Il disinteresse delle autorità italiane
Per cinque anni, dal 1987 fino al gennaio 1992 la vicenda di Silvia Baraldini é stata portata all'attenzione dell'opinione pubblica italiana dal "Maurizio Costanzo Show", dalle interviste della detenuta trasmesse dal Tg3 e da "Mixer", dai resoconti di qualche corrispondente dagli Stati Uniti, in particolare dal quotidiano "Il Manifesto" e dal settimanale "Avvenimenti".
Si sono distinti per la loro assenza quasi tutti i grandi organi di informazione. Quello di Silvia era ed é un caso imbarazzante per chi sistematicamente esalta la civiltà del sistema democratico statunitense.
Secondo Elizabeth Fink, legale della Baraldini, anche le autorità governative italiane, come documentato in un libro bianco, hanno manifestato per diversi anni un interesse del tutto marginale alla soluzione di questo problema, non attivando tempestivamente tutti i canali giuridici e diplomatici in loro possesso.
Le massime autorità dello Stato italiano sono state invitate ad occuparsi del caso Baraldini dal 1987, ma con scarsi risultati sia per l'intransigente opposizione delle amministrazioni statunitensi di Reagan e di Bush, sia per lo scarso impegno e la servile rassegnazione dei governi di Roma.
Il presidente della Repubblica Cossiga, i presidenti del Consiglio Craxi, De Mita, il ministro degli Esteri De Michelis e della Giustizia Vassalli, hanno affermato di essere intervenuti su questa o su quella autorità degli Stati Uniti. L'allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti ha scritto all'onorevole Emma Bonino che era intervenuto sullo stesso presidente Bush. Questi interventi, in realtà, o non ci sono mai stati o hanno lasciato poche tracce. Lo stesso Bush, interpellato da un giornalista durante una sua visita a Roma ha affermato di non sapere nulla del caso Baraldini e tanto meno dell'interessamento diretto di Andreotti.
Il ministro degli Esteri De Michelis nel 1989 affermava a proposito dell'estradizione di Silvia Baraldini in Italia: "E' questione di qualche settimana, forse di due mesi; nel frattempo, voi giornalisti meno ve ne occupate, meglio é...".
Nel marzo 1989 i deputati Vesce, Masini, Righi, Cellini, De Iulio e Tamino sono stati ricevuti al Quirinale dal presidente della Repubblica Francesco Cossiga e gli hanno presentato una petizione firmata da 340 parlamentari ed hanno sollecitato un suo intervento diretto presso il presidente George Bush per ottenere un atto di clemenza a favore della Baraldini che avrebbe potuto essere estradata in Italia e sottoposta alle cure prescritte dai medici americani dopo il doppio intervento chirurgico dell'anno precedente.
Cossiga, però, non ha sollevato il caso durante gli incontri avuti con Bush, in occasione della visita di quest'ultimo a Roma. Ciò, non per disinteresse o dimenticanza, ma in seguito al parere contrario espresso dall'ambasciatore a Washington Rinaldo Petrignani e dal ministro degli Esteri Giulio Andreotti che hanno giudicato diplomaticamente "inopportuno" un intervento del presidente della Repubblica. I 340 parlamentari che avevano inoltrato la petizione a Cossiga hanno poi deciso di rivolgersi direttamente al presidente Bush.
Nella conferenza stampa indetta a Washington dal presidente del Consiglio Andreotti il ¢ marzo 1990, alla domanda se intendesse sollevare la questione della Baraldini nei suoi colloqui con gli esponenti governativi statunitensi, Andreotti ha risposto testualmente: "Veramente nei colloqui qui, non direi; nel senso cioé che è un problema che il ministero degli Esteri, già prima e adesso con De Michelis, ha seguito molto attentamente, che il ministro di Grazia e Giustizia nel suo ambito ha deciso di seguire. Ci auguriamo così che venga risolto in termini brevi, in quella che é ormai una questione procedurale e non politica".
Nel frattempo, due personaggi politici italiani, la radicale Emma Bonino e il presidente della Regione Emilia-Romagna Luciano Guerzoni che all'inizio del 1990 hanno visitato Silvia Baraldini nel carcere newyorchese, hanno definito inammissibile la carenza di energici interventi del nostro governo ed hanno sottolineato come i ritardi nell'estradizione della detenuta fossero un'offesa per l'opinione pubblica italiana.
Nella conferenza stampa indetta a Washington il 7 maggio 1991, alla domanda della giornalista Federica Sciarelli del Tg 3 per sapere se era stato sollevato il caso di Silvia Baraldini con il presidente Bush, Andreotti ha risposto testualmente: "No, in questo momento no. Io ho avuto ieri da Manisco... mi ha dato una documentazione di carattere medico. E mi riservo di farlo perché lo abbiamo fatto altre volte e bisognerà andare più in profondità. E questa documentazione che abbiamo avuto ieri é una documentazione medica e forse in questi giorni il Presidente Bush con i medici si occupa di altri problemi.
Dal 1987 all'inizio del 1992 il caso Baraldini é stato ignorato anche dai rappresentanti diplomatici italiani in America. Solo in seguito al clamore sollevato dalla stampa degli Stati Uniti per il suo trasferimento nell'unità speciale del penitenziario di Lexington, il console d'Italia a New Orleans, ha visitato Silvia. Egli poi ha mandato a Roma un rapporto che ha consentito al sottosegretario agli Esteri Susanna Agnelli di replicare nel febbraio del 1988 ad una interpellanza parlamentare definendo "ineccepibili sotto l'aspetto qualitativo" le condizioni di incarcerazione della Baraldini. Ma parere opposto é stato espresso dal giudice federale americano Barrington Parker che pochi mesi dopo ha ordinato la chiusura di questa "tomba per esseri viventi".
Secondo Elizabeth Fink, come documentato in un libro bianco, l'Ambasciata d'Italia a Washington ha mostrato ritardi nello sbrigare pratiche preliminari, nel rispondere a quesiti, nell'inoltrare documenti alle autorità americane; é venuta al corrente con molto ritardo di quanto stava avvenendo alla Baraldini: l'intera sua cartella clinica é stata richiesta solo alla fine di maggio del 1990.