Avvenimenti 24 agosto 1994
Washington, Verbale di Incontro Sulla Detenuta Baraldini
Presenti, nell'incontro di agosto al Department of Justice, il
vice-ministro della giustizia, alti funzionari USA, diplomatici
italiani, la madre e l'avvocata di Silvia. È emersa ancora una
volta come appare dalle note che siamo in grado di pubblicare la
continuità di una "linea dura" all'interno dell'Amministrazione
americana. E due ministri italiani sono attesi a Washington.
Lucio Manisco
Il resoconto sommario ma fedele degli scambi sul caso Baraldini: il
Dipartimento di Giustizia di Washington che pubblichiamo su questo
numero di "Avvenimenti" non rivela alcun mutamento della posizione
dei vertici di quel Dipartimento, una posizione di generica
intransigenza che sembra abbia preparato il terreno ad un rigetto di
qui a due o tre mesi della terza richiesta di trasferimento della
nostra condannata in un carcere italiano in applicazione della
Convenzione di Strasburgo.
Malgrado l'avvicendamento di sei Attorney Generals o ministri della
Giustizia dalle amministrazioni repubblicane di Reagan e Bush a
quella democratica di Bill Clinton, l'opposizione statunitense ad
una soluzione positiva della vertenza è rimasta la stessa anche se
le motivazioni addotte continuano a presentare varianti di forma e
di sostanza (questa volta è stata considerata la necessità di un
deterrente contro il "terrorismo" importato dall'estero); identico
il personaggio che nel corso di tre amministrazioni ha elaborato
queste motivazioni nel sostenere la linea della fermezza: è il
signor Gerald Shur, direttore della sezione per il trasferimento dei
detenuti, intervenuto nella discussione del 2 agosto al dipartimento
di Giustizia per riesumare qualcosa che non è stata mai menzionata
nei precedenti scambi, un'inedita "raccomandazione" cioè di non
concedere sconti di pena alla Baraldini formulata dodici anni fa dal
giudice Duffy nell'imporre all'imputata la severa condanna a
quarantatré anni di detenzione.
L'assenza di qualsiasi iniziativa o pressione da parte del governo
Berlusconi ha indubbiamente contribuito alla reiterazione in termini
particolarmente duri dell'intransigenza statunitense e così anche
l'assunto che un rigetto ufficiale della richiesta italiana subito
dopo la fase estiva emargini ed accantoni l'intera questione per
altri due anni (per decisione unilaterale del signor Gerald Shur il
governo di Roma non potrà rinnovare la richiesta di trasferimento
della Baraldini prima del novembre 1996). È un assunto erroneo che
oltretutto rischia di ledere i conclamati interessi del Dipartimento
di Giustizia e dello stesso governo degli Stati Uniti, la crescente
mobilitazione dell'opinione pubblica italiana a favore della
connazionale ha assunto aspetti di spontaneità collettiva tale da
delineare reazioni esasperate ad un eventuale rigetto ufficiale di
Washington; paradossali le conseguenze indipendentemente dalla
volontà e dagli intenti della detenuta italiana: una sua protratta
incarcerazione nel penitenziario di Danbury investirebbero di
credibilità e prestigio, traguardi e motivazioni della sua militanza
giovanile contro la repressione degli afro-americani, il razzismo,
l'imperialismo e la presenza di prigionieri politici nelle carceri
statunitensi.
Considerazioni di questo genere, al di là della pressione
dell'opinione pubblica nazionale, hanno spostato su un livello
diverso - politico e diplomatico - il dibattito e gli scambi sulla
vertenza: durante la sua visita a Roma dello scorso giugno il
presidente Clinton è stato informato della gravità del caso dal
sindaco Rutelli, ed un analogo intervento è stato posto in atto
dalle consigliere comunali in un incontro con la signora Hillary
Clinton.
Non hanno invece sortito esito alcuno le petizioni a favore della
Baraldini firmate da centosessantasette parlamentari ed
europarlamentari italiani, inoltrate nel settembre dello scorso anno
al presidente degli Stati Uniti dall'ambasciatore d'Italia Boris
Biancheri (l'ufficio protocollo della Casa Bianca non si è neppure
degnato di notificare con la formula di rito agli interessati la
ricezione del voluminoso plico parlamentare).
La questione è stata per altro posta all'ordine del giorno dalla
missione che verrà espletata tra poche settimane a Washington dalla
delegazione permanente dell'Unione Europea per i rapporti con gli
Stati Uniti.
Altri sviluppi nei prossimi due mesi potrebbero prevalere
sull'ostilità dei vertici del Dipartimento di Giustizia
statunitense: dopo ritardi di cinque mesi il nuovo direttore per gli
affari penali del nostro dicastero, dottor Mele, si recherà nella
capitale del Paese amico ed alleato per ulteriori chiarimenti sulla
posizione italiana.
Il direttore dell'Fbi, Louis Freech che, aveva seguito con
comprensione gli interventi di Giovanni Falcone a favore della
Baraldini, discuterà del caso con le nostre autorità in occasione di
una conferenza internazionale sul crimine organizzato che si terrà
in Italia.
A settembre è atteso a Washington il ministro degli Interni Maroni e
lo stesso ministro di Grazia e Giustizia Biondi si è detto pronto a
recarsi negli Stati Uniti per sostenere la necessità di "una
reciprocità bilaterale" nell'osservanza della convenzione di
Strasburgo: ha preso questo impegno nel corso di un dibattito
televisivo che ha accompagnato la programmazione sulla Terza Rete
della Rai di un'eccezionale intervista alla Baraldini condotta nel
carcere di Danbury da Gianni Minà.
2 agosto 1994
Incontro sul caso Baraldini al Department ot Justice, Washington Dc
Presenti:
Jo Ann Harris,
Mark Richard,
P. Roylan,
Dolores Baraldini,
Ministro Silvio Fagiolo,
Daniele Mancini,
Elisabeth Fink,
Gerald Shur
apre la discussione con un rapporto sull'eccellente trattamento
medico riservato alla Baraldini, operata due volte di cancro
squamoso uterino nel 1989, in stato di detenzione, dai chirurghi
della clinica Mayo nel Minnesota. Obiezioni dell'avvocata Fink che
nota tra l'altro come la Silvia Baraldini non sia stata sottoposta
alla Tac periodica ordinata dai medici. G. Shur assicura che la Tac
in questione verrà effettuato il 18 agosto (e Fink commenta poi che
questo è l'unico risultato certo durante l'incontro).
Dolores Baraldini
parla in termini accorati della tragedia vissuta dalla famiglia,
soprattutto per la morte dell'altra sorella Marina, funzionaria
della Cee, deceduta in un attentato terroristico ad un aereo
francese in volo nei cieli africani 1991. Fa presente la sua tarda
età, il suo precario stato di salute, la sua solitudine a Roma.
Daniele Mancini
sottolinea l'importanza del caso, seguito in Italia con
partecipazione emotiva da parte dell'opinione pubblica. E
sottolinea anche gli aspetti politico-istituzionali e gli interventi
delle massime autorità italiane a partire dal Presidente della
Repubblica Scalfaro.
Jo Ann Harris
interviene per ribattere che le questioni politiche, costituzionali
e diplomatiche non rientrano nelle sue competenze, limitate ai "law
enforcement". Passa quindi all'avvocata Elisabeth Fink.
Elisabeth Fink
ricorda come tutti o quasi tutti gli imputati e condannati nel
processo del 1983 abbiano riacquistato la libertà: Alan Berkman
(malato di cancro, incriminato per la rapina al furgone blindato
della Brink e condannato per il possesso di esplosivi, rapina
bancaria, attentati al Campidoglio di Washinghton, all'Accademia
Navale, all'ambasciata di Israele) esercita ora la professione
medica a New York. Rilasciati in libertà anche Herman Fergerson
(incriminato per aver aperto il fuoco contro i poliziotti della
Brink) ed Eddie Joseph (incriminato per la stessa rapina).
Jo Ann Harris
chiede alla Fink alcuni ragguagli sul processo (specifici atti di
accusa a Silvia Baraldini, verdetto della giuria, le due procedure
di appello ed ottiene risposte adeguate).
Gerald Shur
interviene per chiedere polemicamente perché mai il giudice Duffy
nell'imporre la sentenza avesse raccomandato che la S. B. non
dovesse beneficiare di sconti di pena prima di aver trascorso
quarant'anni in carcere.
Elisabeth Fink,
memore del fatto che la Jo Ann Harris ha svolto il ruolo di pubblico
ministero nei tribunali federali e distrettuali di New York, ricorda
come l'avvocata difensore Susan Typograph per incompetenza e
inesperienza ma anche per coinvolgimento politico "nella causa"
avesse "antagonizzato" costantemente il magistrato rischiando
spesso l'espulsione dall'aula. La severità senza precedenti della
sentenza sostiene la Fink è stata influenzata dall'atteggiamento di
sfida e dagli attacchi al magistrato dell'avvocata Susan Typograph.
Jo Ann Harris
chiede dati sulla Convenzione internazionale di Strasburgo e
soprattutto sulle procedure e i tempi della sua attuazione.
Elisabeth Fink
spiega che gli atti giudiziari verbali del processo, della sentenza,
degli appelli vanno inviati alla Procura di Roma e tradotti in
lingua italiana (si tratta di cinque volumi), che solo allora il
tribunale italiano potrà decidere sulla durata della condanna da
scontare in Italia; avanza l'ipotesi personale che tale condanna non
possa essere inferiore ai tre anni.
Shur e Boylan
fanno presente che in tale caso la pena complessiva scontata dalla
Baraldini non supererebbe i quindici-sedici anni, trentacinque o
trentasei in meno di quelli della sentenza in USA.
Daniele Mancini
sottolinea l'indipendenza della magistratura dal potere esecutivo in
Italia e parla di indipendenza e sovranità della nostra
Repubblica. Aggiunge che in base alla Convenzione di Strasburgo
spetta alla Magistratura italiana rivedere e riformulare una
sentenza estera in termini compatibili con la legge nazionale, il
C.P. eccetera.
Elisabeth Fink
ricorda il caso specifico di un cittadino statunitense condannato in
Spagna a vent'anni per spaccio di stupefacenti e trasferito in
applicazione della Convenzione di Strasburgo negli Stati Uniti ove
la sentenza venne ridotta a sei mesi ed il detenuto venne
immediatamente rilasciato in libertà.
Shur, Boylan e Jo Ann Harris
sollevano la questione del pentimento e dell'accettazione di una
responsabilità criminosa, l'uno e l'altra costantemente respinti da
S. B.
Elisabeth Fink
ribatte che il tutto si riduce al rifiuto della Baraldini di
rinnegare la causa per cui si era battuta e di diventare
un'informatrice dell'Fbi; aggiunge che la detenuta aveva spiegato la
sua posizione in termini quantomai moderati al giudice Falcone che
l'aveva visitata nel carcere di Marianna in Florida, che tale
posizione era stata poi posta per iscritto in una lettera inviata al
magistrato prima del suo assassinio e che il testo della lettera è
agli atti. Su richiesta di Jo Ann Harris, Elisabeth Fink si impegna
a presentare un rapporto aggiornato sul caso a Gerald Shur entro il
mese di settembre (spiega poi di aver voluto prender tempo per
prevenire una possibile decisione in tempi brevi del Dipartimento di
Giustizia USA, che secondo i nuovi regolamenti ad hoc avrebbe
impedito alle autorità italiane di reiterare la richiesta di
trasferimento per altri due anni).
Jo Ann Harris
rivolgendosi a Dolores Baraldini professa comprensione umana per il
suo dolore e la sua sofferenza, così come prova comprensione per
tutte le vittime innocenti e per chi soffre per l'altrui violenza.
Ribadisce peraltro che il suo ruolo rientra nel "Law enforcement",
nell'esecuzione della legge, che ricade sulle sue spalle l'intera
responsabilità del sistema penale-giudiziario degli Stati Uniti e
che pertanto ogni sua decisione entro questo ambito deve essere
essenzialmente "giusta". Ricorda che c'è fin troppa violenza negli
Stati Uniti, che l'unico deterrente contro la violenza è
rappresentato da sentenze delle più severe, soprattutto per rendere
edotti gli individui che entrano negli Stati Uniti del fatto che
commettendo reati del genere essi vanno incontro a condanne e
periodi di detenzione molto ma molto lunghi. Conclude sostenendo di
avere compreso bene gli aspetti internazionali del caso, il che non
toglie che il caso rivesta particolare gravità.
Si accomiata e l'incontro si conclude con le rituali strette di
mano.
Deputy Attorney General (viceministro alla Giustizia signora Janet
Reno).
Deputy Assistant to the Attorney General lor International Affairs
(già informato su tutti gli aspetti del caso in un colloquio a
Washington da Lucio Manisco nell'aprile del 1994).
Deputy Assistant to the Ag. Gerald Shur, Direttore della sezione
per il trasferimento dei detenuti: incarico occupato dai tempi di
Reagan e Heege (si è sempre opposto al trasferimento della Baraldini
in un carcere italiano).
madre di Silvia Baraldini.
a sostituzione dell'ambasciatore Boris Biancheri e del consigliere
Stefano Stefaini, ambedue assenti per vacanze da Washington.
consigliere per gli affari politici all'ambasciata.
legale di Silvia Baraldini a partire dal 1985, anno in cui sostituì
Susan Typograph, la legale che aveva difeso con metodi controversi
l'imputata nel processo (giudice Duffy, pm Robert Lik, diventato ora
assistente di Janet Reno).