i fallimenti del
sistema liberista
Il caos finanziario,
un pericolo globale
Sorprendente paradosso: è ormai urgente e forse vitale
proteggere il mercato, impedirne l'autodistruzione; altrimenti i
suoi comportamenti incontrollati e perciò aberranti rischiano di
travolgere l'umanità in un caos finanziario generalizzato... Il
17 giugno a Halifax il G7 si è limitato a manifestare
preoccupazione, quando il pericolo che incombe è di immensa
gravità: se i grandi mutamenti che si impongono non saranno
preventivamente e pacificamente organizzati, potranno un giorno
essere imposti da una micidiale conflagrazione.
di susan george*
Dalla caduta del muro di Berlino il vero inizio del XXI secolo
l'organizzazione delle Nazioni unite ha perduto in buona parte
la sua pertinenza: il suo ruolo nel mantenimento della pace
somiglia a una caricatura, e il Consiglio di sicurezza difende
innanzitutto gli interessi dell'unica superpotenza del momento,
gli Stati uniti. Ne risulta che talune risoluzioni rimangono
senza effetto (a esempio quelle su Timor orientale o sul Sahara
occidentale) mentre altre non riflettono le posizioni reali
degli stati che le hanno approvate come è avvenuto nel caso
della guerra del Golfo. L'India e lo Zimbawe, che avevano
bisogno di crediti da parte del Fondo monetario internazionale e
della Banca mondiale, avevano assunto posizioni critiche, ma
votarono comunque i testi. Quando invece lo Yemen espresse il
proprio voto contrario, un diplomatico americano, John Kelly,
disse al rappresentante di Sanaa: "Questo è il voto negativo più
costoso che abbiate mai pronunciato". Allo Yemen furono infatti
immediatamente negati 70 milioni di dollari di aiuti, mentre
l'Egitto riceveva la ricompensa della sua buona condotta sotto
forma di remissione di un quarto circa del suo debito.
Sarebbe tuttavia un errore credere che forze potenti stiano
esercitando pressioni per la riforma dell'attuale sistema, che
rende un così buon servizio a determinati interessi nazionali. I
paesi del Terzo mondo e gli ex paesi socialisti sono talmente
dipendenti dai finanziamenti internazionali che si attengono
alla linea prescritta. In queste condizioni, la sola speranza
può essere riposta nella capacità di convincere i principali
attori in campo che la creazione di una nuova organizzazione
mondiale coinciderebbe con i loro interessi. Ma come ottenere la
loro adesione?
In passato, c'è stato bisogno di due guerre mondiali per
arrivare alla creazione di organizzazioni internazionali.
L'ipotesi di una simile catastrofe fortunatamente non è attuale,
ma un altro evento si profila all'orizzonte: un caos finanziario
generalizzato, del quale la recente crisi messicana potrebbe
essere stata un primo annuncio.
In quell'occasione, gli Stati uniti hanno reagito con una
prontezza senza precedenti, quasi incredibile, concedendosi a
mala pena il tempo di informare i loro partner europei e hanno
raccolto 50 miliardi di dollari per tentare di fermare la caduta
del peso. Una situazione assai diversa da quella del settembre
1994, quando in occasione del 50esimo anniversario degli accordi
di Bretton Woods il direttore generale del Fmi Michel Camdessus
non riuscì a mettere insieme neppure la metà di quella somma in
favore di tutti gli stati dell'Est europeo e di un gruppo di
paesi del Terzo mondo che affondavano nei debiti.
Cernobyl finanziaria
Se, come dimostra la storia di questo secolo, è necessario che
un sistema fallisca completamente perché se ne crei uno nuovo e
sempre che un altro sistema sia realmente auspicabile dobbiamo
augurarci di conseguenza il regno del caos? Domanda tutt'altro
che peregrina, poiché nuove esplosioni si profilano. Basti
pensare alla Russia o all'Indonesia, con il loro enorme
indebitamento. Come ha constatato il direttore dell'Institute
for National Economics, Fred Bergsten, è in continuo aumento il
numero dei mercati valutari "troppo grossi per fallire (1)".
Ma potrebbero fallire, e nessuno possiede la ricetta per
evitarlo. Altre crisi, in altri campi, stanno maturando senza
che esista alcuna speranza di una soluzione fuori dall'ambito
della cooperazione internazionale. E' ormai evidente la
necessità di dar vita a un Consiglio di sicurezza economico; ma
nulla lascia sperare che quest'esigenza venga riconosciuta prima
che esploda una Cernobyl finanziaria e forse non lo sarebbe
neppure in questo caso.
Nel corso dei due ultimi decenni, il sistema del libero mercato
è stato esteso alla totalità del pianeta. Il G7, e in
particolare gli Stati uniti, le istituzioni di Bretton Woods,
l'Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio (Gatt)
hanno avuto un solo obiettivo: quello di promuovere
l'accettazione volontaria o forzata dei principi economici neo-
conservatori (talora a torto definiti neo-liberali). Si tratta
di instaurare un commercio senza più regole, con il massimo di
integrazione, su un mercato mondiale soggetto alla concorrenza
internazionale (spesso gestita per mezzo di svalutazioni), di
assicurare la "flessibilità" della manodopera (abbassamento dei
salari e peggioramento delle condizioni di lavoro, rimessa in
discussione delle conquiste sociali), di perseguire le
privatizzazioni e il drastico ridimensionamento del ruolo dello
stato.
Questo sviluppo è stato notevolmente accelerato dalla
concessione di ingenti prestiti, e quindi dalla crisi del debito
degli anni 80 e dagli "aggiustamenti strutturali" imposti di
conseguenza alle economie dipendenti dalle istituzioni di
Bretton Woods. Le condizioni dei prestiti, talora limitati a
qualche decina di milioni di dollari, sono a volte talmente
dettagliate da riempire decine di pagine (2). E' stato notato
spesso che la Carta delle Nazioni unite incomincia con le
parole: "Noi, popoli delle nazioni unite", ma poi conferisce
tutto il potere ai governi (3). A cinquant'anni di distanza, i
governi hanno perduto buona parte di questi poteri, dato che le
decisioni vengono prese dalle istituzioni di Bretton Woods e dal
Gatt, (ormai Organizzazione mondiale del commercio, Wto);
decisioni che i popoli non controllano in alcun modo, e sulle
quali gli stessi governi esercitano un'influenza assai limitata.
La Banca mondiale non determina soltanto le scelte
macro-economiche, ma pone anche altre condizioni, presentate con
la definizione di "buon governo": si chiede ai governi di
rendere conto dei propri atti ai cittadini, di rispettare i
diritti dell'uomo, di ricercare regolarmente, mediante libere
elezioni, la conferma della propria legittimità. Principi che in
quanto tali nessuno si sognerebbe di contestare, ma che portano
in sé profonde contraddizioni. Innanzitutto, la politica degli
aggiustamenti strutturali ha notevolmente ridotto la capacità
degli stati di conseguire questi obiettivi e di rispondere ai
bisogni della popolazione. Peraltro, la Banca stessa non tiene
in nessun conto i principi che sbandiera. Alcuni dei suoi
progetti, che hanno provocato migrazioni forzate di milioni di
persone, costituiscono gravissime violazioni dei diritti umani.
L'antropologo Thayer Scudder le considera come "la peggior cosa
che si possa infliggere a un popolo, dopo il genocidio". La
Banca, senza che in cinquant'anni ne sia stata legittimata,
formula la sua propria legge, e per una serie di motivi
complessi i suoi organi dirigenti non riescono neppure a dar
vita a un meccanismo di controllo soddisfacente (4).
La Banca e il Gatt hanno agito in piena coerenza con l'obiettivo
di mettere il mondo al servizio dei gruppi transnazionali, il
cui potere sull'economia mondiale non cessa di aumentare. Gli
scambi tra le società appartenenti a questi gruppi rappresentano
un terzo dei commerci dell'intero pianeta. I loro investimenti
diretti all'estero, nei paesi sviluppati e in un numero limitato
di paesi in via di sviluppo, ammontano a circa 2.000 miliardi di
dollari. Con 410 miliardi di investimenti in quest'ultimo gruppo
di paesi hanno creato 12 milioni di posti di lavoro (di cui la
metà in Cina). Ognuno di questi posti di lavoro corrisponde
grossomodo a un investimento di 34.000 dollari. A questo ritmo,
occorrerebbero vari secoli e migliaia di miliardi di dollari per
procurare posti di lavoro anche soltanto a una minoranza della
manodopera del Terzo mondo. E intanto le società transnazionali
distruggono le aziende locali, incapaci di sostenere la loro
concorrenza.
Nessuna autorità internazionale ha il potere di controllare
queste compagnie, che secondo le istituzioni di Bretton Woods
devono anzi essere lasciate completamente libere. Il tentativo
dell'Onu di mettere a punto un codice di condotta è stato
abbandonato. Uno dei primi atti del suo attuale Segretario
generale è stato quello di porre fine all'attività del Centro
delle Nazioni unite sulle società transnazionali, che forniva
utili informazioni, ed è oggi ridotto a operare in seno alla
Conferenza delle Nazioni unite sul Commercio e lo sviluppo
(Unctad).
Questo sistema ha fortemente accentuato le disparità in seno
alle società, sia ricche che povere; ha scavato un profondo
solco tra le regioni sviluppate e quelle sottosviluppate del
pianeta; ha provocato una disoccupazione massiccia e fa vivere
nell'insicurezza gran parte dell'umanità. Il quinto più ricco
della popolazione accaparra l'85% del prodotto mondiale (contro
il 70% nel 1965), mentre al quinto più diseredato rimane solo
l'1,4% (5).
Negli Stati uniti, secondo i dati del ministero del lavoro, tra
il 1979 e il 1993 il 20% più povero della popolazione ha perduto
il 17% del proprio reddito, già insufficiente, mentre il 20% più
ricco ha visto aumentare i propri introiti del 18% (6). Nel
mondo esistono 358 miliardari in dollari, il cui patrimonio
totale (760 miliardi) equivale al reddito annuo medio (390
dollari) di quasi due miliardi di esseri umani (7).
Il mercato svincolato da ogni regola minaccia ormai le stesse
nazioni, comprese le più forti. Un ex responsabile del Tesoro
francese ha fatto notare che se negli anni 70 la Banca di
Francia "avesse perduto anche solo il 5% delle sue riserve", se
ne sarebbe parlato come di una "catastrofe di grandi
proporzioni". Nel luglio del 1993, in due giorni, la Banca di
Francia ha perduto tutte le sue riserve, ossia 300 miliardi di
franchi, ed è stata costretta a contrarre prestiti per far
fronte agli attacchi contro la sua moneta (8).
L'Italia e la Spagna sono bersagli molto vulnerabili. Il debito
pubblico americano ha raggiunto livelli vertiginosi. Poiché gli
interessi assorbono una parte sempre maggiore del reddito
nazionale, gli Stati uniti saranno tentati di incrementare la
stampa dei biglietti verdi, provocando un'ondata di inflazione a
livello mondiale. Le transazioni internazionali in valuta
sembrano aver ormai superato in volume gli investimenti
produttivi e il finanziamento del commercio, e circa 1.000
miliardi di dollari passano ogni giorno di mano in mano.
Ora che il miracolo messicano è finito in un tracollo, quel
mercato si è ridotto della metà per i prodotti americani;
contemporaneamente anche il costo della manodopera ha subito
un'analoga riduzione; e certamente il Nafta non procurerà i
benefici annunciati. L'emigrazione illegale è bruscamente
aumentata. Le misure d'austerità imposte a una popolazione che
aveva già perduto il 50% del proprio reddito in conseguenza del
precedente piano di aggiustamento strutturale rischiano di
provocare sollevazioni sociali, e non basteranno 50 miliardi di
dollari per evitare il caos. L'Africa del Nord rappresenta per
l'Europa un pericolo analogo. Esistono decine di focolai
esplosivi in tutto il mondo, non esclusi i ghetti urbani nel
seno stesso dei paesi ricchi.
Solo un'organizzazione mondiale dotata di reali poteri di
regolamentazione sarebbe in grado di fronteggiare quest'opera di
distruzione sociale. Le istituzioni nazionali non sono infatti
più in grado di farlo. E contrariamente ai luoghi comuni che le
istituzioni di Bretton Woods continuano a sostenere, le regole
in voga nel XIX secolo non possono più funzionare nel nostro
tempo.
Adam Smith e David Ricardo sarebbero stati assai sorpresi
all'idea che un giorno capitali britannici potessero essere
investiti a Taiwan o in Venezuela. La famosa teoria del
vantaggio comparativo funziona soltanto se i capitali rimangono
nazionali. Una volta fuori da quest'ambito, da comparativo il
vantaggio diventa assoluto, poiché il capitale ricerca i
lavoratori più produttivi ai minori costi, le materie prime meno
care e il minimo di regolamentazione, in qualsiasi luogo.
Libero da ogni controllo politico o legale, il mercato mondiale
dispone di un'apparente legittimità i cui presupposti ideologici
sono però raramente analizzati e ancor più raramente esplicitati,
tanto da farla apparire come un fenomeno naturale. Per creare
le condizioni politiche necessarie alla creazione di nuove
istituzioni internazionali, è di vitale importanza analizzare i
concetti sui quali si fonda l'attuale sistema. In questo senso,
le tesi formulate nel 1944 da Karl Polanyi nel suo libro La
grande trasformazione (9) restano fondamentali.
Distruzione della società
L'autore ha dimostrato con grande chiarezza che per la prima
volta nella storia la rivoluzione industriale ha trasformato in
merce la natura, il lavoro (ossia l'essere umano) e il denaro.
Certo, i mercati e i mercanti esistevano anche prima e altrove,
ma mai prima del periodo 1830-1850 era esistito un sistema di
mercati collegati tra loro e praticamente in grado di esercitare
il comando su tutti gli aspetti dell'esistenza umana.
Polanyi ha inoltre spiegato come il mercato, abbandonato a se
stesso, avrebbe distrutto la società. L'Inghilterra del XIX
secolo lo aveva ben compreso, tanto da adottare misure
protettive per evitarlo; e tutti gli altri stati capitalisti
hanno seguito il suo esempio. Così, parallelamente al
consolidamento del mercato sono state rafforzate anche le regole,
le tariffe doganali, le norme sul lavoro minorile, sulla
sicurezza del lavoro, e sono state approvate leggi per la
disciplina delle attività bancarie.
Oggi, il sistema dei mercati strettamente interconnessi tra loro
ha dimensioni internazionali; e ciò che Polanyi ricorda a
proposito dell'Inghilterra di un'epoca passata si realizza ormai
su scala planetaria: la distruzione della società assume
proporzioni imponenti. Paradossalmente, se vogliamo proteggere
un mercato che rende tanti servigi, è necessario controllarlo
per impedirgli di distruggere se stesso e travolgere anche noi
nella sua rovina.
Le istituzioni attuali (il triumvirato Banca mondiale, Fmi e
Organizzazione mondiale del commercio) sono assolutamente
inadatte a questo compito, impegnate come sono in una
deregolamentazione ancora più estrema, per maggiori
privatizzazioni, per l'integrazione forzata di ogni comunità,
della natura e del lavoro nel mercato mondiale. Secondo i loro
criteri, hanno pienamente raggiunto i loro obiettivi: il sistema
che caldeggiavano è stato infatti elevato al rango di legge
universale. Lawrence Summers, già principale economista della
Banca mondiale, oggi sottosegretario americano al Tesoro, ha
dichiarato: "Si dimentica spesso che le leggi dell'economia sono
come le leggi dell'ingegneria: esiste un solo ordine di leggi e
sono applicabili ovunque (10)".
In assenza di forze in grado di opporre un progetto al modello
dominante, non si può sperare che le Nazioni unite possano
essere sostituite da un sistema in grado di far fronte ai
pericoli attuali e a quelli a venire. E tuttavia sono numerosi i
fattori che denotano l'urgente necessità di un cambiamento in
questo senso: la crescente frustrazione delle popolazioni alle
quali i governi sono incapaci di dare una risposta, gli attacchi
speculativi contro le monete deboli, le reazioni di panico degli
investitori. Altri due fenomeni di vasta portata potrebbero
costringere i governi ad agire: la distruzione dell'ambiente e
la moltiplicazione dei conflitti.
Certo, i disastri ambientali non esplodono come le crisi di tipo
messicano; ma non è possibile occultare in eterno problemi quali
la rarefazione del patrimonio ittico, la deforestazione,
l'impoverimento della biodiversità, il deterioramento dello
strato d'ozono, l'erosione dei suoli, la mancanza d'acqua, il
rischio alimentare, le varie forme di inquinamento tossico. La
metà della superficie degli Stati uniti rientra ormai nel novero
degli "ecosistemi in pericolo" (11). Le principali compagnie
d'assicurazioni sono preoccupatissime per i mutamenti climatici
che ritengono, non senza ragione, all'origine dei cicloni, delle
alluvioni e di altri disastri per i quali sono costrette a
pagare costi elevati.
Il mercato è estraneo a questi problemi ambientali. Il suo
sistema di prezzi non riflette i danni inflitti al patrimonio
naturale (a esempio, le esportazioni di legname o di pesce
vengono computate esclusivamente in termini di reddito, senza
alcuna considerazione per le conseguenze economiche dei guasti
prodotti). Il mercato non prende neppure in considerazione
quelli che definisce "costi esterni": a esempio la diffusione di
malattie o la perdita della fertilità. Il sistema dei prezzi non
può informarci, prima che sia troppo tardi, del costo sociale e
ambientale dei rifiuti industriali. Se il Mediterraneo muore,
chi potrà pretendere di quantificare il fenomeno in termini
economici (12)?
Le istituzioni esistenti sono del tutto incapaci di dare una
risposta a queste sfide. Ciò che occorre è un sistema del tutto
nuovo per il trasferimento internazionale dei fondi e delle
tecnologie. Le popolazioni povere non sono infatti in grado di
rispettare l'ambiente se devono farlo al prezzo della loro
sopravvivenza. Pur sapendo di ipotecare il loro futuro,
abbatteranno alberi, coltiveranno le loro terre con sistemi di
sfruttamento intensivo del suolo per sfamarsi nell'immediato. La
nuova organizzazione dovrebbe essere dotata di suoi poteri di
imposizione fiscale e non dipendere da contributi nazionali.
Quanto ai conflitti: almeno per quanto riguarda il Terzo mondo
la povertà, le crescenti disuguaglianze e la distruzione
dell'ambiente spiegano molte delle guerre in atto, che gli
stati sono incapaci di risolvere (13). Sono circa 70 i paesi che
soffrono oggi della violenza politica e sociale; i rifugiati e i
profughi (35 milioni nel 1990) sono oggi ben 47 milioni, e
l'insicurezza cresce in misura intollerabile.
La crisi del debito gioca un ruolo importantissimo nel
deterioramento della situazione. Come ha dimostrato Dan Smith, i
paesi del Terzo mondo che devono sopportare gli oneri maggiori
(che si tratti del debito lordo o dei ratei di rimborso) sono
anche quelli più esposti al rischio di guerra: due terzi nel
primo caso, oltre la metà nel secondo. Questo autore ha inoltre
osservato che "le guerre di lunga durata sono legate al fenomeno
del debito in misura ancora maggiore. In base ai dati sui
livelli di indebitamento, disponibili per 24 dei 27 stati
coinvolti in una guerra da oltre dieci anni, diciotto di essi
esattamente tre quarti sono pesantemente indebitati (14)".
Poiché è assai difficile dissociare tra loro problemi quali le
difficoltà finanziarie, la distruzione dell'ambiente e i
conflitti armati, è indispensabile e urgente una nuova
organizzazione internazionale capace di affrontare in maniera
globale questi diversi aspetti. Le istituzioni di Bretton Woods
devono diventare trasparenti agli occhi dei cittadini e della
comunità internazionale; e quest'ultima deve avere il potere di
intervenire con sanzioni. E' inoltre indispensabile un codice di
condotta per le società transnazionali, che dovranno essere
assoggettate a un'imposta, al fine di alimentare il bilancio
della nuova organizzazione e attuare trasferimenti di risorse
(per scopi ben definiti) a vantaggio delle fasce di popolazione
più deboli, sia nel mondo sviluppato che in quello in via di
sviluppo. Le banche commerciali e le transazioni in valuta
dovrebbero pure essere soggette a un'imposizione (in base al
programma delle Nazioni unite per lo sviluppo [Pnud] la tassa
dello 0,05% proposta da M. Tobin darebbe annualmente un gettito
di 150 miliardi di dollari). Il Consiglio di sicurezza economica
ed ecologica assisterebbe i singoli paesi nell'opera di
vigilanza sull'uso del patrimonio naturale, promuoverebbe la sua
tutela e ne impedirebbe la distruzione. Dovrebbe essere inoltre
costituito un ente per la produzione delle energie rinnovabili.
Non si tratta certo di cambiamenti fini a se stessi, magari con
il pretesto che il sistema di Bretton Woods ha ormai
cinquant'anni. Questo sistema va modificato perché non funziona.
Il cambiamento si produrrà comunque. Si tratta di sapere se
avverrà in maniera pacifica e ragionata, oppure nel fracasso e
nel furore.
note:
* Direttrice associata del Transnational Institute, Amsterdam.
Autrice, con Fabrizio Sabelli, di Crediti senza frontiere. La
religione della Banca mondiale, Gruppo Abele, 1994.
torna al testo (1) Citato da Peter Pasel, "How to Plan for the Next Great
Bailout", International Herald Tribune, 11/12 feb 1995.
torna al testo (2) Leggere in particolare Susan George, Jusqu'au cou: enquÉte
sur la dette du tiers monde, e Susan George e Fabrizio
Sabelli,Crediti senza frontiere. La religione della Banca
mondiale, Gruppo Abele, 1994.
torna al testo (3) Cfr. a esempio Erskine Childers e Brian Urquhart, "Renewing
the United Nations System", Development Dialogue, 1944: 1,
Uppsala, Svezia.
torna al testo (4) Cfr. Susan George e Fabrizio Sabelli, op. cit.
torna al testo (5) Leggere la pubblicazione annuale del Pnud, Rapporto sullo
sviluppo umano, e in particolare l'edizione del 1994.
torna al testo (6) Dati tratti dal Wall Street Journal ripreso da Courrier
International, 2 febbraio 1995. In The Politics of Rich and Poor
(1990) Kevin Phillips dimostra che durante il periodo in cui
Reagan è stato al potere l'1% delle famiglie più ricche ha
accresciuto il proprio reddito annuo medio di poco meno del 50%,
passando da 270.000 a 404.000 dollari.
torna al testo (7) Forbes pubblica nel mese di luglio di ogni anno l'elenco dei
miliardari.
torna al testo (8) Cfr. il contributo di André de Lattre al numero speciale
della Revue économique et financière dedicato al cinquantenario
degli accordi di Bretton Woods, luglio 1994, Parigi.
torna al testo (9) Prima edizione americana, 1944. Edizione italiana Einaudi,
1974.
torna al testo (10) Discorso diffuso nel novembre 1991 dalla radio nazionale
australiana. Cfr. S. George e F. Sabelli, op. cit.
torna al testo (11) William K, Stevens, "Study finds scores of ailing US
ecosystems", International Herald Tribune, 16 febbraio 1995.
torna al testo (12) In copertina, la rivista New Scientist (4 febbraio 1995) si
chiede: "Il Mediterraneo: sporco, pericoloso e condannato?". E
l'articolo che segue, a firma Fred Pearce, dal titolo "Dead in
the Water" giustifica questo timore.
torna al testo (13) Cfr. Nina Graeger e Dan Smith, Environment, Poverty,
Conflict, Prio Report 2/94, The Peace Research Institute, Oslo,
1994, nonché Thomas Homer-Dixon e al., "Environmental Change and
Violent Conflict", Scientific American, febbraio 1993.
torna al testo (14) Dan Smith, autore del capitolo VI del libro di Susan George,
Effetto boomerang: il debito del Terzo mondo colpisce tutti, Ed.
Lavoro, 1992.
(Traduzione di E.M.)
Articolo tratto da Le Monde Diplomatique del Luglio-1995, inserto mensile de il manifesto