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CODICE NERO

Raccolta di editti, dichiarazioni e decreti, riguardanti la disciplina e il commercio degli schiavi negri nelle isole francesi dell'America

ASSOCIAZIONE NOVA CULTURA EDITRICE
80 PAGINE L. 12.000


NOTE INTRODUTTIVE


Premessa (forse non) pertinente
Il giorno in cui viene dato il "si stampi" a questa (dicono sia la prima) edizione del CODICE NERO in Italia, tutti i mass media riportano con una certa enfasi una notizia di cronaca: 25 meniños de rua, a Rio de Janeiro sono stati ammazzati a freddo, mentre dormivano, con qualche sventagliata di mitra e un colpo alla testa per maggior sicurezza, da uno degli squadroni della morte della città, che includeva come protagonisti tre poliziotti. Chi sa, forse è il numero che ha trasformato in notizia un fatto che altrimenti ha l'andamento di un tumore avanzato: sempre là, sordo, profondo, devastante: ce se ne accorge dal di fuori quando scattano le sue spie sintomatiche, una febbre alta, un dolore meno controllabile. Mi è venuto in mente l'articolo XXXVIII: lo schiavo che continua di pretendere di fuggire sarà "punito" con la morte. Forse l'accostamento è improprio, emotivo: niente di estremamente meno schiavo (in uno dei Paesi che peraltro conosce oggi, ed estesamente, la schiavitù formale come fenomeno sociale) di questi bambini "randagi" (li ha qualificati così, e forse a ragione, con un termine animale, uno dei cronisti progressisti e partecipi della cronaca di oggi). Nessuno li possiede con una clausola simile a quella del Codice Nero. Quello che è certo è che sono stati puniti con la morte secondo la logica del Codice Nero: senza processo. Con la loro esistenza di fuga da una vita che applica rigorosamente l'articolo XXII del Codice sono colpevoli di denunciare come intollerabile ed inumana una società che invece sta vivendo in pienezza la legalità neo-liberale, e che non ammette (pena la morte) di essere disturbata (artt. XXXIV, XXXV, XXXVI).
0 forse, chi sa, l'accostamento, non è così improprio.

La civiltà del Codice Nero
il Codice Nero è un documento importante: esprime la preoccupazione di regolamentare, con norme di diritto interno e internazionale, le condizioni di vita di una specie umana che nell'ambito della società ha come funzione quella di essere "forza lavoro". Gli Schiavi (sempre, rigorosamente, con la lettera maiuscola, come i Padroni: detentori di un nome proprio, che ne definisce in modo irrevocabile l'identità tanto forte da trasmettersi con un meccanismo che oggi chiameremmo genetico, per via materna: artt. Xll e XIIl) sono merce di un mercato particolarmente preziosa: battezzati, devono addirittura essere sepolti in una Terra Santa a loro riservata (art. XIV) e non possono neppure essere mutilati senza ragione, nè torturati in modo non-umano (artt. XLII, XLII). Il Codice Nero è dunque un documento perfettamente civile, espressione di una società come quella francese-europea della fine del XVII secolo: può far riferimento formale alle regole che si applicano nel foro di Parigi, almeno per quanto riguarda la gestione dei beni mobili (art. XLVI). Forse è anzi proprio in questa civiltà la chiave di lettura del Codice: la naturalezza con cui si passa dalla specie "umana" alla specie "beni mobili" è di fatto il cuore di quella civiltà che assegna ad uomini il ruolo e la identità di beni, senza Enunciare a considerarli uomini: anzi elaborano leggi e quadri concettuali tali per cui sia dichiarata illegittima la pretesa di questi uomini di fuggire dal loro essere cosa-merce. Solo la "grazia" dei liberi può compiere questa dissociazione, se e quando se ne decide la opportunità, e a patto che di questa mutazione genetica da Schiavi a "liberati" si porti perenne riconoscenza: i liberati, si ricordino, non hanno la maiuscola, anche se è stata loro donata la cittadinanza (artt. LV, LVII, LVIII).

Per una lettura contestuale
Le radici di "legittimità" ed il carattere di "esemplarità intellettuale" del Codice Nero si devono ritrovare, nella considerazione di due momenti storici: l'uno lo precede di quasi due secoli, la Conquista delle Americhe, l'altro è quello che viviamo, tre secoli dopo. Il ponte concettuale e la trama di lettura che permette questo quadro di riferimento sono tracciati in modo dettagliato nella sentenza del Tribunale Permanente dei

Popoli sul diritto Internazionale. La tesi, documentata storicamente, giuridicamente, economicamente è molto lineare, ed ha un supporto (di fatti e di dottrina) purtroppo molto solido, coerente, ritrovabile nei suoi diversi aspetti ed espressioni concrete nella storia di cui siamo attori-spettatori.
La conquista delle Americhe è l'occasione storica ed il punto esemplare di partenza per la elaborazione di una visione del mondo che era rimasta fino ad allora implicita, ed era gestita come un fatto culturale e di "potere di fatto" , ma che diventa ora moderna, traducendosi in un potere che si pretende "di diritto": la storia del mondo (così potrebbe sintetizzarsi questa tesi-visione) è organizzata e destinata alla diffusione di un modello di sviluppo e di civilizzazione le cui regole sono stabilite da un nucleo centrale di popoli-stati (religioni, poteri economici, corpus giuridico) che di questa storia sono gli interpreti autorizzati ed auto-legittimati, in quanto in anticipo sugli "altri" (non importa chi questi siano, dove vivano, quanto numerosi siano, quale bagaglio di storia, civiltà, religioni, visioni del mondo possiedano). Nucleo portante di questa priodtà-primogenitura-legittimità è un modello di "convivenza" che vede nella capacità di accumulo di capitale secondo le leggi di competizione del libero commercio la condizione necessaria e sufficiente per lo sviluppo di una società civilizzata. I costi di tale sviluppo in termini di sacrificio di minoranze o maggioranze non competitive fanno parte del modello che promette una evoluzione capace progressivamente (ma senza che limiti di tempo siano esigibili, nè pre-definibili i livelli di sacrificio richiesto) di rispondere non solo ai bisogni del nucleo centrale, ma di tutti. Il diritto internazionale nasce per legittimare (ideologicamente, e con la concretezza dei trattati formulati ed imposti dal nucleo che si è autodefinito garante di "progresso") e calmierare le contraddizioni di questo sviluppo, che assume nella storia forme diverse e flessibili, ma sostanzialmente coerenti con le tesi iniziali.

La legittimazione ideologica formale assume inizialmente espressioni estremamente religiose e teologiche: é impressionante ed esemplare in questo senso la sequenza dei primi quattordici articoli del Codice Nero, dominati da un riferimento molto puntiglioso alla religione e alla Chiesa cattolica: da una dichiarata preoccupazione di fede-battesimo (senza dimenticarsi di essere fedeli allo spirito dal tempo della Conquista, che prevedeva l'espulsione a priori dei Giudei, non in quanto tali, ma come espressione dell"'altro ideologico" per antonomasia, Articolo Primo), a regole di "morale" familiare-sociale, alla utilizzazione delle funzioni sociali della Chiesa come strumento di controllo sociale, fino all'uso (già ricordato) della sepoltura come momento di discriminazione. L'artificiosità di questa legittimazione ideologica diviene ben presto evidente (anche qui il Codice Nero rivela la sua esemplarità: dall'art. XV in poi gli Schiavi non sono più oggetto di preoccupazioni "morali", ma solo di considerazioni mercantili). La "laicità" delle dottrine economiche e delle teorie dello stato che via via si sviluppano riporta la legittimazione delle politiche e delle pratiche che regolano lo sviluppo a norme di diritto statale ed internazionale. Il succedersi delle rivoluzioni libertarie, delle lotte per i diritti dei lavoratori, delle guerre di liberazione, fa crescere un diritto (statale ed internazionale) che dichiara intollerabile la permanenza di specie umane intrinsecamente "altre" (gli schiavi perdono la maiuscola che li dichiarava, come il marchio a fuoco del Giglio, art. XXXVIII, illegittimati a fuggire dalla loro specie). Tutti siamo, per diritto, individui e popoli, uguali.
Non viene tuttavia toccata la legittimità del modello iniziale, anzi diventa sempre più forte e vincolante con la mondializzazione del commercio delle merci e con la trasformazione della materialità dell'economia delle merci nella incontrollabilità violenta della economia finanziaria e politica. È degli anni che viviamo dopo il muro di Berlino la proclamazione della vittoria "definitiva" di tale modello su tutte le fughe, più o meno lunghe o parziali, nuove o recidive (art. XXXVIII). Ed è di questi anni, ancor più contemporanei, la sperimentazione storica del massimo dell'impotenza pratica del "diritto" (nazionale ed internazionale), proprio nel momento in cui il diritto aveva trovato le sue massime espressioni storiche nelle Nazioni Unite e nella generalizzazione dei paradigmi democratico-formali.

È degli anni '80 il crescere delle irrisioni sostanziali delle regole delle Nazioni Unite e della Corte Internazionale di giustizia da parte del Paese che rappresenta oggi più esemplarmente il vecchio Padrone del Codice: basti pensare ai blocchi di Nicaragua e Cuba, all'invasione di Grenada e Panama, alla guerra del Golfo, alla Somalia. E d'altra parte la dissociazione tra crescita dei diritti dei "cittadini per nascita" e ritorno a rango di merci degli Schiavi-affrancati-liberati non poteva essere più evidente che nelle legislazioni che a livello europeo controllano sempre più rigidamente gli immigrati regolandone (come per le merci) il volume di traffico e scambio, secondo le compatibilità con il mercato.
Ma questo richiamo alla concretezza della storia di oggi ci porta già alla riflessione successiva.

Storia e simboli
Non c'è dubbio che la pubblicazione di un documento datato "Versailles 1685", sulla condizione di un numericamente piccolo popolo di schiavi deportati in un pugno di isole dell'America francese, da parte di uno di quei Re che un secolo dopo sarebbero stati anche loro "puniti con la morte", è profondamente innaturale, in un fine secolo XX, in una terra dove si sente anche fisicamente l'eco di una guerra assurda e insieme annunciata, incredibile e sanguinosamente reale ed in un mondo dove miliardi di uomini hanno bisogno della "fuga mortale" dei meniños da rua (o della morte bruciata di bambine tailandesi creatrici di bambole in una fabbrica senza via d'uscita) per divenire per lo meno "oggetto di cronaca".
E non c'è dubbio che, in un tempo che si pretende scientifico e disincantato, i cortocircuiti interpretativi che sembrano soggiacere agli accostamenti proposti tra Codice Nero e diritto internazionale possono suonare arrischiati: quasi il prodotto ideologico e nostalgico di una concezione della storia che non accetta rassegnata i tempi e i modi "inevitabili", perciò unici legittimi, secondo cui la storia cammina.
Eppure ... : c'è una risonanza, come di "riconoscimento", nella lettura di questo documento che ne suggerisce una ancora più forte e totale "attualità simbolica". Gli schiavi (questa Specie umana che, si ricorda quasi a giustificazione, esistevano con legittimazione filosofica anche nell'illuminato mondo

ateniese e di cui si dice erano piene le stesse civiltà conquistate dell'America Latina, che sono stati anche il prodotto della voglia di commercio dei "signori" africani oltre che dei padroni europei) stanno oggi per divenire oggetto di un'inchiesta-rapporto delle Nazioni Unite. Vuoi dire che ci sono ancora, sopravvissuti come traccia e "popolo-sentinella" a tutte le metamorfosi dei Padroni, per ricordare (nell'esemplarità di una condizione nella quale l'uomo è merce) la permanenza nel mondo del diritto divenuto scientifico e della economia divenuta teologia, di una situazione che ha tutta la intensità del simbolo e insieme la banalità intollerabile della realtà.
Le Nazioni Unite partono con un'inchiesta-rapporto che deve quantificare-qualificare un dato di fatto: ovviamente (e ne è passato di tempo dal diritto grezzo del 1685!) per condannare, riprovare, dichiarato non-legittimo. Nel frattempo i rapporti delle Agenzie Finanziarie Internazionali "constatano" che le schiavitù diffuse della fame, della disoccupazione, della violenza, delle guerre non hanno soluzioni sul breve né sul medio periodo.
Anzi: i Padroni si concentrano, danno solo un po' di spazio ai liberati-affrancati ammessi a godere dei diritti di cittadini-sudditi, con la raccomandazione (altrimenti le punizioni sono inevitabili e codificate) di mantenersi in una posizione di riconoscenza per i Padroni, le loro Vedove, i loro Figli (art. LVIII).
È bene sempre anzi ricordarsi che se si pretende di dare ospitalità ad uno schiavo fuggitivo si è punibili (art. XXXIX); e che tutti gli Schiavi sono collegialmente responsabili della violazione commessa da uno di loro, e devono tassarsi per rimborsare il padrone delle perdite che quel disobbediente, peraltro giustiziato, può avere provocato (art. XL).
Per quanto riguarda i Padroni, è riconosciuto che possano sbagliare (la Banca Mondiale e tanti altri protagonisti delle tangentopoli italiane e non, o delle guerre umanitarie, lo ammettono come parte inevitabile del sistema): si deve anche accettare (così dicono i Codici autolegittimati che vigono nella comunità internazionale) che per essi le punizioni possono essere più lievi, o addirittura, nel rispetto della legge (art. XLI), a discrezione del Giudice, ignorate (art. XLIII).

L'impunità non è un "fenomeno" Latino Americano, e gli Schiavi non hanno nessuna possibilità di essere chiamati ad essere testimoni, se non per specifica e controllata concessione dei Padroni (artt. XXX, XXXI).

Luoghi e tempi
Seguendo la cronaca del nostro tempo, il suo vocabolario ambiguo di aiuti umanitari e di interventi intenzionali, di guerre preventive e di "aggiustamenti strutturali" è utile forse prendere sul serio l'invito metodologico dei documenti sopracitati del Tribunale Permanente dei Popoli per "guardare e discernere" i meccanismi di fondo che stanno sotto la cronaca e non dovrebbe essere difficile riconoscere negli articoli simbolici del Codice Nero lo scenario nel quale viviamo.
Tra le tante inevitabilmente non affrontate, rimane forse una domanda alla quale non si può non tentare di formulare un'ipotesi di risposta o di riflessione.
Come mai si incontrano una pubblicazione del Codice Nero ed una lettura come quella proposta in un posto così decentrato rispetto al mondo, ed in, un tempo così inattuale rispetto alle esigenze quotidiane come quello che ogni anno si crea attorno al Festival dei Popoli, in un chiostro medioevale che ogni agosto si popola delle immagini-volti-parole-presenza di "popoli perdenti", bambini, immigrati, emigrati, donne, indios ... ?
Al di là delle fughe marchiate a fuoco con il Giglio o finite nella morte, le tante marce dei tanti frammenti della specie degli Schiavi hanno fatto un cammino. Dalla lontananza esoterica delle Isole Francesi dell'America sono venute ad abitare vicino a noi. Forse una delle cause che hanno reso così lungo il cammino, che rendono così deboli e precarie ancora oggi le speranze e così rare le cittadinanze reali e non graziosamente concesse, è stata la non-simmetria tra il cammino da quelle periferie, ed i cammini di cittadini appartenenti per nascita al Regno dei liberi, non bisognosi di essere affrancati (art. LVII).
C'era - e c'è inevitabilmente - un'alleanza intrinseca tra le periferie del Regno e Padroni del regno contro coloro che rimangono pur sempre stranieri (art. LVII).

Simbolicamente - e concretamente, occupando un luogo e un tempo delle nostre periferie con questo gesto di memoria che si propone come strumento di lavoro - la pubblicazione del Codice Nero è un passo di simmetria, non guardando al passato, ma rivolgendo al presente-futuro il dubbiodomanda che dà il titolo alla parte conclusiva della Mostra MIGRARE NEL PIANETA TERRA del Festival 1993: Se questo è un Uomo...
C'era un tempo in cui la memoria di cui è pieno questo interrogativo di un sopravvissuto al grande Codice Nero che ha segnato di campi di concentramento la nostra storia recente non aveva bisogno di commenti. Forse il tempo che sta davanti ne avrà bisogno.
Sarebbe bello se questo futuro vedesse le nostre periferie non più alleate, più o meno involontarie o rassegnate, degli autori dei Codici, ma ospiti-alleate-coprotagoniste del diritto dei fuggitivi. Ricordando che anche noi siamo stati fuggitivi-esuli. Ma soprattutto "sapendo" che i Codici Neri sono sempre possibili (e di fatto, silenziosamente o drammaticamente, applicati) finché la specie Padroni viene dichiarata legittima, di diritto naturale, di quello che un tempo si rifaceva a Dio, e che via via ha trovato altri dei. A padrone corrisponde sempre qualcuno che è minacciato di essere merce e di fatto lo è.
Forse non è, né tantomeno sarà, "bello". Certo è necessario. Non è semplice, né ci sono previsioni di successo. Certo non basta la fuga.

Gianni Tognoni
segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli

Milano-Presciane 25 luglio 1993

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