PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Discussione della relazione del gruppo di lavoro sulla destinazione dei beni confiscati: Violante Luciano, Presidente .................... 3447, 3450 3451, 3452, 3453 Bargone Antonio, Relatore ....................... 3447, 3448 3450, 3451, 3452, 3453 Buttitta Antonino ............................... 3450, 3452 Cabras Paolo .............................. 3448, 3451, 3452 Audizione del ministro per gli affari sociali e di alcuni procuratori della Repubblica sull'immigrazione clandestina: Violante Luciano, Presidente........................... 3453 3454, 3455, 3456, 3458, 3459, 3460, 3461 3462, 3463, 3464, 3465, 3466, 3467, 3468 3469, 3471, 3472, 3473, 3474, 3475, 3477 3484, 3486, 3487, 3488, 3491, 3492 Beconi Andrea, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Genova 3475 3476, 3477, 3478 Cabras Paolo .......................................... 3464 Chiappani Antonio Angelo, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Brescia ....... 3472, 3473 3474 3475, 3486, 3488 Conte Mario, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bergamo ............................... 3463 3464, 3490 Contri Fernanda, Ministro per gli affari sociali 3453, 3456, 3475, 3477 3485, 3488, 3490, 3492 Costa Elio, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Crotone............. 3476, 3487, 3488 De Martino Diana, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ..................... 3482, 3484 Ferrara Salute Giovanni ............................... 3467 Giordano Pietro, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ........................... 3474 3479 Giovagnoli Paolo, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bologna ............ 3465, 3469, 3471 3472, 3490 Labozzetta Domenico, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Pordenone 3462 3463 Majorano Nicola, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ........................... 3484 3485, 3486 Marziani Vilfredo, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze ............ 3464, 3465, 3466 3467, 3468, 3469 Massini Elisabetta, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria .......... 3460, 3461 3462 Nuovo Antonella, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Cremona ............ 3458, 3459, 3460 Rapisarda Santi ....................................... 3466 Scagliarini Licia, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano 3454 3455, 3456, 3457, 3458, 3489 Pag. 3446 Pag. 3447 La seduta comincia alle 9,40. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Discussione della relazione del gruppo di lavoro sulla destinazione dei beni confiscati. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della relazione del gruppo di lavoro sulla destinazione dei beni confiscati. Do la parola al relatore, onorevole Bargone. ANTONIO BARGONE, Relatore. Vorrei formulare preliminarmente una richiesta. Un quotidiano riporta oggi una notizia, che mi lascia particolarmente perplesso, circa la cattura di Riina: si dice che la procura distrettuale di Palermo, nell'azione che stava conducendo per arrivare alla cattura di Riina, aveva individuato un covo in via Bernini e in questo senso aveva dato incarico al ROS di controllare chi frequentasse quel covo. Successivamente si dice che dopo 18 giorni il covo, aperto ai magistrati, era vuoto, e la vera sorpresa fu che in quei 18 giorni nessun servizio di sorveglianza e di osservazione era stato predisposto nella zona. Se questa notizia fosse vera, sarebbe particolarmente allarmante; pertanto ritengo necessario, a questo punto, quantomeno acquisire delle informazioni presso la procura distrettuale di Palermo in maniera tale da valutare poi quali iniziative assumere per fare luce su questo episodio. PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito che chiederemo queste informazioni. (Così rimane stabilito). ANTONIO BARGONE, Relatore. Farò un'esposizione sintetica, rimandando alla relazione scritta, che si è fatta carico di verificare lo stato di applicazione della legge n. 575 del 1965, relativa al sequestro ed alla confisca dei beni mafiosi, e della legge n. 356 del 1992, che ha innovato in questa materia con l'articolo 12-quinquies. La Commissione ha ritenuto che fosse particolarmente importante una valutazione dello stato di applicazione di tali normative e di eventuali modifiche legislative proprio perché, come è stato detto durante il convegno sui rapporti tra economia e criminalità, esiste la necessità di spostare in avanti anche l'azione di contrasto nei confronti del fenomeno mafioso e di individuare una nuova frontiera, quella appunto dell'aggressione alle ricchezze criminali. Tali strumenti sono particolarmente incisivi in questo tipo di azione di contrasto. Nell'esaminare le notizie che ci sono state fornite e che abbiamo acquisito nel corso dei nostri lavori ed anche alla luce delle audizioni che abbiamo svolto, del capo della polizia e di alcuni rappresentanti istituzionali, sindacali, degli intendenti di finanza e così via, un primo dato che emerge è l'esistenza di uno scarto eccessivo tra sequestri e confische. Si tratta di un limite preoccupante, che deve suggerirci di porre una particolare attenzione rispetto a questo tipo di attività; probabilmente occorre verificare se si tratti di una valutazione diversa, effettuata sulla base di un'applicazione della legge oppure se, al momento della Pag. 3448 confisca, venga meno il tipo di valutazione fatta nel momento in cui è stato attivato il sequestro del bene. Un altro elemento che balza subito agli occhi è il fatto che vi è un'attività più intensa nel sud del nostro paese. E rilevo qui soprattutto una resistenza di tipo culturale tra forze dell'ordine e magistratura, perché è assolutamente impensabile che nel sud vi siano le maggiori ricchezze mafiose; probabilmente nel sud vi sono un radicamento ed un'estensione maggiori del fenomeno mafioso, soprattutto dal punto di vista militare. Credo invece, per tutte le ragioni che abbiamo esposto qui anche nel corso della discussione... PAOLO CABRAS. Nel sud sono più visibili. Non le hanno viste finora, anche se erano visibili! Non le hanno volute vedere, ma comunque visibili lo erano! ANTONIO BARGONE, Relatore. In ogni caso, proprio per l'analisi che abbiamo condotto sia durante il nostro convegno sia nel corso della discussione effettuata a seguito della relazione del senatore Smuraglia, diciamo che l'attività di riciclaggio e l'inserimento nel circuito economico-finanziario delle ricchezze di provenienza illecita avvengono soprattutto nel nord. Quindi, occorre correggere il tiro rispetto a questo fenomeno, nell'ottica più generale di non rendere subalterna l'azione contro l'economia criminale rispetto a quella contro le strutture militari dell'organizzazione. I limiti che abbiamo individuato sono i tempi eccessivamente lunghi tra il sequestro e la confisca. Abbiamo un esempio, riportato anche nella relazione: abbiamo ascoltato i custodi di un'azienda sequestrata nel napoletano, la Bitum-beton di Agizza e Romano; è intervenuto un provvedimento di sequestro nel 1988 e poi uno di confisca nel 1992, che peraltro non è ancora definitivo perché è stato impugnato. A questi tempi si devono aggiungere quelli necessari per le indagini e naturalmente la situazione economica reale muta significativamente dall'inizio delle indagini fino alla confisca. Inoltre, come ho detto, il divario esistente tra sequestri e confische, che potrebbe attenuarsi con l'applicazione dell'articolo 12-quinquies della legge n. 356 del 1992, è al vaglio della Corte costituzionale nella parte relativa all'inversione dell'onere della prova. Per queste ragioni noi proponiamo che si possa trasformare questa da norma penale in misura di prevenzione, legando quindi le misure non alla commissione di un reato ma al semplice indizio; in tal modo si supererebbe anche l'obiezione che ha portato questa norma al vaglio della Corte costituzionale. E' bastato studiare la legislazione in materia per capire che è farraginosa e confusa e che quindi è necessario predisporre un testo unico. Vi sono sovrapposizione e confusione di indagini tra le diverse procure ed esistono problemi di competenza; probabilmente si potrebbe superare questo limite attribuendo la competenza per le misure di prevenzione alla direzione distrettuale antimafia. Vi è poi un problema di gestione del bene confiscato, che prima era attribuita alle intendenze di finanza e che, dopo la riforma del Ministero delle finanze, è stata attribuita alle direzioni regionali di tale Ministero, che però non dispongono di organici, di mezzi e di strumenti sufficienti. Sostanzialmente non esiste un organismo all'interno dell'articolazione del dicastero delle finanze in grado di gestire i beni confiscati in maniera efficace. Vi è poi una legislazione societaria inadeguata, e quindi si agisce male sul piano preventivo. E' chiaro che i problemi sono diversi a seconda della natura del bene sequestrato e confiscato; infatti, come vedremo tra un momento, i problemi maggiori si presentano per i beni immobili produttivi, cioè per quelli che necessitano di una gestione economica e che pongono anche problemi di personale, di inserimento sul mercato, di accesso al credito e quant'altro. Inoltre, proprio durante il lavoro svolto dalla sottocommissione ci siamo resi conto della mancanza di un centro unificato, cioè di una banca-dati che Pag. 3449 possa rappresentare anche uno strumento di monitoraggio sul tipo, sull'entità e sulle caratteristiche dei beni sequestrati e confiscati. Credo che ciò sia particolarmente necessario. Per quanto riguarda i beni mobili, non abbiamo rilevato grossi problemi: dal punto di vista della gestione, come ho detto, esiste una questione di tempi per ciò che concerne le procedure, mentre i problemi più rilevanti sono nel caso di beni produttivi, intanto perché l'eccessiva durata temporale del sequestro in questi casi diventa particolarmente dannosa in quanto amplifica i problemi di gestione dell'azienda e anzi, mano a mano che il tempo passa, tende a vanificare gli effetti del provvedimento. Tra l'altro, i custodi giudiziari vengono nominati tra i professionisti, mentre l'amministrazione dell'azienda è affidata qualche volta addirittura ad un dipendente della stessa: ciò fa cadere verticalmente la capacità di tale azienda di stare sul mercato, cui si aggiunge naturalmente un ostruzionismo strisciante, qualche volta visibile e qualche volta meno visibile, del vecchio titolare dell'impresa mafiosa, che spesso sta sul mercato proprio per la sua capacità di intimidazione e per i suoi collegamenti di tipo illecito e che, naturalmente, deve trovare tutta una serie di collegamenti diversi nel mercato. Ciò non può accadere con custodi che siano soltanto dei professionisti, perché questo garantisce esclusivamente sul piano formale; pertanto vi è la necessità - e lo proponiamo - di applicare in questi casi la cosiddetta legge Prodi, prevedendo un amministratore straordinario individuato tra manager ed imprenditori, tra persone che in qualche modo possano avviare un processo di risanamento dell'azienda, così che nel momento in cui questi beni vengono destinati e rimessi sul mercato siano appetibili sul piano economico e finanziario. Occorre sottolineare - l'ha affermato anche il capo della polizia Parisi - che le pubbliche amministrazioni non danno una mano a questo fine, agendo addirittura in senso contrario; nel momento in cui un'azienda è sottoposta a sequestro, essa perde addirittura la possibilità di lavorare con la pubblica amministrazione, che si rivolge ad altri soggetti presenti sul mercato. Quindi, ci sono questioni che riguardano la capacità di gestione e i tempi, che devono essere ridotti a non più di un biennio, nonché quella di gestire i dipendenti in maniera più adeguata, creando i presupposti perché, al momento della destinazione successiva alla confisca, si abbia a che fare con soggetti disponibili. Quella del personale è una delle questioni più spinose che ci siamo trovati ad affrontare; si tratta di un problema che è stato valutato anche in altre sedi (ricordo per esempio un convegno del CNEL su questa materia). La proposta più ragionevole, anche per spezzare un rapporto che può essere di collusione tra il dipendente ed il vecchio proprietario mafioso, che fino a quel momento aveva garantito il posto di lavoro (che invece si perde quando interviene un provvedimento di carattere giudiziario), è quella di prevedere l'estensione della disciplina dell'articolo 3 della legge n. 223, cioè la cassa integrazione temporanea funzionale soltanto alla ripresa dell'azienda, altrimenti essa si tradurrebbe in una forma di assistenzialismo a fondo perduto. Bisogna inoltre prevedere, insieme a questa modifica legislativa, anche la possibilità di corrispondere il trattamento di fine lavoro, che, nel caso di provvedimento giudiziario di tale natura, non sarebbe corrisposto perché previsto a carico del fondo dell'INPS soltanto nel caso in cui l'azienda venga sottoposta ad un procedimento concorsuale; nel caso del sequestro e della confisca non ci troviamo formalmente in questa situazione. Come ho già detto, abbiamo indicato nella relazione come emblematico il caso di questa azienda, quindi non mi ci soffermo oltre. Un'altra questione è rappresentata dal fatto che il provvedimento di sequestro, per il modo in cui la legislazione disciplina la materia, può essere travolto da una sentenza di fallimento. In sostanza, avremmo una situazione Pag. 3450 abbastanza paradossale in virtù della quale si avrebbe un provvedimento giudiziario che spossessa il mafioso del bene per darlo in gestione allo Stato mentre poi, non essendovi alcuna norma che disciplini le questioni relative ai creditori, potrebbero essere presentate istanze di fallimento con conseguenti sentenze di fallimento, che vanificherebbero completamente il provvedimento di sequestro. Esiste al riguardo una giurisprudenza, che mi sono incaricato di studiare, non molto chiara; occorre pertanto un provvedimento legislativo che ponga fine all'attuale situazione. Sulla base di queste osservazioni - per esempio dall'esperienza dell'azienda di Agizza e Romano, che hanno lamentato la perdita di quote di mercato, l'affanno finanziario, l'allarme sociale provocato dal sequestro - abbiamo formulato alcune proposte puntuali: il sequestro non può superare la durata di un biennio; tutte le procedure vanno uniformate sotto un'unica disciplina; il sequestro deve essere affidato ad un amministratore; divieto di ogni azione esecutiva, compreso il fallimento, nel caso in cui ci sia un provvedimento di sequestro; procedimento speciale per il caso di esigenze di riduzione del personale; possibilità di cassa integrazione per il periodo di sequestro; pubblicazione in tutte le regioni dell'elenco delle imprese sequestrate e confiscate; pubblicità per tutte le partecipazioni societarie di capitali e di persone, con istituzione di un registro pubblico consultabile. Occorre, come ho detto prima, modificare la legislazione societaria, perché una delle questioni più importanti che sono state sottolineate è rappresentata dal fatto che il sequestro avviene su quote della società, per cui spesso accade che il maggiore azionista della società rimane il mafioso, che può per esempio aumentare il capitale sociale, vanificando il ruolo dello Stato all'interno della società stessa; è chiaro quindi che bisogna intervenire in materia societaria. E' stata inoltre avanzata la proposta, che ritengo giusta, di assegnare una quota dei beni confiscati al corpo che ha attivato il sequestro, proprio per provocare anche una più razionale dislocazione delle forze sul territorio nell'azione per attivare i sequestri e per una maggiore possibilità di acquisizione delle risorse. ANTONINO BUTTITTA. Assegnare a chi? ANTONIO BARGONE, Relatore. A polizia, carabinieri e guardia di finanza. ANTONINO BUTTITTA. Assegnare in che senso? ANTONIO BARGONE, Relatore. Assegnare una quota del bene confiscato a questi corpi; poiché dopo il procedimento di confisca vi è l'assegnazione del bene, una quota di tale bene può essere assegnata, secondo la proposta, ad uno dei corpi che hanno attivato il sequestro. PRESIDENTE. Se mi permette, onorevole Bargone, oggi la direzione per la lotta agli stupefacenti ha già per legge, non ricordo in virtù di quale disposizione, una quota dei beni sequestrati e confiscati ai trafficanti di stupefacenti, al fine di utilizzare questi mezzi - si tratta di automobili e motoscafi veloci - proprio per la lotta contro questo fenomeno. Se non ho capito male, la proposta dell'onorevole Bargone è che una quota dei beni sequestrati vada alle forze di polizia che hanno operato il sequestro, anche al fine di utilizzare la pluralità delle forze. Visto che abbiamo la concorrenzialità, almeno che sia utilizzata spronando ad agire. ANTONIO BARGONE, Relatore. A tale proposito, è stato lamentato un lasso di tempo troppo lungo tra il momento in cui viene decisa la destinazione del bene e quello in cui si attuano le procedure che ratificano questo provvedimento da parte del Ministero delle finanze; vi è pertanto la possibilità del deperimento del bene, la difficoltà da parte dell'organismo a gestire il bene stesso per troppo tempo. Pag. 3451 Alla confisca dovrebbe conseguire l'immediato rilascio del bene da parte degli occupanti, in maniera tale da consentire all'amministrazione finanziaria di averlo subito libero e sgombro da persone e da cose. E' questo il quadro complessivo che ci siamo trovati davanti e le proposte che vogliamo avanzare. Un'ultima osservazione, di ordine più generale: dai dati emerge un'insufficiente azione su questo settore che deriva secondo me anche da una resistenza di tipo culturale; abbiamo sentito dire qualche volta che gli uffici giudiziari non vogliono utilizzare questo strumento perché ritenuto in qualche modo incostituzionale, perché occorre la prova, perché non si può spossessare un soggetto di un bene quando non si è certi che appartenga ad un'organizzazione mafiosa. Vi è una sottovalutazione negli uffici giudiziari del nord rispetto alla presenza dell'economia criminale in quelle realtà e vi è anche una carenza, a mio giudizio, di strumenti - ho indicato la mancanza di una banca-dati, della possibilità di un monitoraggio - adeguati e tecnologicamente avanzati anche nell'azione investigativa in questo settore. Occorre sicuramente un adeguamento della normativa in questo campo, ma occorre anche che si lavori in un contesto più adeguato sul piano culturale e dell'organizzazione e del potenziamento di strutture e mezzi. PAOLO CABRAS. Mi associo al ringraziamento nei confronti dell'onorevole Bargone per la relazione e per il lavoro svolto; poiché la relazione è complessa dal punto di vista tecnico e contiene proposte meritevoli di approfondimento, sarei favorevole ad un rinvio dell'approvazione definitiva del documento ad un'altra seduta. Dato che parliamo di sequestri e di confische, questa mattina, come tutti voi, ho appreso dai quotidiani la notizia del dissequestro di parte del patrimonio di Galasso; mi rendo conto che Galasso è da tempo un attivo collaboratore di giustizia, però questa fretta - poiché versiamo in una materia in cui la fretta non è mai stata una stella polare - nel dissequestrare, non credo sia molto commendevole. Tra l'altro, ciò porterà sicuramente acqua al mulino di coloro che contestano l'utilizzo dei collaboratori di giustizia sostenendo che si fanno sconti intollerabili ed inammissibili a persone che notoriamente hanno commesso reati gravi, addirittura incentivandoli con la restituzione di un patrimonio che, nel caso di specie, non sarà tutto frutto dell'asse ereditario della famiglia Galasso ma anche delle sue attività criminose. Quindi, mi sembra particolarmente inopportuno dal punto di vista generale il provvedimento che è stato adottato, anche se, così dicendo, non intendo certo assumere atteggiamenti censori o trarre da esso considerazioni di carattere più generale. A questo proposito, pregherei la presidenza di richiedere al tribunale che ha provveduto al dissequestro di alcuni dei beni di Galasso di inviare alla Commissione copia del provvedimento, in modo da poter riflettere sulle motivazioni addotte da quei magistrati. PRESIDENTE. E' senz'altro opportuno che tale documentazione venga acquisita, anche perché alla lunga rischia di aprirsi un circuito in qualche modo virtuoso per l'autore dei reati: questi commette numerosi reati, acquista grandi ricchezze, poi si pente e riesce a mantenere il ricavato di quei reati; pentirsi diventa, insomma, un'impresa lucrosa. Acquisiamo, quindi, questi dati; l'onorevole Bargone valuterà se inserire una riflessione in proposito nella relazione. ANTONIO BARGONE, Relatore. In proposito vi è anche la necessità di una modifica legislativa perché provvedimenti di questo genere vengono assunti quando viene meno la pericolosità sociale del soggetto, cosa che deriva appunto dal fatto che questi collabora con la giustizia. Peraltro, è un problema che ci siamo trovati di fronte anche per altri collaboratori. PRESIDENTE. Forse la cosa migliore sarebbe quella di inserire una previsione Pag. 3452 normativa in proposito nell'ambito delle norme sui collaboratori perché effettivamente, se il presupposto è il venir meno della pericolosità sociale, nel momento in cui il soggetto collabora non è più socialmente pericoloso. PAOLO CABRAS. Tuttavia, quella di Galasso è una collaborazione in corso d'opera, nel senso che va ancora verificata e riscontrata a livello processuale. ANTONIO BARGONE, Relatore. Lo dicevo perché corriamo il rischio di sentirci rispondere dai magistrati che hanno assunto il provvedimento di dissequestro che questo è possibile in quanto la legge lo prevede nel momento in cui viene meno la pericolosità sociale. PRESIDENTE. Se non ricordo male, onorevole Bargone, nella sua relazione si accenna alla questione della progressiva separazione delle misure di prevenzione patrimoniali rispetto a quelle personali. In realtà, la strada è questa, perché la ragione di un provvedimento di sequestro o di confisca non è tanto la pericolosità dei beni ma è fondata su altri presupposti. Evidentemente si è verificato un traslato tra pericolosità delle persone e pericolosità dei beni, per cui di una categoria soggettiva - la pericolosità - si è fatto qualcosa che attiene ai beni, e questo non è giusto. Vorrei ora accennare al fatto che la Presidenza del Consiglio ha assunto l'iniziativa di elaborare un testo unico, di cui disponiamo, che non ha valore di legge ma che in qualche modo mette in ordine le varie disposizioni secondo criteri orientativi. Trattandosi di un'iniziativa positiva, se tale sarà considerata dai ministeri competenti, nella prossima legislatura la si potrà codificare. Credo, quindi, che sarebbe utile, se il relatore lo ritiene, far cenno a tale positiva iniziativa del Governo. Nell'ambito della parte propositiva della relazione o anche altrove, onorevole Bargone, si potrebbe forse dare spazio ad una riflessione: tutta la questione richiede una riflessione complessiva sul versante finanziario, in quanto siamo molto deboli ed arretrati dal punto di vista sia normativo sia delle prassi sul versante finanziario, mentre su quello militare o comunque operativo e criminale delle organizzazioni mafiose gli apparati dello Stato hanno raggiunto una certa raffinatezza anche di investigazione e di indagine. Si pone, quindi, un problema che riguarda complessivamente il versante finanziario. ANTONINO BUTTITTA. E' un tema sul quale ho sempre insistito. PRESIDENTE. Con ragione, in quanto si tratta di un tema da approfondire. Rispetto all'azione di contrasto del livello criminale, a livello finanziario siamo circa dieci anni indietro. Riguardo al punto 14) a pagina 38 (obbligo di trasferimento delle partecipazioni sociali per scritture private autenticate o per atto pubblico da sottoporre a registrazione), vorrei sapere se la recente legge Mancino non contenga una previsione del genere. ANTONIO BARGONE, Relatore. Non mi pare. PRESIDENTE. Sarò senz'altro in errore, ma sarebbe bene controllare. ANTONIO BARGONE, Relatore. Condurrò senz'altro una verifica. Comunque, tale legge prevede qualcosa del genere, però c'è un limite che è stato rilevato anche in un documento predisposto da alcuni notai per cui, poiché il mancato rispetto della legge non è sanzionato con la nullità dell'atto, si continua a fare esattamente come prima. Quindi, ritengo necessario un riferimento più specifico, nel senso di far presente che quella norma deve prevedere una sanzione che scongiuri la possibilità di operazioni di questo tipo. PRESIDENTE. Vorrei inoltre informare la Commissione che ieri la procura Pag. 3453 nazionale antimafia ha varato una strategia - termine forse troppo impegnativo - comunque un indirizzo in ordine al versante finanziario, nel senso che, così come la Commissione aveva più volte proposto, la procura ha finalmente individuato questo come un filone prioritario di lavoro; credo che vi siano state riunioni con procuratori distrettuali antimafia per coordinare le azioni sul versante finanziario. Credo che sia il caso di acquisire informazioni in proposito dalla procura nazionale antimafia al fine di integrare la relazione anche su questo punto. Se non vi sono obiezioni, così rimane stabilito. (Così rimane stabilito). Quanto alla relazione dell'onorevole Bargone, potremmo provvedere all'invio della stessa a tutti i colleghi che oggi non sono presenti, secondo l'impegno di massima assunto ieri, eventualmente procedendo da parte del relatore ad apportare subito le modifiche emerse nella seduta odierna. Successivamente, valuteremo in quale prossima seduta proseguire la discussione ed effettuare la votazione. ANTONIO BARGONE, Relatore. Nel frattempo modificherò la relazione anche sulla base delle indicazioni oggi emerse. PRESIDENTE. La proposta di relazione dell'onorevole Bargone sarà allegata al resoconto sommario della seduta odierna. Audizione del ministro per gli affari sociali e di alcuni procuratori della Repubblica sull'immigrazione clandestina. PRESIDENTE. Nel ringraziare il ministro Contri ed i procuratori intervenuti, ricordo che la richiesta di questa audizione nasce dall'esigenza, segnalata dal ministro, di accertare se l'immigrazione clandestina in Italia sia per alcuni aspetti controllata, manipolata o gestita da organizzazioni che abbiano caratteristiche affini a quelle mafiose. Si tratta naturalmente di un colloquio sperimentale, nel senso che siamo andati a cercare nell'ambito di vari uffici giudiziari, sulla base di una prima indicazione che cortesemente ci ha messo a disposizione il ministro Contri, nonché sulla base di un accertamento che gli uffici hanno condotto presso procure distrettuali ed alcune procure della Repubblica delle città più importanti. Abbiamo tracciato un certo quadro, che naturalmente non è esaustivo, ma che credo consenta in primo luogo al ministro nelle sue responsabilità e, se emergeranno elementi di interesse e di rilievo per la Commissione, anche a quest'ultima di condurre un determinato lavoro. Do quindi la parola al ministro per un'illustrazione di carattere generale. FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali. Vorrei innanzi tutto rivolgere un ringraziamento al presidente della Commissione antimafia e poi a tutti i suoi componenti. Come qualcuno di voi sa, perché durante l'estate abbiamo avuto contatti telefonici, nell'ambito dello svolgimento della delega di coordinamento sui problemi dell'immigrazione che il Presidente Ciampi il 13 maggio scorso mi ha affidato, avevo iniziato ad esaminare un settore che, a mio avviso, è alquanto trascurato, tanto che - premessa che riguarda poco voi, ma che mi sento di fare per fornire una spiegazione più precisa - se non fossimo a fine legislatura, come ho anticipato al presidente Violante, avrei chiesto la costituzione di una Commissione parlamentare sul fenomeno, in quanto ritengo che esso meriti un simile livello di attenzione. Spero, comunque, che gli atti di questa seduta possano servire anche come memoria per il prossimo Parlamento. Uno dei segnali che più mi aveva colpita era rappresentato dal fatto che l'immigrazione clandestina - non tanto quella regolare - avveniva e continua ad avvenire, stando a ciò che comprendo dalla lettura dei giornali (perché di altri Pag. 3454 strumenti non dispongo), attraverso organizzazioni ben precise. Ho operato in due direzioni: dopo aver costituito una commissione, che è tuttora al lavoro e che spero per la metà o la fine di febbraio comunque produrrà una relazione che consegnerò al Presidente Ciampi e della quale verrà fatto l'uso che si riterrà più opportuno, ho attribuito ad essa due incarichi precisi. In primo luogo, quello di tracciare una carta dei diritti e dei doveri degli immigrati, facendo evidentemente riferimento agli immigrati regolari, che stanno legittimamente nel nostro territorio; in secondo luogo, quello di mettere a punto, se possibile, una procedura che, quando si dovesse arrivare al doloroso rimedio dell'espulsione, la rendesse effettiva, cosa che tutti, dal capo della polizia in avanti, mi hanno detto essere impossibile. Inoltre, ho tenuto una serie di riunioni di coordinamento (l'ultima si è svolta martedì mattina) a Palazzo Chigi dei ministeri interessati a vario titolo del problema - giustizia, lavoro, esteri, interno - ed anche con i capi delle varie forze dell'ordine: polizia, carabinieri, Guardia di finanza, marina, eccetera. Tutto ciò per valutare la possibilità di tentare un coordinamento, cosa evidentemente non facile, anche se siamo riusciti a mettere a punto una serie di cose sulle quali presenterò una relazione al Presidente del Consiglio. Ciò che mi interessava sapere - si tratta di una domanda che continua ad assillarmi ogni volta che mi occupo di questo problema - è se (ma spero di essere smentita) la condizione di irregolarità nasca già nel paese di provenienza. In proposito, ho acquisito anche personalmente una serie di notizie: sto seguendo il caso di una bambina albanese di quattordici anni e due mesi - ma non li dimostra - che insieme con altre undici ragazzine è stata sbarcata a Lecce su uno di quegli scafi blu che una volta trasportavano sigarette di contrabbando e che poi è stata affidata ad un ragazzo ventenne. Delle altre undici ragazzine si sono perse le tracce; lei veniva sfruttata in quel di Bergamo e poi in quel di Genova. Per fortuna un giorno si è buttata nelle braccia di una poliziotta a Genova e l'abbiamo tirata fuori dal giro. Vi è quindi tutta una serie di organizzazioni composte, per quel che ne so, da italiani e da cittadini stranieri che prendono il soggetto nel paese d'origine e poi lo portano in Italia, dove viene impiegato nei modi più diversi: dallo sfruttamento della prostituzione al lavoro nero, al traffico d'armi, allo spaccio di droga; tutte cose che certamente conoscete meglio di me. Pur ribadendo che i dati a mia disposizione provengono solo dalle notizie pubblicate dai giornali, rilevo che questi sbarchi avvengono soprattutto nel sud, prevalentemente nelle regioni che hanno problemi di mafia o simili. E' questo il percorso da me compiuto; anche a causa del momento che stiamo attraversando, non ho trovato altre risposte se non nel presidente Violante, al quale rinnovo il mio ringraziamento. PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Contri. Possiamo ora procedere con le esposizioni dei magistrati presenti. Ricordo che della seduta è redatto resoconto stenografico, di cui sarà loro inviata copia per apportarvi eventuali correzioni. Ricordo inoltre che stiamo procedendo in seduta pubblica ma, se ritenete che qualche aspetto debba essere considerato riservato, possiamo procedere in seduta segreta. LICIA SCAGLIARINI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano. Per la verità, non avrei voluto essere io ad iniziare per un motivo molto semplice: organizzazioni con carattere di mafiosità, per quel che risulta all'ufficio della procura di Milano, non ve ne sono state negli ultimi anni, o forse non sono state adeguatamente rintracciate. Quello su cui abbiamo indagato sono stati molteplici ingressi da svariati paesi di provenienza, e l'unico carattere organizzativo chiaramente emerso in più indagini è stato quello delle organizzazioni volte all'ingresso clandestino di cinesi. Pag. 3455 Per altre nazionalità, non sono emerse organizzazioni del tipo che si andava prospettando. Questo non significa che non vi siano state rubricazioni ex articolo 416 (queste sono avvenute quasi sempre), ma non ex articolo 416-bis del codice penale. Posso quindi parlare, dal momento che me ne occupo in prima persona da molti mesi, di molteplici organizzazioni, particolarmente di provenienza sudamericana, con vastissime ramificazioni, che però forse non rientrano in quel concetto di ramificazione sul territorio già preorganizzata che si andava identificando. Cercherò di spiegarmi meglio: mi sono occupata (alcune indagini sono già al dibattimento, altre ancora alla fase di indagini preliminari, però sono già state emesse misure cautelari, per cui una certa discovery si è già avuta) di ingressi di quantitativi numerici altissimi di persone (tra le duecento e le quattrocento all'anno), con alcuni che fungono da capi dell'organizzazione; ma lo strumento era la corruzione di forze dell'ordine, della polizia di frontiera, dell'ufficio stranieri. Quindi, quella di cui mi sono occupata ininterrottamente dal mese di marzo fino a ieri (quando ancora interrogavo in carcere poliziotti in esecuzione di una misura) è un'immigrazione, per così dire, pulita - se mi si consente il termine - nel senso che non viene attuata attraverso imbarchi in stive, né sovraccarichi di motoscafi né di containers; si tratta invece di ingressi attraverso i valichi di frontiera, apparentemente regolari, in realtà al prezzo di tre milioni ad ingresso (tre milioni per entrare alla frontiera e tre milioni per ottenere successivamente il permesso di soggiorno). E' chiaro che anche questa è organizzazione. PRESIDENTE. Può spiegare a chi vengano pagate entrambe queste cifre? LICIA SCAGLIARINI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano. Innanzitutto, faccio riferimento a più organizzazioni, e non ad una sola, con diversi referenti tra le forze dell'ordine ma con modalità assai simili. I capi delle organizzazioni sono praticamente sempre stranieri, però ben radicati sul nostro territorio, coniugati con cittadini italiani, quindi tranquillamente in regola, ed anche di discreta condizione economica. Grazie alle molteplici conoscenze rispetto al bacino di utenza originario, essi organizzano gli ingressi e la successiva regolarizzazione dei loro connazionali, in una sorta di diffusività sempre maggiore, perché man mano che si sparge la lieta novella che è possibile fare ingresso in Italia e poi ottenere il permesso di soggiorno pagando, in una sorta di colletta tra parenti e di successiva restituzione rateizzata, praticamente tutti, o quasi tutti, riescono a mettere insieme i mezzi richiesti per l'ingresso illegale. La fase necessaria è quella dell'aggancio con poliziotti degli uffici che servono, indispensabili per il fine desiderato, contatti che vengono tenuti direttamente dai capi delle organizzazioni, spesso in combutta con i parenti: sono famiglie che reggono le fila dell'immigrazione clandestina cercando di evitare ogni contatto diretto tra i singoli fruitori del servizio e le forze di polizia corrotte. Mi sono trovata di fronte a tre organizzazioni dello stesso identico tipo. A mio avviso, i problemi sono quelli di una normativa che forse lascia troppi varchi ad episodi di corruttela, nel senso che vi sono certe deviazioni della prassi che consentono ad un singolo poliziotto di far entrare - lo ripeto - quattrocento stranieri all'anno alla luce del sole e successivamente di metterli in regola. Il mio osservatorio è quindi quello di cercare ulteriori controlli, rafforzamenti ed anche mutamenti della normativa, per fare in modo che un solo poliziotto corrotto non possa più conseguire questi risultati. Vi è una molteplicità di elementi che andrebbero corretti, ma sono minimali: si tratta di certe prassi di archiviazione delle pratiche dell'ufficio stranieri, discorso che non va disgiunto dalla carenza di mezzi che lo stesso ufficio stranieri lamenta, nel senso che, dovendo ripartirsi Pag. 3456 tra compiti amministrativi e compiti di polizia giudiziaria, quando si chiede il rintraccio della pratica specifica, salvo che non si tratti di smarrimento voluto (quindi anche questo legato al fenomeno criminoso), ci si trova forse di fronte ad uno smarrimento o ad un mancato rintraccio dovuto alla carenza di mezzi e quindi all'impossibilità di ordinare compiutamente le carte. Si tratta di un fatto gravissimo, perché il controllo al terminale non fornisce certamente l'identità fisica dello straniero. Mi sono sempre scontrata con la mancata identificazione fisica; si tratta di un discorso che credo riguardi tutti noi, cioè ogni sostituto procuratore della Repubblica che fa un turno di reperibilità: se infatti gli arriva la notizia dello spacciatore, dell'accoltellato o dell'accoltellatore, non si sa mai chi siano in realtà lo spacciatore, la vittima e l'autore del reato. A volte neppure al dibattimento si riesce ad avere compiuta certezza della reale identità dello straniero. Da parte mia, non riesco a vedere che mezzi drastici, ovvero quello di una identificazione dattiloscopica al momento dell'ingresso di frontiera almeno degli stranieri provenienti dai paesi a rischio, identificazione che poi andrebbe necessariamente riscontrata all'atto del rilascio del permesso di soggiorno. Si tratta infatti dei due momenti basilari. L'ingresso alla frontiera, allo stato attuale, viene certificato (anzi, io ho rubricato il falso in atto pubblico) dal controllore di frontiera con un mero timbro di ingresso apposto sul passaporto dello straniero. Questo rimane l'unico dato certo dell'ingresso in Italia da un valico di frontiera. La legge prevede che il timbro debba essere dotato almeno del "numerino" del controllore, in modo tale da identificare il controllore che ha prodotto quell'atto pubblico. In realtà, posso dire con cognizione di causa (dal momento che nel corso di queste indagini ho visto una miriade di passaporti) che i timbri, contrariamente al disposto normativo, sono quasi sempre pressoché tagliati, nonostante le circolari interne dei dirigenti degli uffici di polizia di frontiera che ho raccolto; posso quindi testimoniare di un ripetuto richiamo all'ordine da parte dei dirigenti, ma posso anche continuare ad attestare un mancato adempimento da parte dei controllori, i quali si giustificano dicendo che quando arriva un volo con duecento persone il timbro si mette dove capita. Dico allora che l'ingresso in Italia non può essere attestato semplicemente da un timbro male inchiostrato o male apposto. PRESIDENTE. Vi è quindi sostanzialmente un problema di identificazione del soggetto che certifica l'ingresso. Questo è uno dei punti di fondo. LICIA SCAGLIARINI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano. Il problema è che lo straniero non viene identificato nominativamente, perché al momento dell'ingresso di frontiera si ha una identificazione formale soltanto dei respinti: ciò di cui resta traccia è il respingimento, che viene iscritto nel "libro novità" della frontiera. Per quanto riguarda invece le persone che sono entrate, non si sa quante siano né chi sia entrato, perché la normativa non è stata debitamente applicata. Quindi, l'unico dato che rimane allo straniero e che attesta la sua entrata e soprattutto la data di ingresso è il timbro sul suo passaporto, che viene puntualmente smarrito, quando serve; pertanto, non resta più neanche traccia dell'effettiva data di ingresso, per non parlare poi delle ulteriori falsificazioni che su timbri così male apposti si possono costantemente operare. La data di ingresso - ripeto - è importante, perché da essa decorre il termine di tre mesi per il permesso turistico e dipende lo stesso rilascio del permesso di soggiorno, per esempio nei casi di sanatoria. Stante l'attuale normativa, pavento moltissimo la possibilità di una nuova sanatoria. FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali. Io mi sono opposta con tutte le mie forze. Pag. 3457 LICIA SCAGLIARINI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano. Debbo dire questo perché le inchieste che sto conducendo riguardano principalmente fatti ricollegabili ancora alla sanatoria, al 31 dicembre 1989; poi ovviamente, esaurita la possibilità di fabbricare falsi permessi di sanatoria, sono stati inventati nuovi escamotage, come quello dell'inserimento di falsi figli sui permessi paterni o materni. Vi è una serie di cose che andrebbero maggiormente controllate, non ultime le dichiarazioni consolari rilasciate dalle autorità estere in Italia, che vengono pagate (ho dichiarazioni su dichiarazioni circa il prezzo relativo a ciascuna dichiarazione consolare) e sono rilasciate su denunce di smarrimento dei documenti identificativi propri. Debbo dire che vi sono molteplici circolari, che partono dal Ministero dell'interno, in cui si richiamano gli uffici stranieri periferici al vaglio della credibilità delle dichiarazioni, anche se rilasciate da autorità consolari estere. Forse non sempre è stato effettuato un attento vaglio e vi è anche un altro dato: ho rinvenuto nelle pratiche degli uffici stranieri dichiarazioni in sé formalmente corrette, non false, rilasciate dal console generale. Di fronte a questo stato di cose, vi sono permessi di soggiorno i cui presupposti sono errati, anche se poi il rilascio è apparentemente corretto. Vi sarebbero - ripeto - molti dati, perché quando si parla di corruzione di forze dell'ordine occorre sempre verificare quali condizioni di ufficio (ma anche - ripeto - non di ufficio singolo ma di normativa generale o di prassi applicative generalizzate) hanno permesso che una, due, tre persone corrotte potessero invece avviare traffici di notevoli proporzioni. Non da ultimo, va considerato il fatto che sugli stessi permessi di soggiorno vengono ancora apposti da varie questure aggiornamenti e variazioni (che siano di residenza o di aggiunta di figli) dattiloscritti, senza la ristampa di un nuovo permesso, quindi senza neanche quella certezza di base rappresentata almeno dal documento, dal modulo dell'ufficio stranieri di provenienza. Vi è inoltre il fatto che i permessi di soggiorno non hanno una qualsiasi forma di numerazione progressiva: il permesso di soggiorno prende il numero dall'istanza di soggiorno, la quale ha una numerazione del tutto casuale, nel senso che il modulo prestampato reca un numero in bianco e viene lasciato negli uffici stranieri a disposizione degli interessati che lo possono ritirare, compilare e poi riconsegnare; da lì prende il numero da quel modulo in bianco e quindi non viene operato alcun controllo del momento della presentazione, della successione cronologica. Per quanto riguarda le dichiarazioni dei garanti, la legge Martelli ha enucleato la dichiarazione di garanzia rilasciata dalla questura, che è il documento che lo straniero deve esibire al momento del controllo alla frontiera per dimostrare di avere un referente in Italia in grado di garantire il suo sostentamento ed anche i mezzi necessari per il rientro nella patria d'origine. Non c'è da stupirsi se vi sono pensionati che si rendono per esempio garanti di tre o quattro giovani fanciulle alla volta. Anche su questo bisogna fare più attenzione, perché dietro c'è inevitabilmente un inghippo, c'è la dichiarazione di garanzia comperata, c'è ancora di peggio; c'è l'affittacamere abusivo che rilascia la dichiarazione di garanzia incorporata, presumendo già di poter lucrare sulle varie aggregazioni più o meno clandestine che si andranno a formare nella sua abitazione. Ricordo che la dichiarazione di garanzia occorre per i permessi di tipo turistico, che poi diventano forme di insediamento clandestino. Un ufficio stranieri dotato di mezzi potrebbe selezionare dal reparto amministrativo i garanti sospetti, passarli direttamente al settore giudiziario ed avviare le indagini: quando gli stranieri danno tutti lo stesso indirizzo oppure i garanti garantiscono troppo e per troppi, lì c'è da investigare. Spero di non essere uscita troppo fuori dal seminato. L'avevo però anticipato: il Pag. 3458 mio è un intervento non centrato sull'argomento delineato in chiave principale. PRESIDENTE. Sono cose utilissime. LICIA SCAGLIARINI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano. Per il resto, l'esperienza registrata a Milano in ordine alle organizzazioni di cinesi, connotate da sequestri di persona e da estorsioni, costituisce una storia veramente vasta: vi sono stati molti casi e ve ne sono tuttora; tuttavia l'esperienza è la stessa di quella descritta nel riepilogo che ci è stato consegnato sull'immigrazione clandestina in Italia di cittadini della Repubblica popolare cinese. I connotati sono proprio quelli: il 99 per cento proviene dalla provincia dello Zhejiang, di solito a Milano le organizzazioni fanno capo ad esercizi di ristorazione e vi sono aggregazioni a livello subumano perché le persone vengono tenute in forma di schiavitù, con il sequestro di tutti i documenti ma anche della stessa persona fisica, per garantirsi la restituzione delle ingenti cifre sborsate. D'altronde è una connotazione ovvia: il viaggio dalla Cina è lungo, bisogna attraversare molteplici paesi, il prezzo aumenta, l'organizzazione è necessaria e quindi ci si deve garantire il rientro delle energie e delle spese immesse nell'ingresso di questi lavoratori. Un'ultima annotazione su chi lavoratore non è: senza fare discriminazioni razziali, bisogna dire che i sudamericani si integrano (ho visto un gran numero di salvadoregni che si sono integrati come lavoratori domestici e che, anche se fossero rimasti clandestini, avrebbero svolto mansioni di governanti o di donne delle pulizie); i cinesi, grandi lavoratori, sono trattati come schiavi in laboratori clandestini; i tunisini ed i marocchini devo dire che li troviamo iscritti nei nostri registri di notizie di reato come spacciatori e con una serie di regolamenti di conti spaventosi. Penso che tutti i colleghi possano testimoniare che in ogni turno esterno, anche se solo di 24 ore, il tentato omicidio o l'omicidio fra extracomunitari di provenienza del bacino del Mediterraneo è un dato di fatto pressoché costante. E' da non sottovalutare il fatto che non vi sia un'organizzazione di base all'ingresso che, per quanto mi risulta, non ho mai incontrato: sembra che entrino alla spicciolata, in maniera diffusa. Mi è stato riferito (e verbalizzato) da extracomunitari incarcerati per fatti di droga di essere stati traghettati dal Marocco alla Spagna con imbarcazioni che partono una volta al giorno, ad un determinato prezzo; si rifiutano di fare il nome del traghettatore, tuttavia paiono cose tutto sommato artigianali. In maniera altrettanto artigianale passano le frontiere che li separano dall'Italia; certo è che quando sbarcano nel nostro paese, se non avevano un'organizzazione alle spalle, creano un'organizzazione del crimine perché i reati di spaccio di cui sono imputati non coinvolgono quasi mai, se non nei casi degli episodi da strada da mezzo grammo, uno o due soli indagati. Si raduna anche una decina di extracomunitari in cascinali dell'immediata periferia, dove procedono a ripartizioni di sostanza e di bottino; il dato è anche l'intercambiabilità, da quanto mi risulta, e quindi è difficile costruire associazioni, tanto più quelle di cui all'articolo 416-bis. Certo è che l'allarme sociale mi pare comunque elevato. ANTONELLA NUOVO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Cremona. La mia realtà provinciale è molto ellittica rispetto alle situazioni in oggetto, però sto seguendo insieme alla collega Massini di Reggio Calabria un'istruttoria molto singolare, che riguarda gli sbarchi clandestini di indiani sikh, cioè gli indiani provenienti dalla regione indipendentista del Punjab. Si tratta - in effetti cominciano ad esserci le prove - di persone che sbarcano in Italia (di solito di venerdì, per un problema di ambasciate chiuse) sulle coste della Calabria, in particolare intorno a Reggio; sbarcano in massa, nel senso che ogni sbarco riguarda dalle 50 alle 70 persone, compiendo Pag. 3459 un tragitto - su questo potrà essere più analitica la dottoressa Massini - abbastanza standardizzato. Si riesce ad arrivare via terra in Grecia, vi è tutta una procedura che riguarda false carte d'imbarco e, per quanto si può dire, o attraverso la Grecia (in particolare attraverso Cipro) o attraverso la Turchia, vengono imbarcati in condizioni subumane, nel senso che vengono stivati alla bell'e meglio su navi che fanno quella rotta per tutt'altri motivi, e buttati a nuoto sulle coste della Calabria, dove si disperdono e cercano di raggiungere ... PRESIDENTE. Scusi, dottoressa, questo è un solo episodio o ... ANTONELLA NUOVO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Cremona. No, sono ripetuti episodi. Questo ha fatto dedurre due cose: innanzitutto che esiste un flusso, con un'organizzazione precisa e dei costi precisi (costa circa 10 mila dollari, a seconda dei casi, sbarcare in Italia); inoltre, essendo la zona dove i clandestini sbarcano ad alto controllo delle organizzazioni della 'ndrangheta calabrese, questi sbarchi non possono avvenire senza una sostanziale connivenza di tali organizzazioni; è dato costante per chi vive in quelle zone che non è possibile altrimenti sbarcare né immettere manovalanza su quei terreni senza il placet da parte di queste organizzazioni. Il motivo per il quale me ne occupo io, a Cremona, è che nel bagaglio di una delle persone che siamo riusciti ad intercettare è stata trovata un'indicazione che riguarda un indiano Sikh regolare che vive nel territorio del mio circondario. L'indagine è partita e siamo riusciti a scoprire che questa persona, pur non essendo né un capo né un livello intermedio di questa organizzazione internazionale, è comunque in grado di indirizzare coloro che variamente sono sbarcati nel nostro territorio verso zone ben più ambite: pare infatti che lo sbarco in Italia, eccetto che per i più disperati, sia soltanto uno sbarco intermedio perché le zone più ambite sono la Germania, il Belgio ed il Canada, dove esistono peraltro, anche storicamente, comunità Sikh molto più diffuse e molto più organizzate. Il grosso problema di questa istruttoria (che, se si volesse fermare ad un livello epidermico, potrebbe essere sostanzialmente già conclusa con una rubricazione ex articolo 3, comma ottavo, della legge Martelli) è dovuto alla peculiarità di queste persone, sulle quali si indaga a vari livelli e da parte di varie autorità. Infatti, proprio perché si tratta di persone dedite ad attività terroristica per motivi religiosi e di indipendenza, le indagini vengono svolte sicuramente dall'UCIGOS ed anche dal SISDE, come risulta da rapporti riservati che mi sono stati fatti soltanto sventolare davanti ma che ovviamente non ho potuto leggere; pertanto il grande materiale che abbiano trovato nell'ambito di una perquisizione (materiale cartaceo di una certa importanza e che reca numeri di telefono ed indirizzi di persone all'estero, punti di riferimento che danno le coordinate per esempio della Grecia e della Turchia, che potrebbero essere utili al fine di individuare effettivamente e quindi perseguire negli altri paesi coloro che fanno da intermediari e lucrano cifre spaventose su questa situazione) si scontra con indagini riservate per altri motivi. Per esempio, gli indiani sikh che si trovano sul nostro territorio nazionale e che hanno costituito due comunità religiose affiliate al Babbar Khalsa, oltre a raccogliere soldi per la causa si preoccupano di reperire materiale elettrico ed elettronico, in particolare timer, il che fa pensare molto male in relazione all'utilizzo che di queste cose si vuol fare. PRESIDENTE. Scusi l'ignoranza, ma cos'è questa Babbar Khalsa? ANTONELLA NUOVO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Cremona. La Babbar Khalsa è l'organizzazione religiosa dei sikh; è una specie di chiesa che però, oltre ad avere la caratteristica di consentire loro la pratica religiosa, si occupa anche del finanziamento del movimento indipendentista e quindi anche dell'acquisto delle armi. Pag. 3460 PRESIDENTE. E' politico-religiosa? ANTONELLA NUOVO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Cremona. E' un'organizzazione politico-religiosa, che nel nostro territorio non ha mai dato problemi, ma che è sicuramente implicata nell'attentato all'ambasciatore dell'India in Romania del 1991 e in altri attentati avvenuti in Canada. La grande difficoltà che si incontra nel portare avanti questa istruttoria specialmente da parte di chi, come me, è uno sconosciuto di una piccola procura, è che l'aiuto dell'Interpol è quasi zero e comunque l'aiuto di chiunque è molto limitato. Tutti mi chiedono perché io non mi limiti a perseguire l'immigrazione clandestina; in effetti - ne parlavo prima con la collega Massini - si potrebbe anche lasciar perdere tutto, ma esistono sicuramente dei livelli molto più alti che varrebbe la pena di perseguire e probabilmente anche qualcosa di diverso e di più interessante da scoprire che non sia l'ingresso clandestino. La situazione è tale per cui di clandestini nel nostro territorio ve ne sono tantissimi. E' chiaro che anche in questa istruttoria esiste la prova che questa persona e un'altra, per lo meno nel mio territorio, fanno sostanzialmente azione di caporalato, reclutando clandestini. Nelle nostre zone vi sono aziende agricole che, dovendo sostituire le persone che fuggono dalla vita dei campi, tengono presso di loro al lavoro, in modo del tutto irregolare, i clandestini. Si tratta di un fenomeno che più volte abbiamo verificato. Ma doversi fermare al livello più basso, così facilmente raggiungibile, a fronte di un'indagine che sembra promettente, se non altro perché il materiale ottenuto con questa perquisizione ed un sequestro a sorpresa sembra particolarmente interessante, ha fatto sì che vi fosse una certa delusione, che poi ho rappresentato al ministro Contri, dovendoci fermare proprio per l'impossibilità di coordinamento e di aiuti in quanto il tutto si scontra con lodevolissime indagini che riguardano problemi, anche gravissimi, del terrorismo internazionale, oppure della tutela degli obiettivi sensibili (ambasciate e consolati) che pure sono presenti nel nostro territorio. Tutto ciò rende estremamente difficoltoso proseguire nelle nostre indagini. In tale istruttoria, sia pure più limitata e a se stante, vi sono quindi due livelli. Innanzitutto vi è il livello di indagini che potrebbero essere condotte su Reggio Calabria per verificare come la 'ndragheta calabrese interagisce con questi sbarchi, come e perché li tollera. Inoltre, ulteriori indagini potrebbero essere avviate in Grecia e Turchia (sappiamo quanto, specialmente in Turchia, sia complicato ottenere assistenza internazionale) per trovare le persone che ad alto livello hanno messo in piedi tale organizzazione. ELISABETTA MASSINI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria. L'indagine relativa agli sbarchi clandestini non è stata ritenuta di competenza della procura distrettuale. La procura di Reggio Calabria si è occupata degli sbarchi in quanto dall'agosto ad oggi si sono verificati sei sbarchi di cittadini indiani e cingalesi. La dinamica degli sbarchi riscontrata in tutti i casi è la seguente: lo sbarco viene effettuato in prossimità della città di Reggio Calabria, in una località denominata Sabbie bianche. PRESIDENTE. Sul versante ionico? ELISABETTA MASSINI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria. No, vicinissimo alla città, vicino all'aeroporto di Reggio Calabria, ovviamente di notte. A quanto pare non è stato mai possibile, neanche utilizzando le motovedette della guardia di finanza e di altri organismi, fermare tempestivamente le navi che effettuano tali sbarchi. Quindi in un solo caso, in occasione del primo sbarco, abbiamo una descrizione sommaria della nave, per Pag. 3461 altro non utile in quanto riferita soltanto in ordine alla dimensione della nave. Il problema deriva dal fatto che a Reggio Calabria avere un'informazione di qualunque genere è un sogno destinato a rimanere tale. Quindi, la popolazione che si trovava per caso sulla spiaggia al momento dello sbarco ha fornito la descrizione di una nave di piccole dimensioni, con due alberi, di colore scuro e nulla più. La nave, tramite dei gommoni, sbarca una notevole massa di cittadini indiani e cingalesi e al momento dell'intervento della polizia giudiziaria ovviamente se ne rinviene soltanto una parte. PRESIDENTE. Cosa intende per "notevole massa"? ELISABETTA MASSINI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria. Ad esempio, il 27 agosto sono stati fermati 35 indiani e 6 cingalesi, mentre quelli sbarcati erano sicuramente di più. Nel mese di dicembre sono stati fermati 59 indiani e quindi è facile immaginare quanti fossero al momento dello sbarco. Sentiti nell'immediatezza del fermo, i cittadini extracomunitari per lo più rifiutano qualunque tipo di collaborazione, per non parlare delle notevoli difficoltà nel reperire interpreti. Ma anche in presenza di un interprete la maggior parte di queste persone finge di non conoscere la lingua inglese e non collabora minimamente. I pochi soggetti che hanno collaborato hanno consentito di ricostruire per sommi capi l'itinerario percorso, per altro già descritto dalla collega che mi ha preceduto, che ha come fattore comune questo episodio. Il definitivo imbarco di tutti i cittadini extracomunitari che poi vengono scaricati a Reggio Calabria si verifica nell'isola di Cipro, dove pare vi sia addirittura un appartamento dove vengono tenuti i cittadini che arrivano prima degli altri (in quanto provengono da diversi paesi) in attesa dell'imbarco. Ovviamente al momento dell'imbarco vengono loro requisiti i documenti. Il costo del viaggio varia dai 3 ai 6 mila dollari, stando alle dichiarazioni fornite dagli interessati. Queste persone vengono imbarcate con la promessa di essere condotte in Francia o in Svizzera; giunte a Reggio Calabria viene loro detto che sono arrivate in Francia o in Svizzera e vengono scaricate. Da una parte è lecito supporre che ci sia il beneplacito della 'ndrangheta in quanto sappiamo che Reggio Calabria e dintorni è controllata a zone dalle famiglie mafiose. Tuttavia, allo stato non abbiamo alcun elemento che ci consenta di operare questo collegamento. Comunque, ammesso che non ci sia il collegamento a priori, questo non tarderà a realizzarsi poiché Reggio Calabria si sta riempendo di cittadini extracomunitari, privi di documenti e di denaro, che nella quasi totalità non conoscono la lingua italiana. Tutto ciò determinerà seri problemi poiché l'unico sbocco che a loro rimane in tali condizioni è quello di venire reclutati dalla 'ndrangheta stessa, che d'altra parte ha cominciato a sfruttare già da tempo i cittadini nordafricani, anche loro non in regola, numerosissimi nelle nostre zone. Questi sono i risultati (in verità ben pochi) ai quali sono pervenute le indagini, che ovviamente devono ancora proseguire dal momento che siamo riusciti soltanto a ricostruire l'itinerario descritto. Le difficoltà sono numerose: da una parte perché, pur essendo stato individuato un possibile collegamento con uno stanziamento di indiani in una zona prossima a Reggio Calabria, che sarà oggetto di indagine specifica, la zona è tale da non consentire illusioni circa la possibilità di trovare soggetti che collaborino. Di qui la difficoltà di reperire prove o quanto meno elementi che consentano di capire qualcosa di più del fenomeno degli sbarchi. Dall'altra la difficoltà deriva dalle problematiche già messe in evidenza dalla collega nell'effettuare indagini serie e tempestive nei luoghi internazionali interessati. Non siamo riusciti a capire, anche a causa degli scarsi mezzi a disposizione delle capitanerie di porto, se le navi interessate agli sbarchi a Reggio Calabria Pag. 3462 attraversino successivamente lo stretto o proseguano costeggiando la Sicilia. Si tratta di un ulteriore problema. PRESIDENTE. Lo sbarco avverrebbe soltanto in Calabria? ELISABETTA MASSINI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria. Stando alle notizie in mio possesso, sì. PRESIDENTE. Lo scalo intermedio è Cipro? ELISABETTA MASSINI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria. E' quello l'elemento comune. In un solo episodio gli indiani sono stati sbarcati anziché a Reggio Calabria a Crotone. Negli altri casi la sede prediletta è stata sempre Reggio Calabria. DOMENICO LABOZZETTA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Pordenone. Mi sono occupato di questa vicenda, sia pure con un'indagine ancora a livello informativo che non si è sviluppata in atti palesi, in ordine ad un problema connesso all'organizzazione sikh che opererebbe in Italia ma non solo (l'Italia sarebbe una succursale), in quanto la derivazione principale proviene dalla Francia. PRESIDENTE. Derivazione nel senso che vengono dalla Francia o sono destinati alla Francia? DOMENICO LABOZZETTA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Pordenone. L'organizzazione ha la sua sede principale in Francia e negli Stati Uniti. Mi pare utile fare un piccolo excursus storico su cosa sono i sikh e come si collocano. Agli inizi degli anni ottanta si concretizza in India il problema sikh. Tale popolazione, sotto la guida del leader religioso Jarnail Singh Bhindranwale, rivendica l'autonomia della regione settentrionale dello Stato, il Punjab, chiamata dai separatisti sikh Khalistan. L'intensa attività rivendicativa si esprime attraverso azioni terroristiche contro indù, personalità politiche ed oppositori della linea dura dei sikh, provocando dal 1981 al 1984 migliaia di vittime. Per sostenere le aspirazioni indipendentiste vengono compiuti anche dirottamenti aerei. In tale fase i terroristi godono del supporto del Pakistan e dei sikh residenti all'estero nei paesi occidentali, principalmente Canada, USA e Germania ovest. Il tempio d'oro di Amritsar diventa la centrale di raccolta di armi e munizioni. Nel giugno 1984, per sedare ogni proposito di rivolta le truppe indiane espugnano la fortezza (viene denominata operazione Blue Star): il leader Bhindranwale viene ucciso e i superstiti si rifugiano principalmente in Pakistan, ma anche nei paesi occidentali. Nell'ottobre 1984 il Primo ministro indiano, signora Indira Gandhi, viene uccisa da due guardie del corpo di origini sikh. Il terrorismo sikh raggiunge più da vicino l'opinione pubblica occidentale l'anno successivo. L'attentato del 23 giugno 1985 ad un aereo dell'Air India, esploso in volo sopra le coste dell'Irlanda provoca 329 morti. Lo stesso giorno un'esplosione prematura di un ordigno all'aeroporto di Tokio causa la morte di due impiegati: si ritiene che in tale evento l'ordigno doveva essere collocato a bordo di un aereo dell'Air India. Sempre nel 1985 viene scoperto un complotto ai danni del primo ministro Rajiv Gandhi in visita in USA e in Gran Bretagna. Nel 1986 avviene una riorganizzazione dei sikh: gli attentati, che aumentano, colpiscono sempre più vittime innocenti. Nel maggio del 1988 il tempio d'oro viene nuovamente espugnato dalle truppe indiane (operazione Blue Thunder), ma l'attività dei separatisti sikh produce tuttora un alto numero di vittime: oltre 2 mila nel 1988, mille e duecento nel 1989. Pag. 3463 Questa è storia degli anni ottanta che vede come protagonista una organizzazione politico-religiosa. Ho ritenuto di dover fare una breve cronistoria perché l'indagine avviata, individuava nella zona di Pordenone la centrale o la direzione centrale dell'organizzazione sikh per quanto riguardava l'Italia. Ripeto che per motivi di opportunità siamo ancora in una fase molto riservata, nel senso che non si è inteso condurre operazioni palesi per cercare di comprendere meglio il tipo di organizzazione che opera in Italia. Pertanto si è in possesso solo di elementi informativi e di prevenzione e non quindi di elementi repressivi. Comunque, attraverso indagini riservate è stato possibile individuare esattamente i principali esponenti dell'organizzazione (sono qualche migliaio in Italia, non mi riferisco agli aderenti all'organizzazione, bensì ai cittadini indiani di origine sikh) i quali, peraltro, non hanno effettuato in Italia alcuna azione terroristica, né risultano collegati con organizzazioni mafiose o criminali comunque operanti in Italia. L'unica attività che essi svolgono (come è stato accennato dai colleghi intervenuti) è quella relativa all'immigrazione clandestina di chi intende raggiungere i paesi occidentali. Si occupano quindi della creazione dei documenti necessari per poter sopravvivere, o comunque per superare le prime difficoltà, e delle sistemazioni logistiche più appropriate. PRESIDENTE. Dottor Labozzetta, può spiegare per quale motivo il tribunale di Pordenone si è occupato di questa materia? DOMENICO LABOZZETTA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Pordenone. In quanto nella zona di Pordenone si era individuato il principale responsabile italiano, la persona alla quale faceva riferimento tutta l'organizzazione. PRESIDENTE. L'organizzazione dell'attraversamento dell'Italia? Oppure quella dell'arrivo? Forse di quella terroristico-religiosa? DOMENICO LABOZZETTA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Pordenone. L'organizzazione provvede a tutte le necessità; quella dell'introduzione clandestina è soltanto un aspetto, vi è poi un'altra attività che per fortuna risulta essere sotto controllo anche dei nostri servizi di sicurezza, quindi vi è una situazione di relativa tranquillità. MARIO CONTE, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bergamo. Sono grato di questa riunione perché in questa sede ho appreso, dalla collega Nuovo, che è di Cremona, quindi del mio stesso distretto, che anche lei si occupa del problema degli indiani sikh, come altri colleghi. In realtà da circa un anno sono state attivate indagini ed il mio punto di partenza è stato l'aspetto di carattere eversivo, nel senso che si ipotizzava che alcuni indiani sikh, residenti in provincia di Bergamo potessero offrire supporto logistico per azioni di carattere terroristico. Si è pertanto attivata una serie di indagini che ci hanno sicuramente dimostrato che vi è qualcosa di poco chiaro (usiamo questo termine) nella loro attività, anche se non abbiamo potuto acquisire dei sicuri elementi di prova. Sono emersi contatti con la Svizzera, come diceva la collega di Reggio Calabria, nonché una forma di assistenza logistica fornita a vari indiani che arrivano in zona e poi ripartono. Ho cominciato allora a mutare obiettivo ed ho iniziato a vedere il fenomeno sotto il profilo della immigrazione clandestina cambiando così strategia processuale. Proprio in questi giorni ho sequestrato del materiale cartaceo che sto esaminando e che, a questo punto, è a disposizione dei colleghi interessati all'indagine , in maniera tale da poter fare il punto della situazione. Abbiamo infatti già quattro uffici giudiziari che si occupano della vicenda, per cui sarebbe opportuno mettere assieme l'intero patrimonio informativo per delineare un quadro completo della situazione che sicuramente presenta degli aspetti poco rassicuranti. Pag. 3464 Forse il fatto che quattro uffici giudiziari procedono autonomamente dimostra come anche a livello di organi di polizia non vi sia un coordinamento... PRESIDENTE. Un'attenzione, perché è dall'attenzione che nasce... MARIO CONTE, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bergamo. Per la verità le indagini le sto conducendo con la DIGOS e mi si dice che dal centro chiedono informazioni ma, pur sapendo forse che ci sono quattro uffici giudiziari interessati all'indagine, non ci si preoccupa molto di ridistribuire l'informazione. Il discorso a questo punto è di coordinamento anche dell'attività propria delle forze di polizia. Questo per quanto concerne i sikh. Per quanto riguarda altre situazioni emerse in quest'ultimo periodo, devo dire che nell'ambito della provincia di Bergamo abbiamo verificato il fenomeno dei nigeriani, con particolare riferimento all'organizzazione ed allo sfruttamento della prostituzione. In realtà è emerso che sicuramente vi è un'organizzazione che si occupa dell'ingresso in Europa (tramite la Svizzera e la Gran Bretagna) di nigeriane per avviarle alla prostituzione. In realtà, non abbiamo potuto acquisire elementi di carattere associativo nell'ambito del territorio di nostra competenza, però possiamo dire, per ammissione di alcuni detenuti, che effettivamente vi è un'organizzazione che dal paese d'origine fino al paese utente (usiamo questo termine) dirige il tutto, anche per quanto concerne, per esempio, l'uso di passaporti falsi. Normalmente si prendono dei passaporti autentici e si sostituisce la fotografia, tanto nessuno li controlla, come giustamente diceva la collega di Milano. Le rassomiglianze poi ci sono e quindi tutto fila liscio. PAOLO CABRAS. Chi organizza la prostituzione nigeriana? Essa è diffusa in tutto il territorio nazionale e in alcune località del Mezzogiorno esiste una gestione camorristica, per esempio, anche di questo. MARIO CONTE, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bergamo. Per quanto riguarda l'organizzazione, sembrerebbe che essa risieda alla fonte, ossia nel paese d'origine. A Bergamo vi sono nigeriani che si occupano dello sfruttamento, e in tale illecita attività si inseriscono spesso gli albanesi. Non abbiamo tuttavia elementi per poter dire se vi siano organizzazioni mafiose o camorristiche che gestiscono la situazione sul territorio, intendendo per esso la provincia di Bergamo della quale mi occupo. Sicuramente però a monte vi è un'organizzazione. Abbiamo poi gli albanesi che si inseriscono, come dicevo, in questo giro, e in tale contesto si inquadra il triste episodio, cui faceva riferimento il ministro Contri, di una ragazzina di quattordici anni avviata alla prostituzione. Come pure siamo (e questo punto lo dico come ipotesi di lavoro, anche se fondata su alcune notizie abbastanza attendibili) in presenza di un traffico d'armi dai paesi dell'ex Iugoslavia; queste armi, gestite in pratica da fuoriusciti, possono essere reperite facilmente sui nostri mercati. In conclusione, concordo pienamente con le osservazioni fatte dalla collega della procura di Milano sul quadro di carattere generale. VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze. Ringrazio innanzitutto la Commissione per avermi invitato a questa riunione e chiedo scusa se la mia esposizione non sarà completa in quanto il tempo per preparare il materiale è stato molto breve. Mi limiterò pertanto a dare delle indicazioni flash di situazioni di cui, nel corso dell'attività che sto svolgendo presso la procura di Firenze, ho avuto occasione di prendere atto. Mi avvarrò moltissimo di quanto detto dalla collega di Milano, in quanto la situazione di Firenze ha molti aspetti Pag. 3465 simili a quella milanese, in più accresciuti dalla difficoltà territoriale. Mi spiego subito. Essendo la provincia di Firenze situata al centro dell'Italia, il fenomeno dell'immigrazione è di seconda, di terza battuta, per cui il rapporto, il canale di collegamento con l'esterno del territorio nazionale viene mano mano a diradarsi. Credo che i problemi siano di livello legislativo, per cui un po' tutti scontiamo la difficoltà di inquadrare immediatamente il fenomeno dell'immigrazione, soprattutto dei cittadini extracomunitari, in quanto totalmente diversi sono i fenomeni legati ad altre forme di immigrazione. Comunque, per quanto riguarda l'immigrazione degli extracomunitari, credo che il grosso quadro di raccordo vada sostanzialmente fondato su due disposizioni legislative: l'articolo 12 della legge n. 943 del 1986 (che per prima ha posto l'accento sullo sfruttamento, in funzione lavorativa, dei cittadini extracomunitari) e la cosiddetta legge Martelli, ossia il decreto-legge del 1989, che ha una forma onnicomprensiva diversa, diversificata rispetto allo stretto sfruttamento a fini sostanzialmente lavorativi. L'ultimo punto che vorrei toccare è quello relativo al recentissimo provvedimento assunto quest'estate sull'espulsione e sui problemi legati all'ambiente penitenziario ed ai procedimenti in corso riguardanti cittadini extracomunitari, perché anche quella è una disciplina che ha provocato momenti di sbandamento in un sistema che, come abbiamo visto, è caratterizzato da problemi di interpretazione della legge stessa e si colloca temporalmente dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale; quindi i problemi sono connessi alla diversificazione della detenzione con le ulteriori nuove introduzioni legislative sulla libertà personale dei soggetti interessati, e come indagati e come imputati. Credo che il problema di Firenze sia un po' come quello di Milano, e mi riallaccio immediatamente a quanto detto dalla collega all'inizio di quest'incontro. I cittadini extracomunitari provenienti dal Nord Africa hanno il controllo quasi totale del mercato dello spaccio al dettaglio della droga. Chiunque svolga un turno di urgenza, di reperibilità ha come dato costante la presenza del microspaccio effettuato da extracomunitari nord africani; se si approfondisce un momento il problema relativo alla loro identificazione, non c'è dubbio che l'area di provenienza sia quella che passa, spesso, per il tramite della Sicilia o della Calabria, che sono appunto le regioni in cui più facilmente si può raggiungere l'Italia. I problemi sono complessi all'interno del sistema degli extracomunitari nord africani perché, anche in questo caso, è verissimo e costante che vi è un sistema interno che ha connotati di omertà e di assoggettamento che, se non è possibile definire a livello di associazioni per delinquere di stampo mafioso, a queste però spesso, anche per assonanza, si rifanno. Un grosso problema è legato all'identificazione, e per quanto riguarda ciò mi rifaccio totalmente a quanto detto dalla collega di Milano. Si tratta di un problema peculiare... PRESIDENTE. Non so se si tratti di una concezione eccessivamente poliziesca, ma domando se non si sia mai pensato alla possibilità di fare ricorso alle impronte digitali. VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze. Sarebbe sicuramente un sistema da porre in funzione... PAOLO GIOVAGNOLI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bologna. C'è il problema del confronto. A quelli che prendiamo rileviamo le impronte digitali, ma con cosa le confrontiamo? PRESIDENTE. No, al momento dell'ingresso. VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale Pag. 3466 di Firenze. Non c'è dubbio. Infatti mi rifacevo anche per questo alle osservazioni della collega Scagliarini, che indicava come punto nodale e passaggio essenziale per la corretta tenuta del sistema quello di controllare l'identità della persona. Ad esempio, l'attuale sistema, con la mancanza di una identificazione certa, per la gran parte rende sostanzialmente impraticabile la normativa introdotta dalla legge Martelli relativa al respingimento alla frontiera per quanto riguarda i reati relativi alle norme sugli stupefacenti. La difficoltà è ancora maggiore per l'applicazione della normativa varata a luglio del 1993 perché in questo caso, al di là del dato normativo legato all'articolo 275, terzo comma, o al problema dell'imputato con pena inferiore a tre anni, vi è il problema amplissimo dell'articolo 73 del testo unico sugli stupefacenti, che rende difficilissima la sua applicazione. Infatti, noi abbiamo problemi di microspaccio, sostanzialmente al dettaglio dove si sa che, in concreto, la pena non supererà mai un termine ampio come quello dei tre anni, perché sarà applicabile il quinto comma, mentre abbiamo una disciplina che vede fissato il minimo edittale con una pena di otto anni e dunque si presentano sempre problemi di interpretazione nel momento conclusivo in cui va a definirsi il procedimento. Come dicevo, il problema che abbiamo potuto riscontrare presso la procura di Firenze è effettivamente quello dell'insediamento dei cinopopolari. SANTI RAPISARDA. San Donnino! VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze. San Donnino, indubbiamente. Perché? Perché, forse, vocazionalmente Firenze è un territorio di imprese artigianali... PRESIDENTE. Soprattutto pelletterie. VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze. Pelletterie. ...dove l'insediamento delle comunità cinesi è più penetrante da un verso, più facilmente utilizzabile dall'altro. Devo dare conto in questa sede anche della prima osservazione che è stata fatta dalla collega di Milano, cioè di come, in realtà, il problema delle comunità cinesi sia legato sostanzialmente anche a grossi momenti di perdita di efficienza, per non dire di sostanziale illegalità, di chi gestisce gli uffici di polizia. Io sono assegnatario di un procedimento penale, che è attualmente alla prima proroga dei termini di indagine e quindi si sta sviluppando da circa sei mesi, dove tutto è partito da uno strano problema connesso a variazioni di soggiorno, a problemi di ingresso e di permessi di cittadini cinopopolari, che vedevano palesemente l'interessamento, al limite della legalità, di chi gestiva l'ufficio stranieri di Firenze, quindi a livello anche elevato delle forze di polizia. E' allo studio - faccio qui ammenda di quanto già detto in precedenza, cioè che non seguirò un ordine logicissimo concreto perché non ho avuto tempo di svilupparlo - l'ipotesi, visto lo sviluppo del fenomeno della comunità cinese in Firenze... PRESIDENTE. Quanti sono i cinopopolari presenti a Firenze? VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze. Sono moltissimi, decine di migliaia. Si è assistito anche a grossi mutamenti sul territorio tra la provincia di Firenze e la neonata provincia di Prato, quindi ci sono problemi perché Campi Bisenzio, che è appunto il luogo ove normalmente si producono artigianalmente i prodotti in cuoio, è al confine tra Firenze e Prato. I problemi si accrescono perché proprio dalle disfunzioni dei vari centri di polizia, tra questura e commissariati, è stato aperto il varco, ad esempio, a trasmigrazioni dovute ad un sistema di illegalità che era stato posto in essere o, comunque, ad un sistema di mancato rispetto della legalità e delle circolari ministeriali riguardanti l'immigrazione ed Pag. 3467 il controllo e le variazioni di residenza delle comunità cinopopolari. Come dicevo, a Firenze è in atto uno studio per valutare quali siano le strutture interne delle comunità cinesi. Proprio ultimamente da un esame delle prime informazione rimesse al nostro ufficio e dall'ufficio stranieri della questura di Firenze e dall'Arma dei carabinieri - che abbiamo "costretto" a cooperare ed a coordinarsi tra loro - si è potuto notare come vi siano elementi, forse, per prefigurare un articolo 416-bis del codice penale. In realtà, all'interno della così vasta comunità cinese ci sono delle famiglie egemoni, le quali mantengono il loro potere di fatto con sistemi di coercizione e di assoggettamento omertoso molto simili a quelli che si determinano in altre forme di criminalità organizzata. E' di pochissimi giorni l'iscrizione di un procedimento che vede indagati oltre venti individui di nazionalità cinese, insieme con gli italiani che fanno da canale a questa immigrazione clandestina che poi fa capo al territorio di Firenze, e credo che a breve ci saranno sviluppi investigativi abbastanza penetranti. Vi è ovviamente difficoltà nei mezzi di investigazione perché, ad esempio, quelli che sono i mezzi classici di investigazione per attività di associazione per delinquere risultano poco penetrabili in una realtà in cui, ad esempio, l'intercettazione telefonica è pressoché impossibile, come anche quella ambientale, per problemi di lingua. Per quanto riguarda la possibilità di ricorrere a forme ordinarie - mi riferisco ad attività di sequestro, di perquisizione anche in forma diffusa -, in un contesto legato da un vincolo interno molto forte, questo tende a far richiudere i possibili canali di sviluppo investigativo dalla comunità all'esterno, alle forze di polizia giudiziaria. Detto questo, devo ancora far presente, riguardo a questo procedimento che vede coinvolto anche un livello elevato all'interno delle forze di polizia, che oltre ad un coordinamento interno dell'ufficio - perché spesso noi abbiamo moltissimi procedimenti che riguardano l'articolo 12 della legge n. 943 del 1986 - spesso abbiamo problemi di collegamento con uffici giudiziari anche distanti. Il primo problema che mi sono trovato a dover affrontare è stato quello di collegarmi con i colleghi di Torino, poiché da questo procedimento emergeva uno strettissimo collegamento tra la comunità cinese di Firenze e quella di Torino, e dai canali di Torino, attraverso la Francia, fino all'ingresso in territorio italiano. Devo ancora riportarmi a quanto diceva la collega per tutti i problemi connessi alla sanatoria ed a quant'altro legato allo status... GIOVANNI FERRARA SALUTE. Vorrei domandare se vi siano problemi di immigrazione a Firenze dallo Sri Lanka. VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze. C'è un problema di immigrazione da Ceylon ma è molto limitato. Come è molto limitato quello riguardante la comunità sikh, di cui ho sentito parlare poco fa dai colleghi. Ci sono, invece, anche a Firenze problemi per quanto riguarda l'immigrazione sudamericana e quella dal centro Africa, legata, in effetti, più alla prostituzione ed allo sfruttamento delle donne... PRESIDENTE. C'è anche nella comunità cinese sfruttamento della prostituzione? Mi pare di no. VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze. Per ora non abbiamo raccolto indicazioni in questo senso. Mentre sono molto evidenti problemi di estorsione interna... PRESIDENTE. Mi pare che a Roma abbia cominciato a trattarsi anche di estorsione all'esterno, cioè di cinesi nei confronti di non cinesi. VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze.... di giochi d'azzardo, di Pag. 3468 bische clandestine, di armi. Molto limitatamente il problema della droga. PRESIDENTE. Limitatamente. VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze. Sì, nella comunità cinese il problema della droga è limitato. Altro problema, che invece crea allarme sociale, è quello relativo alle condizioni di lavoro, ma è un problema interno. Molto diverso da quello che suscita allarme sociale esterno alla comunità è il problema dell'assoggettamento a condizioni di lavoro ai limiti del disumano; questo proprio perché il canale di ingresso - e qui mi rifaccio totalmente a quanto diceva la collega di Milano - si apre per mezzo di pagamenti e di prestiti che poi vengono elevati in misura usuraria, con quanto ne consegue per la parte di prestazione sostanzialmente in natura, cioè con la manodopera, che deve dare il cinese. Vi è all'interno della comunità uno scaglionamento per gradi, nel senso che chi è nella condizione più miserabile quasi mai, sostanzialmente mai, raggiungerà la possibilità di inserirsi nel territorio italiano svolgendo un'attività tipo quella della ristorazione, che pure è un grande sistema di impianto delle radici nel territorio. Un problema ulteriore è quello di vedere se all'interno della comunità vi siano elementi per far luogo alla configurabilità di un'associazione di tipo mafioso. Il procedimento è sostanzialmente ancora allo studio - l'impianto di questo fascicolo è iniziato appena pochi giorni fa - ma per il numero degli indagati, per la distribuzione che le forze di polizia sono riuscite a fare all'interno, stilando già una sorta di organigramma delle famiglie interessate, è possibile notare che vi sono molte caratteristiche, all'interno della criminalità ordinaria della comunità cinopopolare, che fanno pensare alla possibilità di ricongiungimento ad unità per gruppi di famiglie e di soggetti esponenziali tale da far ritenere che possano esserci sintonie con quella che è l'associazione di stampo mafioso. Questo proprio per il sistema, per lo sviluppo di microstrutture che al loro interno sono vincolate da forti legami di omertà, di copertura, e di intimidazione intrinseci. Ulteriori problemi, cui mi rifaccio come ha fatto prima di me la collega di Milano, sono relativi ad un traffico concernente il rilascio di permessi di soggiorno e le variazioni di residenza degli extracomunitari in riferimento al traffico minorile ed al ricongiungimento con i minori. Anche in questo caso vi è stata, ed è sostanzialmente accertata, la complicità degli uffici di polizia nell'interpretazione in un modo o nell'altro delle disposizioni nate dall'entrata in vigore della legge Martelli sulla possibilità di un ricongiungimento, in realtà illegale, di minori, con il pagamento di personaggi vicini, di cerniera, tra la comunità cino-popolare e i funzionari di polizia. Si tratta di un fenomeno stranissimo, perché il procedimento di cui parlavo prima, che è già in uno stato avanzato di indagini preliminari, ha registrato, per una nota informativa dell'ufficio stranieri della questura di Firenze, una trasmigrazione massiccia da Firenze a Prato proprio ai fini di ottenere, ovviamente in maniera abusiva, illegale e illecita, il riconoscimento del permesso di soggiorno rispetto ad un traffico di minori cinopopolari. Il fenomeno è stato evidentissimo, perché da Campi Bisenzio... PRESIDENTE. A quale scopo? VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze. Per i minori lo scopo è sempre quello, la possibilità... PRESIDENTE. Anche lavorativo? VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze. Ovviamente, lo scopo è sempre quello lavorativo, per quello che ne sappiamo. Ho detto prima dello scotto che tutti paghiamo della sottovalutazione del fenomeno. Pag. 3469 Parliamo di sfruttamento lavorativo perché la nostra legislazione risponde ad una visione ed è sostanzialmente nata, considerando il fatto illecito ai sensi della disposizione della legge n. 943 del 1986, cioè mirata al problema dello sfruttamento del lavoro ed ai problemi connessi all'immigrazione ed allo sfruttamento del lavoro ad essa conseguente. Gli strumenti operativi, anche quelli a livello più alto, quelli di raccordo ordinamentale, si rifanno a questa prospettiva. Credo di poter considerare conclusa la mia esposizione, riservandomi di fornire ulteriori indicazioni in base a sollecitazioni provenienti da altri colleghi. Voglio comunque indicare il grande problema del maggior controllo, non dal punto di vista della riforma giuridico-ordinamentale, ma da quello dei controlli alle frontiere e di polizia sociale e amministrativa in genere. Mi riferisco in particolare al controllo identificativo dei soggetti, fondamentale se si vuol conservare un senso ed una portata alla legislazione riguardante le disposizioni della legge Martelli sull'immigrazione e le successive norme sui problemi di un extracomunitario che incappi nella giustizia italiana. L'operatività e l'incisività di molte di queste disposizioni sono strettamente collegate alla conoscenza effettiva e concreta del soggetto che si ha di fronte. Senza una possibilità di controllo effettivo diventa difficile, se non impossibile, applicarle. Ad esempio, il problema dell'espulsione prevista dal decreto-legge di quest'estate consiste nel fatto che la misura è sostanzialmente impraticabile perché spesso i soggetti sono sedicenti, sono privi di fissa dimora, non hanno neppure il passaporto che è stato loro sottratto dalle organizzazioni all'ingresso in Italia come strumento di pressione per farli rimanere assoggettati a certi vincoli. In tale situazione o la disposizione diventa in sé impraticabile, non esistendo gli strumenti operativi per applicarla, oppure non ne risulta possibile l'attuazione pratica, una volta espulsa e richiamata la persona ai fini del procedimento, non esistendo alcuna certezza che essa sia la stessa persona fisica precedentemente espulsa. Un ultimo problema riguarda la necessità di un coordinamento con la polizia penitenziaria perché tale coordinamento oggi avviene solo per vocazione personale. Molto spesso riceviamo rapporti dalle case circondariali di Firenze, di Prato o di Pistoia. Firenze è una provincia che ha vicino a sé molti centri importanti dotati di case circondariali nelle quali l'ufficiale dell'ufficio matricola è in grado di riconoscere il soggetto. Quando invece vengono declinate generalità totalmente diverse è impossibile comprendere e rapportare se questo... PRESIDENTE. Mi scusi se torno su una questione un po' "sbirresca" (lo riconosco): le impronte digitali vengono prese almeno ai detenuti, come vengono prese ai fermati nel corso di operazioni di polizia; c'è un archivio di queste impronte? Se esiste, potrebbe essere utilizzato. VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze. Sì, ma i tempi sono molto lunghi. In caso di arresto in flagranza i tempi di definizione del procedimento rendono assai difficile, per problemi di convalida e delle successive misure nonché, spesso, per la definizione istantanea del procedimento, effettuare questi controlli. L'arresto in flagranza ha il vantaggio di far apprezzare l'elemento probatorio immediatamente e quindi vi può essere, soprattutto quando la pena è ridotta ai minimi, essendo applicabile il comma 5 dell'articolo 73 del testo unico delle leggi sugli stupefacenti, l'impossibilità quasi materiale, storica, salva la possibilità di una conoscenza dell'ufficiale di polizia della matricola che riconosca il soggetto, di un'identificazione dell'interessato. PAOLO GIOVAGNOLI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bologna. Mi ricollego in primo luogo alla questione dell'identificazione, che è uno dei problemi generali, stando agli Pag. 3470 interventi dei colleghi che mi hanno preceduto. Farò riferimento anche a quest'ultimo aspetto delle impronte digitali. Per quello che so (noi orecchiamo, mentre gli esperti veri sono gli appartenenti alla polizia, presso i quali si potrebbe effettuare un controllo), le impronte digitali sono raccolte e schedate dal carcere e dall'ufficio stranieri presso le questure, ma di esse non vi è un archivio nazionale. L'ufficio stranieri di Bologna funziona abbastanza bene, per quanto ci è dato di comprendere, nel riferirci delle precedenti azioni compiute sotto nome diverso dallo stesso soggetto in base al riconoscimento delle impronte; non vi è però, a quanto ne so, la possibilità di un controllo su base nazionale. Questo problema si pone anche più ampiamente per quanto riguarda gli stranieri, perché, da quanto ho compreso nel corso di riunioni nazionali di magistrati, non c'è neanche un sistema di schedatura uniforme delle impronte digitali dei pregiudicati italiani in generale. Non è quindi possibile un controllo elettronico per sapere se vi sia corrispondenza rispetto alle impronte già prese: bisogna confrontare le impronte un po' per volta fino a trovare quelle corrispondenti. Il problema dell'identificazione è centrale ed il nostro ufficio stranieri ci dice di essere in grado di fare qualcosa solo se esiste il passaporto del soggetto individuato. Solo il passaporto, infatti, consente di collaborare con le polizie degli stati esteri d provenienza, che altrimenti non riconoscono l'appartenenza al loro paese del soggetto, anche se in possesso di documenti apparentemente ufficiali diversi dal passaporto. La schedatura delle impronte digitali all'ingresso del paese sarebbe una soluzione radicale molto efficace, ma rispetto al nulla di adesso sarebbe anche molto importante ed efficace la fotocopiatura mediante scanner elettronico del passaporto, che non richiede tempo e che consente la gestione elettronica dei dati. La nostra esperienza ci dice che molti di questi stranieri entrano in Italia con passaporti regolari, ma poi li nascondono. Non ci sono solo le organizzazioni criminali che sottraggono i passaporti per esercitare un controllo sull'immigrato, ma vi è anche l'interesse personale dello straniero che voglia commettere dei reati o comunque sostare in Italia senza permesso di soggiorno ad evitare il ritrovamento del suo passaporto, che ne consente l'espulsione e il reimpatrio nel paese d'origine. Senza passaporto il paese di origine non accetta la persona. Detto questo in termini generali, per quanto riguarda le esperienze del nostro ufficio, mi rifaccio ai discorsi svolti dai colleghi che mi hanno preceduto. Nel nostro ufficio non c'è una suddivisione per materia con riguardo agli stranieri e quindi le informazioni che abbiamo raccolto in questa occasione sono state messe insieme artigianalmente, consultando i colleghi che a memoria ci si ricordava essersi occupati di qualcosa di attinente. Se questa iniziativa proseguisse, saremmo probabilmente in grado di far riferimento ad un maggior numero di esperienze di quelle oggi raccolte sommariamente e in fretta. Anche da noi vi è il problema della presenza dei cinesi, caratterizzata come hanno detto i colleghi: scarsissima attività criminale esterna (a differenza di altri gruppi etnici), ma un'attività criminale legata all'arrivo illegale degli stranieri ed allo sfruttamento della manodopera. Si sono manifestati i problemi cui il collega che mi ha preceduto ha fatto cenno in sede di svolgimento delle indagini, non solo perché la lingua è in generale complicata, ma anche perché esiste una varietà di dialetti e non viene mai usata la lingua conosciuta dai pochi cinesi presenti istituzionalmente nel nostro paese, quali quelli che lavorano all'università e che possono essere utilizzati come traduttori. Gli altri, anche quelli ormai radicati nella realtà cittadina come i ristoratori, probabilmente vivono in una situazione omertosa e Pag. 3471 pertanto non si prestano a fungere da interpreti per le operazioni di investigazione. I cinesi, oltre che nel campo della ristorazione, operano anche da noi nel settore della pelletteria. Questo è tutto quanto posso dire. Non abbiamo avuto esperienze rispetto a questo campo specifico di corruzione negli apparati di polizia. C'è stato, a quanto mi ricordo, un processo di corruzione concernente l'ufficio stranieri di Bologna ma riguardante gli stranieri in generale, in particolare i nordafricani: la vicenda era legata al periodo della sanatoria e del riconoscimento della presenza da un certo tempo e coinvolgeva un livello bassissimo degli addetti, cioè lo stesso agente che aveva il compito di fotocopiare i timbri e che era in condizione di falsificare le fotocopie (fatto questo molto semplice) e rilasciare i permessi di soggiorno. Questa persona poteva mettere in grado l'interessato di ottenere un permesso di soggiorno falso e quindi il processo ha riguardato solo lui ed alcuni nordafricani che lo pagavano. Il resto della nostra esperienza, a Bologna, in materia di criminalità legata agli stranieri e in particolare alla introduzione clandestina e allo sfruttamento delle persone introdotte clandestinamente nel nostro paese è relativo alla prostituzione. Per quanto sappiamo, i filoni principali sono essenzialmente due: uno è quello delle prostitute di origine slava, l'altro quello delle nigeriane. In entrambi i casi, stando all'esperienza acquisita nei processi, lo sfruttamento è attuato da parte di soggetti della stessa nazionalità delle persone sfruttate. Forse, i processi legati alla tratta di prostitute slave sono stati i maggiori, e non mi riferisco alle sole iugoslave, ma anche a quelle della Cecoslovacchia, della Russia, eccetera, quindi a quelle di lingua slava. Probabilmente, le prostitute iugoslave sono più numerose per due motivi: il primo è dovuto alla vicinanza della Iugoslavia e alla situazione di guerra e di disordine di quel paese; il secondo è riconducibile ad un fattore indiretto, nel senso che molte prostitute provenienti da altri paesi slavi hanno interesse ad apparire iugoslave perché, per motivi umanitari legati alla situazione di guerra di questo paese, non vengono rimpatriate. Quindi, l'esperienza ci ha dimostrato che persone russe, ceche e boeme, venivano regolarmente in Italia con il passaporto, il quale veniva poi ritirato da chi, dopo aver reclutato queste persone nei paesi d'origine per portarle in Italia, provvedeva poi a consegnare falsi documenti (non passaporti) iugoslavi dopo che avevano raggiunto il nostro paese. Lo sfruttamento della prostituzione viene attuato nel senso più brutale del termine, anche se spesso le prostitute vengono reclutate con la promessa di un lavoro lecito o comunque non legato alla prostituzione (ve ne sono alcune, comunque, che asseriscono di essere venute in Italia proprio per prostituirsi da subito). Una volta in Italia, le prostitute vengono cedute da un gruppo all'altro, vendute dietro pagamento di danaro, spostate da una piazza all'altra, dove, per migliorare il livello di mercato, stazionano, mediamente, per non più di quindici giorni. PRESIDENTE. I gruppi di sfruttamento e di intermediazione sono solo italiani? PAOLO GIOVAGNOLI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bologna. No, dicevo che sostanzialmente non sono italiani, perché sono pochi quelli che riescono ad inserirsi in gruppi di gente che, come importatori prima e come reclutatori poi, spesso sono del paese di origine dei soggetti reclutati: vi sono molti iugoslavi di varia origine e cecoslovacchi, mentre non vi sono russi, per quanto mi risulta, nonostante siano invece presenti donne russe. Quando giungono in Italia, queste donne vengono quasi sempre cedute a persone di origine iugoslava, le quali spesso sono nomadi, zingari che le tengono presso i loro accampamenti. Non sempre è così, ma comunque questo è uno dei mercati principali. L'altro è invece quello di persone Pag. 3472 di origine iugoslava che risiedono negli alberghi e che sono in contatto - lo stesso che si ha con i venditori di droga, per esempio - con gruppi presenti in altre città proprio per vendere queste ragazze. Casi simili ne abbiamo verificati molti, assieme a fenomeni di criminalità indotta, come gli omicidi per la compravendita o il controllo delle prostitute (ve ne è stato uno quest'estate). L'altro settore della prostituzione, quello delle nigeriane, di cui mi sto occupando personalmente, mi ha consentito un'esperienza piuttosto interessante, perché alcune hanno parlato di un reclutamento a livello internazionale, di un'organizzazione che sostanzialmente esisterebbe in Nigeria; alcune prostitute hanno fatto i nomi ed i soprannomi dei reclutatori, i quali fungono anche da accompagnatori delle ragazze dalla Nigeria in Italia, ma non sono in grado di fornire la generalità esatta di questi soggetti. In genere, le nigeriane sono ragazze reclutate quando hanno terminato le scuole superiori, per cui si tratta di persone che spesso hanno studiato e che il più delle volte accettano di venire nel nostro paese dietro la promessa di lavoro lecito; quando acconsentono si chiede loro soltanto di fornire due fotografie, dopo di che i reclutatori si occupano di procurare i passaporti falsi. Da quanto ci hanno detto non appare del tutto chiaro se vi sia una complicità anche da parte di personale nigeriano che lavora presso l'ambasciata italiana - c'è stato un accenno in questo senso - o comunque di funzionari amministrativi nigeriani. A queste ragazze viene pagato il biglietto aereo; arrivano generalmente all'aeroporto di Roma, da dove sono poi indirizzate in altre città, come Bologna, per esempio. In genere, gli accompagnatori consegnano i passaporti di queste ragazze a persone che fungono da punto di riferimento: nel caso di Bologna, si trattava di due donne nigeriane, le quali si servivano anche di un italiano, ma sembra che ciò avvenisse solo per garantirsi con una figura maschile, che però non era dominante, in quanto l'organizzazione era nelle loro mani. Alle ragazze che vengono avviate alla prostituzione generalmente viene detto che devono pagare un debito di venti milioni - la somma corrispondente alla spesa sostenuta per farle venire in Italia -, per cui tutti i proventi del loro lavoro devono devolverli ai reclutatori; soltanto quando avranno pagato i venti milioni sarà restituito loro il passaporto e potranno fare ciò che vorranno. PRESIDENTE. E questo... PAOLO GIOVAGNOLI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bologna. Per quanto è a mia conoscenza, non è mai accaduto. Però, svolgendo queste indagini, mi risulta che alcune prostitute nigeriane pur avendo il passaporto asserivano di essere rimaste in Italia continuando a prostituirsi. In questo caso, erano entrate in contatto con lo stesso gruppo che dietro pagamento di una somma di tre milioni aveva assicurato loro il posto dove potersi prostituire senza essere disturbate. Quindi, ad eccezione di questa somma, non consegnavano i propri guadagni a nessuno. Abbiamo cercato di coinvolgere l'Interpol per fare chiarezza sul traffico delle prostitute nigeriane. Siccome ci è stato detto da dove aveva origine tale traffico (da un un albergo di Kano, una città della Nigeria) e ci sono stati fatti i soprannomi delle persone che lo hanno organizzato, abbiamo chiesto all'Interpol se era in grado di fornirci qualche notizia: finora non ne sono arrivate, e per esperienza sono scettico che possano giungerne. ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Brescia. Non penso di dover ripetere tutto quello che è stato detto dai colleghi. Direi che oltre a Brescia posso rappresentare parte del Veneto, visto che ieri sera mi sono sentito per telefono con il collega Della Costa di Venezia, che non ha potuto partecipare a questa audizione, e che trattiamo assieme un certo procedimento relativo, ancora una volta, ahimé, ai cinesi. Pag. 3473 Per quanto riguarda il problema della prostituzione di origine nigeriana, sudamericana - di cui ho sentito parlare poco in questa riunione - e slava, mi rimetto completamente a quanto già detto. Non voglio ripetere i problemi tecnici ma consentire a voi di affrontarli da tutta un'altra visuale, cioè della metodologia di indagine e dell'intervento di carattere sociale (è presente il ministro per gli affari sociali). Mi sono permesso di fotocopiare e di distribuire ai membri della Commissione una nota della compagnia della Guardia di finanza di Brescia, a proposito della quale chiedo scusa dell'informalità... PRESIDENTE. No, è molto chiara. ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Brescia. Questa nota, che è il risultato di un lavoro che abbiamo svolto con la Guardia di finanza di Brescia, credo sia utile ai fini della conoscenza della metodologia e degli aspetti economici e fiscali. Parlo di aspetti fiscali perché ad essi voglio improntare il mio intervento. Purtroppo, svolgo un'attività che potrei definire minimalistica: di fronte al ministro per gli affari sociali ed al presidente della Commissione antimafia, quasi mi vergogno a dire che sono arrivato alla Triade partendo dalla cosiddetta legge sulle manette agli evasori fiscali (articolo 1, comma 6, della legge n. 516 del 1982), cioè alla mancata tenuta delle scritture contabili. Questo è l'aspetto che voglio sottolineare, questo è il taglio che, in un certo senso, intendo dare al mio intervento. Provengo da una provincia piuttosto ricca, caratterizzata da un tessuto economico anche un po' prepotente, se vogliamo, dove gli interessi economici hanno un certo valore, dove certe categorie economiche hanno un loro grossa forza, dove anche noi dobbiamo comunque seguire determinati interessi. Intendo dire che dove lavoro io c'è gente alla quale non sta bene comprare al supermercato una maglietta a ventimila lire, non sta bene soprattutto ai venditori, considerato che i costi, normalmente, sono di trenta, quaranta o cinquanta mila lire. In altri termini, c'è una situazione di fomentazione, anche sociale, nei confronti di tutta questa attività economica illegale, che ci ha indotto a svolgere interventi in questo campo. Nella procura di Brescia non vi è una diversificazione di compiti, tant'è che da anni io stesso mi occupo del settore tributario, fiscale, societario, di quello dei reati di bancarotta o dei reati "economici". Nello svolgimento della mia attività, mi è capitato di accedere in un laboratorio semiclandestino e di trovarvi un gran numero di cinesi che vivevano in una situazione incredibile, tanto che è dovuta intervenire la USL e si sono dovute svolgere attività di supporto di vario genere (le quali non hanno interessato chi è riuscito a fuggire attraverso i campi perché non lo abbiamo più trovato...). Durante lo svolgimento di questa verifica di carattere fiscale abbiamo trovato un italiano che, per captatio benevolentiae, ha cercato di far capire cosa accadeva a proposito delle bolle di accompagnamento che erano nel laboratorio e che erano intestate a personaggi cinesi dai nomi assurdi. Con la Guardia di Finanza abbiamo ipotizzato un intervento di cui poi vi spiegherò il perché: abbiamo compiuto un intervento coordinato in circa 23 laboratori clandestini, proprio perché quel signore ci aveva detto - captatio benevolentiae- dove aveva portato i macchinari, chi faceva lavorare, eccetera; abbiamo pensato di portare avanti, in contemporanea, un intervento anche di carattere dimostrativo, esemplare nella città. Credo che a proposito di tale intervento siate già a conoscenza, dopo aver sentito i miei colleghi, delle ire del questore di Brescia nei miei confronti quando nella stessa giornata in questura si è trovato di fronte 80 cinesi dello Tse kiang: non sapeva più che pesci pigliare e ha chiesto addirittura se i soldi per l'aereo glieli avrei dati io o il Ministero Pag. 3474 di grazia e giustizia! Qual era la tesi della mia procura, logicamente condivisa anche dal mio capo? Io non ho cercato la mafia, anche se so che vi è un organizzazione clandestina, che vi è la Triade. Al riguardo, ho portato con me l'originale di un recentissimo fascicolo, dal quale risulta che per un sequestro di persona della Triade a Rotterdam i soldi sono stati chiesti in provincia di Mantova, per cui, essendo a Brescia la sede distrettuale antimafia... PRESIDENTE. Il sequestrato dove si trovava? ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Brescia. A Rotterdam. E' stato portato in Italia, prima a Roma (abbiamo le targhe delle macchine, per cui sentirò poi i colleghi di Roma)... PIETRO GIORDANO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Non lo abbiamo trovato. PRESIDENTE. Quindi, la persona sequestrata... ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Brescia. E' stata introdotta clandestinamente in Italia da questa organizzazione, è passata per Roma e poi è stata portata nel bresciano e nel mantovano, dove hanno sede i laboratori di cui parlavo prima. Dopo di che è andata a Rotterdam e qui è stata sequestrata dall'organizzazione, la quale per liberarla voleva 112 milioni di lire. PRESIDENTE. Li voleva in Cina? ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Brescia. No, li voleva nel bresciano, ecco perché la competenza era di Brescia. E' accaduto poi che la persona sequestrata, una ragazza, si sia buttata dal terzo piano di una casa dopo essere riuscita a liberarsi, per cui in questo momento si trova in ospedale a Rotterdam. Ma torniamo alla filosofia dell'intervento, di cui dicevo poc'anzi. La mafia si forma dove vi è un forte tessuto omogeneo di persone della stessa provenienza, dove le condizioni di dipendenza e di clandestinità, come nel caso dei cinesi, danno luogo ad un'organizzazione molto chiusa. Se teniamo sotto controllo l'attività economica clandestina dei cinesi, con un controllo territoriale sull'attività economica concernente la trasformazione delle pelli, come avviene a Bologna e a Firenze, oppure nel caso bresciano - e grosso modo nella Lombardia - su chi lavora e trasforma i vestiti per conto terzi, se creiamo dicevo una pressione di carattere economico e sociale con interventi delle unità sanitarie locali, disincentiviamo il flusso migratorio anche perché diminuisce l'interesse. Quell'intervento ha fruttato un miliardo di lire di recupero fiscale per omissione dei ricavi. Può sembrare minimale, ma queste persone subiranno determinate conseguenze, nel senso che le ditte iscritte nei registri italiani vedranno iscrivere un terzo nel ruolo dell'ufficio delle imposte. Subiranno anche l'intervento delle unità sanitarie locali e dell'ispettorato del lavoro per l'igiene e la prevenzione del lavoro, così come saranno oggetto dell'intervento dei colleghi della procura presso la pretura per quanto riguarda la materia infortunistica. Il nostro intervento rappresenta un tentativo di controllo sul territorio di queste persone affinché quelle in regole si integrino - perché è giusto che lo facciano - ma alle condizioni e con le finalità dei lavoratori italiani. Profondano pure la loro bravura nel lavoro - sono molto bravi soprattutto nelle imitazioni delle "firme" - ma in un contesto di legalità. Quindi, abbiamo colpito anche economicamente queste persone. La metodologia seguita è diversa rispetto a quanto hanno illustrato i colleghi: colpire la gente nella tasca forse può fungere da disincentivo. Pag. 3475 La metodologia posta in essere è descritta nella nota che ho distribuito. Abbiamo svolto un lavoro del genere: sono state censite le ditte cinesi iscritte alla camera di commercio (capisco, comunque, che Brescia non è Roma, Milano o Palermo, dunque fare questo nei centri più grossi è difficile)... FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali. Quante sono? ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Brescia. Sono meno di un centinaio a fronte di un milione 40 mila abitanti della provincia che corrisponde al territorio del circondario del tribunale di Brescia. Dicevo, abbiamo effettuato il censimento delle ditte alla camera di commercio, seguito da quello presso l'ENEL (per i macchinari), l' INPS e l'ispettorato del lavoro. Poi abbiamo censito le utenze telefoniche, scoprendo - eseguendo la sovrapposizione - le ditte clandestine. Si è scoperto che determinati soggetti avevano un'utenza telefonica intestata a se stessi, mentre quella ENEL era intestata ad un'altra persona che lavorava presso la stessa ditta ma ubicata in un'altra traversa. Esiste, secondo me, un intreccio classicamente cinese (Le scatole cinesi), senza servirsi delle società schermo come si usa in Italia per evadere il fisco, bensì delle persone. Tramite la sovrapposizione abbiamo individuato i siti del lavoro clandestino: su questo abbiamo eseguito l'intervento a seguito del quale sono state controllate 80 persone, denunciate moltissime e 52 sono risultati gli espulsi. PRESIDENTE. A quanto capisco ora sono tutti a Prato. ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Brescia. In conclusione, desidero solo sottolineare la minimalità dell'intervento bresciano: la Triade esiste, la mafia c'è ma l'organizzazione non è stata trovata. Per quanto riguarda l'organizzazione rimando agli studi effettuati, ai quali ha partecipato anche un ufficiale francese. Non so a quale consorella della Guardia di finanza appartenga, ma si interessa ai flussi immigratori di quel paese. Sappiamo che la Triade esiste e ne abbiamo avuto conferma dall'introduzione clandestina di questi soggetti. I centri possono essere Trieste, Milano, Firenze, Roma. Qualcuno dà una destinazione finale ai flussi. Questo è il lato di raccordo con gli italiani: la nostra fonte "confidenziale" è un italiano. Chi sfrutta le persone è italiano: non dimentichiamo che tutti parlano, dimostrano intolleranza nei confronti di queste persone, però c'è chi fornisce macchinari in una sorta di leasing "artigianale", chi ritira la merce, chi dà la merce da lavorare e immette sul mercato la camicia firmata al prezzo di 20 mila lire. Ripeto, sono partito dalla camicia firmata da 20 mila lire per arrivare alla Triade: la metodologia utilizzata può essere interessante come spunto, senza grandi prospettive di sgominare L'anno del dragone come ha fatto Mickey Rourke. FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali. L'importante è rendere il lavoro difficile e competitivo. ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Brescia. Certo, rendere il lavoro difficile e competitivo e soprattutto consentire a queste persone di adeguarsi alle nostre regole e di integrarsi per avere i diritti che spettano anche ai cinesi. ANDREA BECONI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Genova. Mi sono imbattuto in alcuni procedimenti aventi ad oggetto flussi migratori indotti provenienti soprattutto dai paesi dall'est e dalla Nigeria. Non parlo in rappresentanza dell'ufficio in quanto si tratta di procedimenti che ho seguito personalmente; per quelli riguardanti la Nigeria il discorso sarà diverso. Pag. 3476 In realtà non abbiamo mai avuto l'opportunità di concentrare tutti i procedimenti aventi ad oggetto stranieri e organizzazioni comunque dedite al loro sfruttamento, in quanto non si sono registrati procedimenti per reati ai sensi dell'articolo 416. Quindi non si è mai avvertita l'esigenza di concentrare in uno o due sostituti procuratori questo tipo di lavoro. Si tratta sempre di procedimenti per reati commessi all'interno o all'esterno del gruppo etnico e trattati per singoli fatti. Tuttavia, in alcuni procedimenti si intravede quanto può esservi dietro anche se dal punto di vista processuale i risultati sono scarsi: di questo cercherò di spiegare le ragioni. Un primo flusso migratorio ha riguardato donne provenienti dai paesi dell'est, ossia Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria. In questo caso si trattava probabilmente di un'organizzazione italiana ed i personaggi emersi a Genova sono due. Costoro avevano formato un'associazione culturale, che si poneva essenzialmente ed ufficialmente come scopo lo scambio reciproco di soggetti interessati a visitare rispettivamente i paesi esteri e l'Italia. ELIO COSTA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Crotone. Vorrei conoscere i nomi. ANDREA BECONI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Genova. Sì, posso citarli in quanto è stata emessa richiesta di rinvio a giudizio: sono un certo Bufanio e una certa Rossi. In sostanza, ai carabinieri di Genova si è presentata una ragazza la quale ha raccontato di aver fatto parte di un gruppo di 40 polacche entrate regolarmente in Italia a bordo di un pullman. Dico regolarmente perché non risultano percorsi clandestini, anche se la ragazza non è stata molto lucida nel descrivere le strade seguite. Genova rappresentava soltanto una tappa, in quanto nella città il pullman si è fermato per scaricare due o tre persone: il resto era destinato a Cirò Marina dove esisteva un'altra società, con lo stesso oggetto, che a sua volta si è rivelata collegata con un'altra società intestata ad un soggetto straniero, mi sembra un certo Christopher Fuller, con sede a Roma. Dalla dinamica della importazione delle ragazze polacche si intravedeva un'organizzazione estesa su tutto il territorio nazionale, con centro in Calabria e con collegamento a Roma. Personalmente ho trattato soltanto lo spezzone genovese, quindi ho trasmesso parte degli atti ai colleghi di Crotone e di Roma per quanto di loro competenza. A Genova, al di là delle due persone che avevano costituito la società, non si è andati oltre. Le donne introdotte sul territorio italiano non risulta fossero destinate alla prostituzione, a differenza di quanto emerso circa le nigeriane, bensì a svolgere un'attività lavorativa, sia pur clandestina, presso esercizi pubblici, famiglie private e così via. Questo è successo anche per le ragazze sbarcate a Genova, che sono state rinvenute a lavorare presso ristoranti o abitazioni private. Lo stesso mi risulta sia avvenuto a Crotone, in Calabria. In un altro procedimento, avente sempre ad oggetto ragazze provenienti dall'est, le donne erano destinate alla prostituzione. A differenza di quanto dirò per le nigeriane, in questo caso si è trattato di ragazze contattate all'estero per esercitare la prostituzione, che venivano in Italia con questo scopo. L'attività era gestita da una connazionale cecoslovacca, la quale si avvaleva per l'introduzione in Italia di collegamenti cecoslovacchi o comunque stranieri. La caratteristica dell'attività consisteva nel fatto che queste ragazze, venute in Italia consapevoli di esercitare la prostituzione, si trattenevano per il periodo del permesso turistico, viaggiando tra diverse case di prostituzione disseminate sul territorio italiano. Anche in questo caso non abbiamo riscontrato elementi per ritenere l'esistenza di una vera e propria organizzazione tra i gestori delle case di prostituzione, tuttavia vi era un interscambio per cui in ogni luogo le ragazze non si fermavano più di quindici Pag. 3477 giorni, con soddisfazione della clientela delle case di prostituzione locali. Anche in questo caso ho provveduto ad eseguire diversi stralci per mettere al corrente le varie procure interessate delle case di prostituzione, emerse nell'ambito delle indagini, esistenti sul territorio di loro competenza. Quanto al procedimento sulle nigeriane, che sto trattando attualmente (tema che sapevo essere trattato dalle procure di Brescia e di Bergamo, non anche da quella di Bologna) la dinamica dell'introduzione è stata descritta, perciò ve la risparmio. Da noi è emerso qualche altro elemento ricattatorio in più rispetto alla trattenuta del passaporto. In sostanza, al fine della restituzione dei 20 o 30, ora pare siano diventati 50, milioni necessari per l'introduzione nel territorio italiano - che non avviene sempre e direttamente dalla Nigeria, ma può verificarsi anche attraverso altri paesi europei quali l'Olanda e l'Inghilterra, dove in prima battuta vengono trasferite queste persone - un altro strumento ricattatorio è per esempio un elemento "magico". Le nigeriane sembrano più atterrite dai riti voodoo celebrati nei loro confronti piuttosto che dal ritiro del passaporto o dalla mancanza del permesso di soggiorno. Dei riti voodoo è stata trovata traccia durante le perquisizioni e sono stati sequestrati feticci, lucchetti con chiave e fotografia annessa e altro. Per noi questi oggetti hanno un significato culturale difficile da apprezzare e capire mentre queste persone ne sono terrorizzate. FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali. Mi pare sia stato aggredito un poliziotto perché volevano strappargli il cuore. PRESIDENTE. Mi scusi, ma questi riti voodoo sarebbero fatti dagli sfruttatori nei confronti delle ragazze che volessero sottrarsi... ANDREA BECONI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Genova. Alcune hanno raccontato che vengono fatti, in prima battuta, già in Nigeria, ossia nel luogo di partenza... PRESIDENTE. A quale scopo? ANDREA BECONI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Genova. Allo scopo di garantire la restituzione dei soldi che vengono anticipati per il viaggio. Non sempre viene loro detto che in Italia eserciterebbero la prostituzione; anzi, normalmente le ragazze vengono attratte con la promessa, il miraggio di un lavoro più o meno legale. In Italia, questi riti vengono ripetuti dalle singole sfruttatrici; credo che ciò sia legato a delle figure che hanno questa capacità di gestire tali riti. L'altro elemento ricattatorio che è emerso, ovviamente non generalizzato per la sua intrinseca natura, ha riguardato il caso di un bimbo appena nato, trattenuto dalla sfruttatrice come pegno, come strumento di ricatto. E' poi intervenuto il tribunale dei minorenni. Questa è la punta dell'iceberg. Recentemente vi è stata anche una denuncia da parte della divisione di ginecologia dell'ospedale di Sampierdarena: si è notato negli ultimi tempi un aumento clamoroso degli interventi di interruzione volontaria di gravidanza, soprattutto da parte di extracomunitari, e in particolare di nigeriane. Evidentemente, l'esercizio della prostituzione da parte di queste persone, che diventano sempre più numerose, e che evidentemente non fanno ricorso nemmeno agli strumenti normali di protezione, provoca questo tipo di conseguenze. Se sul piano legale c'è un aumento delle interruzioni volontarie di gravidanza, non oso pensare a cosa possa accadere sul piano non legale. FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali. So perfettamente che gli ospedali, che hanno l'obbligo di ricevere tutte le persone che hanno diritto alle cure (per quest'anno è stata anche rinnovata una convenzione con il ministro della sanità), stanno compiendo un altro gesto, ossia quello di segnalarle alle Pag. 3478 questure, per cui queste che hanno paura di essere espulse e rimpatriate si rivolgeranno alle mammane e non più agli ospedali. ANDREA BECONI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Genova. D'altra parte noi ci siamo trovati dinanzi ad alcuni casi in cui la persona che si presenta per sottoporsi all'interruzione volontaria di gravidanza presenta, normalmente, un passaporto non proprio ma di altra persona. Evidentemente i controlli effettuati dalla struttura amministrativa ospedaliera sono molto blandi. Questi episodi di sfruttamento si sono, specialmente negli ultimi due anni, moltiplicati e credo che all'interno del nostro ufficio almeno cinque o sei sostituti si siano occupati di denunce a piede libero o in stato di fermo nei confronti di donne nigeriane per sfruttamento della prostituzione. Ci siamo posti il problema di vedere se alla base dei vari casi di sfruttamento non vi fosse un minimo comune denominatore. All'interno di un mio fascicolo (credo che riguardi uno degli ultimi casi accaduti) si è dato inizio ad un discorso più approfondito per cercare di andare al di là del singolo caso di sfruttamento della prostituzione. E' qui che sono cominciate le difficoltà, che volevo in qualche modo illustrare. Si tratta anzitutto di difficoltà di ordine operativo. Questo tipo di indagini viene di solito effettuato dagli uffici stranieri delle questure; normalmente viene delegato. Magari in prima battuta sono le volanti che procedono, lungo le strade, a fermi o arresti a seguito di resistenze, lesioni e altri reati riguardanti nigeriane; successivamente, però, le indagine vengono delegate agli uffici stranieri delle questure. A Genova - ma ritengo che la situazione sia generale - tali strutture, dal punto di vista della polizia giudiziaria, sono certamente carenti, non hanno servizi e soprattutto non hanno personale. Per fare un'indagine di questo tipo il dirigente dell'ufficio stranieri della questura di Genova ha dovuto richiedere personale da altre sezioni, provocando le ire dei rispettivi dirigenti. Tale personale viene impiegato da due o tre mesi, per cui ormai bisogna cercare di chiudere le indagini perché non c'è più la possibilità di trattenere oltre tale personale. Cosa è emerso da questa indagine? La conferma, in qualche modo, dei sospetti che dietro ci dovesse essere qualcosa di più; ma si tratta pur sempre di sospetti o di indizi molto blandi. Con l'arresto di alcune di queste sfruttatrici, diverse nigeriane hanno cominciato un po' a rompere il muro di omertà che normalmente vige al loro interno. Hanno così cominciato a fare i nomi delle persone che le hanno aiutate ad entrare in Italia e che le hanno aiutate ad inserirsi nel giro della prostituzione, accompagnandole sul posto, poi sfruttandone i relativi proventi e spesso ledendone l'integrità fisica, tutte le volte che per un qualche motivo - anche solo per malattia - qualcuna di loro non si fosse recata sul luogo del lavoro. Questo tipo di indagini ha portato ad individuare, come conoscenza comune di numerose donne nigeriane che hanno parlato e come conoscenza comune di alcune delle donne indicate come sfruttatrici di queste nigeriane, delle persone che sono legittimamente presenti sul territorio italiano, spesso integrate anche in attività economiche, in quanto componenti di società, non saprei dire se operanti concretamente, ma regolarmente denunciate presso la camera di commercio, persone il cui ruolo appare esclusivamente quello di costituire un punto di riferimento dell'intera comunità. In altre parole, difficilmente emerge che queste persone ricevano i soldi delle prostitute o delle sfruttatrici delle prostitute; non c'è un coinvolgimento diretto nell'attività delinquenziale e nel reato commesso dalle sfruttatrici; costituiscono un punto di riferimento sociale, direi. Se c'è una difficoltà nel trovare casa, ci si rivolge a Tizio; se c'è una difficoltà a trovare lavoro, ci si rivolge ad una certa signora. Queste persone hanno un certo carisma (vengono chiamate "papà" e "mamma"). Lei è una ex prostituta che non Pag. 3479 esercita più; lui è un personaggio che ha determinate caratteristiche di prestigio (non ne faccio i nomi perché siamo ancora in sede di indagini preliminari, peraltro non è ancora aperto un modello 21, questo per dirvi quanto siano scarsi gli elementi a carico di tali persone). Probabilmente tali persone costituiscono l'elemento di collegamento; vedremo a cosa porteranno le indagini, ma certamente c'è un qualcosa che unisce tutti i singoli casi di sfruttamento. Non è un caso che nelle varie città, come abbiamo sentito oggi, la metodologia di ingresso e di sfruttamento sia sempre la stessa. Si parla sempre dei 20 o 25 milioni, del trattenimento del passaporto, dei voli diretti alla Nigeria, del cambio delle fotografie sui passaporti. Non può dunque trattarsi di un singolo soggetto. Forse i singoli soggetti operano localmente; il problema è quello di identificare un tipo di attività associativa, ma non so se riusciremo a farlo proprio per le difficoltà di carattere investigativo cui facevo riferimento. Difficoltà che non sono soltanto di struttura operativa e di personale, ma riguardano anche il ricorso a certi strumenti. In primo luogo mi riferisco alla difficoltà dell'uso dei normali strumenti investigativi, come ha detto poc'anzi un altro collega. Quello delle intercettazioni, per esempio, potrebbe rilevarsi assai utile, ma in questo caso non viene nemmeno preso in considerazione. C'è poi una difficoltà di identificazione, su cui non mi soffermo. C'è altresì una difficoltà nel rintracciare le persone, soprattutto quelle lese. Infatti, non appena viene fuori un episodio del genere, le parti lese vengono immediatamente fatte sparire. Uno degli interventi solitamente posti in essere dall'organizzazione è quello di cercare di convincere, con le buone o con le cattive, le persone ad andare via tutte le volte che queste risultano essere coinvolte in un procedimento o in un'inchiesta condotta dalla polizia. Quando si sa che una persona ha sporto denuncia, ha parlato, si cerca di convincerla ad espatriare immediatamente. La conseguenza è quella di rendere ancora più difficile, qualora vi fosse la necessità di avere dei chiarimenti, di allargare le indagini e di sapere qualche altra notizia, il reperimento di quella persona. Tutto ciò senza poi contare le difficoltà di carattere processuale e dibattimentale. Altra difficoltà è quella di carattere culturale. Da parte degli investigatori a volte non si riesce a cogliere ciò che può costringere una persona ad una completa soggezione. Sono emersi, infatti, anche episodi di compravendita tra persone di diverse città. Per esempio, c'è stato uno scambio tra sfruttatrici di Torino e Genova; una persona che è stata venduta ad un certo prezzo ed è stata poi nuovamente ceduta all'originaria sfruttatrice. Sotto il profilo della qualificazione giuridica si tratta anche di vedere se non vi sia qualcosa di più del reato di sfruttamento; se cioè non si possa addirittura parlare del reato di riduzione in schiavitù. Però la difficoltà è proprio di carattere culturale nel cercare di comprendere il significato degli strumenti usati per la costrizione, la vita, la mentalità completamente diversa. E' difficile riuscire a scavare, anche a causa del normale silenzio opposto quasi sempre dalle persone che sono oggetto di indagine o che dovrebbero collaborare alle stesse. PIETRO GIORDANO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Premetto che l'organizzazione della nostra procura, pur essendo formata per gruppi, per pool, non prevede uno specifico gruppo per questa materia. E' tuttavia stato creato un apposito gruppo, variamente denominato ma incentrato sui reati che hanno per oggetto la violenza sui minori, sulle donne e in generale sui soggetti deboli. A tale gruppo appartengono due colleghi che mi hanno quest'oggi accompagnato. Questi si soffermeranno sull'attività di tale gruppo. Roma, oltre alla caratteristica, che ben comprendete, della dimensione della città capitale e dell'essere ovviamente il centro di tutti i poteri statali, è, dal punto di vista che Pag. 3480 ora ci interessa, contemporaneamente transito, meta finale e frontiera (almeno frontiera aerea). Non va sottovalutato il fatto che Roma sia sede di transito, quanto meno per l'entroterra. I circondari di Velletri e di Latina registrano molti fenomeni criminali, più o meno marcati, ma certamente anche marginali. E' certamente meta finale per gli ingressi di tutti i lidi italiani ed è certamente frontiera aeroportuale internazionale specialmente per l'introduzione della droga. A Roma, l'attenzione da parte della procura nei confronti di casi di violazione della cosiddetta legge Martelli è stata piuttosto sollecita ma ha dato scarsi risultati. Gli inizi sono stati addirittura classici. Il primo processo, in cui ho svolto il ruolo dell'accusa, ha riguardato un gruppo di marocchini, accompagnato da un algerino che li presentava come turisti; questi si spacciava come operatore turistico. Ma era sufficiente vedere in fotografia i marocchini vestiti da turisti per capire che si trattava sostanzialmente di braccianti agricoli. Vi furono anche problemi procedurali, perché fu uno dei primi casi in cui le sommarie informazioni assunte sul predellino dell'aereo valsero in dibattimento, in quanto i marocchini furono immediatamente rimpatriati. Roma sconta anche difficoltà interpretative - si tratta di un giudizio personale - da parte del tribunale che, nelle poche volte in cui si è trovato a trattare violazioni alla legge Martelli, ha stentato a recepire quello strumento farraginoso - scusate, ma io tale lo giudico - che è il comma 8 dell'articolo 3, nel quale sostanzialmente si delinea un reato di favoreggiamento che, per la solita difficoltà interpretativa e per quella dell'accusa di dimostrare, favorisce la commissione di qualcosa che reato non è. A Roma vi sono poi fenomeni, alcuni conclusi, altri in via di sviluppo, certamente gravidi di interesse. Ricorderete tutti la Pantanella, uno dei rari casi di insediamento sul territorio nel pieno del tessuto urbano di una grande metropoli, una sorta di situazione controllata e tollerata dalle forze di polizia in cui la criminalità si atteneva a livelli veramente minimi (quasi da fantascienza) di sopravvivenza, perché l'omicida era sempre a un passo dalla rissa. Comunque, tutta questa vicenda è culminata nello sgombero della Pantanella, che avvenne in modo del tutto incruento; vi furono circa 200 o 300 ricorsi contro quelle espulsioni, ma nessun fatto di sangue e solo 3, 4 o 5 denunce contro poliziotti per maltrattamenti, riguardanti soprattutto la fase in cui le persone ospiti della Pantanella furono portate a Castro Pretorio per l'identificazione. Altro fenomeno tutto in fieri al quale accenno soltanto è quello del completamento della costruzione della moschea. Non sembri peregrino, ma è noto che in grandi città come Parigi e Londra l'esistenza da tempo di un centro culturale funge da placebo sociale per la gran parte di quei flussi migratori che si riconoscono nella religione islamica e che usano quel centro come punto d'aggregazione ma anche come soluzione ordinata, ordinaria e lecita di numerosi problemi che spesso non vengono risolti, donde il ricorso anche a strutture illegali pur di risolverli. A Roma, ovviamente, vi sono tutti i flussi migratori, da quello nordafricano a quello dall'est (diversificato tra quello dal vicino est e quello dall'estremo oriente) a quello dei cinesi e dei sudamericani. In proposito, è difficile classificare e quantificare, anche perché non disponiamo di una mappa completa. L'ufficio stranieri è stato trasformato nella divisione stranieri per la pletoricità dei compiti e la quantità di lavoro ad esso assegnato; il dirigente è sempre lo stesso e credo che altrettanto valga anche per il personale che vi presta servizio. Per trattare alcuni di questi argomenti solo a volo d'uccello, desidero far presente che l'immigrazione cinese a Roma ha avuto varie scansioni temporali, nel senso che si è cominciato dall'aspetto softcore della presenza criminosa dei cinesi, cioè dalla violazione della legge Martelli attraverso falsi nei passaporti, nel flusso di passaporti in uscita per via Pag. 3481 postale ed in rientro con una nuova fotografia attaccata. Che vi fosse un legame tra quello che ho definito un livello morbido e la realtà ufficiale, ordinaria della presenza cinese in Italia è dimostrato dal fatto che all'epoca, pur dopo molte sofferte riflessioni, fu disposta la perquisizione di alcuni locali di Italia-Cina, che è uno degli organi ufficiali dell'amicizia italiana-cinopopolare in Italia. Per continuare la metafora, il livello hardcore del fenomeno è stato trattato dalla stampa che ha parlato di mafia cinese a Roma e la vicenda è stata seguita da un collega che oggi non è presente. Il forte legame con la realtà ordinaria e lecita dei cinopopolari è dimostrato dal fatto che è stato arrestato - non so attualmente in quale condizione si trovi - Zui Ping, che è il capo riconosciuto della comunità cinopopolare in Roma, per espressa dichiarazione, non come risultato di indagini, perché quest'ultimo si è sostanziato in una misura cautelare. Vi è, infine, un terzo modo di presentarsi del fenomeno piuttosto isolato (di certo a me ne risulta uno pervenuto al dibattimento): quello della corruttela della questura. Fu un processo che fece un certo scalpore, ma il fatto singolare era che in quel caso l'"intraneo" all'amministrazione era ignoto, quindi i cinesi rispondevano di corruzione in concorso con ignoto intraneo all'amministrazione. In sostanza, la parte più succulenta era sfuggita alle indagini. Molti, anche in questura, sono convinti che vi siano - cerco di sintetizzare in mancanza di dati dettagliati - due fasce fondamentali di ingressi clandestini: una diretta comunque all'occupazione lecita, intendendo con tale espressione il lavoro, che è comunque lecito al di là del modo di ingresso; l'altra diretta ad occupazione del tutto illecita. La prima è decisamente fuori del controllo della polizia, che la tollera totalmente, può avere su di essa qualche dato quantitativo e che è diretta - non sottovalutatelo - anche all'entroterra laziale, come ho già detto il velletrano, tutta la provincia di Latina o anche solo l'entroterra romano, dove questa massa di clandestini viene adibita all'agricoltura. Vi è poi una grandissima occupazione illecita nei vasti campi della droga e della prostituzione. Vi è inoltre una fascia intermedia tra questi due grandi filoni, quella che crea problemi di ordine pubblico: le comunità anche piccole (penso a quelle, pur operose, dello Sri Lanka e della Polonia) creano però problemi di ordine pubblico che poi sfociano nelle nostre aule come reati di rissa o di ubriachezza o come episodi di intolleranza razziale ma extraitaliana, ad esempio pakistani con egiziani, e via dicendo. Per fare un passo indietro e tornare alla mafia cinese, il dato per il momento (rispondo all'onorevole Violante che a questo aveva prima accennato), stando a quanto mi è stato riferito poiché, ripeto, non abbiamo un pool adibito esclusivamente all'immigrazione clandestina, è che il fenomeno sia cinese su cinese, nel senso che, come rilevavo in precedenza, tale fenomeno di alta criminalità sia comunque non disgiunto da quello della bassa criminalità. Normalmente l'iter è quello di essere arruolati dalla cosiddetta mafia cinese e quindi svolgere attività nel campo delle estorsioni o del racketing; poi, via via, in seguito ad una sorta di promozione, si può aprire il ristorante o l'esercizio commerciale, ma si è sempre controllati sia economicamente sia socialmente dalla parte più criminale dell'organizzazione. Quanto al problema dei controlli, sollevato da alcuni colleghi, vorrei rilevare che forse a Roma il fenomeno è meno marcato rispetto ad altre città, ma tutti abbiamo la certezza che la gran parte degli ingressi avvenga o su strada (per cui il controllo è quasi impossibile), ad esempio dai varchi di Trieste; perfino la nostra prima indagine sui cinesi iniziò da un arresto a Trieste. Tali ingressi su strada avvengono in roulottes o camper; i colleghi vi diranno di casi di prostitute fatte entrare clandestinamente e materialmente coperte alla vista di un eventuale controllore. Vi sono poi gli ingressi per mare: il flusso dai paesi arabi passa molto Pag. 3482 spesso dalle coste del sud ed anche in questo caso il controllo è quasi impossibile. Sicuramente - vi ho già accennato prima - vi è poi il fenomeno del riutilizzo dello stesso documento cartaceo che esce dall'Italia per posta e rientra con un'altra persona e con una fotografia più o meno probabile. Vi sono dei controlli, alcuni vengono fermati alla frontiera, ma i dati quantitativi che ci vengono forniti dalla polizia di frontiera possono essere considerati alla stregua della punta di un iceberg. In secondo luogo, mi è sembrato molto interessante - e ne faremo certamente tesoro - ciò che ha detto il collega di Brescia. La realtà romana non ha applicato assolutamente questo criterio alquanto sconfortante, ed in proposito porto un esempio: la famosa signora Maria, che era l'apparente titolare di circa 200 esercizi come "La casa del dragone" ed altri e di lavanderie a Roma, finalmente portata in giudizio e condannata in primo grado ad una pena tutto sommato mite, non ha avuto alcun trattamento particolare in sede tributaria. Abbiamo inviato alla Guardia di finanza l'elenco dei 200 esercizi a suo nome, essendo evidente il sospetto che qualcosa bisognasse fare, ma vi è stata grande freddezza da parte della Guardia di finanza; forse in questo caso abbiamo scontato anche il nostro non essere organizzati nei confronti del fenomeno nel suo insieme. Questi in linea di massima i dati che non siamo in condizioni di quantificare particolarmente. Quanto al lavoro del pool relativamente ai reati di violenza, ne parleranno i colleghi qui presenti. DIANA DE MARTINO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Come ha già accennato il collega, a Roma è stato recentemente costituito un gruppo di lavoro che si occupa, tra le altre cose, anche del traffico della prostituzione. In questa sede è già stato detto moltissimo in proposito e quindi non ripeterò ciò che è già stato sottolineato. Direi che la nostra esperienza è sostanzialmente sovrapponibile a quella che ha ben illustrato il collega di Bologna, nel senso che anche a Roma vi sono aree di competenza: le nigeriane battono nella zona di Magliana, i transessuali brasiliani a Roma nord, mentre nella zona dell'Eur vi sono soprattutto polacche e comunque donne provenienti dai paesi dell'est. Anche per la nostra esperienza lo sfruttamento è omogeneo, nel senso che l'introduzione in Italia ed il vero e proprio sfruttamento vengono compiuti da connazionali, ad eccezione forse delle donne provenienti dai paesi dell'est che vengono introdotte da connazionali ma poi, come qualcuno ha ricordato, vengono cedute ad organizzazioni di nomadi di origine slava. A mio avviso, questo è il fenomeno più grave e preoccupante, almeno stando alla nostra esperienza, perché, mentre in Nigeria o in Brasile la prostituzione è estremamente diffusa e vi è quindi una sorta di accettazione da parte delle donne o dei transessuali che arrivano in Italia nei confronti di questo tipo di lavoro, l'esperienza ci dice cose molto diverse per le donne dei paesi dell'est, che di solito vengono introdotte con la prospettiva di lavorare nei night come ballerine o cameriere, nei bar o nei locali pubblici e poi immediatamente, appena arrivano, vengono violentate da tutti i componenti della banda di slavi, in modo da togliere loro ogni remora d'ordine morale, e poi buttate per strada. Le modalità sono violentissime, perché le donne durante il giorno vengono segregate in carrozzoni, in una sorta di camper situati nei campi nomadi e poi portate a battere. Viene imposto loro un tetto di clienti che debbono assolutamente avere (qualcuna parla di 50-60 rapporti sessuali a sera, per di più per retribuzioni bassissime) e poi ritirate la sera. Ripeto che questo è senz'altro l'aspetto più grave ed inquietante del fenomeno. Come si può affrontare? Com'è stato già ricordato, le indagini sono difficilissime ed è quanto mai esigua la modalità operativa, posto che le intercettazioni telefoniche non esistono, le infiltrazioni Pag. 3483 sono impossibili da attuare e gli appostamenti quanto mai difficoltosi perché le donne sono tenute nel campo nomadi. Addirittura, in un processo di cui mi sono occupata è emerso che esse erano sorvegliate da cani e che venivano alimentate passando loro il cibo attraverso la porta del camper per evitare che chiunque le vedesse. Quindi, l'unica modalità operativa investigativa è quella delle dichiarazioni della parte lesa. Gli agenti delle volanti, come intervento di routine, intervengono nel momento dello sfruttamento della prostituzione, quando la donna consegna i soldi allo sfruttatore che, durante la serata, passa ciclicamente, oppure nel momento in cui si vede che la donna è sorvegliata ed operano l'arresto della persona, anche se naturalmente questi non è il capo dell'organizzazione, ma solo uno degli emissari. Una volta operato l'arresto, si porta in caserma la ragazza, la quale in qualche circostanza non è terrorizzata al punto da non voler rendere le dichiarazioni da cui abbiamo tratto queste convinzioni. La difficoltà fondamentale è poi quella di dove collocare le donne che hanno reso queste dichiarazioni. A Roma non vi sono molte strutture disposte ad accoglierle e questo è un problema centrale perché, non avendo la possibilità di toglierle dal circuito della prostituzione, le ragazze rimangono in qualche modo nel raggio d'azione dell'organizzazione e quindi, se il loro sfruttatore è detenuto, prima o poi arriva una lettera in carcere, di solito una lettera d'amore di questa ragazza, in cui esplicitamente si fa capire che il rapporto sentimentale presunto è ancora in piedi, cosa che serve a vanificare le dichiarazioni rese. E' vero che si può applicare l'articolo 512-bis e che quindi si possono utilizzare le dichiarazioni prodotte, ma regolarmente la ragazza non si trova più e questo produce effetti devastanti dal punto di vista processuale unitamente a questa sorta di ritrattazione epistolare. Quindi, un problema fondamentale che desidero segnalare è quello di individuare la possibilità di canali privilegiati per collocare le donne che decidono di fare questa scelta. Ancora più difficile si presenta ovviamente la situazione quando le donne, in qualche caso eccezionale, approfittando di un momento di allentata sorveglianza, riescono a liberarsi e quindi vengono a presentare la denuncia. La situazione - dicevo - è ancora più difficile perché nella maggior parte dei casi le donne non conoscono i nominativi dei loro seviziatori (parlano di Tarzan, di Hrustic, di Alukic e così via); diventa quindi difficilissimo emettere una misura cautelare ed è quasi ridicolo pensare ad un incidente probatorio con notifica al campo nomadi nei confronti di Tarzan. Per quanto riguarda il fotosegnalamento, desidero innanzitutto rilevare che non vi è alcun collegamento con gli istituti di pena, visto che le impronte prese da questi ultimi non vengono mai trasmesse alla divisione centrale di polizia scientifica. Ricordo che l'arrestato viene prima fotosegnalato presso la locale questura. La questione avrebbe pertanto un'importanza relativa, se non che a Roma, e credo anche in qualsiasi altra città, vi è un archivio che ha una dimensione regionale (quello che comprende Roma mi pare copra anche l'Umbria) e le risposte provenienti da questo archivio richiedono un tempo di attesa di due-cinque giorni. Ma quello che è fondamentale è che l'archivio centrale, che si trova presso la divisione centrale di polizia scientifica e raccoglie i cartellini segnaletici di tutta l'Italia, ha invece tempi di risposta molto più lunghi; inoltre - fatto forse ancora più preoccupante - è che anche i tempi di inserimento sono lunghi: la trasmissione dalle questure locali all'archivio centrale è molto lenta. Tra l'altro, se i tempi di risposta sono lunghi per la procura di Roma, posso immaginare quali saranno per le procure decentrate. Infine, per quanto riguarda il segnalamento alla frontiera attraverso la rilevazione dattiloscopica, si tratta certamente di un fatto utile, però innanzitutto Pag. 3484 si perde ovviamente tutta la grandissima tranche di clandestini, che nessuno mai segnalerà. Inoltre, quando viene arrestato il solito Amilovich, è certamente utile sapere quando sia entrato in Italia e se abbia dato un altro nome, perché questa è già un'indicazione, ma quello che per noi è fondamentale è vedere se quella persona sia già stata denunciata, se abbia già commesso reati sotto altri nomi. Pertanto, quello che a mio avviso è fondamentale è incrementare e velocizzare l'archivio della divisione centrale. NICOLA MAJORANO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Mi resta, per la verità, poco da aggiungere rispetto a quanto già detto dalla collega. Traggo comunque un elemento di conforto dal confronto di questa mattina, perché constato che tra la realtà di Roma e quelle di Bologna e di Genova, soprattutto stando a quanto hanno affermato i colleghi, vi sono molti tratti comuni. Per quanto riguarda quello che era il mio sconforto iniziale, basato sul fatto che la nostra attività si fermava sempre all'episodio singolo, vedo che anche altrove si verifica la stessa cosa. L'elemento di conforto consiste invece nel fatto che la tendenza, da parte di tutti, è quella di cercare di capire quali siano i tratti comuni, i flussi ed anche le persone che probabilmente capeggiano queste organizzazioni. Infatti, più o meno tutti sospettiamo che il fenomeno possa essere ricondotto, non dico alle stesse persone, ma ad organizzazioni criminali. Debbo dire che a Roma, per quanto riguarda un'ipotesi investigativa, non abbiamo trovato una risposta molto confortante da parte delle forze dell'ordine: i nostri contatti con la questura (abbiamo cominciato con loro) tendevano proprio a sensibilizzare questa forza di polizia ad intervenire sul territorio in maniera non così frazionata. Dopo che la nostra procura si era dotata di uno strumento agile (di un pool composto da tre persone), volevamo avere nella questura un referente altrettanto agile, che potesse darci questo tipo di risposta: innanzitutto, predisporre una mappa della prostituzione a Roma. Ci siamo accorti che i singoli commissariati si sono dotati di una loro mappa, perché a Roma vi è una suddivisione del territorio molto "fiscale". PRESIDENTE. E' quella cui accennava la dottoressa De Martino? DIANA DE MARTINO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sì, esattamente. NICOLA MAJORANO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sappiamo che gli albanesi, che si distinguono nell'attività di sfruttamento violento della prostituzione, hanno a Roma due strade consolari di loro esclusiva pertinenza. Sappiamo inoltre che gli iugoslavi, o ex iugoslavi, si muovono tra la via del Mare e la via Appia. Tutta questa serie di ripartizioni sul territorio sfugge però ad un quadro complessivo e noi purtroppo non abbiamo ricevuto una risposta neppure in termini concreti, di strumenti, da parte delle forze di polizia, nonostante il nostro input investigativo sia più volte arrivato. Ci troviamo quindi di fronte al singolo processo, con le tre o quattro ragazze la cui provenienza è sempre la stessa (le ragazze sfruttate sono ex iugoslave, polacche, ungheresi, cecoslovacche e, in misura minore, romene) che arrivano, come si è detto, attraverso i varchi nord orientali (Austria, ex Iugoslavia e Trieste, attraverso il confine con la Slovenia). I centri di smistamento sono sempre gli stessi (Milano e Bologna), dove queste persone pervengono e da dove sono poi cedute o inviate al grande mercato di Roma, in cui agiscono determinati soggetti, in particolare gli albanesi, che sembrano - come dicevo prima - i più efferati in questa attività, che spesso determina la consumazione e la contestazione di reati come quelli - lo rilevava già la collega - di violenza carnale, sequestro di persona, estorsione; in un Pag. 3485 caso è stata contestata addirittura la riduzione in schiavitù, proprio perché la limitazione delle libertà di queste ragazze era tale da indurre la terza collega che fa parte del pool, che oggi non è presente, a contestare quel capo di imputazione. Il processo non si è ancora svolto e vedremo in seguito quale sarà il vaglio processuale. La prostituzione porta quindi alla consumazione di molti altri gravissimi reati; tra l'altro, notiamo che attualmente a Roma anche gli zingari hanno cominciato a praticare questa attività di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, che è abbastanza fuori dalla loro mentalità. A me infatti è capitato il caso di un campo nomadi in cui venivano tenute, con le modalità già descritte (quindi molto restrittive e selvagge) sette o otto ragazze ex iugoslave, non zingare. FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali. E' da qui che si è introdotta l'anomalia, perché sono partiti da non zingare. NICOLA MAJORANO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sì, sfruttando non zingare. Gli zingari praticavano altri tipi di attività, lecite o criminose: a Roma li conosciamo come calderai e giostrai, mentre ora si stanno inserendo anche loro su questo mercato, perché esso è sicuramente fiorente. Tra l'altro, come rilevava la collega, le prestazioni sessuali da parte di queste ragazze sono pagate con somme modiche (quindi, esse hanno un mercato anche in quanto la loro pretesa è molto bassa); però, vista l'attività frenetica che esse svolgono, perché costrette, attraverso doppi turni (dalle 14 alle 20 e dalle 22 alle 2 di notte - questo non è un caso isolato perché cerco sempre di individuare le linee generali -), alla fine della giornata portano a casa tra le 500 e le 800 mila lire, che vengono immediatamente versate nelle tasche del o degli sfruttatori, i quali provvedono al loro mantenimento, il che significa dare loro da mangiare e da vestire, anche con abbigliamento ricercato, in virtù del tipo di lavoro che svolgono. Si tratta di ragazze molto giovani e quindi, anche in considerazione di questo, oltre che per la controprestazione che richiedono, hanno una clientela vasta; abbiamo tra l'altro la buona abitudine di sentire queste ragazze nell'immediatezza dei fatti, anche perché - come ha rilevato la collega - le ritrattazioni sono molto frequenti. Per quello che può valere sul piano processuale, le sentiamo immediatamente e constatiamo che si tratta di ragazze completamente disorientate, buttate per strada con una violenza ed una crudeltà uniche. Non intendo drammatizzare il problema ma voglio soltanto drammatizzare il fatto che vi è probabilmente una sottovalutazione del fenomeno, perché la prostituzione fa un po' ridere. Spesso la collega De Martino ed io abbiamo avuto modo di dolerci con il procuratore perché i colleghi ci chiamano "violentatori" e così via, forse perché verso questo tipo di reati non vi è un'adeguata sensibilità. Naturalmente, non rivendico all'attività che svolgo una particolare nobiltà, ma voglio soltanto sottolineare l'atteggiamento delle forze di polizia; in particolare, il nostro primo contatto é stato con la settima sezione della squadra mobile, che ha una struttura organizzata, trattandosi della vecchia buoncostume che adesso si è riciclata e si occupa di gioco d'azzardo e di prostituzione. Però la risposta del questore in prima persona non è stata probabilmente così attenta a questo tipo di fenomeno, che forse viene sottovalutato. Cosa c'è dietro la prostituzione? Consideriamo, per esempio, i brasiliani, il fenomeno dei viados, dei travestiti, dei transessuali, che penso abbia a Firenze una grande rilevanza, così come la ha anche a Roma. Questi soggetti portano gravissimi problemi di droga perché sono persone che ne fanno uso e al loro interno ne spacciano. Rispondendo ad una domanda del presidente, devo rilevare che in questo settore non vi è invece spazio per i cinesi, Pag. 3486 o almeno non ne ho mai sentito parlare, sulla piazza di Roma, per quanto riguarda in particolare lo sfruttamento. ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Brescia. Non hanno tempo. NICOLA MAJORANO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. A sentire il collega di Brescia, i cinesi hanno attività più lucrose a cui dedicarsi, ma penso che sia anche difficile inserirsi nel mercato della prostituzione di strada a Roma. Un'altra caratteristica consiste nel fatto che ormai a Roma la prostituzione di strada viene effettuata da straniere, mentre le italiane non sono più sulla strada ma operano in strutture più coperte, che è quasi più difficile individuare: i centri estetici, per esempio. Questi sono l'ultima novità per quanto riguarda lo sfruttamento della prostituzione italiana, che non si è ridotta ma si è soltanto "ricoverata", è salita di livello e viene esercitata più o meno in case chiuse, la cui forma più recente è - appunto - quella dei centri estetici. Per quanto riguarda l'attività di polizia giudiziaria, purtroppo il rapporto con le forze di polizia a Roma è difficile, perché non abbiamo la possibilità di conoscere tutti i singoli operatori, dal maresciallo della piccola stazione al commissario. La nostra raccomandazione è quella di non arrivare subito al risultato di servizio (questo confligge con il loro interesse) ma di svolgere un'attività più vasta, che porti a conseguire risultati maggiori proprio per collegare quelli che sono sicuramente i fili di un'unica matassa. PRESIDENTE. Vi sono casi di perquisizioni a sorpresa in campi nomadi? NICOLA MAJORANO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Purtroppo l'attività della polizia giudiziaria è sempre un po' legata al fatto singolo. La polizia non va molto volentieri nei campi nomadi; io, infatti, ho apprezzato un commissariato che a Roma ha cominciato a schedare (anche se il termine può essere brutto), a individuare le varie persone che si muovono all'interno di un campo nomadi, perché effettivamente l'attività di contrasto non è così efficace. Per quanto riguarda un'ultima considerazione, devo rilevare che i processi sono anche dedicati (la nostra attività non è solo investigativa ma ha anche una proiezione successiva), dal momento che, come rilevava la collega, le ritrattazioni sono all'ordine del giorno, anche perché, qualora lo sfruttatore venga poi beneficiato in qualche modo e torni in libertà, dispone di sistemi molto persuasivi per far cambiare idea a chi inizialmente l'ha denunciato. Da un lato, quindi, avvertiamo la necessità di approfondire tali processi e, dall'altro, di affrontarli nel più breve tempo possibile. Lo strumento del giudizio immediato riesce a volte a conciliare le due esigenze (se avessimo la risposta più pronta sarebbe meglio), proprio perché il trascorrere del tempo e soprattutto il ritorno in libertà, che prima o poi avviene, di questi efferati sfruttatori nuoce al giudizio stesso. Anche le prostitute, quindi anche le persone offese dal reato, fanno spesso perdere le loro tracce, quindi non è solo difficile inseguire... PRESIDENTE. Mi scusi, dottor Majorano, dopo l'interrogatorio la persona offesa se ne torna al campo nomadi? NICOLA MAJORANO, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Come diceva la collega, vi è una difficoltà nel trovare collocazioni diverse. Questo è un grosso problema perché, anche se in quel momento l'imputato è in galera, ci sono tutti i parenti che intervengono sulla sventurata per farle cambiare idea. Nel momento in cui l'imputato torna in libertà è difficilissimo infliggergli una sanzione e fargliela espiare, Pag. 3487 come del resto è difficile ottenere la presenza costante e sicura delle persone offese. ELIO COSTA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Crotone. Crotone è una piccola città e quindi le dimensioni del fenomeno non sono così vaste come a Roma o a Genova. La nostra esperienza riguarda soltanto due diverse organizzazioni. La prima è un'organizzazione serba che, più o meno con le modalità descritte dal collega che mi ha preceduto, ha condotto alcune donne bulgare in Italia, avviandole alla prostituzione a Crotone. La caratteristica di questa organizzazione è l'uso costante della violenza; siamo stati addirittura tentati di applicare la famosa norma sulla riduzione in schiavitù e solo per timore che in tribunale questa impostazione non potesse reggere, non l'abbiamo applicata; ci siamo quindi limitati semplicemente a colpire, ricorrendo all'articolo 416 del codice penale ed alle norme concernenti lo sfruttamento della prostituzione, l'intera organizzazione. Gli imputati sono ancora detenuti, è stato già fissato il procedimento che quanto prima dovrà essere celebrato. Anche per noi vi sono state difficoltà per assicurare la presenza delle donne, parti offese, al dibattimento siamo arrivati alla conclusione che forse, tutto sommato, il ricorso all'incidente probatorio è l'unico strumento per risolvere diversi problemi. PRESIDENTE. C'è stato il dibattimento? ELIO COSTA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Crotone. No, ancora non c'è stato. La stranezza di questa organizzazione è che di essa facevano parte anche due donne, che insieme ai loro uomini reclutavano con violenza ragazze bulgare che non erano nomadi, le introducevano in Italia attraverso la frontiera di Farnetti oppure attraverso il Tarvisio e le facevano arrivare a Crotone. L'epicentro dell'organizzazione era in un campo nomadi, da dove, nel tardo pomeriggio le ragazze venivano dislocate in paesi diversi, precisamente a Catanzaro Lido, a Catanzaro e a Copanello. La sera qualcuno provvedeva a riprendere le donne ed a riportarle a Crotone, dove veniva proseguita la gestione violenta, con l'uso di mezzi di coercizione. Ho portato le copie delle misure cautelari e dell'informativa, nell'ipotesi che potessero interessare i nomi. L'altra organizzazione è completamente diversa: è un'organizzazione internazionale con agenzie che fanno capo ad italiani, inglesi e polacchi, che si è occupata e continua in parte ad occuparsi in violazione della legge del 1986 ma anche della legge Martelli, dell'avviamento al lavoro mediante la preventiva stipula di due contratti di adesione. Il primo, sottoscritto all'estero, è un modulo di adesione per lavoro culturale e consiste in una serie di quiz, che vengono proposti alla ragazza, formulati in modo convincente in inglese ed in polacco: "Vorresti lavorare?", "Lasci la campagna o la città?", "Quando vuoi iniziare?", "Per quanto tempo?", "Mi puoi dare il nome, il cognome e l'indirizzo dei tuoi genitori?", "Hai avuto malattie?", "Mi dai la data di nascita?". PRESIDENTE. Sembra una cosa seria! ELIO COSTA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Crotone. Sì, è abbastanza serio come impostazione. L'altro è un vero e proprio contratto di adesione, attraverso il quale il titolare di un bar, di un villaggio turistico, di un negozio, di una discoteca, in cerca di manodopera sottopagata, si obbliga a corrispondere all'agenzia una certa somma, non appena il personale richiesto sarà arrivato sul posto di lavoro. Più o meno suona come segue: "Firmando questo contratto confermo che tratterò tutto il personale fornitomi dall'agenzia Union Center con il rispetto dovuto e che adirò ai termini di lavoro mostratimi. Confermo di pagare la quota di registrazione iniziale in lire 50 mila più IVA, valida per l'anno 1991, 1992, 1993 e così via". La Pag. 3488 quota di agenzia per ogni persona era di lire 350 mila. L'agenzia Union Center, è risultata collegata al Christopher Fuller, del quale ha parlato il collega, e che è il titolare del Centro culturale universale - questa è la denominazione - che si è occupato dell'immigrazione, non solo di cittadine extracomunitarie non di colore, ma a volte anche di cittadine provenienti da paesi facenti parte della Comunità. L'ingresso avviene mediante l'esibizione del passaporto turistico; dopo di che, poiché sono già stati stipulati i contratti di adesione, esse vengono portate con pullman da turismo in Cirò Marina e di qui dislocate in Calabria ed in Sicilia. Questa organizzazione è stata in grado di smistare almeno 1000 ragazze, quasi tutte studentesse, in Calabria ed in Sicilia; quando siamo intervenuti c'erano in Cirò 200 ragazze, alle quali venivano tenuti corsi di lingua inglese da parte di una signora polacca inviata dal Centro culturale universale. Ciascuna ragazza corrispondeva per entrare in Italia una somma che oscillava dai 100 ai 200 dollari; il datore di lavoro, la somma di lire 350 mila; l'orario lavorativo oscillava dalle otto alle dieci ore giornaliere per una retribuzione di circa 100 mila lire alla settimana. Era quindi un discorso abbastanza conveniente per il datore di lavoro, il quale aveva la possibilità, con una somma minima, di avere una dipendente per sette giorni, laddove invece il compenso ordinario sarebbe stato di 100 mila lire per un solo giorno. Anche contro questa organizzazione sono state emesse misure cautelari, ed il processo... PRESIDENTE. Con quale imputazione? ELIO COSTA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Crotone. Associazione a delinquere, violazione della legge del 1986 e della legge Martelli, e più specificamente dell'articolo 3 di tale legge che, con tutte le difficoltà interpretative, ci è sembrato l'unico strumento per colpire situazioni simili, anche se forse non era questa l'idea del ministro Martelli nel momento in cui ha voluto a tutti i costi quella determinata norma. Proprio ieri, discutendo con i sostituti del mio ufficio, siamo arrivati a conclusioni piuttosto pessimistiche: ci è parso di cogliere una certa demagogia nel modo con cui finora è stato affrontato il problema degli immigrati in Italia. Perlomeno a Crotone abbiamo vissuto il rapporto con gli immigrati in modo non esaltante: una parte era sfruttata da un'organizzazione straniera, l'altra è stata invece sfruttata costantemente da organizzazioni italiane. Probabilmente bisogna rivedere la posizione italiana in relazione all'intero problema. PRESIDENTE. Qualcuno vuole aggiungere qualche osservazione? ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Brescia. Visto che ci troviamo in sede di Commissione antimafia vorrei sapere se qualcuno è in grado di specificare i rapporti - se vi sono - anche di conflitto con le organizzazioni tradizionali italiane. PRESIDENTE. Ci sono indici di conflitto o di cooperazione? Credo che l'indice dovrebbe in realtà venire dalla Campania, dove c'è un raccordo tra camorra... FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali. Mi stupisce molto che non siano presenti magistrati della Sicilia, della Campania e della Calabria, perché credo che anche in quelle zone si siano verificati quei fatti. In particolare in Campania ci sono Villa Literno, Caserta... Per quanto riguarda Milano, vorrei sapere se si sia a conoscenza di un traffico di peruviane, del quale mi è giunta notizia da parte di religiosi che si sono occupati di costoro, nonché del fatto che, con un meccanismo abbastanza simile alle rimesse ai sikh di cui alle indagini svolte in Calabria, vi sarebbero state addirittura rimesse a Sendero luminoso. Pag. 3489 LICIA SCAGLIARINI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano. Nel mio primo intervento ho omesso di parlare di tutto il vasto campo della prostituzione e debbo dire, al termine degli interventi dei colleghi, che i processi anche di grande rilevanza che si sono svolti presso il tribunale di Milano hanno ripercorso passo passo tutte le descrizioni modali sentite dai colleghi; direi quindi che i meccanismi di analogia sono assolutamente veri. Per quanto riguarda le peruviane, debbo dire di aver anch'io orecchiato voci confidenziali; inoltre sono già stati eseguiti numerosi arresti nel periodo immediatamente precedente l'estate da parte di almeno due colleghi della procura, nei confronti di soggetti uruguaiani che adescavano, violentavano, introducevano in Italia e ponevano in commercio loro connazionali. Si trattava di un vastissimo traffico poiché la prima retata è stata di ben 17 persone a livello di organizzatori; un'altra retata è stata di sei e poi di otto persone. Questo per dare la dimensione dei "reggitori" e quindi delle persone gestite con modalità di assoluta brutalità, con episodi punitivi che hanno visto anche colpi di arma da fuoco; si sono anche inseriti sia episodi omicidiari e di tentato omicidio sia di scontro fra bande rivali, o perlomeno tra antichi complici poi diventati rivali per maggior lucro una volta giunti in Italia, sia episodi punitivi nei confronti dei ribelli. Per quanto riguarda le nigeriane, ho trattato anch'io episodi di lesioni fatte ai danni di queste donne proprio perché non si "ammorbidivano"; tuttavia, direi che il dato saliente nel milanese è rappresentato proprio dalla tratta delle uruguaiane, con caratteristiche di vera e propria tratta e con episodi di sangue estremamente violenti. Non ho idea se si sia già andati al dibattimento penale; tuttavia sono sicura che vi è già stato il rinvio a giudizio e credo che fra poco vi sarà anche la celebrazione del vero e proprio processo penale. Un altro caso del quale mi sono occupata personalmente è l'introduzione di brasiliane tramite i caratteristici riti voodoo, che servono a tenere ancora più sottomesse quelle povere donne; una di esse si è gettata dal terzo piano perché terrorizzata dalla prospettiva che alle sei del mattino dopo sarebbe arrivato lo stregone a farle il rito di magia nera, mentre la poverina sapeva fare solo la magia bianca e quindi non avrebbe potuto efficacemente opporsi. Effettivamente c'è un meccanismo subculturale che aiuta chi usa la forza a tenere praticamente sottomesse queste persone, anche usufruendo di altri meccanismi coercitivi e persuasivi. Vorrei, sia pure brevemente, parlare ora della riduzione in schiavitù dei minori di nazionalità straniera. La famiglia dei Hrustic è a noi nota grazie ai tanti processi a carico di componenti di questa famiglia in Corte d'assise per riduzione in schiavitù e nel corso del 1993 ulteriori fermi sono stati eseguiti, in quanto sono stati rintracciati in campi nomadi alla periferia di Roma componenti della famiglia Hrustic. E' un dato assolutamente pacifico che si tratta di persone specializzate nella tratta dei bambini zingari con i corollari che sempre si incontrano in questi casi: li rendono ciechi, storpi in maniera da poter raggiungere migliori risultati nel campo delle elemosine. Io stessa ho incaricato diversi consulenti di accertare la datazione delle lesioni che si riscontravano sui corpicini di questi bambini proprio per attestare la cronologia delle lesioni (ipotesi di maltrattamenti aggravati di tutti i tipi) fin dalle epoche più risalenti dell'infanzia e poi sempre continuate. In questi casi non abbiamo avuto soverchie difficoltà nel rubricare la riduzione in schiavitù, anche perché l'intervento effettuato efficacemente dall'ufficio stranieri, spesso trasferitosi anche a Roma per inseguire i nomadi nei loro spostamenti, ha consentito di cogliere sul fatto le condizioni brutali di vita in questi campi. E' ovvio che il riscontro diretto, fotografico o comunque a livello di sopralluogo, il cogliere questi bambini con segni di lesioni recentissime, ancora scoperte, indubbiamente corrobora la dichiarazione Pag. 3490 del bambino stesso che, opportunamente distolto da quell'ambiente con grande fatica, si apre con gli operatori e comincia a riferire tutto ciò che ha dovuto subire dall'infanzia. A tutto ciò si associa il discorso necessario sull'incremento e sul miglioramento dei centri di accoglienza sia per donne sia per minori. Una piccola notazione che sento di dover fare è che spesse volte gli uni non possono andare dove sono le altre; cioè, i centri di accoglienza per le giovani donne sono vietati ai minori e viceversa. In questo modo spesso si finisce per interrompere il rapporto madre-figlio, zia-nipote, che comunque consente di conservare quel minimo di famiglia. Sarebbe opportuno, quindi, individuare forme di accoglienza, di assistenza che consentano di tenere aggregati quelli che possono rimanere tali. Pertanto, il capofamiglia o il torturatore dovrà essere debitamente assicurato alle patrie galere, mentre gli altri dovrebbero avere l'opportunità di riaggregarsi, di ritrovarsi, per ricreare un piccolo centro di vita comune. Sono assolutamente d'accordo nel sostenere che bisogna giungere al processo con le parti lese presenti. Si tratta di un discorso non soltanto processuale ma che va a favore delle parti lese, in quanto ne traggono beneficio. E' come lasciare il lavoro a metà dell'opera se non si giunge al processo con le parti lese che devono avere la possibilità di vedere giudicati e condannati gli autori delle violenze. Tutto ciò vale nei processi di violenza carnale, ma vale tanto di più in occasione di processi in cui si giudica su traumi riportati da minori, abituati ad un certo tipo di trattamento fin dall'infanzia. Questi minori devono poter constatare che è possibile un rovesciamento della situazione che vivono e che il tutto può tradursi in un momento di crescita per loro. In occasione di processi in cui è stata presente la parte lesa a distanza di tempo incontrando per caso in strada il minore quest'ultimo ha dimostrato la propria riconoscenza con un abbraccio. Quindi, scene incredibili di rinascita, di nuova crescita, di rieducazione morale. FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali. Vorrei chiedere molte cose e spero di averne l'occasione in futuro. Gradirei sapere se, nelle vostre indagini, vi siete mai imbattuti in traffici di armi. MARIO CONTE, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bergamo. Nel mio intervento ho riferito che la situazione politica venutasi a creare nella ex Iugoslavia lasciava presupporre che effettivamente da quei paesi potessero giungere armi sul nostro territorio. Sotto questo profilo abbiamo predisposto indagini ed accertamenti per verificare quella che per ora prudenzialmente possiamo definire una ipotesi di lavoro. PAOLO GIOVAGNOLI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bologna. Nel mio intervento non ho fatto riferimento al traffico di armi in quanto somigliante di più ad un altro tipo di reato, commesso da stranieri, quale quello del traffico di droga non collegato all'immigrazione. Per esperienza possiamo dire che vi sono stranieri che portano armi così come portano la droga per poi andar via dal nostro paese dopo aver riscosso quanto a loro dovuto. FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali. Ascoltando i diversi interventi mi sono convinta della necessità di organizzarci in modo generale ma soprattutto in maniera specifica. Mi riferisco soprattutto alla tutela da riservare alle persone che collaborano. In ordine all'intervento svolto dalla dottoressa De Martino sarà opportuno svolgere una riflessione circa i luoghi dove inviare le persone da tutelare che devono essere protette in tutti i modi. Evidentemente le persone alle quali mi riferisco non hanno alcuna analogia con in pentiti, dal momento che costoro tutto possono fare fuorché pentirsi. Volevo riferirmi ad un eventuale trattamento premiale, incentivante traendo il danaro necessario da eventuali provvedimenti di sequestri di beni (evidentemente Pag. 3491 si tratta di una ipotesi di legislazione futura) di proprietà di organizzazioni clandestine. L'aspetto giudiziario dell'emigrazione non è che una delle facce del complesso problema del quale per la prima volta mi sono occupata scontrandomi, in verità, con moltissime difficoltà, intanto perché nessuno nel nostro paese ha mai affrontato il problema nella sua totalità continuando ciascuno ad andare nella propria strada: la polizia applicando misure repressive, gli organi preposti al lavoro esaminando quanti immigrati far entrare nel paese, la giustizia perseguendo i trasgressori, eccetera. Viceversa, il problema è assolutamente complesso e con moltissime facce. La speranza, di un povero ministro che ha il coordinamento per gli affari sociali, è quella di una maggiore incisività e concretezza. Dalla seduta di oggi è emerso che i reati commessi dai soggetti dei quali ci siamo occupati sono il lavoro nero, l'estorsione, lo sfruttamento della prostituzione, il traffico di droga e, come avevo sempre immaginato, la riduzione in schiavitù, che peraltro aleggia su tutte queste fattispecie di reati. Per concludere, vorrei ribadire quanto affermato in svariate occasioni ufficiali e precisamente che le istituzioni hanno il dovere di correggere il modo in cui viene presentato al paese il problema dell'immigrazione. Dobbiamo presentare gli immigrati più come oggetti di reato che non come soggetti di reato. Anche se vi sono stranieri, come è stato sottolineato, che trafficano, non sono costoro ai quali ci si riferisce quando si parla di immigrati (gli immigrati, il "vu cumprà", il clandestino, l'irregolare), che viceversa vengono presentati come coloro che commettono i reati. Ritengo sia doveroso sottolineare all'attenzione della gente che queste persone prima di tutto rappresentano le vittime dei reati. In ordine al modo in cui queste persone entrano in Italia si potrebbero ipotizzare due metodi: il primo tramite treno e quindi da paese precapitalistico, il secondo tramite aereo da paese postcapitalistico. Ritengo si tratti di un fenomeno assolutamente interessante al quale fino ad ora si è prestata scarsa attenzione. Sono soddisfatta di aver individuato nella relazione che presenterò al Presidente del Consiglio alcuni rimedi che fin d'ora è possibile applicare senza ricorrere ad una nuova legislazione. Nella relazione di cui sopra si parla del visto turistico che deve essere reintrodotto stabilendo un tetto; del controllo rigoroso nel rilascio dei visti di ingresso per turismo esaminando con il massimo rigore le richieste presentate da persone di età inferiore ai trent'anni che non siano in grado di documentare e provare il movente dichiarato della visita in Italia; delle riduzioni, fino alla abolizione, dei visti collettivi ed ogni intermediazione da parte delle agenzie di viaggio; di un minuziosissimo controllo degli ingressi che avvengono con pullman ed autobus; della limitazione del visto ad un massimo di quindici giorni. Inoltre, si può esaminare la possibile esclusione del visto turistico per le nazioni di emigrazione verso l'Italia, prevedendo il visto tessera non falsificabile, in ordine al quale ho ricevuto un pregevole apporto da parte della Guardia di finanza. E' mia intenzione riassumere il risultato di quegli incontri in una relazione conclusiva che, se anche non potrà sfociare in una proposta legislativa, è tuttavia doveroso presentare al Presidente del Consiglio. Chiedo al presidente della Commissione, se possibile, di utilizzare anche i lavori di oggi per arricchire il materiale che rassegnerò a chi di dovere. Per concludere, ringrazio gli intervenuti. PRESIDENTE. Per quanto riguarda quest'ultima richiesta, la Commissione è assolutamente disponibile a fornire al ministro il resoconto stenografico della seduta odierna, che sarà disponibile in un paio di giorni. Per quanto riguarda più specificamente le competenze della Commissione antimafia, emerge una mancanza di coordinamento in chi si occupa dell'attività repressiva ed una sottovalutazione complessiva Pag. 3492 del problema sia dal punto di vista, giustamente sottolineato dal ministro, della tutela delle persone, minorenni o maggiorenni che siano, sia dal punto di vista dell'analisi della crescente organizzazione che si va insediando sul territorio, anche grazie agli utili che rende questo tipo di attività. Per quello che ci riguarda, credo che sia doveroso segnalare al ministro dell'interno l'opportunità che le questure destinino maggiori risorse nella direzione indicata; al Consiglio superiore della magistratura l'opportunità di dedicare una sessione dei propri lavori a questo tema, in modo che sia possibile individuare una sede propria e programmata in cui far confluire le vostre esigenze. Alcune tra le questioni più specifiche sono già stata sottolineate dal ministro, tra le quali ricordo quella della identificazione, che rappresenta un problema di fondo sul quale decidere, dopo averlo estrapolato dal complesso della problematica. FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali. Il ministro dell'interno potrebbe intervenire in esecuzione degli accordi di Schengen. PRESIDENTE. In realtà il blocco non è pragmatico, ma riguarda l'ipocrisia di fondo che grava su tale questione, per cui non si capisce bene se la regola è che dobbiamo tenerli o cacciarli. Se decidiamo qual è il principio, naturalmente dovrà essere di carattere politico e quello che verrà fuori sarà in coerenza. Lasciare volta per volta alla magistratura il compito di decidere quale debba essere l'asse politico ideale, credo sia sbagliato. D'altra parte la mancanza di questo chiaro indirizzo credo si traduca anche in una sottovalutazione che, a mio giudizio, non dipende da una scelta programmata, bensì dal fatto che non è chiaro a nessuno quale sia l'indirizzo di fondo. Ecco il motivo per il quale si cerca di non affrontare di petto il problema, in quanto in questo modo si rischierebbe di esporsi a scontri con vari organismi. Per quanto riguarda la Commissione, credo sia utile operare nelle due direzioni cui prima facevo riferimento: Ministero dell'interno, Consiglio superiore della magistratura. Se lo ritenete opportuno potremo inviare al Consiglio superiore della magistratura il resoconto stenografico della seduta odierna, permettendo così a chi si occupa della questione (credo sia Fassone) di acquisire il quadro dei rilievi oggi mossi, in modo che si possa avviare una sinergia. FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali. Ringrazio l'onorevole Violante che presiede l'unica istituzione che ha dato ascolto alle mie grida disperate; speriamo che da oggi vi sia un ascolto maggiore su questi temi. PRESIDENTE. Sono io che ringrazio il ministro Contri per la sua cortesia e disponibilità. La seduta termina alle 13,40.