Un nuovo Sacco e Vanzetti?

il manifesto
Carlo Bonini
Giovedì 1 febbraio 1996

Al telefono, la voce tradisce ora emozione, ora rabbia. Antonio Tabucchi, scrittore e intellettuale, segue da due anni il caso di Silvia Baraldini. È uno dei firmatari del recente appello che, nelle intenzioni, vorrebbe squarciare il velo di apatia e rassegnazione di cui sembra prigioniero il nostro governo. Avverte: "In questa vicenda, l'Italia è in ritardo di 13 anni. Cosa aspettiamo, che diventi un nuovo caso Sacco e Vanzetti?"

Hai notizie recenti sulla Baraldini?

Le ultime informazioni le ho avute dal comitato Baraldini. So che il direttore del carcere di Danbury, dove lei è attualmente rinchiusa, è stato in passato il medico del carcere di Lexington, penitenziario dove la Baraldini e stata reclusa per diverso tempo e che è stato chiuso per incostituzionalità. Questo medico, a quanto sembra, tollerava e consentiva torture psicologiche sulle detenute. E questo la dice lunga sulle carceri americane. So che, al momento, Silvia Baraldini non può avere più di cinque libri in cella. Non può ricevere telefonate, neanche da sua madre. Non può ricevere fax e la posta è limitata a 25 lettere l'anno, lasciate alla scelta della direzione del carcere, che cestina quel che vuole nell'assoluto arbitrio. Dopo ogni colloquio con il suo avvocato, unica persona che può incontrare, subisce un'ispezione anale e vaginale da parte del personale carcerario. Queste sono le sue condizioni. Ora, poiché gli USA non si fidano delle nostre carceri vorrei dire perlomeno che il sistema carcerario europeo è stato visitato due anni fa dalla commissione di Strasburgo, presieduta dal giudice Antonio Cassese. E che quest'ultimo ha fatto rendere pubbliche ai ministeri di grazia e giustizia di ogni paese le condizioni delle carceri europee. Ma chi visita le carceri americane?

Come giudichi l'atteggiamento del nostro governo?

Fragile. Ha denunciato un'incapacità diplomatica che purtroppo non ha riscontro negli altri paesi della Comunità Europea. Come ho insinuato in un articolo firmato con Dacia Maraini e apparso sull'Unità, probabilmente, se Silvia Baraldini fosse stata una cittadina tedesca, inglese, francese, o di altro paese della Cee, già da tempo starebbe scontando la sua pena in patria. Vorrei aggiungere una cosa: il governo italiano si sta appellando a ragioni umanitarie, che in questo caso per altro sono sacrosante. Ma a mio avviso dovrebbe fare forza sugli articoli della convenzione di Strasburgo che gli USA hanno sottoscritto. L'ltalia non può continuare a dire agli USA "per piacere ridateci Silvia Baraldini". Deve dire andiamo a un tavolo delle trattative con il Consiglio d'Europa.

Avete ipotizzato altre strade oltre quella delI'appello alle autorità italiane?

Se l'Italia non riuscirà nel suo intento insisteremo nell'appello di tutti gli intellettuali europei al tribunale internazionale degli scrittori di Strasburgo. Certo, è triste appellarci a un tribunale del genere, che di solito si occupa degli scrittori perseguitati nel Pakistan, nel Bangladesh, per trattare i diritti di una cittadina europea.

Parli dell'impegno di scrittori e intellettuali. Qualcuno sta forse pensando di toccare l' opinione pubblica con un un film, un libro?

Il nostro appello è stato sottoscritto da 76 intellettuali. Con firme di grande prestigio e con persone note anche negli Usa, fra cui, per fare qualche esempio, Gillo Pontecorvo, Bernardo Bertolucci, Umberto Eco, Marcello Mastroianni. Ma francamente mi auguro che l'Italia non stia aspettando che quello Baraldini diventi un nuovo caso Sacco e Vanzetti per poi farci un film 40 anni dopo. Le autorità italiane si devono muovere subito e quando dico subito dico con un ritardo di 13 anni. Perché da tanto Silvia sta scontando la sua pena in una cella americana, anziché italiana. E dico questo proprio per il grande rispetto che ho per il film Sacco e Vanzetti e per il suo regista Giuliano Montaldo, che ha fatto un film che deve metterci in guardia.