sono rimasti impuniti, ciò è dovuto non solo al rapporto tra mafia e politica ma anche al fatto che tutte le parti hanno chiuso gli occhi e che i meccanismi di controllo non hanno funzionato: non hanno funzionato i consigli giudiziari, non ha funzionato il Consiglio superiore della magistratura, non ha funzionato il sistema di controllo del Ministero di grazia e giustizia. Ho chiesto - gli uffici hanno compiuto una verifica - se il ministero avesse i dati relativi ai magistrati inquisiti o indagati ed ho avuto risposta negativa: è difficile che questi organismi possano svolgere pienamente il loro lavoro senza avere questi dati. Pertanto, può accadere che l'azione disciplinare non viene svolta nei confronti di un magistrato inquisito perché il dato non è a conoscenza, ovvero giunge con grave ritardo. In proposito credo che sia utile richiamare l'attenzione degli organi di controllo ad un più rigoroso adempimento delle funzioni, anche perché sono visibili i danni arrecati non solo alla credibilità dell'organo ma anche al rapporto di fiducia tra istituzioni e società civile quando si viene a conoscenza del fatto che un magistrato che per anni ha esercitato il suo ruolo era legato a certe organizzazioni. Non sappiamo se queste persone siano colpevoli o innocenti; spetterà ad altri deciderlo. Il problema però esiste. Sul tema della questione sociale si è soffermato in particolare il senatore Cabras. Pagina 3023 Anche il senatore Frasca ha richiamato l'attenzione su questo punto, essenziale non tanto in quanto ambiente nel quale la mafia prospera ma anche come effetto della presenza mafiosa, che lacera i tessuti sociali e blocca le possibilità di sviluppo. Le innovazioni apportate alla relazione sulla base di tali considerazioni riguardano un miglior ordinamento della parte relativa alla normativa; anche il collega Galasso aveva rilevato una certa confusione, facendo presente che si affrontava in due parti il problema dell'eccesso di legge e la proposta di applicare le leggi piuttosto che emanarne nuove. Ho ricondotto al principio della razionalizzazione il lavoro compiuto, con riferimento ai tribunali distrettuali, all'estensione della figura del riciclaggio, ad altri reati (il traffico di armi - per esempio - non era previsto). Una novità riguarda la certificazione antimafia, l'altra il trasferimento di aziende. E' stato segnalato un problema di grande delicatezza: è stabilita l'incedibilità del contratto di appalto, però, in alcuni casi, oggi accade che alcune grandi aziende hanno trattative in corso per cessioni che non possono avvenire in quanto le aziende non possono cedere il portafoglio-appalti; evidentemente se non possono cedere il portafoglio-appalti non hanno una collocazione sul mercato. In questi casi la tutela dell'economia rischia di opprimere l'economia stessa. Mi sono permesso di proporre che, se il soggetto subentrante può prestare le stesse garanzie di trasparenza prestate da chi si è aggiudicato l'appalto, il trasferimento sia consentito. L'importante è che il soggetto subentrante offra, al pari del precedente, tutte le garanzie dal punto di vista della certificazione, della trasparenza, della capacità, eccetera. Credo che questo sia un modo per consentire al mercato di funzionare senza opprimerlo eccessivamente. La seconda questione attiene alla certificazione antimafia, la quale è rilevante sotto più profili. A volte è accaduto che all'impresa correttamente subappaltante venisse poi contestata la qualità mafiosa dell'impresa subappaltata anche quando quest'ultima aveva presentato la certificazione antimafia. Che fare in situazioni simili, considerato che se la certificazione è in regola è normale che si proceda? In realtà, il problema è rappresentato proprio dalla certificazione antimafia: su quattro milioni di certificati - cito un dato che ho tratto dalla sezione enti locali della Corte dei Conti - sono 900 quelli negativi. In sostanza, oggi le società realmente in mano davvero alla mafia hanno costituito un assetto societario che le rende inattaccabili. Nella relazione si segnala questo aspetto e ci si chiede di valutare se non sia opportuno sostituire la certificazione antimafia con una valutazione di merito da fare dopo che l'impresa ha vinto la gara. Conseguentemente, ferma restando l'autocertificazione, una volta che l'impresa ha vinto l'appalto si dovrebbe appurare se essa sia o meno in mano a soggetti mafiosi. Oltre tutto, questo modo di procedere, mentre da un lato ridurrebbe i costi di accertamento e gli oneri per la burocrazia (il riscontro di questo tipo di dati ha intasato le Prefetture), dall'altro garantirebbe il conseguimento del risultato sostanziale, cioè accertare che le imprese mafiose non entrino nel mercato. La certificazione antimafia ha funzionato solo all'inizio, quando le imprese mafiose non sapevano ancora che essa sarebbe stata emanata, per cui avevano ancora ai vertici il capomafia o comunque un uomo ad essa appartenente. Oggi ciò non accade più, ed è per tale motivo che questa proposta viene avanzata, seppure in modo problematico. Alle pagine 12 e 13 della relazione vi è un riferimento alla presenza delle organizzazioni mafiose nel nord ed al fatto che il mito delle "isole felici" ha prodotto, molto spesso, una sottovalutazione del problema. Da questo punto di vista viene citato l'esempio della Puglia, nel senso che se già all'epoca delle precedenti Commissioni antimafia (faccio l'esempio di quella presieduta dall'onorevole Alinovi e di cui era vicepresidente il senatore D'Amelio) fosse stata prestata attenzione al fenomeno più volte da esse Pagina 3024 denunciato, probabilmente non ci saremmo trovati nella situazione attuale. Nella relazione viene sottolineato il carattere espansivo delle organizzazioni, le quali ovviamente possono attecchire dovunque non trovino resistenza. Da questo punto di vista, quindi, appare maggiormente pericolosa la teoria delle cosiddette "isole felici", dal momento che la loro presunta realtà in talune zone del paese può consentire l'espansione della mafia. Per quanto riguarda le connessioni tra mafia e politica, altro punto affrontato dalla relazione, a pagina 19 si ricorda, senza citare nomi: che sono state 17 le autorizzazioni a procedere nei confronti di parlamentari; che quelle concesse sono state 14; che il diniego ha riguardato un solo caso; che in un altro caso gli atti sono stati restituiti per mancanza dei requisiti previsti dalla legge. In merito alla questione della magistratura, a proposito della quale ho già accennato prima, viene ricordato che i magistrati inquisiti sono 20 (ma il numero complessivo è in via di accertamento) e che due sono quelli in stato di custodia cautelare. Si ribadisce il principio secondo il quale ciò è potuto accadere, evidentemente, perché i poteri di controllo all'interno e all'esterno della magistratura non hanno funzionato. Sui servizi di sicurezza, ferma restando la competenza dell'apposito Comitato parlamentare, si segnala ad esso l'opportunità di valutare una progressiva, integrale rotazione di tutto il personale; ciò al fine di evitare rapporti con i confidenti e oggi, stante la situazione attuale, la possibile ricattabilità di persone che, pur avendo svolto le loro funzioni limpidamente, rischiano di essere nelle mani di questi soggetti. Per quanto riguarda la massoneria, nella relazione sono riportate le cose note assieme ad un riferimento sul modo in cui le connessioni con questa organizzazione hanno inciso sulla struttura della mafia. Si fa riferimento ad una specie di sistema di vasi comunicanti in cui al centro vi è quello mafioso, al quale finiscono per convergere, attraverso un meccanismo di comunicazione, anche soggetti non mafiosi per rapporti amicali o parentali, per corruzione, per intimidazione o per altro. Da questo punto di vista, viene svolta una riflessione sul soggetto avvicinabile, considerato che dal lavoro svolto è emerso che il primo interrogativo che si pone il mafioso è proprio relativo alla persona da avvicinare. Viene specificato che l'avvicinabilità non è mafiosità: essa può significare l'esistenza di un rapporto di amicizia e tante altre cose. Di qui nasce l'esigenza del massimo rigore in questo tipo di rapporti, della massima deontologia professionale, perché qui non vi è un problema di regole giuridiche ma di correttezza dei comportamenti. Credo siano questi i dati acquisiti. Ringrazio ancora i colleghi intervenuti nel dibattito e do la parola a chi intende prendere la parola per dichiarazione di voto. SAVERIO D'AMELIO. Signor presidente, voglio qui ribadire la positività e l'equilibrio che sostanzialmente ispira questa relazione, la quale mette in luce un lavoro certamente interessante, intenso, forse un po' disordinato ma comunque sostanzialmente positivo. Voglio però sottolineare che anche in sede di replica non ho sentito alcune affermazioni, per cui gradirei che fossero fatte, soprattutto per ribadire con maggiore forza alcuni concetti. Per quanto riguarda le certificazioni antimafia, ad esempio, ancora poco fa il presidente metteva in risalto come a fronte di una situazione certamente complessa, difficile, farraginosa, quale è quella delle certificazioni, che poi nella sostanza si vanno sempre più vanificando, la relazione ipotizzi una soluzione che ancora non può considerarsi una proposta. Correttamente il presidente l'ha presentata in questi termini, però vorrei cogliere quest'occasione per raccomandare non tanto e non solo a lui ma a tutti noi di compiere uno sforzo per individuare un meccanismo che possa essere il Pagina 3025 più garantista possibile e allo stesso tempo il più celere, un meccanismo in grado soprattutto di non bloccare l'economia, perché credo che a nessuno sfugga che questo è un nodo certamente importante se non addirittura decisivo nella lotta alla mafia. Quindi, tutti i meccanismi da porre in essere devono far salva l'esigenza della massima trasparenza, e quindi l'obiettivo finale della lotta alla penetrazione della delinquenza mafiosa, ma nello stesso tempo non dobbiamo perdere di vista la necessità di bloccare il processo dell'economia, la quale già soffre per tanti meccanismi più o meno lodevoli posti in essere anche dall'attuale Governo. Dunque, se siamo alla ricerca di un nuovo sistema per il controllo delle certificazioni, mi permetto di evidenziare che non basta assestarsi sull'ipotesi, in quanto è necessario pervenire nel più breve tempo possibile alla formulazione di un progetto in questa direzione. Al pari del collega Frasca, condivido anch'io la necessità di un incontro con il Consiglio superiore della magistratura, soprattutto alla luce di quanto purtroppo sta avvenendo. Non prendo atto con soddisfazione della permeabilità che la magistratura sta evidenziando. Mi auguro che non sia vero quanto sta emergendo, però il fatto che 20 magistrati siano inquisiti e che 2 siano in stato di custodia cautelare, non contribuisce certo a dare tranquillità. Dovremmo quindi arrivare a decidere quanto prima un incontro con la magistratura. Accingendomi adesso a trattare un altro tema, spero di essere alquanto preciso perché vorrei essere capito e non frainteso. A pagina 21 della sua relazione il presidente ripropone - devo dire correttamente - la questione della procura di Bari e il caso del procuratore De Marinis. Nell'ultimo incontro, quando abbiamo discusso e approvato la relazione del senatore Robol, il tema è stato notevolmente approfondito dalla Commissione; da parte di tutti si è sostanzialmente acceduto ad una formulazione il più possibile asettica, anche grazie all'interpretazione e alla collaborazione data dal gruppo del PDS tramite la persona dell'onorevole Bargone. Visto che l'argomento è stato trattato dalla Commissione, non vedo perché non debba essere affrontato. Mi sembra che vi sia un'accentuazione - "E' parso di grave delicatezza istituzionale il problema costituito dalla presenza..." - che fa arretrare la questione rispetto a come l'avevamo trattata: può darsi che mi sbagli... PRESIDENTE. E' la stessa espressione, ho badato a questo. SAVERIO D'AMELIO. Benissimo, allora nulla quaestio. PRESIDENTE. Possiamo prendere... SAVERIO D'AMELIO. Come non detto, presidente. Il problema più delicato che mi permetto di trattare riguarda i cosiddetti pentiti. Non vorrei apparire come colui che non ha fatto progressi in questo campo, ma volutamente ancora non li chiamo collaboratori di giustizia perché per me diventano tali nel momento in cui le loro dichiarazioni sono state sottoposte ad una serie di riscontri che sono affidati e non possono non essere affidati al magistrato. Credo che in questi giorni il problema dei cosiddetti pentiti e dell'uso che se ne fa ritorni in modo anche pesante. Ora, non penso che la Repubblica italiana debba essere affidata alle dichiarazioni di costoro o, peggio ancora, di qualche donna di dubbi costumi. Certamente evidenziamo tutti il pericolo che stiamo correndo qualora ci inseriamo in una situazione senza ritorno. Che cosa voglio dire? Che è giunto il momento, se crediamo ancora nello Stato di diritto, di fare una riflessione approfondita su questo tema. Non nego che i cosiddetti pentiti hanno potuto dare un qualche contributo alla ricerca della verità nella lotta alla mafia. Ma non si possono far dipendere le sorti della Repubblica e della democrazia Pagina 3026 in Italia da tutto ciò che viene sparato sui giornali; qui chiamo le responsabilità anche della magistratura perché i tempi tra le dichiarazioni dei pentiti e l'apparizione delle stesse a grandi titoli sui giornali sono tali che spesso questi anticipano addirittura lo stesso recepimento di tali dichiarazioni da parte della magistratura. Ciò con buona pace di Borrelli, il quale finalmente si accorge che evidentemente ci sono dichiarazioni rilasciate dai magistrati; molto tardivamente rileva e prende posizione, meglio tardi che mai, ma credo che il problema esista. Lo sottopongo alla cortese attenzione, oltre che del presidente, della presidenza e dell'intera Commissione. L'ultimo problema è stato da me posto in una delle ultime riunioni; mi è stato risposto che se ne era già occupato il Comitato ristretto, la presidenza. In Italia siamo ormai assoggettati ad una serie di notizie, per cui ciò che merita gli onori della stampa, i grossi titoli un giorno, nel volgere di poche ore viene immediatamente superato da ulteriori informazioni anch'esse clamorose ed eclatanti; in questo affanno alla ricerca del nuovo e delle notizie, tanto più nuove quanto più eclatanti esse siano, dimentichiamo le precedenti. Ho posto in altra occasione il problema della necessità dell'audizione del procuratore antimafia Siclari, soprattutto dopo l'attacco - almeno così è apparso sulla stampa - da parte della maggioranza dei suoi procuratori. Il presidente disse che se ne era occupato l'ufficio di presidenza; mi auguro che quanto prima potremo sentirlo su un tema anch'esso angosciante. Credo nella struttura antimafia sia nel vertice, sia nella sua dislocazione territoriale - lo voglio ribadire essendo convinto del serio lavoro che questa struttura va svolgendo - ma ritengo che, se una maggioranza di procuratori prende posizione contro il capo, qualcosa non vada, per cui abbiamo il dovere di intervenire. PRESIDENTE. Non credo che la signora di cui dicevamo sia pentita, non sembra pentita! (Si ride). ALFREDO GALASSO. Presidente, dichiaro di votare a favore di questa relazione perché in particolare mi sembrano molto incisive e convincenti le integrazioni che sono state apportate dopo la discussione generale. Naturalmente, come accade in questi casi, il giudizio è complessivo; ho qualche riserva su taluni passaggi che riguardano in particolare la procura nazionale, il giudizio sui servizi di sicurezza. Mi sembra tuttavia che ciò che viene fuori corrisponda in larga misura ad un'idea, ad una concezione del fenomeno mafioso che è stata riscontrata in seguito al lavoro della Commissione. Aggiungo soltanto, per intenderci, che sulla base di una precisazione fatta la volta precedente dal presidente, considero parte integrante del lavoro della Commissione e dunque di questo documento la relazione su mafia e politica, senza di che mancherebbe a quella annuale, per così dire, una gamba. Ma c'è stato questo chiarimento e quindi, da questo punto di vista, mi sento ulteriormente confortato nell'esprimere il mio voto favorevole. Non so se devo sentirmi lusingato - probabilmente nelle intenzioni sì - per il fatto di essere stato avvicinato a Lenin. Voglio tuttavia rassicurare il collega Cabras dicendo che la concezione dello Stato di Lenin non mi appartiene e comunque non è in discussione rispetto alle cose che ho detto... PRESIDENTE. E' stata già discussa! ALFREDO GALASSO. Parlo d'altro, parlo della mafia, non dello Stato come sistema di potere, né tanto meno equiparo la mafia allo Stato. Queste semplificazioni non mi appartengono, non mi interessano. Tuttavia, visto che anche il presidente sulla questione inizialmente, e in più di un'occasione nel corso dei lavori di questa Commissione, ha sollevato una serie Pagina 3027 di dubbi, approfitterò del fatto che intendo rappresentare una nota integrativa per cercare di spiegare ancora una volta che cosa intendo rispetto a questo e come considero importante tale genere di valutazioni. Dico soltanto che a un certo punto il presidente ha scritto nella relazione: "Se tutti coloro che hanno rivestito o che rivestono responsabilità politiche ad ogni livello avessero adempiuto con lealtà ai propri doveri, non avremmo avuto né lutti, né stragi di mafia ed oggi il nostro sarebbe un paese libero in ogni sua parte". Se riflettiamo fino in fondo su questa affermazione, che condivido in pieno, ci rendiamo completamente conto di che cosa significhi quando parliamo di mafia come sistema di potere e non soltanto come organizzazione criminale. Questo e un insieme di altre cose, che sono nella relazione e che abbiamo verificato, mi portano a dire ciò, ma non ne faccio una questione terminologica. Ripeto che mi riservo di spiegarlo ulteriormente a proposito dei delitti politici, della massoneria, del rapporto tra sistema di potere di tipo mafioso e sistema della corruzione. Quando parlo di sistema mi riferisco ad una trama, una trama pericolosissima e comunque resistente. Vorrei che, anche accettando la formulazione della mafia che tende a costituirsi come sistema di potere, i dati che sono riportati determinino un sano senso di allarme in questa Commissione. Quando la soglia dell'inquinamento supera un certo livello nel sistema economico e all'interno delle istituzioni, infatti, si rischia di fare un passaggio di qualità: l'acqua non è più sporca, diventa un'altra cosa, quando l'inquinamento tende a diventare sempre più alto. E' questo sano senso di allarme che io intendo ribadire in questa sede. Quando vi sono 20 magistrati che hanno ricevuto avvisi di garanzia, indipendentemente dal fatto che non ci spetta una valutazione di ordine penale, siamo in presenza di un dato in sé impressionante. Quando si fa riferimento ad un numero notevole di parlamentari inquisiti e per i quali è stata chiesta l'autorizzazione a procedere per reati di mafia, facciamo riferimento ad un dato che, a prescindere dalla valutazione di ordine penale che, ripeto, non ci compete, dimostra come sia alta la soglia dell'inquinamento e come sia permanente il rischio che cambino natura la struttura e la funzione istituzionali. Esiste questa tendenza a farsi sistema, a comportarsi come sistema. Infine, vorrei ricordare ai colleghi che è agli atti di questa e delle precedenti Commissioni che al comune di Palermo, per un certo numero di anni, ciò che è stato definito "comitato d'affari" era un sistema di potere che, con la tecnica dei vasi comunicanti (come l'ha definita il presidente), in realtà ha dominato la vita economica, civile, sociale e politica nella regione. Capisco che vi siano preoccupazioni nello stabilire le responsabilità di ordine politico, perché queste preoccupazioni derivano dal fatto - lo dico con molta franchezza - che alcuni dei personaggi coinvolti fino a ieri, forse fino ad oggi, fanno parte attiva non solo delle istituzioni ma anche di alcuni partiti. Quindi, mi rendo conto, ma questo non può portare a parlare di Lenin, caro Cabras: qui Lenin non c'entra niente. PAOLO CABRAS. E' un tuo ragionamento. ALFREDO GALASSO. Caso mai c'entrano Ciancimino, Lima e Andreotti, non c'entra Lenin né la concezione dello Stato. PAOLO CABRAS. Tu enunciavi un teorema ... ALFREDO GALASSO. Non è un teorema, ma non voglio entrare in questo argomento, perché non è questo il punto della questione. Mi pare veramente che non c'entri nulla questo rilievo di tipo ideologico. Viceversa, esiste una preoccupazione di ordine politico che colgo, che rispetto ma che tale rimane. Per quanto riguarda la magistratura, presidente, vorrei che al più presto possibile Pagina 3028 incontrassimo il comitato antimafia - se esiste ancora - del Consiglio superiore della magistratura. Qui si apre un capitolo molto preoccupante che non può essere chiuso come se nulla fosse, in questa materia. Questo mi pare di doverlo sottolineare come l'appuntamento più urgente della Commissione antimafia: occorre dedicare a questo incontro tutto il tempo che serve. ANTONINO BUTTITTA. Vi è un dato che non ci deve né ci può sfuggire, cioè che in realtà la relazione ordina criticamente il lavoro svolto dalla Commissione, per cui esprimere un giudizio positivo o negativo sulla relazione include l'espressione di un giudizio positivo o negativo sul lavoro della Commissione. Certo, si tratta di un lavoro che in qualche caso può apparire rapsodico; tuttavia, le responsabilità non sono tanto da riferire alla presidenza della Commissione o alla Commissione stessa quanto a ragioni esterne, connesse all'attività del Parlamento, che riflette la complessa dinamica politica del nostro paese negli ultimi mesi ed anni. Quando qualche collega, come lo stesso collega Frasca, lamenta il fatto che i rapporti, o meglio, le connessioni tra certi settori della magistratura e altri settori della criminalità organizzata non sono stati approfonditi con la dovuta necessità di rappresentare, se non altro, il fenomeno della criminalità organizzata nel nostro paese nella sua interezza, sicuramente ha ragione. Del resto, più volte da parte di diversi componenti è stata espressa l'esigenza di focalizzare meglio l'attenzione della Commissione su questo argomento. Questa secondo me rimane, soprattutto a seguito delle cose che vediamo accadere in questi ultimi giorni, un'esigenza sempre più ineludibile, cui comunque la Commissione - ha ragione il collega Galasso - deve pur dare una risposta. Da qui, però, non può derivare un giudizio negativo sul lavoro della Commissione - lo dico con grande rispetto per il collega Frasca, che stimo quale vecchio combattente nella lotta alla criminalità organizzata nell'area in cui egli ha operato in questi anni - in ordine all'utilizzo dei magistrati quali consulenti: se non sono i magistrati i consulenti diretti di una Commissione come questa, non vedo chi altri possa assumere meglio di un magistrato la veste di consulente, dato il tipo di lavoro che svolge la Commissione antimafia. Semmai, da elementi come questi può derivare un giudizio positivo su quello che ha fatto la presidenza relativamente alla migliore acquisizione non solo quantitativa ma anche qualitativa di informazione ai fini della conoscenza e dell'analisi del fenomeno della criminalità organizzata. Sono queste alcune delle ragioni che mi portano a ribadire il mio giudizio positivo sia sulla relazione sia sul lavoro della Commissione, che la relazione criticamente e intelligentemente riflette. GIROLAMO TRIPODI. Il gruppo di rifondazione comunista voterà a favore di questa relazione. Già avevamo anticipato il nostro giudizio quando abbiamo espresso assenso sull'impostazione complessiva della relazione medesima, che riporta il lavoro compiuto in quest'anno. E' stato un lavoro intenso, anche con punte eccessive, molto spesso, che però ha consentito di conseguire risultati rilevanti soprattutto per quanto riguarda alcuni aspetti. Finalmente è stato messo un punto fermo sul rapporto tra mafia e politica. Per lungo tempo questo aspetto è stato negato, ma adesso è emerso ed è stato convalidato dalla Commissione. Del resto, la relazione sui rapporti tra mafia e potere politico rappresenta parte integrante della relazione annuale: ciò dimostra che il risultato del lavoro è stato rilevante. Al tempo stesso, rilevo che la relazione, nella sua nuova stesura, accoglie alcuni nostri suggerimenti e contiene miglioramenti rispetto al precedente testo. Ad esempio, al paragrafo 29 vi è il riconoscimento del fatto che in molte zone la mafia è diventata sistema di potere; forse, in proposito occorreva un Pagina 3029 maggior approfondimento, precisando cosa significhi sistema di potere, perché nelle zone dove la mafia si è integrata con il potere politico è evidente che si è creato un sistema di potere di carattere mafioso. Anche il paragrafo 51 ha subìto miglioramenti per la parte relativa all'amministrazione della giustizia. Vengono proposti adeguamenti delle piante organiche degli uffici giudiziari, soprattutto nelle città più carenti quali Palmi, Napoli, Reggio Calabria, nelle quali è necessario un intervento massiccio per affrontare la grande mole di lavoro. I paragrafi 26 e 27, che riguardano la massoneria, sono stati migliorati con alcune precisazioni. Forse, sarebbe stato utile qualche accenno alle vicende riguardanti l'azione di sabotaggio nell'inchiesta promossa dalla procura della Repubblica di Palmi, che rischia di essere vanificata. Teniamo conto, infatti, che in quest'anno l'inchiesta ha subìto momenti di arresto per mancanza di magistrati che potessero svolgere le indagini; è stato rilevato che recentemente un magistrato di alto valore professionale, quale il sostituto Libero Mancuso, non è stato assegnato a seguito di una presa di posizione veramente inspiegabile. Pur riconoscendo i miglioramenti apportati, avevo proposto una modifica che però non intendo porre in votazione; mi permetto solo di chiedere che la medesima, relativa alla massoneria ed all'inchiesta giudiziaria di Palmi, venga allegata alla relazione. PRESIDENTE. Potrà figurare come nota aggiuntiva. GIROLAMO TRIPODI. Quello da me proposto è un emendamento. PRESIDENTE. Chiede che sia votato? GIROLAMO TRIPODI. No. PRESIDENTE. Se non viene votato, è una nota aggiuntiva. GIROLAMO TRIPODI. No, la nota aggiuntiva è altra cosa. Questo è un emendamento. PRESIDENTE. Onorevole Tripodi, poiché lei ha 30 giorni di tempo per presentare una nota aggiuntiva, può proporre la sua modifica sotto questa veste. GIROLAMO TRIPODI. Il mio emendamento ha natura diversa rispetto alla nota aggiuntiva. PRESIDENTE. Se lei è d'accordo, potrà essere allegato allo stenografico. GIROLAMO TRIPODI. Sono d'accordo. Quanto alle altre questioni, sarebbe stato utile, essendo citati i parlamentari coinvolti in inchieste giudiziarie per connivenze con le organizzazioni mafiose, far riferimento anche agli uomini di governo. PRESIDENTE. Chi sarebbero? GIROLAMO TRIPODI. Tra gli uomini di governo c'è Andreotti,... Vengono citati parlamentari, ma erano anche uomini di governo all'epoca. PRESIDENTE. L'autorizzazione a procedere viene chiesta nei confronti del parlamentare, non nei confronti del ministro. Questa è la ragione del riferimento. GIROLAMO TRIPODI. Riterrei utile parlare di coinvolgimento non solo di parlamentari ma anche di uomini di governo. ANTONINO BUTTITTA. Si può fare riferimento a parlamentari con incarichi di governo. GIROLAMO TRIPODI. Sì; comunque, la questione va posta. Sostanzialmente, in virtù dei miglioramenti apportati e dell'impostazione complessiva, pur mantenendo alcune riserve rinnoviamo il nostro giudizio positivo sulla relazione, che costituisce una Pagina 3030 testimonianza del lavoro compiuto e dei risultati conseguiti, da cui si può partire per compiere ulteriori passi avanti. CARLO SMURAGLIA. Credo di poter essere molto breve nell'esprimere il voto favorevole sulla relazione, che è non solo completa ed esauriente ma fornisce anche una precisa attestazione dell'imponente lavoro svolto nel corso di quest'anno. Le relazioni annuali possono essere fatte in molti modi. Quelle che le leggi obbligano i ministri a fare, e che spesso non vengono mai consegnate, sono per lo più un resoconto di carattere burocratico elaborato dagli uffici, che lascia tutti insoddisfatti. Il Parlamento continua a scrivere, nell'ultimo articolo delle leggi, che dovrà essere consegnata una relazione annuale, ma poi i risultati sono deludenti. Un altro modo è quello di tentare di volare più alto, non solo dando conto dell'attività svolta ma anche cercando di spiegarne la filosofia, le implicazioni e gli sviluppi futuri. Sotto questo secondo profilo, il tentativo della relazione è riuscito perché essa non rappresenta la semplice cronistoria dei fatti ma costituisce un rendiconto del modo di impostare il lavoro della Commissione, in una prospettiva che necessariamente doveva essere molto impegnativa; i tempi che ci eravamo assegnati non erano immensi ed era comprensibile che emergesse una certa ansia di conseguire risultati positivi in tempi brevi. Sono tra coloro che a volte sono stati un po' affannati nell'inseguimento dei lavori di questa Commissione, avendo la pretesa di svolgere altre attività e di non abbandonare i miei interessi negli studi scientifici, ma ho dovuto riflettere e riconoscere che non c'è altro modo: se una Commissione bicamerale che affronta un tema così delicato si lascia guidare dalle esigenze di ciascuno finisce per non combinare nulla. Quindi, nonostante i miei saltuari mugugni interiori, ho compreso che bisognava rinunciare alle proprie esigenze a vantaggio di una scelta che non poteva che essere positiva. Quindi, un lavoro svolto magari con qualche "affanno", però positivamente. La relazione dà atto di tutto ciò, per cui mi pare che vada espresso un giudizio altamente positivo per quello che si è potuto realizzare, sono utili le indicazioni già espresse e che indicano una strada per l'avvenire. Credo che il giudizio positivo sia stato generale. Da questo punto di vista ritengo che alcune delle critiche espresse si siano equilibrate perfettamente, nel senso che mentre in alcuni casi si è ritenuto che sia stato fatto troppo, in altri si è detto che si poteva fare meglio. Anche le critiche, dunque, hanno dato conto di un'attività nel complesso molto positiva. Assieme all'espressione del mio voto favorevole vorrei aggiungere un consiglio, cioè quello di usare prudenza su tre piccoli punti che mi permetterò di indicare e che riguardano gli aggiustamenti possibili in sede di coordinamento formale del testo. In particolare, vorrei che fossero un po' sfumate le proposte relative a quei temi sui quali ci siamo trovati d'accordo in linea generale ma che forse nella nostra elaborazione avrebbero bisogno di un maggiore approfondimento, nel senso che non abbiamo avuto materialmente il tempo per farlo. Alludo, in particolare, alla proposta di pagina 8 relativa ai trasferimenti di azienda, perché così come è posta rischia di apparire un po' drastica. Vorremmo essere sicuri che sia scelta la soluzione migliore, peraltro nella direzione già indicata nella stessa relazione. Identica osservazione vale a proposito della parte relativa alla certificazione antimafia, poiché qualche dubbio si potrebbe avere sulla idoneità di un organismo come la DIA ad esercitare questo controllo materialmente e tempestivamente senza fungere da intralcio. Anche in merito a questo aspetto, pertanto, sottolineerei con forza l'esigenza che ci è stata posta da tutti coloro che abbiamo sentito nel corso delle nostre trasferte, cioè quella di porre fine a questa tecnica di certificazione ormai inutile e superata. Porrei in risalto la necessità di trovare altre soluzioni ma sfumando un po' la scelta a questo riguardo. Pagina 3031 Infine, la terza indicazione che suggerisco, relativa a pagina 13, attiene all'esigenza di approfondire gli elementi di conoscenza in ordine alle persone che rivestono cariche pubbliche nel centro-nord. Nella relazione è contenuta una frase che credo di capire ma che forse va precisata: "in ordine alle persone che nelle aree del centro-nord esercitano funzioni politiche od istituzionali e risultano coinvolte in vicende di carattere mafioso". Forse si vuol alludere, se non ho inteso male, a vicende di carattere giudiziario. PRESIDENTE. Sì, è così. CARLO SMURAGLIA. Allora credo sia meglio dirlo, perché da un punto di vista di puro garantismo fare riferimento soltanto a "vicende" potrebbe suscitare qualche allarme di troppo. Se lo diciamo chiaramente, il problema è risolto. Ripeto, le osservazioni che ho adesso svolto non devono essere intese come critiche alla relazione ma solo come un invito alla prudenza per le parti in cui non c'è stato ancora tempo per una riflessione compiuta. MARIO BORGHEZIO. Premesso che riprenderò in maniera più sintetica alcuni rilievi che avevo formulato nel mio precedente intervento di carattere generale ed inizierò dalla questione su cui più volte abbiamo insistito con varie tonalità e motivazioni, cioè quella relativa alla sottovalutazione di fondo che storicamente la Commissione antimafia ha avuto, e che forse ha ancora oggi, nei confronti dell'importanza e della gravità del fenomeno della penetrazione mafiosa al nord. Intendo dire che vi è una questione nord del problema mafia in Italia che anche nella presente relazione, nonostante le modificazioni introdotte, che apprezziamo, continua a non essere oggetto di una indagine accurata e specifica. La questione della mafia al nord fa parte del fenomeno nel suo complesso ma assume un'importanza e dei risvolti particolari, soprattutto se si considerano i suoi legami con l'ambiente economico e borsistico. Il fatto è che in questa relazione non si leggono le parole Banca d'Italia, né la parola Consob. Credo che già di per sé questo dimostri l'omissione di due dati importanti, considerato che già anni fa il presidente della Camera di commercio di Milano lanciò l'allarme della penetrazione della mafia al nord. Del resto, lei stesso, signor presidente, nel corso di questo dibattito non ha esitato ad indicare il tipo di livello raggiunto anche in campo economico dalle organizzazioni mafiose. Quindi, mi pare evidente la necessità di sottolineare che se in una realtà economica e borsistica quale quella in cui operiamo in Italia, il sistema dei controlli non ha funzionato in tante situazioni oggettive di carattere non mafioso (vedi il caso Ferruzzi-Montedison tra i tanti di vistose rapine ai danni dei risparmiatori), a maggior ragione è possibile immaginare che lo stesso sia accaduto a proposito del controllo della penetrazione mafiosa in borsa o nell'economia. Quanto poi all'applicazione delle normative sul riciclaggio del denaro sporco, i risultati sono sotto gli occhi di tutti e sono senz'altro modestissimi. In sostanza, dando luogo ad una normativa estremamente complicata ed onerosa per chi materialmente deve applicarla, i risultati raccolti sono stati risibili. Eppure, le nostre missioni nel nord Italia ci hanno dato conferma documentale di quanto sia rilevante il fenomeno del riciclaggio del denaro sporco in questa parte del paese e di come esso avvenga anche e soprattutto tramite le banche. Stranamente, però, i risultati non si vedono, e di tutto ciò nella relazione non vi è traccia. Credo, invece, che di questo fenomeno se ne debba parlare e che l'allarme debba essere lanciato, perché esso sta andando avanti grazie, evidentemente, alle coperture che lo favoriscono. Non è possibile, ripeto, che negli ultimi due o tre anni, nonostante la normativa vigente, Consob e Banca d'Italia non abbiano avuto elementi tali da indurle ad indirizzare due righe alla Commissione antimafia o alla Pagina 3032 Procura nazionale antimafia per informarle del fatto che a Novara, tanto per fare un esempio, si era verificata una determinata situazione. Non è un caso se abbiamo insistito perché in una delle varie missioni ascoltassimo anche i direttori della Banca d'Italia. Anche per quanto riguarda la missione a Milano, vedo con stupore che non sono previste le loro audizioni, mentre a nostro avviso sarebbe senz'altro opportuno inserirle nel programma dei lavori della delegazione della Commissione. A me sembra che lo stesso archivio della Commissione risulti povero al riguardo e che siano pochi gli elementi di giudizio di cui disponiamo. Storicamente, la Commissione antimafia ha prodotto ben poco su queste questioni. Senz'altro, il documento elaborato sul Forum economico rappresenta il raggiungimento di un primo obiettivo, e volentieri ne do atto, ma si tratta ancora di impostazioni teoriche a cui non corrispondono realizzazioni concrete, efficaci ed efficienti nell'azione di contrasto alla mafia. Nella nostra relazione dobbiamo scrivere la verità, cioè che l'azione di contrasto alla mafia nel campo economico è all'anno zero o quasi. Ci siamo dotati di una legislazione notevolmente avanzata al riguardo ma quanto a risultati concreti siamo molto indietro. Che cosa sappiamo dell'economia finanziaria della mafia in Italia e nel contesto internazionale? Sappiamo ben poco. Vediamo, per esempio, quello che agli atti del nostro archivio o della nostra biblioteca vi è al riguardo: poco o niente, anche perché tuttora c'è una certa riottosità ad affrontare questi argomenti. Anche la stampa specializzata non pubblica moltissimo al riguardo. E, comunque, di quel poco che c'è in giro quasi non ne disponiamo. Avrei anche voluto che venisse maggiormente sottolineato un altro punto acquisito dalla Commissione antimafia, ossia la conferma dell'importanza storica dell'istituto del soggiorno obbligato in relazione all'espansione mafiosa. In tutte le nostre missioni nelle regioni settentrionali gli operatori del settore - magistrati, uomini della polizia, carabinieri, prefetti e questori - hanno confermato questa valutazione; ne sono buoni testimoni i colleghi che hanno lavorato in queste occasioni e hanno presenziato alle audizioni. Per quanto riguarda gli altri punti che avevamo evidenziato, direi che sostanzialmente le indicazioni sono state recepite. Come valutazione complessiva - anche in relazione alle modifiche e alle innovazioni apportate sul punto molto delicato del ruolo ambiguo dei servizi segreti e sulle vicende sicuramente molto allarmanti di Contrada e del colonnello del SISMI recentemente inquisito e in custodia cautelare per fatti gravi di connessione con la camorra - possiamo esprimere un giudizio positivo perché per la prima volta la Commissione antimafia sottolinea il ruolo importante svolto da queste connessioni nel nodo molto delicato tra mafia ed anche apparati di sicurezza dello Stato. E' questo un passaggio molto importante; vicende ancora del tutto oscure, come quella relativa al ruolo di Gladio in Sicilia negli anni più torbidi della vicenda mafiosa più recente, devono essere ancora indagate e scritte. Quanto abbiamo, per esempio, nell'archivio della Commissione su Gladio rappresenta l'1 per milione di ciò che tale fenomeno ha rappresentato; sono documenti totalmente incomprensibili per i non addetti ai lavori e rappresentano indubbiamente soltanto la minima parte dei fatti realmente accaduti. Sotto tutti questi aspetti, pur apprezzando e confermando il giudizio già espresso sul lavoro svolto e sulla relazione, preannuncio un voto di astensione per i motivi sopra indicati. SALVATORE FRASCA. Chiedo di parlare. PRESIDENTE. Senatore Frasca, parla in dissenso? Siamo in dichiarazione di voto. Pagina 3033 SALVATORE FRASCA. Siamo alla Commissione antimafia, non alla Camera o al Senato. PRESIDENTE. Si applica il regolamento della Camera, che tra l'altro prescrive per le dichiarazioni di voto finale una dichiarazione per gruppo. Comunque, non voglio formalizzare... SALVATORE FRASCA. Questa Commissione ha compiti analoghi a quelli dell'autorità giudiziaria, per cui senza dubbio ciascuno di noi è tenuto ad esprimere un voto secondo coscienza. PRESIDENTE. Senatore Frasca, il problema non è questo... SALVATORE FRASCA. Nel nostro regolamento non è prevista la dichiarazione di voto per gruppo... PRESIDENTE. Si rinvia per quanto non previsto al regolamento della Camera. Comunque, non è il caso di formalizzarci. Se vuole intervenire, la pregherei soltanto di non utilizzare per intero il tempo previsto. SALVATORE FRASCA. Signor presidente, voterò a favore della relazione perché riflette il lavoro che abbiamo tutti insieme svolto. Ovviamente, il mio voto favorevole è congiunto alla speranza che nel corso dei prossimi mesi - qualunque sia la durata della legislatura - la Commissione tenga conto nel suo lavoro di alcuni rilievi critici che sono stati mossi. Prendo atto della sua dichiarazione, delle intezioni di promuovere al più presto un confronto con il Consiglio superiore della magistratura sui fatti che sono stati denunciati. Penso tuttavia che sia anche opportuno avere un contatto con la superprocura, perché quello che è avvenuto al suo interno non può essere trascurato. Propongo di costituire due gruppi di lavoro: uno sulla massoneria deviata, di cui tanto si parla e su cui tanto si insiste senza tener presente che non abbiamo la documentazione; l'altro sui pentiti, rispetto ai quali dobbiamo cercare di aggiornare le nostre idee e possibilmente giungere ad un aggiornamento della nostra legislazione. Insisto sull'audizione del presidente Viezzoli. Non capisco perché non si voglia procedere in tal senso. Se lei, presidente, non mi risponde in maniera convincente, presenterò proposta formale a conclusione dei lavori. Non aggiungo altro. Vorrei dire al collega professor Buttitta che non ho mai pensato che i giudici non possano svolgere funzioni di consulenza. Ho inteso esprimere un giudizio di opportunità, ritenendo che i magistrati quando svolgono le relative funzioni, soprattutto quando sono titolari di inchieste a carico di parlamentari, non possono essere consulenti in Parlamento, presso la Commissione antimafia, a meno che, similmente a quanto accade quando lavorano presso i Ministeri dell'interno e di grazia e giustizia, non escano dall'ordine giudiziario. Ho posto una questione etica, di costume che deve riguardare anche questa Commissione. SANTI RAPISARDA. Desidero esprimere molto brevemente il mio parere favorevole su questa relazione, sia per la sua completezza, sia perché rispecchia il lavoro che tutti noi abbiamo svolto. Mi soffermo sul tema degli appalti per i lavori pubblici. La Commissione ha trattato questo argomento con molta determinazione e professionalità, ha contribuito alla soluzione di molte situazioni (vedi Palermo e Gela), ha offerto anche un suo contributo rispetto alla nuova legge sugli appalti, partecipando attivamente a diverse riunioni della Commissione lavori pubblici della Camera, mettendo in evidenza aspetti di fondamentale importanza. Mi riservo di presentare in proposito una nota aggiuntiva. Concludo, esprimendo l'augurio che questa Commissione prosegua il lavoro con la stessa professionalità e lo stesso entusiasmo che fino ad ora l'hanno caratterizzata. Pagina 3034 PRESIDENTE. Chiedo, in caso di approvazione, di essere autorizzato a procedere al coordinamento formale del testo per recepire alcune delle questioni poste. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito. (Così rimane stabilito). Pongo in votazione la relazione annuale. (E' approvata). Sui lavori della Commissione. SALVATORE FRASCA. Vorrei formalizzare le mie proposte. Sarebbe necessario: ascoltare la superprocura... PRESIDENTE. In proposito, abbiamo già posto la questione e abbiamo deciso, su proposta dell'onorevole Mastella, di acquisire una relazione da parte del procuratore nazionale. Questi - è stato già contattato - invierà tale relazione e poi valuteremo il da farsi. SALVATORE FRASCA. L'altra proposta riguarda l'audizione del presidente Viezzoli su Gioia Tauro. Visto che si spenderanno alcune migliaia di miliardi, bisogna evitare che quanto è accaduto negli anni passati si ripeta. ANTONIO BARGONE. Ora bisogna ascoltare l'amministratore delegato, il presidente conta poco. SALVATORE FRASCA. Non ha importanza, il presidente o l'amministratore delegato; è importante ascoltare chi ha il potere. Desidero che venga ascoltato l'ENEL, scusate se pronuncio questa parola! ANTONIO BARGONE. Per rendere più produttiva l'audizione, visto che abbiamo deciso di farla, vale la pena di ascoltare soprattutto l'amministratore delegato, visto che l'ENEL è privatizzato, perché ha sicuramente più potere del presidente Viezzoli. Credo che debbano essere ascoltati entrambi. PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito. (Così rimane stabilito). Pertanto, quanto prima stabiliremo la data di questo incontro. La seduta termina alle 18,35. ERRATA CORRIGE Nel fascicolo n.67, relativo alla seduta dell'8 ottobre 1993, alla pagina 2926, prima colonna, rigo 27, leggasi "che per alcuni aspetti potrebbe risultare - cosa non vera -" e non "risulta". Alla prgina 2927, prima colonna, rigo 21, leggasi "Valarioti" e non "Valariati" come erroneamente stampato. Alla pagina 2927, seconda colonna, rigo 8, leggasi "Romeo" e non "Roma" come erroneamente stampato. Alla pagina 2928, prima colonna, righi 38 e 39, leggasi "significa" e non ". Significa" come erroneamente stampato. Pagina 3035 ALLEGATO (Relazione annuale: nota aggiuntiva al paragrafo relativo ai rapporti tra mafia e massoneria presentata dall'onorevole Girolamo Tripodi per il gruppo di Rifondazione comunista). Pagina 3036 Pagina 3037 Relazione annuale: nota aggiuntiva al paragrafo relativo ai rapporti tra mafia e massoneria del gruppo di Rifondazione comunista. I collegamenti tra mafia e massoneria, come si ricorda nella relazione sui rapporti tra mafia e politica dell'aprile del 1993, erano già noti quando questa Commissione è stata istituita, sia nell'ambito di attività eversive, sia in quello di attività affaristiche ed interferenze sull'esercizio di funzioni pubbliche. Le audizioni dei collaboratori della giustizia effettuate dalla Commissione, congiuntamente alle acquisizioni documentali, hanno consentito di ricostruire un più preciso quadro di riferimento, con particolare riguardo ai collegamenti tra Cosa nostra e massoneria. I collaboratori hanno infatti chiarito i motivi per i quali negli anni che vanno dal 1977 al 1979 Cosa nostra decise di fare entrare suoi autorevoli esponenti in logge massoniche coperte. Nelle loro testimonianze non hanno mai messo in discussione l'autonomia decisionale ed operativa di Cosa nostra descrivendo dunque un rapporto in cui la massoneria sarebbe stata utilizzata quale ponte di collegamento per raggiungere determinati ambienti o persone, essendo noto che molti posti strategici nelle istituzioni, nelle amministrazioni pubbliche o private, negli ambienti finanziari ed imprenditoriali sono occupati da affiliati alla massoneria. I collaboratori hanno parlato di un reciproco scambio di favori, pur non escludendo l'ipotesi del casuale e non programmato perseguimento di obiettivi comuni. Su tale argomento, anche alla luce dei continui coinvolgimenti di associazioni ed iscritti alla massoneria in inchieste sulla criminalità di stampo mafioso, la Commissione antimafia proseguirà nell'acquisizione di atti e testimonianze, affinché sia possibile ricostruire un preciso quadro di riferimento anche per quanto concerne i collegamenti tra camorra, 'ndrangheta, Sacra corona unita e massoneria, nonché i collegamenti tra organizzazioni di stampo mafioso e massoneria nelle regioni Toscana, Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Liguria. Non è compito della Commissione antimafia stabilire il confine tra massoneria regolare e massoneria deviata, né tanto meno indagare sulle attività illecite svolte da iscritti alla massoneria, ma soltanto quello di appurare, comprendere e denunciare la natura di tutta una serie di inquietanti collegamenti tra organizzazioni mafiose e organizzazioni massoniche. Ciò chiarito, la Commissione antimafia ritiene di dover sottolineare la gravità di alcune circostanze portate a sua conoscenza dal Pagina 3038 procuratore della Repubblica di Palmi, titolare dell'inchiesta sulle deviazioni della massoneria, nel corso della sua audizione. Il dottor Cordova ha parlato della presenza, nel territorio nazionale, di ventisei comunioni massoniche, quasi tutte caratterizzate da fenomeni, più o meno estesi, di copertura. Ha inoltre confermato il perdurare, malgrado la loro cancellazione dalle costituzioni e dai regolamenti massonici, delle cosiddette "iniziazioni alla memoria", vale a dire l'esistenza di fratelli coperti, nonché l'estendersi del fenomeno delle affiliazioni in logge straniere. Si è soffermato sull'appartenenza alla massoneria di uomini politici, magistrati, amministratori pubblici, pubblici dipendenti, appartenenti alle forze dell'ordine, indicando quale emblematico esempio la città di Perugia, dove circa ottanta-novanta posti di potere sono occupati da iscritti alla massoneria. Accanto agli iscritti la fitta rete dei contigui, vale a dire di tutti coloro che risultano collegati agli iscritti nell'ambito di attività comuni e di comuni finalità. Il dottor Cordova ha inoltre segnalato l'estensione e la gravità di alcune deviazioni, rispetto alle finalità statutarie dichiarate, che stanno prendendo forma nella sua inchiesta, con particolare riferimento a reati consumati nell'ambito dell'esercizio di funzioni pubbliche o di pubblico interesse. La storia dell'inchiesta della procura della Repubblica di Palmi sulle deviazioni della massoneria è allarmante: continui sono stati gli ostacoli con i quali si è cercato di rallentare le indagini (dal mancato reperimento di locali idonei in Roma ove custodire ed informatizzare la copiosissima documentazione sequestrata, alla mancata applicazione di magistrati; dalla mancata piena collaborazione degli organi di polizia giudiziaria a cui sono stati delegati taluni accertamenti, alle recentissime decisioni del Consiglio superiore della magistratura che hanno portato all'applicazione all'inchiesta di un solo magistrato, a fronte dei dieci indicati dal ministro di grazia e giustizia). La Commissione antimafia prende atto, con preoccupazione, della situazione di stallo in cui attualmente si trova questa delicatissima inchiesta ed auspica un tempestivo intervento del Consiglio superiore della magistratura al fine di ristabilire al più presto le condizioni ottimali per il proseguimento delle indagini. Segnala inoltre al Parlamento l'opportunità di modificare il testo della legge n. 17 del 1982 sulle associazioni segrete, le cui disposizioni si sono dimostrate ampiamente inadeguate al fine di poter considerare tali, così come previsto dalla Costituzione, le associazioni che occultano le loro sedi, i propri soci e le attività svolte.