La prima richiesta di estradizione

Dopo la ratifica della Convenzione di Strasburgo da parte dell'Italia e degli Stati Uniti, nel 1989 Silvia Baraldini ha chiesto di essere trasferita in un carcere italiano. Ma il 19 dicembre 1990 gli Stati Uniti hanno respinto la richiesta.

Il periodo in cui é stata avanzata la domanda ha coinciso con lo scandalo della filiale di Atlanta della Banca Nazionale del Lavoro, che aveva prestato miliardi a Saddam Hussein. "I Gionnali rivelano - afferma la Baraldini - che alcuni politici italiani fecero pressione presso l'allora ministro della Giustizia Richard Thonnburg affinché il ruolo dei funzionari italiani della Bnl in quella vicenda venisse ignorato o non sottolineato. La mia idea é che gli italiani non hanno voluto imporsi con due interventi contemporanei: uno, molto delicato, a favore della Bnl e uno, molto sgradevole, a favore di una persona scomoda come me, cittadina italiana condannata in America per atti di terrorismo".

Il vice ministro della Giustizia degli Stati Uniti così ha motivato il rifiuto: "Nel caso tornasse in Italia, la Baraldini sconterebbe una pena sostanzialmente minore di quella comminatale negli Stati Uniti. Tale eventualità sarebbe per noi inaccettabile per i seguenti motivi:

1) l'estrema gravità dei reati di cui si é resa responsabile;

2) il suo protratto rifiuto a collaborare;

3) l'assenza di pentimento;

4) il nostro convincimento che, in caso venisse posta in libertà, la Baraldini tornerebbe a svolgere attività delittuose pregiudizievoli per gli Stati Uniti".

Il Governo americano non ha concesso il trasferimento in Italia di Silvia perché non ha mostrato rimorso: in pratica simile affermazione vuol dire che si é rifiutata di collaborare con l'Fbi, cioé di dire i nomi dei suoi compagni, e in termini italiani di essere una "pentita". Inoltre gli Stati Uniti hanno accusato l'ordinamento giuridico italiano. Secondo il Governo americano, in Italia ci sarebbero rilasci troppo facili e in base alla legislazione vigente Silvia avrebbe potuto usufruire di quelle possibilità che i detenuti hanno grazie alla legge Gozzini. In base ad essa i detenuti possono infatti accedere agli arresti domiciliari, o ad una libertà provvisoria e vigilata, a un ritorno ad un luogo di lavoro, anche se parziale, a delle forme di semili bertà; tutte cose che negli Stati Uniti non sono assolutamente concesse. In realtà la legislazione italiana é ispirata da criteri di rieducazione e di reinserimento del detenuto, che dovrebbero essere alla base della civiltà giuridica. Occorre anche dire che la Convenzione di Strasburgo é stata firmata dagli Stati Uniti e dall'Italia, per cui al momento della firma del Trattato, gli Usa sapevano esattamente quale fosse la situazione dell'ordinamento giuridico italiano.

Inoltre il timore che, se Silvia Baraldini fosse tornata in libertà, avrebbe potuto rappresentare un pericolo per l'America, é assolutamente privo di fondamento: é del tutto inverosimile che il paese più potente del mondo abbia paura di lei.

Infine, quanto all'estrema gravità dei reati di cui parla il vice ministro della Giustizia statunitense, é noto che Silvia non é mai risultata colpevole di reati di sangue o di fatti di violenza; non ha mai ucciso nessuno, né ha sparato contro qualcuno. La vera colpa della Baraldini é di non avere collaborato con l'Fbi, di non aver tradito i suoi compagni, di avere aderito con incrollabile fermezza di carattere e contro ogni avversità ai suoi ideali di rivoluzionaria comunista, di combattente per la libertà e per l'emancipazione degli afroamericani negli Stati Uniti.

Silvia é, in realtà, una prigioniera politica: un simile parere é espresso nella sentenza emessa dal giudice federale del distretto di Washington, Barrington Parker, che nel disporre il suo immediato trasferimento dal lager di Lexington nel Kentucky, ha rilevato come la detenuta italiana fosse stata "punitivamente discriminata per motivi politici".