Silvia Baraldini:
Stato etico, stato di diritto e diritto internazionale sminuzzati
nel frullatore ideologico della superpotenza americana i cui
rappresentanti ufficiali fanno riferimento al "mancato pentimento"
di Silvia Baraldini e alla sua "non collaborazione" con la Fbi per
spiegare quali sono le ragioni di fondo che impediscono un suo
trasferimento in Italia. Nel numero di Panorama, in edicola questa
settimana, è Daniel Serwer, incaricato d'affari dell'ambasciata
americana a Roma, a servire all'opinione pubblica italiana questo
guazzabuglio di incultura storica e giuridica.
"La nostra giustizia ha funzionato benissimo - dichiara Serwer -
il problema è se la signora Baraldini debba essere trasferita o no
in un carcere italiano. La Baraldini potrebbe aiutarsi da sola...
collabori, si penta. Ha fatto parte di un'organizzazione
terroristica che si occupava di rapine a mano armata, il pentimento
e la collaborazione potrebbero migliorare la sua posizione...".
È sorprendente questa tesi dell'invito al pentimento per dare
fondamento di giustizia all'atteggiamento vendicativo ed
ostinatamente inflessibile del governo americano che, già due volte
ha negato la richiesta del governo di Roma basata sulla Convenzione
di Strasburgo.
È questo un trattato internazionale stipulato e ratificato dal
Congresso degli Stati Uniti nel 1986 e dal Parlamento italiano nel
settembre del 1989. La convenzione, articolo 11 del suo Protocollo,
riconosce il diritto dei detenuti in stati esteri di scontare il
resto della pena nel proprio paese d'origine. Pur riconoscendo che
il consenso del paese che commina la pena (gli Stati Uniti nella
fattispecie) non è obbligatorio né presuppone scadenza di tempo.
Proprio il giudice Giovanni Falcone, prima di essere assassinato,
prese particolarmente a cuore il caso di questa detenuta politica
italiana, e nel corso di due sue visite a Washington se ne occupò
direttamente. Falcone aveva infatti cercato di convincere le
autorità americane che il trattato internazionale, nelle sue linee
direttive di principio, era applicabile al caso Baraldini e ne
indicò l'iter per ovviare alle disparità dei singoli ordinamenti
giuridici.
Guido Calvi, legale italiano della Baraldini affronta il tema del
"pentitismo" e della "non collaborazione", nell'organo forense I
diritti dell'uomo dello scorso mese di aprile. "Il rifiuto a
collaborare - scrive Calvi - attiene eventualmente alla
determinazione della pena o dell'ottenimento di benefici previsti
dallo Stato di condanna: è irrilevante l'osservazione in tema di
applicazione di un trattato internazionale (Convenzione di
Strasburgo). È superfluo sottolineare quanto questo argomento sia
in grave conflitto con qualsiasi voglia di principio che regoli uno
stato di diritto. La mancanza di pentimento è poi un argomento
valido in un ordinamento informato ai principi di uno stato etico".
La sentenza capestro di 43 anni di carcere tramite l'applicazione
della legge Rico (Racketeering Influenced Corrupt Act) riconosciuta
come anticostituzionale in USA e la classificazione di "terrorista
estremamente pericolosa e violenta" vennero inflitte alla Baraldini
per reati associativi che non avevano coinvolto la detenuta italiana
in spargimenti di sangue, in conflitti a fuoco o in detenzione di
armi o esplosivi. Vent'anni di carcere vennero infatti comminati
alla Baraldini per il reato di concorso nell'evasione dal carcere
nel 1979 di Joanne Chesimard (Assata Shakur); altri vent'anni per la
partecipazione ai preparativi per una rapina, poi mai effettuata,
nel marzo 1981).
Durante il processo, persino la giuria respinse la tesi accusatoria
del pubblico ministero di una parteciapzione della Baraldini ad
azioni armate. Quanto all'ipotesi - esternata, in mala fede, dal
ministro della giustizia della precedente amministrazione Bush alle
autorità italiane - di un coinvolgimento della Baraldini
nell'uccisione di due agenti di polizia in una rapina a Nanuet è del
tutto assente dagli atti giudiziari e dai capi d'imputazione che
portarono alla condanna di Silvia Baraldini. Altri 3 anni vennero
poi aggiunti alla sentenza, perché l'imputata si era rifiutata di
comparire davanti a un gran giurì che conduceva un'inchiesta sul
Fronte nazionale per la liberazione di Portorico. Per le autorità
americane, come risulta dalla documentazione ufficiale inviata alle
nostre autorità a Roma, la vera colpa della Baraldini è il suo
continuo rifiuto, ieri come oggi, a collaborare con l' Fbi e
abiurare alle proprie idee.
Nell'intervista, Daniel Serwer non esclude del tutto che il caso
Baraldini possa essere risolto dall'amministrazione Clinton partendo
da presupposti non giuridici, ma umanitari.
C'è soltanto da augurarsi che il suo successore abbia idee più
chiare in materia di diritto e sentimenti più nobili in materia di
umanità.
gli USA ignorano umanità e giustizia