AUDIZIONE DEL GENERALE MARIO DE SENA AUDIZIONE DEL SENATORE ANTONIO GAVA PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Audizione del generale Mario De Sena: Violante Luciano, Presidente ........ 3265, 3267, 3269, 3271 3272 Abbate Fabrizio ....................................... 3269 Brutti Massimo .................................. 3270, 3271 Butini Ivo ............................................ 3268 Cappuzzo Umberto ...................................... 3267 D'Amelio Saverio ................................ 3269, 3271 De Sena Mario, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri ............................... 3265, 3267, 3268 3269, 3270, 3271, 3272 Matteoli Altero ....................................... 3271 Sorice Vincenzo ....................................... 3267 Audizione del senatore Antonio Gava: Violante Luciano, Presidente ........ 3272, 3277, 3278, 3279 3280, 3281 Brutti Massimo .................................. 3280, 3281 D'Amato Carlo ......................................... 3279 D'Amelio Saverio ...................................... 3272 Gava Antonio ............ 3272, 3277, 3278, 3279, 3280, 3281 Sorice Vincenzo ....................................... 3278 Sui lavori della Commissione: Violante Luciano, Presidente .................... 3281, 3282 Butini Ivo ............................................ 3282 Cabras Paolo .................................... 3281, 3282 Sorice Vincenzo ....................................... 3282 Pag. 3264 Pag. 3265 La seduta comincia alle 8,30. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Audizione del generale Mario De Sena. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del generale Mario De Sena, che ha chiesto di essere ascoltato dalla Commissione. MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. Ho chiesto di essere ascoltato da questa Commissione per dare un contributo alla verità dei fatti che sono stati enunciati dalla stampa e che riproducono delle distorsioni, che credo non siano tali da poter essere considerate fatti veri. Ho preparato una memoria (comprensiva di allegati) che lascerò agli atti. Tale memoria, che leggerò, accompagna ed integra l'audizione cortesemente disposta, su mia richiesta, da codesta autorevole Commissione; essa ha il solo fine di porre a disposizione del signor presidente e dei signori commissari gli elementi di fatto utili a determinare la verità storica su comportamenti che, come risulta dalla stampa quotidiana, mi verrebbero attribuiti nella bozza della "proposta di relazione sulla camorra". Mi è stata maliziosamente e strumentalmente attribuita, in relazione alla mia candidatura e successiva nomina a sindaco di Nola nel 1989, una partecipazione attiva alla vita politica e di partito che, al contrario, non ho mai perseguito. Come risulta dal mio curriculum vitae (allegato 1), dal 1941 al 1987, il mio impegno è stato dedicato al servizio nell'Arma dei carabinieri, senza altri coinvolgimenti, di alcun tipo; successivamente sono stato nominato presidente della Società italiana per condotte d'acqua, al cui risanamento mi sono dedicato nei limiti del mio mandato di presidente del consiglio di amministrazione. L'attività di lavoro mi ha completamente assorbito e gratificato. Dunque, così, non ho trovato o saputo trovare - se si preferisce -, il tempo ed il modo di dedicarmi ad attività politiche. D'altra parte, anche la mia candidatura a sindaco di Nola non fu in alcun modo frutto di militanza politica ma, ritengo, collegata appunto alla mia estraneità alla politica stessa, oltre che alla tradizione familiare (mio padre e mio nonno avevano ricoperto lo stesso ufficio molti anni addietro) e al mio modesto successo nella vita militare. In verità, per quanto è a mia conoscenza, la mia candidatura a sindaco appare tutt'altro che preordinata o pianificata, se è vero, come è vero, che la proposta mi venne avanzata solo il giorno precedente a quello di scadenza del termine per la presentazione delle liste elettorali. Il giorno detto ricevetti una rappresentanza di esponenti locali della democrazia cristiana, che mi chiese con insistenza di accettare, in virtù della tradizione familiare ricordata, la candidatura a sindaco. Obiettai che non avrei potuto dedicare il tempo necessario a gestire un così delicato incarico, a causa degli altri impegni che mi trattenevano a Roma, mia città di residenza. Mi fu assicurato che il mio compito avrebbe avuto un rilievo non politico ma squisitamente amministrativo e che sarebbe consistito nel coordinare il lavoro degli Pag. 3266 assessori, ma soprattutto che la mia persona, considerata giustamente al di sopra delle parti, avrebbe consentito di comporre la litigiosità fra i rappresentanti delle correnti di partito - che aveva portato allo scioglimento del consiglio comunale - e quindi di assicurare il funzionamento, in condizioni di trasparenza e legittimità, della giunta. Per inciso, negli ultimi quattro anni, si erano avvicendati alla carica ben sei sindaci. Pressato dai tempi brevi concessimi per la decisione, non ebbi il tempo di ponderare l'impegno che andavo ad assumere e, spinto dai sentimenti e dalla volontà di potermi rendere utile alla città in cui ero nato, accettai la candidatura, anche e soprattutto per spirito di servizio. In correlazione alla candidatura a sindaco, mi viene poi attribuita una frequentazione regolare con i maggiori capi di camorra e, ancor peggio, si asserisce una mia conferma di tale fatto. Tale ricostruzione è affetta da totale falsità e volontà persecutoria, in quanto prende le mosse da una mia dichiarazione spontanea resa il 17 marzo 1992 al pubblico ministero, dottor Franco Roberti, della procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli. Nel corso di tale dichiarazione (allegato 2), feci presente di aver incontrato nel corso della mia breve campagna elettorale, nel 1989, tra gli altri e per una sola volta, tal Francesco Alfieri, successivamente imputato ai sensi dell'articolo 416-bis del codice penale. Ebbi occasione anche di spiegare che, poiché ero lontano dalla città di Nola ormai dall'agosto del 1941, non conoscevo la realtà locale e pertanto durante la campagna elettorale, esperienza per me del tutto nuova, fui guidato da vecchie conoscenze di famiglia e da esponenti del partito e che, con questa modalità, venni condotto in alcune abitazioni private, ove era convenuto un certo numero di elettori, e presso alcuni parroci per farmi conoscere ed illustrare il mio programma: l'intervento non durava più di dieci o venti minuti. Una di queste visite si svolse appunto presso l'abitazione dell'Alfieri, che non conoscevo e che mi venne presentato come un imprenditore locale vicino alle posizioni democristiane; anche lì erano presenti altre dieci o dodici persone. Da questa banale vicenda si è fatto discendere la cosiddetta "frequentazione con capi camorra" e si è illazionato che la mia nomina a sindaco fosse stata appoggiata da tali soggetti. Ricordato lo scarso interesse che avevo personalmente alla nomina, mi preme segnalare (vedi allegato 3) che nelle elezioni io non ebbi il massimo delle preferenze; che le preferenze ricevute erano per la massima parte individuali; che nella frazione di Piazzolla, secondo la stampa feudo del boss Carmine Alfieri e che conta circa 9 mila abitanti, io ebbi a riportare solo 115 voti, nel totale di otto sezioni, risultando nella media il quattordicesimo per voti riportati. A ciò si aggiunga che nel periodo in cui espletai il mandato di sindaco la mia attività si svolse tutta nell'obiettivo principale di risanare la tragica situazione economica in cui si dibatteva l'amministrazione e che i provvedimenti adottati in quel periodo non furono certo tali da dimostrare una ricerca di popolarità. Avevo trovato circa 10 miliardi di debiti fuori bilancio. Non dimentico che alcuni argomenti qui accennati sono stati ripresi, con pedissequa uniformità, anche dal camorrista Pasquale Galasso. A ciò, oltre che rigettare ogni e qualsiasi insinuazione formulata nei miei confronti, non posso che opporre la denunzia (allegato 4) per calunnia presentata nei confronti dello stesso Galasso il 5 aprile 1993 innanzi il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, poche ore dopo aver appreso dalla stampa (L'Espresso n. 14, che era uscito tre ore prima) le dichiarazioni del camorrista. Purtroppo, credo che a tutt'oggi la mia denunzia non abbia ricevuto ancora il beneficio di essere esaminata dalla magistratura. Infine, per chiudere in modo classico un teorema accusatorio, mi si addebita di Pag. 3267 aver favorito un subappalto della Società italiana per condotte d'acqua a favore della Fesi s.r.l. e della Movisud, nella quale ultima avrebbe avuto interessi, tramite suoi parenti, Francesco Alfieri. Ancora una volta la ricostruzione dei fatti è ben diversa e consiste in una mera segnalazione da me fatta agli uffici delle Condotte, su richiesta dei responsabili di cantiere, di tal Ambrosino Luigi, da me conosciuto in occasione di alcuni periodi di vacanza presso un albergo di Policastro, che si interessava della Fesi s.r.l. Segnalazione che poi ebbe seguito con l'effettivo affidamento dei lavori, in considerazione della circostanza che l'offerta della Fesi era apparsa agli uffici tecnici ed amministrativi la più economica. Le successive vicende del rapporto Condotte-Fesi non furono ovviamente da me gestite, in quanto non rientranti nel mio mandato, ma comportarono, su richiesta fatta dalla Fesi direttamente ai responsabili di cantiere, un'associazione nel subappalto della ditta Movisud, alle stesse condizioni contrattuali. Come ho detto in precedenza, questa memoria vuole essere una mera e sintetica ricostruzione dei fatti a fini di verità e non contiene, pertanto, allocuzioni difensive, ma deve essermi consentito il rilievo che nessuno ed in nessun modo ha mai potuto neanche indicare un mio qualsiasi interesse nelle vicende in esame. L'insussistenza di tale interesse costituisce anch'essa verità storica che contrasta con le mendaci asserzioni o con i voluti stravolgimenti operati contro di me. Alla luce di quanto esposto mi appare corretto chiedere che la relazione sulla camorra di codesta onorevole Commissione non ripeta, quasi per assuefazione, generiche e fumose esposizioni accusatorie di fatti, strumentalmente travisati, e riconosca la verità di quanto in questa sede ho rappresentato, e sono disponibile ancora a chiarire. PRESIDENTE. Ci sono domande? VINCENZO SORICE. Vorrei soltanto sapere come è nata la sua candidatura, cioè se è stato il senatore Gava a indicarla come candidato sindaco a Nola. MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. No, nel modo più assoluto. Non ho mai avuto nessun contatto con il senatore Gava prima della mia candidatura a sindaco. Il senatore Gava l'ho visto durante il primo ed unico comizio da me pubblicamente tenuto a Nola, quando egli venne e mi presentò quale futuro sindaco della città di Nola. D'altra parte, anche il manifesto elettorale della democrazia cristiana mi indicava già come sindaco, qualunque fosse stato il risultato elettorale, tant'è vero che non fui neppure il più votato. PRESIDENTE. Quindi, fu il senatore Gava che la presentò nel comizio. MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. Sì, solo in quella sede vidi... UMBERTO CAPPUZZO. Vorrei chiedere al generale De Sena se effettivamente la camorra abbia capacità di convogliamento di voti. Egli ha accennato al fatto che, nella zona che era controllata dall'Alfieri, è riuscito ad avere soltanto una collocazione al quattordicesimo posto, vale a dire che ha avuto un centinaio di voti. Nel complesso della città di Nola, qual è stato l'andamento delle ultime elezioni alle quali lei ha partecipato? L'altra domanda è se nel passato, per la sua attività professionale, ha mai avuto a che fare con Galasso. MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. Per quanto riguarda la capacità elettorale, devo dire che non mi ero mai interessato di sapere chi mi avesse votato e come mi avessero votato, in quanto ero così lontano dalla lotta politica locale - e questa così lontana da quelle che erano le mie aspirazioni, perché non avevo nessun altro incentivo, nessun altro motivo politico - che consideravo come spirito di servizio quanto avevo fatto a Nola. Pag. 3268 Quindi, non mi interessai di niente. Anzi, nella prima relazione che feci lo definii per me stesso "un atto di coraggio", visto che andare a combattere lì non era facile. Che la camorra mi abbia votato non è esatto perché in seguito ho fatto un raffronto tra le elezioni del 1985 e quelle del 1989. Da un esame obiettivo di questa situazione, risulta che i voti che ho ricevuto sono stati per la maggioranza singoli e quasi tutti del centro cittadino. A danno di chi? A danno dell'estrema destra, che aveva due consiglieri che non ha più preso, quindi ha perso circa mille voti. Per quanto riguarda la parte della camorra, nelle due frazioni dove più o meno valeva questa presenza, in particolare in quella di Piazzolla, sono stato il quattordicesimo ed ho preso solo 115 voti, contro i 700-800 o 600 degli altri candidati; nella frazione di Pollica, dove fui accompagnato dallo stesso soggetto che mi accompagnò nel giro e che non era oltretutto rappresentante di partito ma solo uomo di famiglia per generazioni (suo padre era figlioccio di mio padre, lui era figlioccio di mio fratello, quindi era più una questione famigliare che non politica), rispetto al candidato locale che ha preso 750 voti, io ne ho presi 22: 19 in una sezione e 3 in un'altra. Come dicevo, lo stesso avvenne a Piazzolla dove risultai quattordicesimo o quindicesimo. Non credo quindi di aver avuto da parte di questa camorra nessun appoggio politico. IVO BUTINI. Signor generale, forse lei ha già risposto, ma vorrei essere certo di poter interpretare un suo passaggio come risposta alla domanda che ora le pongo. Lei è stato candidato a Nola, aveva rapporti famigliari tradizionali, in altre parole la città di Nola per lei nel corso della sua vita aveva riferimenti precedenti alla sua attività di amministratore locale: come è nata, quindi, la sua candidatura? Non le chiedo da chi è venuta. Si è scelto lei perché qualcuno la conosceva. MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. La mia famiglia a Nola ha una tradizione ultradecennale, direi quasi secolare. Nel 1903-1904 mio nonno è stato sindaco e consigliere provinciale del partito; il fratello di mio nonno, scapolo che viveva con noi in famiglia, è stato sindaco dal 1910 al 1914; mio padre è stato potestà di Nola, mi pare dal 1936 al 1940, quando è morto mentre era potestà; possedevamo una clinica privata. Mio zio, fratello di mio padre, eroe della prima guerra mondiale, superdecorato, ha a Nola un circolo intestato a suo nome ed una strada inaugurata a suo nome. Questo eroe è stato sublimato in tutto perché era davvero un eroe: cinque medaglie al valore militare nella guerra del 1915-1918 in cui è morto. Per inciso, il suo aiutante di campo era Gronchi, l'allora tenente Gronchi che poi portò questo anello, che io ho l'onore di portare al dito, e che consegnò alla nonna. Questi sono i sentimenti cui sono stato educato, questo è il clima della mia educazione. Alla fine della mia carriera sono stato invitato a Nola in varie manifestazioni ed in una di queste il consiglio comunale mi regalò una pergamena ed una medaglia d'oro. Qualcuno dei maggiorenti del paese mi disse: perché lei, adesso che ha lasciato il servizio, non viene un po' a gestire, come i suoi avi, l'amministrazione di Nola non troppo chiara? Io risposi: no, non ho tempo. Insomma, lasciai cadare la cosa. Dopodiché vi fu la gestione commissariale e non si riusciva a trovare nelle beghe locali e tra di loro chi dovesse fare il sindaco, così fui invitato a fare questo sacrificio. Chiedo scusa, ma per me era un sacrificio: vivendo a Roma, mi alzavo la mattina alle sei-sei e mezza, ad ore antelucane, andavo giù a Nola, facevo il sindaco ed alle due del pomeriggio rientravo a Roma. Non è stata una vita molto semplice in quegli anni, ma l'ho fatta con amore per la mia terra. Tutto qui, non è che abbia fatto nient'altro. Questi sono stati i motivi. Pag. 3269 FABRIZIO ABBATE. Generale, lei ha fatto riferimento ad un incontro, debbo ritenere casuale, durante la vicenda elettorale, nel quale alcuni amici l'hanno condotta in casa dell'Alfieri. Ha riferito di aver detto al pubblico ministero, Roberti, della circostanza nella quale lei incontra l'Alfieri. Ritiene lei, sulla base di una sua valutazione, che quando riferì al pubblico ministero Roberti dell'accaduto, cioè dell'incontro occasionale con l'Alfieri, egli conoscesse già la circostanza? MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. No, lo escludo nel modo più assoluto. Egli mi chiese, tramite il comandante del gruppo dei carabinieri - così è nata questa discussione - di avere un colloquio evidentemente sulla situazione locale camorristica, relativa ad un certa intercettazione telefonica che vi sarebbe stata fra un certo vigile urbano e l'Alfieri; io avrei dovuto incontrare questo signore nella sua villa. PRESIDENTE. Questo sarebbe il risultato dell'intercettazione? MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. Sì, vi fu un'intercettazione telefonica che poi oltretutto non si è ben capita perché anche nel processo che si sta svolgendo a Napoli - ed io sono stato lì come testimone - questo signore non ha saputo dire chi gli aveva telefonato: prima era il mio autista, poi non era il mio autista. Insomma, nessun contatto diretto ha avuto con me. Era una circostanza che io avevo già negato, e questo fu il motivo per cui mi chiamò. Il verbale dell'interrogatorio inizia in questo modo: lei conosce Francesco Alfieri? La mia risposta spontanea, leale come sempre nell'interesse della giustizia, è stata: sì, conosco Francesco Alfieri per esserci stato portato durante la campagna elettorale, in un giro vertiginoso. Io non sapevo: in una sera andai in quattro o cinque abitazioni. Non sapevo neppure chi fosse. Questa è la verità. Quindi il sostituto non sapeva di questo episodio, sono stato io a riferirglielo. SAVERIO D'AMELIO. Chi conosce la realtà meridionale, il modo in cui si fa campagna elettorale, credo che sappia come sia facile incontrare e stringere mani di gente che magari non si conosce affatto, la cui identità tanto meno è possibile accertare in quel vorticoso andare che sono le campagne elettorali. Al di là di questa circostanza che lei ha ben definito e che io condivido, volevo dire: durante il suo mandato di sindaco - e so che lei ha fatto diverse opere pubbliche, ha fatto tanto risanamento di zone, eccetera - ha avuto mai la sensazione di essere controllato, di essere condizionato nel suo mandato? Le sono mai giunte richieste particolari per le quali ha avuto modo di sentire sulla sua azione di sindaco una presenza ingombrante, oppure no? MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. Io, per chi mi ha conosciuto, ho un carattere abbastanza autoritario. Poiché tutta la mia vita è stata al servizio militare, non potevo certo venire a condizionamenti con nessuno. A Nola, appena arrivai, trovai una situazione, anche sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblica, abbastanza delicata. A dieci anni dal terremoto, c'era ancora gente che dormiva in albergo o era in baracche. Quindi, il primo atto fu di dare a questa gente una situazione dignitosa. Pertanto, la prima ed unica gara di appalto che feci fu la costruzione di diciotto appartamenti, con un brevetto Rein, che consente di effettuare i lavori in dieci-undici mesi. Fu invitata una ditta di Ascoli Piceno, che deteneva questo brevetto. Già questo primo fatto non è che condizionò, ma fui subbissato di anonimi, di ricorsi al prefetto, al CORECO, a tutti, perché mi ero permesso di fare una cosa del genere, violando tutto ciò che era la prassi locale nella distribuzione delle varie fette clientelari. Siccome, come dicevo Pag. 3270 prima, non avevo nessuna aspirazione di carriera politica, ho camminato per la mia strada, sono andato dritto. Questo, logicamente, ha determinato un sacco di guai. Sono sempre stato officiato come un despota; uno addirittura definì la mia come una "amministrazione asburgica". Forse ignorava di farmi un elogio perché ho sempre cercato di avere linearità. Ovviamente, trovando un comune disastrato e pieno di debiti, le soluzioni erano due: o dichiarare il fallimento del comune o rimboccarsi le maniche, per orgoglio e capacità, e andare avanti. Come andare avanti? Cercando di reperire denaro dove era possibile. Come? Accertando gli oneri che venivano elusi: 500 ditte che non esistevano iscritte, per esempio, nei ruoli di pagamento dei canoni dell'acqua; altre mille ditte che non risultavano aver pagato l'ICIAP; il raddoppio del canone del suolo pubblico; l'affissione pubblica. Seguendo anche i suggerimenti della burocrazia, sulla quale ho sempre fatto affidamento anche perché la nuova legge n. 142 dava la responsabilità tecnico-amministrativa ai responsabili, ho proceduto a denunzie all'autorità giudiziaria anche di qualche esponente della passata amministrazione, nonché di dipendenti comunali o di altri, il che logicamente non ha contribuito a rendermi "simpatico". Non dico altro. MASSIMO BRUTTI. Dove ha prestato servizio come generale dei carabinieri? MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. La mia carriera è un po' turbinosa. Ho fatto 23 trasferimenti, ho servito l'Arma dei carabinieri da Merano, nel 1943, a Catania, nel 1965. Ho comandato la compagnia di Monfalcone, sempre nel periodo bello, quando l'Italia occupava Trieste, nel 1951-1954. Insomma, ne ho viste di tutti i colori. Poi ho comandato la legione di Bari. MASSIMO BRUTTI. Lei aveva idea che nelle zone dalle quali aveva avuto origine la sua famiglia esisteva un insediamento camorristico, che c'erano dei clan, che c'erano i capi di tali clan, che c'era una potenza della camorra a Nola e dintorni? Ne aveva avuto idea come generale dei carabinieri o ne aveva un'idea come cittadino? MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. Come no? Altroché! Innanzitutto, la camorra che io conoscevo era la camorra così chiamata "agricola", cioè quella dei mediatori che assicuravano, con il loro modo di agire, la vendita dei prodotti della terra ai tempi di Pascalone di Nola, tanto per capirci. Non sono stato attore, perché non ho mai comandato reparti in Campania che avessero responsabilità dirette con la camorra; ho comandato la divisione di Roma, quindi non studiavo il problema campano, studiavo forse il problema sardo in quell'epoca. MASSIMO BRUTTI. Quando è stato candidato a Nola quali cautele ha assunto nella campagna elettorale, nella presentazione della sua candidatura, nei rapporti che ha stabilito per evitare comunque che vi fossero contatti con ambienti camorristici? MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. Ricordo di avere dedicato alla campagna elettorale soltanto tre o quattro giorni, perché, come si potrà anche accertare, il giorno 19 presentai la mia candidatura e il giorno 20 o il 21 partii per Salsomaggiore, dove mi trattenni dodici giorni. Rientrai a Nola dove rimasi un sabato e una domenica; andai in Austria per cinque o sei giorni e ritornai a Nola per fare un giro di campagna elettorale. Fui accompagnato da esponenti democristiani in un incontro con alcuni dipendenti di un'impresa ai quali dissi soltanto (non essendo un politico non ero molto abituato a parlare in pubblico) che avrei fatto il mio dovere come amministratore, ma non come politico. Tant'è vero che non ho mai partecipato, questo per inciso, a nessuna riunione politica del partito, alle varie Pag. 3271 composizioni che loro usavano fare per quanto riguarda le correnti. MASSIMO BRUTTI. Quindi, ha partecipato ad un solo comizio, quello con Gava? MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. Un solo comizio con Gava e poi ho visitato queste famiglie nella strada dove ero nato, dove ero conosciuto da tante persone e dove vi erano compagni d'infanzia. A quella visita di cui si fa cenno fui accompagnato da un tal Manzi che, come dicevo, era un amico di famiglia da generazioni. Io ebbi piena fiducia dei luoghi dove mi portavano e quindi non chiedevo. MASSIMO BRUTTI. In sostanza, lei non ha fatto una campagna elettorale. Si può dire che l'abbiano fatta altri. Comunque, una campagna elettorale si deve fare per essere eletti. MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. Mi sentivo completamente al di fuori della vita nolana. Ma poi c'è un motivo molto chiaro: mancavo da Nola dal 1941. Il mio giro aveva più che altro lo scopo di farmi vedere fisicamente, perché da dove provenivo e chi ero lo sapevano tutti! MASSIMO BRUTTI. Chi è che lo ha invitato, generale, a presentarsi come candidato? MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. Vennero da me che ero appena rientrato da Parigi, da dove se avessi tardato un giorno a rientrare forse mi sarei salvato da questa tragedia. Purtroppo, il destino di un uomo è costruito in un modo molto diverso da quello che ognuno vorrebbe. Fui invitato dai maggiorenti della democrazia cristiana della zona, i quali mi offrirono il posto di capolista e la candidatura a sindaco. MASSIMO BRUTTI. Quindi, si dava per scontato che lei diventasse sindaco! MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. Era nel manifesto elettorale. PRESIDENTE. Dirigenti di Nola? MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. Sì, dirigenti di Nola; il segretario cittadino... SAVERIO D'AMELIO. Avete anticipato la riforma? MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. Anticipai la riforma. ALTERO MATTEOLI. Si è chiesto perché è stato coinvolto in questa vicenda di camorristi? Lei ha fornito una versione molto distaccata della sua presenza a Nola, ha detto che è stato tanti anni senza andarci. Come si spiega il fatto che camorristi pentiti l'abbiano coinvolta così pesantemente, sempre che dicano la verità? MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. Sempre che dicano la verità! Questa è la cosa più importante da chiarire! Ho già sporto una denuncia per calunnia e credo che l'avvocato Vassalli abbia già presentato più di dieci citazioni contro la stampa per risarcimento danni. Ho subito un linciaggio morale più unico che raro nella storia politica, peraltro in danno di un politico così piccolo, come il sottoscritto! Il motivo era molto semplice: che un generale dei carabinieri, che ha svolto tutta la sua carriera con onestà e lealtà, che ha servito il paese in guerra e in pace per quarantasette anni, possa essere amico della camorra, fa titolo sui giornali. Quindi, la stampa ha fatto scempio, al punto che il giorno in cui mi dimisi (lo stesso giorno fu arrestato Alfieri) si scrisse che appunto mi ero dimesso perché avevo Pag. 3272 perduto il mio protettore. Cosa completamente falsa, perché la mia decisione di dimettermi era dell'inizio di agosto. Ricordo che fui pregato di rinviare le mie dimissioni dopo le ferie estive per non turbare, si disse, l'equilibrio politico locale. Il 6 settembre ufficialmente e pubblicamente dichiarai al senatore Meo, nonché al segretario cittadino e al capogruppo consiliare della democrazia cristiana, che il giorno dopo mi sarei dimesso recandomi a Nola. Tale comunicazione fu fatta anche al segretario comunale il giorno 7; ricordo che fui pregato di soprassedere per tre giorni per fare (la parola usata fu questa) dei passaggi politici. Non capii a cosa si alludesse. Tuttavia, il giorno 10 presentai le mie dimissioni da sindaco e da consigliere e, non sapendo a chi indirizzarle, il giorno successivo, arrivato alle ore 8 a Nola, lo chiesi al segretario. Mi rispose che andavano indirizzate a lui ed io dopo aver scritto il suo nome gli consegnai le mie dimissioni. Tutto qui. Dopo di ciò è venuta fuori tutta l'ira di dio! PRESIDENTE. Nella sua memoria, a pagina 2, lei scrive tra virgolette di "una frequentazione regolare con i maggiori capi di camorra". MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. E' scritto sulla stampa: su la Repubblica. PRESIDENTE. La frase non appartiene alla sua relazione? MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. No! E' stata pubblicata su la Repubblica, che riporta stralci di quella relazione. PRESIDENTE. Comunque, le daremo copia della proposta di relazione. MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. Questa frase iniziale scritta nella mia istanza è stata riportata dal giornale la Repubblica. PRESIDENTE. Per sua tranquillità deve sapere che nella proposta di relazione non esiste questa frase. MARIO DE SENA, Generale a riposo dell'Arma dei carabinieri. Sì, lo so, ma io ho letto solo quella parte. PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, ringrazio il generale De Sena. (Il generale De Sena è accompagnato fuori dall'aula - Entra in aula il senatore Gava). Audizione del senatore Antonio Gava. PRESIDENTE. Senatore Gava, lei ha chiesto di essere ascoltato dalla Commissione. Pertanto, le do la parola. ANTONIO GAVA. Onorevole presidente, onorevoli colleghi, desidero per prima cosa ringraziare l'ufficio di presidenza e in generale la Commissione per avere accolto la mia richiesta di essere ascoltato, motivata da ciò che era stato detto in Commissione sul problema concernente il fenomeno della criminalità organizzata, della camorra, in modo particolare in Campania. Vorrei dire in via preliminare che avevo predisposto una relazione, ma nonostante la nottata, non sono riuscito a mettere per iscritto tutto il materiale che avevo preparato; pertanto, mi riservo di far pervenire alla Commissione entro lunedì la relazione scritta, mentre adesso mi limiterei ad una relazione orale, salvo il completamento al quale tengo in modo particolare, avendo studiato soprattutto lo schema di proposta conclusiva. SAVERIO D'AMELIO. Vorrei sapere se siamo in seduta pubblica con la ripresa televisiva diretta. PRESIDENTE. Certo! ANTONIO GAVA. Desidero rappresentare che la proposta di relazione, per quanto riguarda in modo particolare la mia posizione, con il fine apparente di volere individuare responsabilità politiche, Pag. 3273 senza fornire alcun elemento a supporto della loro fondatezza o dei loro collegamenti con me, assume come certi fatti che potrebbero acquistare anche rilevanza penale, avendo però ben operato la distinzione tra la responsabilità di questa onorevole Commissione e la differenza, che è stata ben sottolineata nell'ambito della relazione, tra l'esame dei fatti dal punto di vista delle responsabilità giuridiche e l'esame dal punto di vista delle responsabilità politiche, sulle quali soltanto, si ripete, è competente la Commissione. Devo dire, per lo meno così a me è apparso, che si è comunque costruito un teorema secondo cui il presunto legame con esponenti della camorra in particolare di alcuni amministratori o politici locali, solo per la loro appartenenza alla corrente politica di cui fui uno dei leader (questa corrente politica come tale, tutti lo sanno, non esiste più da tempo) lo determinerebbe una mia responsabilità per i loro comportamenti. In sostanza, avrei responsabilità per i comportamenti tenuti da elementi che a suo tempo appartenevano alla posizione politica che io rappresentavo all'interno del partito. In proposito, devo innanzitutto rilevare che non è provata l'appartenenza alla camorra delle persone che si assume a me legate (per alcune non è nemmeno vero e lo potrò poi comprovare), ma soprattutto non è indicato - questo è il dato importante - alcun fatto illecito commesso - ove ne siano stati commessi - con la mia partecipazione diretta o indiretta. Devo dare atto che nella maggioranza dei casi, nella quasi totalità dei fatti, si parla di soggetti i quali apparterrebbero alla corrente dorotea o gavianea, secondo la denominazione che è stata data di volta in volta. Non è stato indicato - dicevo - alcun fatto illecito commesso, ove ne siano stati commessi, con la mia partecipazione diretta o indiretta. Se la responsabilità politica deve essere "rigorosamente accertata sulla base dei fatti specifici" come ritiene la relazione nella sua introduzione, appare evidente l'erroneità del sillogismo secondo cui la condivisione delle idee di una corrente politica da parte di alcuni rende responsabili dei loro comportamenti i capi della corrente. Voglio qui ricordare che in quella che fu la democrazia cristiana (visto che siamo alla vigilia della costituzione di un nuovo partito) la corrente della quale io facevo parte e di cui venivo considerato uno degli esponenti di maggiore portata in campo nazionale (e non solo nell'ambito napoletano o campano) era quella con la maggiore libertà, in cui era molto facile l'entrata e l'uscita ed il cambio di posizione politica anche secondo le aspirazioni che ciascuno aveva e gli obiettivi che voleva eventualmente raggiungere. Se non fosse come detto prima, si ipotizzerebbe una sorta di responsabilità oggettiva. Cioè, se di ciò che fanno coloro che condividono lo stesso modo di vedere all'interno di un partito dovessero comunque rispondere i maggiori esponenti, si realizzerebbe una sorta di responsabilità oggettiva, che potrebbe addossarsi persino ai segretari dei partiti politici per gli atti compiuti dai loro aderenti su tutto il territorio nazionale; e ciò, dal mio punto di vista, è risibile perché si risolve in un ragionamento nel quale non vi è alcun nesso logico tra premessa e conseguenza. Appare poi strano che si evidenzino dichiarazioni da cui emerge che il mio meccanismo elettorale e di potere politico si fonda, o si fondava, proprio su una rete di dirigenti locali, che sono da me sostenuti e che a loro volta mi sostengono, e che ciascuno di questi dirigenti è essenziale, perché consente la raccolta del consenso elettorale nella propria zona di influenza ed un generale controllo della vicenda amministrativa, quasi che si trattasse di un fatto illecito e come se il consenso elettorale non si conquistasse mediante un rapporto con le collettività locali, facendosi carico dei loro problemi. Vorrei precisare che da questo punto di vista nella storia politica del nostro paese vi è sempre stato - credo - un raccordo, un rapporto, tra i rappresentanti nazionali, cioè i parlamentari, e i Pag. 3274 rappresentanti locali. Anzi, devo dire che originariamente questo raccordo era molto più intenso, perché era inferiore il potere degli enti locali ed era maggiore il peso dei parlamentari, specie di quelli nazionali, peso che andò man mano diminuendo quando si passò all'attuazione dell'ordinamento regionale e quando poi si arrivò, come siamo arrivati, per esempio, ad affidare agli enti locali la realizzazione delle opere pubbliche. Ricordo soprattutto che, dopo il terremoto del 1980, si è avuta un'ampia discussione sulla legge che doveva affrontare e risolvere i problemi dal punto di vista finanziario e tecnico, durante la quale si sosteneva, da parte di alcuni autorevoli personaggi, che si sarebbe dovuta costituire un'authority che dovesse presiedere alla realizzazione del piano di ricostruzione. Vi fu poi altra parte che sostenne che l'impegno della ricostruzione doveva essere basato sull'esempio positivo rappresentato dal Friuli: si doveva affidare direttamente agli amministratori locali la realizzazione di tutto ciò che atteneva a questo problema, per cui furono dati incarichi di gestione, a Napoli, al sindaco e al presidente della regione campana e poi furono affidati compiti alle amministrazioni locali, addirittura per l'attribuzione dei contributi che venivano stanziati per i danni subiti dai cittadini. Quindi, sostenere invece che tutto questo sia stato realizzato soprattutto da chi svolgeva attività parlamentare è certamente infondato. Per quel che mi riguarda devo per altro soggiungere che ho avuto la ventura, dal punto di vista politico e da quello governativo, di svolgere funzioni che non mi hanno mai condotto ad occuparmi di questi problemi. Perché? Perché nella mia funzione di ministro (sono stato prima ministro per i rapporti con il Parlamento, poi ministro delle poste, successivamente ministro delle finanze e quindi ministro dell'interno) non ho mai avuto occasione di essere partecipe, a qualunque livello, o di occuparmi dei problemi che riguardavano la ricostruzione, considerata invece nella relazione come un momento di svolta per la crescita della camorra. Ringrazio tutti coloro che hanno studiato bene il problema della camorra e che ne indicano le date e i momenti - ringrazio in modo particolare il senatore Brutti che ha svolto un esame molto accurato da questo punto di vista -; però vorrei che l'approfondimento da parte di tutti fosse un tantino più puntuale per esaminare effettivamente il problema, perché ritenere che la camorra sia sorta praticamente negli 1981-1982 significa distaccarsi completamente da quella che è stata - purtroppo - una storia negativa, caro Cabras, nel nostro paese. Vi è stato comunque, in quest'ultimo periodo, uno sviluppo che è stato giustamente posto in evidenza, che ha invaso in modo particolare, attraverso la camorra, la mia regione. Si ipotizzerebbe, altrimenti, una sorta di responsabilità oggettiva che potrebbe addossarsi addirittura, attraverso i propri aderenti, ai segretari dei partiti. Ho detto che appare poi strano che si evidenzino dichiarazioni da cui emerge che il mio meccanismo elettorale, e il mio potere politico si fondano proprio su una rete di dirigenti locali, che sono da me sostenuti e che a loro volta mi sostengono. Vorrei capire una cosa: se si critica che l'azione era svolta, dal punto di vista politico, insieme ai dirigenti locali (cioè agli amministratori, ai consiglieri comunali, provinciali e regionali), ma allora il parlamentare il rapporto dal punto di vista politico-elettorale con chi lo deve avere? Lo deve avere forse direttamente con elementi che possono essere pericolosi? Certo, ci può probabilmente essere, tra gli amministratori, qualcuno che sia espressione diretta o indiretta del fenomeno della camorra; ma questo è un fatto nel quale bisogna operare e contro il quale bisogna combattere. Per quel che mi riguarda, ho sentito una serie di nomi (adesso ne dirò qualcuno, non starò ad esaminarli uno per uno, in quanto lo farò nella relazione che vi farò pervenire): non mi consta personalmente che alcuno di questi amministratori abbia avuto delle Pag. 3275 responsabilità dirette di rapporti con la camorra. E debbo respingere l'affermazione, che talune volte è ripetuta, che vi era un duplice rapporto: da una parte un rapporto di questi amministratori con la democrazia cristiana, ed in particolare con quella parte che fa capo a Gava, e dall'altra parte con il clan Alfieri. Avevano cioè preceduto il modo di fare del carissimo ed autorevole collega radicale quando sostenne che era possibile iscriversi contemporaneamente al proprio partito e ad un altro? Qui si sarebbero cambiate le cose e sarebbe accaduto che uno poteva contemporaneamente aderire ad un partito politico ed alla criminalità organizzata. Certo: può essere accaduto, ed io sono pronto ad esaminare le eventuali denunce - diciamo così - che possono essere formulate su questo piano e ad assumermi tutte le mie responsabilità. Però, a me personalmente questo non risulta e debbo dire che ho avuto poi un atteggiamento - ma lo dirò alla conclusione - ben diverso durante tutta la vicenda. Si dice: "Ciascuno di questi dirigenti è essenziale perché consente la raccolta del consenso elettorale nella propria zona di influenza ed un generale controllo delle vicende amministrative": ebbene, adesso abbiamo visto, e ci stiamo giustamente tutti vantando del fatto che sono stati eletti i sindaci con il nuovo sistema e con votazioni che sono addirittura plebiscitarie, in cui non vi è certamente possibilità di controllare se qualcuno abbia votato in un modo o in un altro. E mentre bisogna essere capaci di individuare le eventuali responsabilità dei singoli, saperli perseguire e saperli respingere, non si può considerare il rapporto con gli amministratori locali quasi si trattasse di un fatto illecito, mentre non è un fatto illecito. Credo sia importante che, dal punto di vista politico, vi sia nel paese un rapporto tra le rappresentanze dei vari settori; anzi, vi è addirittura una richiesta nostra, dei parlamentari, di avere una maggiore influenza poiché questa stessa influenza è venuta diminuendo con il sistema che abbiamo portato innanzi. Non si tratta di un fatto illecito, come se il consenso elettorale non si conquistasse mediante un rapporto con le collettività locali, facendosi carico dei loro problemi. Quando parlo delle collettività locali intendo parlare di tutto, perché in città come Roma e Napoli la collettività non è soltanto il comune ma è complessivamente la rappresentanza della società civile. Ritengo che tutti i parlamentari, e tra essi i qui presenti, intrattengano abitualmente, come è dovere di chi è eletto, simili rapporti, che servono soprattutto ad evitare proprio il rapporto clientelare; infatti, se si elimina questo tipo di rapporto, non può che sopraggiungere il rapporto clientelare con i singoli elettori per acquisire informazioni sui problemi delle collettività locali per concorrere alla loro soluzione. Se il sillogismo proposto nella relazione fosse esatto e preciso, bisognerebbe avvertire chiunque si presentasse alle elezioni, ad esempio nella circoscrizione Napoli-Caserta, che la propria elezione, se preparata anche mediante contatti con amministratori ed esponenti politici locali, equivarrebbe ad associarsi alla camorra. In certi casi questo è vero, in certi casi ci sono amministratori collegati alla camorra, ma bisogna saperli individuare e denunziare, non con ciò arrivare alla conclusione che non si devono avere rapporti con gli amministratori locali. Il discorso andrebbe naturalmente esteso a tutte le circoscrizioni in cui si riscontrasse la presenza di organizzazioni criminali o addirittura a tutte le circoscrizioni ed i collegi elettorali, perché, con il sistema qui seguito, si potrebbe sempre teorizzare che il sostegno del parlamentare ai politici locali e quello dei politici locali ai parlamentari, costituisce uno scambio di favori; addirittura diverrebbe uno scambio di favori anche il rapporto tra coloro che operano in termini giusti di rappresentanza degli interessi locali con coloro che operano in campo nazionale. E' appena il caso di aggiungere che si afferma un mio particolare interesse elettorale Pag. 3276 per alcuni comuni, in particolare Sant'Antonio Abate e Poggiomarino, al fine di ottenere voti: si tratta di due comuni nei quali ho iniziato - ma in particolare a Castellammare di Stabia - la mia attività politica. E l'ho iniziata in una città nella quale, nelle prime elezioni amministrative, il fronte popolare ottenne 20 mila voti e la democrazia cristiana 5 mila; quindi sono stato e ho vissuto in una città dove vi era un forte partito comunista, il quale aveva dato prova della sua capacità politica, accogliendo senza applausi nel cantiere navale di Castellammare di Stabia la presenza di Mussolini e conducendo una battaglia politica con i democratici cristiani che appartenevano al vecchio partito popolare, che erano stati antifascisti, come qui qualche collega ha autorevolmente ricordato, e che, insieme ai comunisti, erano rimasti antifascisti durante tutti i 20 anni, con battaglie politiche di grande rilevanza ed esclusivamente di carattere politico. Quindi è chiaro che vi è un sentimento particolare. Vorrei porre una domanda: la relazione, presidente, lascia pensare che avrei fatto chissà cosa per prendere i voti di Sant'Antonio Abate e di Poggiomarino, perché diversamente forse non sarei stato eletto: ebbene, voglio ricordare che ho tenuto campagne elettorali sia come consigliere regionale sia come deputato (non parlo poi ultimamente come senatore, perché sono stato eletto nel collegio di Benevento, e ringrazio in modo particolare l'amico Mastella per l'accoglienza e la solidarietà che in quella circostanza mi sono state offerte). Dunque, con la perdita di questo consenso io avrei perso chissà che cosa! In tutta la relazione si parla di una decina di piccoli comuni che, rispetto a quello che è il collegio elettorale Napoli-Caserta, non possono certamente avere il ruolo che viene indicato. Si dice che avrei fatto chissà cosa per ottenere i voti di "Sant'Antonio Abate e Poggiomarino, e ciò senza tenere in alcun conto che tali comuni fanno parte del collegio elettorale in cui mio padre, fin dal 1948, data che precede di molto le indicazioni temporali della relazione circa gli sviluppi della camorra, per circa trent'anni è stato senatore, eletto con ampia messe di voti, e che, avendo io sempre ottenuto un numero di preferenze notevole fin dalle elezioni al consiglio regionale del 1972 (nel corso delle quali ne conquistai 107 mila), non ho mai avuto alcun interesse o bisogno di ricorrere ad illeciti, a cui non sarei comunque mai ricorso anche a costo di non essere eletto, per conquistare poche migliaia di voti - tanti ne davano quei comuni - assolutamente irrilevanti ai fini del mio risultato elettorale. Ho chiesto di essere ascoltato perché, come ho fatto nell'aula del Senato, al quale mi onoro di appartenere, intendo pubblicamente respingere innanzi a codesta onorevole Commissione le accuse infamanti ed assolutamente infondate che mi vengono rivolte; e ciò con lo sdegno che mi deriva dalla profonda convinzione di non essere venuto meno, in nessun momento della mia vita di cittadino e di parlamentare, ai miei doveri ed ancor più mi deriva dalla serenità della mia coscienza, alla quale - prima che ad ogni altro - ritengo di dover rispondere. Credo di aver dato ampia prova, in un lungo periodo di milizia politica e parlamentare, della mia dedizione e della mia fedeltà alle istituzioni democratiche, alle quali mi lega la profonda convinzione che esse rappresentino il vero ed insostituibile baluardo della difesa della libertà e della giustizia; ed amo sperare che la conoscenza diretta che molti di voi hanno del mio comportamento e dell'opera svolta in qualità di ministro dell'interno, a riprova della quale indicherò un elenco delle iniziative legislative da me assunte nella lotta contro la malavita organizzata e non, vi porti a valutare le questioni sottoposte alla vostra attenzione con serena obiettività, al fine di rendere giustizia non tanto a me quanto alla verità. Non leggerò l'elenco dei provvedimenti ma entro un paio di giorni vi presenterò una relazione che lo conterrà. Sarei in grado di parlare ancora di altri problemi, che attengono per esempio Pag. 3277 all'ipotesi di riunioni e di personaggi che sarebbero stati miei amici: ogni volta si parla di una persona - per la verità, con lealtà, debbo riconoscere -; non è che si dica: questo è colpevole perché Gava ha... No, si dice: ha realizzato questo dato di fatto e appartiene alla corrente di Gava. Più volte, addirittura in qualche caso due volte in uno stesso paragrafo, viene fatto questo richiamo all'appartenenza alla corrente. Per alcuni non è esatto neanche questo; si parla anche di riunioni che non sono state effettuate. Sono quindi in grado di fornire le indicazioni sui singoli fatti. Debbo dare atto dello sforzo compiuto dalla Commissione di discutere della responsabilità politica piuttosto che di confonderla con altri tipi di responsabilità... perché è difficile fissare i limiti esatti in materia; ricordo di essermi laureato con il professor Tesauro svolgendo una tesi sul tema dell'inchiesta parlamentare: operare l'esatta distinzione tra la responsabilità penale e quella di carattere politico, alla quale giustamente voi vi volete richiamare, non rende possibile l'affermazione che vi sia una responsabilità politica da parte mia. Voglio soggiungere una cosa, e lo dico anche dinanzi a qualche amico napoletano: vi ringrazio, perché sono responsabile di tutto, perché a Napoli avrei fatto tutto da solo, perché avrei realizzato alcune cose. Ma come è possibile tutto ciò in una regione nella quale, a prescindere dai guai e dalle cose fatte, vi è una presenza politica così massiccia e così importante che certamente mi sembrerebbe...? Non è che io non voglia che si riscontrino le responsabilità e, soprattutto, diciamo così, le strutture nelle quali si opera nella nostra regione e che possano venire i suggerimenti necessari per operare un cambiamento e per portare sulla strada giusta alla quale noi ci ispiriamo anche la regione Campania. Ve lo dico, se mi consentite, in un momento nel quale personalmente seguo le indicazioni che vengono dal mio partito, e colgo l'occasione per dirlo in questa riunione: da quando si è ipotizzata nei miei confronti una qualche responsabilità di questo genere, il che mi ha profondamente amareggiato e turbato, mi sono dimesso da tutte le cariche pubbliche che ho ricoperto e praticamente ho accolto l'invito proveniente anche dal mio movimento politico ad operare un rinnovamento nel nostro paese nella prossima consultazione elettorale. Sarò certamente uno di quelli che contribuiranno, per quel che riguarda il mio movimento politico, alla rinascita ed al superamento di questa situazione difficile di crisi che stiamo attraversando, facendolo da cittadino, avendo svolto per lungo tempo la mia funzione politica e avendolo fatto con serenità e con serietà. Per il resto, sono disponibile - lo dissi già al presidente - a rispondere alle domande che mi possono essere rivolte, dicendo soltanto una cosa: probabilmente potrò rispondere ad ogni domanda che mi verrà posta, ma potrebbe farlo qualche commissario con capacità maggiori delle mie - e questo è nell'ordine naturale delle cose. In questa ipotesi, se non avessi gli elementi necessari per rispondere, lo farei con la documentazione che presenterò. Conto però di poter rispondere a tutte le domande. Concludo ringraziando per la cortesia con la quale avete accettato la mia proposta di venire in Commissione. Credo che in futuro dovrete discutere di un fatto: quando in questa Commissione si dibatte in particolare di "soggetti", ebbene questi perlomeno devono avere il diritto di essere convocati per rispondere. Diversamente - scusate la battuta - è più importante Galasso di qualsiasi autorevole parlamentare! PRESIDENTE. Senatore Gava, invierà la sua relazione nella giornata di lunedì? ANTONIO GAVA. Sì, l'ho quasi completata e la farò avere alla Commissione. PRESIDENTE. Chiede di essere ascoltato ulteriormente? ANTONIO GAVA. No. Se ad una domanda non fossi in grado di rispondere immediatamente, lo farò con la relazione. Pag. 3278 PRESIDENTE. I colleghi intendono rivolgere domande? VINCENZO SORICE. Vorrei avere talune precisazioni alla luce della relazione esposta che, di per sé, chiarisce alcuni problemi. Specificatamente vorrei conoscere dal senatore Gava il ruolo rivestito dal dottor Criscuolo, per quanto concerne il sequestro Cirillo. Dalla relazione e dagli atti in nostro possesso emerge che il dottor Criscuolo ha ricevuto una specie di delega da parte sua per poter operare direttamente, o indirettamente, nella trattativa per la liberazione di Cirillo. Vorrei anche sapere dal senatore Gava se ha notizia - ovviamente è passato molto tempo - circa la famosa riunione tenutasi nella villa di Casamarciano tra Francesco Alfieri e cinque sindaci, tutti appartenenti (si dice) alla corrente dell'onorevole Gava. Vorrei sapere se lei ha degli elementi da fornire alla luce della esposizione. Inoltre, dalla relazione e dalle notizie fornite dai pentiti emerge un particolare rapporto tra Antonino D'Auria e D'Antuono: pare che il D'Auria - incriminato per alcuni reati - avesse un'influenza notevole sui comportamenti del senatore Gava (tant'è che ha sostituito lo stesso D'Antuono in questo rapporto di "incidenza") e che, in quanto segretario del senatore Gava, fosse specificamente impegnato in un'azione politica a Sant'Antonio Abate. Potremmo aggiungere una considerazione, ma ci riserviamo di farla una volta esaminata la documentazione presentata, concernente il rapporto operativo tra gli amministratori facenti capo alla corrente di Gava e lo stesso senatore Gava, il quale appare come l'organizzatore dell'attività all'interno della corrente. Passo ora all'ultima osservazione, che potrà essere oggetto di attenzione nel momento in cui verrà trasmessa la relazione annunciata. Si sente sempre parlare di corrente dell'onorevole Antonio Gava e di suoi aderenti. Bisogna essere precisi perché l'appartenenza ad una corrente, secondo la prassi politica, si determina allorché vi sono liste e congressi: in altre parole, una persona aderendo ad una lista fa parte della corrente. Dunque è un problema di ambiente politico. Tuttavia un fatto mi lascia particolarmente perplesso e riguarda l'episodio del Banco di Napoli, peraltro citato anche nella sentenza della Corte d'appello del 2 dicembre 1992 con cui il Di Maro e Di Somma Raffaele sono stati assolti sia per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso sia per quello di concorso in peculato per distrazione. Quando si dice che un funzionario, un impiegato, un imprenditore, appartiene alla corrente di Gava, come avviene il rapporto? Più che parlare di appartenenti alla corrente di Gava si può dire amico dell'onorevole Gava, perciò vorrei capire la differenza tra "appartenente alla corrente" e "amico" sul piano dei rapporti operativi. ANTONIO GAVA. Per quanto riguarda il sequestro Cirillo, e in modo particolare l'interessamento al fatto nei primi giorni, come è risultato dalle dichiarazioni di Parisi - si parla comunque di eventi risalenti a quindici anni or sono per cui è evidente che oggi la conoscenza è di gran lunga diversa rispetto all'inizio - si dice che il Criscuolo sarebbe stato delegato oltre che dal suo capo (all'epoca era Parisi in quanto dirigeva il SISDE), anche da Antonio Gava. Mi rivolgo una prima domanda: Antonio Gava, che in quel momento era capo della segreteria politica del segretario Piccoli (durante la vicenda Cirillo sono stato per un periodo ministro per i rapporti con il Parlamento nel Governo presieduto dall'onorevole Forlani e dopo capo della segreteria di Piccoli), come poteva dare la delega a Criscuolo? Criscuolo - ho dichiarato - lo conoscevo da ragazzo, in quanto frequentavamo il liceo a Castellamare di Stabia (era uno stabiese); credo di non averlo più visto per una ventina di anni. L'ho rivisto in questa circostanza, avendolo incontrato esclusivamente, una volta, a casa di Cirillo dove evidentemente si recava per avere notizie e per essere informato, rispetto alla indicazione data di tentare di assumere informazioni - lo Pag. 3279 ha dichiarato lo stesso Parisi - nell'ambiente di Cutolo e da Cutolo sul luogo in cui "rintracciare" il Cirillo. Smentisco nella maniera più assoluta che vi sia stata una delega data da me. Ripeto, non riesco... PRESIDENTE. Delega data da lei a Criscuolo. ANTONIO GAVA. Io avrei dato una delega a Criscuolo... PRESIDENTE. E lei sostiene che non corrisponde al vero. ANTONIO GAVA. Assolutamente. Non solo non è vero, debbo anche aggiungere che non ero in grado di darla, perché la delega poteva darla chi svolgeva la funzione, cioè il Parisi, che era il suo superiore, il quale credo abbia detto che questo non è avvenuto. Non lo so, non mi risulta. Comunque è un fatto non veritiero. Per quanto riguarda la riunione a Casamarciano presso Francesco Alfieri, preciso che Francesco Alfieri non lo conosco, non l'ho mai visto. Attenzione: quando dico che non conosco una persona, dico di non avere conoscenza, non dico "non l'ho mai vista", perché se quella persona è venuta ad un comizio al quale ho partecipato, evidentemente posso averla vista e può darsi che sia venuta anche a darmi la mano. La conoscenza però è ben altra cosa, è consapevolezza di avere a che fare con Tizio o con Caio il quale fa questo o quello. Non ho avuto nessun rapporto con Francesco Alfieri; debbo dire di non aver avuto mai rapporti, in generale, con gli Alfieri. Si disse che si è tenuta una riunione a Casamarciano a cui partecipavano - da quanto ho saputo successivamente, perché non ero informato dalla riunione - cinque sindaci, i quali dovevano essere democratico cristiani. Mi hanno indicato i nomi, che non ricordo: rammento per esempio il nome di Virtuoso. Il collega D'Amato sa che Virtuoso prima era socialista ed era sindaco... CARLO D'AMATO. E' stato sindaco per circa trent'anni. ANTONIO GAVA. Sì, è stato sindaco di Casamarciano per circa trent'anni. Debbo soggiungere che gli abbiamo fatto una lotta politica abbastanza dura, anche quando eravamo alleati con i socialisti. Per quale ragione? Di Casamarciano era anche Emilio De Feo, presidente della provincia e della regione. Emilio De Feo aveva un solo sogno, quello cioè di sconfiggere politicamente Virtuoso, il che però non gli è mai riuscito. Noi lo prendevamo in giro al punto tale che gli regalammo una macchina targata Caserta perché la "leggevamo" Casamarciano. Questo per spiegare la situazione. Vi erano altre quattro persone (non ricordo esattamente chi fossero) di cui due appartenenti alla corrente, diciamo così, amici di Gava o altro, mentre gli altri appartenevano ad altri raggruppamenti interni: uno era il sindaco di Saviano che è il paese di Mensorio. So che questa riunione, che mi pare avrebbe dovuto tenersi - l'ho saputo successivamente - per sostenere la candidatura di un assessore regionale, l'amico Mazzella, non si svolse. Mazzella comunicò che era impegnato a Roma. Queste le notizie che ho; quindi da parte mia non c'è nessuna... Non sapevo niente della riunione perché, mi sia consentito, per quanto siano amici di gruppo o di corrente, quando si fa la campagna elettorale ognuno la fa per i fatti propri. Voi pensate che i consiglieri regionali che sono candidati si mettano insieme? Ognuno tira dalla sua parte; quando c'era il sistema che si mettono assieme, vanno assieme e fanno la riunione comune. Quelli la riunione se la fanno cercando di avere il maggior consenso possibile di voti. Per quanto riguarda Antonino D'Auria e D'Antuono, non riesco a capire come si possano costruire cose assolutamente infondate; Pag. 3280 so che questa parte è stata costruita da chi ha avuto le informazioni, che non ne ha la responsabilità. Nel 1972 sono stato eletto deputato e in quell'anno ho cercato un collaboratore personale. Nel cercarlo, ho scelto Antonino D'Auria perché appartenente ad una famiglia modesta ma di persone dabbene, laureato in giurisprudenza - in quel momento era assessore comunale - dicendogli però che doveva venire a Roma per farmi da collaboratore e che perciò avrebbe dovuto rinunciare ad ogni tipo di attività politica; quindi, nelle successive elezioni amministrative non si sarebbe dovuto presentare. Gli dissi che non ritenevo che dovessi fare io il segretario di D'Auria come assessore comunale e che dovesse essere D'Auria a dare una mano al deputato che lavorava a Roma. Questo è tanto vero che in una parte addirittura si dice - voi conoscete il mio temperamento - che sarei divenuto quasi succube di D'Auria, il quale sarebbe diventato il capo rispetto a me. Siamo al limite delle barzellette, rispetto alla mia responsabilità politica ed alla mia capacità di presenza politica. PRESIDENTE. D'Auria si è poi presentato alle elezioni comunali? ANTONIO GAVA. No. Non si è più ripresentato e non è stato più consigliere comunale a partire dal 1973; non ricordo con precisione. Se non avesse aderito, sarebbe andato via e non avrebbe fatto il mio collaboratore. L'ho scelto anche per una ragione semplice: lo consideravo - pur conoscendolo lo dovevo formare - un galantuomo e una persona onesta. E' stato con me anche dopo ed è diventato segretario particolare quando sono diventato ministro in vari ministeri. Quanto all'accordo con D'Antuono ed al fatto che prima il mio D'Auria fosse D'Antuono, vi prego di non finire alle barzellette. D'Antuono aveva un temperamento difficile, combattivo, voleva essere esclusivamente lui a tenere la situazione nelle mani. Pertanto non è vero che D'Antuono sia stato in alcun momento mio uomo di fiducia... E' stato un amico della corrente, ma non ha mai avuto un rapporto particolare con me. Questo per la verità. Anzi, poiché era un soggetto abbastanza arzillo ed altro, da parte mia vi era un motivo di maggiore preoccupazione, anche se personalmente non faccio nessun riferimento di carattere particolare. Quindi, quando si costruisce una tesi secondo cui io avrei avuto come mio elemento di fiducia assoluta a Sant'Antonio Abate il D'Antuono, ma che successivamente le cose sono cambiate, ribadisco che quando ho cominciato a fare il deputato ho avuto immediatamente il D'Auria come collaboratore personale; poi, poiché è rimasto a vivere a Roma, al momento giusto ho ritenuto di poterlo portare come segretario. Circa l'influenza nei miei confronti, vi prego! Se uno di voi ha un collaboratore e questo collaboratore determina la linea che dovete seguire, da una parte o dall'altra, a Torino o a Napoli, ciò significa non che è bravo D'Auria, ma che è un po' stupido chi tiene D'Auria come collaboratore. MASSIMO BRUTTI. Nel 1980 era suo segretario? ANTONIO GAVA. Era mio collaboratore personale, non segretario. E' diventato segretario quando io sono diventato per la prima volta ministro per i rapporti con il Parlamento, nel 1981. E' rimasto sempre mio segretario salvo un vuoto, quando è finito il Governo Forlani ed è venuto il Governo Spadolini ed io sono uscito da quel Governo e sono tornato a fare il capo della segreteria politica della democrazia cristiana. MASSIMO BRUTTI. Nell'estate del 1980 lei era ministro dei rapporti con il Parlamento? ANTONIO GAVA. No. Pag. 3281 MASSIMO BRUTTI. A quell'epoca non c'era il Governo Forlani, che è caduto nella primavera 1981? ANTONIO GAVA. Infatti, stetti pochi mesi a fare il ministro, perché improvvisamente Forlani se ne andò. Se ve lo ricordate, ditemelo; è stato ministro per pochi mesi. PRESIDENTE. Si tratta di dati che potremo accertare. ANTONIO GAVA. Quanto alla questione relativa al Banco di Napoli, devo dire che ho letto la documentazione in cui, per la verità, non è detto che c'è una responsabilità di Antonio Gava; è detto soltanto, alla fine, dopo il racconto di un fatto che ha interessato una vertenza ed una causa nella quale erano interessati il vice direttore generale, allora facente funzione di direttore generale del Banco di Napoli, e questo Di Maro, che hanno svolto un'operazione per cui sono finiti sotto processo. Il Di Maro obiettivamente era capogruppo della democrazia cristiana a Marano e poi si venne a sapere, sopraggiunsero voci che fosse sostanzialmente un prestanome di Nuvoletta. Queste cose sono venute dopo. Voglio domandarvi: se un soggetto va a chiedere alla banca un prestito e lo ottiene, senza che mai sia intervenuto Gava - non c'è un elemento di prova - per quale ragione bisogna scrivere "amico di Gava"? Se uno va a farsi fare un prestito, se uno fa usura, fa un'operazione, non vedo la ragione per cui, non essendo assolutamente io entrato nel rapporto, debba veder scritto "amico di". Chissà quanti altri amici aveva questo soggetto; perché se ne cita uno solo? Se doveste trovare tutti i suoi amici, se veramente svolge quella funzione di cui si parla, scoprireste che di amici ne aveva tanti. Pare che l'"amico" sia soltanto io. PRESIDENTE. Se non vi sono altre domande, ringrazio il senatore Gava per aver aderito al nostro invito. (Il senatore Gava esce dall'aula). Sui lavori della Commissione. PRESIDENTE. Lunedì perverrà alla Commissione e sarà distribuito a tutti i colleghi il documento preannunciato dal senatore Gava. Per la prossima settimana, propongo che nella mattina di giovedì, sin dalle ore 9, sia a disposizione la proposta di relazione, al fine di poter iniziare la discussione sulla medesima a partire dalle 14 di giovedì stesso, considerando che in quella giornata si svolgerà alla Camera la discussione della legge finanziaria e del bilancio. Un'altra ipotesi potrebbe essere quella di riunirci alle 21, ma ritengo che sarebbe troppo tardi. La distribuzione del documento nella mattina di giovedì consentirà di evitare quello che sinora è sempre accaduto e cioè che il testo appaia prima sui giornali. Faremo anche in modo che le modifiche siano evidenziate grazie a un diverso carattere di stampa. PAOLO CABRAS. Poiché deve essere ancora conclusa la discussione generale, vorrei sapere quando si prevede lo svolgimento dei restanti interventi, tra i quali il mio. Credo che debba essere stabilita una data per tale dibattito. PRESIDENTE. Se i colleghi desiderano leggere la memoria e successivamente intervenire, è nel loro diritto. Martedì potremmo riunire la Commissione per concludere la discussione generale. Purtroppo, dobbiamo tener conto della concomitante attività della Camera e perciò propongo di iniziare alle 14 la seduta di martedì, chiedendo eventualmente al Presidente della Camera di rinviare di mezz'ora l'inizio della seduta pomeridiana dell'Assemblea; in tal modo, la discussione potrebbe svolgersi dalle 14 alle 16. Decideremo poi se proseguire giovedì o venerdì. Colleghi, se ci riuniamo martedì avrò a disposizione un solo giorno per apportare alla relazione le correzioni che voi proporrete; non vorrei che il tempo a disposizione fosse troppo esiguo. Pag. 3282 PAOLO CABRAS. Potremmo riunirci alle 8,30 come abbiamo fatto oggi. PRESIDENTE. Rimaniamo intesi che ci vediamo martedì prossimo alle 14 per proseguire e chiudere la discussione generale; venerdì mattina alle 8,30 consegno il testo corretto, mentre alle 14 ci riuniamo per svolgere le dichiarazioni di voto finali. IVO BUTINI. Quando potremo avere la memoria di Gava? PRESIDENTE. Il quadro mi sembra chiaro: venerdì alle 14 ci vedremo per le dichiarazioni di voto finali e per il voto. VINCENZO SORICE. Gli eventuali emendamenti alla relazione? PRESIDENTE. Pregherei i colleghi di presentare eventuali emendamenti entro la giornata di lunedì, in modo di poterne tener conto nella stesura della relazione. PAOLO CABRAS. Si possono presentare in relazione al testo base. PRESIDENTE. D'accordo, ma entro lunedì. PAOLO CABRAS. Teniamo presente che anche gli interventi che si svolgeranno durante la discussione generale costituiranno di per sé materiale per ulteriori correzioni e integrazioni da apportare alla relazione. Dico questo con riferimento anche all'intervento che io stesso terrò. PRESIDENTE. La prossima seduta è fissata per martedì alle 14, mentre lunedì vi farò pervenire il testo della memoria di Gava. La seduta termina alle 10,20.