La Brigata di Lavoro Volontario "Giovanni Ardizzone", impegnata nella ristrutturazione del Policlinico "26 de Julio" a Playa, nella città dell'Avana, fa propria la lettera-aperta scritta dal Collettivo Musicale AK47 rimandandola al governo USA attraverso il suo ufficio d'interessi presente all'Avana.
Il caso di
Silvia Baraldini è un simbolo. Come tutti i simboli di ingiustizia è tenuto il più possibile nascosto dal potere. Non si tratta soltanto di un caso giuridico o umano, ma soprattutto di un caso politico. Una vendetta violenta mascherata da "giustizia" cui si vuole abituare l'occidente cosiddetto Democratico e Civile, perché l'imbarazzo di riconoscersi apertamente come un potere giuridico dispotico e razzista è un lusso che le nostre sviluppate democrazie non possono certo permettersi.
Sul caso di Silvia Baraldini, da parte del governo italiano, ci sono state solo sommarie e vaghe prese di posizione e mai un serio impegno diplomatico circa l'attuazione del Trattato di Strasburgo sottoscritto da ltalia e USA; o peggio, formali ed ipocrite esternazioni sulle condizioni di isolamento e di salute della detenuta Silvia Baraldini.
Per descrivere le barbarie del sistema giuridico statunitense basta ricordare le sempre più frequenti condanne a morte, le esecuzioni, le torture a cui sono sottoposti i prigionieri, le condizioni di vita al limite della sopravvivenza. O ancora le condanne esemplari inflitte ai "nemici" del sistema: gli antirazzisti, gli antinucleari, gli anticolonialisti, gli indigeni in lotta per non essere sacrificati sull'altare del lusso, dell'abuso selvaggio della terra, uno per tutti l'eroe Lakota, Leonard Peltier, vittima di una gigantesca montatura poliziesca e condannato a 2 ergastoli.
Silvia Baraldini è rinchiusa a circa 10.000 km di distanza dall'Italia, è una prigioniera politica condannata a scontare una pena di 43 anni, per aver lottato al fianco dei neri per l'affermazione dei loro diritti, in un paese che prima li ha importati come manodopera dall'Africa (ma questa è storia passata) e che attualmente li lascia, insieme ad una cospicua fetta di proletariato bianco, ai margini dell'opulenza.
Silvia Baraldini è stata sottoposta, contro la sua valontà, a esperimenti di stampo nazista: deprivazioni sensoriali, condizionamenti fisici e psicologici, somministrazione di particolari psicofarmaci riservati a coloro che l'FBI etichetta come "comunisti-terroristi", trattamenti che puntano al controllo e alla modifica del comportamento e del -pensiero.
Ma anche qui, a 10.000 km dagli USA, le migliaia di arresti, le condanne esemplari, gli anni e anni di "vita" in cella per decine e decine di persone sono una ferita aperta, sono la vendetta di uno Stato che ha pensato così di chiudere i conti con un intero decennio e più di conflitto sociale, di antagonismo diffuso, di lotte operaie e studentesche. Anni in cui il potere ha risposto alle richieste di democrazia, di migliori condizioni di vita e di lavoro di migliaia di persone con le stragi, le trame, l'addestramento di giadiatori al servizio di complotti golpisti.
Nessuno ha mai pagato per questo.
Il potere è saldamente al suo posto scandaloso ed arrogante, mentre chi ha scelto di combattere con ogni mezzo uno Stato violento ha pagato e continua a pagare ricevendo ancora una volta galera.
Siamo una voce, fra le altre che si levano indignate, la dimostrazione che qualcosa si può fare senza che il silenzio continui a soffocare l'esistenza di molti, di tutti gli invisibili. Vogliamo aprire uno squarcio, strappare questo silenzio pesante, insopprtabile che vorrebbe cancellare una memoria che è anche la nostra storia.
Non vogliamo l'estradizione di Silvia Baraldini ma la sua liberazione, perché la libertà di un partigiano è un pò la libertà di tutta l'umanità.