Pagina 3195 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Seguito della discussione della relazione sulla camorra: Violante Luciano, Presidente, Relatore ................ 3197 3199, 3204, 3205, 3208, 3214, 3215, 3216 Brutti Massimo ............................ 3203, 3205, 3208 Calvi Maurizio .................................. 3197, 3199 D'Amelio Saverio ...................................... 3216 Guerritore Antonio ........................ 3211, 3214, 3215 Matteoli Altero ....................................... 3205 Tripodi Girolamo .......................... 3201, 3204, 3205 Pagina 3196 Pagina 3197 La seduta comincia alle 15,10. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Seguito della discussione della relazione sulla camorra. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della relazione sulla camorra. Do la parola al senatore Calvi. MAURIZIO CALVI. Credo che la complessa vicenda politica, istituzionale e sociale della Campania e, in particolare, della città di Napoli debba essere considerata da un punto di vista politico. La relazione e le conclusioni alle quali essa perviene individuano come punto centrale dell'analisi il grande malessere della politica nella regione Campania, malessere che ha dato vita ad un coacervo di elementi di carattere esplosivo che hanno disseminato schegge sul piano sociale, economico ed istituzionale (in considerazione dei rapporti tra camorra, politica ed istituzioni), e creato una forte miscela esplosiva che ha aperto il grande "cratere" di Napoli. Quella in esame è una relazione che io definirei "storica": per la prima volta, infatti, si apre il ventre enorme della Campania e se ne fanno uscire malesseri, implicazioni ed intrighi, affacciando nel contempo, sul piano politico generale, una prospettiva alla vicenda-Campania. La relazione ha posto in luce uno sforzo attento di lettura e di analisi ed ha indicato la necessità di avviare una nuova fase di cambiamento nella vita della Campania e della città di Napoli. E' questo, in sostanza, il senso della relazione: accanto all'individuazione dei grandi mali e dei segni del malessere, essa tenta - da un punto di vista politico - di aprire una prospettiva di grande cambiamento nella realtà considerata, nonostante si possa essere indotti - così come lo sono io - a ritenere che la realizzazione di tale prospettiva incontrerà grandi ostacoli e che si registreranno forti condizionamenti e ritardi, in conformità ad un orientamento, che si affermerà nei prossimi anni, volto ad evitare la realizzazione di una politica di cambiamento. La relazione, sulla base di una analisi impietosa, tenta di restituire dignità politica al popolo campano, di riscattare complessivamente le implicazioni ed i grandi mali della città di Napoli, cerca, soprattutto, di superare i ritardi ed i condizionamenti; da un punto di vista generale, infine, la relazione tenta di ripristinare, in un clima diverso rispetto al passato, quegli elementi di libertà che in quella città ed in quell'area erano complessivamente saltati. Si tratta di una città bloccata nelle sue libertà vitali (dal punto di vista democratico), con una forte rottura democratica al suo interno e con tutte le implicazioni che tale rottura ha determinato. Tale situazione ha finito per creare violenza, dissesto e tutta una serie di effetti sul piano politico generale. Tuttavia, dobbiamo in qualche modo rilevare, presidente, un aspetto che considero centrale nel contesto della relazione, che a mio avviso va valutato attentamente in funzione dell'opportunità di introdurre una specifica modifica alla relazione stessa: le contraddizioni, le incertezze ed i Pagina 3198 malesseri della politica napoletana e campana sono stati gli elementi che hanno influito sulle realtà istituzionali. In sostanza, tutte le contraddizioni e le incertezze della politica si sono ripercosse sui livelli istituzionali. E' opportuno quindi porre la politica al centro dell'analisi relativa alle incertezze riscontrate, che hanno poi finito per creare il malessere che ha coinvolto i livelli istituzionali. Dico questo perché la vera crisi della Campania era - ed è - di natura politica. In particolare, vanno messe in risalto la complicità della politica e quella complessiva della città, con riguardo ad alcuni settori importanti dell'economia e, soprattutto, le implicazioni che hanno portato alla miscela esplosiva del rapporto tra camorra, politica ed istituzioni, influenzando enormemente la regione Campania e, in particolare, la città di Napoli. Da qui è nato uno stato di malessere, un cancro che ha cominciato a percorrere nei suoi elementi vitali la società civile, condizionandola e rendendola meno libera sotto il profilo politico. La relazione che stiamo esaminando è importante perché - attraverso un'analisi attenta - mette a nudo un sistema di intrecci e di implicazioni che certamente apre una prospettiva di cambiamento nel breve e nel lungo periodo. Certo, come ho già detto all'inizio, non sarà un percorso facile né breve: la realizzazione di tale prospettiva dipenderà, anche e soprattutto, dall'esito del voto del 5 dicembre prossimo, perché in tale voto è implicita una politica di cambiamento, al di là di come andranno le cose. Io ho un mio giudizio, che mantengo. Tuttavia, ripeto, a prescindere da come andranno le cose, sicuramente l'esito del voto aprirà una nuova pagina nella storia della città di Napoli ed avremo sicuramente implicazioni ed effetti positivi. Il problema centrale, presidente, è che il riscatto - perché di questo si tratta - della sola politica non è sufficiente per risanare i mali di quella realtà. Noi dobbiamo indubbiamente addebitare alla politica il grande malessere che abbiamo riscontrato, ma non possiamo attribuire responsabilità soltanto ad essa, perché questo sarebbe sbagliato ed erroneo e non ci consentirebbe di affrontare in maniera sistematica la vicenda-Napoli: rischieremmo di non comprendere tale vicenda qualora non considerassimo che, certo, l'aspetto politico è importante ma esso deve comunque essere accompagnato dalla valutazione di un sistema più complessivo nel quale pezzi importanti dell'economia e della società sono stati influenzati oppure hanno influenzato il sistema politico ed istituzionale. In definitiva, non possiamo affidare il risanamento della situazione di Napoli e della Campania solo e soltanto alla politica. Il rinnovamento sarà tanto più profondo e significativo se sarà accompagnato da un rinnovamento complessivo della società civile ed economica e, complessivamente, di tutti i livelli istituzionali i quali debbono comunque concorrere al risanamento ed al riscatto di quella realtà. Se dovessimo affidare alla sola politica il ruolo di realizzare il rinnovamento, il rischio di accumulare ulteriori ritardi sarebbe concreto e finirebbe per ostacolare quel forte cambiamento di cui noi avvertiamo una forte esigenza. Nelle sue conclusioni, presidente, la relazione affronta un nodo centrale e definisce, sulla base di una analisi impietosa, quello che è un po' il suo teorema. Mi riferisco al contatto tra camorra, politica ed istituzioni, che viene descritto attraverso il riferimento ad un interprete il quale ha svolto un particolare e significativo ruolo nel nostro paese, a tutti i livelli istituzionali. In particolare, dalla relazione si evince che il senatore Gava sarebbe la parte forse più importante e significativa di questo intreccio. Mi pare esagerato, presidente, caricare di eccessive responsabilità il senatore Gava (anche se di responsabilità egli ne ha, ne può avere tante in quella realtà) e ridurre emblematicamente il giudizio politico sulla sua persona. Mi pare che tale valutazione sia eccessivamente carica di significato politico e di responsabilità. A mio avviso, pertanto, tale giudizio va riequilibrato, ove si consideri che Pagina 3199 il clima corrosivo della città di Napoli e della Campania non può essere imputato, con un giudizio sommario, ad un esclusivo referente, ad una esclusiva responsabilità. Le inquietudini della Campania e della città di Napoli non possono essere imputate solo a questa persona: è l'intero sistema di quella realtà che va giudicato, presidente, anche se all'interno di tale sistema il senatore Gava ha avuto un ruolo influente ed importante! Se noi dovessimo definire tale giudizio da un punto di vista deduttivo, sulla base di analisi, dichiarazioni e giudizi riportati nella relazione, capiremmo la storia di questa realtà ma non l'esito di essa. L'imputazione del degrado della città di Napoli e della Campania va quindi riferita ad un intero sistema che per anni non ha governato, rendendo difficoltoso il meccanismo della lotta politica e dell'acquisizione delle ricchezze, alimentando uno scontro che ha disseminato violenza e sangue e quindi, di conseguenza, decine e decine di morti. La relazione in esame è importante anche per un altro aspetto, per il quale è necessario che la relazione aggiusti il suo giudizio. Noi non possiamo esprimere un giudizio complessivo sul malessere della Campania, ma dobbiamo articolare meglio le valutazioni. Vi sono enclaves del territorio campano - parlo, per esempio di Avellino e della stessa Benevento - che, per loro tradizione, cultura, per un sistema politico migliore e più accorto, rappresentano realtà diverse. Questa diversità, presidente, va considerata. Sarebbe opportuno, pertanto, che nella relazione tale elemento fosse evidenziato e messo in risalto perché, in caso contrario, non daremmo un giudizio sereno ed equilibrato sulla situazione di tutta la Campania. Nella relazione andrebbe anche considerato - in questo senso sarebbe auspicabile uno sforzo, presidente - che vi sono settori della società civile della Campania che sono stati fortemente contrari a questo sistema. Vi sono pezzi importanti di quella realtà - ripeto - che sono stati storicamente contrari e che hanno contrastato questo sistema. Penso che, se non puntualizzassimo questo giudizio, daremmo torto ad una società che è sana in alcune sue parti significative, che ha lottato e continua a farlo per offrire punte di speranza ad una realtà fortemente condizionata, che non consentiva di evidenziare le libertà complessive. Credo che questo aspetto vada recuperato nella relazione sotto il profilo sociale e politico, perché è importante evidenziare l'esistenza di forze sane che si sono battute contro un certo sistema. Un punto particolare mi preme evidenziare, signor presidente: quello relativo all'intreccio tra imprese, camorra e politica. Occorre recuperare in modo molto sereno le implicazioni di questo rapporto come sono state descritte dal pentito Galasso. PRESIDENTE. E' citato! MAURIZIO CALVI. Sì, è citato ma in maniera molto marginale. Si dice che ha partecipato a questo sistema di spartizione, ma questo aspetto va evidenziato col massimo della serenità possibile. La Commissione deve dare atto dell'esistenza di un aspetto di carattere politico perché la Commissione stessa ha voluto rileggere in modo significativo le dichiarazioni del testimone Galasso, tant'è vero che è stato ascoltato una seconda volta in cui ha chiarito meglio la composizione di questo intreccio. E' un elemento di carattere politico, forse marginale ma che va recuperato. Un'altra questione che va recuperata è quella relativa all'implicazione del fenomeno dell'usura nel tessuto sociale. A mio giudizio, all'usura deve essere dedicato un capitolo apposito, soprattutto per quello che abbiamo ascoltato. PRESIDENTE. E' vero! MAURIZIO CALVI. Devono anche essere evidenziati il disagio e il malessere dei bambini della Campania; anche alla criminalità minorile sarebbe necessario dedicare un capitolo, Pagina 3200 perché la questione sociale, ben evidenziata nella relazione, necessita di un ulteriore approfondimento sotto questo versante. Desidero anzi sottolineare la chiave di lettura di questa relazione di cui condivido un passaggio, quello relativo alla svolta per la città di Napoli rappresentata dal caso Cirillo. Le implicazioni di tale vicenda con la vita politica napoletana sono il punto di partenza storico di un intreccio perverso che ha determinato il malessere complessivo della regione Campania. Ritengo che questo passaggio debba essere sottolineato nella parte conclusiva della relazione, quella parte politica in cui si parla del problema della dignità politica, del ruolo giocato dalla politica in quella realtà, del recupero della politica in quella realtà. Ritengo che la relazione debba sottolineare anche nella conclusione, dopo averlo fatto nella premessa, il giudizio politico sul caso Cirillo quale elemento di svolta e di condizionamento perverso sulla città. Quanto all'amministrazione della giustizia, se il malessere complessivo della realtà napoletana è anche politico, occorre formulare un giudizio duro sul "pianeta giustizia" che ha aggravato i problemi già esistenti. Nelle conclusioni occorre focalizzare questo elemento che ha consentito (mi riferisco, oltre che alla città di Napoli, anche a S. Maria Capua Vetere e Salerno) un ulteriore degrado di questa realtà territoriale. Passo ora ad esaminare il problema finale, quello riguardante l'azione dello Stato. Vanno ricordate le vicende politiche nel nostro paese, gli effetti della diversità di comportamento da parte dello Stato per recuperare il malessere complessivo del paese, il problema di una dura azione dello Stato nei confronti di tutti i poteri criminali, da quello siciliano a quello calabrese a quello campano e pugliese; credo che questa parte importante del rinnovo di un'azione più forte e più veloce da parte dello Stato contro la criminalità organizzata, il recupero della forbice esistente tra l'azione dello Stato e la criminalità, questa riduzione della curva debbano essere evidenziati nelle conclusioni della relazione. Va chiarito che soprattutto nella lotta contro la camorra, (perché di questa oggi ci occupiamo) lo Stato ha manifestato segni profondi di diversità non solo sul piano dell'azione repressiva ma anche su quello della prevenzione. Se molti latitanti sono stati catturati, lo si deve al miglioramento del sistema informativo, lo si deve ad una legislazione più coerente rispetto al passato, lo si deve al miglioramento delle strutture organizzative, alla qualità degli uomini. Sono questi elementi, signor presidente, che devono essere recuperati nella relazione; non è sufficiente fare un'analisi impietosa della realtà campana, bisogna dire che accanto ad un risanamento, ad un recupero dell'impegno della gente in quella realtà vi è anche un'azione dello Stato più forte e più robusta che ha consentito di recuperare grandi ritardi. La relazione deve essere vista con questa chiave di lettura, senza la quale diventa difficile capire ciò che potrà accadere nel prossimo futuro. Le conclusioni di questa relazione sono importanti non solo per la natura del giudizio ma soprattutto per le implicazioni del giudizio stesso: un ripensamento complessivo dell'azione dello Stato e, soprattutto, il messaggio che va lanciato a tutti i livelli istituzionali. In particolare il sistema delle autonomie locali deve recuperare posizioni dal punto di vista del funzionamento, del ruolo, della sua capacità di risolvere i problemi perché tale sistema concorre, come elemento di carattere istituzionale, al risanamento della vita economica e sociale della realtà campana, insieme al ruolo svolto dalle regioni e dallo Stato. Il sistema delle autonomie locali è importante perché concorre, attraverso le sue responsabilità, al miglioramento della vita sociale ed economica della Campania. La prospettiva di cambiamento della vita politica e sociale dipende anche dal cambiamento, che potrà essere forte nel sistema delle autonomie locali in conseguenza e per gli Pagina 3201 effetti di un sistema elettorale che sta dando nuove generazioni di amministratori i quali saranno più coerenti rispetto al passato e la cui azione sarà certamente più trasparente. Voglio dire che il miglioramento della vita istituzionale della Campania concorre a migliorare l'assetto complessivo della regione. Anche questo passaggio va sottolineato perché una parte importate della relazione poggia sul sistema delle autonomie locali che è stato un elemento certamente condizionato ma che a sua volta ha condizionato la vita sociale ed economica. Il recupero del sistema delle autonomie locali è importante per capire se questo rinnovamento può procedere velocemente e, soprattutto, con grande impegno da parte di tutti coloro che assumeranno nei prossimi mesi o nei prossimi anni nuove responsabilità all'interno di quest'area. GIROLAMO TRIPODI. Signor presidente, dichiaro subito che la relazione al nostro esame rappresenta un passo in avanti assai qualificato non solo nell'azione di individuazione dell'origine storica della delinquenza organizzata nelle varie regioni del Mezzogiorno e della sua estensione nelle altre zone del paese, ma anche per il fatto che finalmente, prima per la Sicilia e oggi per la Campania, vengono svelati i retroscena reali del modo in cui la camorra (o la mafia, o Cosa nostra) è cresciuta e si è sviluppata nel paese divenendo una forza potente. Tuttavia all'azione condotta dalla Commissione fino a questo momento manca un punto importante, quello riguardante la Calabria, nel senso che manca un'attenzione precisa della Commissione alla 'ndrangheta. Colgo l'occasione per chiedere al presidente Violante e alla Commissione di dare attuazione, in tempi rapidi, all'impegno assunto in seguito ad una deliberazione di dedicare una relazione specifica al problema della 'ndrangheta, così come si è fatto per la Sicilia e oggi per la Campania e, per certi aspetti, per la Puglia. Naturalmente, i dati ed i riferimenti contenuti nella relazione sono tutti incontestabili: quindi, il giudizio che emerge nasce da elementi precisi che vedono non soltanto la presenza dell'organizzazione camorristica sul territorio, ma anche la sua realtà di forza che, forse, nel passato era stata sottovalutata e considerata come un'organizzazione marginale rispetto alle altre formazioni criminali. Ritengo, quindi, che con questa relazione si debba, per molti aspetti, fare una sorta di autocritica rispetto alle analisi che erano state svolte nel passato, quando la camorra veniva indicata come un fenomeno di delinquenza comune, mentre dagli elementi di cui disponiamo risulta che è qualcosa di ben diverso. Essa, oltre tutto, è estesa in tutta la regione, non solo nelle province che più frequentemente vengono indicate. Nella relazione si riconosce l'esistenza di un blocco di potere politico-camorristico: accetto questa interpretazione, però ritengo, naturalmente, che si debba andare oltre, perché questo blocco di potere di fatto è riuscito, nelle zone in cui si è affermato, a diventare lo stato dominante. Basti considerare i rapporti che si sono instaurati tra la delinquenza organizzata ed il potere politico, a livello comunale, regionale ed anche nazionale. Emerge infatti, con molta chiarezza, che la camorra non soltanto è riuscita a radicarsi prepotentemente nel territorio ed a controllarlo, ma nello stesso tempo ha ricevuto una copertura politica anche nell'ambito del Governo: ebbene, questo è un fatto che non viene sufficientemente chiarito nella relazione. Senza dubbio, quindi, se si parla più chiaramente è possibile definire meglio gli aspetti reali del fenomeno. Il coinvolgimento di ministri di vari governi ha dimostrato che la camorra aveva creato un rapporto con il potere politico non soltanto locale: e guai a chi si fosse permesso di resistere, come ha dimostrato il caso del sindaco di Pagani, Torre, che è stato eliminato, analogamente ad alcuni consiglieri comunali, anche comunisti, che avevano tentato di resistere al potere dominante politico-camorristico. Non c'è dubbio, quindi, sulla presenza a livello nazionale di questa organizzazione. Pagina 3202 Credo che un elemento chiave del rafforzamento del potere di Cosa nostra, della camorra e della 'ndrangheta sia rappresentato proprio da questa possibilità di imporre le proprie regole violente per impadronirsi del territorio. Tale possibilità è stata determinata dalla copertura che tali organizzazioni hanno ricevuto, intesa non soltanto come protezione, ma anche come collegamento e saldatura tra la periferia ed il vertice dello Stato. Leggo che vi sono otto parlamentari, tutti appartenenti a partiti di Governo - alcuni dei quali sono stati anche ministri -, indagati per fatti connessi ad organizzazioni di stampo mafioso in Campania. E' un fatto impressionante ed a questo si accompagna la constatazione che tutto il sistema economico ed imprenditoriale è camorrista o subalterno rispetto alla camorra. Non soltanto, quindi, la vita democratica e le istituzioni, ma anche l'economia, sono coinvolte nel sistema di potere determinato da questo blocco politico-camorristico. Nella relazione si afferma che tale questione ha il suo punto centrale nel patto - scellerato, dico io, signor presidente, onorevoli colleghi - che fu a suo tempo stipulato tra il potere politico e l'organizzazione criminale per la liberazione del consigliere democristiano Cirillo. Quell'episodio ha portato alla legittimazione della camorra, credo che vada detto con molta chiarezza. Concordo, quindi, con l'opinione che quello sia stato il momento in cui la camorra ha compiuto il salto di qualità che le ha consentito di penetrare in tutti i gangli vitali della vita pubblica: nella magistratura, nelle forze di polizia, nella pubblica amministrazione in genere. Ciò anche con episodi gravi, che vengono riferiti, per esempio, per quanto riguarda la magistratura. Viene per esempio indicato un giudice della Corte costituzionale, che è stato anche ministro, Vassalli. Questi viene citato non solo come uno dei ministri che hanno promosso indagini nei confronti di quei pochi giudici impegnati in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata, o che tentavano di individuare i rapporti tra malaffare e politica, ma anche come il ministro che si è rifiutato di effettuare gli interventi che gli venivano sollecitati, come è giustamente indicato nella relazione. Ebbene, oggi ricopre una delle cariche più alte della nostra Repubblica. Non so come noi possiamo affrontare queste situazioni: denunciarle è importante, ma poi bisogna anche passare ai fatti, perché altri personaggi, che ricoprivano cariche di responsabilità ad alto livello, hanno compiuto scelte diverse, non sono rimasti ai loro posti, tranne alcuni. Quindi questi soggetti, che hanno avuto il timone del potere a livello nazionale e che avevano l'obbligo di portare avanti la lotta alla criminalità organizzata, invece l'hanno coperta: questo è il fatto più impressionante. La camorra, poi, è riuscita a svilupparsi maggiormente ed ha avuto, credo, il suo momento di rafforzamento in seguito alla vicenda del terremoto, che viene riportata nella relazione. Della questione del post terremoto abbiamo parlato più volte, anche quando è stato presentato il rapporto conclusivo della Commissione diretta dal Presidente Scàlfaro. Abbiamo visto anche i dati che sono stati riportati in relazione all'uso del denaro pubblico, rivolto esclusivamente ad arricchimenti illeciti: finanziamenti per impianti produttivi autorizzati e non realizzati, impianti iniziati e non completati, e così via. Complessivamente, le somme spese ammontano a migliaia di miliardi: si è arrivati a 60 mila miliardi soltanto per gli interventi conseguenti al terremoto. Si è trattato di un fatto non solamente scandaloso, ma anche offensivo per tutti gli italiani che pagano le tasse e poi vedono i loro soldi divorati da parte di mafiosi, di camorristi, di uomini politici senza scrupoli, di partiti, di imprenditori disonesti. E' questo il quadro che risulta dagli interventi successivi al terremoto ed è riportato abbastanza chiaramente nella relazione. Pagina 3203 Naturalmente, poi, vi è stato tutto un intrecciarsi di attività che hanno portato allo sfascio totale delle istituzioni e dell'assetto territoriale ed ambientale, perché tutto è stato impostato con l'assalto selvaggio del territorio, con la violazione di ogni principio urbanistico, anche perché la legge approvata per sanare gli effetti del terremoto prevedeva anche interventi sostitutivi, che hanno cambiato gli assetti urbanistici ed hanno quindi aperto la strada alla speculazione, alle lottizzazioni abusive, al dilagare, insomma, dell'abusivismo in tutte le zone interessate. Sono quindi sorti quartieri privi di strutture di urbanizzazione primaria, e così via. Ci si potrebbe soffermare sulla questione dello smantellamento del tessuto produttivo in una realtà storicamente degradata, anche in considerazione dell'alto numero di disoccupati della regione; non soltanto è stato smantellato il settore siderurgico ma perfino la stessa fabbrica di automobili ex Alfa Romeo di Pomigliano d'Arco. Mentre la FIAT chiede soldi per realizzare un altro impianto nel Mezzogiorno, chiude una fabbrica che non è obsoleta e che potrebbe, con alcuni accorgimenti, divenire molto competitiva sul mercato. Non soltanto siamo in presenza dello smantellamento del tessuto produttivo, ma anche dell'abuso da parte della FIAT del denaro pubblico: gli interventi straordinari nel Mezzogiorno vengono utilizzati in questo modo, soltanto a fini speculativi, e non sulla base di un razionale intervento per la crescita di attività produttive e quindi per favorire l'offerta occupazionale. Accade invece il contrario, perché non soltanto cresce il numero dei disoccupati, ma nello stesso tempo vengono smantellate le fabbriche che rappresentavano i pilastri del debole tessuto industriale del Mezzogiorno. L'altra tematica che intendo affrontare riguarda la magistratura. Il fatto che 19 magistrati siano stati inquisiti per essersi messi a disposizione delle cosche camorristiche fa gelare il sangue nelle vene; è un fatto terribile e denota che negli anni passati le popolazioni avevano ragione a non nutrire alcuna fiducia nei confronti della magistratura. Molto spesso si diceva che erano le leggi a non consentire la lotta alla mafia; invece si era instaurata una prassi che veniva seguita a Napoli, a Palermo, a Catania ed a Bari. Ed ancora non emergono altre zone; se avessimo la possibilità di svolgere un'indagine su tutti i processi che, come a Napoli, sono stati chiusi per decorrenza dei termini con la giustificazione che non vi era un adeguato organico di personale... Questo era lo strumento dominante anche con le passate leggi: ricordiamo di quante assoluzioni per insufficienza di prove hanno beneficiato le cosche più potenti di Gioia Tauro, della Sicilia, della Campania e di altre zone. Ciò rappresenta la convalida dell'intreccio e del rapporto affaristico che si era creato, perché l'aggiustamento dei processi a livello locale e nazionale non avveniva soltanto grazie ad un rapporto di amicizia ma anche attraverso un rapporto materiale di scambio di denaro. E' stato detto che dalla Calabria partivano verso Roma dei messaggeri con i soldi da consegnare ai magistrati dalla Corte di Cassazione e che essi utilizzavano, per non essere scoperti in eventuali controlli della polizia, gli autobus di linea. Abbiamo presentato la relazione annuale sulla quale abbiamo espresso il nostro consenso, ma riteniamo che anche su tale aspetto vada detto qualcosa in più. A mio giudizio, inoltre, dovrebbero essere meglio precisati i rapporti con la 'ndrangheta, la Sacra corona unita, la camorra perché mi pare che proprio per quest'ultima vi sia la saldatura più evidente; ciò trova conferma nella mediazione indicata dall'avvocato Gangemi di Reggio Calabria a proposito della liberazione di Ciro Cirillo (Interruzione del senatore Brutti). Non so cosa faccia adesso, è da molto tempo che non lo vedo, comunque è stato un uomo molto potente a Reggio Calabria, determinante anche nelle scelte di fondo, soprattutto negli anni settanta. MASSIMO BRUTTI. Era di destra Gangemi? Pagina 3204 GIROLAMO TRIPODI. No, Gangemi era democristiano, anche se poi ha fatto altre scelte; del resto mi pare che sia stato anche presidente del consiglio di amministrazione degli Ospedali riuniti di Reggio Calabria. Ciò dimostra il rapporto che esisteva, anche ai livelli più alti, fra camorra e 'ndrangheta, che va introdotto anche per dare forza al ragionamento. Altra questione è la vicenda degli appalti dei servizi delle pulizie della ditta Romano Agizza: la cosa più allarmante è che la casa del prefetto veniva pulita da tale ditta, i cui titolari, essendo indiziati, hanno aggirato le loro responsabilità indicando dei prestanome. PRESIDENTE. Pulivano anche le carceri minorili. GIROLAMO TRIPODI. Cose del genere ci sembrano impossibili. Passi per le carceri minorili, ma il prefetto rilascia persino i certificati antimafia! Come mai è sfuggito al prefetto che questi soggetti erano indagati in base all'articolo 416-bis? Signor presidente, chiedo che su questo venga indagato per scoprire di chi siano le responsabilità, perché la questione non è di poco conto; quale fiducia possiamo avere, infatti, nei confronti del rappresentante del Governo nella provincia? Quale lotta alla mafia possiamo fare? Credo che di fronte a questo tipo di responsabilità delle istituzioni e della vita politica sia nostro dovere fare chiarezza; bisogna inoltre chiarire perché allora non si combatteva la mafia, perché non si interveniva contro la camorra, la 'ndrangheta e la criminalità organizzata in generale: perché non si voleva. Quante volte abbiamo detto che non vi era la volontà politica! Questa è la dimostrazione più netta e lampante che non vi era la volontà politica e che non vi poteva essere: perché vi era tutto questo arco di istituzioni coinvolte, collegate e compromesse in questo tessuto aberrante ed eversivo (perché le istituzioni democratiche erano state sovvertite). Signor presidente, credo che vi sia un limite nella relazione: certamente Gava ha le sue responsabilità, ma nel momento in cui, anche nel caso Cirillo, vengono chiamati in causa Piccoli ed altri personaggi politici di statura nazionale, massimi dirigenti di partito - non si offendano i colleghi della democrazia cristiana - è evidente che la cosa non riguarda soltanto Gava. Non si può parlare soltanto di Gava e dei suoi dirigenti locali; bisogna dire: Gava e gli altri. Se oggi il popolo italiano distrugge i partiti e può mettere a repentaglio anche le istituzioni democratiche è perché ci sono state queste cose. Per protesta il popolo può anche andare allo sbaraglio e ce ne sono tutti i segnali pericolosi. Ma se viene portato allo sbaraglio l'assetto democratico del nostro paese, vi sono delle responsabilità ed io credo che i colleghi dei partiti di Governo debbano riconoscere, autocriticamente, che vi era una situazione che coinvolgeva il partito, a prescindere dal fatto che vi fossero - ed io ritengo che ve ne fossero - politici onesti. Io ritengo che tutto questo vada chiarito e vada chiarito in questi termini, cioè rovesciando la situazione, perché non è stato solo Gava ad avere la gravissima, pesante responsabilità di far sviluppare la camorra in Campania. Ce ne sono stati e ce ne sono anche altri, quelli indicati dalle stesse inchieste giudiziarie. Il fenomeno, infatti, interessava consiglieri regionali, sindaci, consiglieri comunali, consiglieri provinciali, deputati e senatori e non si può parlare soltanto di Gava. Gava può avere avuto la responsabilità maggiore, perché era l'esponente massimo dei dorotei, ma la situazione va riconosciuta per quella che è e dunque il discorso va ampliato. Questo non per sancire una condanna nei confronti di un partito, ma per rivelare che quel tipo di atteggiamento, quella condotta politica, le scelte che sono state fatte hanno causato tanto danno al popolo italiano. Concludo con una considerazione: dopo i discorsi che abbiamo fatto sui processi che non venivano celebrati, anche adesso dobbiamo stare attenti. Infatti, gli organici degli Pagina 3205 uffici giudiziari di Napoli sono quelli che sappiamo; del resto, vi sono stati movimenti, iniziative, proteste, scioperi e se in questi giorni non sono in atto scioperi da parte di magistrati, vi sono, però, quelli degli avvocati. PRESIDENTE. Vi sono scioperi con motivazioni miste, diciamo così. GIROLAMO TRIPODI. Il fatto è, come si dice anche nella relazione, che prima erano tutti aperti... PRESIDENTE. Era un tribunale aperto. GIROLAMO TRIPODI. Sì, un tribunale aperto. Anche i registri in cui erano contenuti i nomi degli indagati o le inchieste che si avviavano erano aperti, per cui gli indagati potevano sapere anticipatamente cosa sarebbe successo. Adesso pare che a questo riguardo si sia messo ordine, stabilendo che ciò che è riservato va mantenuto riservato. Cordova ha fatto questo ed ha fatto bene, perché la situazione era di totale illegalità (consideriamo che a Napoli non funzionano neanche le chiese, le costruiscono e poi non le fanno funzionare). Dobbiamo dunque preoccuparci. Dobbiamo preoccuparci di indicare la necessità di un'adeguamento degli organici della magistratura come anche della polizia giudiziaria, perché so che in Campania si sta sviluppando un fenomeno di tipo siciliano, quello dell'afflusso di centinaia di pentiti; mentre la mancanza di magistrati non consente di smaltire tutte le richieste di ascolto dei collaboratori di giustizia e si arriva soltanto ad un 10 per cento. A questo bisogna stare attenti, così come bisogna stare attenti al fatto che si fanno le richieste e poi si rischia di non celebrare processi. Bisogna essere molto chiari. Abbiamo detto cose esatte ed anche allarmanti; non vorremmo che rimanessero solo un atto parlamentare, la documentazione di un lavoro importante svolto dalla Commissione antimafia ma senza i suoi sbocchi naturali, che sono gli interventi politici, gli interventi amministrativi e quelli giudiziari. Un'altra questione che desidero affrontare riguarda proprio le proposte che vengono avanzate. Io credo che si debba insistere sulla questione sociale e in particolare, come ho già accennato, sul fatto che si sta smantellando il tessuto produttivo. E' già stato detto, ma va ribadito che bisogna correre ai ripari per evitare che la camorra continui a trovare forze da reclutare tra le masse di giovani disoccupati, senza lavoro e senza speranza, in una situazione di degrado e di ulteriore decadenza. Ci auguriamo che per il futuro possa cambiare, ma al momento la situazione è questa. In conclusione, con riferimento agli organici della magistratura proponiamo un'aggiunta alla fine del punto 11, relativo all'amministrazione della giustizia, cioè prima che si passi a parlare della fragilità del sistema bancario. Ci auguriamo che tale emendamento aggiuntivo possa essere accolto senza bisogno di essere votato, poiché interessa non soltanto noi ma tutta la Commissione. ALTERO MATTEOLI. Vorrei chiederle, presidente, fino a che ora ritiene che proseguiranno i nostri lavori. PRESIDENTE. L'accordo era di tenere seduta fino alle 17 circa, ma se lo ritenete possiamo anche andare oltre. MASSIMO BRUTTI. E' la prima volta che la camorra viene presa ad oggetto di un'indagine così vasta, così puntuale e che giunge fino ai nostri giorni. Essa mette in luce una forte peculiarità delle associazioni criminali insediatesi in Campania - non si è trattato, negli ultimi vent'anni, di un'organizzazione unica ma di una serie di strutture assai articolate - rispetto alle altre organizzazioni che noi conosciamo e, soprattutto, al modello più antico e solido, che è quello della mafia siciliana. Le caratteristiche originali della camorra risultano, io credo - e la relazione lo mette in luce -, dall'intreccio e Pagina 3206 dalla sovrapposizione di tre distinte storie. La prima è una storia criminale, attraverso la quale si forma, si divide, cambia, si modernizza la camorra in Campania. La seconda è una storia sociale, che fa di essa un soggetto presente nella vita quotidiana di tanto popolo minuto, a Napoli e nella Campania. La terza è una storia politica, che segna il costituirsi di rapporti tra i gruppi camorristici ed un settore importante ed egemone del personale politico di governo. La storia criminale della camorra vede una prima fase di espansione ed anche di imitazione del modello di Cosa nostra; un dominio di Cosa nostra sul contrabbando in Campania; poi fenomeni di emancipazione ed il formarsi, entro questa prospettiva di emancipazione dei gruppi criminali di questa regione, della nuova camorra organizzata, che rappresenta una creazione originale, un esperimento. Essa unisce un ritualismo che deriva da tradizioni antiche degli emarginati, dei ribelli, dei perdenti, di quella parte della società che non fa la storia e che si dà, per costruire una sua autonomia, un suo spazio e per difenderlo riti, valori, controvalori rispetto ai valori dominanti, ed anche ideologie. Dall'altra parte, la nuova camorra organizzata è segnata dal suo carattere aperto: una struttura aperta che punta ad avere e riesce ad ottenere una base di massa, anzitutto dentro le carceri, poi nella città, nei quartieri più poveri e disperati di Napoli. La nuova camorra organizzata verrà sconfitta da un'altra organizzazione, che sorgerà proprio in alternativa al suo dominio; ma le vicende dello scontro tra l'associazione cutoliana - la nuova camorra organizzata - e l'associazione nuova, che nasce attorno alla leadership di Carmine Alfieri, non sono più soltanto vicende di storia criminale. Nello scontro tra le due organizzazioni, nella sconfitta della nuova camorra organizzata di Cutolo è già intervenuto un altro elemento, un elemento esterno che è rappresentato dal rapporto con il potere politico, con il personale politico di governo nella regione, nei paesi; un personale politico che domina le amministrazioni, che controlla i voti e che ha referenti a Roma. La storia sociale della camorra vede la capacità di questi gruppi criminali di inglobare e fare propria l'illegalità diffusa nei quartieri di Napoli dove l'emarginazione è più forte ed anche in altre città della Campania. Questa capacità diventa occasione per agganciare ed organizzare chi vive nell'illegalità, per dargli una specie di coscienza, di appartenenza ad una struttura, di riconoscimento in uno o in più capi. All'interno di questa storia sociale, ad un certo momento, si formano anche le imprese, perché prima c'è l'illegalità diffusa, ci sono le attività illecite, c'è il contrabbando e poi c'è il sorgere di imprese. Ma anche qui non siamo più di fronte soltanto ad una storia sociale della camorra. Come nello scontro tra nuova camorra organizzata e nuova famiglia, come nella vicenda ultima che vede la fine del potere di Cutolo e l'affermarsi dell'altro potere non eravamo soltanto di fronte ad una vicenda di storia criminale, ma c'era e giocava il rapporto con il potere politico, così nel formarsi di vere e proprie imprese entro la camorra, nel sorgere di una camorra imprenditrice non c'è un processo spontaneo di sviluppo, c'è il prodotto di un rapporto che si stabilisce con il ceto politico di Governo, con il sistema politico, con l'assegnazione degli appalti e delle opere pubbliche, con il controllo della spesa pubblica. Le imprese camorristiche si formano e diventano più solide in questo grande banchetto che è stato, per la Campania e per Napoli, il nuovo terremoto. Le imprese camorristiche sorgono sul terreno di un'alleanza tra il partito della spesa pubblica (un partito trasversale, ma nel quale certamente è stata egemone la democrazia cristiana, o meglio le correnti dominanti della democrazia cristiana in quelle zone) ed i gruppi clientelari e quelli camorristici. Le imprese della camorra nascono dentro questa prospettiva, in questo contesto. Allora, se ciò è vero, mi sembra si possa dire che l'insieme dello sviluppo della camorra in Campania è Pagina 3207 profondamente segnato, dominato, determinato da questo rapporto tra gruppi criminali e potere politico, tra gruppi criminali e personale politico dirigente. Se andiamo alla sostanza di questa vicenda, se vogliamo identificarne i soggetti preminenti e più forti, dobbiamo dire che il rapporto fondamentale è con la corrente dorotea della democrazia cristiana; ecco il motivo per il quale spicca la posizione dell'onorevole Antonio Gava. Fuori dalle semplificazioni (ancor di più fuori da quelle propagandistiche) dobbiamo domandarci tutti (e devono farlo con serietà anche i colleghi della democrazia cristiana) cosa sia avvenuto, perché questa struttura di potere si sia formata, come si sia passati da un fatto che è assai diffuso nel Mezzogiorno, da un fenomeno ampio quale quello del clientelismo, delle cordate clientelari attorno a dirigenti politici ed agli eletti; come si sia passati - dicevo - da questo fenomeno ad un rapporto tra una corrente della democrazia cristiana, i suoi uomini, i suoi referenti nelle città, nei paesi, nel controllo dei voti e delle amministrazioni, ed il potere diffuso dei gruppi camorristici. Dobbiamo interrogarci su questa vicenda per capire in cosa consistano anche le responsabilità di un uomo politico, di Stato, come Antonio Gava. Dobbiamo chiederci cosa sia avvenuto dagli anni cinquanta in avanti nel personale politico cattolico della regione Campania. Credo che molti degli avvenimenti che si sono verificati si possano spiegare se ci si riporta alla crisi ed alla sconfitta nel dopoguerra di una componente tradizionale della democrazia cristiana che nel Mezzogiorno era molto forte, cioè della componente popolare, di quella che era in diretta continuità con il partito popolare. Vi è stata un'involuzione, un'incapacità di comprendere la società italiana che cambiava; vi è stato un guardare all'indietro. L'involuzione ha riguardato innanzitutto il capo, il maestro di questa parte importante della democrazia cristiana: l'involuzione è stata per primo di Luigi Sturzo e si è concretizzata in un modo conservatore di guardare alla società italiana ed alla dislocazione effettiva delle forze popolari. Silvio Gava è stato certamente un rappresentante del popolarismo in Campania, è stato certamente il rappresentante di una corrente culturale e politica che nel dopoguerra si è mossa avendo due punti di riferimento: uno più debole perché veniva dall'esperienza passata, l'antifascismo, l'altro più forte e tale da condizionare qualsiasi movimento, qualsiasi azione, qualsiasi scelta: l'anticomunismo. Fu lo stesso Sturzo a patrocinare a Roma, su mandato di Pio XII, un'operazione di alleanza con il movimento sociale, operazione che fu sventata grazie all'opposizione di De Gasperi. Ciò sicuramente non significava filofascismo da parte di Sturzo, che era stato uno dei protagonisti dell'antifascismo italiano, ma significava una scelta, la scelta secondo la quale tutto è lecito e possibile pur di sbarrare la strada alle classi popolari, a chi le rappresenta, al movimento operaio, ai partiti della sinistra. E' questo che ha rafforzato enormemente il clientelismo in Campania; è questo che ha determinato una concorrenzialità perversa a Napoli tra democrazia cristiana e destra, tra democrazia cristiana e laurismo. Sono gravi e pesanti le responsabilità dell'estrema destra nella storia di Napoli e della Campania perché Lauro e l'estrema destra hanno inventato il voto di scambio e la legge elettorale del 1953, che disciplina e reprime il voto di scambio, nasce proprio dall'inizio dell'esperienza del laurismo a Napoli. La scelta della democrazia cristiana e di questo gruppo dirigente che aveva origine nel partito popolare fu allora quella di "buttarsi" a destra per cecità conservatrice e per anticomunismo. Credo che la deformazione del clientelismo democristiano in Campania cominci da lì, che l'insensibilità democratica di questo ceto politico dirigente che lo ha portato a trattare con i camorristi e ad accoglierli nelle sezioni di partito della democrazia cristiana cominci da quella vicenda e che vi sia oggi da compiere una riflessione su quell'involuzione, Pagina 3208 riflessione che dobbiamo compiere tutti perché è quell'involuzione che ha portato alla potenza dei gruppi criminali e, in una serie di situazioni locali, all'identificazione tra gruppi criminali e referenti della corrente dorotea della democrazia cristiana. PRESIDENTE. Senatore Brutti, per comprendere meglio vorrei sapere in quale periodo lei collochi questa fase. MASSIMO BRUTTI. Ritengo che, intorno alla fine degli anni cinquanta, vi siano già tutti gli elementi per uno sviluppo di questo genere, che poi diventerà sempre più intenso negli anni successivi. Quanto al processo di identificazione con i gruppi camorristi, mi sembra evidente tra gli anni settanta ed ottanta. Quando ripercorreremo la storia politica di quegli anni, ci accorgeremo che determinate scelte - mi riferisco alle scelte del gioco politico - che sembravano essere state assunte a Roma in realtà avevano una portata ed un significato nello sviluppo delle forze politiche, nella loro storia ed in quello che accadeva nella società italiana. La fine del tentativo parziale, sbagliato, sorretto da una cultura politica inadeguata di sbloccare la democrazia bloccata italiana che fu la solidarietà nazionale e la scelta del preambolo rappresentano una netta conversione in senso conservatore della democrazia cristiana e segnano l'avvio del periodo più drammatico nella vita della democrazia italiana, quello che si sviluppa attraverso gli anni ottanta, in cui la corruzione è diventata pervasiva, in cui sono cadute tutte le discriminanti ed in cui dirigenti politici anche di primo piano hanno accettato di trattare con i poteri illegali e sono scesi a compromessi con quei poteri. La relazione racconta un pezzo di questa storia. Qualche collega che mi ha preceduto ha già sottolineato l'importanza che, nella struttura della relazione, assume la vicenda del sequestro Cirillo e delle trattative ad essa legate. Proprio perché quella è una storia delimitata in uno spazio circoscritto di mesi, essa dimostra l'esistenza di contatti, di collegamenti tra la corrente dell'onorevole Gava, i suoi uomini, settori degli apparati dello Stato, dei servizi di informazione e di sicurezza ed il capo di un'organizzazione criminale come la nuova camorra organizzata. Quella vicenda è emblematica e soprattutto presenta la caratteristica di essere ormai ampiamente accertata. Tutti gli uomini che hanno raccontato frammenti di quella storia ed alcuni di quei fatti in questi anni sono stati strettamente legati alla corrente dorotea della democrazia cristiana ed all'onorevole Gava. E' uomo legato all'onorevole Antonio Gava, Pasquale Acampora, fino al 1980 presidente del Banco di Napoli, il quale racconta che una parte del riscatto versato alle brigate rosse sarebbe provenuta da un contratto di pubblicità a favore di un gruppo di società che gestivano televisioni locali, che queste società avrebbero rinunciato a gran parte del proprio compenso devolvendolo per il riscatto e che il contratto di pubblicità sarebbe stato ottenuto grazie all'interessamento dell'amministratore della STET Michele Principe, a seguito di pressioni esercitate nei suoi confronti da Antonio Gava e da Flaminio Piccoli. E' uomo di Gava l'ingegner Savarese, imprenditore di Vico Equense, amico dell'onorevole Antonio Gava, il quale racconta come Gava conoscesse bene e da vicino la vicenda del riscatto pagato alle brigate rosse. E' uomo di Gava il senatore Patriarca (anzi, egli divenne addirittura sottosegretario, credo proprio grazie all'appartenenza alla corrente di Gava), il quale racconta oggi che Gava sapeva delle trattative fin dall'inizio; e del resto lo stesso Gava ha ammesso di aver avuto contatti con Criscuolo, il funzionario del SISDE che per primo entrò nel carcere di Ascoli Piceno, e di averli avuti in quei giorni. Ma Patriarca dice di più: conferma quel che è stato detto dal camorrista Greco, cioè che proprio Patriarca lo andò a cercare all'uscita del santuario di Pozzano, mentre egli assisteva ad Pagina 3209 una cerimonia religiosa, per chiedergli di andare anche lui con Casillo, con Iacolare, con Granata nel carcere di Ascoli Piceno per parlare con Cutolo. Poi, quando Greco andò, sulla base di una richiesta di permesso avanzata dal SISDE, tornò indietro ed insieme a Criscuolo si recò da Patriarca a riferire su come era andato l'incontro. Si trattò di un incontro che, secondo la ricostruzione del giudice Alemi, durò sette ore; era l'incontro del 2 maggio, il secondo incontro con Cutolo. E' difficile pensare, come ha detto in questa sede il prefetto Parisi, all'epoca reggente del SISDE, che in quegli incontri ci si limitò a chiedere a Cutolo informazioni e che Cutolo disse di no. Infatti, per quanto bizantina e complicata possa essere una conversazione con Raffaele Cutolo, è difficile immaginare che occorrano sette ore per sentirsi dire di no fin dall'inizio. Inoltre, i funzionari dei servizi hanno più volte detto che quella pista era infruttuosa, ma non si capisce perché mai una pista infruttuosa continui ad essere seguita attraverso numerosi incontri che durano così tanto tempo. In realtà, la trattativa si svolse fin dall'inizio e fu seguita da vicino, in presa diretta dagli uomini politici che ad essa erano più interessati. Gava ammette di aver avuto in quel periodo contatti non solo con Criscuolo ma anche con Musumeci, cioè con l'ufficiale piduista del SISMI che, attraverso il suo collega Belmonte, anch'egli piduista, gestiva per il SISMI le trattative con Cutolo. Gava ammette di aver conosciuto Pazienza e di aver avuto un incontro poco prima della vicenda del sequestro con lui e con Alvaro Giardili, un imprenditore impegnato nella ricostruzione, in quanto costoro volevano aiuto per avere lavori. Pazienza il 10 luglio partecipò ad un incontro con Giardili, con Casillo, con l'assessore democristiano Bruno Esposito di Acerra, con Lettieri, esponente cutoliano anch'egli di Acerra; quell'incontro avvenne immediatamente dopo un colloquio con l'onorevole Piccoli, che gli chiese di intervenire, di dare una mano per sbloccare il sequestro Cirillo. La sentenza della corte d'appello di Napoli oggi riconosce che vi sono tutti gli elementi per ritenere che Piccoli sapesse, che abbia seguito da vicino la trattativa e che Pazienza in quell'incontro del 10 luglio parlasse anche a nome di Piccoli. Tuttavia, non è possibile accettare la tesi - che abbiamo sentito emergere nelle audizioni di Parisi e di Mei svoltesi davanti alla Commissione - secondo la quale i rapporti con Cutolo sarebbero del tutto puliti e si tratterebbe soltanto di una richiesta di informazioni fino a luglio, finché non interviene Pazienza. L'idea che vi sia un terzo soggetto che ha condotto la trattativa, che ha stretto gli impegni con Cutolo, che ha posto in essere comportamenti non commendevoli è comoda, ma non corrispondente al vero. Quando, in data 10 luglio, avviene l'incontro di Acerra, quando Pazienza incontra Casillo l'accordo sul riscatto con le brigate rosse è già stato chiuso, il grosso della trattativa si è già svolto. Qui, Mazzola ci ha detto una cosa singolare, e cioè che Musumeci, nella seconda metà di giugno, gli disse: "La pista sta andando avanti, i contatti si stanno svolgendo, produrranno risultati". Musumeci gli disse questo perché la trattativa era in corso ed era gestita da loro, da tutti loro, e ad un certo punto Pazienza subentrò per siglare la parte finale dell'accordo. Quando dico "tutti loro", intendo dire che settori del SISDE continuano a seguire la trattativa fino a tutto il mese di giugno. Comunque, è documentato e sicuro che alla fine di maggio, quando già il SISDE, secondo quanto ci è stato detto qui, avrebbe dovuto ritirarsi del tutto dalle visite al carcere di Ascoli e dai rapporti con Cutolo, un funzionario del SISDE, Salzano, si reca, assieme a Giuliano Granata, nel carcere di Ascoli Piceno per parlare con Cutolo e per indurlo a prendere le distanze da una lettera, recante la firma falsa di Pasquale D'Amico, con la quale la Nuova camorra organizzata si schierava contro le BR e faceva minacce di ogni genere nei confronti delle stesse. Quella lettera poteva essere pericolosa, in quanto in grado di pregiudicare la trattativa. Pagina 3210 Può anche darsi che fosse stata scritta per far sì che Cutolo potesse giocare una funzione di mediazione, di pacificazione, ma l'intervento di Salzano assieme a Granata indica che il SISDE - o almeno una parte del SISDE o qualche uomo del SISDE - continua a seguire la trattativa. La personalità di Granata, come la relazione mette in luce, è interessante, singolare, da seguire nei suoi movimenti e anche nel suo modo d'essere. Conoscendo Granata si capisce meglio che cosa indica la relazione quando parla di responsabilità politiche dell'onorevole Gava. Granata è stato sindaco di Giuliano, poi segretario di Cirillo, legato a lui e all'onorevole Gava. Granata è imparentato con Iacolare ed è cugino di un personaggio della Campania che si sposta a Roma e diventa uno dei dirigenti massimi della banda della Magliana, cioè Claudio Sicilia, il quale è cugino carnale di Granata, che continua ad avere con lui rapporti nel 1982. Sicilia ci ha parlato di incontri con Casillo e con Granata a Roma, nella primavera del 1982. E questo è un uomo della corrente dell'onorevole Gava, un suo referente, uno che gli portava i voti e che controllava un'amministrazione comunale, un comune. Quando ci troviamo di fronte a questo personale politico e a questo tipo di referenti (pensiamo a Bruno Esposito, assessore di Acerra, che partecipa all'incontro con Pazienza), ci dobbiamo domandare che cosa è accaduto nel tessuto democratico di questa regione, che cosa è accaduto in un grande partito come quello della democrazia cristiana. E questa riflessione non deve essere soltanto storiografica e fine a se stessa, ma per noi tutti deve rappresentare oggi il punto di partenza di precise e drastiche scelte politiche. Infatti, se non le compiamo cercando di mettere insieme il più ampio arco di forze possibili, chi ne va di mezzo non è soltanto un uomo politico - il che non sarebbe rilevante -, non è soltanto una corrente - il che non sarebbe rilevante -, non è soltanto un partito - il che per gli altri partiti potrebbe essere utile -, ma la vita democratica. Sono concetti e valori di portata più ampia che vengono messi in discussione da queste compromissioni così profonde, così estese e così gravi. C'è stato un rapporto patologico, ed emerge da tutte queste vicende, tra settori del personale politico e di governo ed i servizi segreti. Del resto, non siamo noi i primi a coglierlo, non è soltanto adesso che prendiamo atto di questo fattore di inquinamento della vita pubblica italiana che è stato il crearsi di cordate che mettevano insieme settori dei partiti di governo e settori dei servizi d'informazione e di sicurezza. Ricordo che nell'estate del 1987, quest'abitudine, questa pratica di cercare sottobanco rapporti con i servizi per potersene avvantaggiare sul piano politico, fu denunciata, in un'intervista al Corriere della sera, dall'onorevole Oscar Luigi Scàlfaro. Questo è uno dei problemi della storia della Repubblica, in particolare della storia degli anni settanta ed ottanta, su cui oggi è arrivato il momento di far luce e pulizia. Dall'ordinanza-sentenza del giudice Alemi emerge che nella primavera del 1982, quando era in discussione il trasferimento di Cutolo all'Asinara, e quando per ordine del ministro Darida interviene un rinvio di quel trasferimento - quest'ultimo si farà per l'intervento personale di Pertini -, il direttore del carcere di Ascoli Piceno parla con Cutolo del rischio di un attentato contro di lui: dice che i servizi si appresterebbero ad organizzare un attentato per farlo fuori. Il risultato fu una grande agitazione nella NCO, minacce. E in quel momento vi sarebbe stato un incontro, o perlomeno un contatto, fra Cutolo e Musumeci. Si riapre, cioè, un canale di comunicazione, quello che aveva consentito la trattativa, con quella catena di comando del SISMI, rappresentata, come sappiamo, da Santovito, da Musumeci, da Belmonte, da Pazienza. Ma è proprio in questo stesso periodo che Cutolo viene abbandonato e che si colloca la nota del SISDE cui faceva riferimento ieri il Pagina 3211 presidente presentando la sua relazione, una nota nella quale si richiama la necessità di massima vigilanza e sicurezza nel momento in cui Cutolo è riuscito ad ottenere quella che era una contropartita alla quale aspirava e che aveva chiesto durante il periodo della trattativa: una sentenza della Cassazione nella quale si dichiara la sua infermità di mente. Non credo sia il caso di soffermarsi di più su questa vicenda del sequestro Cirillo, che adesso è quasi del tutto chiara. Davvero si tratta di fatti non controvertibili, come non controvertibili sono le caratteristiche dell'insediamento della corrente dorotea e del suo potere politico, del suo potere di controllo delle amministrazioni e dei voti nella provincia di Napoli e in Campania. Le contropartite a Cutolo si realizzarono solo in minima parte: Cutolo fu abbandonato; i due omicidi, quello di Rosanova e quello di Casillo, segnarono la sconfitta, il declino, la fine della Nuova camorra organizzata. Ma il rapporto delineatosi tra personale politico e di governo - quello che esercita funzioni di governo ai livelli minuti, cioè nei comuni e nei quartieri - e gruppi camorristici si consolidò, si affermò ancora di più tramite il rapporto, questa volta, con il clan di Carmine Alfieri. Gli appalti passarono da certe imprese ad altre, oppure, addirittura, gli imprenditori si spostarono dall'area d'influenza di Cutolo all'area d'influenza di Carmine Alfieri, e il rapporto con quella corrente democristiana rimase, si confermò. Da questo punto di vista, la vicenda di Poggiomarino è emblematica: questo rapporto a tre, Carmine Alfieri, Galasso, Gava, per indurre il democristiano Sangiovanni ad accettare l'egemonia della corrente di Gava, a mettersi sotto la sua tutela. Credo che oggi dobbiamo assumere un dato, cioè che queste vicende sono ormai nella storia, per cui non sono controvertibili, e che siamo in un momento nel quale è imposto dalle cose, quindi prescinde dalla volontà dell'uno o dell'altro di noi, un passaggio di sistema, un cambiamento. Si tratta di capire quanta parte della democrazia italiana della cosiddetta prima Repubblica - è un'espressione che a me non piace, ma che indica sinteticamente un periodo storico che si sta concludendo - e quanta parte di quelle forze politiche riusciranno ad autoriformarsi, a far pulizia al proprio interno, a porsi come punti di riferimento del consenso per una nuova fase della storia della democrazia italiana. A tal fine considero d'importanza cruciale il lavoro della Commissione antimafia, perché essa sta mettendo a fuoco responsabilità politiche, sta descrivendo la storia di una lunga e profonda deformazione della vita democratica, e le scelte che compiamo qui diventano uno spartiacque, un discrimine: indicare la responsabilità politica di questi uomini e le vie lungo le quali si cambia sistema e si produce cambiamento nella democrazia è il compito essenziale di ciascuno di noi. Se riusciamo a farlo qui, credo che lavoriamo nell'interesse del paese, e, paradossalmente, la scelta del cambiamento e della denuncia della responsabilità, scelta che è volta a far pulizia, a cambiare pagina, a togliere dalla scena politica questi uomini, è fatta anche nell'interesse di ciascuno dei partiti democratici. Questo è un caso in cui se un partito è in grado di fare pulizia e di scacciare i suoi uomini compromessi per riaccreditare la sua identità politica e la sua storia agli occhi del paese, attua una scelta di partito che è anche la migliore nell'interesse nazionale e della democrazia italiana. Credo che sarà un buon risultato se manifesteremo un voto concorde sulle linee di questa relazione, sulle sue conclusioni, se faremo diventare convinzione comune la necessità che gli uomini politici, le correnti e i gruppi di potere responsabili di questo inquinamento e di questa involuzione della vita democratica escano di scena, cedano il passo. Questa è la garanzia prima dell'avvio di una fase nuova. ANTONIO GUERRITORE. Signor presidente, non avrei parlato se non ci fosse stata, in questi giorni, la conclusione del Pagina 3212 processo Torre, il quale ha lasciato non solo nella famiglia Torre, alla quale appartengo anch'io, ma soprattutto nelle mie zone un senso di profonda frustrazione per il risultato di assoluzione, il quale non ha consentito di far luce e chiarezza su uno dei crimini più drammatici e gravi che maggiormente hanno colpito l'opinione pubblica. Devo dire che, in sostanza, ho condiviso la sua relazione per ciò che attiene alla genesi della camorra nella zona della Campania. Aggiungo che la camorra non ha mai avuto una sua continuità storica, in quanto essa è nata come un fatto endemico. A Napoli la camorra è come il colera: come quest'ultimo nasce a Napoli dalle condizioni di scarsa igiene e di superaffollamento, assumendo risvolti particolari che rappresentano lo sviluppo di quest'evento morboso, così la camorra è caratterizzata da questa presenza endemica, quale fenomeno delinquenziale legato ad una profonda conurbazione della città e del suo retroterra, nonché alle particolari condizioni di carenza di lavoro, di impossibilità di sviluppo e di invivibilità della città (un problema la cui genesi risale addirittura al periodo del regno delle due Sicilie). La camorra, dunque, ha una presenza endemica, a meno che in particolari situazioni, di cui la storia ci ha dato esempio in occasione di moti rivoltosi o di situazioni sociali particolarmente drammatiche, essa finisca per avere sviluppi improvvisi che la trasformano da fenomeno endemico a fenomeno epidemico diffuso a livello regionale e, negli ultimi tempi, anche a livello nazionale. Va detto, per esempio, che prima il colera poi il terremoto sono stati i due elementi che, a causa della straordinarietà degli eventi e della realtà politica e sociale che ne è conseguita, associata ai cospicui flussi economici che sono intervenuti prima nella città di Napoli, poi in tutta la Campania, hanno consentito e determinato un improvviso input alla crescita, alla diffusione e all'organizzazione della camorra nella Campania stessa. La camorra non ha la tradizione della mafia, la quale è caratterizzata da una sua storia fatta di momenti successivi che camminano tutti nello stesso alveo di tradizioni, di abitudini e di rituali che, senz'altro, nella realtà della Campania non sono mai esistiti, se non come fenomeni di banditismo, di delinquenza cittadina o periferica. Devo dire che anche altri fenomeni hanno favorito lo sviluppo della camorra. Questo fatto è legato, per esempio, al particolare momento di permessivismo che esisteva nelle carceri. Negli anni cinquanta, sessanta e settanta le carceri sono diventate le università della delinquenza: si entrava come piccolo ladro di automobili e si usciva come importante capo mazzo. Poi, il soggiorno obbligato ha determinato il trasferimento a distanza di elementi delinquenziali e naturalmente contatti tra i tre movimenti delinquenziali più importanti, la mafia, la camorra e la 'ndrangheta, con un salto di qualità che è derivato anche da momenti associativi e da alleanze che poi hanno dato alla camorra campana e soprattutto a quella napoletana un significato di particolare rilevanza. Proprio nelle carceri è nato il fenomeno della nuova camorra, il fenomeno delinquenziale che ha fatto compiere un grande salto di qualità alla camorra in Campania: per un soggetto come Cutolo possiamo dire che il carcere è stato la sua famiglia, il suo abito naturale e la sua fase di preparazione e di rilancio. Devo dire che in un certo momento storico non si è attribuita particolare importanza al fenomeno della camorra nelle nostre zone, nella stessa città di Napoli e soprattutto nella sua periferia (si pensi che gli elementi più importanti della camorra non hanno avuto sede a Napoli ma nelle zone periferiche, a Caserta, nel nolano e successivamente, con fenomeni diffusivi, anche nell'agro nocerino sarnese). In quest'ultima zona si è trattato più di un fenomeno di Pagina 3213 importazione che non endemico; basti considerare che fino agli anni sessanta-settanta non c'erano nell'agro sarnese-nocerino elementi di particolare virulenza e pericolosità che potessero far pensare ad un fenomeno di tipo delinquenziale di comprovata stabilità quale era la camorra. Bisogna anche dire che, di fronte alla diffusione della camorra non ci sono state prese di posizione da parte di chi ne aveva l'obbligo, lo Stato, le forze dell'ordine e soprattutto la magistratura. Da parte di quest'ultima, la camorra, che cominciava ad organizzarsi, è stata trattata con particolare blandezza, anche nelle sentenze di primo, di secondo e di terzo grado. Anche il caso di oggi, la sentenza Torre, ne è ulteriore riprova: la raccolta di elementi per il processo di primo grado è stata effettuata in maniera sciatta, particolarmente superficiale, direi anche in maniera fatalista, come a dire "ormai Torre è morto, pace all'anima sua". Non si è voluto indagare con acutezza e severità sugli elementi che la stessa famiglia ed anche certi aspetti dell'indagine obbligavano a ricercare ed a verificare nella fase immediatamente successiva al delitto. Devo dire - pongo particolare attenzione soprattutto sulla mia esperienza di uomo dell'agro - che il terremoto è stato squassante non solo per le strutture murarie e per le coscienze ma soprattutto per quel che riguardava le abitudini di lavoro, di impegno sociale e le tradizioni che esistevano in una terra particolarmente laboriosa e produttiva. Bisogna aggiungere che il fenomeno successivo della ricostruzione ha visto nelle cooperative che sono giunte, soprattutto quelle rosse, un elemento di produzione, di lavoro, di arricchimento che non ha portato un'onda positiva di sviluppo economico nelle nostre zone. Mentre la camorra ha puntato sostanzialmente alla produzione del cemento e dei laterizi in genere, mentre le cooperative giunte dall'Italia del nord (bianche o rosse che fossero, ma nella mia città prevalentemente rosse) facevano i loro affari, non si è determinato uno sviluppo in termini di iniziative dell'imprenditoria locale, se non alcuni riflessi di irrilevante significato economico e di rilancio produttivo. Così come va detto che nel periodo successivo al terremoto si sono determinati eventi di una particolare pericolosità, che avrebbero dovuto rappresentare degli allarmi ai quali si sarebbe dovuto prestare attenzione. Nei confronti del potere politico la camorra ha percorso tre fasi. Nella fase iniziale, quando non era organizzata, la camorra operava con i propri meccanismi, con i propri uomini - per lo più giovani, su questo convengo con lei, presidente - che arrivavano al ruolo di capi soprattutto per la temerarietà, la crudeltà, la forza, la "eclatanza" dei fatti dei quali si rendevano protagonisti. Ma in questa fase iniziale non c'era un rapporto con la politica. I camorristi operavano nei loro settori abituali, soprattutto l'estorsione, che è stato il fenomeno più rilevante attraverso il quale si è prodotto l'arricchimento delle associazioni di tipo camorristico. Successivamente, quando si è giunti alla ricostruzione, ci si è indirizzati verso un rapporto anche con la classe politica, di cui ovviamente queste associazioni non potevano fare a meno. Alla fine, o vi era la collusione o la minaccia o la vera e propria costrizione a ritirare gli uomini politici che non si mostravano consenzienti a fornire collaborazione. Però, va detto che le forze dell'ordine non hanno prestato a questo riguardo particolare attenzione. Dopo una fase nella quale si è avuto questo contatto con la classe politica, le forze della camorra hanno fatto addirittura un salto di qualità ed hanno individuato tra i loro parenti o affiliati alcuni elementi da lanciare nel mondo politico. Se andiamo a leggere con particolare attenzione gli elenchi dei consiglieri eletti, troviamo che molti di costoro erano parenti degli stessi camorristi, quasi ad evitare in questa maniera il problema della dipendenza dalla classe politica. La camorra, con un grande salto di qualità, puntava addirittura a crearsi una classe politica di tipo familiare, di tipo associativo. Queste vicende erano e sono ancora oggi Pagina 3214 ben note alle forze dell'ordine, senza che comunque ne siano derivate significative azioni di recupero. Non soltanto si è puntato ad inserire questi uomini appartenenti alle famiglie camorristiche nella classe amministrativa, ma soprattutto si è puntato ad infiltrarli nella classe burocratica, per cui oggi comuni, provincie, uffici, banche vedono la presenza di questi elementi camorristici. Posso dire con cognizione di causa che l'estorsione di cui fui fatto oggetto nel 1983 nacque da una presenza in un istituto bancario - di cui non parlo perché appartiene alla storia ma di cui parlai all'epoca alle forze dell'ordine, senza particolari conseguenze - che fornì notizie di tipo economico sulla mia posizione, grazie alle quali si produsse l'evento estorsivo. Ma questo non avvenne solo nei miei riguardi ma anche nei confronti di tutta una classe di professionisti: nessuno riuscì a sfuggire a questa situazione, alle estorsioni che venivano compiute. Non sfugge alle indagini della polizia che Benigno, cassiere della NCO, ha un fratello assessore... PRESIDENTE. Chi? ANTONIO GUERRITORE. Benigno. Costui, dicevo, praticamente cassiere della NCO e affiliato di Salvatore Di Maio, detto "Tore 'o guaglione", aveva un fratello assessore del comune di Nocera inferiore, che è stato tale, se non sbaglio, dal 1982 fino a quando lo stesso Benigno non fu falciato da una raffica di mitra mentre faceva ritorno a casa. Così come, se si vanno a scorrere tutte le amministrazioni locali, si trovano parenti, affiliati di clan camorristici che operavano nel settore. Ci sono numerose presenze di parenti di camorristi che ancora oggi lavorano presso i comuni dell'area meridionale, dell'area napoletana. PRESIDENTE. Dell'area napoletana, dell'agro nocerino-sarnese o dell'area campana? ANTONIO GUERRITORE. Dell'area campana ma porto in questa sede le mie dirette esperienze. Un altro sistema cui oggi si fa particolarmente ricorso è quello dello scioglimento dei consigli comunali. Tale provvedimento è sembrato la panacea di questi mali ma, alla fine, si sta rivelando un male peggiore di quello dal quale siamo partiti. Lo scioglimento dei consigli comunali produce un sicuro scollamento della classe politica, sociale e culturale della città nei confronti delle istituzioni, perché certamente il regime commissariale non consente, se non in casi eccezionali, un momento di informazione, di scambio di idee e di collaborazione con la città. Si prendono tre commissari soltanto, molte volte sprovvisti delle specifiche competenze nei settori nei quali sono chiamati ad operare e spesso in comuni sciolti non solo per collusione ma già afflitti da dichiarazioni di dissesto economico. Quindi, se da una parte si è determinato questo scollamento, dall'altra si verifica un distacco dei cittadini dalle istituzioni. Per quanto riguarda l'agro nocerino-sarnese, dove ben quattro tra i più importanti comuni sono commissariati, posso testimoniare come l'opinione della gente, salvo qualche caso, sia addirittura sfavorevole al regime commissariale, che non solo non risponde alle emergenze per le quali i cittadini speravano in puntuali risposte ma addirittura ha fatto cadere anche quei contatti immediati, quel filtro di raccordo tra popolazioni e amministratori che bene o male era presente nel passato. Avevo intenzione di svolgere il mio intervento riportando soprattutto le esperienze o le impressioni di chi vive in queste zone. Posso anche testimoniare il senso di profonda frustrazione di chi, vivendo in quelle zone, non soltanto subisce l'invivibilità legata a questi fenomeni, la pericolosità di svolgere il proprio mandato, ma addirittura cammina portandosi dietro l'ombra nefasta del sospetto, pur essendo chiaramente vittima di quegli stessi fenomeni. D'altra Pagina 3215 parte, pensavo che questo fosse anche l'orientamento della Commissione. Noto però che, soprattutto attraverso l'intervento del senatore Brutti, si è puntato a celebrare un processo alla democrazia cristiana, ad una sua corrente, quella popolare, ad un uomo di questa corrente. Si dimentica - desidero ricordarlo come esperienza personale - che dopo il terremoto furono nominati due commissari: uno regionale, che fu l'onorevole Fantini, ed un altro nella persona del sindaco di Napoli, l'onorevole Valenzi. A tutti e due fu attribuita la responsabilità di gestire l'emergenza durante il terremoto. Se c'è stato il coinvolgimento dell'onorevole Fantini, anche per problemi connessi alla sua gestione commissariale, per operazioni svolte non sempre nel rispetto della legge, anche sotto la gestione Valenzi si sono verificati fatti del genere. In una realtà così drammatica che ha coinvolto tutta la popolazione della Campania - che le posso garantire, presidente, essere sostanzialmente laboriosa e dalla parte della legge - non si può puntare a criminalizzare sostanzialmente un partito, una corrente e un uomo di quella corrente. Devo dire - concludo il mio intervento - che, in sostanza, in Campania bisogna compiere una serie di atti per estirpare il grosso bubbone della camorra; questa regione proprio per la mancanza di continuità nelle sue radici storiche, della cultura della violenza che è tipica della mafia, può trovare in un'energica opera dello Stato una sua possibilità di rinascita. Tale opera non può essere certamente solo di carattere repressivo, poliziesco e giudiziario, ma deve puntare soprattutto ad assicurare alcuni elementi sostanziali. Occorre in primo luogo assicurare la vivibilità dell'ambiente; basti pensare che il golfo di Napoli è uno dei più inquinati del mondo e che nell'agro sarnese-nocerino si impone il problema del fiume Sarno, il più inquinato d'Italia, di cui si parla da quarant'anni senza adottare provvedimenti che diano puntuale risposta. Al contrario, si assiste ad una serie di provvedimenti che stanno disperdendo grosse risorse economiche... PRESIDENTE. Anche adesso? ANTONIO GUERRITORE. Anche adesso. Sono state assunte iniziative che fino ad oggi non hanno sortito alcun effetto. Penso al grande impianto di depurazione di Coste di Mercato San Severino che dopo essere stato costruito, in prossimità dell'avvio del suo funzionamento, è stato bloccato per essere ridimensionato con conseguenti ulteriori spese, perché movimenti ecologisti, alla luce di nuove valutazioni, impediscono che possa entrare in funzione. Questo naturalmente - non entro nel merito della questione tecnica - ha rappresentato dal punto di vista economico una sconfitta dello Stato rispetto alle attese della gente e soprattutto una grossissima dispersione di mezzi economici. Dobbiamo offrire una sicurezza dal punto di vista ambientale e della difesa del cittadino, dobbiamo creare nuove occasioni di lavoro in una regione che registra la più alta percentuale di disoccupazione in Italia. Basti considerare che le liste di collocamento di Napoli, di Nocera, di Salerno o di Scafati da anni ormai non avviano nessun giovane e nessun adulto ad un'attività lavorativa. Senza far prevalere un orientamento favorevole allo svolgimento di un processo di tipo politico, occorre ricercare le cause sociali ed ambientali che si pongono alla base dell'esistenza e del rilancio della camorra. Altrimenti, quando il potere avrà abbandonato una parte ed avrà finito per rivolgersi ad un'altra, quest'ultima oltre ad essere investita dal consenso, finirà per diventare oggetto di attenzione da parte della camorra e delle manifestazioni delinquenziali, che comunque continueranno ad esistere. Allora, o dedicheremo nuove piazze agli eroi o avremo nuovi collusi sotto altre bandiere e sotto altri stendardi. Pagina 3216 PRESIDENTE. La ringrazio molto, senatore Guerritore; ha fornito elementi di grande utilità per la formulazione del testo definitivo. Desidero precisare che nella relazione sono indicati entrambi i nomi dei commissari straordinari di Napoli. Era stata avanzata la richiesta - che tuttavia non possiamo votare non essendo in numero legale - di proseguire la discussione nella giornata di domani, non essendo previsti altri impegni, a partire dalle 18, dopo lo svolgimento dell'attività del gruppo di lavoro presieduto dal senatore Butini. SAVERO D'AMELIO. Non possiamo rinviare alla settimana entrante? PRESIDENTE. No, abbiamo fissato la giornata di venerdì; ritengo di essere in grado per tale data di intervenire in sede di replica, riservandomi poi di apportare, sulla base degli interventi dei colleghi, tutte le correzioni necessarie e di determinare insieme un termine entro cui presentare la proposta corretta di relazione. Abbiamo comunque l'intera mattinata di venerdì, anche se sarebbe meglio utilizzare il tempo a disposizione domani. Poiché tuttavia in questo momento non siamo in grado di determinare questa possibilità, mi riservo di avvertire eventualmente tutti i colleghi; in mancanza di ogni avviso, resta inteso che la prossima seduta avrà luogo venerdì mattina alle 9,30. La seduta termina alle 17,25.