E LORO CHE BIGLIETTO PAGANO?
Siamo andati a Ginevra non certo perché ci piacesse quella ridicola città in vetrina, costruita con i soldi del narcotraffico e del riciclaggio di denaro sporco, ma solo perché loro avevano deciso di fare lì in quella città un vertice che avrebbe preso delle decisioni penalizzanti per noi, a casa nostra.
Di qui la necessità di partecipare alla manifestazione e di farlo in modo tale che chiunque, indipendentemente dalle disponibilità economiche, potesse esserci. Ci dispiace che sia sfuggito a molti compagni italiani il significato di questo treno verde per Ginevra, che voleva essere un ribadire nei fatti (e non solo nella presenza alla sfilata in sé, peraltro importante) che il diritto fondamentale alla partecipazione è legato alla persona umana, non alla quantità di denaro che possiede, come vorrebbero quelli del WTO. E quindi prendere un treno, almeno quel treno per Ginevra, e liberarlo da questo vincolo monetario avesse un valore simbolico molto forte, proprio in virtù degli stessi contenuti che quella manifestazione rappresentava. Certo per garantirlo era necessaria una adesione maggiore che non c'è stata perché molti si sono spaventati per il clima repressivo messo in campo e hanno preferito altri mezzi per raggiungere la città blindata. Per noi invece doveva essere un segnale forte a quelli del WTO che agiscono così perché sanno che ormai non abbiamo più la forza di prenderci un cazzo.
E per garantirlo era necessario pure mettere in campo da parte nostra, che abbiamo deciso di prenderlo comunque, una capacità maggiore di contattare e di coinvolgere le diverse realtà interessate, capacità che noi obiettivamente non abbiamo per motivi molto semplici: esistiamo da poco e non siamo una struttura organizzata. Questi sono i nostri limiti; e, forse in qualche caso, a questi limiti corrisponde la forza della convinzione individuale su ciò che era giusto fare.
Quello che rischiavamo lo sapevamo molto bene prima di prendere quel treno e aumentava proporzionalmente alle disdette che continuavano ad arrivare nei giorni e nelle ore prima della partenza. Tuttavia, abbiamo pensato che il valore simbolico del gesto mantenesse la sua importanza anche se portato avanti da un numero limitato di persone, anche dal solo collettivo Zona 10 di Mestre. Questo non per la vocazione a fare gli eroi che ci manca proprio, ma perché crediamo di più nel valore dei principi che in quello del consenso; e, garantire che tutti avessero la possibilità di partecipare, in particolare proprio quelli che non avendo molto denaro sono i più danneggiati dalle manovre del WTO, ci sembrava senz'altro il principio più importante da affermare e garantire in questa circostanza.
Sta di fatto che eravamo circa in quaranta quando abbiamo passato il confine, con la civile polizia di frontiera svizzera che ci prometteva le più atroci manovre repressive se avessimo solo messo piede oltre il confine e i ridicoli tentativi di dissuasione di quella italiana: "voi non sapete a cosa andate incontro", "la polizia svizzera non è come quella italiana, la' fanno sul serio", e altre amenità di questo tenore.
Abbiamo garantito il treno un paio di volte dal tentativo di sgombero o di identificazione della polizia, una in Italia e una in Svizzera, ma sapevamo che arrivare a Ginevra sarebbe stata un'impresa. A Losanna sono entrati i celerini e il capo della polizia ci ha nuovamente chiesto i soldi del biglietto.
Contro ogni previsione siamo arrivati fino alla stazione di Ginevra dove ci attendevano una quarantina di simpatici energumeni in assetto da guerra (uno a testa; la precisione svizzera ); giustamente severi contro il crimine ci hanno fatti scendere uno ad uno e ammanettati e, usando modi non proprio cortesi, ai nostri tentativi di spiegare le nostre motivazioni in lingua francese hanno risposto con spintoni e alle nostre richieste di allentare le manette con sorrisetti sarcastici. Un pullman speciale stracolmo scortato da molte auto e camionette a sirene spiegate ci porta in una specie di bunker (Bachet De Pesay), dove iniziano accuratissime perquisizioni, schedature e interrogatori.
Abbiamo capito che da quel punto in poi cominciava l'altra Svizzera, quella del WTO.
Per 10 ore in stato di fermo senza potere né telefonare, né sapere che stava accadendo, né contattare un avvocato (ci è stato detto dal commissario che la legge svizzera non prevede che un avvocato possa entrare in una questura). 4 o 5 ore le abbiamo passate in una stanzetta minuscola ammassati in circa una ventina dopo che ci avevano divisi dalle ragazze.
Successivamente siamo stati "riaccompagnati" alla stazione e rispediti inItalia con un treno speciale.
Praticamente noi abbiamo pagato il viaggio con 10 ore di arresto, la perdita di un diritto fondamentale quale la partecipazione ad una manifestazione di protesta, nonché un'espulsione coatta dai confini, senza aver commesso nulla di penale. Non a caso si sono prodigati nell'inventare le classiche accuse adatte a dei "facinorosi": i danni alla carrozza ferroviaria, il possesso di armi e la detenzione di droga. Ci hanno messo dentro di tutto nelle loro accuse (peraltro scritte in francese su un foglio che ci è stato fatto firmare senza consegnarci una copia e senza poterci prima consultare con un avvocato) eppure ad un certo punto veniamo a scoprire che il foglio di espulsione con il quale ci hanno riaccompagnato alla frontiera reca un'unica imputazione, causa unica del nostro arresto.
Ovvero l'articolo 23 del codice penale svizzero che prevede l'espulsione immediata per chi non porta con sé una quantità predefinita di denaro (circa 100 franchi, 120 mila lire) che gli consenta di non fare la vita del barbone per le strade della loro "pulita" e ordinata cittadina, oltre che i soldi per il biglietto di ritorno, a testimonianza della proverbiale ospitalità ginevrina. Per un totale di oltre 200 mila lire a cranio.
Ripetiamo: noi sapevamo tutte queste cose ben prima di partire e sapevamo anche che ci avrebbero blindato per impedirci di andare alla manifestazione, ma dovevamo comunque ribadire una questione di principio.
In casi come questi i treni non si pagano visto che i signori decidono della nostra vita a casa nostra, debbono garantirci almeno la possibilità
di partecipare ad una manifestazione di dissenso laddove si decide per noi, oppure per salvare uno straccio di parvenza democratica, spostino la sede del WTO a Venezia dove, ancora per poco, non ti vengono a frugare nel portafoglio prima di farti entrare.
Perché se noi siamo stati arrestati e espulsi da Ginevra perché non avevamo il biglietto, loro che biglietto pagano per decidere l'organizzazione economica del mondo intero?
Potremmo considerare l'intera vicenda un fatto esemplare, come anticipazione degli effetti dell'accordo che in questi giorni si apprestano a firmare a Ginevra. Per arrivare ad espellerti da un paese perché non hai con te la quantità di denaro necessaria per fare il tipo di vita che per loro è quello giusto, vuol dire che in quel paese è già stato in qualche modo realizzato il modello economico-sociale che il WTO vuole rendere globale. Abbiamo constatato che in quel paese non c'è colpa più grave di non avere soldi (e che sicuramente per questa caratteristica è stato scelto come sede del WTO). Persino la demolizione di una carrozza ferroviaria e il possesso di armi e droga (ovvero le accuse che hanno inventato ad hoc per noi) non gli consentivano, per la loro legislazione, di arrestarci o di espellerci; ma il fatto di non aver pagato il biglietto e di non avere tanti soldi con noi quello era davvero inammissibile
Noi siamo disposti a farci arrestare di nuovo pur di ribadire che tutto questo ci fa ribrezzo.
COLLETTIVO ZONA 10 occupata MESTRE