Il trasferimento nel carcere di Danbury

Nel 1986 Silvia Baraldini era nel carcere di Pleasanton, in California. Allora le condizioni di detenzione erano quelle di un carcere normale. Ma da quando l'Fbi l'ha prelevata e l'ha condotta nell'unità di massima sicurezza sotterranea di Lexington, soprannominata la "tomba bianca", ha dovuto lottare per sette anni per ottenere di essere reinserita in un ambiente carcerario più normale.

Nel 1984 é nel carcere federale non di massima sicurezza di Danbury, nel Connecticut, dove é stata trasferita dall'unità di massima sicurezza di Marianna, in Florida.

Silvia così racconta la sua esperienza del viaggio da Marianna a Danbury: "Il trasferimento da un carcere all'altro varia da una settimana ad un mese. Le condizioni di vita sono orribili. Eravamo ammucchiate in un gran camerone del carcere statale di Cartersville in Georgia. Soltanto un'ora di aria a settimana ed un cibo schifoso. Lì siamo rimasti per cinque giorni in un apposito settore del carcere per detenuti in transito: si chiama il Dop (prigione federale per le detenute in transito). Ogni giorno, proprio come dei pacchi postali, alcune detenute venivano prelevate per la destinazione successiva ed altre ne arrivavano. Dalla Georgia in aereo siamo andati ad Oklahoma City. Il rituale durante il trasferimento é sempre lo stesso per motivi di sicurezza: mani e piedi incatenati. Uno ad uno si sfila dinanzi ad un plotone armato. In aereo le manette non vengono tolte nemmeno per recarsi alla toilette. A nessun detenuto vengono dati liquidi ventiquattro ore prima del viaggio. Al centro di smistamento dei detenuti, ad Oklahoma City, siamo entrate una ad una, in uno spazio tutto bianco. Il personale di custodia aveva i guanti bianchi. Venivamo costrette a spalancare la bocca. Ci mettevano le mani dappertutto. Donne e uomini, con i pantaloni calati, venivamo palpati e perquisiti sempre in catene".

Il carcere di Danbury, pur con i suoi statuti restrittivi, rappresenta un salto di qualità sia rispetto all'unità speciale sotterranea di Lexington, dove Silvia era stata sottoposta ad un regime di deprivazione sensoria e ad altre torture psico-fisiche, quando in diciannove mesi aveva visto poche volte la luce solare; sia rispetto a Marianna in Florida, una delle località più sperdute ed isolate d'America, in cui le condizioni carcerarie erano di massima sicurezza, con isolamento, sorveglianza speciale e scarsi controlli medici malgrado le due operazioni di cancro uterino.

Il carcere di Danbury é una costruzione rettangolare, le cui celle contrariamente all'unità di Marianna, sono dotate di finestre che guardano all'esterno. E' circondato da filo spinato e torri di controllo, cosmeticamente nascoste. Ospita detenute a livello medio e minimo di custodia, blindato ma non di massima sicurezza; in un paesaggio ridente, con boschi di betulle, prati verde-smeraldo, stormi di oche canadesi. Essendo ad un'ora e mezzo da New York, vi possono giungere con relativa facilità tanti visitatori, giornalisti, familiari, amici.

A Danbury Silvia sta molto meglio; lavora come bibliotecaria, nel pomeriggio segue un corso di teleinformatica avanzata e poi ha fino a quattro ore di tempo che trascorre con le altre detenute nel braccio. Nelle ore d'aria concesse quotidianamente alle detenute, può camminare in uno spazio all'aria aperta ogni giorno, dalle 8.30 del mattino, quando non lavora in biblioteca, può esercitarsi a vedere il paesaggio della campagna circostante: non provava questa sensazione da vari anni.

A Danbury ha ritrovato l'indipendentista portoricana Alejandrina Torres che aveva condiviso con lei esperienze nei sotterranei di Lexington; verrà raggiunta anche da Susan Rosenberg, processata insieme nel lontano 1983.