PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE INDICE pag. Comunicazioni del presidente: Violante Luciano, Presidente .......................... 3495 Discussione della relazione sulle risultanze del gruppo di lavoro incaricato di verificare il livello di attuazione della normativa antimafia, per la parte relativa al fenomeno delle frodi comunitarie: Violante Luciano, Presidente .................... 3495, 3497 Acciaro Giancarlo, Relatore ........................... 3495 Audizione dei rappresentanti della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e Catanzaro sul fenomeno della 'ndrangheta: Violante Luciano, Presidente .................... 3498, 3499 Boemi Salvatore, Procuratore aggiunto presso il tribunale di Reggio Calabria, delegato alla DDA ....... 3498 Audizione del direttore della Direzione investigativa antimafia, dottor Gianni De Gennaro, sul fenomeno della 'ndrangheta: Violante Luciano, Presidente .............. 3499, 3500, 3502 3504, 3505, 3507, 3508, 3510, 3511 Cabras Paolo .......................................... 3508 Cappuzzo Umberto ...................................... 3508 De Gennaro Gianni, Direttore della DIA3499, 3500 3502, 3504, 3505, 3507, 3508, 3509, 3510 Imposimato Ferdinando ................................. 3509 Pag. 3494 Pag. 3495 La seduta comincia alle 10,30. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Comunicazioni del presidente. PRESIDENTE. Comunico ai colleghi che abbiamo naturalmente chiesto l'autorizzazione ai Presidenti della Camera e del Senato per svolgere l'odierna seduta; nel concederci l'autorizzazione, si raccomanda in primo luogo che la relazione finale e gli allegati specifici che saranno presentati siano complessivamente approvati il più presto possibile, al fine di evitare di andare nel cuore della campagna elettorale. In secondo luogo, si segnala l'opportunità della "sobrietà": sostanzialmente si chiede di evitare, se possibile, dichiarazioni o altro in ordine al contenuto delle sedute; in questo modo si può recepire l'autorevole suggerimento della Presidenza della Camera, in accordo con quella del Senato. Discussione della relazione sulle risultanze del gruppo di lavoro incaricato di verificare il livello di attuazione della normativa antimafia, per la parte relativa al fenomeno delle frodi comunitarie. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della relazione sulle risultanze del gruppo di lavoro incaricato di verificare il livello di attuazione della normativa antimafia, per la parte relativa al fenomeno delle frodi comunitarie. Do la parola al relatore; il collega Acciaro ci riferirà sulle frodi comunitarie e, nell'ambito di esse, quale sia il ruolo delle organizzazioni mafiose. Si tratta di una questione di grande delicatezza. GIANCARLO ACCIARO, Relatore. Signor presidente, colleghi, desidero premettere che la relazione è frutto delle analisi e delle approfondite ricerche effettuate con la competente e professionale collaborazione del colonnello Palmerini, cui rivolgo un sincero ringraziamento. Occorre far presente che questa relazione non può comunque rappresentare il risultato finale di questa ricerca; lo scioglimento anticipato delle Camere ha interrotto lo svolgimento dei nostri programmi, cioè di alcuni importanti riscontri che avremmo dovuto avere a livello nazionale ed internazionale, per quanto riguarda gli enti e le istituzioni che erogano e che autorizzano certe erogazioni e per ciò che concerne le associazioni di categoria e gli organi di controllo; questo confronto non si è potuto avviare. Abbiamo avuto solo in questa sede una prima audizione con il direttore generale dell'AIMA, che ha costituito la base di partenza di determinati accorgimenti e di nuove situazioni che abbiamo riscontrato, mentre è carente il confronto con la Comunità. In altri termini, occorre accertare se ciò che noi stiamo verificando in Italia da tutte le documentazioni in nostro possesso trovi riscontro anche nella Comunità. Infatti, ciò che appare più chiaro è che in Italia, in questi ultimi anni, è aumentato notevolmente il numero delle frodi, almeno da quanto ci risulta. Ciò pone anche un altro interrogativo: siamo bravi noi a scoprirle oppure Pag. 3496 le frodi sono veramente aumentate? Nella relazione sono contenute alcune tabelle che dimostrano il preoccupante aumento del fenomeno dal 1990 al 1992. Occorre poi sottolineare anche un'altra situazione: la frode, comunemente, viene valutata con una logica campanilistica, cioè si ritiene che si tratti di denari di altri erogati dall'Europa, che possono offrire occupazione e tutte quelle operatività che creano lavoro e momenti di solidarietà; però queste entrate comunitarie molto spesso si trasformano in un danno per noi stessi, perché vanno ripianate dal nostro Stato nel momento in cui avvengono gli accertamenti. Inoltre, poiché il gettito proveniente dallo Stato membro - nel nostro caso dall'Italia - viene frodato all'inizio, certamente non vengono versate quelle quote che poi possono ritornare; basti pensare all'evasione dell'IVA, imposta che rappresenta una di quelle componenti delle parti attive di bilancio della Comunità che ci consentono poi di ottenere questi benefici. Dalla relazione appare chiaro anche l'applicazione non corretta di tutte le leggi a disposizione delle Comunità; è questo l'altro fatto grave. A tutti i livelli, fino alle regioni, le provvidenze comunitarie non vengono utilizzate nella maniera più opportuna, per la carenza di strutture e di conoscenze e soprattutto per la mentalità - consentitemi di dirlo - in base alla quale non viene attivato quel meccanismo di ritorno degli investimenti che lo Stato membro, attraverso la Comunità, potrebbe riottenere. Credo che questa sia un'altra parte incisiva del discorso. Dalla ricerca effettuata emergono alcuni fatti molto importanti, per esempio relativamente ai controlli: l'erogazione dalla Comunità passa in Italia attraverso alcune istituzioni, come l'AIMA, che si occupano in termini cartacei delle autorizzazioni e della sorveglianza, sorveglianza che di fatto non è reale nei confronti delle situazioni che si vengono a creare nel nostro paese. Ciò vuol dire che effettivamente manca una struttura che possa intervenire nel momento stesso in cui queste erogazioni vengono effettuate, per cui normalmente, quando dietro segnalazione si ha l'intervento delle istituzioni preposte ai controlli, si è già nella fase in cui la frode è compiuta, diventando pertanto difficile risalire alla sua origine; ci si limita infatti ad un controllo per lo più di natura fiscale e documentale, difficile da ricostruire. Mi riferisco, per esempio, a tutte quelle situazioni per cui nascono produzioni che vengono utilizzate ma che alla fine non si possono verificare, in quanto non è possibile stabilire se una certa ditta abbia o meno fornito olio, pomodori o altri prodotti. Ciò crea disagi che portano alle implicazioni cui ho accennato prima: viene cioè a mancare la produzione lorda effettuata in Italia e le contribuzioni che lo Stato potrebbe dare alla Comunità al fine di avere questo tipo di ritorno. Tutte queste analisi portano ad un fatto nuovo: partendo dalla precedente relazione Chiaromonte, che già dimostrava la rilevanza della questione, oggi stiamo scoprendo che le frodi comunitarie hanno una valenza importante anche sotto il profilo malavitoso; dietro a tutti questi grandi movimenti, a queste frodi di natura molto professionale, si nascondono manovre di riciclaggio e di guadagni illeciti, quindi grandi gruppi che fanno certamente riferimento ad aree finanziarie molto discusse. Ci permettiamo anche di riportare nella proposta parti di indagini relativamente alle quali abbiamo avuto materiale disponibile, facendo anche qualche nome di persone di cui, attraverso i pentiti e soprattutto dalle cronache, abbiamo avuto modo di constatare l'inserimento in questa catena, chiaramente senza addentrarci in giudizi. Mi preme precisare un meccanismo in base al quale purtroppo spesso il controllato è il controllore; per quanto riguarda il conferimento di merci e di produzioni, l'AIMA non ha strutture proprie in cui poter depositare tali produzioni; pertanto, è legittimo, attraverso autorizzazioni comunitarie, che queste possano essere custodite Pag. 3497 dallo stesso conferente, che può anche variare fiscalmente e in termini di apparenza societaria, pur essendo materialmente la stessa struttura. Quindi, il conferitore è in effetti il custode delle merci; ognuno di questi passaggi ha una propria rendita e non sempre può essere accertato che il materiale sia stato effettivamente conferito, perché le ispezioni avvengono annualmente soltanto a conguaglio. Non è possibile avere un controllo nel momento in cui avviene il conferimento, in quanto manca la struttura operativa. Suggeriamo che debba essere a tal fine specializzato un corpo - riteniamo opportuno che sia la stessa Guardia di finanza - che possa avere competenza ad effettuare sopralluoghi ed indagini durante l'accettazione stessa dei conferimenti; una volta autorizzato il conferimento, può esservi la possibilità di svolgere questi controlli. Ciò consentirebbe veramente di verificare il conferimento di determinate merci e che su di esse non venga attivata un certo tipo di speculazione, addirittura con le vendite - come in alcuni casi sono state denunciate - e poi con il reintegro in momenti in cui il mercato è meno a livello. Vogliamo porre all'attenzione dei commissari e del presidente, ai fini delle comunicazioni finali, che il problema delle frodi comunitarie non può essere isolato - come avveniva in altri tempi e come accennavo all'inizio di questa mia introduzione -, non può essere separato da un sistema molto più complesso di cui questa Commissione si sta occupando, perché ci porta all'interno di un meccanismo che è diventato ormai un fatto reale, che si è trasformato in un'industria - stiamo parlando di migliaia di miliardi - che va ad inserirsi nelle regole. Qui vi è una considerazione da fare: la solidarietà che viene espressa dalla Comunità, cercando di equilibrare determinate situazioni, ha regole molto aperte, perché si basa su equilibri di carattere occupazionale e sociale; non si è pensato però che attraverso queste maglie si sarebbero potute inserire vere e proprie strutture industriali, commerciali e finanziarie che avrebbero potuto entrare nella fase finale di altri processi. Abbiamo attività che nascono soltanto per speculare sull'utilizzo di queste risorse: un esempio più volte acclarato è rappresentato dal fatto che molte società in Italia nascono nel breve periodo dell'operazione comunitaria; alcune società - per azioni, a responsabilità limitata, di fatto - vengono costituite per frodare la Comunità e di conseguenza lo Stato e la collettività italiana, dopo di che chiudono e spariscono. Ciò avviene in tutti i settori che agiscono nella - chiamiamola così - solidarietà economica. Rimando per il resto alla bozza della relazione che vi ho illustrato, che è una relazione aperta, nel senso che, se dopo un'attenta lettura emergono alcune situazioni che possono essere sviluppate, ciò potrà avvenire in seguito. Infatti, potrà presentarsi la necessità e la possibilità, nel caso, di apportare eventuali modifiche, anche perché la situazione attuale potrebbe consentirci di acquisire qualche altro elemento; valuterà il presidente se tenerne o meno conto nelle proprie considerazioni finali. Credo che si possa lasciare un messaggio alla prossima Commissione antimafia, se ve ne sarà una nuova: cioè che, sulla base di questo lavoro, si possa poi continuare attuando quel confronto che ora è mancato. Ritengo molto importante questo confronto soprattutto con la Comunità, perché è necessario capire se, in quella sede, esista un controllo della documentazione e soprattutto lo sviluppo di alcuni accertamenti che, da quanto emerge da questa bozza, sembrano in progressione: questo fenomeno si sta sviluppando sempre di più e occorre un confronto maggiore con le situazioni, per verificare se esso abbia carattere generale oppure se sia limitato soltanto alla nostra collettività. PRESIDENTE. Concordo con il giudizio altamente positivo sulla proposta di relazione. Colgo pertanto l'occasione per ringraziare anch'io il colonnello Palmerini per l'eccellente lavoro svolto. Pag. 3498 Se i colleghi concordano, proporrei di inviare il testo a tutti i commissari; la relazione di oggi, come le altre presentate in questo periodo, compresa quella dell'onorevole Bargone, sulla base dell'indicazione data dal Presidente della Camera d'intesa con il Presidente del Senato, costituiranno allegati alla relazione finale. Altrimenti, dovremmo indire seduta per ogni relazione: credo che non ne avremmo il tempo né sarebbe opportuno in questo contesto politico. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito di inviare il testo a tutti i colleghi e di fissare una data nella quale discutere contemporaneamente di tutti gli argomenti. (Così rimane stabilito). Audizione dei rappresentanti della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e Catanzaro sul fenomeno della 'ndrangheta. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e Catanzaro sul fenomeno della 'ndrangheta. Ringrazio i procuratori Lombardi e Boemi ed il dottor Le Donne, che rappresenta qui la Direzione nazionale antimafia. Come è noto, l'oggetto dell'audizione di oggi è il quadro sulla struttura e le connessioni della 'ndrangheta. Desidero informare i nostri ospiti che la Commissione antimafia non ha potuto, a causa della conclusione anticipata della legislatura, dedicare alla 'ndrangheta l'attenzione che avrebbe voluto. Considerandola, però, fenomeno di particolare rilievo, ha deliberato di dedicare nella relazione finale una particolare attenzione al tema, nei limiti che esso incontrerà in una fase politica in cui la Commissione, come tutti gli organismi parlamentari, esercita poteri e funzioni attenuate. Ci aspettiamo di ottenere dalle vostre relazioni il massimo delle informazioni su questi aspetti: struttura, connessioni dell'organizzazione, fase dell'azione di contrasto, suggerimenti e proposte in ordine alla lotta a tale organizzazione. La 'ndrangheta è venuta in luce non solo per il suo radicamento in Calabria ma anche in connessione con i provvedimenti assunti di recente dalla procura di Milano in due occasioni diverse; prova, questa, di un forte radicamento della 'ndrangheta al di là dei confini regionali, sino all'estero e soprattutto in Australia, Canada e Germania. Come tutti saprete, questa notte sono stati uccisi in Calabria due carabinieri. Le modalità dell'omicidio fanno pensare ad una forma di esecuzione; non sembra infatti che esso sia la conseguenza di una reazione a sorpresa. Abbiamo fatto chiedere al comando generale dell'Arma dei carabinieri qualche notizia in più in ordine a tale episodio e la data dei funerali. Comunicheremo ai colleghi tale data in modo tale che chi vorrà potrà recarsi ai funerali. Vorremmo inoltre chiedere ai nostri ospiti quali siano stati i provvedimenti più significativi assunti, al fine di informare compiutamente il Parlamento. Se oggi l'elenco di tali provvedimenti non fosse disponibile, esso potrebbe essere trasmesso successivamente. Se vi sono problemi di fotocopiatura (so che ci sono e che questo rappresenta un problema molto grave, in quanto in Calabria gli organici sono molto carenti) possiamo inviare alcuni sottufficiali della Guardia di finanza che lavorano con noi perché svolgano questo lavoro, in modo da alleggerire gli uffici da un ulteriore onere. Avverto che la seduta è pubblica, ma se i colleghi per un verso ed i nostri ospiti per un altro desiderano che sia segreta, non hanno che da chiederlo. SALVATORE BOEMI, Procuratore aggiunto presso il tribunale di Reggio Calabria, delegato alla DDA. Credo sia opportuna la seduta segreta. PRESIDENTE. Pertanto, se non vi sono obiezioni, dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno. Pag. 3499 (La Commissione procede in seduta segreta). PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno. Vi ringraziamo molto, signori procuratori. Se doveste redigere o ricordare documenti di particolare rilievo in questa materia, vi saremmo molto grati se ce ne inviaste copia. La seduta, sospesa alle 13,45, è ripresa alle 15,10. Audizione del direttore della Direzione investigativa antimafia, dottor Gianni De Gennaro, sul fenomeno della 'ndrangheta. PRESIDENTE. Dottor De Gennaro, vuole procedere in seduta segreta o pubblica? GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Non devo riferirmi ad argomenti segreti. Qualora fosse necessario procedere in seduta segreta, mi riservo di chiederlo. PRESIDENTE. La Commissione antimafia non ha avuto tempo - in ragione dello scioglimento anticipato delle Camere - di affrontare specificatamente il tema della 'ndrangheta, però nella relazione finale vorrebbe inserire alcuni approfondimenti, una parte, relativi a tale struttura. Abbiamo letto con attenzione la parte finale del rapporto semestrale presentato dalla DIA - per altro molto interessante - in cui l'organismo da lei diretto si sofferma su questa organizzazione. Le saremmo grati se volesse approfondire o indicare qualche elemento ad ulteriore chiarimento su questa struttura criminale: ci interessano in particolare i caratteri della 'ndrangheta, la sua struttura interna e il suo peso nella realtà mafiosa italiana. Nel rapporto vengono accennate le connessioni con l'estremismo di destra e le logge massoniche deviate: credo sia questo il quadro che ci interessa. GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. La ringrazio, signor presidente. Prevedendo le domande ho preparato uno scritto che, in qualche modo, comprende le richieste da lei formulate. In particolare mi sono soffermato sulla strategia investigativa e sulla metodologia adottate nel perseguire questa organizzazione criminale. Se me lo consente, potrei leggere il documento predisposto: qualora non risultasse sufficiente potrei integrarlo. PRESIDENTE. Vi saranno anche domande da parte dei colleghi, credo. GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Se lei e i membri della Commissione antimafia me lo consentono, vorrei preliminarmente rivolgere un pensiero, perché mi sembra da parte mia doveroso, agli appuntati Fava e Garofalo che questa notte sono stati vittime di una gravissima aggressione. Soprattutto rivolgo un pensiero alle loro famiglie e, se mi è consentito, anche ai colleghi dell'Arma, perché un terzo degli appartenenti alla DIA è composto da valorosi ufficiali, sottufficiali e carabinieri dell'Arma. Ritengo doveroso nei confronti di questi collaboratori, sia come direttore sia per rispetto agli altri colleghi dell'Arma, rivolgere un pensiero di solidarietà in questo momento. Sull'episodio specifico, che credo possa richiamare l'attenzione della Commissione, non mi sento di esprimere valutazioni perché è trascorso troppo poco tempo dall'esecuzione dell'omicidio. Sarebbe una mancanza di riguardo verso la Commissione dare dei giudizi, però non posso esimermi dall'osservare - dovendo ricondurre l'episodio criminoso sicuramente ad un'opera violenta della malavita organizzata locale - che è un ulteriore, anche se drammatico, segno dell'importanza che assume in questo momento la malavita calabrese sotto il profilo della sua violenza e della sua Pag. 3500 particolare capacità reattiva. Certamente di reazione si può parlare, perché qualunque siano state le circostanze specifiche a determinare l'episodio, si tratta di una reazione violentissima contro le istituzioni, e in particolare contro l'Arma dei carabinieri. Per offrire con chiarezza gli elementi conoscitivi sul fenomeno calabrese che siamo riusciti a trarre nell'attività di contrasto, e prima di rispondere ad altre domande, vorrei delineare un quadro sintetico delle direttrici e delle strategie operative adottate in Calabria. Se mi consente, partirei dal maggio 1992 quando il ministro dell'interno, con proprio decreto, costituì un nostro ufficio in Calabria. Nonostante il contingente fosse inizialmente molto limitato, l'attenzione, fin da quando sono stati fissati gli obiettivi del nostro ufficio, è stata prioritariamente rivolta alla Calabria non soltanto come concentrazione locale e nella regione di organizzazioni criminali, ma anche riguardo alle sue proiezioni fuori del territorio d'origine. La scelta di costituire un centro operativo a Reggio Calabria è avvenuta nel quadro delle linee tracciate dal consiglio generale, che proprio nella 'ndrangheta del basso reggino - vorrei sottolineare che l'attenzione si è rivolta a questa zona, almeno nel primo periodo preso in esame -... PRESIDENTE. Quando dice "basso reggino", a quali aree si riferisce? GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Intendo le aree intorno a Reggio, risalendo fino alla Locride, dal momento che alcuni interventi sono stati svolti direttamente in quest'ultima area. PRESIDENTE. Quindi, non Gioia Tauro. GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. No, non Gioia Tauro. PRESIDENTE. Sul versante ionico? GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Il versante ionico e l'inizio di quello tirrenico. Alle scelte iniziali ha dato un impulso particolare anche l'attuale ministro, il quale, quando abbiamo tracciato le linee strategiche generali per l'ultimo anno, ha espressamente richiesto un'attenzione nei confronti della malavita calabrese. Sotto il profilo logistico, la sede del centro operativo di Reggio Calabria è forse la struttura più moderna da noi realizzata rispetto alle organizzazioni territoriali della DIA; dispone di dotazioni tecniche sufficienti e di un sistema di sicurezza, che in questo momento si rivela particolarmente necessario, considerati alcuni segnali di minaccia lanciati contro alcuni nostri operatori di polizia in Calabria. Le risultanze del primo ciclo di indagini ci hanno indotto ad estendere il raggio di azione verso il nord della Calabria: in questo senso stiamo per realizzare una struttura d'appoggio anche a Catanzaro, sia pur di dimensioni minori, affinché diventi un momento di controllo sul territorio oltreché di sostegno all'azione degli investigatori che operano in Calabria. In questi giorni apriremo la sezione dell'ufficio di Reggio Calabria. I problemi hanno riguardato qualche volta l'organico, ma finora sono state portate a termine dodici operazioni - come si evince dalla relazione - di cui una in Piemonte e due in Lombardia. In tutto, possiamo considerare disarticolate venti cosche. Sono stati emessi dalle autorità giudiziarie di Torino, Milano e Reggio Calabria, 667 ordinanze di custodia cautelare contro altrettanti appartenenti a cosche reggine. I confortanti risultati raggiunti sul piano investigativo, in un arco di tempo relativamente breve, scaturiscono oltre che dall'impegno e dalla preparazione professionale degli investigatori, anche dall'introduzione di alcuni nuovi e più avanzati metodi di lavoro. La sperimentazione di nuove metodologie operative, imperniate sulla continua interazione tra Pag. 3501 teoria e prassi, cioè tra il momento dell'acquisizione conoscitiva del fenomeno e quello dell'azione investigativa diretta, ha permesso di sviluppare un'azione di contrasto sistematica. Gli agenti della DIA hanno avviato prima uno studio del contesto criminale di riferimento, individuando la composizione organica, le connotazioni strutturali oltre che le modalità operative e i collegamenti nazionale e internazionali di questi gruppi criminali su cui si è agito, e successivamente è iniziata l'attività investigativa vera e propria. La sintesi della fase conoscitiva ha rappresentato il punto di partenza per l'avvio dell'attività investigativa sul campo. L'azione investigativa si è inizialmente concentrata soprattutto sui soggetti e sul contesto del reato associativo; in un secondo momento si è cercato di puntare sulle responsabilità individuali per ricostruire determinati comportamenti delittuosi: individuata la cosca, il gruppo, dopo un'attività iniziale di controllo e di indagine sul gruppo, sono stati ricostruiti i singoli delitti, soprattutto i numerosissimi omicidi. In questa prospettiva abbiamo focalizzato l'attenzione sui sodalizi individuati dapprima sulla base di un'attenta analisi dei fenomeni criminali presenti sul territorio, poi anche con riferimento alle proiezioni nell'Italia settentrionale, dove in alcune zone in particolare - in precedenza ho fatto riferimento alla Lombardia ed al Piemonte - era stata evidenziata una strutturazione più consolidata dei gruppi criminali. L'azione di contrasto si è sviluppata contro obiettivi strategicamente selezionati, che però sono stati aggrediti nel loro insieme. La tecnica che ci ha consentito di avere una visione completa dei fatti è consistita nel portare avanti le attività di indagine contemporaneamente sul territorio d'origine e in queste proiezioni più lontane, consentendo ai magistrati impegnati nello specifico settore di avere una contestualità di informazioni da punti e da fronti diversi. In quest'ottica è stato avviato un complesso, organico programma di sviluppo organizzativo della direzione centrale, proprio a livello di Direzione, in modo da percepire in tempi reali le emergenze investigative via via acquisite e trasmetterle agli altri uffici che stavano operando. Con tale progressione di indagini abbiamo avvertito sempre di più la necessità di contrapporre a questa organzzazione della delinquenza - che come sappiamo opera in modo unitario e verticistico e che non delimita le proprie attività illecite in specifici ambiti territoriali - un dispositivo di prevenzione e di contrasto che fosse organicamente strutturato, così come la stessa organizzazione criminale, che non si limitasse ad inseguire le situazioni che di volta in volta emergevano ma potesse in qualche modo anticipare la linea di tendenza del fenomeno ed elaborare le strategie offensive. Non soltanto a livello interno, ma a anche a livello di raccordo internazionale, abbiamo cercato in questa logica di ricerca e di investigazione di favorire lo scambio e la circolazione delle informazioni al fine di razionalizzare al massimo le risorse che venivano impiegate. In tutto questo, mi preme sottolinearlo, si è sviluppata una continua collaborazione, molto leale e molto diretta, con le procure distrettuali, tenendo sempre informato anche il procuratore nazionale circa le linee delle indagini perseguite. Nel corso di una precedente audizione mi è stata offerta dalla Commissione antimafia la possibilità di delineare le linee programmatiche, che ho quindi potuto indicare nel dicembre del 1992; sulle medesime abbiamo continuato a muoverci. Dopo un anno dall'avvio, il lavoro in Calabria, anche grazie all'efficace azione d'impulso del ministro, ha dato un positivo riscontro, come dimostrano i dati numerici relativi alle persone tratte in arresto. Tuttavia, proprio per rispondere con precisione alla domanda posta dal presidente circa le zone di intervento, desidero precisare che in questa prima Pag. 3502 fase abbiamo operato sulle cosche che erano presenti nella città di Reggio Calabria, in particolare quelle dei De Stefano, dei Tegano, dei Latella, dei Labate, dei Libri, degli Imerti e dei Serraino, che operano, che avevano come zona di influenza, le immediate adiacenze della città. Abbiamo anche operato, al di fuori della città, sulla cosca Nasone-Gaietti di Scilla, sulla cosca Iamonte di Melito Porto Salvo, una delle più pericolose, sulla cosca Barreca-Di Pellaro, sempre nelle adiacenze di Reggio e poi, con riferimento alla Locride, soprattutto sul gruppo dei Comiso, con l'operazione "Siderno group". Quanto al versante ionico e ad alcune zone dell'Aspromonte, l'ultima operazione condotta a termine nel mese di novembre sotto la guida della procura distrettuale ha portato all'arresto di 158 persone, in particolare nella zona San Luca-Platì-Careri, con riferimento ai gruppi che lì operavano; nella zona di Africo nei confronti della cosca dei Morabito; nella zona di San Luca nei confronti dei Nirta e, salendo verso la Ionica, contro i Gallo di Ardore, i Cordì di Locri e gli Aquino di Gioiosa Marina. Al di fuori del territorio calabrese, sono state individuate e disarticolate la famiglia dei Cento, che operava nella Val d'Ossola (l'operazione è stata condotta d'intesa con la procura distrettuale di Torino) e quelle dei Papalia e dei Sergi, che operavano nel milanese ed erano in continuo e stretto collegamento con la cosca di origine di Platì. Se mi è consentito, vorrei ora soffermarmi su un paio di queste operazioni, quella denominata "Siderno group", che ha colpito in particolare la cosca dei Comiso, e quella denominata "Nord-Sud", che riguardava le proiezioni sul territorio milanese, perché in quella città possiamo individuare i caratteri nuovi evidenziati dall'indagine. Nella prima, che riguardava i gruppi, molto potenti, di Siderno, i Comiso e i Costa, è stato possibile mettere in luce una serie di reati contro il patrimonio, un traffico internazionale di stupefacenti e soprattutto un reticolo di collegamenti con alcuni comparti locali della pubblica amministrazione nel settore degli appalti. Il dato che mi sembra rilevante riferire in questa sede è l'accertata esistenza in questa organizzazione di un gruppo di emigrati calabresi provenienti da Siderno e dai paesi limitrofi, che aveva articolazioni in Canada, negli Stati Uniti ed in Australia ed aveva movimentato per anni ingenti carichi di droga. Queste cosche, questi gruppi, pur insediati in paesi lontani dalle regioni d'origine, hanno continuato a privilegiare il rapporto con il ceppo familiare, non solo con il gruppo d'origine riferito alla località. PRESIDENTE. Il rapporto con la famiglia intesa come ceppo di sangue è un dato ancora oggi presente nella 'ndrangheta più che nelle altre organizzazioni? GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Allo stato, certamente sì. Emerge anche dal riferimento ai gruppi che ho citato, non a caso, con il nome della famiglia e non, come per la mafia siciliana, con il nome della zona d'origine. Quando parliamo di malavita organizzata calabrese facciamo riferimento, ad esempio, alla famiglia Nirta, mentre per la mafia parliamo della famiglia di Ciaculli o di quella di Altofonte. E' stata anche rilevata la tendenza del gruppo di cui parlavo ad acquisire aziende operanti nel campo della ristorazione e in quello della produzione di materiale per l'edilizia. Riteniamo che si tratti di attività idonee a giustificare transazioni finanziarie a scopo di riciclaggio, nonché operazioni di import-export, tenendo conto dell'operatività di alcuni degli affiliati, molto distanti dal territorio nazionale. Ritengo doveroso rappresentare alla Commissione che queste operazioni e questo tipo di indagini hanno costituito un esempio concreto e fattivo dell'interazione di più polizie di diversi paesi. Per esempio, quando ci fu l'esecuzione dei provvedimenti di cattura, sono venuti appositamente quegli investigatori che Pag. 3503 seguivano il filone d'indagine nei loro paesi; dagli Stati Uniti sono venuti i rappresentanti dell'FBI, della DEA e anche dell'Immigration service, che ha particolare attenzione, sotto il profilo dei movimenti di persone, anche a quelli di gruppi criminali; anche la polizia canadese è stata particolarmente interessata, così come quella australiana. Mi preme sottolineare che tali indagini non si sono fermate in quella fase e sono proseguite. Abbiamo infatti costituito a Toronto un gruppo di lavoro permanente, formato da rappresentanti di tutte le polizie interessate, che si riunisce periodicamente per scambiare le informazioni relative alle indagini che via via si sviluppano. Desidero anche soffermarmi sull'altra operazione, quella che ha evidenziato le proiezioni al di fuori del territorio calabrese, per verificare come si muovano e si siano mossi i gruppi criminali. Grazie all'operazione "Nord-Sud" è emerso concretamente come esistesse un nuovo cartello di gruppi criminali calabresi al di fuori della Calabria; al tempo stesso - credo sia opportuno sottolineare questo dato - è stata dimostrata la stretta interrelazione tra gruppi criminali di estrazione diversa e soprattutto un'interazione che è diventata integrazione con gruppi aderenti a Cosa nostra siciliana. Sono stati eseguiti tra Milano e la Calabria 231 provvedimenti di custodia cautelare, hanno operato più centri contemporaneamente e sono stati ricostruiti insediamenti in Lombardia dei gruppi dei Papalia e dei Sergi, che operavano con le loro famiglie di origine di Platì, in contiguità con quelle dei De Stefano e degli Imerti. Sono state anche rilevate proiezioni degli stessi gruppi in Piemonte, in Toscana e nel Lazio. Al di là di queste attività di polizia giudiziaria e della loro valenza sul piano tattico con riferimento ai risultati conseguiti, vorrei riferire alla Commissione di un'ulteriore iniziativa assunta per giungere al massimo della conoscenza del fenomeno, nonché, soprattutto, per tesaurizzare il complesso di informazioni acquisite operando sul territorio, sulla strada. Per comporre in un'unica visione strategica tutti gli elementi di novità raccolti, abbiamo promosso un momento di riflessione comune tra gli investigatori che avevano operato, quelli che gli americani chiamano case agent, e i magistrati che avevano guidato le indagini. Pertanto, nel mese di dicembre abbiamo organizzato a Reggio Calabria, in modo che ci fosse una caratterizzazione rispetto al luogo in cui avveniva questo scambio di esperienze, una conferenza regionale sul fenomeno dell'ndrangheta. E' stata un'esperienza molto utile e sono stato felice dell'apprezzamento venuto dal procuratore nazionale; in quel momento di confronto, nell'immediatezza o comunque a pochi mesi dai risultati di queste operazioni, è stata data ai singoli investigatori ed anche ai magistrati, alcuni dei quali tra l'altro non si conoscevano personalmente, l'opportunità di scambiarsi informazioni sui metodi di lavoro seguiti. Riteniamo che oggi sia utile proseguire un'azione che tenda ad incidere con decisione sulle disponibilità finanziarie e sulle attività economiche delle cosche, soprattutto trattandosi di cosche di questo tipo. In altre parole, crediamo che il lavoro investigativo non debba fermarsi agli aspetti più evidenti del reato associativo o di quei delitti di sangue già evidenziati; secondo questa strategia, l'obiettivo ultimo sarà quello di giungere alla confisca dei beni acquisiti illecitamente, con la finalità di sottrarre i cespiti patrimoniali dell'organizzazione che sono poi indispensabili per la sopravvivenza dell'organizzazione stessa. Sappiamo, infatti, che questa è naturalmente pronta a sostituire con forze criminali fresche le persone colpite da provvedimenti dell'autorità giudiziaria. L'intendimento è perciò quello di togliere "l'acqua" nella quale potrebbe rigenerarsi il gruppo colpito. Proprio per potenziare quest'azione investigativa diretta sui cespiti patrimoniali, raccogliendo le reiterate raccomandazioni della Commissione antimafia, ho proposto di costituire a livello centrale alcune articolazioni nuove del nostro ufficio Pag. 3504 che si dedichino, nella fase delle indagini preventive, all'analisi e al monitoraggio di alcuni fenomeni di riciclaggio e poi a coordinare specifiche indagini per le quali viene impiegato solitamente il personale tecnico più qualificato di cui dispone la DIA, cioè la componente della Guardia di finanza, nell'attività di contrasto dello specifico delitto. Ritengo importante riferire come anche questa osmosi di esperienze, dal punto di vista dell'integrazione tra alcune tecniche di indagine, che sono patrimonio della Guardia di finanza, e la conoscenza delle metodologie criminali, che sono patrimonio dei colleghi delle altre forze di polizia, sia una risultante molto utile ai fini di un'indagine completa sui fenomeni di riciclaggio. Con riferimento alle innovazioni ed ai caratteri del fenomeno, rispondendo ad una domanda posta dal presidente, vorrei illustrare le principali acquisizioni informative che provengono dai lavori di intelligence e dalle indagini svolte, nonché dai contatti intercorsi a livello internazionale. In questo senso, ritengo di poter affermare che si va delineando un'immagine nuova e più temibile della 'ndrangheta calabrese, che fa giustificare l'inserimento di questa organizzazione criminale tra le consorterie più pericolose. Le inchieste svolte hanno permesso di acquisire piena consapevolezza della potenzialità criminale di queste famiglie. Le circa 80 cosche che operano nella provincia reggina sembrano detenere risorse di natura economica, in termini di partecipazione a traffici illeciti e di disponibilità finanziarie, risorse di natura militare in termini di armi e di persone disposte all'uso della violenza (purtroppo il triste esempio di questa notte ne è una concreta evidenza) e poi anche risorse di natura "politica", nel senso di collegamenti con dei reticoli illeciti di potere con altre organizzazioni criminali. Le risultanze investigative hanno consentito di delineare, nella loro evoluzione, gli assetti delinquenziali e il sistema di alleanze delle consorterie mafiose in questione, configurando una sorta di bipolarismo che è presente in maniera latente in tutta la provincia di Reggio Calabria ed è particolarmente avvertito nei sodalizi del versante ionico. Si tratta, in sostanza, di una progressiva evoluzione della storica suddivisione che negli anni settanta ha dato luogo a quella sorta di guerra tra tripodiani e destefaniani, e che poi negli anni ottanta ha sviluppato quell'ulteriore conflitto mafioso tra i gruppi, da un lato, di De Stefano, Tegano e Libri e, dall'altro, di Imerti, Condello e Serraino. PRESIDENTE. La collocazione territoriale era tale per cui combattono città e provincia oppure questo non c'entra? GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Anche all'interno della città, erano gruppi di potere criminale diverso o rappresentanti di gruppi. PRESIDENTE. Qual è la ragione? GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Da quello che è stato possibile accertare, come alcune indagini hanno evidenziato, il gruppo dei De Stefano, diciamo così per indicare anche i Tegano e i Libri, ha avuto corrispondenza e contiguità maggiori con le cosche siciliane, di quelle soprattutto operanti nella Sicilia orientale. Ma su questo punto tornerò più avanti anche perché viene evidenziato in alcuni specifici delitti, per esempio nell'omicidio Scopelliti, oltre che nell'indagine svolta a Milano, dove queste integrazioni tra i gruppi calabresi e quelli siciliani è stata particolarmente evidente nell'attività delittuosa. Un dato nuovo, con riferimento alla struttura interna, che in fondo rappresenta una evoluzione dell'organizzazione delinquenziale calabrese, è quello della costituzione (secondo le risultanze delle indagini svolte) intorno agli inizi degli anni novanta, perciò recentissima, di una commissione provinciale tra le cosche operanti sullo stesso territorio, che, un po' sulla falsariga di quello che avviene con le strutture analoghe che operavano e che Pag. 3505 operano nella Cosa nostra siciliana, interviene nelle attività criminose delle varie cosche ed anche per prevenire o dirimere controversie tra le diverse fazioni. Questa dovrebbe essere la risultante di quella pax mafiosa avvenuta dopo la fine dei conflitti tra le famiglie De Stefano, Tegano e Libri e i Condello, Imerti e Serraino. Sotto il profilo strutturale è questa la novità che abbiamo riscontrato o almeno che stiamo via via riscontrando nell'azione investigativa. Secondo le risultanze delle indagini tuttora in atto, questa struttura sarebbe nata proprio dall'esigenza di far cessare quella conflittualità tra i gruppi, che ho prima citato; sembrerebbe che la Cosa nostra siciliana non fosse esente da questa soluzione, ma anzi avrebbe esercitato forti pressioni per consentire questa pacificazione tra le cosche nel reggino. Tutto sommato la novità di tale ristrutturazione, diciamo quasi federativa, tra le cosche con questa organizzazione di controllo al vertice è forse la più evidente che abbiamo visto nella struttura interna. Oltre alla necessità di dirimere conflittualità sul territorio, questa maggiore verticalizzazione e questa maggiore chiusura ad eventuali attacchi istituzionali dall'esterno possono anche essere giustificate per l'intenzione di evitare defezioni all'interno dell'organizzazione e anche collaborazioni con la giustizia. Un altro dato nuovo - o almeno lo è per noi - conseguente alla costituzione di questa sorta di cupola, di commissione interprovinciale, è l'ulteriore rafforzamento dei legami fra la malavita calabrese e quella siciliana. Si tratta di legami diventati sicuramente molto più stretti anche se della loro esistenza ne avevamo già una cognizione in passato, cognizione non processuale, come sta avvenendo adesso, ma piuttosto di tipo informativo. Addirittura riteniamo che si stia consolidando quella ipotesi investigativa, già nel tempo adombrata, che in Calabria esistano delle vere e proprie famiglie della Cosa nostra siciliana, ripetendo un po' l'esperienza avvenuta in Campania con i gruppi camorristici. L'esistenza di vincoli stretti, comunque, tra famiglie mafiose e clan calabresi si può fare tranquillamente risalire alla metà degli anni sessanta. Questi dati informativi, però, dato proprio il connotato di segretezza e di oralità che caratterizza questi gruppi criminali, non sono altrimenti rilevabili se non attraverso testimonianze che vengono dall'interno. Posso dire qui che tali testimonianze sono state acquisite mediante dichiarazioni convergenti rese da collaboratori della giustizia di origine sia siciliana sia calabrese. Mi rendo conto che non si tratta di un riscontro oggettivo, tuttavia è un elemento che indica o che può indicare una genuinità dell'acquisizione, che merita ovviamente un ulteriore riscontro, per altro difficile in quanto si tratta soltanto di una organizzazione interna di gruppi criminali che operano nel segreto. PRESIDENTE. Il fatto che Gioè quando si suicida lascia una lettera in cui indica come prima delle persone da scagionare uno della 'ndrangheta, Papalia, è un segno di questi rapporti? GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Quando si parla di soggetti criminali è difficile poter ricostruire tutta la loro storia criminale e sapere in quale preciso momento della loro vita hanno acquisito determinati rapporti di conoscenza. Che il capo della famiglia di Altofonte, per altro responsabile o corresponsabile della strage di Capaci, all'atto del suicidio faccia menzione di un personaggio della malavita calabrese, come Domenico Papalia, è segno evidente che c'era una conoscenza profonda tra i due. Conoscenza che, ripeto, può anche provenire da una frequentazione in carcere o da altro, ma è comunque segno evidente di un diretto rapporto. In particolare, proprio con riferimento a questi rapporti con la malavita siciliana, per la cosca degli Iamonte di Melito Porto Salvo e quella dei Tegano di Archi abbiamo riscontrato legami stretti Pag. 3506 con gruppi mafiosi della Sicilia orientale che facevano capo a Nitto Santapaola, soprattutto in un'attività congiunta di traffico di armi e stupefacenti e anche in un'attività estorsiva nei confronti di imprese anche di livello nazionale. Come ho detto poc'anzi, queste interconnessioni tra i diversi gruppi criminali sono state certamente riaffermate e trovano una prova evidente nell'inchiesta che ha portato alla individuazione e all'arresto dei mandanti e degli esecutori dell'omicidio Scopelliti. Mi preme ricordare che le indagini hanno rivelato che l'omicidio è stato commesso da killer calabresi su ordine o su richiesta della commissione provinciale palermitana di Cosa nostra, che intendeva provocare un rinvio dell'imminente - allora - processo pendente dinanzi alla Corte di cassazione. Quella vicenda delittuosa, in particolare, ha evidenziato come nella gestione e nell'esecuzione del fatto di sangue, anche a livello di malavita calabrese, sia stata perseguita poi anche una ripartizione dei compiti tra le varie cosche reggine, però diverse, e che a vario titolo hanno firmato, direi, l'omicidio del giudice Scopelliti. Tra i mandanti, forse, che erano interpreti della volontà siciliana c'erano i De Stefano e i Tegano, mentre invece gli Imerti hanno consentito l'esecuzione del delitto sul proprio territorio, avvenuto poi, secondo quanto risulta dalle indagini, ad opera dei Garofalo. La circostanza è chiaramente un segno di una strategia complessa, che risponde ad una regia direi unitaria, nel senso di interazione e di integrazione fra gruppi criminali, in sede locale e con riferimento ai gruppi siciliani. Per quanto riguarda le proiezioni della criminalità calabrese nelle altre regioni italiane, le indagini svolte hanno riguardato, in particolare, i poli industriali della Lombardia e del Piemonte ed hanno permesso di acquisire alcuni elementi di informazione sul modello criminale della 'ndrangheta, del tipo di quelli che ho citato sinora. Il dato che si riferisce a queste proiezioni esterne ci induce a ritenere che anche al di fuori della regione di origine questi clan calabresi hanno intrecciato una fitta rete di affari illeciti con altri gruppi criminali, quelli siciliani in particolare, e si sono scambiati favori e servizi di vario genere per poter coesistere e convivere su un territorio che ovviamente non controllavano come il territorio d'origine. Per quanto riguarda le attività in particolare della mafia calabrese, certamente è comprovata la sua presenza nel settore dei sequestri di persona e del traffico di stupefacenti. Però, come abbiamo visto, il delitto dei sequestri di persona ha subito, come abbiamo visto, una flessione in concomitanza, ci pare di poter dire, anche con lo sviluppo del traffico di stupefacenti. Secondo alcune acquisizioni informative, suscettibili però di ulteriori indagini, se sarà possibile, e di ulteriori elementi di prova, è emerso o si è capito che qualche famiglia calabrese ha fatto ricorso al sequestro di persona talora per ripianare alcune perdite finanziarie che aveva registrato nel traffico di stupefacenti e altre volte, addirittura, per distogliere l'attenzione delle forze dell'ordine e dell'opinione pubblica da altre vicende criminali. Sulla base di tutto questo credo di poter dire che occorre prendere atto che, al pari di Cosa nostra, anche la 'ndrangheta calabrese è uscita da quell'isolamento territoriale, assumendo ormai le connotazioni di una organizzazione e di una mafia moderna con una straordinaria solidità operativa. Il dato che ci induce a dire questo è proprio il comportamento che questi gruppi criminali adottano anche fuori dalla propria regione di origine. Vorrei osservare, in conclusione, che si sente affermare, in genere, che soltanto di recente è stato valutato appieno il pericolo della criminalità calabrese. Al riguardo vorrei dire che ciò non risponde esattamente al vero se si vuole intendere, con questo, una scarsa considerazione della forza dell'organizzazione o un non sufficiente contrasto. Può essere vero se pensiamo invece che non conosciamo bene la sua storia o comunque non adeguatamente per quelle che sono le Pag. 3507 esigenze di strategie precise di intervento; può essere vero se si fa riferimento ad una ancora non approfondita conoscenza delle interazioni di questa organizzazione e dei suoi collegamenti con altri gruppi criminali, anche non omogenei, che perseguono obiettivi politici o parapolitici. Con ciò arrivo, signor presidente, all'ultimo punto del suo quesito. Secondo alcuni spunti informativi, c'è una sollecitazione anche ad indirizzare l'attività investigativa in altre direzioni, proprio per evitare che permangano zone d'ombra relativamente alla conoscenza dell'esistenza di queste contiguità tra appartenenti alla 'ndrangheta e soggetti criminali, come ad esempio quelli gravitanti negli ambienti di estrema destra. Secondo alcuni collaboratori di giustizia e secondo le acquisizioni che i magistrati hanno fatto sul punto ... PRESIDENTE. Lei parla di ambienti eversivi di estrema destra? GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Sì, ambienti eversivi. Ecco, proprio con riferimento ad ambienti eversivi ci sarebbero stati dei contatti tra la cosca dei De Stefano e, a suo tempo (è un dato quasi storico ormai), Franco Freda, in occasione della sua fuga e della sua latitanza dopo il processo di Catanzaro. Su questo punto esistono alcuni elementi concordanti, che sono stati acquisiti - ripeto - in sede giudiziaria dai magistrati, però personalmente non li ritengo certamente sufficienti per dare una completa valutazione della vicenda e soprattutto di quelli che possono essere questi rapporti con la malavita calabrese. Ancora più sfumati, se mi è consentito dirlo, sono i rapporti con appartenenti a logge massoniche. Esistono al riguardo alcuni accenni che sono stati fatti da taluni collaboratori di giustizia, però il riferimento è fatto esclusivamente, per ora, a possibili interventi all'esterno dei gruppi criminali, finalizzati all'"aggiustamento" (come adesso si dice) di alcuni processi. L'ultimo dato che credo possa essere importante riferire è l'interesse investigativo che abbiamo posto al traffico di armi, traffico cui le consorterie mafiose calabresi sembra siano particolarmente interessate. Devo dire che a livello di attività informativa si è appreso anche del coinvolgimento di alcuni esponenti delle cosche di San Luca e di Platì nell'importazione clandestina di missili. Su questo dato non c'è un riscontro. Si rileva invece soltanto un riscontro della disponibilità di armi particolarmente pericolose e lo evidenzia il sequestro di mitragliatori ed anche di due bazooka completi di razzi a carica cava. Penso di poter affermare che la disponibilità di questi strumenti d'offesa rientra nella logica di un impiego riconducibile all'esecuzione di omicidi ed attentati. Di conseguenza, riterrei che il coinvolgimento della 'ndrangheta nel traffico di armi da guerra debba essere ricondotto più che altro ad una lucrosa attività di intermediazione affaristico-finanziaria. Rimane però da parte nostra l'obiettivo di riuscire a chiarire quali siano i committenti, i canali di approvvigionamento ed i destinatari di queste armi. Da queste osservazioni appare evidente come ci troviamo in presenza soltanto di spunti investigativi ancora frammentari e imprecisi, che devono però essere necessariamente chiariti e meritano il massimo dell'attenzione nella pianificazione delle future attività investigative della nostra Direzione. Nel piano di indagine, un piano più organico indirizzato anche ad individuare i responsabili delle stragi perpetrate nel nostro paese, da Capaci fino a Milano, è soprattutto inteso ad individuare quelle componenti criminali che hanno eventualmente operato a fianco delle associazioni mafiose. Credo che queste attività investigative rappresentino per il futuro una priorità di intervento al pari di quelle che mirano a colpire le attività economiche dei gruppi criminali. Pag. 3508 PRESIDENTE. Dottor De Gennaro, per completezza, due questioni brevissime. In primo luogo, la questione armi, che lei ha adesso richiamato. Nel corso dei sopralluoghi effettuati dalla Commissione in molte aree del territorio nazionale è emerso quasi dovunque che la 'ndrangheta avrebbe in qualche modo una funzione specifica nella fornitura di armi ad altre organizzazioni mafiose. La seconda questione è quella della droga: c'è un ruolo specifico della 'ndrangheta nel traffico di droga in Italia o su versanti internazionali o si tratta di un'organizzazione che fa più o meno quello che fanno gli altri? GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Per quanto riguarda le armi, mi sono soffermato sul punto proprio perché soprattutto il sequestro di armi particolarmente potenti dà l'idea, è un indicatore notevole per rispondere alla sua domanda, circa un coinvolgimento di questi gruppi criminali nel traffico di armi. E' un po' frutto di una personale esperienza investigativa il fatto che quando un'organizzazione criminale si muove, non si muove per comprare un bazooka. Ed ecco perché parlavo della necessità di individuare sia committenti sia canali di approvvigionamento, stante soprattutto il fatto che, avvenendo queste transazioni a livello internazionale, quando l'organizzazione si muove, deve necessariamente farlo e stabilire contatti per quantitativi maggiori. Da questo penso possa derivare una risposta un po' deduttiva alla sua domanda e si possa spiegare la nostra necessità di individuare anche i destinatari. PAOLO CABRAS. La provenienza delle armi è varia o vengono in genere da certe aree geografiche? GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Alcune indagini in corso fanno un po' riferimento a quelle aree dove sono ancora esistenti dei conflitti, come nella vicina Iugoslavia, dove è più facile una forma di approvvigionamento. Ma non abbiamo elementi certi per dire che possa essere soltanto quella la provenienza o che vi possa essere anche lo sfruttamento di canali diversi già esistenti a livello internazionale. Più di un testimone, però, indica nelle sue dichiarazioni ai magistrati la disponibilità da parte della malavita calabrese di armi. C'è stato soltanto un caso - ripeto - quello che dicevo prima, del collaboratore Barreca che avrebbe riferito (ecco perché parlavo di una informazione che può rappresentare soltanto uno spunto di indagine oppure un campanello di allarme) della disponibilità da parte delle cosche di San Luca e di Platì anche di armi ancor più potenti. Per quanto riguarda la droga, signor presidente, c'è sicuramente un coinvolgimento notevole della malavita calabrese in tale traffico. Ho fatto riferimento prima all'indagine sui Comiso e sui Costa con riferimento all'operazione "Siderno group", dove più evidenti sono state le prove di un coinvolgimento diretto in grosse transazioni di stupefacenti da parte di questi gruppi. PAOLO CABRAS. E lo scambio armi contro droga risulta? GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Su questo, senatore, non abbiamo elementi specifici. PRESIDENTE. Vi sono colleghi che intendono porre domande? UMBERTO CAPPUZZO. Ho molto apprezzato la relazione, che mi è parsa completa. Tornerei sul problema delle armi, da lei sollevato, signor presidente. Credo di poter vedere nell'ambito delle varie organizzazioni criminali una certa ripartizione di compiti. Io penserei - ma questa è un'idea e vorrei il conforto e il suo parere, dottor De Gennaro, su questa mia ipotesi - che la 'ndrangheta calabrese abbia proprio un compito di approvvigionamento di armi anche a favore delle altre organizzazioni criminali. Pag. 3509 La seconda domanda riguarda le armi pesanti. E' stato fatto recentemente riferimento alla possibilità che queste nostre organizzazioni criminali di stampo mafioso dispongano anche di armi pesanti. Adesso lei ha precisato, facendo riferimento a missili controcarro e munizionamento a carica cava, ma qualche notizia di stampa riportava addirittura l'ipotesi di una disponibilità di armi di peso ancor maggiore. Vorrei sapere se questa sia soltanto un'ipotesi oppure se vi siano elementi per confermare questa disponibilità. La terza domanda riguarda le proiezioni della 'ndrangheta: lei ha parlato di proiezioni internazionali ed anche di proiezioni nazionali. Le chiedo se queste proiezioni siano realizzate con il materiale trasferimento di "personale" all'estero o se, in base all'appartenenza dei calabresi presenti localmente in Australia o in Canada, ad esempio, si vengano a stabilire rapporti particolari che portano allo sfruttamento della comune appartenenza per fini criminali. Occorre tener presente oltretutto - questa è una quarta domanda -, che già negli anni ottanta era stato fatto un lavoro molto approfondito circa questi legami e che il comando di gruppo di Reggio Calabria disponeva di un archivio perfetto, che io posi ad esempio agli altri gruppi dell'Arma, archivio dal quale risultavano non soltanto il complesso, la mappa delle dislocazioni della 'ndrangheta, localmente e all'esterno, ma anche il controllo del traffico telefonico, che era stato effettuato, dal quale era scaturita una massa di notizie strabilianti: nullatenenti che pagavano 7 od 8 milioni al mese di telefonate, facendo capire che vi era una qualche attività che rendeva. Ebbene, questo patrimonio importantissimo dell'Arma è stato passato, una volta costituita la DIA, a loro disposizione? C'è questa collaborazione? FERDINANDO IMPOSIMATO. Ringrazio il dottor De Gennaro per la sua relazione molto precisa. Con riferimento all'informazione relativa alla presenza in Calabria di famiglie di Cosa nostra, che mi pare risalga, per quanto riguarda l'infiltrazione, alla metà degli anni sessanta, vorrei chiedere qualcosa di più preciso e cioè se tale infiltrazione riguardi famiglie controllate dai Corleonesi oppure si tratti di elementi siciliani mandati al soggiorno obbligato. Per quanto riguarda i collegamenti tra la 'ndrangheta e i politici e la massoneria, abbiamo notizie, attraverso dichiarazioni di pentiti, circa fatti estremamente allarmanti e addirittura circa la presenza di Gelli in Calabria. Credo di ricordare che vi è stato anche di recente un magistrato che ha parlato di questi collegamenti tra Gelli ed esponenti della 'ndrangheta. Chiedo se il dottor De Gennaro voglia riferire qualcosa di più preciso per ciò che concerne i rapporti tra 'ndrangheta e massoneria e in particolare la P2, tenendo presente che ricordo che già da un'indagine da me effettuata nel 1975 erano emersi rapporti tra esponenti della 'ndrangheta e tal Cortese, che apparteneva alla massoneria. Infine vorrei chiedere qualcosa sui rapporti tra 'ndrangheta ed eversione nera e soprattutto sulla possibilità che la 'ndrangheta possa in qualche modo aver partecipato ai recenti attentati commessi nel 1992-1993 a Milano, a Roma e in altre città d'Italia. GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Circa le domande del senatore Cappuzzo, sui destinatari delle armi mi sono permesso di dire che su tale punto vi sarà una strategia di indagine che diventerà prioritaria, proprio per capire, con riferimento a quello che accennavo prima, se sia un'opera o un'attività soltanto di brokeraggio da parte di queste cosche calabresi e perciò di intermediazione finanziaria, certamente lucrosa, oppure se ci sia un'acquisizione in proprio delle armi in oggetto. Insisto sull'ipotesi, non avendo un dato di risposta obiettivo e concreto di indagine già definita, che la presenza nell'acquisizione di materiale anche così costoso e certo meno facilmente reperibile Pag. 3510 possa fare ipotizzare l'acquisto di quantitativi maggiori e perciò una destinazione ad altri. Per quanto riguarda le armi di maggior peso, a cui faceva riferimento il senatore Cappuzzo, ho citato quali sono le fonti di conoscenza. Non abbiamo eseguito dei sequestri e quindi un materiale oggettivo riscontro alla disponibilità come abbiamo con riferimento ai lanciarazzi, ai diciotto razzi a carica cava sequestrati dai colleghi dell'Arma dei carabinieri nel mese di ottobre dell'anno scorso. Anche a questo proposito abbiamo più indicazioni da parte di collaboratori di giustizia che ovviamente non sono sufficientemente precise, altrimenti avrebbero portato ad una conoscenza diretta con l'acquisizione del materiale. Mi preme soffermarmi su un punto in ordine alle proiezioni all'estero. L'indagine prima citata sui gruppi criminali operanti a Siderno, soprattutto i Comiso e i Costa, come giustamente ricordava il senatore Cappuzzo, data da molti anni. Non soltanto i colleghi dell'Arma operanti in zona ma anche i colleghi della polizia hanno avuto attenzione nei confronti di questi gruppi criminali. Nell'attività conclusiva, che lo scorso anno ha portato a quella prima definizione di tranche del processo con gli arresti effettuati in Calabria per numerosi omicidi di questi personaggi, hanno rappresentato un patrimonio fondamentale, usato nella conclusione del riferimento all'autorità giudiziaria, le profonde ed incisive attività già svolte in modo sicuramente pregnante, magari non organicamente definito, come è stato possibile dopo anche grazie ad alcune testimonianze od altro, dai colleghi dell'Arma, soprattutto nella Locride. Per altro devo dire che la DIA ha la fortuna di avere negli uffici operanti in Calabria dei valorosi ufficiali e sottufficiali dell'Arma dei carabinieri che garantiscono non soltanto una conoscenza sul piano storico ma anche un'interazione diretta con i gruppi investigativi o i comandi territoriali ivi dislocati. Quando si opera su un reato associativo evidentemente il patrimonio di conoscenze è fondamentale in riferimento non soltanto al piano storico ma anche a quello delle interconnessioni intersoggettive riattualizzate, come dicevo prima, da questo ulteriore impulso. Come ricordava il senatore Cappuzzo, l'attività approfondita svolta dai colleghi in passato, anche in Australia, ha rappresentato un patrimonio che è stato tesaurizzato e non disperso, assemblato con tutte le ulteriori emergenze investigative. Per quanto riguarda la domanda formulata dall'onorevole Imposimato sulle famiglie di Cosa nostra in Calabria, devo dire che non si tratta di persone inviate al soggiorno obbligato, ma di una integrazione fra la malavita calabrese e quella siciliana. Prima ho parlato addirittura di affiliazione di esponenti della 'ndrangheta calabrese nelle famiglie di Cosa nostra siciliana, così come... PRESIDENTE. Questo è documentato o è un'ipotesi? GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Ricordo che inviammo al giudice Falcone un rapporto basato su una sorta di notizie fiduciarie addirittura nel 1988. PRESIDENTE. In quel rapporto si parlava di don Stilo? GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. No, si trattava di un rapporto informativo su una ipotesi di presenza di affiliati a Cosa nostra in Calabria, tra la malavita calabrese. Tutte le emergenze investigative attuali di questa integrazione nell'azione delinquenziale e le testimonianze acquisite hanno confermato quella ipotesi investigativa. Come dicevo, il momento di collegamento maggiore è con le cosche della Sicilia orientale e in particolare con la famiglia catanese. Purtroppo non ho elementi nuovi e certi da poter riferire per confermare i rapporti tra alcuni esponenti della massoneria e i gruppi criminali calabresi. Gli unici rapporti a cui ho Pag. 3511 potuto fare riferimento sono quelli delle testimonianze acquisite in ordine all'aiuto richiesto ad esponenti di logge massoniche nell'"ammorbidimento" delle posizioni processuali di alcuni inquisiti. Sul punto non siamo in possesso di elementi precisi. In riferimento alle collusioni e ai collegamenti con la destra eversiva sono stati raccolti alcuni ulteriori elementi, su cui si sta sviluppando un'azione investigativa diretta con riferimento a quelli che possono essere i precedenti storici, come quelli che riferivo in ordine ai rapporti tra i De Stefano e Freda. Per quanto riguarda l'eventuale partecipazione dei gruppi criminali calabresi alle stragi che, come lei sa, signor presidente, fin dall'anno scorso il nostro ufficio ha ritenuto di dover ricondurre ad un disegno criminoso unitario, fino ad oggi non è emersa con responsabilità individuali accertate; tuttavia, si tratta di un momento di indagine che vede la nostra particolare attenzione proprio perché, con riferimento alle indagini ancora in corso sugli episodi avvenuti al di fuori della Sicilia, potrebbero emergere responsabilità in via non soltanto ipotetica, ma anche con riferimento ai rapporti di contiguità e di integrazione tra la 'ndragheta e la mafia. PRESIDENTE. A nome della Commissione, ringrazio molto il dottor De Gennaro per gli utili elementi che ha fornito al nostro lavoro. La prossima seduta si svolgerà a data da stabilire, per la discussione della relazione conclusiva. La seduta termina alle 16,20.