Il ritorno
dei conquistatori
di
Riccardo
Petrella *
Con rispetto, quasi con affetto, li chiamavano i re dell'acciaio,
dei pneumatici, della carta da giornale, dei tessili, delle
pile elettriche.... o le "Sette sorelle", le multinazionali del
petrolio. Queste grandi famiglie, considerate onnipossenti,
condividevano il potere con le banche nazionali di proprietà
pubblica, i ministeri delle finanze, la tecno-burocrazia dei
paesi più ricchi del mondo e i "complessi militar-industriali"
delle potenze nucleari (1).
Oggi, da un'economia organizzata sulla base dei capitalismi
nazionali, anche se attiva su scala planetaria, stiamo passando
alla mondializzazione con la liberalizzazione dei mercati, la
sospensione delle regole e la privatizzazione di interi settori
delle economie nazionali. Sta cambiando la natura stessa, la
fisionomia dei padroni dell'economia mondiale. Le grandi
famiglie della finanza e degli affari, da Wall Street a New York
o alla City di Londra, passando per Zurigo, Francoforte o Parigi,
godono tuttora di un potere immenso, che devono però
condividere con i gruppi finanziari e industriali di Tokio e di
Osaka, o con la diaspora cinese la cui influenza è in continuo
aumento (2), sia in Asia che negli Stati uniti.
E il potere, sempre meno legato alla proprietà di beni materiali
(terra, risorse naturali, macchine), si esplica grazie al
dominio di fattori immateriali (conoscenza scientifica, alta
tecnologia, informazione, comunicazione, pubblicità, finanza).
L'economia si smaterializza (3). Alvin Toffler, divulgatore di
opere scientifiche apparse negli ultimi trent'anni sulla società
dell'informazione e del sapere, descrive questa metamorfosi in
uno dei suoi ultimi libri (4).
Poiché l'informazione non è soggetta a consumarsi come il
petrolio o i generi alimentari, ma al contrario si crea
attraverso l'uso, secondo la tesi di Toffler il potere starebbe
passando dal produttore al consumatore, da una piccola minoranza
ad una vasta maggioranza, con uno spostamento dall'alto verso il
basso (5). Questo processo di smaterializzazione si
manifesterebbe ad esempio nella presenza di ben sei società del
settore della microelettronica e dell'informatica nell'elenco
delle venti maggiori imprese industriali del mondo (6) (che
appena due decenni fa non ne annoverava neppure una).
L'abdicazione della politica
Dalle strutture di potere emergenti si delinea un'organizzazione
del mondo dominata da nuove oligarchie, fondate su gruppi
sociali ed élites che hanno acquisito un potere di decisione e
di controllo al di fuori delle forme di rappresentanza e di
legittimazione politica e sociale degli stati-nazione. La
dinamica di queste oligarchie obbedisce a una pura logica di
conquista, nel cui ambito i cosiddetti imperativi della
competitività mondiale assurgono a "imperativo morale", e
provoca la generalizzazione di pratiche illegali, fino a
sconfinare nella criminalità economica. In altri termini, la
storia recente del mondo è quella del ritorno dei conquistatori,
di forme di potenza e di fenomeni di dominio cui ben si attaglia
la definizione di "nuova barbarie". Siamo dunque assai lontani
dal pluralismo e dal decentramento dei nuovi poteri mondiali
fondati sull'autorità "morale" della conoscenza scientifica e
sul ricorso alle tecnologie avanzate dell'informazione e delle
comunicazioni.
Nel periodo che intercorre dalla non convertibilità del dollaro
(1971) alla fine della guerra fredda, il sistema mondiale ha
subito una formidabile accelerazione della storia, amplificata
dalle nuove tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni,
il cui potenziale di raccolta, stoccaggio, trattamento e
trasmissione di dati, aumentato a ritmi esponenziali, determina
alcuni fenomeni di vasta portata.
Innanzitutto, la crescita di un mercato mondiale dei capitali e
dei servizi finanziari che sfugge largamente, se non
completamente, a ogni controllo da parte degli stati. Si valuta
a 1.200 miliardi di dollari il volume dei movimenti di capitali
che circolano in permanenza, attratti dalle variazioni dei tassi
di cambio, terreno di illimitate speculazioni finanziarie. Le
banche centrali, le istituzioni internazionali e la stessa Banca
dei regolamenti internazionali (Bri) hanno rinunciato a
intervenire e non contrastano ormai più l'onnipotenza degli
operatori privati.
La mondializzazione del capitale ha inoltre accelerato
l'internazionalizzazione degli investimenti e quindi del sistema
produttivo, di pari passo con un'integrazione dei flussi
commerciali per grandi regioni (7). A sua volta questa
integrazione, attraverso la "crescita esterna" (8), ha stimolato
la mondializzazione delle imprese, delle strategie e dei
mercati: investimenti diretti all'estero, trasferimenti, fusioni,
alleanze tra imprese. Ciascun gruppo industriale o finanziario
di rilievo persegue ormai una sua strategia in tutte le regioni
del mondo, e in particolare nell'Americana del Nord, nell'Europa
occidentale e nell'Asia orientale e sudorientale.
Peraltro, l'esigenza delle imprese in via di
internazionalizzazione di poter accedere facilmente al mercato
finanziario mondiale ha contribuito ad estendere la
capitalizzazione borsistica. Certo, le imprese multinazionali
"familiari" esistono tuttora, e danno vita in alcuni casi a
nuovi "centri di potere" (è il caso dei fratelli Benetton); ma
la tendenza dominante va verso la multinazionalizzazione e
l'azionariato. Nello stesso tempo i gruppi industriali sono
divenuti a loro volta gruppi finanziari che assicurano
arbitraggi permanenti tra i capitali impegnati nelle loro
diverse attività e filiali (9). La loro strategia per
assicurarsi una capacità di intervento a sostegno della loro
espansione sui mercati mondiali comporta la valorizzazione di
attività che nel campo dei prodotti finanziari sono ormai pari,
se non addirittura superiori, a quelle industriali.
L'abdicazione della politica è quasi totale. E nell'ambito dei
trasporti (aerei, automobilistici), delle comunicazioni
(televisione, banca delle immagini, reti informatiche on line,
servizi a uso delle imprese), come nel campo scientifico
(ricerca spaziale, programmi sul genoma umano, fusione nucleare,
ricerche sul riscaldamento dell'atmosfera ecc.) emergono
megasistemi mondiali, sempre al servizio degli interessi
immediati dei gruppi finanziari privati (10).
Le resistenze a questa evoluzione non sono molto numerose e
neppure molto organizzate. La situazione di paesi quali la
Germania, l'Italia e gli stati scandinavi, non può far
dimenticare che i sindacati hanno perduto la loro capacità di
rivendicazione e di contrattazione, e spesso propugnano la tesi
degli imperativi della competitività mondiale e sostengono
posizioni politiche vicine a quelle dei centri di potere privati.
Se a tutto questo si aggiunge l'indebolimento, sempre più
evidente a partire dagli anni 80, della capacità e volontà di
intervento dei pubblici poteri in favore dell'interesse generale,
si è costretti a constatare che nel nuovo mondo in via di
formazione il ruolo di protagonisti della politica economica è
riservato alle reti dei gruppi finanziari-industriali.
In meno di un quarto di secolo, il pianeta è divenuto uno spazio
economico sempre più aperto, il cui simbolo è la nuova
Organizzazione mondiale del commercio (Omc) che vuole fare della
creazione di un mercato mondiale liberalizzato e privo di regole
l'affare del XXI secolo.
La Terra è ormai tutta a disposizione per una nuova era della
conquista, come nel XV secolo. Ma mentre nel Rinascimento erano
protagonisti gli stati (i regni di Portogallo e Spagna, la
Repubblica di Venezia, quindi le Province unite ecc), oggi lo
sono le imprese, i gruppi finanziari e industriali privati, con
l'aiuto e il sostegno dei rispettivi stati "locali". Ma i nuovi
conquistatori non possono legittimare la loro azione con la
diffusione di una civiltà, di una religione o l'influenza della
cultura di una nazione; riconoscono che il loro obiettivo è di
pura e semplice conquista, giustificata da un solo argomento: se
non lo facciamo noi, lo farà qualcun altro al posto nostro.
E i nuovi conquistatori, grazie alle loro capacità finanziarie,
perseguono una strategia di dominio su scala planetaria e sono i
veri "padroni della Terra". Sono loro a decidere lo stanziamento
e sono risorse mondiali, a definire i valori e le poste in gioco,
a determinare le priorità, a destabilizzare le istituzioni e a
stabilire le regole.
Il mondo non è mai stato in così poche mani. Nei settori
dell'informazione, della comunicazione e dei media, quelli che
contano sono alcune centinaia di persone, presidenti e membri
dei Consigli di amministrazione di un pugno di imprese attive
nei campi dell'elettronica, dell'informatica, delle
telecomunicazioni, del software, della radio e telediffusione,
stampa e editoria, della distribuzione e del tempo libero. Per
un quarto sono localizzate in Europa, per un altro quarto in
Asia; le rimanenti hanno sede negli Usa.
Tenendo conto delle alleanze che hanno stabilito tra loro, si
può valutare che una decina di reti mondiali più o meno
integrate costituiscano vere e proprie macchine da guerra, con
lo scopo esclusivo di conquistare e dominare i nuovi mercati.
Le grandi reti e i loro alleati
Prese individualmente, sono poche le imprese che si possono
considerare onnipossenti. Ma attraverso i loro collegamenti,
esse hanno costituito una serie di reti che esercitano un
dominio effettivo sul nuovo mondo. I conquistatori beneficiano
del sostegno e della collaborazione di alcuni gruppi sociali: in
primo luogo, gli ideatori e i quadri tecnico-scientifici
(esperti delle varie discipline scientifiche, ricercatori,
ingegneri, intellettuali), i quali conferiscono legittimità allo
spirito di conquista in nome delle tecnologie avanzate
incorporate nei "nuovi" prodotti e servizi che vengono lanciati
sui mercati. Questa fascia sociale è sempre più "mondializzata",
e il suo avvenire dipende dal finanziamento di attività
scientifiche sempre più tributarie degli investimenti delle
imprese private.
La seconda alleata naturale dei nuovi padroni è la
tecno-burocrazia nazionale e internazionale, costituita dai
manager pubblici di alto livello preposti alla definizione delle
regole di funzionamento e di controllo dei mezzi dispiegati.
Questi dirigenti, che provengono dalle stesse scuole e
università dei manager delle imprese private, ne condividono la
cultura, e come loro sono aperti al mondo e all'innovazione
tecnologica, sensibilissimi al simbolismo progressista delle
strategie dei conquistatori.
Il terzo gruppo infine, in apparenza relativamente eterogeneo,
è costituito dai fabbricanti di idee, di simboli, di retorica,
dai rappresentanti dei media e della formazione, in particolare
di livello superiore (si legga, qui sotto, l'articolo di Ibrahim
Warde). Nel corso degli ultimi venti o trent'anni, per motivi
d'ordine finanziario i grandi media sono entrati nel sistema
dominante e hanno incominciato a diffondere presso l'opinione
pubblica l'ideologia della conquista, tanto da renderla naturale
o addirittura simpatica.
I finanzieri rappresentano una categoria a parte, per la quale
la conquista risponde a una logica predatoria: la Terra con i
suoi mercati si presenta a loro come uno spazio senza frontiere,
e la raccolta assume i caratteri della razzia. Certo, i
predatori sono sempre esistiti. Ma la loro attività è oggi di
ben diversa portata, tanto da mettere a repentaglio gli
interessi e le condizioni di vita di centinaia di milioni di
persone mentre nessun argomento, e men che meno quelli
dell'efficienza, giustificano o legittimano irreparabili
devastazioni sociali, politiche e culturali.
Dopo la liberalizzazione dei movimenti dei capitali degli anni
ottanta, queste operazioni di saccheggio sono state rese
possibili dall'abbandono dei meccanismi di controllo pubblico,
dal persistere del segreto bancario nonché dalla creazione e dal
consolidamento dei paradisi fiscali che spesso servono da base
di partenza per le razzie e da retrovia dove accumulare il
bottino. Lo stato è ridotto al ruolo di spettatore impotente; è
il mondo finanziario e industriale che regola ogni cosa, mentre
i politici, degradati alla funzione di scrivani, registrano le
decisioni prese in altre sedi.
Di conseguenza, il confine tra le attività predatoria e
l'illegalità si attenua sempre più. L'assenza del controllo
pubblico favorisce i meccanismi più torbidi, nel cui ambito le
possibilità di azioni illegali cessano di essere virtuali. E i
tracolli ai quali i predatori ci hanno abituato in questi ultimi
anni (il fallimento delle Casse di Risparmio americane e
dell'impero Maxwell, la crisi immobiliare, i disastri della
banca Barings e del Crédit lyonnais) dimostrano che quel confine
è spesso superato.
L'economia mondiale si va sempre più criminalizzando. Il
traffico illecito delle armi e della droga, le forme di
produzione mafiose, l'evasione fiscale, le doppie contabilità o
i fondi neri delle imprese rappresentano indubbiamente fenomeni
di vecchia data; ma la novità risiede nella loro rapida
diffusione, grazie soprattutto alla mondializzazione dei sistemi
di produzione, di trasporto, di informazione, di comunicazione,
e per effetto della liberalizzazione della sfera finanziaria. La
criminalità informatica si diversifica sempre più e continua a
estendere il suo potenziale di nocività. Al di là
dell'immissione di virus nei sistemi computerizzati, dei furti
di schedari, delle appropriazioni di denaro e delle violazioni
della privacy, le sue conseguenze potrebbero essere
incalcolabili in settori come quello dello spionaggio militare,
industriale e commerciale .
I nuovi padroni del pianeta sono ormai fuori dalla portata di
qualsiasi controllo? I rimedi esistono, si prospettano numerose
possibilità di intervento. Le prime e più urgenti misure
dovrebbero riguardare: il ripristino di controlli nazionali e
internazionali, l'istituzione di una tassa mondiale sui
movimenti dei capitali, l'eliminazione del segreto bancario e
dei paradisi fiscali, la lotta coordinata contro la speculazione
e l'evasione fiscale, l'apertura di inchieste internazionali
secondo il modello di "mani pulite", sull'esempio di quanto è
stato fatto in Italia.
Sarebbe necessario inoltre estendere il controllo democratico
attraverso il rafforzamento dei parlamenti esistenti, la
creazione di nuove istanze rappresentative su scala continentale
e mondiale, il sostegno ai movimenti associativi non governativi
e la riaffermazione del primato della politica a tutti i livelli.
Nuove istituzioni internazionali potrebbero inoltre essere
create, anche nel quadro dell'Organizzazione delle Nazioni
unite: potrebbe trattarsi ad esempio di un Consiglio per la
sicurezza economica, di un'Alta autorità mondiale per la
sicurezza informatica, di istituzioni preposte alla gestione dei
beni comuni a tutta l'umanità (come le risorse idriche), o
incaricate di vigilare sull'applicazione delle convenzioni
dell'Organizzazione internazionale del lavoro o delle misure
approvate al vertice di Rio nel 1992.
Infine, le nuove possibilità offerte dalle tecnologie della
comunicazione e dell'informazione consentirebbero la promozione
del dialogo tra le culture, che porterebbe necessariamente a
delegittimare le teorie sugli imperativi della competitività e
della guerra economica. E aprirebbe la strada a una vera
cooperazione internazionale.
note:
torna al testo (1) Leggere, di Frédéric F. Clairmont e John Cavanagh, "Sous les
ailes du capitalisme". le Monde diplomatique, marzo 1994.
torna al testo (2) Gran parte dei 26 miliardi di dollari investiti in Cina nel
1993 è di origine asiatica. Vedere: J.R. Chapounière, La
délocalisation des industries et des emplois entre l'union
européenne et l'Asie du Sud-Est, rapporto FAST, Commissione
europea, Bruxelles, dicembre 1994, pp. 4-5.
torna al testo (3) Tra le prime riflessioni sulla smaterializzazione
dell'economia, a partire dall'esempio delle biotecnologie,
leggere Mark Cantley e Ken Sargeant, A Community Strategy for
Biotechnology in Europe, programma FAST, Commissione delle
Comunità europee, Bruxelles, 1982.
torna al testo (4) Alvin Toffler, Powershift, la dinamica del potere, Sperling
& Kupfer, 1991.
torna al testo (5) E' l'idea del "prosumer", neologismo composto da due termini
inglesi, "producer" e "consumer", sviluppata da Alvin Toffler,
La terza ondata, Sperling & Kupfer, 1987.
torna al testo (6) Cfr. Les dossiers de l'Expansion. Les 1000, n 487-488, 21
novembre 1994.
torna al testo (7) Vedere Gruppo di Lisbona, Limites de la compétitivité, La
Découverte, Parigi 1995. Di imminente pubblicazione anche
l'edizione italiana curata da Rossana Rossanda per la
Manifestolibri
torna al testo (8) Philippe de Woot e Eduardo Arenas, La Croissance externe,
FAST, Commissione delle comunità europee.
torna al testo (9) Leggere il dossier "Un capitalismo fuori controllo", le
Monde diplomatique/ il manifesto, luglio 1994.
torna al testo (10) Riccardo Petrella, "L'Evangile de la compétitivité", le
Monde diplomatique, settembre 1991 e "Litanies de Sainte
Compétitivité", le Monde diplomatique, febbraio 1994.
Articolo tratto da Le Monde Diplomatique del maggio-1995, inserto mensile de il manifesto