Sua maestà Juan Carlos Primero;
Distinti presidenti e invitati:
Per la prima volta, noi latino-americani, ci riuniamo senza che siano altri a convocarci. Già per questo, il nostro incontro assume un carattere storico. Speriamo nel suo successo e che il nostro dialogo sarà costruttivo e fecondo. Ringraziamo profondamente il Messico e il suo Presidente per la brillante iniziativa; mai in precedenza così necessaria e opportuna.
Per il decimo anno consecutivo la crisi economica continua a colpire l'insieme delle nostre economie. Oggi il prodotto per abitante non supera il livello raggiunto 13 anni fa. Le relazioni di interscambio sono peggiorate del 21% rispetto all'inizio degli anni '80. Il debito estero è arrivato ad una cifra superiore a 400 miliardi di dollari e, a peggiorare ancora la situazione, si è avuto un trasferimento di ricchezze verso l'estero per un valore di 224 miliardi in soli 8 anni. In questo periodo l'inflazione è arrivata a livelli mai raggiunti prima.
Le politiche effettuate dalle grandi potenze economiche e dagli organismi finanziari internazionali, sotto il loro controllo, non hanno portato allo sviluppo, ma hanno portato povertà a più di 250 milioni di persone; non sono servite per portare il capitale straniero, ma hanno agevolato l'esportazione dei capitali verso i Paesi sviluppati.
Nei rapporti economici, l'America Latina ha oggi molto meno peso che 20 anni fa.
L'enorme costo sociale e umano di queste realtà si concretizza in termini di fame, infermità, analfabetismo, quartieri marginali, decine di milioni di bambini senza casa, quasi la metà della popolazione disoccupata, sotto-occupata, o denutrita.
Non facciamoci illusioni, queste sono le tristi realtà che corrodono e destabilizzano alla velocità della luce i governi. Siamo stati mortificati nella nostra cultura, nella lingua e negli interessi comuni, per quasi 200 anni, da quando la maggioranza dei Paesi dell'America Latina acquistò la sua indipendenza, siamo stati divisi, aggrediti, abbiamo subìto interventi, amputazioni e saccheggi, siamo stati costretti al sottosviluppo. Convertendo in oro il totale del valore netto della valuta convertibile che esce dall'America Latina ogni anno, esso è superiore al valore di tutto l'oro e argento che la Spagna e il Portogallo ci sottrassero durante 300 anni. Tuttavia si parla di possibilità di sviluppo. Inoltre, ci hanno imposto sogni e modelli di consumo alienanti e superflui che, non solo avvelenano e portano alla rovina il pianeta, ma che sono anche incompatibili con le necessità razionali di 4 miliardi di persone che vivono in un Terzo Mondo, ogni giorno più povero.
Mai siamo stati capaci di raggiungere i nostri obiettivi con le nostre proprie forze, ad utilizzare le nostre immense risorse naturali e l'intelligenza dei nostri popoli. Potremmo essere tutto e non siamo niente.
C'è sempre un nuovo canto di sirene per gli eterni naviganti, nel cui ruolo ci hanno costretti. Non parlo di blocchi economici, di guerre sporche, invasioni mercenarie, o con l'impiego delle forze armate della più poderosa potenza militare di questo mondo, che si sono ripetuti scandalosamente sotto i nostri occhi in questo medesimo emisfero durante gli ultimi tre decenni; mi riferisco alle illusioni come l'"Alleanza per il Progresso", il "Piano Baker", il "Piano Brady", e infine l'ultima delle fantasie; "una iniziativa per le Americhe".
Mentre l'unità, l'imprescindibile, vitale ed ineludibile unità fra i nostri Stati, che brillò sempre per la sua assenza e in modo speciale nella crisi del debito, dov'è? Quando ci sarà? Come sarà?
Di fronte ai grandi gruppi che oggi dominano l'economia mondiale, c'è per caso un ruolo nel futuro dei nostri popoli senza un'America Latina integrata e unita? Saremo capaci di vedere che unicamente se uniti potremo discutere con gli Stati Uniti, con il Giappone e con l'Europa? Si crede che ognuno di noi possa affrontare questo colossale compito? Le grandi potenze economiche non hanno amici, hanno solo interessi.
Tuttora il mondo cammina nella direzione peggiore: l'egemonia politica mondiale è detenuta da una superpotenza che ha ecceduto molte volte nell'uso della forza. Per gestire questo egemonismo, si pretende di utilizzare le strutture delle Nazioni Unite. Mai come oggi è tanto importante proclamare e difendere intransigentemente il principio che l'indipendenza e la sovranità di ogni Stato sono sacre. L'irritante privilegio del veto nel Consiglio di Sicurezza deve sparire per anacronismo, pericoloso e ingiustificato. Se vogliamo parlare di democrazia dobbiamo incominciare col democratizzare l'Organizzazione delle Nazioni Unite. Unicamente per un mondo migliore e più giusto, le nazioni possono cedere una parte delle sue prerogative, Cuba è fra quelle che, senza dubbio, non cederà mai alla pressione di nessun Paese per potente che sia.
Penso che se anche qui si potranno discutere molte cose, l'essenziale di questa riunione e ciò che le darebbe un vero valore storico, è la decisione di unire i nostri sforzi e le nostre volontà verso l'integrazione e l'unità dell'America Latina, non solo economica ma anche politica.
A quell'America Latina integrata e unita, Cuba è disposta ad appartenere, a discutere con essa qualunque tema, disposta anche a versare il proprio sangue per la difesa di quello che è oggi la prima trincea dell'indipendenza e sovranità dei nostri popoli. È un dovere che Martì espresse nella sua lettera postuma, alla vigilia della sua morte a Dos Rios: "Impedire per tempo, con l'indipendenza di Cuba, che gli Stati Uniti, con la loro forza, si estendano attraverso le Antille, sopra le nostre terre d'America."
È giunto il momento di compiere con fatti concreti, e non con parole, la volontà di chi sognarono un giorno per i nostri popoli una grande patria comune, credente nel rispetto e nel riconoscimento universale.
Molte grazie.