Patricia Lombroso
Il caso Silvia Baraldini, per le nostre autorità gode di una
eccessiva pubblicità. Ci viene sempre consigliato, beninteso negli
interessi della Baraldini, di adottare piuttosto il silenzio per non
urtare la suscettibilità americana. È un caso "difficile" e il
clima politico "giusto" per sollevare il problema non giunge mai.
Da De Michelis a Andreotti, da Martelli a Biondi e ora a Susanna
Agnelli, il refrain dal 1988 è il seguente: "Bisogna avere
pazienza... È un caso difficile... Purtuttavia è sempre al
centro della nostra attenzione... viene seguito da vicino fin dagli
inizi di questa vicenda così densa di aspetti delicati anche sul
piano umano".
Che l'inflessibilità americana sia adamantina è fuor di dubbio. Il
terzo "no" USA alla richiesta italiana di trasferimento della
Baraldini per farle scontare il resto dei 43 anni comminateli fu
deciso il 21 dicembre 1994.
Motivo: l'Italia non poteva garantire alle autorità americane la
sicurezza che sarebbe rimasta in carcere per tutti i 31 anni
restanti.
Il governo italiano, a quanto risulta, non solo non ha presentato le
sue rimostranze, ma ha reso pubblica la decisione americana soltanto
il 25 gennaio: un mese dopo.
Il legale americano della Baraldini Fink, ripete da mesi: " Sino a
quando il governo italiano continuerà a presentarsi con il cappello
in mano, gli Stati Uniti continueranno ad inventare scuse per
omettere l'applicazione della convenzione di Strasburgo. Ci
vogliono pressioni dirette sull'Fbi e sul presidente Clinton e una
trattativa politica seria. Non c'è altra strada".
Il ministro Susanna Agnelli da noi interpellata sul caso a New
York alcuni mesi fa disse: "Io ci ho provato quand'ero
sottosegretario agli esteri". Ci hanno provato un po' tutti. I
fatti purtroppo contraddicono quanto riferito.
Fino al 1988 il governo italiano ignorò completamente la cittadina
Baraldini. Era stata condannata a New York nel marzo 1983 per reati
associativi di "presunta" matrice terroristica. Al suo processo in
USA, Silvia Baraldini non aveva accanto nessun funzionario italiano
per rappresentarla per l'Italia. Nel marzo 1988 Susanna Agnelli era
sottosegretario agli esteri: Silvia Baraldini da un anno era
sottoposta a torture fisiopsichiche e di deprivazione sensoriale.
L'unità di Lexington dov'era detenuta, venne poi chiusa, in seguito
ad un rapporto di denuncia di 38 pagine di Amnesty International,
del legale Fink e del giudice Parker a causa del "trattamento
inumano, barbaro e anticostituzionale applicato alle detenute
politiche per le loro idee". Il rapporto letto dal sottosegretario
agli esteri Agnelli in risposta ad interpellanze parlamentari era il
seguente: "Le condizioni carcerarie sono della massima efficienza,
le condizioni igieniche più che soddisfacenti".
E lì la Baraldini venne sottoposta a due interventi chirurgici per
cancro, poiché non esisteva a Lexington un laboratorio di analisi
mediche per la biopsia. C'è ora da augurarsi che anche grazie alla
"pubblicità" creata attorno al caso, la Baraldini non venga più
trattata come "nota a margine" nei rapporti fra Italia e Stati
Uniti.
il manifesto
giovedì 12 ottobre 1995