Alla fine di gennaio del 1982 il Governo italiano ha presentato la seconda domanda per il trasferimento di Silvia Baraldini in Italia. La richiesta era corredata di nuovi argomenti per rimuovere le riserve di Washington sul lassismo della legge italiana che avrebbe potuto permettere alla Baraldini di riacquistare in tempi brevi la libertà, dopo il rimpatrio.
Il 5 ottobre 1992, per la seconda volta, gli Usa hanno negato a Silvia il trasferimento in un carcere italiano. Alle motivazioni precedenti (non si pente, non collabora con l'Fbi, é pericolosa per gli Stati Uniti, una volta trasferita in Italia sarebbe messa subito in libertà) é stato aggiunto il timore della sfiducia nella giustizia che sarebbe potuta sorgere nell'opinione pubblica americana.
In entrambi i casi, per negare il consenso al trasferimento di Silvia in Italia, il governo americano ha accampato motivazioni che lasciano chiaramente intendere una volontà persecutoria e vendicativa verso di lei, per le sue idee politiche. Sono state date motivazioni del tipo: "la Baraldini si é sempre rifiutata di pentirsi", "ha sempre rifiutato di fare ammenda delle proprle convinzioni".
Queste affermazioni non hanno niente di giuridico e di attinente ai trattati internazionali. Il pentimento, come fatto che appartiene alla sfera interna dell'individuo, non ha né può avere rilievo ai fini della decisione da prendere. "Ti lascio andare, ma ti devi pentire", non é la logica della Convenzione di Strasburgo, né della Costituzione italiana, né del moderno diritto penale internazionale.
La risposta di Washington alla seconda richiesta di estradizione di Silvia non sembra la più coerente con la cultura istituzionale di una grande democrazia, come quella statunitense, che é nata e si é affermata intorno all'idea del primato dei diritti umani.