PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Comunicazioni del Presidente: Violante Luciano, Presidente .............. 3219, 3228, 3229 Boso Erminio Enzo ..................................... 3229 Buttitta Antonino ..................................... 3229 Cappuzzo Umberto ...................................... 3228 D'Amato Carlo ......................................... 3229 Florino Michele ....................................... 3228 Ranieri Umberto ....................................... 3228 Tripodi Girolamo ...................................... 3229 Seguito della discussione della relazione sulla camorra: Violante Luciano, Presidente, Relatore ................ 3219, 3231, 3233, 3234, 3235, 3237 3238, 3239, 3240, 3241, 3243, 3244, 3245, 3247, 3248 3249, 3250, 3251, 3252, 3253, 3255, 3257, 3260, 3262 Buttitta Antonino ......................... 3244, 3245, 3246 3247, 3248, 3253 Cabras Paolo .................................... 3219, 3241 Cappuzzo Umberto .......................... 3134, 3235, 3248 3249, 3250, 3251 D'Amato Carlo ................. 3226, 3234, 3235, 3236, 3240 3244, 3252, 3253, 3255, 3257, 3258, 3259, 3260 Ferrara Salute Giovanni3246, 3252, 3259, 3260 Florino Michele ..................... 3224, 3233, 3234, 3235 3236, 3237, 3240, 3247 Imposimato Ferdinando ............... 3238, 3239, 3240, 3241 3242, 3257, 3258, 3259, 3260 Matteoli Altero ....................................... 3219 Ranieri Umberto ........................... 3229, 3231, 3257 Sorice Vincenzo ........................... 3223, 3224, 3226 Tripodi Girolamo ...................................... 3253 Sui lavori della Commissione: Violante Luciano, Presidente .................... 3238, 3262 Ferrara Salute Giovanni ............................... 3262 Pagina 3218 Pagina 3219 La seduta comincia alle 9,40. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Comunicazioni del Presidente. PRESIDENTE. Il Presidente della Camera e quello del Senato verranno oggi pomeriggio per visionare il sistema di informatizzazione degli atti della Commissione; la nostra è infatti la prima ad aver adottato questo sistema, che consente un'immediata consultazione della documentazione. Seguito della discussione della relazione sulla camorra. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della relazione sulla camorra. Ha chiesto di parlare l'onorevole Matteoli. Ne ha facoltà. ALTERO MATTEOLI. La relazione predisposta rappresenta sicuramente un passo avanti rispetto al silenzio del Parlamento per tanti anni di fronte alla criminalità organizzata. Abbiamo detto questo anche quando si è trattato della relazione mafia-politica, ma questa volta devo dire che la relazione sulla camorra ha degli aspetti di verità molto più pregnanti di quelli che il mio gruppo aveva potuto verificare nella relazione mafia-politica. Alcune parti sono state volutamente dimenticate soprattutto nei rapporti politici che si sono istaurati alla fine degli anni settanta, in Campania e in particolare a Napoli. Cercherò di spiegare quello che intendo. Il massacro della Campania in generale e di Napoli in particolare, la politica, l'economia, la morale, persino la Chiesa: tutto è in discussione, tutto ruota intorno alla camorra. Ecco allora una prima domanda: che democrazia ci può essere in una città ridotta così? Che tipo di democrazia ci può essere in una città e in una regione dove tutto ruota intorno alla criminalità organizzata? Il degrado di quella zona è dato anche dall'impossibilità, da parte delle persone per bene che ci vivono, e sono tante, di essere libere, di poter scegliere, di potersi muovere. Nel caso Cirillo è lo stesso sistema ad essere messo sotto processo. I sindaci di Napoli sono appartenuti a quasi tutti i partiti politici: sono stati democristiani, socialisti, comunisti, laici... PAOLO CABRAS. Anche della destra! ALTERO MATTEOLI. Sì, anche della destra, ma era più lontano nel tempo. Del resto, ho parlato di tutti i partiti politici. Anche i monarchici hanno governato Napoli per tanti anni; non vi è un partito che non abbia avuto un proprio esponente sindaco di Napoli. Quanto è stata pilotata l'ingovernabilità della città e dei comuni? Nella relazione ho trovato spesso una contraddizione: l'ingovernabilità presa a scusante dell'inoperosità, mentre io ritengo che essa sia voluta, al fine di far "passare dalla maglia" tutte le operazioni camorristiche possibili e immaginabili. Quanto è servita l'ingovernabilità per favorire il passaggio della criminalità organizzata? A queste domande dobbiamo dare una Pagina 3220 risposta. Non si può operare perché c'è instabilità politica oppure si crea instabilità politico-amministrativa per poter fare accordi con il mondo criminale? Ho trovato nella relazione alcuni passaggi che rispondevano nel primo senso ed altri nel secondo. Nessuno conosce il reale deficit di Napoli. La situazione è simile soltanto a quella di Palermo: il sindaco Orlando, appena eletto, già parla di sciogliere il consiglio comunale per dissesto economico. Quindi se tutto questo è vero, in Campania e a Napoli in particolare, tutto è camorra, lo Stato è camorra. Questa è la risposta, perché nulla è casuale. Non ci sono colpevoli? Sono tutti colpevoli dello sfascio - politici, magistrati, amministratori, uomini dello Stato -, perché Napoli, la Campania, lo Stato è camorra. Ci sono 18 consiglieri comunali inquisiti: 14 si sono dimessi e a loro sono subentrati i primi tra i non eletti. Gli elettori hanno votato per un consiglio e se ne sono trovati un altro, perché i subentranti non avevano ottenuto la fiducia degli elettori o, comunque, ne avevano ottenuta meno. Anche qui, la governabilità, la democrazia, la volontà popolare, tutto "va alle ortiche". Infatti, se siamo costretti, per non dover sciogliere il consiglio comunale, a far dimettere gli inquisiti e a far subentrare i primi non eletti, la volontà popolare non è rispettata. Il 21 novembre scorso la città ha votato per il cambiamento; certo, ha votato anche emotivamente. Ma cosa si presenta al nuovo sindaco, sia che vinca l'esponente di destra o quello di sinistra? Lo Stato dov'è? Qui ritorna sempre il vecchio discorso: se non riusciamo a rendere lo Stato efficiente, uno Stato che protegga, chiunque vinca non potrà comunque rispettare questa esigenza di rinnovamento che la città di Napoli ha chiesto con il voto. Attenzione, poi, che attraverso le "ammucchiate" si torna al consociativismo, che tanto danno ha provocato in Italia e soprattutto in Campania. Dunque, se non è vero che la camorra ha assicurato la stabilità politica per far procedere le grandi operazioni economiche, essa ha bisogno di instabilità per operare, a nostro avviso, e quindi nella relazione c'è questa contraddizione. Nella relazione è scritto che la regione campana ha avuto 19 giunte in 23 anni; anche qui vi è una risposta precisa a quanto accade in questa città. Non è possibile avere un Governo che duri mediamente poco più di un anno: ripeto, l'ingovernabilità quanto è pilotata? Non mi pare che dalla relazione ciò appaia chiaro. All'inizio della relazione si parla dell'instabilità politico-amministrativa degli enti locali e così via; nella parte conclusiva, quando si riprende questo aspetto, si mette in bocca agli amministratori che sono stati ascoltati l'impossibilità di operare a causa dell'ingovernabilità: sarebbe necessario un chiarimento a questo proposito nella relazione, perché certamente la camorra è pervasiva, certamente è presente in ogni angolo, però è diversa dalla mafia. La camorra non ha ucciso un politico come Lima, come Mattarella o come Reina, perché l'organicità del sistema politico con la camorra è ancora più pregnante rispetto a quello della mafia: non vi è stata alcuna opposizione. In Sicilia - l'abbiamo ripetuto spesso - i politici collusi con la mafia sono tanti; abbiamo visto molti nomi di parlamentari, di consiglieri comunali, provinciali e regionali. Però una linea di demarcazione è sempre esistita tra la mafia e i politici: quest'ultima ha operato, i politici hanno operato, hanno concluso accordi, ma con una linea di demarcazione precisa. In Campania no: spesso camorristi e politici sono le stesse persone. Voglio fare un'affermazione forte, per far capire cosa intendo dire: Riina non è mai diventato sindaco di un comune della Sicilia, mentre in Campania camorristi e omicidi hanno rivestito questa carica. Quindi, la camorra governa il disordine sociale, così è scritto nella relazione. Sì, ma non saremmo capiti se non aggiungessimo che la camorra governa tutto: la politica, gli appalti, la sanità, l'urbanistica. Napoli si è unita ai comuni vicini grazie all'aggressione Pagina 3221 urbanistica; non esiste più un confine, hanno costruito così perché così voleva la camorra. Mi ha fatto piacere che nella relazione presentata dall'onorevole Violante si sia richiamata quella del senatore Saredo dell'inizio del secolo; io ho ritenuto di allegarla addirittura alla mia relazione di minoranza perché, leggendo quelle pagine, ci si rende conto che dopo cento anni non è cambiato praticamente niente da un punto di vista politico-amministrativo; la camorra è diventata più feroce, se vogliamo, c'è più sangue, ma non è cambiato nulla. La liberazione dalla camorra esige una radicale azione sociale: siamo d'accordo con questa parte della relazione, ma ho dei dubbi che intendo esternare. L'azione di contrasto dello Stato nei confronti della criminalità resta il punto determinante, altrimenti dare lavoro in Campania e fornire servizi sociali in questo caso significa investire denaro che la camorra è pronta ad intercettare ancora. Certo che occorre lavoro in Campania, certo che occorrono servizi sociali, ma attenzione: se non vi è prima l'azione di contrasto finiamo per portare linfa vitale alla camorra; sono terrorizzato. I 517 miliardi stanziati dallo Stato per costruire a Nusco il nuovo stabilimento della Piaggio stimoleranno l'appetito della camorra; se lo Stato non darà vita prima ad una forte azione di contrasto, la criminalità non potrà essere sconfitta. Abbiamo saputo, da pentiti e da non pentiti, cosa hanno rappresentato le carceri per la criminalità organizzata; anche in questo caso la camorra supera la mafia: le carceri non costituiscono più un luogo di pena ma sono diventate un salotto dove si incontrano camorristi, politici, servizi segreti; nelle carceri si attuano vendette, condanne a morte. E' accaduto di tutto. Nessun'altra regione d'Italia ha 19 magistrati inquisiti a vari livelli, nemmeno la Sicilia o la Puglia; si tratta di un dato peculiare della Campania: 8 politici di vertice, centinaia di politici con incarichi locali, ma il dato più inquietante è rappresentato dai 19 magistrati inquisiti e dal livello in cui alcuni sono inquisiti. Spesso - e ciò è scritto nella relazione - sotto la liceità formale si nascondono gravi irregolarità sostanziali. In Campania si sono scritte le pagine più vergognose della magistratura, non ci sono dubbi. Per tornare un attimo al caso Cirillo, vorrei tentare di ricostruire quegli anni, sia pure sinteticamente, anche per quanto riguarda i rapporti intercorsi tra la democrazia cristiana e il partito comunista in Campania. Il Parlamento proprio in quegli anni presentava parallelamente il primo progetto di legge sul pentitismo relativo al terrorismo; il caso Cirillo scoppia nel momento in cui le più alte cariche dello Stato ruotano intorno ad una massima: con il terrorismo non si tratta. Era stata la vicenda Moro a far effettuare tale scelta ai massimi vertici dello Stato. Sono gli anni in cui Camera e Senato si occupano di stendere il primo provvedimento sui pentiti; in quei giorni, un articolo di Leonardo Sciascia definisce questa legge un "misfatto giuridico" e un "attentato alla Costituzione". Il Parlamento, con il voto contrario soltanto dei radicali e dei missini, approvò in quel momento una normativa che io definisco ancora mostruosa, che portò pluriomicidi fuori dal carcere. Tutto quello che è accaduto altro non è che la conseguenza di ciò che fu partorito a Roma: il marcio quindi resta tutto sommato qui. Terrorismo, mafia, camorra, non sono fatti estranei al palazzo, è il palazzo che li genera, è il palazzo che li alimenta e finché non si cambiano le regole e non si rigenera il palazzo, si rischia che la mafia e la camorra continuino a vivere. Ma a Napoli si è scritta in quegli anni anche un'altra pagina che vale la pena di ricordare, che vede protagonisti i due più grandi partiti italiani, cioè democrazia cristiana e partito comunista. Alla fine degli anni settanta la stampa nazionale cominciò a dipingere il senatore Gava come il padrino, il padrone, il capo clan, tant'è vero che nel 1978, mentre il partito comunista si accingeva a dare il voto nel Governo di solidarietà nazionale ad Andreotti, pretese che il Pagina 3222 senatore Gava non entrasse a farne parte, altrimenti non avrebbe dato il suo appoggio esterno. Poi però i giudizi cambiarono, e da doroteo Gava si fa portavoce del linguaggio di solidarietà nazionale con il partito comunista: i comunisti si adeguarono, così come avvenne per l'onorevole Lima in Sicilia. E' la stessa, identica vicenda di Lima, fanfaniano anticomunista, che diventa andreottiano filocomunista, e i comunisti smettono di attaccarlo. Così avviene a Napoli; non interessa più che Gava sia divenuto il padrone di Napoli, servendosi delle banche, degli istituti finanziari, degli enti di sviluppo, dei consorzi industriali, dei consigli di amministrazione, tutti dominati attraverso i suoi uomini. La sinistra allora cambiò idea e disse: come si fa a fare politica a Napoli senza sporcarsi? E' una necessità! Nacque così l'accordo tra Geremicca, comunista, e Salvatore Russo, gavianeo, per la costruzione di 20 mila alloggi, un comitato politico cittadino DC-PCI tutto improntato alla spartizione del potere, affari sui quali prospera la camorra. Andiamo a vedere le aree in cui le scelte urbanistiche ricaddero: erano aree in cui comandava e comanda la camorra più sanguinosa. Il sindaco Valenzi, proprio in quei giorni, si recò dall'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini per chiedere solidarietà nella battaglia contro la camorra e contro lo sfascio morale di Napoli. Nel frattempo Vincenzo De Rosa (del partito socialdemocratico) e Alfredo Arpaia (del partito repubblicano) continuarono a restare nel consiglio comunale nonostante fossero condannati per il racket sui cimiteri voluto dalla camorra. Se leggiamo gli articoli di quegli anni, di quei mesi, di quelle settimane su Rinascita, che portano la firma di Bassolino, di Mauro, di Calise, di Emanuele Macaluso sul caso camorra-Cirillo-brigate rosse, non troviamo mai una volta citato il senatore Gava. Insomma, nessuno dei partiti di regime può dire di essere immune da colpe; come faceva la Repubblica italiana a sconfiggere la mafia e la camorra quando promuoveva a rango di "consigliori" di Stato camorristi pluriomicidi come Cutolo, per di più pagandoli? Quindi la camorra, non tanto con i suoi uomini quanto con i suoi spietati sistemi, diventa l'anello di congiunzione tra il potere politico e il potere economico, pubblico o privato che sia. Infine, quando nella relazione si parla dell'imprenditoria, a pagina 93, si dice "Di diversa natura, ma grave dal punto di vista dell'etica imprenditoriale, è l'episodio che coinvolge una cooperativa della Lega nazionale delle cooperative". Nutro rispetto, pur nelle polemiche, nei confronti del presidente di questa Commissione, altrimenti definirei ridicola questa frase, perché non ha supporti etici. Come si fa a sostenere che si tratta soltanto di un problema di etica imprenditoriale, quando nella relazione, alcune righe sopra, si dice che l'imprenditoria non ha praticato alcuna iniziativa per moralizzare il sistema? Quest'imprenditoria comprende anche la lega delle cooperative. Il colore rosso delle cooperative non può trasformare il problema in semplice etica imprenditoriale; vi è stata acquiescenza - si dice - da parte dell'imprenditoria: soltanto per le cooperative si è trattato di un problema di etica? No, non ci siamo. Nella relazione va scritta la verità; così come in Sicilia lo sbarco americano fu favorito da tutte le forze politiche che barattarono lo sbarco e la gestione dello stesso con l'accreditamento di certa imprenditoria e, tra quest'imprenditoria, anche le cooperative rosse, così in Campania la collusione delle istituzioni con la camorra ha portato a favorire parte dell'imprenditoria e, in questa, anche le cooperative rosse, che vanno al di là del fatto specifico che ci ha raccontato il pentito; non possiamo sostenere nella relazione che nulla si tocca se la camorra e la mafia non sono d'accordo, che non si costruisce una strada, un ponte, un grattacielo o una casa se la mafia e la camorra non sono d'accordo e se non si paga la tangente, e nello stesso tempo affermare che quando si tratta delle cooperative Pagina 3223 rosse questo diventa un problema di etica imprenditoriale e basta. Sostengo questa tesi non per il caso specifico che ci ha raccontato il pentito ma perché le cooperative rosse hanno vinto in Campania una miriade di gare d'appalto e se le hanno vinte vuol dire che erano d'accordo con la camorra, così come è avvenuto in Sicilia. Il pentito Messina fu, sotto questo profilo, di una chiarezza esemplare quando affermò che non si scarica un carrello sollevatore se prima non sia stata pagata una tangente alla mafia; se le cooperative rosse in Sicilia, come a Napoli e in Campania, scaricano i carrelli sollevatori, è evidente che hanno pagato le tangenti alla camorra. Altrimenti crolla tutto! Dobbiamo fare una relazione diversa, in cui affermiamo che esiste un'imprenditoria corrotta con politici e mafia che va individuata; se noi diciamo invece che tutto è camorra - perché dalla relazione viene fuori che tutto in Campania è legato al mondo della criminalità organizzata - non possiamo poi sostenere che questo concetto va bene per tutta l'imprenditoria mentre per quanto riguarda le cooperative rosse si tratta soltanto di una diversa natura. In questo passaggio si nota la bravura del presidente Violante, "vecchio" magistrato e uomo politico; però, consenta anche a noi di leggere fra le righe. Si afferma: "Di diversa natura, ma grave dal punto di vista dell'etica imprenditoriale", ma poi si dice che "coinvolge una cooperativa". Si sottolinea il fatto che sia "una", facendola passare come una cosa marginale rispetto ai legami tra l'imprenditoria di tutti i tipi con la camorra ed il mondo politico campano e napoletano. La relazione, come ho detto all'inizio, costituisce indubbiamente un passo avanti; se nel corso del dibattito sarà manifestata la volontà di modificare questi passaggi che ho sottolineato - e dopo di me lo farà il collega Florino -, potremo decidere di votarla, ma se la relazione dovesse rimanere nella stesura attuale, pur rappresentando un passo avanti, difficilmente potremo farlo. VINCENZO SORICE. Nella relazione vi è un punto sul quale occorre fare una riflessione generale per arrivare a delle conclusioni; mi riferisco alla parte in cui si parla della sottovalutazione del fenomeno camorristico. Bisogna chiarire se la sottovalutazione, riguardi quest'ultimo periodo in cui la camorra ha avuto un'accentuazione bellica o i tempi che si sono succeduti. E' evidente infatti che se andiamo all'origine della camorra dobbiamo riferirci all'origine spagnola della stessa, che ha visto poi un susseguirsi di avvenimenti. Allora, un fatto dobbiamo accertare, proprio dall'origine spagnola della camorra, cioè che la camorra non ha mai avuto una natura verticale e gerarchica. La differenza tra camorra e mafia è rappresentata dal fatto che quest'ultima ha avuto una struttura verticale gerarchica e quindi era un'organizzazione criminosa, mentre la camorra invece si muoveva su fatti temporali occasionali e non aveva una dimensione organizzata. Due fatti sono importanti per comprendere il fenomeno camorristico: il primo è il processo Cuocolo all'inizio del novecento, il secondo è la nascita della nuova camorra organizzata da Cutolo. Per quanto riguarda il processo Cuocolo, nel 1906 un camorrista e sua moglie vengono uccisi - si dice - da un certo Enricone, ritenuto il capo della camorra. Scatta una serie di azioni, anche allora vi è un sospetto sulla polizia di Stato, i carabinieri si impossessano della pratica, vengono arrestate 80 persone. Durante il processo di Viterbo - il primo maxiprocesso della storia - queste 80 persone vengono condannate all'ergastolo. Si scopre poi che ad uccidere i due coniugi non erano stati questi camorristi; si tratta del primo atto di ingiustizia nei confronti della camorra, ma era un fatto molto marginale. Dal quel momento la camorra fu completamente sbaragliata. Intervenne poi il fascismo. Mussolini non ammetteva l'esistenza della camorra, per motivi suoi e principalmente Pagina 3224 perché appariva come un fatto che offendeva l'organizzazione da lui data allo Stato. Trovò quindi un modo per uscirne: cominciò gradatamente a scarcerare, con successive grazie, tutti gli ergastolani condannati in quel famoso processo. Per Mussolini e per il fascismo ormai la camorra non esisteva più. Ecco qual è la storia di questa organizzazione che nasce addirittura con la dominazione spagnola e durante il fascismo scompare. Cosa succede nel dopoguerra? Arrivano con gli americani due personaggi: Lucky Luciano e Vito Genovese. Il primo si occupa della mafia in Sicilia e il secondo dell'organizzazione camorristica. Anche in questo periodo, però, non si struttura una organizzazione vera e propria perché Vito Genovese, che mantiene comunque collegamenti con Lucky Luciano e con la mafia, si occupa soltanto di due settori importanti: quello del contrabbando delle sigarette e quello della prostituzione. Nella visione che ne ha Vito Genovese la camorra non è ancora quella che sarà con Cutolo. Quando nasce la camorra? Durante il periodo dominato da Vito Genovese, contrariamente a quanto si può immaginare, la camorra non è fenomeno urbano, anche se alla fine si radicherà a Napoli, perché si occupa soprattutto del mercato ortofrutticolo, vale a dire dell'hinterland. Un certo Pascalone di Nola diventa il primo capo camorrista che avvia una vera e propria organizzazione e che poi viene ucciso in uno scontro con Antonio Esposito di Pomigliano d'Arco. MICHELE FLORINO. Quello è il mandante perché l'uccisore vero fu Gaetano Orlando detto Tanino 'o bastimento. VINCENZO SORICE. Antonio Esposito era l'altro capo. In questo quadro ancora confuso nasce la prima esperienza politica, quella di Lauro, intorno agli anni tra 1950 ed il 1953. La prima domanda che mi pongo è la seguente: vi è stato fra Lauro e la camorra un collegamento organico? A questo interrogativo dobbiamo trovare una risposta. La figura di Lauro è emblematica della vicenda napoletana. Qualcuno sostiene che facesse soltanto leva sul populismo, sul qualunquismo, sulla solidarietà verso il popolo napoletano, ma ciò non toglie che il primo interrogativo che dobbiamo porci per comprendere le vicende successive è, a mio giudizio, se quel consenso elettorale per Lauro sia stato o meno immune da ogni collegamento con la camorra. Per inciso dico che qualche dubbio del genere può nascere anche oggi: ad esempio, dobbiamo porci qualche domanda per quello che è accaduto in questi giorni in Sicilia. A proposito dell'ampio consenso ottenuto da Orlando nella competizione comunale, a fronte del 75 per cento dei voti, dovremmo domandarci dove sia andato a finire il voto mafioso, se c'era ed oggi non c'è più. Risolto questo problema sotto il profilo storiografico, dobbiamo passare ad analizzare dove e come nasca la prima vera organizzazione della camorra. Il personaggio chiave è Cutolo. Cosa capisce Cutolo? Una cosa molto importante, cioè che la vecchia camorra ottocentesca era stata distrutta perché non aveva collegamenti, né politici né sociali: era soltanto il frutto di azioni di forza. Cutolo capisce anche che la camorra doveva rivolgersi ad affari lucrosi e soprattutto avere il controllo degli appalti e della droga. Dico per inciso che quest'ultimo problema va considerato proprio in quest'ottica, visto che nella relazione andrebbe fatto un maggiore approfondimento. Cutolo compie così un doppio salto di qualità. A ciò si aggiunga che egli si impossessa anche di un certo "laurismo", di quello che viene considerato il terzo elemento della camorra, vale a dire la solidarietà. Non dobbiamo perciò meravigliarci del fatto che Cutolo dal carcere possa gestire i suoi affari. In ragione di quella solidarietà, stare dentro o fuori dal carcere era la stessa cosa; e ciò valeva per Cutolo e per tutti quelli che operavano all'interno del sistema camorristico. La relazione comunque svolge intorno a Cutolo Pagina 3225 un'analisi condivisibile. Si arriva quindi alla famosa guerra con Alfieri. Se questo è il quadro storico, l'elemento da ricercare è quello dei rapporti fra politica e camorra. Al di là delle possibili terapie, occorre infatti comprendere bene tale fenomeno. Ho l'impressione che nella relazione vi sia la tendenza ad immaginare l'ambiente politico o, perlomeno, alcuni suoi spezzoni, come promotore della camorra, come soggetto che la utilizza per i suoi fini illeciti. Questo, presidente, è il punto fondamentale sul quale appuntare la riflessione. Quando abbiamo discusso del rapporto tra politica e mafia in Sicilia, ci siamo convinti della sua organizzazione gerarchica e finalizzata che, ovviamente, finisce per dare ordini ai politici. Nel contempo, nella relazione riferita a questo argomento, era contenuta un'impostazione che faceva comprendere come i politici utilizzassero la mafia. In Campania il problema è identico ed esattamente contrario nel senso che è la camorra ad utilizzare i politici, occasionalmente, affare per affare; molte volte gli stessi politici sono costretti a difendersi dalla camorra. Si pensi alla morte di Torre, sindaco di Pagani. Si verifica poi un secondo passaggio evidenziato dal Galasso nella sua deposizione. Egli afferma che la camorra non sostiene i partiti politici, ma singole persone ed aggiunge che è indifferente alle ideologie, guarda solo alla convenienza ed ai suoi progetti economici. L'obiettivo della camorra è dunque di trarre profitto da quelle amicizie. Al pari della mafia, la camorra è molto ben inserita nella struttura sociale. E questo dato, a mio avviso, è stato sottovalutato. Si arriva al punto - ed è detto anche nella relazione - che due parroci danno un giudizio positivo dei fratelli Pavone, due terribili capi camorristi cutoliani. Per loro si trattava di persone più che perbene che andavano in chiesa e davano l'obolo. Proprio il fatto che il sistema carcerario fosse permeabile significa che al suo interno vi erano numerose collusioni. A prescindere dal fatto che potesse ricevere visite nel corso del sequestro Cirillo, il dato saliente è che Cutolo continuava a gestire dal carcere i suoi affari. E non dobbiamo dimenticare che sono più gli anni in cui è stato in carcere che fuori, considerato anche il periodo della fanciullezza. Ciò dimostra - lo ripeto - l'esistenza di collusioni. Si tratta di un fatto molto importante perché la camorra, a differenza di cosa nostra, non contrappone un ordine alternativo a quello dello Stato, ma governa il disordine e l'ordine sociale. Quindi, ne è parte integrante. La relazione - ed in questo credo sia abbastanza obiettiva - penetra poi nell'amministrazione della giustizia. Ci sono ben 19 magistrati bene o male indagati, chi dal Ministero di grazia e giustizia, chi dal Consiglio superiore della magistratura, chi dalle procure competenti. Esistono dichiarazioni di Galasso circa "aggiustamenti" di processi che si affiancano alla partecipazione di magistrati alle commissioni di collaudo. Si tratta, quindi, di una grossa partecipazione. Nella relazione è contenuta un'analisi abbastanza approfondita che dimostra la penetrazione della camorra. C'è però un punto di essa che va separatamente affrontato: quello delle forze dell'ordine. Non dimentichiamo che Garibaldi, dopo l'unità d'Italia, affidò ad un camorrista l'organizzazione dell'ordine pubblico. Per chiarire bene il quadro va dunque considerata l'impostazione delle forze dell'ordine, la loro permeabilità. La relazione ha ben evidenziato anche il filo sottilissimo che lega l'abusivismo bancario, l'usura, l'estorsione, il riciclaggio. A quale conclusione tutto ciò mi fa giungere? Che vi sia una collusione tra la camorra e la società civile. Quest'ultima, se mi è consentito dirlo, è rappresentata da tutti gli spaccati socio-economici: dall'ambiente politico all'attività giudiziaria, dall'attività inquirente a quella economica ed imprenditoriale. E' un cancro che ha contagiato tutto il paese e che, non avendo la camorra un progetto Pagina 3226 alternativo allo Stato, viene sottovalutato da tutti. Esso si è trasformato, dunque, in un male endemico: la società campana convive con la camorra come il malato convive con la sua malattia. L'ultimo passaggio della relazione - questo è il punto fondamentale - cerca di accentuare la responsabilità politica amministrativa. Su questo punto, si deve dare atto che nella relazione il presidente non esprime giudizi ma, con la sua intelligenza, pone dichiarazioni e confronti e si limita quindi ad esporre i fatti. Ritengo pertanto che sia quanto mai pertinente un'audizione del senatore Gava perché ci troviamo di fronte soltanto ad una sia pur rispettabile ipotesi accusatoria, ma non abbiamo sentito la difesa. Siamo di fronte a dichiarazioni di pentiti, di soggetti coimputati e quindi interessati. Tuttavia, siccome alla fine si dà una valutazione politica del problema, che ha dei risvolti giudiziari, appare opportuno sentire la difesa, secondo l'impostazione tracciata dal presidente. Per quanto riguarda alcune osservazioni finali, desidero sottolineare che dobbiamo anche avanzare delle proposte. Vi è sempre stata in Parlamento una vecchia contrapposizione tra maggioranza e minoranza, a seconda dei ruoli che si esercitavano nel Parlamento stesso: mentre la maggioranza tendeva ad accentrare le competenze nello Stato e nel Governo, vi è sempre stata una tendenza delle minoranze a delegare in periferia, perché attraverso questo tipo di delega si consentiva una maggiore partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica. Di qui tutte le osservazioni svolte quando si sosteneva che gli enti locali non erano idonei a sviluppare alcuni tipi di funzioni e la nascita del cosiddetto consociativismo. CARLO D'AMATO. Può ripetere questo concetto, che non ho ben compreso? VINCENZO SORICE. Mi riferivo al decentramento non amministrativo ma politico. Mentre le forze di Governo tendevano a far rientrare nel concetto di unità dello Stato una gestione centralizzata basata sulle competenze dello Stato, in Parlamento si è sviluppata, soprattutto durante gli anni della collaborazione tra DC e PCI, ossia nella fase della solidarietà nazionale, una tendenza a prevedere una maggiore partecipazione perché le opposizioni erano più presenti a livello locale. Questo è d'altronde il frutto di tutta la situazione. E' evidente che poi la conseguenza di quella legislazione ha portato ad un'autonomia degli enti locali in materie delicatissime come la gestione del terremoto, di grossi finanziamenti, che ha creato naturalmente un tipo di corruzione strisciante e un tipo di condizionamento locale per cui mi chiedo se vi fosse un indirizzo a livello nazionale. Il decentramento dei poteri ha creato dei centri decisionali a livello periferico politicamente più gracili e più facilmente permeabili rispetto alla criminalità organizzata. Questo vale per la Sicilia ma vale soprattutto per la Campania. Quindi, la classe burocratica ha assunto una dimensione ed un'importanza maggiori (mi riferisco alla classe burocratica di basso livello) e gli amministratori hanno avuto una permanenza in carica più lunga rispetto al ciclo di un deputato: facendo l'"anagrafe" degli amministratori locali in queste zone, si constata che vi sono sindaci che restano in carica per 15, 20 o 25 anni. Vi è poi la collusione di alcuni amministratori con l'interesse specifico dell'appalto, la collusione dell'imprenditoria su fatti specifici e facilmente gestibili a livello locale perché mancava un indirizzo nazionale; vi era quindi un coinvolgimento generale. Se questa è l'analisi dei fatti, accetto l'impostazione del presidente nel momento in cui egli fa una dichiarazione in cui divide la responsabilità penale da quella politica, dal momento che la responsabilità penale è soggettiva, mentre (sono le parole del presidente) "per responsabilità politica si intende la responsabilità per eventi lesivi di interessi fondamentali di singoli o di una comunità, che dipendono da Pagina 3227 scelte di autorità politiche; tali scelte possono consistere o in atti specifici riconducibili all'esercizio di funzioni politiche o in omissioni di comportamenti ritenuti politicamente doverosi". Si tratta di un'impostazione che condivido. Alla fine però lei, presidente, conclude questa bella relazione con la seguente frase, che si legge a pagina 127: "Nel quadro generale dell'esposizione spiccano tra gli altri i rapporti del senatore Antonio Gava con dirigenti locali della sua corrente che raccoglievano per lui il consenso elettorale e controllavano le amministrazioni locali mediante organici collegamenti con gruppi camorristici". Questa è l'ultima osservazione che intendo svolgere ed il dubbio che mi pongo è il seguente: ho provato più volte a leggere questa frase e onestamente essa, in sé e per sé, può essere asettica. Se la si rilegge con molta attenzione, si può constatare che la relazione prende in esame alcuni fatti (penso a quelli di Sant'Antonio Abate e di Poggiomarino); il presidente prende quindi in considerazione alcuni fatti, evidenzia alcuni collegamenti degli amministratori con la camorra e l'imprenditoria, taluni fatti penalmente rilevanti; questi soggetti si dichiarano o vengono dichiarati amici del senatore Gava e quindi la relazione si conclude con questo tipo di impostazione. La domanda che allora mi pongo è la seguente: Antonio Gava è il punto di riferimento oggettivo di una dichiarazione altrui, come fatto di corrente, di amicizia di partito, e quindi risponde del fatto di avere questi amici oppure il senatore Gava è l'organizzatore di questa azione di collegamento con la camorra, per cui diventa attuabile la prima impostazione, cioè quella secondo cui, come è stato denunziato, è il potere politico ad organizzare e ad utilizzare la camorra? La frase che ho citato può essere - lo ripeto - asettica perché il presidente ha dato tutta una impostazione basandosi sulle deposizioni ed affermando alla fine che alcuni amici di Gava erano in collegamento con la camorra. Il presidente, quindi, prende atto di una realtà. Siccome non si parla più di altri parlamentari, sia pure citati en passant, ma si parla soltanto di Gava, mi domando quale sia la funzione di quest'ultimo. La sua posizione è quella, comune a tanti deputati impegnati nelle campagne elettorali, di avere amici che poi sono inseriti nella struttura civile, che appaiono persone perbene mentre poi, alla fine, si scopre che tali non sono o perlomeno si sottovaluta il fatto, come si diceva in precedenza. Questa è una prima interpretazione, mentre la seconda è quella secondo cui Gava è il punto di riferimento operativo e quindi il soggetto che organizza tutta l'impostazione e utilizza sue persone e strumenti operativi per realizzare fini illeciti penalmente rilevanti. Questo è un dubbio che vorrei fosse eliminato, per cui l'audizione del senatore Gava è un atto di giustizia nei confronti della verità e non a difesa né di una parte politica né di un'altra. Sulla conclusione, sono d'accordo con l'impostazione del presidente laddove egli afferma che l'opera di contrasto alla criminalità organizzata non può essere fondata solo sulla repressione. Se mi consente, presidente, devo rilevare che nella sua relazione lei ha staccato eccessivamente Napoli e la Campania dal contesto del Mezzogiorno in termini generali, per cui credo che un raccordo vada realizzato, poiché altrimenti non si comprende quale sia il problema reale del Mezzogiorno e quindi i problemi sociali, soprattutto oggi che ci troviamo di fronte ad un tentativo politico di smantellamento globale dello Stato sociale. Infatti, nel passaggio dallo Stato di diritto allo Stato sociale siamo scivolati nello Stato assistenziale, che ha prodotto questi elementi negativi ed ora, nell'ambito di una specie di reazione nei confronti dello Stato assistenziale, si scavalca lo Stato sociale e si risponde al puro Stato di diritto in cui ovviamente viene abbandonato a se stesso ogni problema di solidarietà sociale nei confronti di alcune zone del nostro paese. Credo che un approfondimento vada fatto ed il collegamento con il Mezzogiorno può offrire uno spaccato più importante per Pagina 3228 quella che può essere poi l'azione propositiva e per quelli che devono essere gli impegni sia governativi sia delle altre autorità per un riscatto sociale del Mezzogiorno. Ritengo, in conclusione, che mai come in questo momento occorra ripristinare la cultura della legalità, perché a Napoli ed in Campania studiando il fenomeno della camorra ci siamo resi conto di tale necessità. L'esempio più banale può essere rappresentato dal fatto che quando si va a Napoli bisogna sempre offrire un prezzo inferiore o addirittura dimezzato rispetto a quello chiesto dal venditore. Si tratta di un fatto banale, di folclore, ma è anche il sintomo di una cultura dell'illegalità che ha permeato tutto il sistema sociale campano. Credo che in questo quadro dovremmo ristabilire ad ogni livello la cultura della legalità e ritengo che la scuola sia l'unico strumento che abbiamo a disposizione per dare vita a questo tentativo di socializzazione all'interno del territorio. Comunicazioni del presidente. PRESIDENTE. Comunico ai colleghi che è pervenuta in questo momento una lettera del generale De Sena indirizzata al presidente e ai componenti della Commissione, in cui lo stesso generale afferma che la stampa quotidiana riporta ampi stralci della relazione di codesta onorevole Commissione sulla camorra. "Nell'articolo citato, inoltre - prosegue la lettera - si fa riferimento agli 'uomini di Gava che erano adusi incontrare con frequenza regolare i maggiori capi camorra: come il generale De Sena, candidato sindaco di Nola, che ha confermato tutto". "Ritengo che sia mio dovere, nell'interesse della giustizia, nonché mio diritto poter precisare ed illustrare la verità su fatti e circostanze riportati in un atto di natura istruttoria". "Chiedo, pertanto, un'urgente audizione personale innanzi codesta onorevole Commissione". UMBERTO CAPPUZZO. Questa mattina il generale De Sena mi ha fatto una telefonata accorata annunciando l'invio di questa lettera (si tratta di un ufficiale già vicecomandante dell'Arma dei carabinieri). Nella relazione si fa, infatti, riferimento a notizie inesatte, perché il verbale di interrogatorio del generale De Sena dice tutt'altra cosa. Quanto è stato riportato in un altro documento, sul quale si basa la relazione, non sarebbe esatto. Quello che egli sottolinea è, pertanto, un fatto fondamentale ed è in linea con quanto l'onorevole Sorice ha ricordato alla fine del suo intervento. Mi riferisco all'ipotesi di un candidato che va, per le elezioni, in un certo contesto, nel quale si trova presente uno di questi camorristi. Il fatto occasionale si ritorce contro di lui; si tratta di un camorrista che egli non conosceva. Peraltro, nell'attività amministrativa portata avanti dopo l'elezione lo stesso generale ha causato danno all'Alfieri perché, per un debito nei confronti dello stesso di 120 milioni, che risaliva al 1980, furono pagati 80 milioni. Il che dimostra chiaramente, secondo il generale De Sena, che egli non aveva nulla a che spartire con Alfieri e con la camorra. PRESIDENTE. Comunque, mi pare che egli non neghi di essere andato a chiedere voti ad Alfieri. UMBERTO CAPPUZZO. Il comportamento da amministratore è importante. PRESIDENTE. Comunque, poi vedremo. Il punto è questo: sì o no e se sì, quando. Non possiamo a questo punto sbriciolare la cosa. Vorrei sentire l'opinione dei colleghi, uno per gruppo. MICHELE FLORINO. Dico di no, perché è di competenza del tribunale, dei magistrati, altrimenti ci sostituiamo all'indagine e al giudizio dei tribunali se sentiamo tutti. Sono del parere che non si debba ascoltare più nessuno. Bisogna dare corso alle procedure previste dall'ordinamento. UMBERTO RANIERI. Non escludo che possa essere utile ascoltarlo. Pagina 3229 GIROLAMO TRIPODI. Non sono d'accordo. Già stamattina mi sono pronunciato anche contro la richiesta del senatore Gava, ritenendo che fosse possibile ascoltarlo successivamente alla conclusione di questa relazione. Non credo che possa avvenire altrimenti, perché rischieremmo di non concludere più. ANTONINO BUTTITTA. Il problema può essere risolto: che invii un appunto scritto. PRESIDENTE. Scusate, colleghi, c'è solo un problema: non vorrei ci fosse una disparità di trattamento tra un parlamentare e un non parlamentare. CARLO D'AMATO. Sono d'accordo perché venga sentito. ANTONINO BUTTITTA. Si tratta di un fatto particolare. ERMINIO ENZO BOSO. Non sono d'accordo, l'ho detto anche prima: qua o noi... PRESIDENTE. E' inutile che motiviamo. Diciamo solo sì o no. ERMINIO ENZO BOSO. Dico di no. PRESIDENTE. Mi pare che dal punto di vista dei gruppi, la DC, il PDS ed il PSI siano favorevoli ad ascoltarlo. C'è un indirizzo prevalente per ascoltarlo. Però, c'è un punto: se ascoltiamo anche lui venerdì o se dobbiamo anticipare il tutto. Venerdì abbiamo la finanziaria ed abbiamo deciso di ascoltare il senatore Gava alle 8,30. Però, tra l'esposizione del senatore Gava, le domande, le risposte che egli darà, c'è il rischio che si impieghino parecchie ore. CARLO D'AMATO. Diamogli dieci minuti per illustrare la sua posizione. PRESIDENTE. Anche lui venerdì? CARLO D'AMATO. Sì, spostiamo di dieci minuti o un quarto d'ora l'audizione del senatore Gava perché, da quello che ho capito, il generale De Sena deve solo fare alcuni chiarimenti. PRESIDENTE. Possiamo ascoltare alle 8,30 il generale De Sena e alle 8,45 il senatore Gava. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito. (Così rimane stabilito). ANTONINO BUTTITTA. Ci sarà sicuramente il presidente. PRESIDENTE. E il generale Cappuzzo. Anche il senatore Imposimato. Si riprende la discussione della relazione sulla camorra. UMBERTO RANIERI. Confesso di aver letto le pagine della relazione del presidente Luciano Violante anche con un po' di commozione: c'è in quelle pagine la ricostruzione della storia tormentata di una delle città più antiche e nobili dell'Europa ed il dispiegarsi di un fenomeno, quello camorristico, che ha trasformato questa città in un inferno. La relazione ci parla, con cifre impressionanti, dei traffici dei clan, delle vittime e del degrado cui sono giunte la città di Napoli, l'area napoletana, la Campania. La relazione del presidente Violante giunge a conclusione di un serio lavoro di ricerca, di approfondimento di fonti, dopo la visita della Commissione antimafia a Napoli, le audizioni di numerosi collaboratori di giustizia, di uomini dello Stato. Insomma, non è un caotico assemblaggio di fatti e in tempi di annusatori di notizie che si spacciano per sofisticati ricercatori di storia è un fatto di straordinario rilievo. E' un testo che aiuta a superare la sottovalutazione colpevole che vi è stata del fenomeno camorristico. Mi sembra di cogliere un filo rosso nella ricostruzione del fenomeno operata nella relazione: la pervasività della camorra è il tratto che la distingue e la caratterizza. Pagina 3230 Scriveva Giustino Fortunato nelle Corrispondenze napoletane di oltre un secolo fa: "La camorra, forse meno audace della mafia, ma più intima e connaturale della mafia, tende di giorno in giorno ad assumere forme legali e a penetrare nei più gelosi rapporti della vita". C'è in queste parole una chiave fondamentale per intendere l'individualità storica del fenomeno camorristico: la sua pervasività. Così come del tutto giusto è affermare la illegibilità, fuori della storia di una città come Napoli, della camorra. E quali sono - c'è da chiedersi - le costanti della storia di Napoli unitaria che producono un fenomeno come la camorra? Sono quelle individuate - ahimè - già alla fine del secolo scorso con l'inchiesta Saredo e che permangono poi nel corso del secolo: il mancato decollo economico; l'estraneità, in una certa misura, di Napoli ai fenomeni di trasformazione economica, di modernizzazione e un deficit di moralità pubblica e in particolare di moralità delle classi dirigenti. Napoli del dopoguerra è condizionata da questi due fenomeni. Così come, riflettendo sulla Napoli del decennio ottanta (il decennio nel quale i fenomeni di corrompimento della vita pubblica si sono manifestati in maniera più cruda, in cui il declino civile della città e dell'area napoletana è stato più grave), questi due fenomeni permangono, e si stagliano sopra gli altri nella valutazione dello stato della città. E' in questa atmosfera - ecco il punto su cui vorrei concentrare alcune riflessioni - si è dispiegata l'offensiva devastante di una criminalità, quella napoletana, che nel decennio si trasforma. A me sembra che in maniera efficace sia ricostruito nella relazione un punto nevralgico di analisi e di valutazione del fenomeno, cioè la trasformazione della criminalità napoletana in una associazione capace di condurre traffici in tutte le direzioni, di condizionare, influenzare scelte politiche e comportamenti delle istituzioni, di costituire il vero problema che compromette il futuro e la ripresa di ruolo di Napoli. Mutano i caratteri della criminalità napoletana. C'è un passaggio ben ricostruito nella relazione (in coerenza anche con tutte la analisi più accorte): quello relativo alla resa dei conti all'interno della camorra. Avviene nella prima metà degli anni ottanta, quando vengono messi a ferro e fuoco i territori e gli uomini della camorra di Cutolo, che aveva fondato il proprio dominio sulla estorsione generalizzata, e la camorra si riorganizza intorno ad una strategia più ambiziosa: investire in iniziative economiche i proventi derivanti da attività criminali, invadendo i mercati legali dell'edilizia, del commercio, dei traffici finanziari. Mi pare che intorno a questo asse avvenga la mutazione e si determini un circuito tra attività illecite, riciclaggio e riconversione dei profitti, che mette capo ad un'imprenditoria di matrice camorristica. Le famiglie camorristiche diventano una sorta di holding, di imprese produttive; cambia anche l'organizzazione criminale; si determina addirittura una separazione, secondo alcuni studiosi, del livello imprenditoriale da quello criminale. Credo che siano fondate le analisi dei giovani studiosi del fenomeno camorristico, da Lamberti a Sale: la disponibilità di capitali ingenti, a flusso continuo, derivanti dall'estendersi del traffico della droga favorisce la riconversione della camorra in una sorta di imprenditoria. La camorra non è più la "triste compagnia" del secolo scorso, né solo un'anonima assassini ma si trasforma e diventa più difficile contrastarla, combatterla, perché assume i caratteri di una potenza economica che tocca una varietà di attività. Le cifre di Arlacchi sono note: egli scrive che il 50 per cento dei proventi viene da attività economiche. Qui credo che si determini il mutamento nel rapporto tra sistema criminale e politica, perché, se la camorra assume tali caratteri, essa deve condizionare più direttamente le Pagina 3231 amministrazioni pubbliche che regolano la vita economica della comunità. Lo deve fare per creare condizioni favorevoli all'accesso della propria imprenditoria alle risorse pubbliche. E non c'è dubbio allora che giocano, da un lato, i proventi della irruzione nella realtà napoletana del traffico di droga - che produce enormi ricchezze finanziarie utilizzate dalla camorra - ma, dall'altro, un ruolo decisivo ha anche la dimensione eccezionale delle risorse finanziarie che negli anni successivi al terremoto giungono a Napoli e in Campania e costituiscono fattori scatenanti per le mire e le ambizioni della camorra. Qui credo che torni indiscutibilmente - ed è un tema su cui la riflessione va avanti da un po' di tempo ed è indispensabile portarla ulteriormente avanti e la relazione aiuta in questa direzione - il grande problema del sistema politico, dei suoi comportamenti negli anni dei grandi flussi di denaro senza qualità giunti a Napoli e in Campania nel corso del decennio. Cosa accade su questo punto nevralgico? Negli anni successivi al terremoto c'è una legislazione che determina un'eccezionale concentrazione del potere istituzionale e politico in cerchie sempre più ristrette di uomini e di gruppi. Anche al di là degli anni in cui era necessario per la drammaticità dei problemi successivi al terremoto avere una concentrazione di potere, per decidere e scegliere... PRESIDENTE. Non ho capito. UMBERTO RANIERI. Voglio dire che anche negli anni successivi al terremoto si protrae questa abnorme concentrazione del potere istituzionale e politico. Accade anche che la preoccupazione dominante dei gruppi politici di governo diventi quella di dirottare risorse finanziarie sempre maggiori in questo sistema di potere straordinario, in un meccanismo discrezionale che si consolida con riferimento agli appalti ed agli affidamenti di lavori. Penso che in tale meccanismo vada individuata la causa della distorsione subita dal sistema politico ed istituzionale a Napoli ed in Campania. In questo modo, vengono sempre più a mancare le possibilità di governo, perché le scelte si restringono a pochi gruppi, e, nel contempo, si riducono anche gli spazi per condurre un'opposizione e per esercitare una possibilità di controllo. Si registra, di conseguenza, uno scadimento del ruolo e della funzione delle istituzioni, i cui compiti programmatici e di selezione si riducono, fino a scomparire. In questa situazione nell'ambito dei gruppi politici di governo diventa preponderante la spinta a considerare prioritari per l'area napoletana gli interventi in opere pubbliche tradizionali, come dimostrano le conclusioni cui giungono le riflessioni critiche alle quali è stato sottoposto il decennio ottanta. In sostanza, si ripercorre un'antica esperienza della storia napoletana, si è indotti a ritenere che tutto si possa risolvere con spese finalizzate ad opere pubbliche tradizionali. In questo modo si alimenta un ceto edilizio-burocratico, favorito dall'assenza di controlli e dai meccanismi straordinari, che trae profitto dalle condizioni del mercato dominato da poche grandi imprese e caratterizzato dal sistema del subappalto, dalla distorsione dell'istituto delle concessioni e dalla dissipazione di risorse conseguente ad una continua revisione dei prezzi con riferimento ad opere la cui realizzazione molto spesso non viene conclusa. In definitiva, si afferma un mercato malsano nella realtà napoletana e campana, un mercato non competitivo. Si determina inoltre uno svuotamento della dialettica democratica, essendo il potere politico concentrato in ambiti nei quali vi è straordinaria discrezionalità di funzioni. Questa è l'atmosfera nella quale si aprono ampi spazi e maturano la corruzione, il sistema delle tangenti, l'accresciuta influenza delle forze criminali. In questo quadro emerge sulla scena politica napoletana e campana - si tratta di un aspetto sul quale si è concentrata un'ampia Pagina 3232 riflessione - un personale politico scadente, spesso corrotto, preoccupato unicamente della propria riproduzione elettorale; un personale politico accaparratore, al quale è stata affidata la gestione di una spesa pubblica enorme, che non ha precedenti nella storia politica napoletana e meridionale, una spesa pubblica gestita senza controlli. Si tratta di un personale politico che difficilmente assume decisioni indipendentemente da alcuni interessi particolari di gruppo. Penso che su tale fenomeno tutti debbano svolgere un'attenta riflessione. In particolare, mi permetto di affermare che una riflessione specifica deve essere condotta sul ruolo assunto dalle forze di governo, dalla democrazia cristiana, da personalità di particolare rilievo nella storia politica napoletana e campana della DC. Tutte le analisi, le ricerche e gli studi effettuati dimostrano come nel decennio 1983-1993 il sistema politico-istituzionale si deforma e, contemporaneamente, cresce il grado di corrompimento della vita pubblica, che raggiunge livelli estremi. In tale decennio si afferma il predominio politico delle forze che governano l'intero paese. Ecco perché occorre riflettere sul ruolo della DC e di personalità democristiane sulle cui responsabilità oggi si discute e anche su quello dell'onorevole Gava, indiscutibilmente la personalità più rilevante della democrazia cristiana napoletana e campana. L'accertamento delle responsabilità penali spetta alla magistratura; in questa sede discutiamo di serie responsabilità politiche, anche alla luce dei dati acquisiti sulla base del lavoro svolto dalla Commissione. Del resto - bando alle ipocrisie! - non è forse di questo che la parte più sensibile della democrazia cristiana discute nell'ambito di una riflessione critica della propria storia, al fine di evitare che quest'ultima si esaurisca soltanto - cosa che non sarebbe giusta - in una storia di corrompimento e di malversazione? Mi sto riferendo ad un decennio nel quale si è affermato un asse tra democrazia cristiana e partito socialista su scala nazionale, che ha avuto effetti anche nella realtà napoletana. Quanto agli anni delle giunte di sinistra a Napoli, va considerato che la riflessione politica è andata avanti e che ormai esistono interi volumi che si riferiscono a quella complessa esperienza. Furono anni difficili, caratterizzati anche da compromessi politici finalizzati a reggere una realtà tanto precaria. Non bisogna tuttavia - per l'amor di Dio! - mettere tutto nella stessa barca perché, ove ciò accadesse, negheremmo la realtà dei fatti. Nessun consociativismo ha mai offuscato - neanche a Napoli - il conflitto di fondo tra la sinistra (l'allora PCI) e la DC. A tale riguardo è emblematica la vicenda Cirillo. All'epoca delle giunte Valenzi, fu la sinistra, il PCI, a mantenere aperta la strada per capire meglio come fossero andate le cose, grazie all'iniziativa tenace di uomini quali Antonio Bassolino e Macaluso. Penso sia anche opportuno ricordare i colpi che a quella forza molti tentarono di infliggere nei giorni dell'intrigo del falso documento passato a l'Unità. Quanto alla richiesta di dimissioni del ministro dell'interno Gava, essa fu riproposta da noi in epoca non sospetta, nel corso degli anni ottanta. A tale riguardo, ricordo le critiche che furono rivolte al nostro partito, l'allora partito comunista italiano, quando ripropose la richiesta delle dimissioni di Gava in relazione alla vicenda Cirillo. Per quanto concerne le scelte relative alla ricostruzione a Napoli, si può certo riflettere criticamente sulle decisioni urbanistiche che costituirono oggetto di un tormentato dibattito tra esperti e politici. Tuttavia, quelle scelte furono effettuate proprio per tentare di invertire una linea di politica urbanistica che a Napoli aveva portato al disastro. Mi avvio alla conclusione, affrontando un punto che mi assilla e che dovrebbe rappresentare materia di riflessione critica per i protagonisti del governo succedutisi nel corso del decennio. I risultati di dieci anni di ricostruzione (che ha visto affluire a Napoli risorse finanziarie ingenti, così come mai era accaduto in quella città) sono rappresentati da Pagina 3233 un'aggravamento e da un declino produttivo e civile di Napoli: questo è il punto, questa è la conclusione amara e dolorosa di quell'esperienza! Va considerato infatti non soltanto l'uso affaristico delle risorse - a tale riguardo è chiaro come siano andate le cose - ma anche l'aspetto crudo di una vicenda che ha portato a sprecare un'occasione irripetibile ai fini dell'ammodernamento delle infrastrutture e del consolidamento dell'apparato produttivo. Sotto questo profilo, va individuata una grande responsabilità. In conclusione, ritengo che dalla relazione, che considero equilibrata ed efficace, si debba trarre uno stimolo per lavorare intorno a quelli che - anche nel corso del nostro sopralluogo a Napoli - abbiamo individuato essere i problemi fondamentali dell'area napoletana. E' necessario che siano affrontati i problemi della ripresa produttiva ed economica di tale area e che si contribuisca, attraverso un recupero del ruolo della scuola napoletana, a contrastare quel clima di tolleranza per l'illecito che si è diffuso in quella realtà è che è all'origine di tanti problemi e di tanti guai. Per fortuna, la storia di Napoli non è scritta soltanto nel degrado e nel delitto: vi è anche un altra storia positiva sulla quale bisogna fare leva per avviare il riscatto. MICHELE FLORINO. Prendo atto con soddisfazione del fatto che, dopo reiterati miei interventi, finalmente si comprende il fenomeno camorra. Ricordo che molti commissari e lo stesso presidente nutrivano apprensioni - se possiamo così definirle - quando io sostenevo con forza che la camorra è molto più pericolosa della stessa mafia, per il modo in cui essa si inserisce negli apparati e nella politica e per come riesce a gestire anche le piccole forme di illegalità. Oggi, di fronte alle considerazioni di autorevoli colleghi i quali continuano a soffermarsi sul carattere sociologico dei fenomeni della mafia e della camorra, debbo dichiarare che, per poter essere affrontata decisamente, la questione - come suol dirsi - va affrontata di petto, nel senso che le discussioni sociologiche non servono più a niente. Attualmente, la camorra non è più configurabile in base alla definizione storica che l'ha sempre considerata sinonimo di tangente. Qualche collega in questa sede ha citato passaggi del recente libro sulla storia della camorra scritto da Vittorio Paliotto, facendo un po' di confusione. A mio avviso, la camorra è attualmente una società mista, composta da capitale criminale e, soprattutto, da capitale istituzionale. Presidente, la pregherei di prestare attenzione... PRESIDENTE. La sto ascoltando! MICHELE FLORINO. Stavo dicendo che la camorra non è più definibile alla luce della definizione storica che l'ha considerata sinonimo di tangente, ma è una società mista a capitale criminale ed istituzionale. In sostanza, il sistema camorristico è, insieme, criminale ed istituzionale. Dico questo assumendomi tutta la responsabilità dell'affermazione. Le dichiarazioni di Galasso hanno aperto uno spaccato nuovo rispetto alle conoscenze che avevamo. I fatti che coinvolgono uomini della giustizia dimostrano chiaramente che la giustizia non esiste o, addirittura, che essa va a braccetto con il potere criminale. Senza riportarmi indietro nella storia - come ha fatto l'onorevole Sorice, quando si è riferito alle origini della camorra spagnola - vorrei richiamare la commissione Saredo, che già nel 1901 tratteggiava la questione giustizia a Napoli (tanto che ho voluto dedicare un riferimento ad essa nella relazione di minoranza sui rapporti tra mafia e politica). Oltre al sistema della connivenza dei magistrati, che qualcuno qui non vuol fare apparire per amicizia - diciamo così - con una lobby che oggi appare, in alcuni casi, che voglia fare piazza pulita, ma non la fa affatto, vi è un'altra componente, quella dei complici dei criminali, cioè gli avvocati (non tutti, si intende). Quindi, il primo apparato istituzionale Pagina 3234 che deve combattere realmente la criminalità è associato interamente al sistema malavitoso. I patteggiamenti sono numerosi nelle aule dei tribunali e non mirano a mandare in galera i delinquenti: sono patteggiamenti che mirano a far uscire i delinquenti dalla galera previo esborso di 300-400-500 milioni, secondo la natura del reato per cui è stato denunziato il malfattore. E qui sono venuti fuori tanti episodi, ma questi piccoli episodi non danno l'immagine della grande tragedia che esiste nei palazzi della giustizia, e soprattutto nel palazzo di giustizia di Castelcapuano. Allora, mi domando: se è venuto meno il principio, il caposaldo della giustizia, come potete più soffermarvi su un fenomeno di sociologia rispetto ad un'infiltrazione che ha raggiunto tutti gli apparati istituzionali? Non sto qui a descrivervi gli altri aspetti miserevoli; li definisco così perché, rispetto al sacrificio dei tutori dell'ordine, che pagano anche con la vita, nella stragrande maggioranza dei casi c'è una corruzione che raggiunge anche vette altissime delle forze preposte a debellare la criminalità. Ma, guarda caso, queste vette altissime preposte al debellamento della criminalità si piegano, come sempre, al potere politico, in quell'afflato, in quella connivenza che vede queste forme istituzionali - ecco perché il richiamo al sistema criminale istituzionale - togliersi le persone scomode dai piedi. E cito il caso del maggiore Tommasone a Napoli, uomo che combatteva la camorra, uomo che combatteva la collusione tra politici e camorra ma che, su ingerenza dei politici (oggi è apparso), quindi per quel legame che unisce le varie forme istituzionali quando devono colpire qualcuno che combatte la criminalità (non sto qui a citare i casi storici come quello di Falcone), viene trasferito nel pieno della sua gioventù, a 34 anni appena, a fare l'addestratore di giovani carabinieri a Chieti, rispetto all'azione incessante che aveva condotto contro la criminalità. UMBERTO CAPPUZZO. Quando è avvenuto? PRESIDENTE. L'anno scorso. MICHELE FLORINO. Otto mesi fa. Quindi qui appare molto più chiaro ed evidente il legame che unisce questo trittico magistrati-forze dell'ordine-politica: quando si devono sbarazzare di qualcuno, lo fanno. Perché questo avviene? Perché certamente la criminalità, caro presidente, non è quella a cui fa riferimento l'onorevole Sorice parlando di decentramento che ha reso più permeabile il processo dell'infiltrazione della collusione e della connivenza. Non è vero, perché è il livello centrale, con le direttive estese agli uomini di cordata, che consente questo, perché appartiene alla strategia delle istituzioni che fanno parte dei sistemi di appalto, dei sistemi di acquisto, dei sistemi di costruzione di interi rioni, di intere contrade, di intere città, per quanto riguarda la selvaggia speculazione edilizia. Non commettete l'errore di ritenere che è solo la camorra e la criminalità che agisce e guadagna! Dietro c'è tutto l'apparato istituzionale: forze dell'ordine, avvocati, magistrati, politici. In questo caso, voglio porre una domanda (ecco il livello centrale). Per quale motivo il decreto-legge che proroga le amministrazioni straordinarie è stato emanato a ottobre, quando già si era stabilito di indire le elezioni nei comuni ad alta infiltrazione malavitosa? Non era stata questa Commissione a porre l'accento sulla questione relativa ai tempi, che erano troppo brevi, e pertanto in certi comuni ad alta infiltrazione malavitosa quel tempo andava esteso? Perché allora il Governo lo emana a ottobre e non l'ha emanato prima? Perché intendeva conquistare comuni che ancora oggi hanno un'alta infiltrazione malavitosa, come Marano, dove, guarda caso, il sindaco è stato colpito da una comunicazione giudiziaria. E' colui che domenica va al ballottaggio. Poggiomarino, Casapesenna, ed ecco che... CARLO D'AMATO. Terzigno. MICHELE FLORINO. Terzigno. Pagina 3235 PRESIDENTE. Non era stato sciolto? CARLO D'AMATO. No, c'è un unico candidato. MICHELE FLORINO. E Mondragone, per ricordarne ancora un altro. Allora, la strategia è quella che viene dal potere centrale, che intende mantenere un elettorato fedele alla cordata, fedele ad un determinato partito politico. PRESIDENTE. Ma al comune di Terzigno non si è presentato quello paralizzato...? CARLO D'AMATO. No, è un medico, tal dottor Annunziata. UMBERTO CAPPUZZO. Di che partito? CARLO D'AMATO. Hanno fatto una lista civica. MICHELE FLORINO. Ritengo che vi siano inesattezze, ma solo sotto il profilo storico, caro Sorice, sulla questione laurismo-Cutolo. Il laurismo aveva una funzione di tipo assistenziale, possiamo definirla così, ma non di solidarietà con dei criminali, perché il sistema cutoliano, all'interno delle carceri, era un sistema di solidarietà che egli aveva recepito proprio per l'abbandono in cui versavano i carcerati ristretti in galera. Non vedo quale attinenza possa avere con un uomo che era non un criminale, non un delinquente, ma che forse ha potuto anche sbagliare: ci sono trattati sul percorso amministrativo di Lauro, soprattutto quello legato all'abusivismo edilizio, su cui, da qui a poco, darò anche un'altra informativa per collegare diversi periodi storici, ma anche per collegare direttamente alcune responsabilità. Ho potuto notare che nella relazione, proprio per questa voglia di difendere (posso anche rendermi conto, vista la professionalità dei nostri esperti) la magistratura, a pagina 54, rispetto alla denuncia che era chiaramente espressa da altri magistrati nella prefettura di Napoli sulla sezione fallimentare, si liquida la vicenda facendo riferimento al signor Di Capua, sezione fallimenti, senza articolare un insieme... PRESIDENTE. C'è più avanti, se mi permetti. Si esprime il giudizio che è una "fogna". MICHELE FLORINO. "Svolge un'indagine sulla sezione fallimentare del tribunale... vera fogna, con magistrati che svolgono attività imprenditoriali". "I problemi si sono aggravati rispetto all'ultima visita della Commissione antimafia". "I vertici del tribunale... non funzionali". "Nel campo civile e penale siamo allo sfascio". "Udienze che saltano per inadeguatezza dell'organizzazione della giustizia". "Nel palazzo di giustizia esiste il marcio". "Denuncia che presenterò all'Associazione magistrati" (questo disse un magistrato). Il signor Di Capua è l'asse centrale di tutta l'impostazione della sezione fallimentare. Vi sono giudici che fanno capo a cooperative edilizie (qui non l'avete inserito). E' evidente la volontà di magistrati, anche esperti, di voler coprire questa responsabilità della magistratura, nell'ambito della città di Napoli complice della criminalità, d'accordo con gli avvocati per farli uscire di galera con i patteggiamenti, non sui reati ma sulle libertà e su cose di altro genere che riguardano questi delinquenti. Ecco perché si è sfaldata la società civile di Napoli, si è sfaldata perché si mira esclusivamente a quello che poi non è stato affrontato in questa Commissione: voi potete anche fare sociologia, ma il problema di fondo non l'avete affrontato. Mi riferisco alla società dei consumi, che porta tutti a voler vivere bene, a voler vivere meglio. Il popolo era in una situazione che portava Saredo, nel 1901, a parlare di condizioni popolari in pieno disagio economico. Questa gente il disagio economico non ce l'ha più, lo ha superato con attività illegali e non intende più tornare indietro. Rispetto Pagina 3236 a queste attività illegali non posso nemmeno fare riferimento a una cultura della legalità che non potrà mai avvenire a Napoli se prima non crolla il sistema della cultura dell'illegalità a livello verticistico, con tutte le forze istituzionali, che ha tratto guadagni dalla cultura dell'illegalità costruendo palazzi, ville personali, costruendosi posizioni finanziarie. Ed ecco che poi diventa di fatto il metro di comparazione rispetto a quello che il popolino va dicendo in giro: rubano i grandi, rubiamo anche noi. E' questo il termine semplice, semplicistico che usa la gente del popolo, ma che arriva poi alla conclusione, che è quella del sistema ormai totalmente inquinato e che non dà - questa è una mia affermazione - nessuna speranza di ritorno. Dico questo perché mentre discutiamo, mentre affrontiamo la questione legata solo alla democrazia cristiana e alle responsabilità che sono emerse, o che devono essere ancora vagliate dal giudizio dei magistrati, dimentichiamo che una parte di un partito come quello socialista ha avuto una grossa funzione nella città di Napoli. Non dimentichiamo che durante la giunta Valenzi, vicesindaco era Di Donato; non dimentichiamo che il caso Bertone è un caso socialista. Nella relazione non appare il caso Crispino, medico-manager ucciso a Napoli con l'incriminazione di alcuni socialisti ma, guarda caso, con la copertura... CARLO D'AMATO. Che centra l'incriminazione di socialisti...? MICHELE FLORINO. Incriminazione non per l'assassinio, ma per un tentativo di concussione. Chiedo scusa. CARLO D'AMATO. Non ci siamo ancora arrivati... MICHELE FLORINO. Non ci siamo ancora arrivati però, guarda caso, la magistratura ferma le indagini solo al tentativo di concussione e non avvia un processo di indagini risolutivo per arrestare gli assassini. Uno Stato di diritto mira ad eliminare dal contesto sociale gli assassini. Per il resto, poi, sarà il magistrato... Ma la magistratura ha fermato le indagini: vi sono molti casi in cui la magistratura ha fermato le indagini per ingerenze, non solo della stessa magistratura, ma anche della carta stampata (vedi delitto Anna Grimaldi, vedi altri delitti). Le istituzioni che dovrebbero di fatto garantire la legalità sono alla pari dei criminali, con l'aggravante che dovrebbero prevenirla, per un dettato deontologico dovuto alle professioni e al giuramento fatto allo Stato. Non lo fanno; allora, il caso Crispino resta là. Il maggiore Tommasone, che stava per dare l'ultimo colpo all'indagine con l'arresto degli assassini o dei mandanti, viene trasferito per ingerenza politica. Di questo non se ne parla... Si parla invece del problema dei vani abusivi. E qui devo correggere la relazione, perché i 300 mila vani abusivi sono stati costruiti dal 1973 al 1988, quando si costruisce ancora; quindi, non dal 1980. Si è trattato di 300 mila vani abusivi, soprattutto a Pianura, con le amministrazioni ferme. Non voglio assolutamente fare un attacco politico, ma voglio ricordare questo dato proprio per ricollegarlo al mio passaggio relativo alle "mani sulla città". Ecco, Francesco Rosi dovrebbe essere rimesso in pista per rivedere Napoli anche sotto il profilo del disordine provocato dall'abusivismo che si è registrato dal 1973 al 1988. E' vero che abbiamo oltre 60 mila pratiche inevase; però nessuno dice che per varie ingerenze, collusioni e connivenze istituzionali queste pratiche non vengono vagliate ed il comune non riesce a percepire 100 miliardi di lire: tanto potrebbe ricavare il comune in dissesto da questo sistema di connivenze, di collusioni e di complicità. C'è la questione della cultura dell'illegalità avanzata dall'onorevole Sorice, che mi affascina soprattutto quando, a pagina 34, leggiamo a proposito dell'occupazione delle case, o meglio di quella che c'è stata menzionata diverse volte come Pagina 3237 un'occupazione ma che io in epoca non sospetta ho segnalato come pilotata dalla camorra. Oggi, se andiamo sul posto, non troviamo più la camorra presente ma troviamo gente che esprime il bisogno di casa. Per contrastare questa operazione, indicata anche dalla Commissione di inchiesta sulla ricostruzione, chi doveva intervenire se non le istituzioni? Il prefetto non lo ha fatto, così come non lo fa ora con i disoccupati cosiddetti organizzati, all'interno della cui organizzazione si svolge il mercato dei posti nel senso che alcuni accoliti di queste ditte vanno a vendere posti di lavoro a poveri ingenui che sono presenti nel territorio. Questo vi può far sobbalzare dalla sedia perché siete lontani dalla conoscenza della realtà di Napoli! Il mercato della casa ha dato miliardi alla camorra! Il prefetto patteggia con l'illegalità - e non sto qui a ricordarvi i dati - proprio perché non ha voluto liberare le case! E qui apro una parentesi, colleghi: quando, nel marzo 1990, furono liberati 700 alloggi i nuclei familiari non andarono - come sono soliti fare - a palazzo San Giacomo o in prefettura perché non avevano più la casa; non si trovarono più, si dissolsero: era evidente che non avevano bisogno di case. Non c'è stato dunque alcun intervento delle istituzioni e si è consentito alla criminalità di ingrossare il sacco. Oggi si verifica la stessa situazione con i disoccupati organizzati che, ancora memori di un'organizzazione che poteva andare bene nel 1973 ma che certamente non va bene nel 1993, ritengono di poter usufruire di una corsia preferenziale per mille unità da avviare a corsi professionali in base all'articolo 26 della legge n. 845, che invece dice cose ben diverse. E addirittura il comune, per rispondere alla logica del voto di scambio, perché ha fatto solenne proposta di dare lavoro a questi signori, inventa dei progetti per ultraquarantacinquenni... PRESIDENTE. Sono progetti che non sono mai diventati esecutivi? MICHELE FLORINO. Stanno per diventarlo perché il Governo, proprio in virtù dell'articolo 26 della legge n. 845 ha attribuito il finanziamento. Li ho bloccati io con una serie di interrogazioni alle quali il ministro del lavoro ha risposto che nell'ultimo decreto si parla di procedure oggettive. Nella relazione vengono nominati episodi concernenti comuni ad alta densità malavitosa, ma non vi ho trovato l'aspetto sconcertante che venne a galla durante il nostro sopralluogo a Caserta che è quello dell'insediamento di Fontanableu a Coppola Pineta Mare. E' evidente che dovremmo rivolgere la nostra attenzione a questo insediamento di migliaia di unità immobiliari sul suolo demaniale. Peraltro, visto che la stampa ha dato risalto anche alla scena folcloristica del prelievo da Mergellina dei chioschi gestiti da gente che da trent'anni pagava il relativo canone e che si trovavano in una condizione che le amministrazioni comunali succedutesi non hanno mai sanato, e visto che la motivazione per cui il magistrato ha preso questo provvedimento è che occupavano suolo demaniale, non si può non tener conto che sul suolo demaniale si costruiscono migliaia di alloggi e di locali destinati ad attività commerciali. Di tutto ciò non c'è però traccia nella relazione. Questa storia, cari colleghi, è lunga. Io rimango fermo nella mia convinzione - che scaturisce da un uomo che non mira allo sfascio ma che vive la città - che oltre a tutte le indagini sociologiche che è possibile fare ed oltre all'invito che certamente si deve rivolgere alla scuola, alle persone oneste, ai magistrati onesti che combattono, ai tutori dell'ordine che cadono, il nostro impegno deve essere mirato soprattutto a sconfiggere il potere istituzionale, che è il capo vero... Attenzione alla vostra indagine sull'associazione camorristica, che soprattutto nella prima parte non mi piace troppo perché commettete l'errore di dire che la camorra non ha organizzazioni verticistiche, che ha una serie di clan e che pertanto sul territorio c'è una certa divisione. La Pagina 3238 camorra ha istituito - e Galasso ce lo ha detto - un vertice, che è classico di Cosa nostra (e qui si collega direttamente a Cosa nostra) e che è poi quello che ha vinto con l'efferatezza dei delitti e con lo sconvolgimento delle bande che facevano parte di alcuni clan. Allora, anche se Alfieri e Licciardi sono ristretti in galera, è il vertice formato da Alfieri, Licciardi e Mallardo che ha il dominio nella città e ad esso le varie diramazioni, quella dell'area flegrea e delle aree dei quartieri a più alta densità mafiosa, sono sottoposte come luogotenenze. Rispetto a questa operatività criminale di mano armata ancora una volta responsabilmente, senza con questo mirare ad attaccare partiti o altro, ritengo che Napoli abbia oggi una società mista criminale-istituzionale. Il primo compito è quello di debellare la criminalità istituzionale che alberga in tutti i campi che per dettato costituzionale dovrebbero sconfiggere la criminalità. Se non facciamo questo perdiamo solo tempo. Sui lavori della Commissione. PRESIDENTE. Informo che gli orari dei lavori dell'Assemblea della Camera dei deputati nella discussione del disegno di legge finanziaria si articoleranno dalle 9 alle 13 e poi dalle 14 o dalle 15 alle 21. Possiamo realisticamente immaginare di cominciare a votare dalle 9,20 o dalle 9,30. Dobbiamo inoltre concentrare i nostri lavori nella giornata di venerdì perché andare a sabato per i senatori sarebbe complesso, tenuto conto che il Senato non tiene seduta. Senza dimenticare che c'è un problema di rispetto per le persone che ascoltiamo (non possiamo scappare via perché dobbiamo andare a votare), eventualmente possiamo sospendere la seduta nell'imminenza delle votazioni e riprenderla durante l'intervallo del pranzo, appunto per evitare di lavorare sabato. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito. (Così rimane stabilito). Si riprende la discussione della relazione sulla camorra. FERDINANDO IMPOSIMATO. Signor presidente, colleghi, anzitutto vorrei esprimere il mio convinto apprezzamento per la relazione che è stata sottoposta all'esame dei membri della Commissione, per l'analisi condotta, per il riferimento a molti episodi significativi della storia della criminalità organizzata a Napoli, per la capacità che essa ha avuto di sintetizzare, pur nella grande quantità di fatti che si sono verificati a Napoli negli ultimi anni, avvenimenti che sembrano diversificati e scollegati gli uni dagli altri. Sottolineo che la parte più importante secondo me riguarda l'accentuazione di una caratteristica fondamentale della camorra, cioè che si tratta di un fenomeno di massa, che si alimenta dell'illegalità di massa che è stata la strada attraverso la quale decine di migliaia di napoletani sono stati costretti ad operare per sopravvivere. E' anche importante il riferimento all'aspetto ideologico della camorra - e questo mi sembra un punto di collegamento fra camorra e mafia - che riesce ad espandersi grazie alla presa che sulle masse di emarginati hanno alcuni messaggi lanciati dai massimi esponenti della camorra, tra cui Cutolo. In diversi processi ci sono prove documentali che Cutolo riuscì ad assoldare all'interno del carcere moltissime persone facendo opera di propaganda, nel senso che riuscì a convincere molti detenuti per reati di lieve entità che quello pubblico è un potere ingiusto (tutto questo è messo in evidenza in un libro scritto da Santacroce, pubblico ministero di Salerno) e che bisognava ribellarsi ad esso attraverso l'affiliazione alla camorra. PRESIDENTE. Di che libro si tratta? FERDINANDO IMPOSIMATO. E' un libro scritto dall'attuale procuratore della Repubblica di Sala Consilina sulla sua esperienza in fatto di camorra. E' un libro che dedica moltissime pagine alla organizzazione che si occupa di Pagina 3239 reclutare decine di migliaia di piccoli delinquenti nelle carceri di Poggioreale ed altri istituti di pena, facendo presa sulla capacità ideologica di Cutolo di convincere i detenuti della necessità di ribellarsi allo Stato attraverso l'affiliazione alla camorra. Questo aspetto è parzialmente messo in evidenza nella relazione, però bisogna anche convincersi del fatto che una relazione ha dei limiti per i quali non si possono affrontare ed esaurire tutti gli episodi che si sono verificati dall'inizio della storia della camorra fino ad oggi, altrimenti la relazione diventerebbe un documento sterminato. Quindi, pur condividendo - questo per rispondere al collega Florino che giustamente ha posto in evidenza il problema - l'esigenza di inserire altri fatti ed altri avvenimenti, dobbiamo renderci conto che una relazione ha limiti spaziali e temporali che non possono essere superati. Vorrei dire che occorre mettere in evidenza il dato riguardante il consenso di massa alla camorra che, peraltro, in parte sta per essere demolito per il nuovo modo di essere dello Stato. Dobbiamo riconoscere che questo consenso è stata una diretta conseguenza della sfiducia di molti cittadini ed emarginati napoletani verso lo Stato, verso le pubbliche istituzioni. Non c'è dubbio che il problema della corruzione, della diffusione del malcostume e del malaffare è strettamente collegato con quello della diffusione della camorra. A questo proposito avrei dedicato un paragrafo della relazione al rapporto tra corruzione amministrativa, corruzione politica e camorra. Vero è che nella relazione viene fatta un'ampia sintesi delle vicende legate al caso Cirillo, che è un caso emblematico e che giustamente rappresenta la summa di tutte le deviazioni che si sono verificate a Napoli nel corso di questi anni, perché vi è un collegamento tra la camorra di Cutolo, i servizi segreti deviati, gli esponenti del mondo politico, della criminalità organizzata, addirittura del Ministero di grazia e giustizia; è anche vero però che quando si parla degli enti pubblici della Campania (della regione, del comune e della provincia) si dovrebbero sottolineare alcuni aspetti particolari. Innanzitutto che, oltre ai consiglieri, sono stati incriminati per fatti di camorra anche gli assessori del comune, della provincia e della regione, cioè gli organi di governo di questi enti pubblici. Inoltre, bisogna dire che sono stati arrestati il sindaco di Napoli, il presidente della provincia e il presidente della giunta regionale. Forse questo aspetto mi è sfuggito nella relazione ma credo che essa debba anche fare esplicito riferimento al numero esatto di consiglieri indagati, cioè dei responsabili diretti del governo degli enti pubblici. Occorrerebbe inoltre ricordare il coinvolgimento nelle indagini della magistratura napoletana anche di importanti enti pubblici, come l'ufficio dell'occupazione, il provveditorato alle opere pubbliche, il provveditorato agli studi, il CORECO, poiché dalla disfunzione di questi organismi essenziali per la vita della città sono scaturite conseguenze negative anche dal punto di vista della diffusione della camorra. Sappiamo che l'occupazione a Napoli è stata spesso gestita da organizzazioni camorristiche proprio per la loro capacità di influire sull'ufficio del lavoro e della massima occupazione di Napoli. Tornando al caso Cirillo, che nella relazione è trattato ampiamente, vorrei porre in evidenza un dato che potrebbe essere utile per illuminare le responsabilità di Gava in questa vicenda, e cioè che due dei funzionari (mi sembra che nella relazione si faccia riferimento solo al dottor Del Duca, al quale si aggiunge anche il dottor Ciliberti, commissario di polizia che si occupò... PRESIDENTE. Del prelievo di Cirillo. FERDINANDO IMPOSIMATO. Costoro, subito dopo la chiusura del caso Cirillo hanno lasciato la polizia e si sono presentati, uno come candidato della democrazia cristiana a Torre del Greco o a Torre Annunziata (non ricordo con precisione in questo momento) e l'altro... Pagina 3240 PRESIDENTE. Del Duca sì, ma non Ciliberti che è stato questore... MICHELE FLORINO. E' stato nominato questore a Potenza. CARLO D'AMATO. Del Duca è stato candidato per la democrazia cristiana ed è stato commissario straordinario alla USL di Pompei. MICHELE FLORINO. Lo è ancora. FERDINANDO IMPOSIMATO. Bisognerebbe seguire la carriera di due personaggi chiave della vicenda Cirillo che hanno in qualche modo concorso all'inquinamento delle prove. Detto questo, credo che si debba fare un altro riferimento allorquando si parla della magistratura. Non sono molto critico nei confronti della relazione perché essa giustamente fa una necessaria distinzione tra la magistratura che si è seriamente impegnata e che si sta impegnando nella lotta alla camorra (particolarmente la direzione distrettuale antimafia della quale fanno parte magistrati valorosi come Roberti, Mancuso, Lucio Di Pietro ed altri ancora) e quella che nel corso di questi anni ha contribuito all'espansione della criminalità organizzata. Una certa attenzione è dedicata dalla relazione al pubblico ministero Lancuba laddove si fa riferimento alle dichiarazioni fatte da Galasso. Io aggiungerei anche quelle molto importanti fatte da Migliorino che, come sappiamo, è un affiliato a Cosa Nostra attraverso la famiglia di Gionta. Tutto questo, anche se è ancora sub iudice e merita un approfondimento, dimostra come certi magistrati, per fortuna pochi ma collocati a volte in uffici chiave della procura di Napoli, abbiano potuto in qualche modo impedire allo Stato di compiere quell'azione che avrebbe dovuto attuare. PRESIDENTE. L'ufficio denunce è stato abolito? FERDINANDO IMPOSIMATO. Sì, ma è esistito per decenni e non si riusciva ad abolire. Un'altra circostanza da tenere presente è che pubblico ministero nel caso Cirillo è stato Lancuba, il quale fece una requisitoria che è stata totalmente disattesa non solo dal giudice istruttore ma dallo stesso tribunale e dalla corte d'appello. E' un dato importante che dimostra come un magistrato chiave, che purtroppo si trova ancora a reggere, se non erro, la procura della Repubblica di una importante città del sud e che ancora non è stato rimosso dal suo ufficio, abbia in qualche modo caratterizzato negativamente l'azione della magistratura a Napoli in quegli anni. Non dobbiamo però correre il rischio di fare di tutta l'erba un fascio perché va dato atto ai magistrati napoletani di aver saputo, proprio con la loro azione imparziale ed indipendente, condurre un'opera di analisi, di ricerca dei fatti, di repressione degli illeciti a tutti i livelli e senza distinzione di parti e di partiti (non mi risulta infatti che siano stati trattati con favore esponenti di gruppi politici e di partiti politici). I fatti, che sono notori, dimostrano chiaramente l'imparzialità e l'indipendenza della magistratura napoletana. Giustamente la relazione pone in evidenza la drammaticità delle condizioni vergognose in cui sono costretti ad operare i magistrati napoletani. Recentemente mi sono recato a testimoniare in un ufficio della procura della Repubblica di Napoli e ho verificato di persona come ancora oggi in una stessa stanza i magistrati sono costretti ad operare in presenza di cinque, sei o sette persone con assoluta mancanza di personale sia ausiliario, capace di stenografare o di scrivere a macchina, sia amministrativo. Chiedo quindi alla Commissione antimafia, anche se un accenno alla necessità di rafforzare l'ufficio della procura di Napoli si ritrova nelle conclusioni della relazione, di farsi carico di accelerare i tempi per l'acquisizione del nuovo tribunale e successivamente di potenziare l'ufficio della procura della Repubblica Pagina 3241 attraverso i 65 funzionari amministrativi che mancano e un aumento del ruolo di magistrati. Infatti, moltissimi magistrati non sono in grado di esaminare la maggior parte degli atti giudiziari assunti attraverso centinaia di deposizioni e di interrogatori. Se non vogliamo che si vanifichi l'azione meritoria avviata dai magistrati napoletani, non possiamo lasciarli in un stato di impotenza che certamente si ripercuoterebbe non solo sui magistrati ma sull'intera collettività napoletana e in definitiva sull'intero paese. Non c'è dubbio infatti che Napoli sia stata una città colpita in maniera spaventosa dal fenomeno della criminalità organizzata, ma anche la meno capace di reagire in passato dal punto di vista delle risposte istituzionali. Tutto questo sta per finire ma dobbiamo richiedere allo Stato uno sforzo eccezionale. La relazione ha trattato con particolare attenzione il problema degli incarichi extragiudiziari. Al riguardo vorrei ricordare che tutti nel tempo abbiamo denunciato la gravità ed il pericolo per l'indipendenza della magistratura derivante da questi incarichi; qui però c'è una responsabilità del Governo e del Parlamento perché non si riesce a varare la legge che li vieti. PRESIDENTE. L'abolizione degli incarichi non era prevista dal disegno di legge di accompagnamento alla legge finanziaria? FERDINANDO IMPOSIMATO. E' vero che al Senato è stata approvata la proposta che vieta questi incarichi, ma mi è giunta notizia della volontà del Governo di stralciare questa parte. PAOLO CABRAS. Il Governo stralcia molte altre cose; si tratta di un'intesa intervenuta tra Governo e gruppi parlamentari della Camera. E' un'intesa che giudico del tutto inopportuna, non solo in merito a questo, perché stravolge nel sistema bicamerale e nel passaggio tra una Camera all'altra una legge importante come questa. Tutto questo però attiene alla politica generale e non ai temi che stiamo qui affrontando. FERDINANDO IMPOSIMATO. La relazione pone in evidenza questa necessità ma è una speranza che, a mio giudizio, non si realizzerà perché so che alla Camera questa parte sarà stralciata. Aggiungo che in Commissione giustizia era in discussione in sede deliberante il provvedimento sugli incarichi extragiudiziari, già approvato all'unanimità dalla Camera nella scorsa legislatura. Ebbene, questa legge è stata bloccata per responsabilità della maggioranza (devo dichiararlo con un certo disappunto) perché nonostante all'approvazione manchino solo tre articoli non siamo in grado di approvarla. Per la pressione di alcuni magistrati amministrativi collocati presso vari ministeri ancora una volta ci sarà un rinvio della legge che vieta gli incarichi extragiudiziari. A questo punto l'attacco alla magistratura diventa quanto meno inopportuno se il Parlamento ed il Governo non riescono ad approvare questa legge. Allo stato, infatti, dobbiamo riconoscere che gli incarichi non sono vietati. Sottopongo all'attenzione dei colleghi l'opportunità di sopprimere il riferimento al giudice Di Pietro insieme a Lancuba perché, mentre Di Pietro è un magistrato che si è impegnato al massimo nella lotta alla criminalità organizzata, Lancuba abbiamo visto... PRESIDENTE. Anche lui ha ricevuto degli incarichi, però! FERDINANDO IMPOSIMATO. Sì, però, si potrebbero mettere i nomi di tutti i magistrati che hanno ricevuto gli incarichi, e sono numerosi, ma l'hanno fatto in base a una legge che lo consentiva (a quanto pare il TAR ed il Consiglio di Stato hanno deciso sulla base di giudizi assunti da magistrati anch'essi investiti di incarichi extragiudiziari); in caso contrario rischiamo di mettere insieme Lancuba e Di Pietro, pur essendo personaggi completamente non comparabili. Pagina 3242 Mi permetto, quindi, di suggerire la necessità di affrontare questo problema senza fare riferimento al dottor Di Pietro, dal momento che la stessa relazione prende atto dell'impegno con cui la direzione distrettuale antimafia ha affrontato la lotta alla criminalità organizzata. Un'altra osservazione che desidero fare riguarda i comuni del casertano. Giustamente si parla di infiltrazioni della camorra in molti comuni e si fa riferimento a Maddaloni, Marcianise e Santa Maria Capua Vetere. A questo proposito, vorrei dire - e non certo per spirito campanilistico - che a Maddaloni il consiglio comunale all'unanimità ha deciso la rescissione dell'appalto per la nettezza urbana che la Sudappalti era riuscita a vincere, apparentemente in modo regolare. Da circa 4 anni si è instaurata una controversia, dinanzi al TAR della Campania, fra il comune di Maddaloni - anche dietro sollecitazione di chi vi parla - e la Sudappalti; sembra addirittura che il TAR della Campania, che si è sempre distinto per decisioni inopportune, abbia dato o stia per dare ragione alla Sudappalti. Pertanto, o cambiamo le regole di aggiudicazione degli appalti e facciamo in modo che il TAR non dia ragione alle imprese della camorra, tali riconosciute ormai da numerosi provvedimenti giurisdizionali, oppure evitiamo di criminalizzare quei comuni, come quello di Maddaloni, che coraggiosamente hanno da tempo deciso di rescindere i contratti con le ditte in odore di camorra. La relazione fa riferimento, in modo un po' marginale, al ruolo rivestito da tale Ferdinando Cannavale nell'ambito della criminalità organizzata campana. Questo signore, titolare della Trafermar S.r.l. di La Spezia, grazie alle sue conoscenze politiche nell'ambito del partito liberale, è riuscito ad ottenere dall'assessore all'ecologia della provincia di Napoli, Raffaele Perrone Capano, l'autorizzazione alla ricezione di rifiuti extraregionali; autorizzazione che, peraltro, non rientrava nella competenza di tale assessore. Ferdinando Cannavale, com'è stato giustamente scritto nella relazione, appartiene alla loggia Mozart di Genova del Grande oriente d'Italia. E' a mio avviso opportuno mettere in evidenza anche che un altro imputato - che ha avuto una parte nella vicenda dei rifiuti tossici urbani della Campania, uno dei fatti più devastanti per la regione perché si tratta di rifiuti tossici gestiti da imprese della camorra - tale Pelella Ermanno, presidente dell'Azienda consortile trasporti pubblici, ha dichiarato che Nunzio Perrella, quando stabilì un primo contatto con lui, gli chiese se fosse massone, aggiungendo che De Lorenzo aveva sollecitato più volte lo stesso Pelella Ermanno ad affiliarsi alla massoneria. PRESIDENTE. Quella era la loggia "nettezza urbana". FERDINANDO IMPOSIMATO. La cosa sconvolgente e che fa quadrare il cerchio è che uno dei protagonisti di questa vicenda, tale Cerci Gaetano, titolare della Ecologica 89 S.r.l. che aveva come cointeressati Bidognetti Francesco, Schiavone Francesco e Zagaria Vincenzo, si è certamente recato ad Arezzo, il 4 febbraio del 1991, per incontrare Licio Gelli. Inoltre, fu uno dei partecipanti alla riunione di Villaricca ove sono stati presi gli accordi sullo smaltimento dei rifiuti e dove è stata stabilita la spartizione delle tangenti. Senza voler anticipare il giudizio della magistratura, bisogna dire che tutto ciò mette in evidenza una realtà sconvolgente, anche per quel che riguarda la camorra, vale a dire il collegamento fra pubblici amministratori, politici ed esponenti della criminalità organizzata con i vertici della massoneria ufficiale e piduista. Questa è una realtà che può senz'altro essere messa in evidenza nella relazione e che contribuirebbe a dare un quadro d'insieme più completo, tenuto conto che noi abbiamo giustamente dedicato molta attenzione ai rapporti tra mafia e massoneria nella relazioni riguardanti specificamente la prima. Bisogna anche aggiungere che lo stesso Pasquale Galasso, a proposito dei rapporti con la massoneria, ha dichiarato di Pagina 3243 aver conosciuto un generale, del quale ha detto soltanto il nome e non anche il cognome, nell'ambito di rapporti che si concretavano in questa intesa: i massoni si mettevano a disposizione dei gruppi o di singoli camorristi chiedendo in cambio compensi monetari o altre prestazioni. Ebbene, ho letto le dichiarazioni di un altro esponente della criminalità organizzata, implicato e processato per l'uccisione di Casillo, tale Cillari, il quale ha in parte confermato le dichiarazioni di Galasso, facendo il nome di quel generale dei servizi segreti, che era iscritto alla massoneria e che aveva rapporti con la camorra. Non solo: egli ha dedicato decine di pagine della sua deposizione alla descrizione dei rapporti fra massoneria, criminalità organizzata di tipo mafioso e camorristico ed esponenti istituzionali, politici e dei servizi segreti. Si tratta di affermazioni da verificare ma che, già per quel che risulta a me, trovano conferme negli atti del processo alla banda della Magliana perché egli fa riferimento a Flavio Carboni e ad una loggia da lui costituita. I rapporti tra Flavio Carboni ed esponenti della massoneria emergono chiaramente proprio dagli atti di questo processo, considerato, ad esempio, che Carboni ebbe costanti rapporti sia con Calvi, iscritto alla P2, sia con Gelli; se non ricordo male tutti e tre erano stati incriminati nello stesso processo di Milano ed erano stati condannati per la bancarotta fraudolenta del Banco ambrosiano. Il senatore Florino ha giustamente cercato di introdurre elementi di precisione in ordine al problema dell'abusivismo, certamente collegato alla camorra. Sulla base di notizie fornite anche dai sindacati, possiamo dire che l'origine del fenomeno è ancora più lontana nel tempo perché risale agli anni 1970-1971, com'è agevolmente verificabile. La giunta Valenzi, tra il 1975 e il 1983, ha assunto una serie di iniziative per la demolizione degli alloggi, che hanno portato alla requisizione di una parte degli alloggi. Per altra parte sono fallite perché vi è stata una vera e propria rivolta popolare contro la demolizione di alloggi che giustamente non avrebbero dovuto essere abbattuti poiché erano stati realizzati per ragioni di necessità. Mi sia concessa un'altra considerazione relativa alla questione delle cooperative e dei rapporti tra società del gruppo IRI e società della camorra. Non c'è dubbio che in questi anni uno dei fatti più negativi sia stato il conferimento a società concessionarie dell'incarico di fare da intermediarie tra le società IRI e quelle della camorra, di modo che molte di esse hanno fatto da coperture della camorra nella gestione degli appalti; cosa, questa, che ha dato origine al cosiddetto fenomeno degli appalti "a cascata". In tale operazione sono state purtroppo coinvolte non solo imprese che facevano capo alla democrazia cristiana, soprattutto a Cirino Pomicino per quel che riguarda la costruzione della terza corsia dell'autostrada, ma anche ad esponenti di altri partiti di Governo. Bisogna anche riconoscere che sono state coinvolte società cooperative delle quali ha parlato, oltre a Galasso, anche Migliorino facendo un preciso riferimento. Occorrerà, dunque, completare il quadro innanzitutto spiegando i meccanismi di utilizzazione delle società per investire imprese della camorra dell'incarico di realizzare opere pubbliche - penso, oltre alla terza corsia dell'autostrada, anche ai Mondiali 90 - e poi cercando di stabilire quale fosse l'entità dei compensi percepiti da quelle società finanziarie, che nulla facevano per la realizzazione delle opere perché si limitavano a subappaltare le opere alle imprese della camorra che, a loro volta, subappaltavano ad altre imprese, quelle dei cosiddetti "padroncini". Occorrerà anche cercare di stabilire quale sia stato il ruolo delle commissioni di collaudo - delle quali molto spesso hanno fatto parte magistrati amministrativi, contabili ed avvocati dello Stato - nella verifica della regolarità della determinazione dei prezzi, delle procedure per la loro revisione, della dilatazione a dismisura dei prezzi stessi, al punto da arrivare ad una loro Pagina 3244 quintuplicazione rispetto a quelli inizialmente fissati. Concludendo, desidero esprimere il mio apprezzamento per il lavoro estremamente positivo svolto per redigere la relazione che riferisce una serie di fatti, con nomi e collegamenti che altrimenti sarebbe stato difficile verificare. Aggiungo che, pur non potendo ovviamente celebrare processi, non possiamo non tener conto di circostanze di fatto che emergono comunque dagli atti dei processi, quale che sia stato il loro esito. Giustamente, la relazione ha introdotto questi elementi: penso sia giusto integrarli con altri utili a fornire un quadro più completo. PRESIDENTE. Vorrei pregare l'onorevole Imposimato di fornire alla Commissione i dati in suo possesso relativi alla nettezza urbana che potrebbero essere molto utili. CARLO D'AMATO. Fino a che ora, presidente, pensa di protrarre i nostri lavori? PRESIDENTE. Usque ad effusionem sanguinis. CARLO D'AMATO. C'è il rischio che io, che sono l'ultimo iscritto a parlare, alla fine interloquisca soltanto con lei. Avrei gradito moltissimo la presenza del senatore Ranieri. PRESIDENTE. Il senatore Ranieri sta per tornare. Comunque, si potrebbe risparmiare tempo se i colleghi riterranno di contenere i propri interventi. ANTONINO BUTTITTA. Desidero innanzitutto fare una prima osservazione che si ricollega a quanto avevo già notato a proposito di altri documenti prodotti dalla Commissione. Si avverte chiaramente dagli esiti del susseguirsi del lavoro della Commissione una progressiva crescita qualitativa dei documenti stessi. Questo mi pare, se non il migliore, uno dei migliori prodotti. Ciò che colpisce subito favorevolmente è l'organicità dell'impostazione. La stessa organicità non si riscontrava, invece, nella relazione sulla situazione del crimine mafioso in Sicilia. Al contrario, in questa relazione tutte le connessioni del fenomeno ed il suo spessore, non solo storico ma anche sociale ed economico, vengono colti nella loro interezza. La relazione si fonda su un metodo assolutamente corretto, e in ordine al metodo si possono svolgere soltanto considerazioni di carattere positivo che risparmierò ai colleghi. Quanto al merito, invece, credo che si debba fare una notazione che consenta di approfondire, se non per l'oggi almeno per l'avvenire, gli orientamenti in ordine allo studio e alla rappresentazione del fenomeno osservato. Intendo dire che la relazione, sullo sfondo, mantiene come suo criterio una distinzione a mio avviso troppo netta tra il fenomeno mafioso e quello camorristico: i due fenomeni sono, a mio giudizio, eccessivamente distanziati. E' vero che al livello delle strutture apparenti (quelle che i francesi chiamano strutture di surface, mentre noi potremmo usare l'espressione sovrastrutture) i due fenomeni si presentano in termini diversi, con tratti distintivi diversi. E' vero che, come viene illustrato molto bene nella relazione, il fenomeno camorrista presenta una maggiore elasticità strutturale rispetto a quello mafioso; è anche vero che esso ha una maggiore pervasività sociale, fatto che lo rende più pericoloso. In questo senso, meriterebbe una considerazione critica l'attenzione dedicata ai due fenomeni che è stata assolutamente diversa e diseguale, nel senso che non solo giornalisticamente e politicamente, ma soprattutto scientificamente quello mafioso è stato presentato come un fenomeno centrale dal punto di vista della pericolosità, mentre al contrario quello camorrista è stato presentato come un fenomeno marginale. Pagina 3245 La relazione dimostra esattamente il contrario, ossia che, proprio per la sua pervasività sociale, la camorra costituisce un pericolo maggiore e anche più difficile da combattere e da estirpare rispetto al fenomeno mafioso. Un altro tratto distintivo che non vedo sottolineato nella relazione è quella che definirei la omogeneità sociale del fenomeno camorrista: mi riferisco al fatto che, a differenza del fenomeno mafioso, che è radicato anche nelle fasce sociali borghesi per non dire aristocratiche, il fenomeno camorrista, al contrario, è esclusivamente presente nelle fasce sociali subalterne. Mentre quello camorrista è un fenomeno che muove dal basso e nel basso rimane, il fenomeno mafioso, al contrario, muove contemporaneamente dall'alto e dal basso e in alto e in basso esercita la propria presenza. Dunque, è vero che a livello delle strutture apparenti i due fenomeni si presentano con tratti distintivi diversi. Non è così, invece, a livello delle strutture profonde, perché i valori su cui i due fenomeni si fondano sono analoghi: per esempio, l'omertà e la solidarietà sono due valori che connotano profondamente i due fenomeni, i quali per questo aspetto sono lo stesso fenomeno. Un altro carattere comune è, per esempio, l'organizzazione strutturale: la camorra si fonda su una struttura federativa e nel suo insieme, osservata dall'alto, su una struttura confederativa, con tutta la dialettica che questo tipo di strutture praticamente comporta. Lo stesso accade nella mafia, visto che anch'essa si fonda su un'organizzazione strutturale di tipo federativo. PRESIDENTE. Però con un vertice unico. ANTONINO BUTTITTA. No, non è così; questo è l'errore. Non è vero che la cosiddetta commissione (intendo quella di Palermo) governa tutto il sistema mafioso; abbiamo potuto constatarlo quando abbiamo osservato (e l'abbiamo osservato proprio noi, grazie alle informazioni che ci sono state date) come contemporaneamente e in situazione dialettica rispetto alla commissione crescessero e si espandessero altre organizzazioni che avevano lo stesso carattere ed esprimevano gli stessi comportamenti. Intendo riferirmi al cosiddetto fenomeno delle "stelle". A mio avviso, dunque, la struttura, a livello delle sue connessioni e articolazioni è una struttura di tipo federativo o confederativo analoga. Il non aver osservato il livello strutturale profondo delle due organizzazioni porta all'affermazione contenuta nelle prime pagine che la camorra è priva di regole. Ma se un fenomeno sociale ha dei valori ideologici che lo fondano, se ha una struttura, non può essere privo di regole, perché queste ultime sono sempre e soltanto l'esplicitazione di valori e di un'organizzazione. Non esiste, non può esistere, nella realtà sociale un fenomeno privo di regole; semmai, si può dire che esistono fenomeni, che sono propri delle società cosiddette fredde (come dice Lévi Strauss) che si fondano su sistemi di regole inerti mentre vi sono fenomeni, quelli delle società cosiddette calde, che si fondano su sistemi di regole dinamici. Ma ciò che a mio avviso rende omologhe le due forme, ossia quella camorrista e quella mafiosa, è l'analogia dei comportamenti e dell'obiettivo. In sostanza, la camorra, non diversamente dalla mafia, è un insieme di comportamenti diretti a conseguire profitto mediante la violenza; né vi è diversità in ordine al ruolo storico dei due fenomeni. Si è osservato che in momenti storici diversi della camorra si sono serviti lo Stato e la classe dirigente per governare, attraverso essa, il sociale. Si tratta di un'osservazione giusta e corretta, ma lo stesso è accaduto nel caso della mafia. Il generale Corrao, illustre e famoso generale garibaldino, non a caso, quando si normalizzarono le cose, venne processato e condannato per mafia. Il generale Corrao era un esponente del mondo mafioso, di cui il generale Pagina 3246 Garibaldi si servì per poter conquistare la Sicilia, a meno che non si voglia credere alla favola che abbiamo appreso dai libri delle scuole elementari secondo cui mille uomini valenti e coraggiosi furono in grado da soli di conquistare un'isola dove in quel momento vi erano da 50 a 60 mila soldati in armi. E' noto allora che attraverso la massoneria (ritorna ancora una volta la massoneria) il generale Garibaldi prese contatti con l'universo mafioso e fu aiutato dalla mafia: le squadre dei picciotti erano governate da capimafia. Per citare la più importante, ricordo che la squadra di Monreale, quella dei Miceli, era governata, appunto, dal signor Miceli, che era un capomafia ed era padre, nonno e avo degli altri Miceli che poi nel prosieguo furono capimafia nella cittadina di Monreale. Venendo a tempi più vicini, che cosa fecero gli alleati quando decisero di occupare la Sicilia? GIOVANNI FERRARA SALUTE. Stai facendo veramente dei grandi complimenti alla mafia: ad essa dovremmo l'unità d'Italia e la liberazione del nostro paese. ANTONINO BUTTITTA. No, non voglio dire questo. GIOVANNI FERRARA SALUTE. Hanno dato solo manovalanza! ANTONINO BUTTITTA. Non farmi dire cose che non solo non ho detto ma non penso neppure. Osservo semplicemente che si è notato giustamente che vi sono stati momenti nei quali lo Stato si è servito della camorra per governare la società. Questo fatto viene assunto come distintivo rispetto alla mafia. Dico allora che questo non è vero, perché in altre situazioni storiche, talora anche cronologicamente coincidenti, è accaduto lo stesso rispetto alla mafia. Stavo ricordando l'aiuto, a mio avviso inutile e assolutamente irrilevante (stavo per dire proprio questo), che venne dato dalla mafia agli alleati quando questi decisero l'occupazione del nostro paese. Sono d'accordo circa il fatto che si trattava di un espediente (definiamolo così) di cui gli alleati potevano tranquillamente fare a meno. Passerò ora ad un aspetto che interessa più direttamente la Commissione, quello dei rapporti tra universo politico e camorra. Dalla lettura della relazione emerge un quadro inquietante. D'altra parte, se la camorra, come si sottolinea nella stessa relazione, è un fenomeno sociale che pervade in forma partecipativa assai estesa l'universo sociale, poiché i fatti politici sono radicati nel sociale ed esprimono il sociale, c'è da inquietarsi ma non da sorprendersi nel momento in cui si constata che il mondo politico napoletano e campano è profondamente colluso con l'universo camorristico. Penso che proprio per questa ragione l'oggetto dell'osservazione probabilmente avrebbe dovuto essere allargato. Cosa intendo dire? Il rischio, leggendo la relazione, è quello di assumere l'onorevole Gava come l'unico, il solo referente politico di questo insieme di comportamenti politico-camorristici o camorristico-politici. Non c'è dubbio - non lo scopriamo noi, è fatto noto da tempo - che Gava abbia avuto un ruolo centrale, al di là delle caratteristiche del ruolo, su cui ha insistito l'onorevole Sorice, sulle quali bisognerà pur ritornare, tra l'altro ascoltando l'interessato. Ma al di là delle caratteristiche del ruolo esercitato da Gava, non c'è dubbio che egli sia personaggio centrale della realtà che stiamo osservando. Però, non esclusivo. Ribadisco: il rischio è quello di far apparire Gava come il solo, l'unico referente politico dell'insieme del fenomeno. Ecco perché dico che probabilmente l'oggetto dell'osservazione meriterebbe di essere allargato. Dicevo che il panorama relativamente ai rapporti camorra-politica è inquietante ma non sorprendente. Mi pare, Pagina 3247 invece, che è inquietante ma anche sorprendente il panorama relativamente ai rapporti tra camorra, magistratura e forze dell'ordine. Devo dire che la lettura di questa relazione più che inquietante è scioccante. Voglio citare un solo nome, a prescindere dalle conseguenze negative che me ne possono venire. Ma come è possibile che i cittadini italiani affidino la propria sicurezza o comunque la ricerca della verità e della giustizia al dottor Parisi? Come è possibile? Se sono vere, come sono vere probabilmente le cose che abbiamo letto, c'è molto da dubitare sul fatto che un signore con la storia del dottor Parisi possa garantire sicurezza, verità e giustizia ai cittadini italiani. C'è da dubitare. Comunque, al di là dei dubbi e delle denunce, credo che il momento fondamentale, il passaggio importante che la Commissione deve fare e che comunque deve suscitare presso le istituzioni a ciò deputate è quello dei correttivi. Leggendo la relazione mi ponevo una domanda che è rimasta senza risposta e che probabilmente tale resterà. Cosa sta facendo in questo momento quell'esperto che ha dichiarato Cutolo totalmente infermo di mente? Cosa sta facendo in questo momento? L'interrogativo naturalmente è comprensivo... PRESIDENTE. Ad uno hanno tagliato la testa. Però, ce n'è un altro. ANTONINO BUTTITTA. Sì, ce n'è un altro. L'interrogativo è comprensivo di una folla di altri interrogativi che rimangono in ordine alla situazione così come è oggi e come sarà domani, a prescindere dalle denunce che la relazione contiene. Si tratta di un ottimo lavoro. La relazione indubbiamente, a mio giudizio, è un modello - sto pensando a tutta la cattiva letteratura prodotta su fenomeni come questo - di ricerca seria, attenta e anche equilibrata e misurata. Però, se a tutto questo non segue un insieme di comportamenti da parte dello Stato, della magistratura, delle forze dell'ordine, della classe politica, che si muovano in direzione di una correzione radicale della situazione così come in questo momento si presenta nella realtà sociale napoletana e campana, naturalmente questa relazione si andrà ad iscrivere nella letteratura - buona, ma sempre letteratura - che sul fenomeno camorra e sul fenomeno mafia si è prodotta da circa un secolo a questa parte. La relazione giustamente osserva che il fenomeno è sociale e dunque non può essere affrontato e risolto solo in termini giudiziari e militari. Nessun regime è riuscito mai a risolvere i propri problemi sociali in termini militari. Dunque, a fronte di un fenomeno sociale come questo occorrono correttivi sociali. Questi correttivi sociali sono individuabili nel mutamento delle strutture produttive, anzi nella fattispecie di mutamento non si tratta, visto che di strutture produttive in senso veramente moderno in quell'area sostanzialmente non ce ne sono; dunque, in modo più corretto si può dire che la soluzione viene individuata nell'innesto di strutture produttive moderne in una realtà sociale arcaica. Questo è sicuramente vero, però non dobbiamo dimenticare che proprio per le sue caratteristiche - che sono tipiche del fenomeno mafioso in generale ma soprattutto della camorra e la relazione lo mette bene in luce - di mobilità, di adeguabilità, la camorra finirà con l'inserirsi, potrà inserirsi anche nel sistema delle strutture produttive di tipo moderno. MICHELE FLORINO. Già c'è! ANTONINO BUTTITTA. Negli Stati Uniti d'America sostanzialmente è così. PRESIDENTE. Sì, nel calcestruzzo, nelle cave... MICHELE FLORINO. E' andata anche oltre! ANTONINO BUTTITTA. Voglio dire che è vero che nella società napoletana, campana e più in generale in quella Pagina 3248 meridionale bisogna intervenire attraverso l'innesto di strutture produttive moderne ma questo fatto da solo non è sufficiente. D'altra parte, un signore che non è più di moda - non voglio neanche citarlo ma è quello che prima citavano tutti da destra e da sinistra, più da sinistra ovviamente - che era un grande studioso di filosofia e di economia della seconda metà dell'ottocento osservava che le sovrastrutture si muovono più lentamente rispetto alle strutture. Da qui una considerazione: a prescindere dal fatto che il fenomeno, grazie alla sua elasticità, riesce ad inserirsi nel sistema produttivo anche moderno, rimane sempre il fatto che l'innesto in questo tipo di società di strutture produttive nuove, moderne, avanzate, non potrà determinare un rapido cambiamento delle sovrastrutture ideologiche e comportamentali. Con questo non voglio esprimere un giudizio pessimista e sconsolato in ordine all'evoluzione della società campana e meridionale in generale ma intendo mettere in guardia i colleghi sulla speranza - giustamente alimentata - che questa realtà possa cambiare rapidamente. Questa messa in guardia serve non tanto a sollecitare l'abbandono della lotta quanto invece al contrario, cioè a far sì che l'attenzione su fenomeni di questo tipo venga mantenuta sempre vigile e via via sempre più rafforzata. PRESIDENTE. La ringrazio molto, onorevole Buttitta. UMBERTO CAPPUZZO. Desidero esprimere al presidente un vivo apprezzamento per questa relazione. Con la sua grande capacità ha raccolto un'infinità di dati e di elementi. Soltanto un piccolo appunto vorrei muovere. Sarebbe opportuno un riordinamento della materia, perché ci sono dei salti, cioè riferimenti storici che vengono poi integrati con considerazioni di natura sociologica e viceversa, che fanno perdere la visione d'insieme. Se invece tutta la parte storica venisse messa insieme e poi tutto l'esame sociologico sviluppato successivamente, probabilmente la relazione ne guadagnerebbe molto in chiarezza. Il punto di partenza della relazione è il fatto che la camorra è stata sottovalutata. Aggiungerei qualcosa di più. Probabilmente, è stata sottovalutata - qui c'è una considerazione di carattere politico - perché si pensava in chiave sociale che l'attività sviluppata dalla camorra fosse l'unica attività possibile in un contesto che economicamente aveva i suoi problemi. Mi riferisco, ad esempio, al fatto emblematico del contrabbando dei tabacchi. Quando era dato di vedere, come fino a non molti anni fa e anche tuttora, che la flotta delle famose imbarcazioni era tutta dipinta in blu e si chiedeva a qualche rappresentante delle forze dell'ordine come mai venisse tollerato tutto questo, la risposta era che si subivano pressioni perché non si intervenisse, perché in fondo l'unica chiave per risolvere piccoli problemi economici era tollerare il contrabbando. Questa considerazione si può fare anche per Palermo, dove è dato di vedere che il contrabbando addirittura ostentatamente avviene anche in presenza di strutture di organi preposti alla lotta contro questo reato. Quindi, non solo sottovalutata ma addirittura accettata, come logica perversa per la soluzione di un problema di carattere economico. Questo è importante, perché si è diffusa quella cultura dell'illegalità che è la matrice essenziale della camorra. Sono sorti quei valori, anzi disvalori, per cui per farcela nella vita bisogna comportarsi da camorristi! Questa è la cosa gravissima! Ecco perché il pessimismo. L'onorevole Buttitta dice di non essere stato pessimista, ma il problema che abbiamo di fronte è immane. ANTONINO BUTTITTA. Sono pessimista, ma di un pessimismo attivo. UMBERTO CAPPUZZO. Quando si dice che la camorra governa il disordine sociale, dobbiamo chiederci se quest'ultimo rappresenti l'effetto dell'attività della camorra oppure il Pagina 3249 fondamento, l'humus sui quali questa si è innestata. Si tratta di un interrogativo al quale è molto difficile dare una risposta, così come è difficile valutare se la semplice soluzione del problema sociale possa essere sufficiente a stroncare un fenomeno tanto grave. L'attenzione del relatore si è accentrata sui punti nodali dello sviluppo della camorra, che vanno riferiti - si tratta di un aspetto sul quale probabilmente andrebbe condotto un ulteriore approfondimento - a due vicende molto importanti: la ricostruzione post-terremoto e la vicenda Cirillo, che sono in qualche modo legate, anche sotto il profilo temporale, e che rappresentano due fatti determinanti per esaminare il fenomeno camorra. A tale riguardo, emerge un panorama estremamente allucinante, nella misura in cui ci rendiamo conto che siamo arrivati a questo punto non tanto e non soltanto perché si è verificata una commistione tra politica e camorra, ma perché tutto il tessuto sociale di Napoli è invischiato nella camorra. In sostanza, ci troviamo di fronte ad un tipico caso che, sotto il profilo clinico, sarebbe definito metastasi: la camorra è un fatto metastatico, la conclusione di un processo di degenerazione che oggi impone l'adozione di misure estremamente difficili. Sotto questo profilo, l'intervento del collega Florino, così vivace e pieno di tensione, ha puntato il dito sul fatto che le istituzioni stesse sono in qualche modo rappresentative della camorra. Le istituzioni sono ormai coinvolte a tutti i livelli in un processo di degenerazione che è difficilmente recuperabile. Ho sempre sostenuto che la sensazione della presenza totalmente coinvolgente dell'attività criminale la si ricava dalla constatazione del dissesto territoriale: laddove vi è abusivismo edilizio, si ha la prima manifestazione dell'incapacità di gestire e di controllare il territorio. Mi chiedo allora cosa abbiano fatto gli amministratori locali e le forze dell'ordine nelle fasi e nei tempi in cui era possibile intervenire. Si tratta di fenomeni sui quali non possono che essere svolte considerazioni molto amare. Viene da chiedersi: questo atteggiamento omissivo si è espresso in un certo modo per effetto del condizionamento della camorra o anche perché vi sono state pressioni politiche, nel senso che si volevano alleviare disagi di carattere economico e sociale? Ecco quindi che ad essere messa sotto accusa è la politica, intesa non come volontà riferita a questo o a quell'altro partito, ma come dato di fatto considerato nella sua interezza. Il collega Sorice ha affermato che tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, allorché hanno operato certe scelte portando sempre più in basso al livello degli enti decisionali e di erogazione della spesa, hanno posto in essere una politica contraria a quella che avrebbero dovuto realizzare. Mi chiedo: un controllo maggiormente centralizzato della spesa non avrebbe reso più difficoltosa l'infiltrazione delle organizzazioni camorristiche o mafiose? Di qui la messa in accusa della politica sviluppata nei confronti del Meridione. A mio avviso, andrebbe condotta un'analisi più puntuale con riferimento al ruolo svolto dalle forze politiche nel creare le condizioni perché i fenomeni di criminalità organizzata si estendessero. Un accenno a tale aspetto dovrebbe essere contenuto nella relazione. Ranieri ha ricordato le leggi adottate successivamente al terremoto. Quelle leggi si inseriscono in un contesto nel quale tutte le forze politiche hanno privilegiato una certa linea, non perché volessero favorire la camorra, ma perché evidentemente non hanno compreso i pericoli ai quali si andava incontro. Se quella in esame è una relazione riferita all'intreccio non diciamo perverso (anche perché c'è un intreccio di diverso tipo)... PRESIDENTE. Forse è più corretto parlare di intreccio sbagliato. UMBERTO CAPPUZZO. Se siamo arrivati a questo punto, è evidente che noi, sia pure inavvertitamente, abbiamo fatto il gioco della camorra. Questo aspetto - in questo senso richiamo Pagina 3250 l'intervento del collega Sorice - meriterebbe, a mio avviso, un approfondimento, con particolare riferimento sia ad una sorta di delega data al basso sia all'aumento dei centri erogatori di spesa ed all'allentamento dei controlli, a volte voluto per motivi di consenso o anche per ragioni di carattere sociale. Bisogna ricordare che, nell'adozione di determinati provvedimenti, non si è registrata una distinzione tra maggioranza ed opposizione, ma tutte le forze politiche, soprattutto quelle rappresentative del Meridione, si sono concordemente date da fare per andare verso questo decentramento, che ha portato ai risultati che conosciamo. Ritengo sia molto riduttivo esaminare il problema in funzione del consenso che queste forze perverse riescono a dare alla politica. Se questo fosse vero - mi ricollego ad una considerazione dell'onorevole Sorice - come si potrebbe spiegare che i quartieri più malfamati di Palermo (che noi abbiamo visitato), Brancaccio e Croceverde, ad esempio, hanno dato l'80-85 per cento dei voti ad Orlando? Due sono le possibilità: o la mafia è scomparsa (e questo mi farebbe grande piacere), oppure la capacità della mafia di spostare i voti era soltanto un millantato credito. Tertium non datur! Bisognerebbe svolgere una riflessione sui bacini di utenza del voto malavitoso in funzione delle comode considerazioni in base alle quali se tali voti convergono su una stessa persona in misura del 30 o del 35 per cento essi sono inquinanti (questi sono i rapporti percentuali solitamente indicati), se sono di entità maggiore stranamente non lo sono. Se facessimo tale riflessione, ci accorgeremmo, anche alla luce di quanto sta accadendo a Napoli, come la mobilità del voto sia da attribuire ad altri fattori. Mi chiedo allora - riprendo un po' la sociologia alla quale aveva fatto ricorso Buttitta - come mai le manifestazioni malavitose di tipo organizzato si siano sviluppate nelle nostre regioni meridionali. Vogliamo forse tornare alle idee ed alle teorie aberranti del Lombroso, che individuano una predisposizione alla delinquenza? Oppure andrebbero più opportunamente considerate condizioni obiettive che sono state create nel tempo e che la politica non è riuscita a risolvere? PRESIDENTE. Oppure le ha create! UMBERTO CAPPUZZO. Certo, può averlo fatto a volte per incomprensioni, ma il problema è di stabilire perché le abbia create soltanto nel Meridione. L'approfondimento dei passi compiuti nel tempo per arrivare ad una certa situazione è senza dubbio essenziale . Ranieri ha accennato alle parentesi di presenza di altre forze politiche a Napoli, con particolare riferimento all'esperimento Valenzi, che nessuno può mettere in discussione soltanto in funzione di Valenzi. Va comunque considerato che, anche in presenza di soluzioni di diverso tipo, si sono registrate incrostazioni o possibilità di derogare a quelli che potevano essere intendimenti di correzione da parte della stessa giunta (non voglio fare alcuna accusa). Quando in relazioni come quella che stiamo esaminando si parte dal preconcetto di poter recare soltanto vantaggio ad una tesi per condannare un certo partito o una certa maggioranza, si arriva a risultati che possono essere smentiti. Sotto questo profilo, andrebbe dedicato un cenno a tutto quello che è stato tentato a Napoli, ma che non si è riusciti a fare. Il problema della ricostruzione post-terremoto non deve essere visto soltanto sotto il profilo di una certa parte. Oltretutto, viene da chiedersi: l'avere inserito nella mappa dei territori danneggiati un'ampia area che dal terremoto non era stata interessata, non ha rappresentato una scelta politica? Certamente vi era l'esigenza di utilizzare un'occasione per porre in essere interventi massicci finalizzati a risolvere problemi di carattere sociale (che peraltro non sono stati risolti). Abbiamo constatato anche l'assenza totale delle forze dell'ordine locali e dei prefetti con riferimento allo sgombero degli alloggi occupati. All'epoca in cui ero membro della Commissione d'inchiesta sul terremoto in Campania ed in Basilicata, ho constatato Pagina 3251 situazioni davvero allucinanti ed incredibili, che superano di gran lunga anche quelle che abbiamo verificato al quartiere Brancaccio di Palermo. Mi riferisco, in particolare, alla voglia di spendere senza alcun controllo, nemmeno sulla utilizzazione dei beni realizzati: una situazione davvero incredibile! Il quadro fornito induce a meditare sulla validità non soltanto delle scelte politiche, ma di un intero sistema che non riesce ad affrontare in chiave moderna i problemi della convivenza civile. Siamo ai limiti del terzo mondo, con una situazione aggravata non soltanto dalla miseria morale, ma anche dalla incapacità di gestione. Quando sento l'amico Tripodi ricordare la vicenda delle vacche che pascolano in terreni privati senza che le forze dell'ordine siano capaci di far valere l'autorità dello Stato, penso che ci sia veramente da demoralizzarsi! La ricerca delle responsabilità politiche è importantissima, ma ancora più importante è la ricerca delle responsabilità sul piano amministrativo, perché noi dobbiamo stroncare l'illegalità diffusa che continua a persistere. Apprendiamo fatti davvero assurdi. Penso alla scorta assicurata ad un camorrista per raggiungere la caserma dei carabinieri, effettuata con una capacità ben superiore a quella delle forze dell'ordine. Quando si legge sui giornali che in un quartiere di Napoli sono state portate via le macchine nel giorno della celebrazione dell'importante matrimonio della figlia di un camorrista e che in quell'occasione i camorristi sono riusciti ad ottenere quello che nessun'altra autorità a Napoli riesce ad ottenere, cioè le vie sgombre per consentire il passaggio del corteo nuziale; quando leggo che il dono offerto come bomboniera era costituito da un'autovettura contenente confetti, mi chiedo: perché nessuno è intervenuto? Dov'è lo Stato? PRESIDENTE. Quando è accaduto questo episodio? UMBERTO CAPPUZZO. E' accaduto a Napoli, due anni fa. In tale contesto vi sono due alternative: o il cittadino accetta la comoda logica del pensare "questo mi fa vivere", oppure non è certo possibile invocare soltanto gli interventi della politica (lo dico pur essendo approdato alla politica molto tardi). Non è tollerabile che le forze dell'ordine siano assenti! Non è tollerabile che si costituiscano comitati di finti disoccupati organizzati i quali ottengono udienza, hanno una veste legale e dispongono di un'organizzazione con tanto di carta stampata e di timbri! La relazione dovrebbe porre l'accento anche su questi aspetti allucinanti, perché questi ultimi non sono soltanto quelli riguardanti la magistratura. Concordo comunque con il collega Imposimato sulla necessità di indagare in merito agli incarichi extragiudiziari che portano a certe manifestazioni alle quali in questa sede si è soltanto accennato. L'assenza completa del tessuto dello Stato, con la conseguente assunzione da parte della gente di una serie di disvalori (l'arricchimento e la violenza) rappresenta il presupposto per l'affermarsi della criminalità. In presenza di un corpo ormai attaccato dalla metastasi, essendo la politica espressione di questo corpo, essa non può che essere invischiata, toccata, contagiata e contaminata. Questo è il punto! Il collega ed amico Buttitta ha fatto un discorso molto interessante sulla differenza fra mafia e camorra. Penso che un'altra differenza vada individuata nel fatto che nella camorra, rispetto alla mafia, si aggiunge un ulteriore elemento che è quello del consenso sociale. Trattandosi di un fenomeno che invischia un po' tutti, si determina infatti un maggiore consenso sociale che, in parte - si tratta di un aspetto che dovrebbe essere inserito nella relazione - è stato favorito dallo Stato, il quale non è che abbia sottovalutato, ma ha creato le premesse di un fenomeno, dando una valenza sociale ad alcune trasgressioni. Penso, per esempio, a ciò che è accaduto all'inizio con riferimento all'"innocuo" contrabbando di tabacchi. A quest'ultimo, si è aggiunto il Pagina 3252 fenomeno della droga e la cosa ha assunto dimensioni ed aspetti ben diversi. Ecco perché sono dell'avviso che un riferimento a queste situazioni debba essere inserito nella relazione, così come un cenno dovrebbe essere dedicato alla presenza delle industrie di Stato. Queste ultime hanno effettuato alcuni esperimenti nel Meridione, che poi sono falliti. Tale fallimento va visto non soltanto in chiave economica, ma anche sotto il profilo dell'approccio alla soluzione del problema sociale. Bisogna chiedersi cosa abbiano prodotto, anche sotto l'aspetto dell'accresciuta corruzione, i tentativi posti in essere dall'industria di Stato ed in che modo questo fenomeno è stato favorito dalla Cassa del Mezzogiorno. Non basta indicare le frodi comunitarie, che sono un fatto molto importante; credo che sotto accusa debba essere posta tutta la politica sviluppata nei confronti del Meridione. A questa politica quali forze politiche hanno contribuito, con quali dibattiti e con quale filosofia di fondo? Hanno portato la situazione ad essere quella che è, con caratteri quasi di irreversibilità. Ecco perché sono molto preoccupato. Abbiamo creato nuovi bisogni, signor presidente - ed era giusta l'osservazione -, e questi bisogni nel futuro, ove si dovesse tornare ad un maggiore ordine, porteranno a tensioni sociali. Per il resto, concordo perfettamente con l'onorevole Sorice, laddove si è posto l'interrogativo circa il ruolo del partito al quale entrambi apparteniamo, anche per quanto riguarda il senatore Gava. Ritengo che questo aspetto potrà essere meglio approfondito a seguito dell'audizione prevista. CARLO D'AMATO. Presidente, concordo con quanti mi hanno preceduto sulla bontà e sulla qualità della relazione, nelle cui conclusioni, in particolare, mi ritrovo in maniera puntuale: si tratta di uno sforzo certamente complesso che ha portato ad un'analisi della situazione sociale, economica, politica e criminale della Campania - e in particolare quella di Napoli, che viene approfondita in maniera più precisa - per quanto riguarda gli ultimi 50 anni della vita di questa realtà. Solo per una questione di identità di vedute con il collega Buttitta, devo dire che, pur riconoscendo, sulla base degli elementi che nella relazione si sono sottolineati, una diversità strutturale, dal punto di vista organizzativo, tra la mafia e la camorra, ritengo - non so se questo comporti una differente valutazione rispetto alla pericolosità delle due organizzazioni - che, sulla base di una valutazione operativa, del modo di essere e degli obiettivi perseguiti, nonché del riferimento e dell'affiliazione di molti esponenti della camorra napoletana ai clan mafiosi, alle famiglie mafiose siciliane, si possa definire una differenza solo formale tra le due organizzazioni. PRESIDENTE. Onorevole D'Amato, vorrei capire una cosa. Una delle differenze di fondo è questa: mi pare che mentre la mafia, Cosa nostra, è entrata in alcune vicende nazionali, per quello che si è capito - consultando alcuni documenti ed altro - la camorra non è entrata in vicende nazionali. E' così o no? CARLO D'AMATO. Non lo so. Penso, comunque, che se la politica ha avuto delle responsabilità, come le ha avute, obiettivamente a livello nazionale i politici napoletani hanno contato molto, nel corso di questi anni. Vi è anche questa valutazione. PRESIDENTE. Sì, certo. CARLO D'AMATO. Credo che vi siano stati momenti, nella vita politica e amministrativa del nostro paese, in cui probabilmente la maggioranza del Governo era rappresentata da esponenti politici napoletani. GIOVANNI FERRARA SALUTE. Campani. CARLO D'AMATO. Campani. Pagina 3253 PRESIDENTE. La Campania è la terza regione (dopo, nell'ordine, la Lombardia e il Piemonte) come numero di ministri. CARLO D'AMATO. Indubbiamente, questo non è soltanto un giudizio negativo, può anche essere un giudizio di qualità. PRESIDENTE. Certo. ANTONINO BUTTITTA. Spesso ministri dell'interno. GIROLAMO TRIPODI. A dir la verità, per la qualità... Sul piano che stiamo discutendo, bene... CARLO D'AMATO. Lasciamo stare: non credo che si possano generalmente criminalizzare tutti coloro che si sono succeduti. Abbiamo avuto vicepresidenti del Consiglio come Francesco De Martino, che credo non possa essere assimilato ad altri... GIROLAMO TRIPODI. Altri tempi! CARLO D'AMATO. Perciò, facciamo una valutazione... Rispondevo a una domanda del presidente, sottolineando, probabilmente, anche su questo piano, una possibile connessione della camorra rispetto alle decisioni politiche nazionali; ma naturalmente sono tutti elementi da valutare e da approfondire. In effetti, anche le indicazioni fatte nella relazione - sulle quali sono d'accordo - circa l'invasività e la presenza soffocante delle organizzazioni della delinquenza camorristica nella società napoletana possono essere supportate dai numeri che sono stati riferiti (32 comuni disciolti), anche se questo è un dato relativo, non assoluto. Abbiamo visto che nel corso degli ultimi mesi, in questo ultimo anno, vi è stata un'accentuazione di attenzione da parte del ministro dell'interno sulle realtà dell'area napoletana e di quella casertana. Probabilmente, se si fosse data uguale attenzione anche alle altre realtà... Dico questo perché considero Napoli e Palermo per molti aspetti identiche come storia e come cultura. Tra le altre cose, come voi sapete bene, sono stato anche sindaco di Napoli, pur non essendo un napoletano: la mia valutazione è che per molto tempo, da sempre, le due realtà hanno vissuto una cultura della subalternità che le ha rese incapaci innanzitutto di definire una cosa fondamentale, cioè la mancanza di una propria autonoma progettualità, per quanto riguarda il proprio sviluppo e la propria capacità di essere protagonisti, di utilizzare il territorio, le risorse, facendo fronte alle esigenze. Ciò, alla fine, ha determinato uno scadimento complessivo, in nome di una serie di motivazioni, non esclusa la cultura dell'emergenza (sulla quale dirò qualcosa rispondendo al collega Ranieri sulle questioni che pure avevano acceso tante speranze a Napoli). Non vi è stata una capacità autonoma della classe dirigente di pensare che a Napoli o in Campania si potesse essere protagonisti, individuando in maniera prioritaria le occasioni, il progetto dello sviluppo, anziché rinviare in maniera continua, come si è fatto e si continua a fare, decisioni che devono essere assunte nelle sedi nazionali. Per cui Napoli, dominata dai francesi, dagli spagnoli, dai normanni, da una serie di generazioni (come Palermo), alla fine si è trovata ad essere dominata da Lauro, dai potentatidemocristiani e, voglio dire, anche da una serie di giunte, pure di sinistra, che, incapaci di affrontare i problemi di fondo, i problemi nodali, si sono trovate alla fine coinvolte in un discorso dell'emergenza cui partecipavano, in maniera indistinta - lo dico a Ranieri - le forze che governavano la città (e che tra le altre cose non avevano la maggioranza) e le forze dell'opposizione, rappresentate in maniera determinante dalla democrazia cristiana, coinvolta a pieno titolo da una grande operazione politica, di corruzione politica (non parlo di corruzione di altro genere) che di fatto, dal 1976 al 1983, aveva reso il consiglio comunale privo di un'opposizione. Basta vedere gli atti del consiglio comunale e la distribuzione degli incarichi Pagina 3254 operati dal 1976 al 1983 fra forze di maggioranza - o pseudomaggioranza -e quelle di opposizione per verificare come si era realizzata una grande commistione che di fatto ha privato Napoli di qualsiasi attività di controllo e di verifica anche sul piano amministrativo. Ricordo che all'epoca, nel 1976-1980, si decidevano le delibere a maggioranza nei consigli comunali in base al numero degli incarichi che alla DC e ai consiglieri democristiani all'opposizione venivano assegnati come presidenti o membri del consiglio di amministrazione, per esempio delle USL o delle aziende municipalizzate. Il grande obiettivo di governare comunque la città alla fine rendeva possibile un coinvolgimento generale e generalizzato. Tale questione si è spostata anche recuperando da un dato una cultura (in questo momento non son presenti amici democristiani) che ha grandi responsabilità politiche. Non so se Gava è il capo della camorra o l'ispiratore della Camorra (questo lo accerteranno i magistrati, vi è una serie di valutazioni, di dichiarazioni di pentiti, vi sono atti giudiziari in corso); ma io dico che Gava è obiettivamente, da un punto di vista politico, uno dei maggiori responsabili dello sfascio che si è determinato nell'area napoletana. Quindi esprimo un giudizio pesantemente negativo sul piano politico a Gava, sia per la sua personalità, sia per gli incarichi che ha occupato, sia per quello che ha rappresentato e ancora oggi rappresenta il potere democristiano a Napoli e in Campania. Per cui alla fine Valenzi, espressione del cambiamento, è stato "costretto" a fare accordi con un'opposizione in consiglio comunale, tenuto conto che al di fuori del consiglio comunale di Napoli, in cui pure c'era una maggioranza relativa che poteva governare, si ergevano le vedette democristiane al Banco di Napoli, al porto, nei grandi enti erogatori di spesa, nelle grandi aziende, e che comunque erano interlocutori necessari ed inevitabili. Probabilmente abbiamo sbagliato lì, lo dico anche con un senso di autocritica, perché non si sarebbe dovuto continuare nel consociativismo forzato, che aveva portato tra le altre cose a 1.500 miliardi di deficit il comune di Napoli: così si è chiusa la giunta di sinistra, Ranieri, tu lo sai bene, con 1.500 miliardi di deficit. Si é utilizzata una logica che non era quella dell'affrontare e dello sciogliere i nodi, bensì quella di dover comunque, nel coinvolgimento generale, cercare di dare una serie di risposte a tutto e a tutti, subendo una serie di scelte che non erano neanche espressione del consiglio comunale di Napoli, che pervenivano per esempio dalla magistratura, la quale aveva imposto al comune di Napoli il problema degli ex detenuti. Questa è stata una vicenda sulla quale si è innestato il superamento di fatto delle regole del collocamento a Napoli, consentendo da un lato lo stravolgimento delle regole e delle leggi che rendevano affidabile, come punto di riferimento per i disoccupati, il collocamento di Napoli, dall'altro al collocamento, che è stata una sede permanente di malcostume a Napoli, di continuare a gestire quello che era possibile gestire al di fuori del comune di Napoli. Mentre si stravolgevano le regole, perché agli ex detenuti, ai monumentalisti, a chi comunque occupava la piazza, a Napoli come a Roma... perché lei giustamente ha fatto riferimento ad una serie di manifestazioni che nel tempo si sono spostate da Napoli a Roma, presidente, quindi erano alla luce del sole: Napoli faceva, Roma sapeva bene quello che succedeva a Napoli, anzi avallava con una serie di decisioni che, di fatto, quello che era il principio generale dell'illegalità si perpetuasse anche di fronte al problema fondamentale del diritto al lavoro. Tra le altre cose emerge un dato fondamentale che lei ha citato nella relazione, che è emblematico di come è stato gestito il collocamento nel corso di questi anni. Se - come lei dice nella relazione - non ci sono ancora notizie certe perché Tagliamonte, il penultimo sindaco, dice che ci sono 250-300 mila disoccupati, mentre cifre ufficiali fanno scendere a 500 mila i disoccupati iscritti al collocamento di Napoli, si ha l'indicazione precisa del grande caos che ha Pagina 3255 segnato la vita di questo fondamentale organo che doveva regolare non i posti di lavoro, perché ce n'erano pochi, ma perlomeno la certezza del diritto per chi si iscriveva al collocamento, che si vedeva stravolgere le sue aspettative da un lato da una gestione certamente poco trasparente, inadeguata dell'ufficio di collocamento, dall'altro lato dalla piazza che imponeva la sua forza, e che riusciva a determinare assunzioni che sono state tutto il contrario di quello che la legge prevedeva. Si è trattato quindi di una cultura dell'illegalità diffusa, di cui ho dato alcuni esempi, per dire come alla fine le responsabilità politiche... Se non facciamo questa analisi - lo dico a Ranieri - dato che siamo una Commissione politica del Parlamento, probabilmente corriamo un rischio. Mi ritrovo, come ho detto, nella conclusione ed anche in un certo pessimismo positivo, perché il presidente, nel citare in maniera precisa, dà anche un'indicazione di speranza ai giovani. Questo è il riferimento, le nuove generazioni. Io credo che le vecchie generazioni obiettivamente devono segnare la fine nella vita politica napoletana, avendo determinato fra le altre cose una considerazione di fondo a cui si è fatto riferimento nella relazione per un'altra grande occasione, cioè la ricostruzione. Nel fare un'analisi il presidente, con grande obiettività, ha fatto un riferimento preciso per quanto riguarda le responsabilità politiche, impreciso per quanto riguarda il riferimento alla regione Campania. Il primo commissario non fu Fantini, ma fu De Feo, democristiano comunque, come Fantini. Era assegnata a due partiti, democrazia cristiana, partito di maggioranza relativa, e al più grande partito di opposizione, il partito comunista, nella qualità del sindaco di Napoli, la responsabilità della ricostruzione. Dico questo facendo le dovute differenze sulle responsabilità, ma anche indicando un percorso che ha visto alla fine un coinvolgimento generale delle forze politiche napoletane che hanno determinato la grande mancata occasione della ricostruzione. Non esprimo un giudizio negativo sulla ricostruzione, anche se c'è una serie di fatti all'esame della magistratura (e mi auguro che la magistratura vada avanti fino in fondo, come sta dimostrando, anche se con ritardo rispetto ad alcune questioni). Mentre vedo muoversi bene la magistratura napoletana, caro presidente, vedo che si muove poco la magistratura delle altre realtà: ad Avellino, Benevento, Salerno, sulla ricostruzione langue. Quella è stata un'occasione nella quale si potevano utilizzare, finalizzandole ad un progetto di sviluppo e di recupero del degrado, le risorse ingenti che erano state stanziate. L'operazione invece si è conclusa male perché è rimasto inascoltato chi, come me, sosteneva che la nomina del commissariato straordinario avrebbe costituito la fine della democrazia e del confronto, dal momento che di fatto l'attività di controllo e di decisione sarebbe stata espropriata e a tale organo monocratico sarebbero stati assegnati i poteri decisionali esclusivi. Sono passate invece altre logiche perché, siccome c'era l'individuazione di due soggetti, era coperta la maggioranza relativa e la maggioranza dell'opposizione e quindi il commissariato andava bene. Nel 1983, quando la giunta Valenzi terminò il suo incarico, fu commesso un secondo errore, che è poi quello che ha determinato i guasti che sono a tutti evidenti. Si poteva infatti recuperare una presenza del consiglio comunale rispetto al prosieguo della gestione commissariale, anziché fare un'operazione di disimpegno totale dal commissariato, che alla fine ha continuato a gestire in maniera burocratica (i fatti lo hanno dimostrato) una grande opera di intervento... PRESIDENTE. Quale fu la procedura? CARLO D'AMATO. La procedura fu politica. Infatti, fino al 1987, quando fu sciolto il commissariato, le forze di sinistra, ed in particolare l'allora partito comunista, che Pagina 3256 aveva retto bene il commissariato straordinario della ricostruzione, decisero di fare, rispetto alla ricostruzione, un'operazione di disimpegno totale di cui ignoro il motivo. Quello che è certo è che i programmi erano stati elaborati ed approvati dal consiglio comunale e che le opere erano state scelte dal fior fiore dell'intelligencija italiana. Non vi saranno sfuggiti gli articoli con gli "osanna" de la Repubblica sulla grande qualità dell'intervento per il recupero abitativo napoletano, sulla grande capacità di questa finalizzazione di risorse per recuperare il degrado che per anni aveva messo Napoli al bando dell'Europa e che adesso finalmente le poteva dare la dignità di grande capitale del Mezzogiorno. Improvvisamente, questa che era stata una grande operazione, non so di quante migliaia di miliardi (15 o 20 mila), diventò una palla al piede, della quale liberarsi al più presto determinando due fatti negativi: da un lato la mancanza di un ulteriore controllo per quanto riguarda la gestione, affidata oltretutto ad un organo burocratico che può programmare solo l'ordinaria amministrazione; dall'altro l'impossibilità di raggiungere gli obiettivi che pure era possibile raggiungere e di recuperare il gap che aveva caratterizzato in maniera negativa le periferie napoletane rispetto al contesto della regione Campania e dell'Italia intera, se è vero che erano state realizzate - ed in questo mi riferisco anche ai dati contenuti nella relazione - centinaia di scuole, di asili nido, di scuole materne, di palestre, che dovevano insistere in realtà nelle quali obiettivamente il degrado era più forte, l'abbandono della gioventù era ancora più sentito, la droga la faceva da padrone e la mancanza di alternative era una costante. Ancor'oggi non ho capito politicamente quel comportamento. Fatto sta che alla fine a Napoli siamo arrivati al livello di insufficienza scolastica che è stato sottolineato, e ci sono ancora scuole che non sono state ancora completate o che, una volta completate, sono state spogliate. C'è una mancanza di strutture per le quali sono stati spesi migliaia di miliardi: sono lì palestre polivalenti, con le migliori attrezzature (a Piscinolo, a Ponticelli), ed anche parchi. Lei non sa, presidente, e forse non lo sanno neanche i colleghi, che a Secondigliano è stato realizzato uno dei parchi più grandi di Napoli, più importante e significativo di quello di Capodimonte e della villa comunale di Napoli; che inoltre a San Giovanni c'è un parco e c'è un lago, attraverso cui si doveva recuperare la vivibilità di quella zona. Giustamente lei nella relazione riporta i fatti che le sono stati riferiti, cioè che c'è stata impossibilità da parte del comune di assumere la gestione delle opere. Credo che questo sia obiettivamente un dato che denota la caratteristica di una città che ha bisogno di tante cose, che le vede realizzate e che obiettivamente lascia alla fine tutto legato ad una decisione burocratica di non dare l'affidamento per la gestione di opere, che quindi ora sono abbandonate; e tutto ciò grida vendetta. Oggi uno dei due candidati alla direzione del comune di Napoli fra i suoi obiettivi si propone quello dell'utilizzazione delle strutture. Me lo auguro, anche se penso che obiettivamente, in una società pervasa dalla camorra e dalla illegalità elevata a sistema qual è quella di Napoli, le condizioni di intervento passano non solo attraverso una responsabilizzazione delle forze politiche, ma anche attraverso un cambiamento e una individuazione di responsabilità che coinvolgono la burocrazia pubblica, da quella comunale a quella delle autorità dello Stato. Non si può pensare di risolvere nel comune di Napoli i problemi di un'azienda con 25 mila dipendenti mettendo il cartellino ad operai ed impiegati; è una boutade, non basta; bisogna far applicare le leggi, ed in particolare la legge n. 142, bisogna cioè cambiare i dirigenti. A Napoli, per l'esperienza diretta che ho maturato come assessore e sindaco, c'è una larga parte della burocrazia comunale che delinque in maniera puntuale e che nel corso di questi anni ha trovato in qualche esponente politico Pagina 3257 dell'amministrazione l'anello terminale di un disegno criminoso. Del resto, non si può pensare che le centinaia di miliardi di Nuvoletta e di Alfieri siano sorte dal nulla dall'oggi al domani, ma occorre mettere in discussione l'azione di prevenzione e di controllo da parte delle forze di polizia sul territorio. Per il fatto che è sorta una città nella città di 70-80 mila abitanti come Pianura, e va tenuto conto che il grande sacco di Napoli e di Pianura è stato fatto nel periodo che va dal 1974 al 1984, sono state accertate collusioni e connivenze, anche di amministratori comunali, con i costruttori di Pianura. Se non dicessimo queste cose e pensassimo di poter criminalizzare in maniera indistinta soltanto una parte assolvendo noi stessi, credo che assumeremmo un atteggiamento che alla fine non raccoglie quel messaggio di speranza che il presidente ha inviato alle nuove generazioni, perché ci troveremmo in un continuum che vede non rescissi i nodi del passato per poter affrontare in termini adeguati il presente. PRESIDENTE. La questione è Pianura, quindi. CARLO D'AMATO. Ci sono anche altre questioni: mi riferisco a Marano, a Poggio Vallesano, a Giugliano, ad interi quartieri che sono sorti con lottizzazioni ufficiali; mi riferisco, in sostanza, a tutto l'abusivismo edilizio che si è registrato. PRESIDENTE. Pianura era abusiva? CARLO D'AMATO. Completamente abusiva. Non c'è una licenza edilizia a Pianura, dove non poteva essere costruito niente perché lo vietava il piano regolatore del 1974. A Pianura come commissario straordinario, caro presidente, tenuto conto che per una località in cui risiedevano 70-80 mila abitanti non erano stati effettuati interventi di urbanizzazione primaria, ho dovuto utilizzare i fondi della legge n. 219 per costruire una rete fognaria che garantisse le condizioni igienico-sanitarie di quella realtà. Non c'erano le strade, non c'erano le scuole... FERDINANDO IMPOSIMATO. Si è cominciato a costruire nel 1971. CARLO D'AMATO. Non so per quanti anni si è costruito, ma so che si costruisce ancora oggi. ed ancora oggi intervengono i vigili e i carabinieri per bloccare le costruzioni. UMBERTO RANIERI. Si tentò con la dinamite. CARLO D'AMATO. Sì, ma fu un fatto solo spettacolare, che per altro non servì a niente perché dopo la dinamite vennero i coinvolgimenti, dopo i coinvolgimenti venne il terremoto, dopo il terremoto venne l'acquisizione dei palazzi, l'acquisizione dei palazzi diede luogo ad altre connessioni e poi ci furono i processi. UMBERTO RANIERI. I processi si sono conclusi in un certo modo. CARLO D'AMATO. Solo parzialmente: per alcune responsabilità no. Questo lo dico non perché mi va di criminalizzare, ma perché non è questa la logica nella quale mi muovo. Ritengo che oggi si debba trovare il modo di utilizzare il lavoro svolto da questa Commissione dopo una approfondita analisi, una serie di audizioni ed interventi in loco; lavoro che invece potrebbero restare, come diceva il collega Butitta, solo un merito letterario della Commissione e non determinare la possibilità di un coinvolgimento de facto di una realtà che invece deve essere violentemente aggredita nelle sue istituzioni e nei suoi gangli vitali perché possa effettivamente cambiare. Deve cambiare la situazione al provveditorato agli studi di Napoli. L'attuale provveditore è una brava persona, ma non si può sottacere che al provveditorato di Napoli da anni vengono fatti imbrogli: da anni le cattedre e gli incarichi vengono assegnati senza tenere conto delle graduatorie; da Pagina 3258 anni i cittadini non trovano le graduatorie definite. Non c'è un settore a Napoli dove il degrado, l'imbroglio, il malgoverno, non abbiano caratterizzato la vita della città in maniera negativa. FERDINANDO IMPOSIMATO. I ricorsi al TAR che fine hanno fatto? CARLO D'AMATO. Ma non parliamo del TAR né del CORECO. Sono d'accordo con le tue considerazioni, caro Ferdinando, a proposito del TAR e soprattutto del CORECO. Tu sai bene che le responsabilità e i coinvolgimenti anche lì sono collettivi, perché la nomina dei membri del CORECO viene effettuata dai partiti che sono stati tutti rappresentati in questi anni. E certamente il CORECO provinciale o regionale non ha mai brillato per obiettività nel controllo di legittimità degli atti. Potrei citare decine di casi di delibere adottate dal comune di Napoli sotto la mia amministrazione che sono state bocciate immotivatamente, probabilmente, per motivi nascosti. Le ultime vicende risalgono ai lavori per lo stadio San Paolo, che non mi è stato consentito di eseguire e che sono stati eseguiti successivamente sotto una gestione commissariale, con le conseguenze che adesso si stanno verificando, cioè con i processi che adesso inizieranno e con le centinaia di milioni di mazzette che sono state date a seguito di affidamenti e di appalti concessi da un commissario straordinario nazionale e da un subcommissario che è stato nominato con gli stessi criteri. Quindi non c'è neanche responsabilità delle forze politiche in questa ipotesi, ma le conseguenze politiche si sono innestate successivamente. Ripeto che sono d'accordo con quello che lei ha scritto, presidente, e con le conclusioni cui lei è pervenuto. Dovremmo però cercare di seguire gli effetti di questa relazione e di verificare come mutano, al livello della città e degli organismi periferici, gli atteggiamenti che oggi sono stati obiettivamente compiacenti e compromissori. Non si può infatti consentire - lo ribadisco - che improvvisamente si scopra che Nuvoletta, Alfieri, Galasso o non so chi altro abbiano centinaia o migliaia di miliardi come se questi fossero sorti dal nulla, senza che un maresciallo dei carabinieri o un pretore o un commissario di pubblica sicurezza presenti sul posto abbiano avuto sentore di quello che stava accadendo. Non ci credo, e sono anzi convinto che ci sia stato un ampio coinvolgimento. Peraltro, presidente, che ci sia commistione tra politica e camorra i fatti lo hanno dimostrato, ma sono molto spesso portato a pensare che sia più la politica che va a sollecitare la camorra, e che ciò accada in occasione delle campagne elettorali. Così infatti si supera anche la discrasia - che qualcuno ha voluto sottolineare - dell'impossibilità o dell'incapacità di qualche clan camorristico di far eleggere quattro o cinque candidati, perché molto spesso sono i singoli che vanno a sollecitare i voti, come hanno dimostrato le conclusioni cui sono pervenute le indagini della polizia in merito a riunioni in ville di questo o quel potente clan o a sollecitazioni o ad altri fatti che hanno evidenziato questo dato. La camorra probabilmente aspetta l'occasione elettorale per rinnovare il suo esercito di rappresentanti ai vari livelli istituzionali, e per questo si fa anche pagare. La camorra non chiede soltanto il piacere successivo o il mantenimento dell'impegno assunto ma, a quanto mi risulta, chiede il pagamento anticipato del proprio intervento in materia elettorale. Non si tratta di qualcosa di formalmente interessato per recuperare poi quanto dato, ma di un fatto preventivo e di un rispetto successivo circa il mantenimento degli impegni ad elezione avvenuta. Abbiamo puntualizzato una serie di fatti che pongono in evidenza la subalternità obiettiva di una classe dirigente che non c'è (al riguardo mi pongo in una posizione pessimista). Neppure in chi dovrebbe compiere l'attività di programmazione c'è questa capacità per coinvolgimento, per incapacità o per mancanza di cultura amministrativa o di tensione morale o civile. La regione Campania da 25 anni, da quando è sorta, non ha approvato Pagina 3259 nessun atto di indirizzo e di programmazione per la gestione del territorio, tranne quello per la penisola sorrentina che, fra l'altro, è inapplicabile. A Napoli non si può neppure discutere dei chioschi, di cui ha parlato il senatore Florino, allocati sul territorio demaniale da dove ora devono essere sloggiati perché la regione non ha ancora adottato i piani paesistici, non ha riorganizzato il proprio territorio, non ha predisposto un piano di sviluppo e non ha dato neanche una possibilità ad una provincia che è altamente, e non poco, onorevole Butitta, industrializzata. Dal punto di vista dell'attività imprenditoriale e manifatturiera Napoli è al terzo posto in Italia, anche se certamente occorre recuperare rispetto agli errori del passato e alla cultura dell'emergenza che aveva connotato agli inizi degli anni ottanta un intervento di ottocento miliardi a favore dell'Italsider. Il collega Ranieri certamente ricorderà che l'allora ministro delle partecipazioni statali, onorevole De Michelis, fu costretto a recarsi a Napoli e a concedere questo finanziamento all'Italsider pur sapendo che esso sarebbe stato male impiegato perché, come poi i fatti hanno dimostrato, non c'era futuro per l'acciaio. C'è un'obiettiva incapacità di recuperare un modo di essere protagonisti e progettuali rispetto allo sviluppo; fino a quando esisterà ci troveremo sempre di fronte all'emergenza che alla fine la farà da padrona, che darà la giustificazione morale alla famiglia di non mandare i figli a scuola perché non può sopravvivere, al giovane di delinquere perché non ha prospettive di lavoro e certezze rispetto al futuro, alle donne di prostituirsi perché non ci sono alternative (se non ci sono per gli uomini, immaginate cosa c'è per le donne!) e via di seguito. E' necessario un intervento forte ma non, come sostengono i colleghi della democrazia cristiana, di accentramento allo Stato nazionale perché sarebbe il contrario di quello che dobbiamo fare rispetto ad una giusta impostazione politica di responsabilizzazione delle autorità locali. FERDINANDO IMPOSIMATO. Bisogna moralizzare! CARLO D'AMATO. Bisognerebbe bonificare più che moralizzare! Occorre intervenire per dare messaggi di speranza e occasioni certe di sviluppo perché alla fine la cultura di Napoli prevarrà, anche se è stata subalterna. Come è stato consumato il sacco di Napoli? Dov'era la facoltà di architettura di Napoli quando Lauro faceva lo scempio a Napoli e si costruiva il Vomero alto? Dov'era la cultura napoletana quando si costruiva Monterusciello (parlo del 1960 e del 1983)? FERDINANDO IMPOSIMATO. I nomi. CARLO D'AMATO. Non faccio nomi, domando solo dove fosse questa cultura. Quando mai essa ha predisposto un progetto diverso? E' stata una cultura pronta a prostituirsi e a soggiogarsi rispetto al potere dominante del momento! Questo è il grande problema di Napoli! GIOVANNI FERRARA SALUTE. C'è stato un momento, quarant'anni fa, nelle Cronache meridionali... CARLO D'AMATO. Quello fu un grande periodo. L'ho letto, ma sulla base della mia esperienza devo dire che non ho mai trovato un disegno alternativo che si opponesse allo sfascio che ha caratterizzato la vita civile, politica e amministrativa di Napoli. L'esempio della regione Campania è indicativo; non so fino a che punto si possa parlare di mancanza di tensione morale quando, per incapacità o sottocultura, si continua a gestire un consiglio regionale che non si scioglie, pur in presenza di numerosi inquisiti, sopravvivendo a se stesso non si sa bene in difesa di cosa. Concludo il mio intervento, forse un po' parziale e confuso, ma certamente mosso dall'emotività su alcuni aspetti da lei sottolineati, signor presidente; probabilmente se avessi potuto fare un seminario su questo argomento, avrei Pagina 3260 potuto fornire un contributo maggiore. Vorrei solo ricordare che i problemi della città di Caserta non vengono affrontati nella relazione in maniera adeguata. FERDINANDO IMPOSIMATO. Su Caserta c'è una relazione a parte. CARLO D'AMATO. Mi riservo allora di intervenire quando si discuterà tale relazione perché è la testimonianza obiettiva che quanto abbiamo registrato a Napoli si è decuplicato in maniera esponenziale a Caserta. PRESIDENTE. Ha ragione, onorevole D'Amato, la situazione di Caserta è quella più esplosiva. GIOVANNI FERRARA SALUTE. Come è emerso dalla maggior parte degli interventi, appare giustificato il riferimento della relazione al fondamento storico e sociologico del fenomeno perché essa intende anche affrontare la questione campana o napoletana, cioè un aspetto fondamentale della questione meridionale. Tuttavia, proprio per questo, vorrei fornire il mio contributo, dando per scontato tutto quello che ciò significa e cercando di guardare la questione in senso limitativo. Certamente, anche se andiamo a fondo, non arriveremo ad una meta precisa perché è evidente che il problema della camorra oggi evoca questioni maggiori rispetto a quelle evocate dal fenomeno della mafia, che secondo me è più potente anche perché fondato su un antico collegamento anzi, gemellaggio internazionale con la mafia di New York e di Chicago, ma che effettivamente presenta qualcosa di più circoscritto, quanto meno un carattere di virulenza maggiore ma contemporaneamente meno diffusa rispetto alla camorra a Napoli e nelle zone limitrofe. La camorra appartiene al costume sociale più di quanto la mafia non faccia parte del costume generale: ma queste sono sottigliezze. A mio giudizio la relazione deve rimanere centrata, per motivi di economicità e di penetrazione del problema, sulla questione specifica del fatto camorristico, vale a dire della ricostruzione della sua nascita e della sua crescita, del suo vivere a contatto con le amministrazioni locali, con l'amministrazione statale, con il sistema bancario, con quello politico, eccetera. Suggerirei al presidente di non estendere oltre un certo limite la dimensione della questione napoletana o campana generale seguendo le parole appassionate, e - purtroppo per lui - esperte, del collega D'Amato, ma limitandosi al fenomeno della camorra, anche perché ciò rientra nei compiti istituzionali della nostra Commissione. Da questo punto di vista può essere sgradevole o forzata l'apparentemente eccessiva concentrazione su alcune personalità politiche. Se la ricerca non si estende tanto all'aspetto della degenerazione amministrativa (del non governo, del malgoverno, del sottogoverno eccetera), della mancanza di pianificazione, della volontà di utilizzazione elettorale e politica a tutti i costi di un dato di fatto preciso, ma si esaminano con maggiore attenzione alcuni momenti tipici e caratteristici di organizzazione politica che si avvale o si identifica, ovviamente in parte, con un'organizzazione criminosa, avviene un fenomeno simile a quello verificatosi, sia pure in altro modo, in Sicilia. Anche lì si è finito per mettere in evidenza alcuni aspetti di collegamento politico di carattere primario perché, se il discorso fosse stato esteso a tutta la classe dirigente politica siciliana, si sarebbe entrati in uno spazio infinitamente più vasto, anche solo dal punto di vista descrittivo. Il caso Cirillo in modo appropriato è stato giudicato un momento di snodo e di sviluppo dell'attuale modello del sistema camorristico. Infatti, al riguardo, vi sono interventi politici limitati ma abbastanza precisi nelle persone e nell'ambiente in cui si muovono. Il caso Cirillo non presuppone soltanto un potere di carattere preminente e locale, ma presuppone un potere di carattere nazionale e un'intrinsecità con i poteri dello Stato; conseguentemente ci Pagina 3261 porta al livello di chi veramente in Italia ha avuto in proprio e non solo per delega poteri di carattere statale. Anche questo, che può sembrare un eccesso di sottolineatura o una mancanza di allargamento del discorso, è abbastanza logico una volta impostato il discorso specifico della camorra, dei suoi sviluppi e della sua storia. Il panorama che ne deriva è stato definito allucinante, angoscioso, polarizzante; indubbiamente le cose stanno così, ma bisogna anche domandarsi che cosa è successo nel Mezzogiorno, ivi compresa la Sicilia, la cui questione è sempre stata dagli studiosi tenuta insieme ma distinta rispetto a quella meridionale. Negli ultimi quarant'anni essa ha conosciuto uno straordinario sviluppo in parte coperto dal fatto che intanto la forbice dello sviluppo col nord aumentava, per cui si trattava di uno sviluppo in senso assoluto ma non in senso relativo. E' anche vero che ha conosciuto l'espansione della criminalità organizzata in territori che prima non ne erano invasi, come la Puglia e probabilmente la Basilicata, e che la sua espansione in Calabria prima era più limitata; è anche vero però che la regione e la città che più hanno risentito dello stravolgimento, della decadenza, dello sviluppo della questione meridionale da parte dello Stato, delle forze politiche siano state la Campania e Napoli. Negli anni non è rimasta uguale perché anche Napoli si è arricchita, la plebe napoletana di oggi è infinitamente diversa da quella stracciona dei "lazzari" e che è stata tale fino ai tempi di Lauro. Nonostante Bagnoli, nonostante le carrozze ferroviarie, nonostante ci fossero tante cose, Napoli per alcuni aspetti nel 1953-54, quando ero all'istituto storico, si ritrovava nelle pagine della Storia del Regno di Napoli di Croce, una certa Napoli plebea e lazzarona che oggi è certamente diversa, ma che presenta la stessa fisionomia, nel senso che è illegale, alegale, non cittadina, non civica, non collegata da questo punto di vista con il resto della realtà nazionale, una specie di isola che si autogestisce in questa impressionante nuova economia dove l'illegalità si collega alla criminalità e anche allo spontaneismo economico. La grave accusa da muovere - qui come in Sicilia e sempre in questi casi - è che, dopo tanto tempo, non si può soltanto chiedere conto ad una classe dirigente di quanto sia stata complice. Come del resto è già stato osservato, si deve chiedere conto di dove fosse. Dove eravate voi detentori di grande potere politico nazionale? Dove erano i partiti - tutti e nessuno escluso - in quanto caratteristici mediatori di istanze generali in una società che di per sé può essere estranea a certi fenomeni? Se i partiti sono venuti meno al compito di spiegare alla "plebe" napoletana che avrebbe dovuto trasformarsi in plebe cittadina e di utilizzare gli strumenti dello Stato di cui disponeva ai fini dello sviluppo e non solo della semplice gestione, la situazione si presenta effettivamente disperata. Confido che qualcosa cambi. Almeno una cosa sembra sulla via di modificarsi rispetto alle condizioni descritte nella relazione. Mi rendo conto che quanto sto per dire può apparire marginale, ma forse non lo è: penso alla nuova legge elettorale per i comuni la quale, quanto meno, garantirà continuità al potere di amministrazione. In altri termini, finirà l'instabilità delle giunte e dei consigli comunali ed a ciò dovrebbe far seguito una maggiore forma di responsabilizzazione. Conseguentemente, anche il livello nazionale potrà godere di punti di riferimento più certi. Può darsi, quindi, che qualcosa cambi. Rispetto alla mafia esiste una sensibilizzazione nazionale molto maggiore che non per la camorra, la quale ancora oggi è considerata da molti in Italia come un fenomeno un po' folkloristico. Come ben sappiamo, invece, non lo è più da moltissimo tempo; di folkloristico ormai non ha che alcuni aspetti che sono poi il riflesso della differenza tra il carattere napoletano e quello siciliano, un po' cupo ed a volte sinistro. E' antica la discussione sulla solarità e lunarità dei due caratteri: risale addirittura al Settecento, Pagina 3262 così come documentato anche da piacevolissimi scrittori stranieri. Penso alla polemica tra il gaio napoletano e il tetro ed austero siciliano: sono i due modi diversi in cui la Spagna ha influito sul nostro Mezzogiorno. Come dicevo, la coscienza del fenomeno camorristico va nazionalizzata. Tuttavia, credo vi sia qualcosa di vero nell'affermazione che la mafia sia un fenomeno alquanto diverso e tutto sommato, da un punto di vista generale anche se non nazionale, più grave della camorra, nel senso che la mafia sembra avere una capacità di collegarsi con i grandi fenomeni di sviluppo economico e finanziario, locali e mondiali, che la camorra probabilmente non ha, oppure ha soltanto nella misura in cui è influenzata o diventa una branca di cosa nostra. Quello della camorra è dunque un fenomeno più limitato, anche se più esteso e profondo dal punto di vista sociale. Sotto questo profilo, la relazione appare quindi ben impostata per cui ne lascerei invariata la struttura, salvo le integrazioni che la Commissione riterrà opportune. PRESIDENTE. Desidero ringraziare i colleghi per questo dibattito eccellente che ha messo in luce una serie di elementi molto importanti ed utili per la stesura definitiva della relazione. Ricordo che la Commissione è convocata per venerdì 10 dicembre alle ore 8,30, per ascoltare il generale De Sena ed il senatore Gava. Sui lavori della Commissione. PRESIDENTE. Il senatore Ferrara Salute ha chiesto di parlare per una precisazione. GIOVANNI FERRARA SALUTE. Sento che la Commissione ha deliberato di ascoltare il senatore Gava dietro sua richiesta. PRESIDENTE. Anche il generale De Sena ha chiesto lui di essere ascoltato. GIOVANNI FERRARA SALUTE. Ero assente, ma desidero precisare che non sarei stato favorevole a tale audizione perché mi pare che la Commissione finisca per entrare in una dimensione di carattere istruttorio e giudiziario che francamente non considero opportuna. PRESIDENTE. La ringrazio, senatore, per questa precisazione. La seduta termina alle 13,45.