PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Seguito della discussione della relazione sulla camorra: Violante Luciano, Presidente, Relatore .......... 3285, 3289 3294, 3295, 3296, 3297, 3298 3299, 3300, 3301, 3302, 3303, 3305, 3308, 3309, 3311, 3312 Brutti Massimo ............................ 3297, 3301, 3302 Butini Ivo ........ 3295, 3296, 3297, 3298, 3299, 3300, 3301 Cabras Paolo .............................. 3285, 3289, 3294 D'Amelio Saverio ........ 3302, 3303, 3305, 3306, 3307, 3309 3312 Ferrara Salute Giovanni ................... 3302, 3303, 3306 Frasca Salvatore .............. 3294, 3297, 3306, 3307, 3311 Ranieri Umberto ................................. 3296, 3306 Pag. 3284 Pag. 3285 La seduta comincia alle 14,15. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Seguito della discussione della relazione sulla camorra. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della relazione sulla camorra. PAOLO CABRAS. La relazione di vasto respiro che stiamo esaminando è analoga a quella che abbiamo approvato sulla mafia e sui rapporti con la politica e le istituzioni; ritengo meriti il necessario approfondimento perché costituisce un contributo notevole per la conoscenza, nelle sue articolazioni che vanno al di là delle manifestazioni criminali, di un'organizzazione come la camorra. Giustamente nella relazione è posta in evidenza la specificità del fenomeno camorristico; in particolare si fa riferimento alle sue origini: è l'unico caso in cui l'origine di un'organizzazione criminale è cittadina, urbana, in qualche modo sembra invertito lo schema rivoluzionario di Mao perché il fenomeno si è diffuso e dalla città si è espanso aggredendo la campagna. E' perciò difficile pensare ad un contenimento della camorra in quanto la si deve vedere dispiegata nelle sue ramificazioni, nei suoi interessi, soprattutto nel suo radicamento e nel suo insediamento territoriale nella provincia e nell'hinterland; non c'è dubbio che per il fenomeno camorristico occorre fare un riferimento più ampio all'intera regione napoletana, anche se è noto che vi sono zone dove si registra una sua minore influenza per continguità o per infiltrazione dalle province vicine (Benevento e Avellino), mentre in altre province (Caserta e Salerno) il fenomeno non è meno invasivo e pervasivo dell'intera realtà provinciale, forse meno presente nelle città capoluogo di provincia, ma sicuramente diffuso. Abbiamo avuto modo di verificare in che termini di pericolosità e attraverso quale spessore organizzativo ed economico questo fenomeno sia ramificato nelle province citate. Certamente la camorra è un modo per organizzare la vita collettiva, le attività economiche; in origine è stato anche un modo per esprimere una regola in una società senza regole o tendenzialmente refrattaria a sottomettersi al rigore della norma e delle convenzioni. Si può dire che essa era in maniera rudimentale, come è proprio delle forme criminali con ampio radicamento sociale, un modo alternativo di convivenza che poi sempre più si è articolato e qualificato in attività criminose, in commerci illeciti e nell'esercizio dell'intimidazione e della violenza fino all'omicidio. In particolare nell'ultimo decennio l'evoluzione e l'ampliamento degli interessi della camorra come organizzazione collettiva si sono diversificati ed ampliati nel connubio tra droga e affari, nel salto dal contrabbando limitato al tabacco a quello di armi, oltre che di stupefacenti; soprattutto la sua presenza è incidente nel settore degli appalti pubblici, delle forniture, dei servizi e, per quanto riguarda il riciclaggio, in investimenti e in attività produttive lecite. Si avverte il minor collegamento internazionale della camorra rispetto alla Pag. 3286 mafia e alla 'ndrangheta perché queste ultime, sin dalle origini, hanno sempre avuto una maggiore capacità di relazioni e di interessi in varie direzioni oltreoceano. Negli ultimi tempi la camorra è apparsa presente in investimenti in Europa, in particolare in Francia, sulla Costa azzurra (basti pensare a Zaza) ma le sue manifestazioni di relazioni internazionali sono molto più caute, meno avventurose, meno strutturate rispetto a quelle della mafia e della 'ndrangheta (come abbiamo potuto verificare recentemente). La camorra, agendo nel territorio, stringe i propri rapporti fondamentali con il potere; il primo rapporto è quello dei gruppi che si offrono come bande di ventura per servire singoli obiettivi, sia criminali sia di potere, per accrescere così la propria influenza. Questa dimestichezza della camorra con il potere arriva fino alle forme di collusione e di influenza con il potere pubblico, di cui avremo modo di parlare più avanti. Del resto la camorra manifesta questa sua capacità e disinvoltura imprenditoriale anche con la possibilità di trovare imprese camorristiche che ottengano appalti e forniture dalle stesse istituzioni. Nella relazione è stato dato ampio risalto alla impresa Agizza Romano che ha manifestato non solo grandi capacità di espansione, che abbiamo ritrovato nelle nostre visite nel nord del paese, ma è presente nel palazzo di giustizia di Santa Maria Capua Vetere dove, già dalla scorsa legislatura, abbiamo scoperto che aveva l'appalto delle pulizie. Analogamente nella relazione è citato il caso dell'azienda ortofrutticola dei Nuvoletta che fornisce il presidio militare di Caserta (si tratta di una zona particolarmente permeabile al rapporto tra le imprese camorristiche e le istituzioni). Abbiamo già fatto cenno alla proiezione della camorra sull'hinterland, sulla provincia, a Napoli, a Caserta, a Salerno. Vorrei ricordare che una relazione che ebbi modo di svolgere nella X legislatura si riferiva alla presenza prevalente della camorra nell'entroterra napoletano nella proprietà di cave, nell'esercizio di discariche collegato alla gestione e allo sfruttamento dei prodotti delle cave per le industrie del movimento terra. Certamente la camorra necessita, per mantenere la sua presenza così diffusa ed i suoi interessi economici, della politica. Condivido quindi il rilievo che la relazione dà all'infiltrazione della camorra nella pubblica amministrazione, nelle assemblee elettive locali. Va sottolineato che anche qui c'è una differenza, nonostante l'univoca tendenza a rapportarsi con la politica, fra camorra e mafia, nel senso che la camorra è meno implicata in strategie politiche e rapporti politici di maggiore spessore. Se pensiamo alle vicissitudini della mafia nel dopoguerra, alla mafia siciliana, ai suoi rapporti con quella italoamericana, con il governo militare alleato, alla funzione di suggeritore che essa ha avuto in Sicilia nella designazione dei sindaci da parte dell'amministrazione militare alleata e confrontiamo tutto questo con la radiografia della camorra, ci troviamo ad un livello diverso. Direi che quello praticato dalla camorra è preferibilmente il livello subliminale della politica; la camorra di fatto frequenta più volentieri le osterie che non le logge massoniche o i salotti, è una forza più domestica, è insediata nel territorio con volontà di esercitarvi un dominio sul complesso della vita sociale, essa cerca costantemente il rapporto con i politici ma in qualche modo si occupa di politica in misura minore rispetto ad altre organizzazioni criminali. Non è un caso che la mancanza di questi rapporti a livelli più alti connoti nella terra di dominio dell'organizzazione camorrista una mancanza di grandi delitti politici. Eppure anche la camorra è disponibile, quando incontra ostacoli sul proprio cammino, a sbarazzarsene, ad esercitare l'intimidazione e la violenza; ma se si guarda alla sua lunga storia di questi decenni si ritrovano due delitti che potremmo qualificare come politici, quello del sindaco di Pagani, Marcello Torre, avvenuto agli inizi degli anni ottanta, e quello del giornalista de Il Pag. 3287 Mattino Siani. Ambedue concretamente - con la sua azione politico-amministrativa l'uno e con la sua azione di cronista l'altro - stavano turbando gli interessi concreti, economici, di profitto, di scambio, di traffici della camorra sia a Pagani sia a Napoli e nel suo hinterland. Quindi, la camorra apparirebbe una forza più tranquilla, che non ama i grandi gesti di contrapposizione al potere che pure pratica. Sarebbe impensabile che la camorra potesse suggerisce un gesto clamoroso come la diserzione della messa officiata dal cardinal Pappalardo nel carcere di Palermo: questo gesto simbolico, grandioso, intimidatorio fa parte di quella che io chiamo la strategia politica, di rapporti, di influenze, di pressione che è propria, invece, della mafia. Vi è, nelle fasi successive, descritte nella relazione, di evoluzione della camorra la fase della predominanza della nuova camorra organizzata, quella che fa riferimento a Cutolo, più silenziosa ma non meno insidiosa per l'aggiramento e la penetrazione nei presidi del potere istituzionale, politico ed amministrativo. Dopo la sconfitta dei cutoliani, abbiamo il dominio della nuova famiglia, cioè dei Nuvoletta, dei Bardellino, degli Alfieri ed iniziano e si intensificano i rapporti con Cosa nostra. Anche se sono scettico sulle notizie di affiliazione a Cosa nostra e sul tentativo di identificare la camorra con Cosa nostra, quasi a toglierle uno status, a negarle un'identità specifica, sono però convinto che vi siano forme di integrazione e di relazione con cosa nostra, ed anche con la 'ndrangheta, al fine di espandere il potenziale economico della stessa camorra. La stessa evoluzione e la stessa specificazione ulteriore dei suoi interessi economici ha portato la camorra a ricercare queste sinergie con la 'ndrangheta e con la mafia ai fini dei traffici, degli investimenti, dello stesso riciclaggio. Nel decennio che inizia con il 1980, poi, si delinea tra le attività della camorra un maggior interesse agli appalti ed una maggiore articolazione della sua attività imprenditoriale anche oltre le occasioni, pur così rilevanti, offerte dalla ricostruzione post-terremoto. Non è che la violenza camorrista non preesistesse e che Cutolo e la sua organizzazione non avessero all'attivo una serie di delitti, di atti di violenza e di intimidazione, ma con l'avvento di questi nuovi gruppi si producono fenomeni sanguinosi con effetto intimidatorio maggiore: la strage di Torre Annunziata o l'omicidio di Ciro Nuvoletta sono passaggi attraverso i quali si può dire che, in qualche modo, la camorra inizia a somigliare sempre di più alla mafia, e non soltanto come frutto di interrelazioni o di integrazioni. Accanto a questo, nel seguire l'evoluzione e la trasformazione della camorra, va fatto riferimento alla friabilità delle istituzioni. La scadentissima governabilità locale, regionale ha agevolato la sregolatezza ed ha premiato le attività criminali, non c'è dubbio. Nel decennio ottanta, che io considero uno dei peggiori della nostra vita pubblica, e non soltanto in Campania, vi è stata una accelerazione nell'interrelazione tra affarismo, corruzione e collusione della camorra con altri poteri. Del resto, ricordo che in una relazione che facemmo dopo una visita a Napoli nella X legislatura, mettemmo in risalto un elemento inquietante come la frequentazione di esponenti di clan camorristici cittadini nel palazzo del municipio di Napoli; lo scrivemmo in quella relazione ma ad essa non seguì alcuna iniziativa, neanche investigativa; eppure anche quella era una notizia di qualche interesse. D'altra parte, la lettura dei decreti di scioglimento dei consigli comunali offre di questi rapporti e di queste interrelazioni uno spaccato che è di per sé più esplicito ed illuminante di qualsiasi lunga riflessione sociologica sull'argomento. Teniamo presente che gli eventi che hanno portato allo scioglimento di quei consigli comunali ma anche, con altra motivazione, del consiglio comunale di Napoli avvengono dopo che, nella passata legislatura - lo ripeto - le implicazioni di Pag. 3288 potere a Napoli e nell'hinterland napoletano erano state messe in evidenza. Certamente, io considero le responsabilità politiche ed istituzionali vaste, preminenti, diffuse e penso che non siano riconducibili esclusivamente o soltanto a parti politiche o ad alcuni personaggi. Credo che la crisi sia più grave e la pratica di piccole e grandi illegalità di sfrenato clientelismo, di assistenzialismo, di politica ridotta non al voto di scambio, che è una fattispecie equivoca e di difficile accertabilità, ma al baratto tra consenso e favori senza soglie di legalità e senza verifica di compatibilità non solo di ordine amministrativo ma anche di ordine etico siano gli esempi più clamorosi di queste responsabilità. Nel dire questo e nel raccomandare che non si escluda un'osservazione a più vasto raggio, non voglio praticare sconti alle responsabilità della politica ma solo rilevare che mi sembrano molto evidenti anche i coinvolgimenti di altre istituzioni. Penso al coinvolgimento, nell'omissione, nella sottovalutazione, nel minimalismo, della magistratura e del sistema carcerario. Non vedo alcuna benemerenza di queste istituzioni in tutti quegli anni né con riferimento all'attività ed alla vita delle carceri, né con riferimento all'attività della magistratura di sorveglianza, né tra i magistrati che dovevano decidere la concessione di arresti domiciliari e ricoveri ospedalieri, né tra i consulenti medici e medico-legali che certificavano il falso. Non è un caso che ieri la procura della Repubblica di Napoli abbia incriminato due esponenti della classe medica, tra cui un primario ospedaliero dell'ospedale di Nocera Inferiore, per atti di favoreggiamento nei confronti dei camorristi, atti che erano non impliciti, ma, direi, espliciti nelle conclusioni alle quali pervenne a proposito della concessione degli arresti domiciliari facili in quel di Napoli l'indagine compiuta da un un comitato della Commissione antimafia che svolse i suoi lavori nella passata legislatura. Quelle conclusioni furono preoccupanti e ricordo che convocammo il ministro di grazia e giustizia per fargli presente tale grave anomalia. Del resto, la latitanza dei boss, l'assoluta inefficacia, per non dire inesistenza, talora, di indagini, di procedimenti giudiziari, di misure di prevenzione di carattere personale o patrimoniale stanno a dimostrarlo. Da anni non soltanto la Commissione parlamentare antimafia ma anche forze politiche, forze sociali ed osservatori hanno denunciato le famose ville bunker, a proposito delle quali ironizzava, in qualche modo, anche Galasso sotto le nostre reiterate, incalzanti domande durante l'audizione da parte della Commissione antimafia. Un esempio è la villa bunker a Poggiomarino della famiglia Galasso, un altro è quello dell'ippodromo di Nuvoletta: non soltanto un'azienda di allevamento di cavalli da corsa, ma un ippodromo, una struttura aperta al pubblico, al commercio, alle gare e quindi più che mai evidente. Quindi, i patrimoni di questi camorristi erano noti, esibiti ma al riparo di accertamenti e di sanzioni; credo che anche questo vada ricordato con maggiori particolari e maggiore ampiezza per quanto riguarda le responsabilità istituzionali. Potremmo ed anzi dovremmo, secondo me, fare riferimento anche all'abusivismo edilizio, alle discariche illegali - vi ho accennato prima -, ai concorsi pubblici, sia quelli mai praticati sia quelli adulterati nel risultato, all'assenza di controlli amministrativi seri, degni di questo nome, sia che li praticassero organismi influenzati dalla politica, come i comitati regionali di controllo, sia che li praticassero i tribunali regionali amministrativi. Ecco, vorrei che anche in materia di giustizia non ci limitassimo a prendere atto di comportamenti che sono al limite dell'ignavia e della sottovalutazione ma considerassimo questo come uno degli elementi di intreccio anomalo tra interessi privati e modo di gestire le istituzioni locali e di esercitare politica. I magistrati arbitri e collaudatori in tutti i lavori collegati al terremoto non sono cosa di ieri; sono cosa che ha riguardato in maniera diffusa non una ma quasi tutte le amministrazioni comunali dell'e Pag. 3289 poca ed ha riguardato, indubbiamente, anche la magistratura, che era il ricevente di un'offerta che aveva il carattere di una chiamata a correità degli stessi magistrati, anche per eventuali anomalie. Sicuramente - questo è un rilievo specifico che muovo - non concordo con chi considera la stagione del procuratore Sbordone come una stagione positiva. Io la considero il trionfo dell'assenza di iniziativa e di trasparenza. E' il periodo che è coinciso con il massimo dell'affarismo amministrativo, con il minimo di contrasto verso la camorra e vorrei che di questo fosse dato atto. PRESIDENTE. Sbordone? Ma dicono che inizia di lì, invece, la svolta. PAOLO CABRAS. No, no, non inizia di lì. Tutti i rilievi che ho fatto e tutti gli eventi che ho indicato con un preciso riferimento, anche temporale, riguardano quella procura della Repubblica e non altre. Non mi sembrano quindi giuste le lodi, anche se possono sempre esservi recuperi e questi, se vanno a vantaggio della giustizia, sono sempre accettabili. Certo, come è detto nella relazione ed è stato diffusamente rilevato anche in molti degli interventi, c'è una vicenda cardine nel rapporto tra politica e istituzioni da un lato e criminalità organizzata dall'altro ed è la vicenda Cirillo. A questo proposito io vorrei rilevare che non si dirà mai abbastanza, con nettezza e con grande crudezza che l'impossibilità di trattare con il terrorismo e la criminalità è un principio essenziale che attiene alla vita costituzionale, alla vita democratica, al ruolo delle istituzioni e della politica, allo stesso contratto con i cittadini che la politica e le istituzioni in qualche modo ratificano nello svolgersi del processo di rappresentanza e dei compiti di Governo. Premesso questo, voglio dire che mi sembra che nella ricostruzione della vicenda Cirillo vengano ridotti alcuni ruoli ed alcune responsabilità anche in questo caso istituzionali. Lo dico dopo aver fatto un'affermazione che riguarda, invece, le responsabilità politiche. Mi riferisco al ruolo del SISMI, che ancora una volta è stato, in questa vicenda, non soltanto anomalo ma segnato da profonda slealtà istituzionale. Il SISMI ha cercato, attraverso i suoi uomini più o meno compromessi, le benemerenze presso il mondo politico: questo è il messaggio che lanciava al mondo politico intervenendo così pesantemente e così illegalmente nella vicenda Cirillo. In particolare il SISMI cercava di fuoriuscire in qualche modo dal clima determinato dalla vicenda della P2; in sostanza, cercava benemerenze dopo la P2. A questo dobbiamo aggiungere il ruolo ambiguo della direzione degli istituti di prevenzione e pena, nonché il ruolo di Sisti, direttore dei servizi in quel periodo. Dobbiamo inoltre far luce, come cominciò a farla la Commissione stragi della passata legislatura, sull'accesso troppo facile di pregiudicati, di uomini politici, di uomini dei servizi nelle carceri della Repubblica. Il SISMI, a differenza del SISDE, entrava ed usciva con grande disinvoltura dalle carceri senza lasciare traccia, soprattutto dopo l'abbandono del SISDE richiesto dal SISMI stesso; anche qui vi è la presenza di Sisti, quale depositario di tutte le anomalie e le illiceità che passarono per le carceri ed attraverso il comportamento di quelle istituzioni specifiche durante la vicenda Cirillo. Il SISMI continuò ad esercitare la propria attività, con i suoi uomini, con Musumeci e Pazienza, coltivando i suoi canali e violando sostanzialmente due cose. Innanzi tutto la normativa in materia di sequestri, in secondo luogo - e questo è più importante - la linea di intransigenza verso il terrorismo e le brigate rosse che (lo dico con profondo sdegno e dolore) aveva contraddistinto la linea della Repubblica e delle istituzioni nei tragici e tormentati mesi della cattura e della detenzione di Aldo Moro. Credo di poterlo dire anche per la parte politica che rappresento, anche per il dolore, il rimpianto e l'angoscia da cui non ci siamo mai più separati dopo la prigionia e la morte di Moro. Il tributo che pagammo al senso delle istituzioni ed al principio della non trattativa Pag. 3290 fu, in termini umani, assai alto. Pensare che in una vicenda dolorosa, che merita rispetto per gli affetti e le emozioni chiamate in causa, organi e istituzioni dello Stato, abbiano tradito un indirizzo, una decisione, un comportamento come questo, su cui non è possibile avere omissioni o cadute di attenzione, mi sembra una cosa intollerabile. Certo, la vicenda ha più responsabili, si tratta di una vicenda di intrecci, di intrighi; c'è il sottofondo clientelare, c'è la concezione familistica della vita pubblica, c'è la commistione di interessi personali, anche rispettabili, di politici locali, c'è la chiamata, per il pagamento del riscatto, di interessi imprenditoriali che ruotavano attorno alle decisioni ed al potere di amministrazioni locali. Ebbene, tutto questo è stato il liquido di fusione che ha portato come risultato alla frode delle istituzioni, alla violazione di regole fondamentali, praticamente alla perdita secca della credibilità delle istituzioni e dello stesso principio dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge: si trattò con la camorra e con i brigatisti, violando di fatto questa uguaglianza oltre a violare quei principi. Detto questo non credo che il caso Cirillo abbia costituito una svolta, anche se ha coinciso con una svolta e con una evoluzione. Questa è stata l'esca, l'occasione, la cornice in cui si è risolta una guerra di interessi che preesisteva tra i gruppi in qualche modo più in difficoltà (il gruppo di Cutolo e la nuova famiglia) e che ha segnato questo passaggio di consegne. In più dobbiamo pensare all'evoluzione ed alla trasformazione della camorra non perdendo di vista la grande occasione offerta dalla ricostruzione: quindi appalti per la realizzazione di opere pubbliche, ma anche assistenza ad una imprenditorialità locale. Il terremoto è stata l'occasione della ricostruzione, ma anche l'occasione per industrializzare le zone colpite dal sisma, quelle limitrofe e quelle che con il terremoto non avevano nulla a che fare. Ritengo pertanto che occorrerebbe fare qualche riflessione sulle leggi che hanno consentito questa ricostruzione. Queste leggi rappresentano a mio giudizio un modello di consociativismo reale, in quanto esse sono state approvate con vaste maggioranze in seno al Parlamento. Esse sono state una unione tra forze che stavano al Governo e forze che stavano all'opposizione; ma queste leggi sono state anche occasione di associazione improprie di forze governative e di opposizione nella stessa gestione delle risorse destinate alla ricostruzione. Penso alle indicazioni del presidente della regione di allora, Fantini, e del sindaco pro-tempore di Napoli, Valenzi, per garantire la gestione fuori bilancio di quelle risorse nella loro qualità di commissari di Governo. Quando il senatore Brutti, nel suo intervento, individua un partito trasversale della spesa pubblica, fa bene ad inserirvi i partiti di Governo, fa benissimo ad inserirvi in primo luogo la democrazia cristiana, però, dopo averne intravisti tutti i tornaconti clientelari e lo sfruttamento camorristico che ne è derivato, non dovrebbe ignorare la presenza ed il ruolo politico svolto da partiti di opposizione, da forze sociali, sindacali, imprenditoriali, cooperative che hanno in qualche modo aderito ad un'impostazione di indirizzo che oggi tutti, anche in base alle risultanze di indagini parlamentari, critichiamo. Credo che ciò debba essere riconosciuto perché anche questo è un modo per studiare gli effetti che indirizzi sbagliati di politica economica e del territorio hanno come ricaduta sulla crescita e sulla trasformazione della camorra in criminalità organizzata. A questo punto si è chiamata in causa l'involuzione delle tradizioni del partito popolare di ispirazione cristiana. Nell'intervento del senatore Brutti ho ravvisato più un'invettiva, me lo consenta, che delle serie deduzioni logiche. Non devo ricordare a lei, senatore Brutti, che è persona colta, buon conoscitore della storia del nostro paese, che è difficile riconoscere il fondatore del partito popolare nell'immagine così tranchant che lei ha offerto alla riflessione della Commissione. Sturzo è innanzitutto, per la storia del popolarismo, Pag. 3291 ma anche per quella del meridionalismo, l'autonomia, l'autogoverno come forza di partecipazione popolare e di controllo sociale e politico nei confronti dei mazzieri di Giolitti, delle oligarchie proprietarie del sud, di quelle stesse che erano, anche allora, conniventi con la camorra, con la mafia, con la criminalità. La stessa polemica sturziana contro la degenerazione statalista e burocratica era la manifestazione della preoccupazione di una degenerazione e di una contaminazione del sistema politico. Appartenevo allora, quando Sturzo faceva queste polemiche, ad una generazione di politici cattolici che non condividevano le sue considerazioni in quanto ritenevano essenziale per lo sviluppo economico, sociale e civile del paese un intervento della mano pubblica nell'economia. Dico ciò perché quella polemica aveva delle motivazioni alte, delle preoccupazioni che non sono da liquidare con derisione, bensì da inquadrare in una esperienza anche culturale di Sturzo che ha sempre avuto il modello anglosassone molto presente. Senatore Brutti, mi permetta inoltre di considerare un po' rozzo il richiamo che lei fa a quella che ingiustamente ed impropriamente è passata alla cronaca politica, e non alla storia, come l'operazione Sturzo per le elezioni amministrative a Roma. Sturzo era un prete e doveva obbedienza; doveva obbedienza anche quando scelse l'esilio per combattere per vent'anni il fascismo: altri cattolici, popolari, preti, laici di sinistra o di destra sicuramente non fecero altrettanto. Costoro dissero che il fascismo era una parentesi e che dopo si sarebbe potuto ricominciare. Ad un uomo che ha pagato questo prezzo alla libertà si può forse imputare una incauta operazione politica che fu tra l'altro sventata dai massimi vertici della democrazia cristiana di allora, in primo luogo da De Gasperi. Fu l'interpretazione della paura del comunismo, del cambiamento di regime che, accanto a giuste intuizioni, provocò allora, ma, ahimè, lo provoca anche oggi dopo la caduta del comunismo, indirizzi, paure e preoccupazioni e ricerca di soluzioni profondamente errate. Dico questo in quanto bisogna ricollegare le posizioni politiche al loro posto, altrimenti si rischia di liquidare la camorra come Sturzo. Credo che le forme di relazioni clientelari siano sempre state presenti al sud nelle relazioni sociali, in ambienti molto vasti della vita civile. Nel resto del paese, al nord, al centro, lo Stato con i suoi organi è la legge, è la norma, mentre al sud è la politica, sono i politici che rappresentano lo Stato: questa è la deformazione che lamentiamo. Nel sud sono mancate per tanto tempo aggregazioni solidaristiche, i sindacati, le cooperative, anche gli stessi partiti politici popolari. Nel sud esiste d'altra parte una pluralità di condizioni sociali, di interessi ed il padronaggio politico diventava fattore di coesione, sostituiva quasi la cultura della regola, dei diritti. Certo, è da questa anomalia del sud che bisogna partire per comprendere anche l'attecchimento della camorra, la sua commistione con il potere politico. La clientela politica certamente provoca un degrado istituzionale in quanto attraverso essa si scambiano prerogative istituzionali, si infrangono regole, sia quando si assegnano indebitamente posti di lavoro, sia quando si praticano concessioni amministrative, sia quando si aiuta a risalire la strada tortuosa delle procedure e di una burocrazia pubblica che non si sa rinnovare, ma si suggerisce che l'intervento della politica sia determinante per arrivare a certi risultati. Comprendendo questo credo si comprenda la menomazione culturale e civile che il sud ha avuto da questa concezione, perché questa debolezza culturale attraversa posizioni culturali e politiche le più varie. E' stato anche il modo con cui paradossalmente il Mezzogiorno è diventato moderno - per così dire - si è abituato alla politica, si è autoregolato; i diritti dei singoli sono diventati visibili anche dietro quest'alterazione di tipo clientelare. Oggi (giustamente, a mio avviso: vi è evidentemente una nemesi nella storia) i diritti dei singoli sono reclamati contro le vecchie Pag. 3292 centrali dello stesso potere politico e clientelare perché oggi sono compresi. Del resto, la vicenda del clientelismo è più vecchia della camorra ed anche della corrente dorotea, senatore Brutti, nel Mezzogiorno. Pensiamo negli anni cinquanta cosa è stato il laurismo come pratica di scambio di consensi contro beni concreti - non parlo soltanto delle scarpe spaiate o del pacco di pasta - come promesse di posti di lavoro o come erogazione degli stessi, oltre che di sussidi, di contributi e di finanziamenti. Questo sistema clientelare, fondato anche sulle false pensioni di invalidità e sui sussidi vari, ha alimentato l'espansione del sistema criminale e mafioso - ne sono convinto - ed annidandosi la camorra dentro questo sistema, essa ha trovato la via di profitti sempre maggiori, sempre più ingenti che hanno accompagnato anche il rapporto con la politica. Negli anni ottanta (il decennio in cui, a mio avviso, ciò è avvenuto in modo più clamoroso) il welfare era in crisi, vi era di fatto il blocco delle assunzioni nel settore pubblico, era finito il boom delle "cattedrali nel deserto", cioè dell'industrializzazione in qualche maniera assistita; poi vi è stata la parentesi del terremoto che, come ho detto precedentemente, ha consentito la creazione di un nuovo ciclo di industria assistita, anche se si è trattato di industria minore, piccola e media, non certo di "cattedrali nel deserto". Anche il potere politico è intervenuto con leggi che tentavano di favorire investimenti e nuova industrializzazione: le leggi nn. 64 e 44 sul Mezzogiorno (ricordate anche dal senatore Ranieri nel suo vibrato intervento) rappresentavano il tentativo di imprimere una svolta, pur partendo dalla consapevolezza dei guasti non soltanto economici ma anche degenerativi del sistema che i precedenti indirizzi di politica economica e dello sviluppo avevano provocato. Oggetto della scambio clientelare nell'ultimo decennio sono diventati, allora, i grandi appalti, i contributi per l'industria assistita e sono cominciate a circolare risorse che sono divenute oggetto del desiderio e della concupiscenza camorristica, risorse che erano alla base di un altro compromesso affaristico con la politica. Qui vi è stata la saldatura tra Tangentopoli e la crescita economica della camorra. Non a caso quegli anni - gli anni del decennio che considero il più infausto della nostra vita pubblica - sono stati gli anni dei cosiddetti comitati d'affari. E' a questo che vorrei che si rivolgesse la nostra attenzione più che ad una serie di esemplificazioni che - me lo consentirà il collega Brutti - tentano sempre di incastrare attraverso i fatti un gruppo, una corrente, una o più persone; non voglio assolvere nessuno, senatore Brutti, ma credo che le responsabilità, i guasti, la complessità e l'articolazione del potere camorristico nel territorio di Napoli e dintorni siano qualcosa di molto più vasto che non sta sulle spalle né di questo o quel personaggio né di quel gruppo o sottogruppo. Credo che tale considerazione non tolga nulla né all'analisi del fenomeno né alle denunce contenute nella relazione, anche se cerca di alzare il tiro e di dare una spiegazione che tenti (non pretendo di riuscirvi) di essere un po' più complessiva, un po' più spiegazione ed un po' meno denuncia. Questa deriva della politica allo scambio, alla mezzadria di potere all'interno di coalizioni di governo locale - perché di questo adesso parliamo - prive di progettualità costituisce lo scenario della nuova invasione della camorra negli spazi delle istituzioni e dell'economia. Questa è la lettura che io compio del fenomeno. Per questo non vorrei ridurre la complessità di tale fenomeno soltanto a singole responsabilità, anche perché quando si inseguono soltanto episodi isolati, che sono solo una parte del tutto, si incappa anche in una puntigliosa precisazione. In fondo l'audizione e la memoria del senatore Gava contestano, talora anche con argomenti (intendo dire con fatti contrapposti ad altri fatti) l'indeterminatezza di alcune acquisizioni processuali che sono nella fase iniziale e che, come tali, debbono avere uno sviluppo che potrà Pag. 3293 confermarle, arricchirle, aggravarle, integrarle, non mi interessa. Vorrei ricondurre la nostra analisi, ma anche la nostra denuncia perché sia severa - il più severa possibile - ad una capacità di essere inattaccabile dai formalismi e dai minimalismi di chi poi contesta questo o quel particolare, perché credo che tutti ci preoccupiamo del quadro d'insieme. Del resto, tracce vistose della penetrazione camorristica negli enti locali - lo abbiamo detto - sono riscontrabili ormai in numerosi fatti e costituiscono la riprova non solo dell'esistenza di referenti politici nelle amministrazioni locali, ma anche dell'interesse della camorra ad influenzarne le scelte. Non dimentichiamo che la camorra, come già la 'ndrangheta e forse anche la mafia, nell'ultimo decennio non ha voluto soltanto appoggiare alcuni politici ma ha inteso anche sottoporre direttamente all'elettorato, attraverso l'inserimento nelle liste, suoi uomini nelle istituzioni locali. Tra circa un'ora sarò relatore al Senato del decreto-legge di integrazione in materia di scioglimento dei consigli comunali, un provvedimento che insieme con quello recante interdizione della candidatura per i rinviati a giudizio per associazione di stampo mafioso testimonia del fatto che anche la nostra legislazione si è fatta carico di un processo non solo di infiltrazione, ma addirittura di "presa diretta" delle istituzioni da parte di camorristi, mafiosi e 'ndraghetisti. Non nego certo validità alle vicende dell'ex sindaco Sangiovanni, dei suoi passaggi da una corrente all'altra e del suo ritorno "a casa" in una determinata corrente; non nego nemmeno validità esemplare alla vicenda di Poggiomarino, su cui ho avuto numerose altre occasioni di indagine, ma mi sembra che da Torre Annunziata alla serie di amministrazioni comunali disciolte in provincia di Napoli ed in tutta la Campania possiamo ricavare un materiale di riflessione assai ampio. Per questo credo che non si superino quelli che sono macigni, ostacoli sulla strada del recupero della legalità e quindi di una vita democratica piena, che coincide con la legalità, senza quella profonda riforma delle istituzioni e dei partiti che non è più da evocare, è solo da praticare. Mi auguro che la prossima legislatura sia capace di compiere questa trasformazione qualitativa del modo d'essere e d'agire delle istituzioni. Lo dico perché è la vera speranza anche per quanto riguarda la lotta ed il contrasto alla camorra. Mi auguro, nello stesso tempo, che i partiti si ritirino veramente sempre più e meglio da spazi istituzionali, economici e sociali che hanno occupato indebitamente o che hanno compresso con indirizzi politici e di gestione profondamente sbagliati. Mi auguro che si affermi sempre più nella vita politica e nella gestione di governo l'etica della responsabilità, così come il principio della partecipazione e del controllo dei cittadini. In questo senso, mi auguro che vi siano anche partiti nuovi, diversi; ma il mio augurio personale, sommesso (visto che oggi non è di moda) è che questi partiti abbiano il volto delle forze popolari, dei grandi movimenti di folla, di interessi, che abbiano radici, capacità di rappresentanza di bisogni e di speranze diffuse, che siano tramiti con le istituzioni senza delegare questo compito alto della politica a tecnocrazie, a videocrazie, a élites che si autoproclamano salvatrici del paese. Credo che la "teledemocrazia" sia meno della democrazia e spero che vi sia un futuro di democrazia più ampia, più partecipata nel nostro paese. Accanto a questi aspetti più politici ed istituzionali, credo che nella relazione debba essere anche colmata una lacuna che riguarda la questione meridionale, una questione che incrocia il fenomeno della criminalità organizzata non per una maledizione, ma per il modello di sviluppo non solo incompiuto ma anche distorto che ha provocato. Se si parla di sviluppo incompiuto, siamo sempre disponibili, magari anche ricorrendo all'esistenzialismo, ad aggiungere qualcosa, a dare qualcosa di più, ad inventarci un contributo. I modelli economici troppo spesso li abbiamo importati e non si sono integrati né con le istituzioni né con la Pag. 3294 vita sociale né con la cultura del sud. Il Mezzogiorno è stato oggetto di provvidenze, quest'orribile parola che è carica di equivoci e che ha tutto il peso di qualcosa che si offre, che si dà con carità pelosa - dico io - al Mezzogiorno. SALVATORE FRASCA. Sarebbe interessante sapere chi abbia inventato il termine "provvidenze". PAOLO CABRAS. Il termine è molto bello in un'altra accezione, in quella manzoniana che in me cristiano trova eco e risonanze; nell'accezione del politichese, non sarà colpa dei politici di ispirazione cristiana... PRESIDENTE. Infatti, non a caso quella divina è singolare. PAOLO CABRAS. Il termine provvidenze è aberrante e dovremmo abolirlo. Tuttavia, non v'è dubbio che questo modo distorto ha poi provocato la pesante condizione politico-clientelare del sud ed ha agevolato la camorra e quant'altro. E' avvenuto che i diritti venissero reclamati e richiesti come favori e non a caso Giovanni Paolo II ne ha parlato a Napoli, quale emblema della distorsione dello sviluppo e dell'economia del sud. E' qui che la criminalità organizzata ha trovato pascolo favorevole, approfittando anche di un'inevasa domanda di occupazione e di ruolo sociale delle giovani generazioni, come si rileva nella parte finale della relazione. Anch'io credo che i delitti, le violenze, i traffici illeciti che sono il cancro della vita meridionale qualche volta siano stati sottovalutati e sottodimensionati anche nell'immaginario collettivo perché prevaleva l'offerta di un lavoro illecito, nero, di cui era tramite proprio la camorra, l'organizzazione mafiosa. Anche su questo penso che dovremo ragionare se, combattendo la camorra, vorremo salvare il futuro del sud. In conclusione, penso che la mafia e la camorra siano sempre agevolate dal disimpegno, dal tradimento dei politici, dalla mafiosità dei comportamenti collettivi ed individuali. Vorrei ora trarre un passo dalla pastorale dell'ottobre del 1989 dei vescovi italiani sul sud e sulla criminalità organizzata: "E' vero, c'è una mafiosità dei comportamenti collettivi ed individuali che non può essere sradicata dalle legge ma da altri comportamenti e dal prevalere di altri valori, di un'altra cultura". La Chiesa sta assumendo nel sud una scelta in qualche modo promozionale di una nuova mentalità, una cultura della solidarietà contro il familismo, il tribalismo della società camorristica; la Chiesa sta dispiegando una pastorale della non violenza del diritti umani contro i rischi dell'individualismo e della massificazione. Credo che anche di questo varrebbe la pena di accennare nella relazione come testimonianza importante nell'azione antimafia. Occorre però quell'allenamento del mondo politico alla nuova cultura della solidarietà e dei diritti, ossia occorre una netta discontinuità verso il passato delle formazioni politiche. Non penso che ci siano molti innocenti in giro nella politica e credo che una profonda revisione autocritica sia un esercizio dovuto da parte di tutte le forze politiche, senza autoassoluzioni. Vorrei in conclusione dire una parola sulla responsabilità politica. Nella parte finale di questa relazione, come anche in quella sulla mafia, il presidente Violante si è diffuso su un concetto che, nella sua distinzione un po' di scuola rispetto alla responsabilità penale, non può non essere accettato; mi sembra una distinzione razionale. Concordo sull'esistenza di comportamenti, scelte, condivisioni della politica che debbono essere sottoposti a valutazioni dell'opinione pubblica. Un uomo politico è un cittadino che chiede il consenso, soprattutto se è candidato ad una carica rappresentativa, perché vuole rappresentare in un'assemblea elettiva interessi generali, chiede di essere investito di una responsabilità sociale, che gli conferisce tuttavia oneri maggiori di quelli di un singolo cittadino, anche di un rappresentante di istituzioni diverse da Pag. 3295 quelle politiche, da quelle rappresentative. Credo perciò che l'uomo politico debba sottoporsi alla trasparenza dei controlli e al giudizio dei cittadini. Se sbaglia può essere anche penalmente incensurabile, ma politicamente è uno sconfitto, deve essere un fuoriuscito dalla politica. Ecco, non voglio governi dei giudici, chiedo che vi siano invece comportamenti e giudizi politici. Non voglio neanche verdetti politici, preferisco il giudizio dei cittadini che hanno lo scettro, sono gli arbitri della vita democratica. Non credo spetti a noi e al Parlamento esclusivamente un giudizio su persone, anche su comportamenti politici; ritengo che nella dinamica della vita democratica sia affidata a noi anche in questa relazione la necessità di esprimere un giudizio su quello che i politici non debbono fare e la politica non deve essere rispetto alle deviazioni concrete praticate nella vicenda della camorra a Napoli e nei dintorni. Non vorrei che rassegnassimo soltanto l'estrapolazione di alcuni casi, pur significativi, emblematici e rilevanti, ma che offrissimo il quadro di una devastazione più grande avente i tratti di una degenerazione sistemica. Non mi pongo quindi dalla parte di un riflesso condizionato dall'appartenenza, ma da quella dell'ambizione di mettere in grado per l'avvenire la politica - quella che miri ad ideali, ad orizzonti di tensione, che creda nel cambiamento - di sconfiggere la mafia, l'illegalità, la sopraffazione ed anche di cautelarsi contro i nemici interni delle istituzioni. Tali nemici possono stare anche dentro la politica, ma a noi interessa il riscatto della politica perché abbia una capacità più alta di respiro e di vita democratica. IVO BUTINI. Signor presidente, onorevoli colleghi, tengo conto in queste mie riflessioni del giudizio che un autorevole collega ha dato della finalità dei lavori della Commissione antimafia, intesa come un contributo portato alla trasformazione del sistema politico in Italia. Se così stanno le cose, è chiaro che occorre la massima serietà dell'indagine e la massima responsabilità delle valutazioni. La relazione che stiamo discutendo ha un oggetto specifico: i rapporti di una forma di criminalità organizzata nota con il nome di camorra con la politica e con le istituzioni. Il documento richiama un evento naturale, il terremoto, le provvidenze successive per la ricostruzione e sostiene - così mi sembra di aver inteso - che questo fatto ha favorito una sorta di interazione tra la politica e gli affari ed è diventato la culla di una nuova dimensione della camorra. Quindi, un fatto naturale e una storia criminale avrebbero determinato alcuni fenomeni rispetto ai quali bisogna poi concludere secondo la premessa che ho prima richiamato, con il contributo che si intende portare ad un processo di trasformazione politica. Secondo una prima tesi, dentro questa storia criminale si è sviluppato un potere politico; secondo un'altra, nelle pieghe della storia di un partito o, se si vuole, di una sua corrente, si è verificato lo sviluppo del fenomeno criminale della camorra o il nuovo sviluppo criminale della stessa; un'altra impostazione parla di un'evoluzione della criminalità endogena alla regione Campania, di una criminalità diffusiva ed autorevole che si è alimentata del mutamento delle condizioni economico-sociali ed ha premuto sul quadro politico istituzionale. Si afferma nella relazione - lo ricordo a me stesso - che gli interventi nelle zone terremotate si ispirarono a quello che fu il "consociativismo nazionale" - usiamo la parola tra virgolette, come è nella relazione - consociativismo che - è stato richiamato da molti colleghi - ebbe una storica concretizzazione nella nomina a Napoli di due commissari straordinari: all'epoca furono il sindaco Valenzi dell'allora partito comunista e il presidente della giunta regionale Fantini della democrazia cristiana... PRESIDENTE. Credo che allora fosse De Feo; c'è un errore nella relazione. Pag. 3296 IVO BUTINI. Per la verità, ho preso il dato dalla relazione; probabilmente, si tratta di un errore. PRESIDENTE. Comunque il meccanismo è quello. UMBERTO RANIERI. Per la verità, Valenzi fu commissario per meno di due anni. Lo dico solo per ricordare lo schema istituzionale. IVO BUTINI. Richiamavo semplicemente l'origine della legislazione per gli interventi, ossia il consociativismo. UMBERTO RANIERI. Purtroppo, furono soltanto due anni di consociativismo. IVO BUTINI. Il suo richiamo non ha motivo di essere perché non sosterrò quella tesi. Ho richiamato questi elementi perché nella relazione si afferma che il Parlamento non seppe vincere una certa emotività determinata dalla gravità del terremoto e quindi, prescindendo dai fenomeni di consociativismo richiamati, vennero strumenti, decisioni straordinarie, poteri eccezionali, i quali sarebbero in parte imputabili di alcune deviazioni lamentate. Ricordo per la verità - anni precedenti a quelli ottanta - quando le prime strutture degli interventi straordinari nel Mezzogiorno, al di là delle provvidenze richiamate dall'onorevole Cabras, venivano giustificate a me che ne chiedevo spiegazione con la necessità di avere istituti e procedure nuovi rispetto alla tradizione burocratica italiana e quindi in qualche misura non ordinarie in considerazione della necessità di fare presto, di contrastare i ritardi e le lentezze che la burocrazia aveva manifestato nel paese. In altri termini, anche questa storia degli interventi straordinari e delle procedure eccezionali - prescindendo dalla gravità dell'evento naturale - hanno motivazioni politiche diverse nella storia di questi anni. Allora, mi domando se la notazione sull'emotività debba essere limitata soltanto all'episodio del terremoto a Napoli o se il Parlamento non tenda a volte ad oscillare tra un eccesso di emotività ed uno di sospettosità: il sospetto aggrava i lacci e i lacciuoli e, per reagire a questi ultimi, si debbono introdurre procedure straordinarie delle quali in qualche caso ci andiamo a lamentare per le conseguenze che portano, così come risulta dalla relazione. Nella stessa sono contenuti alcuni riferimenti - di cui poi dirò - alla fragilità istituzionale della regione Campania. Credo che una certa debolezza dello Stato - lo anticipo brevemente e comunque mi sembra sia stato notato anche nell'intervento dell'onorevole Cabras - una mancanza o una debolezza del senso dello Stato appartenga a tutta la tradizione civile del nostro paese, non soltanto alla Campania. Vorrei ora fare riferimento all'intervento del senatore Brutti; lo invito a correggermi in caso di errore, perché non vorrei non aver bene inteso. A un certo punto egli afferma (credo di essere pressoché testuale) che c'è stato un cieco conservatorismo e un anticomunismo della democrazia cristiana che spinse il gruppo dirigente della DC napoletana a buttarsi a destra. Vorrei fare in proposito alcune rapidissime osservazioni. L'anticomunismo può tranquillamente appartenere ad una politica liberale, democratica e riformista; si tratta di vederne la natura. Il conservatorismo è un po' diverso rispetto ad una politica liberale, democratica e riformista, ma comunque può essere sempre democratico. Se invece si parla di cieca posizione politica, sia rivoluzionaria o sia conservatrice, il destino è comune a tutte e due le ipotesi. Mi sia ora permesso un rapidissimo richiamo storico che ebbe un esito caratteristico nell'area campana e specificamente napoletana. Parlo del 1953, anno in cui si contrapponevano due poli, quello monarchico-missino e quello socialcomunista, Pag. 3297 vi era la nuova legge elettorale con il premio di maggioranza, era presente una situazione di difficoltà nell'area liberaldemocratica del paese, fenomeni che si riscontrano anche nell'attuale situazione politica. Anche allora vi fu una fortissima campagna di scandali istituzionali e di fatto, sia pure a livelli diversi rispetto a quelli di oggi. Richiamo il libro di Magliano "La borghesia e la paura", che mi pare vinse anche un premio Viareggio; la borghesia italiana, che poteva avere risentimenti verso la democrazia cristiana - c'era stata la riforma agraria - avrebbe potuto votare per il partito liberale, ritornare ad alcune posizioni politiche tradizionali ed invece punì non so se la DC, certamente De Gasperi, votando monarchico e missino. Venne così fuori in quelle proporzioni a Napoli il fenomeno del laurismo. Quello che successe poi non mi interessa in questa fase. SALVATORE FRASCA. In Campania non c'è stata la riforma agraria. IVO BUTINI. La politica degasperiana delle riforme, che poteva guadagnarsi il risentimento della borghesia, logicamente avrebbe dovuto portare tale ceto a votare per il suo partito tradizionale, quello liberale; votò invece monarchico e missino in modo particolare nel Mezzogiorno e a Napoli - quando si verificò la grande ascesa del partito monarchico di Lauro - per cui il fenomeno non sembrerebbe legato ad un cieco conservatorismo democristiano che si butta a destra, ma ad una serie di conflitti sociali e politici, che in quella fase si manifestarono in quei termini, rispetto ai quali la DC pagò perdendo voti. Tutto quello che segue non è oggetto del nostro esame. MASSIMO BRUTTI. Mi domando se dopo quella che il senatore Butini definisce una punizione, dopo lo spostamento di settori delle classi dominanti verso destra non vi sia stata - possiamo vedere come nel Mezzogiorno abbia acquistato certi caratteri, come il clientelismo e via dicendo - la tendenza di una parte dei gruppi dirigenti della DC a spostarsi su un terreno concorrenziale con la destra e ad accentuare elementi di anticomunismo. PRESIDENTE. Forse sarebbe meglio che lasciassimo concludere il senatore Butini! IVO BUTINI. Cabras ha già ricordato nel suo intervento... SALVATORE FRASCA. Nel 1951-1952 cadevano i contadini! C'erano gli arresti di massa! IVO BUTINI. Non allargate il discorso! PRESIDENTE. Senatore Butini, è l'interesse del suo intervento che suscita le interruzioni! IVO BUTINI. Tornando alle osservazioni del collega Brutti, credo che questa interpretazione degli avvenimenti del 1953 sia indiscutibile. SALVATORE FRASCA. Le Madonne muovevano gli occhi! IVO BUTINI. Li muovevano cinque anni prima! Abbi pazienza! I vescovi hanno il diritto di benedire tutto ciò che può essere benedetto in certe situazioni! SALVATORE FRASCA. Anche i cantieri di lavoro? IVO BUTINI. Certo, anche i cantieri di lavoro, se danno pane! Ognuno ha la sua funzione sociale! Non mi nascondo che vi è una storia interna della democrazia cristiana che risente delle debolezze della cultura cattolica e delle tradizioni politiche dei cattolici italiani. Tuttavia, debbo anche dire che nemmeno il partito comunista sfuggì alla tentazione di utilizzare una parte di queste debolezze, provocando conseguenze sulle altre parti. A mio avviso, con riferimento all'analisi che sto Pag. 3298 proponendo, non vi sono sempre ed unicamente volontà autonome perverse, ma va anche considerata la gestione di fenomeni che si sovrappongono e si incrociano, la cui analisi meriterebbe di essere approfondita prima di attribuire ad un soggetto, personale o politico, responsabilità totali e senza "residui". Questa è la riflessione che ho voluto sottoporre alla vostra attenzione. Noi - o la democrazia cristiana - abbiamo commesso i nostri errori; tuttavia, l'anticomunismo della democrazia cristiana non fu mai cieco. Su questo punto vorrei essere preciso. Anche a Napoli, Brutti, quando - intorno al 1947 - la piazza chiedeva che il partito comunista fosse messo fuori legge, De Gasperi oppose un rifiuto a tale richiesta. Io - se volete - sono stato e sono anticomunista, ma non mi sento un anticomunista cieco. Non accetto questa qualificazione! Il riformismo della democrazia cristiana non fu mai cieco conservatorismo, né vi è stata una democrazia cristiana che si è "buttata" a destra. Anche se pensiamo all'episodio Tambroni, al quale nessuno ha fatto riferimento - se vogliamo portare la polemica fino a questo punto, facciamolo! - dobbiamo dire che esso non fu coperto dalla democrazia cristiana, così come la storia ha dimostrato. Ecco perché rifiuto il giudizio che è stato dato e chiedo che nella relazione venga inserito qualche cenno alla tesi che ho sostenuto. Noi abbiamo realizzato una mediazione (definitela di centro, se preferite), che credo sia stata lucida e non opportunista, pur nella consapevolezza di quanto spingessero l'anticomunismo, l'intransigentismo, l'autoritarismo, l'antipopolarismo e l'orientamento ad attuare una politica chiusa nei confronti delle masse popolari o del partito comunista (per la parte di responsabilità che quest'ultimo aveva assunto in quegli anni nella politica nazionale). Questa politica di mediazione lucida e non opportunista si scontrò con l'eredità storica dello Stato unitario. Il ritorno alla democrazia non si manifestò allo stesso modo nel nord e nel sud: la storia del ritorno della democrazia in Italia non si espresse al nord nello stesso modo che al sud. Avverto un personale disagio nel considerare le battaglie che non abbiamo vinto contro la criminalità (e non soltanto contro di essa). Tuttavia, se vi fosse il rischio, presidente, per i membri di questa Commissione, per i deputati ed i senatori del Parlamento nazionale e per l'opinione pubblica, di essere portati a credere che sia stata la democrazia cristiana a creare la camorra e la mafia, respingerei nettamente questo giudizio, che considero immotivato sul piano storico. PRESIDENTE. Senatore, mi pare che la relazione non dica questo! IVO BUTINI. Infatti, ho parlato di un eventuale rischio. La seconda parte della relazione sviluppa analiticamente la descrizione della crisi nella regione Campania. Il collega Guerritore - se ricordo bene - parlò della camorra come fenomeno endemico, negandole una continuità storica. La relazione - l'ho già detto in precedenza - richiama la grave condizione di fragilità istituzionale che caratterizza la Campania. Dalla lettura della relazione sembra che in questa regione non esistano né il senso dello Stato (che, lo sottolineo, non riguarda soltanto i cittadini, anzi li riguarda poco sotto un certo profilo) né la responsabilità amministrativa. A pagina 47 è contenuta una frase bellissima sull'atteggiamento degli amministratori che - quasi imitando il lupo - imputano tutto a coloro i quali li hanno preceduti, quasi che quel tutto fosse derivato da non si sa bene quale ancestrale condanna. Quando parlo di senso dello Stato mi riferisco ad un concetto più profondo di quello della legalità formale: in quella regione manca il sentimento comunitario nella popolazione ed il senso di una missione nazionale nei rappresentanti dello Stato. Non ho paura di usare il termine "missione nazionale", a prescindere da dove questi Pag. 3299 alti funzionari dello Stato si trovino a servire dal punto di vista sia regionale sia istituzionale. Quello che viene comunque considerato il fine di ogni Stato organizzato, sembra che in Campania non esista. Mi pare che l'interpretazione più ricorrente tra i colleghi sia che in Campania la camorra non è riuscita a stabilire un proprio ordine, così come invece in qualche misura si ritiene che abbia fatto la mafia in Sicilia: nemmeno questo si sarebbe verificato in Campania! Siamo quindi di fronte ad una degenerazione profonda del tessuto civile prima ancora che di quello sociale e politico. Presidente, concordo con l'esigenza di rinvigorire le strutture dello Stato e dell'amministrazione, ma credo che ciò non sia sufficiente. Infatti se lo Stato, che non è una astrazione ma è rappresentato in questo caso dagli alti funzionari (credo che tutti ci capiamo quando uso questo termine) in ogni settore dell'amministrazione, non rende visibile un comportamento unitario, le strutture da sole non sono capaci di risolvere il problema che ci poniamo a livello istituzionale. Su questo punto vorrei essere chiaro: se il prefetto di una provincia fa una cosa e quello di un'altra provincia fa una cosa diversa; se l'ordine giudiziario che opera in una certa provincia si comporta in un modo e se in un'altra provincia esso agisce in un modo diverso, non siamo di fronte ad un'immagine unitaria dello Stato accreditata nella coscienza dei cittadini. Pongo questo problema, che considero serio, alla vostra attenzione. Quanto al rapporto tra i fini e la responsabilità dello Stato (dottrina ed ordinamento) e la dialettica politica (che investe gli interessi popolari e che si manifesta attraverso i partiti e le elezioni), è chiaro che tutte le risposte ad esso inerenti risentono della situazione storica-locale nella quale si manifestano certi fenomeni. Pongo questo problema di carattere generale, riservandomi, presidente, di sollevare una questione di carattere procedurale. La relazione fa riferimento al ruolo di un leader: parla di un partito, di una corrente, ma sostanzialmente fa riferimento al ruolo di un leader. Non mi pare possibile sostenere, nemmeno sulla scorta di quanto la relazione esprime, che si possa immaginare questo leader come unica causa agente delle cose descritte, richiamate o valutate dalla relazione. Non vorrei che quanto sto per dire fosse un'ingenuità, presidente, ma io ho esaminato la relazione presentata dal senatore Gava, che considero, appunto, una "relazione" perché presenta tutte le caratteristiche di un documento formale, autonomo anche rispetto alle audizioni svolte in questa sede. Non sono un uomo di legge, ma se non ho capito male questo documento presenta molte caratteristiche tipiche delle memorie che si presentano nel corso dei dibattimenti processuali. Mi chiedo, allora: la Commissione deve seguire una procedura tipicamente processuale, valutando gli elementi di fatto e di prova? In questo caso, emergerebbero alcune difficoltà sulle persone che sono state ascoltate, dal momento che le audizioni sono squilibrate: infatti, abbiamo ascoltato le accuse ed i responsabili istituzionali, ma non le difese. Se si dovesse seguire una procedura tipicamente dibattimentale, saremmo quindi di fronte ad uno scompenso delle analisi che abbiamo fin qui condotte. Pongo questo problema, presidente, presumendo che lei debba affrontare una seconda stesura della relazione. Se lei riterrà di dover tener conto di queste osservazioni... PRESIDENTE. Bisogna tenerne conto! IVO BUTINI. In sostanza, vorrei manifestare il mio disagio, da persona non tecnica, rispetto ai documenti alla nostra attenzione. Mi avvio alla conclusione, ponendo un problema che probabilmente viene incontro alle osservazioni svolte da Brutti. Se la fragilità istituzionale esiste - così come tutti riteniamo -, se c'è una mediazione politica indubbia nell'azione democratica e nel giudizio popolare (mi pare che di questo Cabras ne abbia fatto una teoria), allora, onorevoli colleghi, va considerato Pag. 3300 - ripeto - che da una parte c'è la fragilità istituzionale, dall'altra la naturale mediazione politica che si alimenta nel confronto con gli interessi e le opinioni popolari e che questo può determinare il rischio che la mediazione politica assuma una funzione di supplenza istituzionale. Questo rischio, a mio giudizio, si è manifestato in certe aree ed in certi periodi della storia del paese. Se c'è una supplenza istituzionale della mediazione politica, siccome l'origine di quest'ultima non è la legge, ma il voto che esprime l'interesse e le opinioni delle popolazioni, il rischio del condizionamento e, al limite, quello della subordinazione, è reale ed insito in un certo tipo di processo politico. Se non si corregge la fragilità istituzionale, dobbiamo essere cauti nei giudizi sulla politica perché probabilmente alcune deviazioni della politica dipendono da quella fragilità. Si potrà poi fare la storia di chi è responsabile nella vita unitaria dello Stato, ma questo è un altro problema. Ho voluto comunque richiamare queste considerazioni per evitare di dare un carattere strumentale al ragionamento che sto sviluppando. Leggendo la relazione, ho avuto l'impressione che vi sia il convincimento che la camorra sia capace di condizionare ogni espressione politica. Si potrebbe poi trarre la conclusione che ogni altra espressione politica futura risulterebbe condizionabile dalla camorra. Lo vedremo certamente. Se l'assunto fosse questo, il dubbio potrebbe insorgere. Perché? Si è detto che le provvidenze finanziarie per il Mezzogiorno sono state soggette al dominio della camorra; questa è diventata la tesi di uno dei partiti nuovi di questa fase di trasformazione politica del paese. Quindi, non un elemento marginale ma una tesi fondamentale che compete in questo processo di trasformazione. Dunque il discorso diventa rilevante, se c'è un partito che si fa carico di questo giudizio! La descrizione delle strutture locali è drammatica. Tutte no, per carità! PRESIDENTE. Quelle che abbiamo visto. IVO BUTINI. Quelle che abbiamo visto! Chissà se ce ne sono anche altre più coperte? La fragilità istituzionale l'ho richiamata, con la preoccupazione che essa non possa garantire, nemmeno nel futuro, la mediazione politica ai livelli che le sono propri. Allora si potrebbe dire: non si può fare niente? Siamo di fronte ad una situazione che non consente vie d'uscita? Ritengo che il presidente, nella relazione al Parlamento, debba porre in evidenza - non che non ne abbia parlato - due elementi. Occorrerà infatti richiamare le responsabilità unitarie dello Stato e della pubblica amministrazione, nel senso che prima ho illustrato, nelle aree interessate dalla criminalità, in cui lo Stato e la pubblica amministrazione hanno - per ciò che loro compete - funzioni anche di repressione, ma debbono soprattutto preoccuparsi di quella che noi definiamo cura promovendae salutis, in forme visibili, coordinate ed unitarie. Mi permetta poi, presidente, di dire - ma sono disponibilissimo a cambiare opinione - che il rapporto economia-criminalità non è solo un elemento interno, una specificazione del rapporto politica-criminalità. Tale rapporto è la fonte di molti dei fenomeni che abbiamo lamentato. Può diventare più o meno grave a seconda della forza o della debolezza istituzionale e quindi della capacità della politica di fare la mediazione che le compete, o la supplenza che, per le ragioni dette, la porta ad essere subordinata. Sono quindi d'accordo - mi pare che ciò sia nell'ultima parte - che vi sia una redenzione sociale da richiamare con forza all'attenzione del Parlamento. Non che quest'ultimo non lo sappia, ma perché si dia un significato a quanto noi proponiamo. Vorrei fare un'osservazione, richiamando alcune valutazioni di metodo, che ho prima ricordato. Se vi è stato un certo Pag. 3301 squilibrio tra quanto ho sentito nella fase delle indagini e quanto ho poi letto nella fase della sintesi della relazione, esso può essere il seguente: talvolta abbiamo sentito come testimoni alcuni che avrebbero potuti essere non dico imputati ma responsabili delle cose che accadevano. Vi è dunque una sovrapposizione tra testimonianze e responsabilità, probabilmente legata al tipo di lavoro che facciamo. Sottolineo questa come una preoccupazione che ho avvertita, disponibile a correggere il mio pensiero se fossi incorso in un travisamento dei fatti, come avremmo potuto compiere noi a proposito del generale De Sena. Non sono né un magistrato né un avvocato, ma ritengo che il travisamento dei fatti - che penso costituisca un motivo di annullamento formale delle sentenze - possa colpire anche i lavori di Commissioni come la nostra, così vicina alle condizioni processuali. MASSIMO BRUTTI. Non mi è sembrato che ci sia stato un travisamento dei fatti. IVO BUTINI. Ho detto che ci potrebbe essere un travisamento dei fatti. Non dico che si dicano bugie, Brutti! Vorrei essere chiaro. Non si dicono le bugie, ma si possono esprimere giudizi che non corrispondono alle intenzioni, per cui si potrebbe passare dal dolo alla colpa, avendo tutto costruito sul dolo. E ciò non è poco! Vorrei concludere, presidente, dicendo che ciascuno di noi ha le proprie responsabilità; nessuno può essere messo al di sopra della mischia. Mi pare che la conclusione sia un pochino squilibrata, in questo senso: in qualche modo attribuisce alla responsabilità di un leader, o ritiene che l'epurazione di un partito... Tu hai quasi usato questa parola (Commenti del senatore Brutti). Per carità! MASSIMO BRUTTI. Ho detto che tutti abbiamo problemi di rinnovamento del sistema politico. IVO BUTINI. Certo! Non credo che bastino. La relazione ha altezze diverse; affronta problemi più grossi. Cabras ha ben illustrato quale sia il quadro generale più grave. Quindi, non lo perdiamo nel momento in cui andiamo a dire al Parlamento: guardate che qui ci troviamo dinanzi ad un problema serio! Non possiamo dire: la colpa è del Butini, e poi tutto torna come prima! Questo potrebbe essere un grave errore di giudizio che insinuiamo nelle persone che ascoltano. Da qui la necessità di chiarire le posizioni perché non si perda la complessità dell'analisi che la relazione ha fatto, puntualizzando alcune specificazioni, nella preoccupazione di concorrere più alla trasformazione del sistema politico che non alla valutazione del fenomeno che esaminiamo. Questo è quanto volevo dire come preoccupazione personale. Sono tuttavia una voce e non colui che è chiamato a darvi l'interpretazione autentica! Il Parlamento, quindi, non si limiti solo all'acquisizione di conoscenze. Si cerchi invece di dargli la sensazione che le conoscenze che acquisisce lo obbligano a fare degli interventi, ad assumere delle responsabilità. Gli squilibri delle tesi a confronto esistono, perché non abbiamo tutti la stessa tesi. Al loro interno c'è stato un lavoro che apprezzo per ampiezza ed impegno. Se potessimo, ove ritenuti validi, accogliere alcuni emendamenti, suggerimenti, interpretazioni capaci di rendere meno forti gli squilibri rispetto ad un problema che interessa tutta la nazione, il nostro apprezzamento sarebbe più largo e completo. PRESIDENTE. Colleghi, vi vorrei informare sul fatto che entro il 31 dicembre il ministro della giustizia dovrà distribuire 600 magistrati in più tra tutti gli uffici giudiziari. Ci siamo fatti inviare il quadro relativo alla distribuzione; si tratta di un quadro redatto sulla base di criteri oggettivi nazionali; esso non riconosce una pregnanza particolare delle situazioni del Mezzogiorno. Se i colleghi sono d'accordo Pag. 3302 segnalerei rapidamente al ministro l'opportunità che una quota (almeno pari al 55 per cento) sia destinata alle sedi più esposte nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito. (Così rimane stabilito). GIOVANNI FERRARA SALUTE. Esaminando la proposta di emendamento del collega Tripodi, mi è venuto in mente che vi è il problema, così mi pare, degli avvocati, a Napoli. In altre parole, mi pare di ricordare che un certo comportamento abbia, in qualche misura, creato dei problemi all'interno del tribunale di Napoli, a causa di ritardi, scioperi. Non mi ricordo se nella relazione si faccia o meno cenno di quest'aspetto. Se di tale problema non si parlasse, chiedo al presidente di valutare l'opportunità, relativamente a quella parte in cui si parla dello stato della giustizia, di far riferimento anche alla questione di tale conflitto che esiste con la camera penale. PRESIDENTE. Permanente! MASSIMO BRUTTI. E' una questione delicatissima, che non abbiamo affrontato per Cosa nostra. Essa ha una sua autonomia. PRESIDENTE. La ringrazio per la sua segnalazione, senatore Ferrara. SAVERIO D'AMELIO. Signor presidente, anch'io vorrei dare il mio contributo pur parlando brevemente, anzi mi scuso se non potrò svolgere compiutamente ed in modo organico il mio intervento, come pure avrei desiderato, ma i tempi stringono e fra poco dovrò recarmi al Senato per svolgere il mio compito di relatore presso una Commissione. Dico subito che la realtà campana, che è dinanzi ai nostri occhi, evidenzia, nella sua complessità, dei punti deboli che certamente non possono farsi risalire all'ultimo decennio. In Campania c'è una realtà assai complessa; una complessità che è parte e si omogeneizza piuttosto verso il basso, che rende difficile la comprensione dei fenomeni. Mi sia consentita una breve citazione personale. Avendo studiato a Napoli, sia pure come erano costretti a studiare i figli del proletariato lucano, riducendo al minimo le "punte" che si facevano all'università, solo perché bisognava risparmiare, limitandole alle lezioni più importanti o al periodo degli esami, ricordo di aver tratto fin dal primo impatto con questa difficile e complessa realtà una sensazione di repulsa al primo impatto - questo mi capita ancora oggi, tutte le volte che vado a Napoli -. Appena arrivo, infatti, provo questa sensazione di una realtà che mi respinge. Se poi riesco a fermarmi per un certo periodo, penetrando ed avvicinando la gente, cercando di arrivare al grande cuore di Napoli, allora è possibile accorgersi di una vivacità e di una capacità di comprensione dei fenomeni del mondo che è maggiore a Napoli, soprattutto nei vicoli, di quanto lo sia altrove. Ho rappresentato questa mia sensazione per dire che non è facile comprendere la realtà campana né tanto meno quella napoletana. In ogni caso, questa realtà ha profonde radici storiche. E' una realtà tutta da cambiare, salvando ovviamente ciò che vi è di umanità in quel popolo, cercando di dare stimoli alla vivacissima e forte intelligenza, ma anche stimoli e convinzioni nella capacità del diritto, nella responsabilità dello Stato, nella forza attraente che lo Stato deve sapere esercitare per rifuggire dalla tentazione, ahimè tanto diffusa al sud, di sostituire lo Stato, purtroppo spesso inefficiente se non addirittura inesistente. Ricordo di essere arrivato a Napoli, due anni fa, di notte, in quella che conoscevo come piazza Municipio, oggi piazza Plebiscito. Volevo andare a prendere un caffè e mi imbattei in una realtà molto più complessa, difficile, avvilente, preoccupante, da paura. Quella stessa paura che non avevo registrato - eppure ne avevo Pag. 3303 registrata tanta - visitando gli slum, i bassifondi di New York o, peggio ancora, di New Orleans. Come ha ricordato poco fa il senatore Butini uno dei compiti della Commissione è quello di dare un contributo alla lotta alla mafia, ma questo sarà tanto più forte, tanto più valido e servirà a far crescere nella mente dei meridionali la consapevolezza della presenza di uno Stato forte, equanime, capace di fare giustizia, capace comunque di rispondere alle esigenze e sono tante dei meridionali, tutelando i loro diritti senza distinzioni, perché purtroppo di distinzioni ancora oggi si deve parlare. Questa breve premessa credo serva a respingere le affermazioni un po' di parte che ho sentito anch'io ed ho letto nella relazione del collega Brutti, che risponde più ad una esigenza propagandistica. Conosco Brutti per altro verso e devo dire che da come l'ho potuto apprezzare in Parlamento lo vedo più funzionale ad una logica... PRESIDENTE. Il diritto romano non si presta alla polemica. SAVERIO D'AMELIO. Nella interpretazione del diritto romano il professor De Martino ci ha dato un alto insegnamento. PRESIDENTE. Ma quella è storia del diritto romano. SAVERIO D'AMELIO. Ciò nonostante l'interpretazione data da De Martino non è mai di parte. PRESIDENTE. Indubbiamente. SAVERIO D'AMELIO. Comunque, apprezzo l'opera del collega Brutti quale storico, mentre vedo che il suo ruolo in Parlamento è più funzionale ad una logica molto limitata, di partito, che non alla sua intelligenza. Alcune esemplificazioni non trovano il mio consenso; esemplificazioni che per altro non ho trovato nella relazione del presidente, anche se come dirò anch'io vedo con preoccupazione le conclusioni di questa relazione. Un certo sillogismo, per quanto altamente posto dal presidente nei termini essenziali, alla fine arriva a conclusioni che, per il rispetto dovuto all'analisi storica e concreta, per quel contributo alla lotta alla mafia che la nostra Commissione deve saper dare e sta dando, dobbiamo cercare di correggere. La realtà campana è tanto difficile per cui è più facile capire la mafia. PRESIDENTE. Certo. SAVERIO D'AMELIO. E' più facile capire la mafia che non la camorra. PRESIDENTE. Non c'è dubbio. SAVERIO D'AMELIO. La mafia nelle sue aberrazioni, nel suo modo di essere, che evidentemente non è da condividere, ha linearità di comportamenti e chiarezza di manifestazioni. Non a caso, ad esempio, la mafia non uccide con la stessa facilità con cui la camorra uccide in Campania e per certi aspetti ancora più gravi in Calabria. GIOVANNI FERRARA SALUTE. Però quando uccide lo fa sistematicamente. SAVERIO D'AMELIO. Nella mafia c'è una ratio, mentre nella camorra... PRESIDENTE. C'è un'altra ratio. SAVERIO D'AMELIO. Non vorrei offendere i meridionali, dei quali per altro faccio parte... PRESIDENTE. Eventualmente offende i camorristi. SAVERIO D'AMELIO. ...ma vorrei dire che ho riscontrato quella sciatteria, che trovo in tanti comportamenti nostri, di noi meridionali, nelle cose semplici come nelle cose più alte, nelle cose futili, come in quelle impegnative. Abbiamo il guizzo dell'ingegno, ma l'incapacità della razionalità! La stessa sciatteria la trovo Pag. 3304 anche nella delinquenza organizzata che in Campania prende il nome di camorra. Ma proprio per questo dobbiamo far riferimento ad una realtà dalla quale dobbiamo partire per chiedere che ad essa sia riservata maggiore attenzione da parte di uno Stato disattento (voglio usare questa espressione che per me è un eufemismo). Dove individuo la debolezza della nostra analisi? Dopo le premesse certamente valide e condivisibili anche della relazione del presidente Violante, il discorso si restringe ad un'identificazione della camorra con gli uomini di potere e soltanto con gli uomini di potere (Brutti su questo punto estremizza), con gli uomini di governo e soltanto con gli uomini di governo e al loro interno soltanto con il partito della democrazia cristiana o con gli uomini della democrazia cristiana che per aver avuto la ventura di godere di maggioranze certamente democratiche, tuttavia si sono assunti anche la grave responsabilità del degrado che è alla base del fenomeno camorristico, per altro assai preoccupante. Respingo il ruolo di un partito, di una corrente e tanto più di un leader, comunque si chiami (in questo caso risponde al nome di Gava), quasi che questo avesse alimentato la camorra o avesse svolto un ruolo funzionale e comunque di contatto, se non addirittura di alimentazione (poc'anzi il senatore Butini l'ha definita causa agente). Questa identificazione, questo assioma come tale non lo vedo, anche se affermo che le responsabilità dei partiti di governo sono state certamente maggiori di quelle dei partiti che avrebbero dovuto esercitare un ruolo di opposizione e che invece spesso hanno interpretato in modo scorretto il loro ruolo costituzionale, al punto che non hanno aiutato i partiti di maggioranza a liberarsi dalle contiguità, che pure sono più facili, sono più possibili quando un partito amministra, rispetto ad un partito che, libero dalle responsabilità di governo, ha in sé la forza e la capacità di aiutare i partiti di maggioranza - dicevo - a liberarsi dalle contiguità, se non addirittura dalle confusioni che spesso si evidenziano nella vita amministrativa. Ricordo a questo proposito che quando ero vicepresidente di questa Commissione, presieduta dal presidente Alinovi, negli anni 1981-82 ci recammo a Palermo. In quell'occasione fui invitato da alcuni esponenti del mio partito (la democrazia cristiana) che certamente conoscevano il fenomeno della mafia più di quanto lo conoscesse la Commissione. In quei tempi a Palermo ancora si metteva in discussione l'esistenza della mafia e l'utilità della presenza della stessa Commissione in quei luoghi. Indubbiamente quest'interrogativo offriva l'alibi e in certo qual modo bloccava la nostra capacità d'indagine e di capire. Tra gli invitati appresi che c'era anche un grosso esponente della storia politica della democrazia cristiana degli anni quaranta-cinquanta; ad un certo momento questo personaggio mi disse: "La mafia c'è sempre stata qui da noi, purtroppo. La mafia ha sempre contattato e purtroppo contagiato un po' tutti, chi più chi meno, partiti di maggioranza come partiti di minoranza. La differenza però - egli disse - (cito quasi testualmente) tra ieri ed oggi è che gli uomini di tutti i partiti che hanno avuto a che fare con la mafia avevano una tale personalità da chiudere la porta di casa in faccia ai mafiosi, oggi invece questi sporcaccioni se li portano, se possibile, in casa e forse anche a letto". In questo modo estremizzando il discorso e il concetto di ciò che voleva esprimere. Allora, cosa è avvenuto? Cosa c'è dietro questa affermazione che indubbiamente nella sua gravità evidenzia un dato storico? Cosa è avvenuto per cui la mafia o la delinquenza organizzata, comunque la si chiami, ha preso il sopravvento anche sugli uomini politici e quel che è peggio sulla politica? Nella relazione si dice che le regole sono "saltate" (se di regole si poteva parlare anche nei comportamenti degli uomini politici), nel momento in cui sono giunte soprattutto a Napoli ed in Campania Pag. 3305 in generale le provvidenze in seguito al terremoto. Indubbiamente, in quel momento di grande emotività oltre che del Parlamento anche del paese, si è posta in essere una legislazione che eliminava alcuni controlli e consegnava nelle mani di pochi amministratori un potere economico-finanziario e comunque un potere di scelta e di decisione indubbiamente eccessivo. Eppure, bisognava far fronte ad un problema che era eccezionale, quale quello della ricostruzione di due regioni e mezzo che richiedeva interventi più solleciti o quanto meno non in sintonia con il concetto di burocrazia che tutti noi abbiamo. Forse bisognava alleggerire i passaggi burocratici evitando di dare troppo potere ad alcuni politici, sindaci, commissari; a chi vuol dimenticare il consociativismo ricordo che questo fenomeno c'è stato e non solo per Valenzi e Fantini nel caso della Campania, ma un po' dappertutto. La legislazione varata in occasione della ricostruzione è stata molto attenta a rendere partecipi dei momenti decisionali anche le minoranze. Principio, per altro sacrosanto. PRESIDENTE. Il consociativismo è il rendere partecipi alle decisioni della maggioranza. SAVERIO D'AMELIO. Il consociativismo c'è stato! Nella legge n. 219... PRESIDENTE. Ha perfettamente ragione, anche se non rappresenta l'optimum. SAVERIO D'AMELIO. Lo sto denunciando. Dobbiamo eliminare questi aspetti che hanno portato anche nel consociativismo alcuni fatti negativi e sforzarci di capire maggiormente il fenomeno della delinquenza organizzata e vieppiù della camorra per le difficoltà a penetrare una realtà complessa, ancora da sottosviluppo, caratterizzata da inaccettabili condizioni di vita nei "bassi". Basta andare in un vicolo di Napoli per rendersi conto che sì sono stati chiusi i postriboli, ma molto probabilmente non vi sono possibilità di convivenza dato che la promiscuità agevola certe forme degenerative della vita civile. Tutto questo richiama alla necessità di una presenza dello Stato. Alcuni colleghi hanno fatto riferimento al disagio provato nel leggere le conclusioni della relazione Violante; anch'io lo avverto ma, poiché non voglio fare denunce, sia pure con i condizionamenti di tempo cui ho fatto cenno all'inizio del mio intervento, nel senso di non seguire tanto la relazione ma quello che sento e cercando di svolgere ragionamenti sereni e possibilmente obiettivi nella lettura della realtà, vorrei dire che non mi sta bene l'identificazione della camorra con alcuni partiti di Governo, in particolare con la democrazia cristiana, né tanto meno con una corrente o con un uomo che si chiama Gava. Non dico questo perché sono democratico cristiano; sarebbe troppo facile, per esempio, evidenziare come anche nelle ultime elezioni amministrative del 1993 il mio partito, la democrazia cristiana, spesso si sia trovato nell'ingrato e difficile compito di liberare le liste da uomini chiacchierati (lo dico tra virgolette). Ciò è avvenuto in Campania, in Sicilia, in Calabria dove ricordo che il senatore Argiroffi (persona che ho conosciuto e che brilla per il suo eloquio) ha formato le liste e ha vinto le elezioni in quel di Taurianova con i parenti ed i nipoti di Macrì che la democrazia cristiana aveva messo fuori. Lo stesso onorevole Ayala in Sicilia si è affacciato ad un paesino, il cui nome mi sfugge in questo momento... PRESIDENTE. E' diventato sindaco anche Ayala? SAVERIO D'AMELIO. No, non è diventato sindaco ma è andato a dare la sua benedizione in nome di AD agli uomini che la DC aveva messo fuori dalle proprie liste proprio perché "chiacchierati". Accanto a questi due esempi ne posso citare un altro, quello del senatore democristiano Pag. 3306 Condorelli, commissario della Campania, che è arrivato (da quello che leggo e conoscendo anche il suo modo di pensare) a fare non solo forti denunce nei confronti di tanti uomini che hanno avuto responsabilità a livello nazionale, ma ha fatto pulizia di tutte le liste. Forse ha fatto fin troppa pulizia, anche se questa non è mai troppa; ha fatto troppo rinnovamento perché rinnovare senza mettere uomini (come è avvenuto a Roma, dove hanno ricevuto un totale di voti di preferenza che vanno da 1 fino al massimo di 5 mila) vuol dire affidarsi a gente del tutto sconosciuta. GIOVANNI FERRARA SALUTE. Il fatto è che voi democristiani non ci siete abituati a queste cose, noi sì! SAVERIO D'AMELIO. Voglio dire che non c'è conoscenza, non dico radicata, ma neppure nota. Il rinnovamento non si conduce in questo modo. Anche a Napoli e in altri comuni della Campania il nostro commissario, senatore Condorelli, ha fatto piazza pulita, anche se poi è amaro constatare che i consensi non sono arrivati alla democrazia cristiana. UMBERTO RANIERI. Quando arrivavano venivano da... SAVERIO D'AMELIO. Quando arrivavano non so se fosse per quelle circostanze che stiamo combattendo. Come dicevo, anch'io avverto il disagio di sottoscrivere una sorta di teorema che credo rifugga dalla volontà del presidente Violante, però il teorema esiste. Non tutta la realtà camorristica della Campania e di Napoli in particolare può essere identificata con i partiti di governo o, peggio ancora, con un partito, la democrazia cristiana, o con un solo uomo che si chiama Gava o con alcuni uomini che ruotano attorno a lui. Se così fosse, sarebbe facile l'eliminazione certo non fisica ma politica di questi uomini. Abbiamo appreso con grande soddisfazione che Gava non si presenterà più alle prossime elezioni. SALVATORE FRASCA. Perché "con grande soddisfazione"? SAVERIO D'AMELIO. Meglio sarebbe stato se questo gesto lo avesse fatto nel momento in cui è stato colpito da un avviso di garanzia, certamente grave, per responsabilità tutte da accertare, ovviamente. Forse ha prevalso anche in lui, come ha prevalso nel mio partito, la concezione di uno Stato di diritto dove, come è giusto che sia, nessuno può dirsi colpevole fino alla condanna definitiva. Anch'io però avverto l'esigenza di distinguere il tavolo penale da quello politico: in politica la moglie di Cesare deve essere sempre più avveduta, più accorta e comunque apparire (e apparendo deve essere) più illibata di qualsiasi altra donna che si rispetti. Molto probabilmente questi uomini avrebbero dovuto avere la sensibilità - il partito non poteva metterli ai margini, nel nome di uno Stato di diritto dove la condanna è solo quella definitiva - che apprezzo esserci stata in Gava, quando pochi giorni fa ha ufficialmente annunciato qui di ritirarsi dalla politica e che vorrei ci fosse anche in altri uomini ai quali comunque va data la solidarietà della comprensione fino al momento della sentenza finale. Quando si evidenzia questa sensibilità va dato anche l'apprezzamento perché in questo modo si agevola il cammino difficile del nuovo partito della democrazia cristiana in un momento in cui la confusione è tale e tanta che ormai, come direbbero i toscani, "quando è notte tutti i gatti sono bigi", nel senso che non si distingue più un politico immune da siffatti fenomeni dal politico che, salvo la sentenza finale, si è macchiato di colpe e di responsabilità di vario genere. Non mi sta bene, signor presidente, anche il caso Cirillo che, per dirla con Cabras, ha rappresentato il momento più oscuro della vicenda politica italiana, della storia d'Italia e che non può essere Pag. 3307 addebitato alla democrazia cristiana la quale va giudicata per l'atteggiamento responsabile univoco e mai equivoco che ha mantenuto combattendo il terrorismo con le altre forze politiche, compreso il partito comunista, ma soprattutto con la denuncia forte e con l'atteggiamento di fermezza che ha mantenuto nella tragica vicenda di Aldo Moro. Quella del caso Cirillo certamente è una pagina nera della storia italiana le cui responsabilità vanno attribuite - se sono da attribuire - agli uomini che l'hanno vissuta e l'hanno scritta. Però tra questi uomini onestamente vedo prima di tutto quelli del SISDE e del SISMI. Se non ricordo male (vorrei il conforto della memoria del presidente e degli altri colleghi), Parisi distinse il ruolo. Non mi rifaccio solo alla distinzione che pure lui fece fra ruolo del SISMI e del SISDE; disse che si trattava di compiti di istituto quando il SISDE, in presenza di una vicenda grave di delinquenza quale il sequestro di persona, si organizzò e tentò di arrivare alle fonti, raggiungendo anche quelle inquinate. SALVATORE FRASCA. Perché non l'hanno fatto per Moro? SAVERIO D'AMELIO. Di questo non mi sorprendo perché non voglio che ci siano le deviazioni dei servizi segreti, ma ad essi attribuisco certamente compiti che in talune circostanze non possono essere adamantini, del tutto nella regolarità e nella legge. Mi sia consentita una breve parentesi: i cosiddetti confidenti esistono da sempre e costituiscono il punto di forza non solo dei sistemi dittatoriali (che dobbiamo condannare); di essi si avvalgono le forze dell'ordine nel sistemi democratici. Non credo però che i confidenti (al di là dell'ipotesi che diventino tali per senso civico) nella stragrande maggioranza siano dei volontari o persone che manifestano solidarietà. Sono uomini che rispondono a determinate funzioni in un certo momento; quindi anche i delinquenti vengono utilizzati - devono essere utilizzati - per arrivare alla verità. Il guaio è quando i delinquenti vengono utilizzati non per arrivare alla verità ma ad una presunta o precostituita verità; questo è il guaio! Sotto questo aspetto, comprendo e apprezzo il ruolo dei pentiti, ma non accetto la loro utilizzazione forzata. Al riguardo la mia posizione resta sempre coerente perché forse anche noi in certi momenti storici abbiamo utilizzato i pentiti perché svolgessero un ruolo per l'affermazione di certi effetti. Da tutto questo dobbiamo rifuggire. In conclusione, poiché anch'io vedo uno squilibrio delle tesi, dobbiamo perciò cercare di compiere un'analisi più attenta della situazione. Non mi sta bene l'identificazione di Gava come il diavolo in assoluto, soprattutto non mi sta bene quando direttamente ed esplicitamente a Gava anche in questa relazione non può addebitare nulla di specifico se non il fatto che per essere egli un campano, per essere il capo di una corrente politica, che credo non possa e non debba essere criminalizzata tutta intera solo perché il capo era campano, gli si addebiti di avere un raccordo a diversi livelli con uomini che non credo siano anch'essi tutti riscontrabili come mafiosi o camorristi, perché ci sono tanti amministratori e uomini politici seri che hanno fatto il loro dovere in Campania, che si sono esposti in prima persona e in alcuni casi hanno affrontato anche minacce di morte. Non si può addebitare a Gava il fatto di avere, come capo corrente, un rapporto politico con altri uomini, alcuni dei quali, ma solo alcuni, magari collegati con la camorra. Dobbiamo riuscire ad evitare facili sovrapposizioni tra responsabili e testimoni, dobbiamo riuscire ad esprimere un giudizio severo - e severo è anche il mio giudizio, anche per quanto riguarda il mio partito - ma non possiamo far ricadere le responsabilità sull'onorevole Gava o soltanto su di lui, sull'assunto che avendo egli posto in essere un meccanismo elettorale di potere che si fonda proprio su una rete di dirigenti locali che sono da lui sostenuti ed a loro volta lo sostengono, solo per questo si debba dare Pag. 3308 un giudizio del tutto negativo. Mi pare che la situazione sia molto più complessa. PRESIDENTE. Colleghi, approfitto della vostra pazienza non per replicare, perché della stragrande maggioranza delle osservazioni - sia quelle avanzate in questa sede, sia quelle proposte dal senatore Gava - il testo che proporrò venerdì terrà pienamente conto, ma per fermare la nostra attenzione su due o tre questioni politiche che sono state affrontate nella scorsa seduta e in quella odierna. Sono perfettamente d'accordo con la valutazione dell'opportunità di un riequilibrio (così come è stato detto) tra la fase dell'analisi e la fase finale, nel senso che è certamente vero che bisogna rendere meglio la complessità della situazione campana: la complessità delle responsabilità nonché l'intreccio tra camorra e corruzione, non camorrista ma amministrativa, malcostume, come mi suggeriscono. Tutto questo c'è stato però io mi pongo una domanda. Il fatto che più volte i colleghi abbiano detto che non si può imputare tutto al senatore Gava credo che indichi la difficoltà, pur entro un quadro che deve essere reso più complesso, di non porre una questione che riguardi in modo specifico - pur con tutto il garbo e la misura che bisogna usare negli atti parlamentari - questo parlamentare. Infatti, dal complesso delle indicazione che oggettivamente sono agli atti emerge un fatto. Spero che quando ci sarà, se ci sarà, una discussione su questo parlamentare - perché la nostra Commissione ha il dovere di porre la questione all'attenzione di altri - sarà questo o il prossimo Parlamento a fare le valutazioni del caso; ci sono, però, delle specificità che è difficile sottacere. D'altra parte, mi pare che tutti i colleghi abbiano parlato della necessità di rendere evidente la complessità ed in questa complessità si vedrà quali siano i singoli ruoli. Ad esempio, nella vicenda Cutolo-Cirillo tra i vari dati agli atti della Commissione abbiamo una deposizione testimoniale dello psichiatra di Cutolo, che credo sia stato anche parlamentare della democrazia cristiana o comunque abbia avuto incarichi politici, il professor Lavitola. Il Lavitola è chiamato da Cutolo per la perizia psichiatrica quando questi viene mandato all'Asinara e vede il Cutolo sovreccitato. Cutolo gli dice che non gli è stato dato ciò che gli era stato promesso e Lavitola va dal senatore Gava. Voglio leggervi un brano della deposizione. Dico con chiarezza che al momento in cui la proposta di relazione è stata presentata, per il peso che questo brano ha mi sembrava sufficiente, ai fini della responsabilità dell'indirizzo politico, quello che c'era; poiché però questo fatto è stato oggetto di riflessioni - lo stesso senatore Gava ha insistito sulla vicenda Cutolo-Cirillo - è giusto che i colleghi che non hanno potuto accedere a questo documento - anche se, naturalmente, era pubblico - ne vengano a conoscenza. "Appena il Gava mi ricevette - dice il professor Lavitola - gli dissi che ero stato da Cutolo e che avevo bisogno di un suo intervento. Gli dissi anche che Cutolo era disperato e che c'era il rischio che si suicidasse, evento che avrebbe avuto riflessi molto gravi sulle istituzioni date le circostanze del trasferimento di Cutolo all'Asinara e le polemiche che lo avevano preceduto, sicché ben pochi avrebbero creduto al suicidio. Feci quindi presente a Gava che c'era l'esigenza per lo Stato di evitare un simile evento. Il Gava replicò che lui non conosceva di persona il Cutolo ma poi soggiunse (ricordo le sue testuali parole): 'Peppino, pure tu hai fatto politica e ti sei servito, come me, di questa gente. Io l'ho fatto come già lo faceva mio padre'. Mi sentii offeso da questa risposta. Replicai...". Se i colleghi vorranno, potranno prendere visione del testo, nel quale sono contenuti anche dati che riguardano persone estranee a questa discussione. Questo è un altro dei dati. Se poi vogliamo coglierne il significato, sostanzialmente il documento del senatore Gava dice che l'uomo politico lì è Granata. E' un po' difficile ritenere che scompaiano documenti, che succeda tutto quello che succede all'interno delle carceri, Pag. 3309 che una serie di persone venga ammazzata e così via ... C'è un elenco di quelli che trattarono ... La questione ha una sua drammaticità che va ben al di là della partecipazione di Granata. D'altra parte, ricorderete che nel testo della relazione sono riportate alcune relazioni degli agenti di custodia dell'Asinara fatte nel 1982, in epoca non sospetta, e nelle quali questi riferiscono di conversazioni di Cutolo con i parenti, riportandone le frasi. In queste conversazioni Cutolo dice: sbrigatevi, fatemi avere quello che mi hanno promesso, muovetevi. Quindi, che vi sia stata una trattativa per alleggerire la posizione processuale l'hanno riconosciuto tutti coloro che abbiamo ascoltato. Era Granata che doveva decidere sulla situazione processuale? Si saranno accorti, i colleghi, che io non ho mai fatto riferimento al partito ma ho sempre detto: un uomo, alcuni uomini. SAVERIO D'AMELIO. Gliene abbiamo dato atto. PRESIDENTE. Ciascuno di noi conosce le storie dei partiti e sa che sono complesse e non si può mai fare un'identificazione di questo tipo. Quindi, la stessa vicenda Cutolo-Cirillo alla luce di tutto questo, alla luce di una valutazione politica di quello che è successo implica ben altri livelli. Se a questo aggiungiamo che vi è un ingegnere, del quale ora mi sfugge il nome, il quale dichiara di aver portato direttamente nelle mani del senatore Gava una quota dei soldi raccolti per il riscatto dopo la liberazione di Cirillo, dire che il senatore Gava è del tutto estraneo alla vicenda francamente mi sembra difficile. Questo non vuol dire che vi siano responsabilità penali, non è questo. Il problema è se egli sia estraneo o no. Mi pare che sia difficile sostenerlo sulla base dei dati di cui disponiamo. Posso assicurarvi che si studierà con ancora maggiore attenzione, perché documento serio è quello che rispetta i fatti non quello che sostiene tesi; però mi pare che siano questi i dati. Un altro dato che è stato posto all'attenzione dei colleghi è la questione di Sant'Antonio Abate. Hanno ragione i colleghi che sono intervenuti per dire che bisogna dare una lettura più complessa dei dati relativi a questa vicenda; però, ad esempio, uno dei punti che il senatore Gava ha sostenuto oralmente davanti a questa Commissione, anche spendendosi in sostegno a quell'Antonino D'Auria che è stato poi arrestato per associazione per delinquere mafiosa, con una serie di dati gravi, è che questo D'Auria non poteva essere intervenuto nelle vicende di Sant'Antonio Abate perché quando egli lo prese come suo assistente nel 1972 gli impose di non fare più politica. Ebbene, ci siamo fatti inviare dal segretario comunale di Sant'Antonio Abate il quadro della situazione e da questo emerge che D'Auria è stato assessore fino al 1979; non è vero che se ne è andato nel 1972, è rimasto assessore per altri sette anni. Quindi, la spiegazione che nella relazione viene data dell'interesse di questo soggetto è pienamente riscontrata dai dati oggettivi. Ci sono altri episodi di questo genere. Peraltro, sia la relazione sia gli interventi dei colleghi consentono di correggere alcuni errori presenti nella relazione stessa. Uno è, ad esempio, quello di ritenere che la Cassazione abbia riconosciuto per la prima volta l'infermità psichica di Cutolo: giustamente, tanto l'onorevole Sorice quanto la relazione stessa precisano quanto lì va corretto. Come va corretta la storia dell'incontro da Francesco Alfieri: questo incontro non c'è stato e, tra l'altro, non c'è stato perché un esponente democristiano era deceduto e l'interessato decise di non andarci, ma gli altri ci sarebbero andati. Già qui il senatore Gava ha fatto riferimento esplicito ad un tale Luigi Riccio; Luigi Riccio è quello che al telefono chiama Francesco Alfieri "padrone mio", per cui è certamente esponente di spicco ed è presidente, se non sbaglio, della USL di quel paese. Allora, a mio giudizio, pur dovendo integrare la relazione con tutti i dati di Pag. 3310 complessità che sono emersi dal discorso che è stato fatto sulla questione meridionale e anche da alcuni interventi fatti questa sera, si deve tenere l'atteggiamento che abbiamo tenuto nella relazione su mafia e politica. In sostanza il punto è questo - e qui mi richiamo al riferimento alla moglie di Cesare, cioè alla necessità di una credibilità totale -: nel momento in cui il tuo segretario personale è una persona di quel tipo, nel momento in cui alcuni tuoi referenti (perché è giusto evitare generalizzazioni) sono di questa qualità ed hanno questo tipo di rapporti, una domanda non si può non fare. La questione di De Sena. Certamente De Sena è una persona che viene "paracadutata" a Nola a fare il sindaco. Però, sia il senatore Gava nella sua memoria sia De Sena nei documenti che allega affermano che questi è un uomo che viene scelto per fare il sindaco di Nola per la sua spiccata capacità anche di contrasto all'azione criminale. Uno che per la sua spiccata capacità di contrasto al crimine è scelto come sindaco di Nola non sa chi sia Alfieri? Non si chiede a casa di chi lo portino? Tenete presente che questa non è posta come contestazione a De Sena, anche se, comunque, egli è un soggetto che, obiettivamente, si trova ad essere presentato dal senatore Gava e ad andare a casa di Alfieri, il quale poi beneficia, sia pure in via indiretta, per una serie di subappalti. Il problema non è se De Sena sia o non sia camorrista; io non so se Riccio o l'altro sia camorrista; non è questa la questione. Il fatto è che vi sono dei soggetti che hanno un doppio versante: un versante, per così dire, di dialogo corrente, costante, integrato con uomini della camorra da un lato, mentre dall'altro costituiscono elemento di riferimento di un importante uomo politico nazionale. Quando fu discusso il documento che riguardava, in un piccolo brano, il senatore Andreotti anche lì ponemmo con misura una questione; dicemmo che Lima i rapporti li aveva e per i rapporti che a sua volta il senatore Andreotti aveva con l'onorevole Lima avrebbe deciso il Parlamento. Mi pare che sia difficile sfuggire ad un'impostazione del genere, anche perché quella pluralità disordinata nella camorra alla quale ha fatto riferimento il senatore D'Amelio è proprio rispecchiata dall'esistenza di più soggetti di caratura diversa. Abbiamo una struttura unitaria, centrale per cosa nostra; in una struttura frammentata, disordinata, anche se nella sua violenza la qualità certamente è molto diversa ma c'è comunque questo dato. Ed io credo che pur inserendolo, come è giusto, in un contesto molto più problematico e ricco di quanto non sia l'attuale passaggio - che riconosco essere un po' brutale - esso assuma una sua specificità. Ugualmente è giusto, sempre in questo quadro, assumere un atteggiamento critico - mi pare l'abbia detto il senatore Butini nel suo lucidissimo intervento di questa sera - poiché vi è il problema di una consociazione di base al fondo della legge sul terremoto. Ricordo che tale consociazione era talmente stretta che, quando i colleghi socialisti chiesero che vi fosse un terzo commissario - visto che ve ne erano due, potevano essere anche tre e il presidente della provincia era socialista -, fu risposto loro di no perché la consociazione era a due e non a tre; non so se ricordiate questo episodio. Questa è la riprova dell'esistenza di questo meccanismo di carattere consociativo parlamentare che produsse una legge che, come è detto nella relazione, costituiva essa stessa una delle radici di quanto è venuto dopo, come riconosciuto dalla stessa relazione della Commissione sugli interventi per la ricostruzione delle zone colpite dal terremoto. Questo mi pare sia il quadro nel quale si collocano le questioni. Certamente non possiamo dire che Gava sia l'unico responsabile; se appare questa cosa la correggiamo immediatamente. Noi, sulla base dei dati in nostro possesso, possiamo riscontrare una specificità di questa posizione, ma certamente non è l'unica e va inserita in un quadro di complessità. Il dato della debolezza istituzionale si sposa alla corruzione, alla Pag. 3311 camorra, essendo però queste sempre cose distinte. L'impressione è che nella Campania si sia creato un ambiente di non regole e di non diritti, entro il quale ciascuno prevale con la sua forza. Il problema della regola, del senso civico non è stato affrontato; allora abbiamo la magistratura che si comporta in quel modo, i sindaci che si comportano in quel modo, la polizia che si comporta in quel modo e tutto va bene. Se solo un maresciallo dei carabinieri avesse fatto caso all'urbanistica delle zone che frequentava, probabilmente alcune cose non sarebbero accadute. Ma non le guardava il pretore, non le guardava il sindaco, non le guardava il prefetto, non le guardava nessuno, quindi è giusto porre l'accento su questo sistema di sinergie negative. Bisogna inoltre fare una netta distinzione: il problema non è con chi ha rapporti una certa persona, bensì se le persone che egli frequenta sono di sua fiducia, in modo che sia riconoscibile il suo segretario o l'uomo al quale far riferimento. Anche la vicenda del sindaco Sangiovanni è emblematica. Nessuno smentisce che Galasso interviene, si smentisce che egli abbia fatto pressioni camorristiche e violente, ma questo non lo dice nessuno. La cosa grave però è che non si comprende che uno come Galasso deve restare in carcere, deve essere emarginato, non può essere utilizzato come soggetto che svolge un'opera di convincimento nei confronti di una persona che deve fare il sindaco. In qualche modo non aver colto questo aspetto, anche in un documento che è stato presentato, è un dato un po' preoccupante. Galasso dice esplicitamente che conosceva questa persona alla quale disse che vi era questo interesse dell'onorevole Patriarca, se non ricordo male, e del senatore Gava. Questa cosa Sangiovanni la fece, ma anche se non si tratta di un'imposizione con la forza di un soggetto camorristico, dal punto di vista dell'etica della responsabilità, così come è stata posta dal senatore Gava, il fatto non è meno grave. Che una forza politica, che un soggetto politico, che un uomo che ha responsabilità politiche (parlo di chi operava sul territorio) si rivolga a nome dell'altro ad un camorrista dicendo: tu che lo conosci, digli questo, come se fosse un soggetto uguale agli altri, questo certamente non va bene. Il dato di non emarginazione dalla vita politica e amministrativa di questi uomini nasce dall'indifferenza e ciò ha prodotto la devastazione che tutti conosciamo. Chiederei ai colleghi se sono d'accordo che la discussione e le dichiarazioni di voto siano allegate al testo, in quanto offrono un quadro di riferimento molto chiaro delle singole posizioni. I colleghi avranno certamente colto che vi è un livello di analisi e di approfondimento di notevole spessore e quindi è bene che vi sia anche questo dato e questo contributo. Ovviamente si terrà ampio conto di alcune parti contenute nella relazione del senatore Gava. Credo tuttavia che questo possa essere l'indirizzo definitivo da dare. SALVATORE FRASCA. Conosco molto bene la situazione calabrese. Il collega D'Amelio ha detto delle cose molto interessanti, però non mi sento di condividere il giudizio espresso sul senatore Argiroffi per un fatto di coscienza. Vedo il senatore Argiroffi da anni impegnato sul fronte della lotta alla mafia. Ovviamente è probabile che un parente di Macrì possa aver votato per il senatore Argiroffi, d'altra parte il vecchio Macrì era come Priamo il quale si diceva avesse cinquanta figli. PRESIDENTE. Non credo che il senatore D'Amelio volesse dire questo. SALVATORE FRASCA. Alla relazione sulla Sicilia e a quella sulla Calabria sono state allegate le dichiarazioni di voto... PRESIDENTE. Per la Calabria senz'altro. SALVATORE FRASCA. Allora lo si faccia anche per la Sicilia in quanto è giusto che noi teniamo un comportamento Pag. 3312 univoco; è bene pertanto che le dichiarazioni di voto siano allegate a tutte le relazioni. Per quanto riguarda il suo intervento, presidente, vorrei dire che così come abbiamo trovato un equilibrio tra la prima e la seconda relazione sulla Sicilia, dobbiamo trovare un equilibrio analogo anche sulla relazione sulla camorra. In pratica dobbiamo compiere uno sforzo per rimanere sul piano politico e parlamentare, evitando di influenzare gli esiti processuali, altrimenti andremmo al di là del nostro compito. Quindi più che insistere sulle persone, insisterei sul sistema di potere, sistema marcio, corrotto, che è giusto debellare. SAVERIO D'AMELIO. Mi spiace che il collega Frasca, molto attento ad ogni intervento, abbia inteso in maniera negativa il giudizio da me espresso sul senatore Argiroffi. Ho detto che conosco bene il senatore Argiroffi e che apprezzo la sua preparazione culturale: egli, oltre ad essere un valente medico, è un uomo di lettere e come tale l'ho apprezzato in quanto mi ha fatto omaggio di una sua poesia. Quindi nessun giudizio se non positivo nei suoi confronti. Ho citato il suo nome per ribadire come le situazioni locali possano condizionare anche il migliore uomo, per questo ho detto che nella sua stessa lista vi era un nipote di Macrì cacciato dalla democrazia cristiana. Questo non è certamente un giudizio che investe la persona. PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, la prossima seduta è fissata per venerdì alle ore 14, mentre nella mattinata dello stesso giorno vi faremo pervenire copia della relazione. Ricordo che nel pomeriggio si svolgeranno le dichiarazioni di voto finali. La seduta termina alle 16,55.