il manifesto
Al telefono, la voce tradisce ora emozione, ora rabbia. Antonio
Tabucchi, scrittore e intellettuale, segue da due anni il caso di
Silvia Baraldini. È uno dei firmatari del recente appello che,
nelle intenzioni, vorrebbe squarciare il velo di apatia e
rassegnazione di cui sembra prigioniero il nostro governo. Avverte:
"In questa vicenda, l'Italia è in ritardo di 13 anni. Cosa
aspettiamo, che diventi un nuovo caso Sacco e Vanzetti?"
Hai notizie recenti sulla Baraldini?
Le ultime informazioni le ho avute dal comitato Baraldini. So che
il direttore del carcere di Danbury, dove lei è attualmente
rinchiusa, è stato in passato il medico del carcere di Lexington,
penitenziario dove la Baraldini e stata reclusa per diverso tempo e
che è stato chiuso per incostituzionalità. Questo medico, a quanto
sembra, tollerava e consentiva torture psicologiche sulle detenute.
E questo la dice lunga sulle carceri americane. So che, al momento,
Silvia Baraldini non può avere più di cinque libri in cella. Non
può ricevere telefonate, neanche da sua madre. Non può ricevere fax
e la posta è limitata a 25 lettere l'anno, lasciate alla scelta
della direzione del carcere, che cestina quel che vuole
nell'assoluto arbitrio. Dopo ogni colloquio con il suo avvocato,
unica persona che può incontrare, subisce un'ispezione anale e
vaginale da parte del personale carcerario. Queste sono le sue
condizioni. Ora, poiché gli USA non si fidano delle nostre carceri
vorrei dire perlomeno che il sistema carcerario europeo è stato
visitato due anni fa dalla commissione di Strasburgo, presieduta dal
giudice Antonio Cassese. E che quest'ultimo ha fatto rendere
pubbliche ai ministeri di grazia e giustizia di ogni paese le
condizioni delle carceri europee. Ma chi visita le carceri
americane?
Come giudichi l'atteggiamento del nostro governo?
Fragile. Ha denunciato un'incapacità diplomatica che purtroppo non
ha riscontro negli altri paesi della Comunità Europea.
Come ho insinuato in un articolo firmato con Dacia Maraini e apparso
sull'Unità, probabilmente, se Silvia Baraldini fosse stata una
cittadina tedesca, inglese, francese, o di altro paese della Cee,
già da tempo starebbe scontando la sua pena in patria.
Vorrei aggiungere una cosa: il governo italiano si sta appellando a
ragioni umanitarie, che in questo caso per altro sono sacrosante.
Ma a mio avviso dovrebbe fare forza sugli articoli della
convenzione di Strasburgo che gli USA hanno sottoscritto.
L'ltalia non può continuare a dire agli USA "per piacere ridateci
Silvia Baraldini". Deve dire andiamo a un tavolo delle trattative
con il Consiglio d'Europa.
Avete ipotizzato altre strade oltre quella delI'appello alle
autorità italiane?
Se l'Italia non riuscirà nel suo intento insisteremo nell'appello di
tutti gli intellettuali europei al tribunale internazionale degli
scrittori di Strasburgo. Certo, è triste appellarci a un tribunale
del genere, che di solito si occupa degli scrittori perseguitati nel
Pakistan, nel Bangladesh, per trattare i diritti di una cittadina
europea.
Parli dell'impegno di scrittori e intellettuali. Qualcuno sta
forse pensando di toccare l' opinione pubblica con un un film, un
libro?
Il nostro appello è stato sottoscritto da 76 intellettuali. Con
firme di grande prestigio e con persone note anche negli Usa, fra
cui, per fare qualche esempio, Gillo Pontecorvo, Bernardo
Bertolucci, Umberto Eco, Marcello Mastroianni. Ma francamente mi
auguro che l'Italia non stia aspettando che quello Baraldini diventi
un nuovo caso Sacco e Vanzetti per poi farci un film 40 anni dopo.
Le autorità italiane si devono muovere subito e quando dico subito
dico con un ritardo di 13 anni. Perché da tanto Silvia sta
scontando la sua pena in una cella americana, anziché italiana. E
dico questo proprio per il grande rispetto che ho per il film Sacco
e Vanzetti e per il suo regista Giuliano Montaldo, che ha fatto un
film che deve metterci in guardia.
Carlo Bonini
Giovedì 1 febbraio 1996