Il trasferimento nel lager di Marianna

Nel 1988, dopo le operazioni all'utero, Silvia Baraldini é stata trasferita dal carcere di Lexington a quello Metropolitano di New York. Il Metropolitan Correctional Center era un carcere giudiziario superaffollato, privo di una vera e propria infermeria, di attrezzature mediche adeguate e perfino di un cortile ove i detenuti potessero passeggiare per un'ora all'aperto.

Il 24 aprile 1990 proprio mentre il ministro degli Esteri De Michelis, in visita a New York, informava i giornalisti che il governo italiano aveva compiuto tutti i passi necessari per la sua estradizione in Italia, Silvia veniva trasferita sotto scorta armata e con un aereo speciale, nel carcere femminile di massima sicurezza a Marianna in Florida. Due giorni dopo, una dichiarazione del Dipartimento di giustizia a Washington affermava che era stata la stessa Baraldini a chiedere il trasferimento e "data la sua pericolosità, solo il carcere in Florida offriva le misure di massima sicurezza indicate per la sua detenzione".

Immediata é stata la replica di Elizabeth Fink, avvocato della Baraldini: "Nessuna richiesta formale di trasferimento era stata avanzata da me o dalla mia cliente. Avevo solo accennato due volte al Signor Terry, assistente del Dipartimento di Giustizia, all'opportunità di trasferirla in data da determinare in un penitenziario come quello californiano di Pleasanton ove avrebbe potuto essere sottoposta a visite mediche e ricevere una più adeguata assistenza medica di quella disponibile nel Metropolitan Correctional Center di New York, che é un carcere giudiziario e per giunta sovraffollato. La qualifica di detenuta di massima sicurezza é una formula arbitraria e variabile: le venne applicata nel 1986, dopo tre anni di detenzione, senza alcun motivo e all'unico fine di relegarla nell'infernale unità sotterranea di controllo psicofisico a Lexington nel Kentucky, ora chiusa per ordine di un giudice federale. Posso solo pensare che, con questo suo ultimo trasferimento nel penitenziario più lontano ed isolato d'America, le autorità di Washington abbiano voluto renderla meno accessibile ai giornalisti e ai personaggi politici italiani che l'hanno frequentemente visitata nel carcere newyorchese".

Marianna é una cittadina lunga e stretta, che si trova nel nord della Florida. E in mezzo a foreste e ad acquitrini ed ha un clima molto caldo ed umido; un tempo era il regno degli indiani Seminole e Seminole si chiama il grande lago della zona. Ha una sola industria, la Federal Correction Institution, la prigione federale, molto moderna, costruita nel 1988, sparsa anch'essa su una pianura ondulata. Si tratta del peggior carcere femminile attualmente aperto negli Stati Uniti d'America.

Marianna é una località isolata a più di cento chilometri dal capoluogo di Talahassee. Il carcere si trova a 1700 chilometri da New York e presenta non poche difficoltà a chi voglia visitare i detenuti. Non esistono voli diretti da New York al centro più vicino, il capoluogo di Talahassee: é necessario uno scalo intermedio ad Atlanta in Georgia con cambio di aereo, con quattro o cinque ore di volo a cui ne vanno aggiunte altre due di automobile per arrivare al penitenziario. In totale occorre più di un giorno di viaggio da New York. Dato che le visite sono consentite di mattino, al prezzo del biglietto aereo va aggiunto quello di un pernottamento in albergo, oltre a quello del noleggio di un automobile.

Se l'intento delle autorità carcerarie americane nel trasferire la Baraldini a Marianna era quello di ostacolare o impedire le periodiche visite di giornalisti o personalità politiche italiane, in parte ci sono riuscite.

Comunque non si é trattato di un isolamento totale dal mondo esterno. Silvia poteva effettuare telefonate a pagamento del destinatario. Non poteva ricevere pacchi di viveri o di indumenti; libri o riviste che non provenissero direttamente da case editrici. Si poteva fare per lei un abbonamento, invece che mandarle direttamente qualcosa da leggere: riceveva due o tre giornali italiani a cui amici e parenti l'avevano abbonata.

Le detenute politiche che erano a Marianna venivano assoggettate ad un trattamento di massima sicurezza simile a quello della speciale unità carceraria di Lexington; cioé con un livello molto sofisticato di custodia. Il controllo audiovisivo veniva effettuato mediante telecamere e microfoni ventiquattro ore su ventiquattro. Ogni conversazione era controllata; anche piccoli trasferimenti per una visita sanitaria esigevano le manette, la cosiddetta "scatola nera" che praticamente immobilizza il movimento delle mani con una catena che passa attorno alla vita, e la presenza di una scorta armata con le pistole puntate.

Siccome la Baraldini era la nona nella graduatoria di anzianità carceraria, ha ottenuto una cella singola. La cella di detenzione ove veniva rinchiusa dalle 23.30 alle ¢.00 del mattino, era di due metri e dieci centimetri per tre metri ed era arredata con un lettino a castello, un armadio metallico, un televisore, un buiolo e un lavandino.

Silvia non poteva seguire le diete indicatele dai medici che l'hanno operata di tumore, ma la scelta dei cibi era più diversificata che nel carcere newyorchese. L'assistenza medica era molto limitata e non comprendeva visite e controlli oncologici di sorta, tantomeno quelle radiografie stratificate prescritte dalla sua cartella clinica.

Silvia non aveva la libertà, che é fondamentale, ma aveva interessi ed amicizie. A Marianna si é occupata, assieme ad altre detenute, di migliorare le condizioni in carcere. Ha fatto un lavoro di informazione sull'Aids, che é l'epidemia delle carceri americane, una tragedia ignorata dalle autorità. La mattina lavorava alla biblioteca legale del carcere; aiutava le altre detenute a scrivere ai giudici, agli avvocati. Le era concessa solamente un'ora d'aria al giorno, in un cortile di cemento, dove la temperatura superava i quaranta gradi.

A proposito dell'ultimo periodo di detenzione trascorso nell'unità di massima sicurezza nel carcere di Marianna, la Baraldini afferma: "La vita quotidiana era diventata insopportabile. Ha richiesto da parte mia una forte disciplina interiore per non perdere il controllo della mia esistenza. E' stato un anno molto difficile: ultimamente ho sofferto di una forma di atarassia, peggiore della depressione: la demotivazione. E' terribile essere consapevoli che ogni giorno la vita dell'unità carceraria sarebbe stata uguale. Nulla che non conoscessi già in dodici anni di carcere. Ero sempre più isolata e faticavo a dover mantenere i rapporti interpersonali con il mondo esterno, sia quelli con il mondo americano sia quelli sviluppati con il mondo italiano, in dodici anni di detenzione".