L'urbanistica del razzismo
Sguardi sull'apartheid americano
La nuova maggioranza repubblicana, affermando che negli Stati
uniti le spese sociali pongono gli assistiti in uno stato di
dipendenza, intende ridurre del 35% il bilancio globale degli
aiuti alle famiglie numerose senza reddito. L'idea di amputare
questi finanziamenti, relativamente modesti (1,2% del bilancio
federale), che riguardano più di 14 milioni di persone, è
popolare nell'America bianca, che associa sovente povertà e
dipendenza con la popolazione nera delle città. Ma spiegare la
disperazione dei ghetti neri attraverso la eccessiva generosità
dell'aiuto pubblico, non significa occultare il ruolo
fondamentale della segregazione residenziale?
di douglas massey*
Newton Gingrich (repubblicano), nel suo primo discorso di
presidente della Camera dei rappresentanti ha evocato il caso di
un ragazzino di quattro anni recentemente gettato dalla finestra
e ucciso da altri bambini neri in una casa popolare di Chicago;
si è emozionato per l'affermazione di un deputato nero che, in
occasione di un incontro con gli allievi di una scuola della sua
circoscrizione, gli ha spiegato che di qui a quindici anni un
quarto circa di loro saranno morti o in carcere. Gingrich ha
quindi concluso: "Se non potete permettervi di lasciare la casa
popolare, se non riuscite a trovare o a inventarvi un lavoro, se
avete paura di essere uccisi andando a piedi a fare la spesa,
non siete veramente liberi". Gingrich pensava ai ghetti urbani
degli Stati uniti. E ne ha tratto una lezione semplice:
"Dobbiamo sostituire al welfare state una società che offra
delle opportunità".
Ma prima di togliere la "rete di sicurezza" pubblica che li
protegge, forse bisognerebbe interrogarsi sul tipo di
"opportunità" aperte ai poveri e alle minoranze. Poiché nelle
città americane, malgrado tre decenni di lotte per i diritti
civili, i neri continuano a essere vittime di una profonda
segregazione. Originata da consapevoli scelte politiche,
nazionali e municipali, compiute dalla società bianca per
controllare la composizione razziale della popolazione urbana
(1), questa situazione ha avuto come conseguenza di rendere
perenne, attraverso l'istruzione, la lingua, il comportamento,
una realtà disperata.
I neri sono sovra-rappresentati in alcuni quartieri e
sotto-rappresentati in altri. I quartieri dove la popolazione è
quasi esclusivamente nera, isolati dagli altri e divisi tra loro,
sono in genere concentrati in un piccolo spazio geografico e
localizzati al centro delle città piuttosto che alla periferia.
Quando questi fattori costitutivi della segregazione
residenziale si accumulano, la probabilità di diventare un
escluso socialmente raggiunge il massimo. Anche la ripresa
economica è poco suscettibile di toccare il ghetto. Negli Stati
uniti, nessuna altra minoranza razziale o etnica, né gli
ispanici né gli asiatici, conosce un eguale livello di
isolamento geografico, subisce un'analoga situazione di
apartheid (2).
La segregazione razziale accelera l'isolamento sociale: quando
il tasso di povertà cresce (3), la miseria supplementare si
concentra quasi automaticamente nei quartieri già sinistrati,
sovente esclusivamente neri, vicini tra loro e isolati dalle
zone di residenza più prospere. Il periodo di crisi economica
degli anni 70 e 80 ha portato così a una concentrazione
geografica della povertà.
Gli abitanti neri di una città dove la segregazione è intensa,
là dove risiedono hanno poche possibilità di entrare in contatto
con i bianchi. E anche se vanno in un luogo vicino al loro
domicilio o in un altro anche un po' più distante, questa
possibilità non aumenta. Se vivono in una zona di povertà
estrema, non frequentano che neri poveri (4). La penuria di
trasporti pubblici, che inchioda al soggiorno obbligato tutta
una parte della popolazione, aggrava la situazione di questo
universo sociale chiuso in se stesso (5).
Per i neri con basso reddito, l'isolamento diventa un
pregiudizio notevole, visto che sono i contatti personali e le
reti di amicizie i mezzi più sicuri per trovare un lavoro che a
sua volta favorisce la promozione sociale. Chi è in cerca di
lavoro ottiene raramente soddisfazione rispondendo agli annunci
sul giornale; più spesso, viene a sapere dell'esistenza di un
lavoro per caso: sono gli amici, i parenti o i vicini che lo
aiutano (6). Ma se questi ultimi vivono anch'essi nel perimetro
del ghetto, il loro contributo sarà pressoché nullo.
Così, l'isolamento geografico si aggiunge a un'esclusione
economica che rischia di diventare irreversibile. Se si tiene
conto del livello di segregazione delle principali città, il
fatto che una minoranza razziale sia in situazione di perenne
dipendenza nei confronti dell'assistenza sociale, senza
qualifiche professionale e senza un lavoro vero, non richiede
nessuna spiegazione "biologica" (7). La moltiplicazione delle
nascite di bambini malati, lo sviluppo della prostituzione e
l'esplosione della criminalità giovanile, corollari
dell'economia della droga, si sviluppano naturalmente in questo
ambiente strutturato dall'esclusione (si veda qui a fianco la
testimonianza di un capo di una gang).
Anche la trasformazione del linguaggio deriva dal carattere
pronunciato di questa esclusione, prima di divenire un fattore
che la accentua. Il modo di parlare dei neri del ghetto si
allontana sempre più dall'inglese tradizionale parlato dai
bianchi (8). Ormai, le due lingue hanno regole di grammatica, di
pronuncia e soprattutto vocaboli distinti. La frammentazione
linguistica, che simbolizza la rottura della comunicazione tra
le razze, aggrava l'handicap dei neri in cerca di promozione
sociale.
Quando i bambini parlano il "black english", l'"inglese nero",
l'istruzione diventa più difficile: nelle scuole elementari e
medie l'insegnamento è fatto in inglese "classico". Per gli
allievi venuti dal ghetto, leggere dei testi e ascoltare i
professori esprimersi nella lingua ufficiale del paese
rappresenta quindi sovente uno choc culturale, paragonabile a
quello che provano i figli degli immigrati non anglofoni.
Anche se la televisione permette loro almeno di capire la lingua
che viene insegnata, un consumo passivo non facilita tuttavia
l'apprendimento. A scuola, il sentimento di inferiorità che
questi ragazzini provano sovente renderà l'istruzione frustrante
e alienante. E le difficoltà causate dalla pratica del black
english sono solo all'inizio: l'inglese classico è non soltanto
la condizione per una buona educazione ma anche per trovare un
lavoro che dia delle possibilità di promozione e di una migliore
rimunerazione. Per i datori di lavoro, la pratica del black
english tradisce in effetti immediatamente una cultura di strada,
opposta ai valori (regolarità, puntualità, onestà, rispetto
dell'autorità) che si aspettano dai dipendenti. Così, già "per
il solo fatto che siamo giovani e neri, pensano che vendiamo
droga".
Lo scontro tra due forme di linguaggio non è che uno dei sintomi
di una opposizione più ampia tra due identità culturali, l'una
"bianca", l'altra "nera", entrambe derivate dalla segregazione
residenziale. Come reazione a un'esistenza faticosa, a questo
cumulo di apartheid e di povertà in pieno sviluppo, una parte
della popolazione urbana nera ha infatti adottato un codice di
comportamento sempre più distinto da quello del resto della
società (9). Poiché i bianchi parlano l'inglese "classico",
riescono a scuola, lavorano sodo, si sposano e allevano i figli,
l'essere nero obbligherà, facendo di necessità virtù, a parlare
la lingua del ghetto, essere un allievo mediocre, rifiutare un
lavoro vero e il matrimonio, adattarsi a famiglie distrutte o
monoparentali. Anche se questo adattamento costituisce una
reazione alle condizioni economiche e sociali del ghetto, non
viene né accettato né capito da coloro che risiedono altrove.
Contribuisce quindi a aumentare l'abisso che separa le due
Americhe (10).
La paura di "agire da bianco"
Quando la disoccupazione, la dipendenza, la criminalità, la
droga e le famiglie monoparentali proliferano in enclave isolate,
obbligano i loro residenti ad adottare una strategia di
sopravvivenza, che può anche sfociare nella glorificazione di
comportamenti asociali. Visto che, in ogni caso, le condizioni
di esistenza degli abitanti del ghetto non permettono di
conformarsi ai valori dell'America profonda, e poiché sono
convinti che, malgrado tutti gli sforzi, non saranno mai
veramente accettati dalla società bianca, perché allora
dovrebbero perdere tempo a cercare di piegarsi alle regole che
questa impone? D'altronde, per loro è quasi impossibile sperare
di conquistare la considerazione dei vicini, se si attengono
alle norme sociali dominanti. Un tale comportamento rischierebbe
in effetti di essere assimilato a una diserzione, alla tendenza
disonorevole di un'attitudine ad "agire da bianco" (act white).
Malcolm X, militante rivoluzionario nero assassinato nel 1965
(11), ha riassunto in una frase questo tipo di rifiuto: "Come
viene chiamato un nero con la laurea? Un negro".
La povertà dei ghetti e la disperazione che vi regna hanno
dunque messo in moto la dinamica socio-psicologica cha fabbrica
una cultura della segregazione. Alcune canzoni rap, per esempio,
illustrano e valorizzano comportamenti da desperado,
generalmente misogini; ad ascoltarli, verrebbe da credere che il
modo di vista preso a esempio è più scelto che subito (12).
Quando questo nichilismo si generalizza, rende ancora più
problematica l'integrazione dei neri nell'economia
postindustriale dei servizi. La segregazione, concentrando i
poveri in zone razzialmente omogenee, ha costruito la nicchia
dove proliferano i comportamenti distruttivi. E ha garantito il
contesto strutturale che perpetua la cultura di opposizione dei
neri americani.
La generalizzazione di questa cultura limita il numero di
famiglie con probabilità di lasciare il ghetto. La paura di
vedersi rimproverare di "agire da bianco", di "disertare", di
"simpatizzare con il nemico", complica il tentativo già
aleatorio dei neri desiderosi di integrarsi nelle istituzioni
economiche e sociali del paese (13). Coloro che vengono dissuasi
da questo tipo di rimproveri (o che spontaneamente incoraggiano
la segregazione attraverso il linguaggio, la cultura o la casa)
si condannano a un'esistenza di povertà. Che si trasmetterà alla
generazione successiva. Soltanto lo smantellamento della
segregazione residenziale, non quello del welfare, potrebbe
rischiarare questo orizzonte.
note:
*Professore di sociologia all'università di Pennsylvania, autore
(con Nancy Denton) di American Apartheid: Segregation and the
Making of the Underclass, Harvard University Press, Cambridge,
1993.
torna al testo (1) Si veda il reportage di Serge Halimi, "L'Università di
Chicago, un piccolo angolo di paradiso ben difeso", le Monde
diplomatique/il manifesto, aprile 1994. Nella maggior parte
delle grandi città americane, e soprattutto in quelle del
nord-est e del midwest, la maggioranza dei neri vivono in
quartieri dove più dell'80% e sovente il 100% dei residenti
sono essi stessi neri. Questo stato di cose non si spiega
attraverso le scelte degli interessati: per il 63% dei neri, il
quartiere ideale dovrebbe contare un numero identico di neri e
di bianchi. Invece, il 64% dei bianchi confessa che preferirebbe
traslocare subito, se la popolazione del loro quartiere
diventasse in modo paritetico nera e bianca.
torna al testo (2) Cfr. Douglas Massey e Nancy Denton, American Apartheid:
Segregation and the Making of the Underclass, Harvard University
Press, Cambridge, 1993. Tra gli ispanici, il destino particolare
dei portoricani conferma il peso dei pregiudizi razziali: mentre
i portoricani di razza bianca (una minoranza) non subiscono
nessuna segregazione, i portoricani di razza nera (la
maggioranza) conoscono i problemi di lavoro, di casa e di droga
tipici dei neri americani.
torna al testo (3) Il tasso di povertà statunitense era del 14,8% nel 1992. Per
i neri, era del 33,3%.
torna al testo (4) In ogni caso, se le classi medie cercano sempre di sfuggire
al contatto con i poveri, le classi medie nere, a causa della
segregazione residenziale, hanno maggiori difficoltà a riuscirvi.
Di conseguenza, si trovano maggiormente esposte alla povertà.
torna al testo (5) Secondo uno studio di Sophie Pedder, diffuso nel 1991, un
numero significativo di bambini neri del Southside di Chicago
non sono mai andati nel Loop, il quartiere turistico della cttà.
Vedi anche William Lancey, Eugene Ericksen e George Leon, "The
Structure of Pluralism: We're All Italian Around Here, Aren't We
Mrs.O'Brien?", Ethnic and Racial Studies, 8-1985.
torna al testo (6) Mark Granovetter, Getting a Job: A Study of Contacts and
Careers, Harvard University Press, Cambridge, 1994.
torna al testo (7) L'ultima opera di Charles Murray e Richard Herrnstein, The
Bell Curve (Free Press, 1994), ampiamente popolarizzata dai
media, cerca di spiegare lo statuto economico dei neri americani
attraverso l'insufficienza del loro quoziente intellettuale.
torna al testo (8) Si veda John Baugh, Black Street Speech: Its History,
Structure and Survival, University of Texas Press, Austin, 1983,
pp.11-22.
torna al testo (9) Cfr. Elidah Anderson, "The Code of the Streets", The
Atlantic Monthly, maggio 1994.
torna al testo (10) Cfr. Sudhir Venkatesh, "Giovani alla deriva nelle città
americane", le Monde diplomatique/il manifesto, maggio 1994.
torna al testo (11) Vedi il dossier "Malcolm X au miroir de la réalité
américaine", le Monde diplomatique, febbraio 1993.
torna al testo (12) Vedi anche Achille Mbembe, "Les sources culturelles du
nouveau radicalisme noir", le Monde diplomatique, giugno 1992.
torna al testo (13) Patrick Welsh, "Blacks and Whites are Increasingly
Separated by Suspicion", The Washington Post National Weekly
Edition, 23 maggio 1994.
(Traduzione di A.M.M.)
Articolo tratto da Le Monde Diplomatique del febbraio-1995, inserto mensile de il manifesto