entra nelle pagine di Cuba entra nelle pagine dell'A.S.I.Cuba
ritorno all'indice generale Per comunicare con noi



LA CONQUISTA DELL'AMERICA E IL DIRITTO INTERNAZIONALE

Tribunale Permanente dei Popoli
Fondazione Internazionale Lelio Basso

ASSOCIAZIONE NOVA CULTURA EDITRICE
95 PAGINE L. 15.000


INDICE INTRODUZIONE
È necessario definire chiaramente l'oggetto di questa sessione, sia in rapporto alle sessioni precedenti, sia in rapporto a ciò che questa sentenza avrebbe potuto ma si è deciso non debba essere. Una definizione chiara degli obiettivi è essenziale per la qualità del risultato.
Bisogna innanzitutto circoscrivere chiaramente i termini del problema, cioè la conquista dell'America e il diritto internazionale. La conquista dell'America non è solo un avvenimento storico particolare; nella storia delle relazioni umane essa apre un'era nuova che non è ancora conclusa: uno degli obiettivi della presente sentenza era quello di dimostrare che i meccanismi della conquista e della dominazione messi in moto nel 1492, non hanno a tutt'oggi cessato di funzionare e di perfezionarsi secondo la razionalità che è loro propria. Applicata a questo fenomeno enorme, la disciplina storica non può limitarsi a farci capire meglio ciò che è accaduto e che non si ripeterà più con la violenza iniziale: deve farci entrare nelle realtà economiche e politiche attuali, aiutandoci a riconoscere nel presente la continuità del passato.
L'obiettivo di questa sessione non è stato perciò quello di emettere un giudizio di condanna, né su una conquista coloniale particolare, emblematica per il suo significato, né a maggior ragione sugli attori di questa conquista, colpevoli di violenze già ben documentate dai testimoni contemporanei e causa di numerosi genocidi.
Non è neanche il caso di ricercare se l'una o l'altra delle ingiustizie commesse può essere oggi riparata e con quali mezzi. In considerazione del ruolo assegnato al diritto internazionale nella giustificazione della conquista dell'America, l'oggetto di questa sentenza è di analizzare i tratti fondamentali del diritto internazionale contemporaneo, alla luce della sua origine coloniale e dei suoi sviluppi successivi, e di interrogarsi sulla giustizia che esso consente ai diritti fondamentali dei popoli.
Il Tribunale verrebbe tuttavia meno alla missione che gli è propria se si limitasse a formulare un giudizio puramente negativo che constata l'ingiustizia del sistema mondiale attuale, che denuncia le ambiguità dell'ordine giuridico internazionale oggi in vigore, e che avalla il dominio delle leggi economiche e delle regole giuridiche che organizzano il mercato generalizzato di scambio sul rispetto dei diritti fondamentali, di cui peraltro afferma le esigenze. Era logico porsi nella prospettiva di formulare proposte per un cambiamento dell'ordinamento mondiale attuale, proposte che sono formulate nella quarta ed ultima parte della sentenza.
Ciò che le celebrazioni ufficiali del quinto centenario chiamano "la scoperta dell'America" è stato in realtà una conquista, un'impresa di soggiogamento di popoli da parte di Stati e delle forze economiche ad essi collegate e da essi sostenute. È stata una conquista che si distingueva radicalmente da tutte le precedenti: quelle che avevano permesso la costituzione dei grandi imperi, l'impero cinese, l'impero di Alessandro, l'impero romano; o le tante forme, ancor più antiche o contemporanee di estensione di uno Stato al di là delle sue frontiere originale, l'Egitto, la Babilonia, la Persia, esempio quest'ultimo penetrato particolarmente a fondo nell'immaginario occidentale grazie alla presenza della resistenza greca nell'umanesimo europeo come simbolo della lotta tra un popolo libero ed i suoi conquistatori, della vittoria della democrazia sulla forza armata del re dei re.
Anche se il fenomeno non era stato totalmente assente nel caso di alcuni grandi imperi dell'Antichità, in particolare nell'Impero romano, l'originalità della prima conquista coloniale moderna è stata lo sforzo di trovare nel diritto una giustificazione razionale dell'esercizio della forza, appoggiandosi ad un giudizio di valore che permetteva di separare la civiltà dalla barbarie, e diveniva così fonte e spiegazione dell'ineguaglianza tra i popoli. Inoltre, in movimento fino ad allora limitato ad una parte del mondo, per quanto estesa - la consistenza dell'Impero cinese e dell'Impero romano ne è un esempio -, si è per la prima volta esteso all'universo intero.
Perché la conquista dell'America e il diritto internazionale ? L'era moderna che si è aperta intorno al 1492 è caratterizzata non solo da una riformulazione dei modelli di razionalità antica, dal decollo delle scoperte scientifiche e delle loro applicazioni tecnologiche, ma anche dall'emergere di una nuova teoria dello Stato (che si affermerà tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo), e dall'autonomia di una disciplina giuridica nuova, il diritto internazionale.
Non solo la conquista dell'America è l'occasione per un primo abbozzo di diritto internazionale secolarizzato, nelle lezioni svolte a Salamanca all'inizio del XVI secolo da un teologo spagnolo, Francisco de Vitoria, ma uno degli elementi essenziali di queste lezioni consiste nel proporre come giustificazione della conquista un argomento nuovo, derivato dal diritto naturale, lo ius communicationis. Contrariamente a Vitoria, Francisco Ginés de Sepulveda aveva dichiarato giuste guerre contro gli abitanti delle Indie in nome di un dovere superiore, la propagazione della fede cristiana.
Il pensiero di Vitoria, che elabora una dottrina giuridica circa quarant'anni dopo l'inizio della conquista, è caratterizzato da tre elementi..
a) il fatto che le società umane intrattengano relazioni pacifiche di scambio è conforme al diritto naturale.- nessun sovrano può dunque impedire ai suoi sudditi di commerciare con stranieri che sbarcano sul suo territorio
b) Un altro argomento, che viene tuttavia formulato solo in seconda battuta (cosa abbastanza curiosa per un teologo) ha per oggetto la libertà di diffondere la fede cristiana: così come non possono opporsi alle relazioni di scambio economico, i prìncipi non cristiani non possono vietare ai missionari di evangelizzare i loro sudditi.
c) Logica conseguenza dei primi due, il terzo elemento del pensiero di Vitoria è la dottrina della guerra giusta (bellum iustum). Già presente nella patristica, in particolare in Sant'Agostino e Isidoro di Siviglia, questa dottrina considera come illecita una guerra che non mira a prevenire una minaccia di male per il principe (è la legittima difesa) o a Riparare un'ingiustizia (iniuria) di cui il principe o i suoi sudditi sono rimasti vittime.
Ora, secondo Vitoria, il Rifiuto di aprire il proprio territorio alla penetrazione pacifica dei commercianti stranieri o la proibizione di permettere l'evangelizzazione, sono un'ingiustizia poiché contraddicono lo ius communicationis fondato sul diritto naturale. È perciò lecito riparare l'ingiustizia con la conquista del territorio ingiustamente sottratto alla libertà di comunicazione.
Questa giustificazione della conquista dell'America solleva due serie di obiezioni.
Da una parte Vitoria include immediatamente nello ius communicationis, che suppone il riconoscimento della identità e la parità di diritti di tutti i soggetti che entrano in comunicazione, dei diritti costruiti a misura dei conquistatori, e che di fatto gli Spagnoli avevano esercitato indiscriminatamente a danno degli indigeni nei decenni successivi alla conquista: il diritto di insediamento, e cioè di invasione; il diritto di appropriazione, a cominciare dall'oro e dall'argento considerati res nullius; il diritto di, commercio, equivalente all'obbligo degli indigeni di lasciarsi spogliare; il diritto alla propagazione della fede, corrispondente all'obbligo degli indigeni di non ostacolarla. Il rifiuto dei "barbari" di offrirsi come vittime all'esercizio di tali diritti è assunto da Vitoria come causa di guerra.
In tal modo la "giusta causa" richiesta dalla dottrina medievale della guerra giusta viene smisuratamente allargata e sottratta a ogni criterio oggettivo; una volta stabilito il diritto asimmetrico alla conquista, all'appropriazione, al commercio e alla propagazione della fede, la guerra per imporlo viene considerata legittima difesa del diritto, restaurazione della sicurezza e riparazione dell'iniuria. Così la guerra, finalizzata in realtà ai soddisfacimento degli appetiti, viene posta al centro del sistema dei diritti umani e assunta al rango di un giudizio, mediante il quale il principe si trasforma in giusto giudice della sua stessa causa, legittimato a ristabilire il diritto leso dall'iniuria patita "uccidendo gli autori" di essa. Identificazione della "giusta causa " con la causa del principe, e in definitiva con la causa del più forte, destinata a perpetuarsi nel tempo e giunta fino ad oggi.
Inoltre, l'applicazione della dottrina della guerra giusta alla conquista è possibile solo se si può documentare che, di fatto, gli invasori si sono presentati in modo sufficientemente pacifico, e che esistevano perciò le condizioni necessarie perché si verificasse la violazione del principio di diritto naturale che sottende lo ius communicationis. È anche necessario che la reazione violenta sia proporzionale alla gravità dell'ingiustizia che essa intende riparare e che i mezzi utilizzati siano limitati a ciò che è strettamente necessario. Anche se Vitoria dichiara di aderire a questo principio di proporzionalità e di avere dei dubbi sui criteri di applicazione della doppia valutazione ai fatti reali, sembra che concluda per la legittimità della conquista. Inoltre, insegnando quaranta anni dopo i fatti, l'autore considera che la situazione di fatto è irreversibile.- il sovrano dell'epoca, Carlo V, nipote d'Isabella la Cattolica, non potrebbe più rinunciare all'amministrazione dei territori conquistati. Si incontra così quella che sarà una costante del diritto internazionale, e cioè l'impatto della effettività per difendere la legittimità di una situazione originariamente ingiusta.
D'altra parte, il carattere esclusivo delle prerogative che derivano dalla conquista coloniale instaura una contraddizione tra lo ius communicationis, che lo ha già giustificato, e lo sfruttamento commerciale che ne è seguito. Già nel 1493, la bolla "Inter cetera" di papa Alessandro VI Borgia traccia sull'Atlantico una linea di demarcazione che divide tra la Spagna e il Portogallo il monopolio di navigazione nelle acque che uniscono l'Europa all'America e, l'anno seguente, il trattato concluso a Tordesíllas tra la Spagna e il Portogallo delimita le due zone di colonizzazione, di cui la seconda riguarda l'attuale Brasile. Le due nuove potenze coloniali, come tutte quelle che verranno in seguito, in America e in altre parti del mondo, decidono immediatamente che ognuna eserciti un monopolio per l'istituzione di relazioni commerciali tra il Vecchio e il Nuovo Mondo. Lo ius communicationis, invocato per giustificare la conquista, sarà rifiutato nelle relazioni che ogni impero coloniale intrattiene con gli altri Stati. Mentre gli Spagnoli se ne erano avvalsi per giustificare la loro conquista (e lo stesso Vitoria fondava su questo diritto la libertà dei Francesi di commerciare con gli Spagnoli in Spagna e viceversa), le province d'America sono sottratte a questo apparente liberalismo e la libertà di commercio è rifiutata ai navigatoti inglesi e francesi.

Già espressa da Vítoria e rafforzata dai suoi successori, in particolare da Grozio, la secolarizzazione del diritto internazionale ha due caratteristiche.

Vitoria non riconosce al papa un potere sovrano in materia temporale. Le bolle del 1493 non hanno quindi potuto avere come effetto la legittimazione della conquista di nuovi territori, ma solo quello di riconoscere ad ognuno dei due sovrani un monopolio per l'evangelizzazione degli abitanti delle Indie. L'esclusivismo commerciale sostenuto dal diritto della potenza coloniale e la legittimità dell'evangelizzazione dichiarata dal papa si sostengono a vicenda: i profitti procurati dallo sfruttamento delle risorse naturali e dalla mano d'opera indigena incoraggeranno l'evangelizzazione, che a sua volta conferisce un ulteriore titolo di legittimità al diritto di commercio. Si trova così tracciato, fin dall'origine, lo schema di ogni impresa coloniale.- essa dà accesso alle materie prime di cui l'Europa è priva, mette a disposizione dei conquistatori forze di lavoro sempre ridotte in condizioni di dipendenza servile e talvolta di schiavitù, apre territori di popolamento i cui occupanti originali sono espulsi o sterminati, ma si presenta anche come "missione sacra di civiltà ", evocata in modo esplicito nel preambolo e nell'articolo 6 dell'Atto generale della Conferenza di Berlino del 25 febbraio 1885 e nell'articolo 22, paragrafo 1 del Patto della Società delle Nazioni. In un'epoca in cui la secolarizzazione ha preso il sopravvento sul predominio di una data religione, la missione di civilizzazione ha sostituito il dovere di evangelizzazione.
In entrambe le sue forme, la pretesa civilizzatrice che accompagna le conquiste coloniali si fonda sulla convinzione della disuguaglianza dei popoli. Fondato sulla chiamata di tutti gli uomini a condividere la salvezza di Cristo, e ripreso negli strumenti di protezione dei diritti dell'uomo, il principio della pari dignità di tutti gli esseri umani non è giudicato incompatibile con il valore diseguale attribuito alle culture e alle istituzioni politiche. Le società convinte di esprimere una civiltà superiore non esitano a distruggere, conforme diverse di violenza, le istituzioni di altre società, qualificate come barbare o primitive. Poiché queste istituzioni disprezzate esprimono l'animo profondo del popolo che le ha concepite ed adattate ai suoi bisogni, è il popolo che di fatto è "annullato " (anche se ciò non coincide sempre con la eliminazione fisica dei suoi membri), secondo la definizione contemporanea di genocidio. La pretesa missione di civilizzazione permette di conciliare la distruzione dell'anima collettiva di un popolo con il rispetto ostentato per la dignità degli individui che lo compongono. Si arriva addirittura al paradosso che il bene di questi individui e la volontà di condurli ad uno stato superiore di civilizzazione sono invocati come giustificazione razionale della distruzione delle istituzioni da loro espresse come forma di governo.
La qualifica di "barbari" con la quale i Greci designavano coloro che non parlavano la loro lingua e non condividevano le loro istituzioni è ripresa da Vitoria per designare gli Indiani, e per dichiarare che essi non hanno raggiunto il livello di civiltà degli Spagnoli e soprattutto che non sono stati ancora istruiti alla sola vera religione.
Una simile consapevolezza della superiorità della civilizzazione portata dai conquistatori è già evidente nell'espressione utilizzata per designare l'evento di cui il quinto centenario è stato celebrato con grande clamore. Parlare di "scoperta" dell'America rivela fino in fondo l'eurocentrismo che ha accompagnato queste celebrazioni. Il termine "scoperta" pone i popoli dell'America nella situazione passiva di coloro che sono scoperti e - il seguito della scoperta lo dimostrerò - la cui cultura sarà negata e distrutta, i tesori religiosi e gli emblemi civici saccheggiati e fusi, e le risolse naturali drenate verso i mercati europei. Appare in questo contesto anche un insieme di nuove pratiche che segnano la censura tra il mondo del passato e quello del futuro, cioè del nostro presente.
Un primo fenomeno contemporaneo della conquista dell'America è costituito dal nuovo atteggiamento nei confronti della natura. Mentre tutte le società tradizionali, senza escludere quelle che avevano raggiunto un grado elevato di concentrazione del potere (come l'impero romano), avevano rispettato l'equilibrio naturale, limitandosi a far fruttare le risolse riproducibili ed a sottomettere ad una appropriazione limitata le ricchezze del sottosuolo, a partire dal XVI secolo inizia uno sfruttamento intenso e sregolato dell'ambiente naturale. Il fatto che questo sfruttamento abbia interessato anzitutto i territori coloniali ha facilitato l'alienazione di una natura apparsa come terra nullius. È tuttavia con modalità ancor più profonde che si capovolge il rapporto tra l'uomo e la natura.
Il capovolgimento si inscrive infatti in un nuovo modello di razionalità, che è quello dello scambio mercantile. Alle ristrette relazioni commerciali che avevano conosciuto le società tradizionali si oppone ormai il sistema di scambio universale, caratterizzato dall'inclusione delle risorse naturali e delle relazioni di lavoro in un sistema universale che trasforma ogni bene e ogni attività in un equivalente monetario. L'homo oeconomicus nasce a partire dalla conquista dell'America. Ancora una volta è necessario però diffidare di analogie superficiali, tutti i conquistatori avevano depredato i popoli soggiogati, avevano talvolta ridotto i vinti ad uno stato di schiavitù: ciò che è nuovo è la razionalità che guida i modelli di sfruttamento coloniale.
Ci furono certo proteste contro gli eccessi di sfruttamento della conquista, e ci furono voci che si levarono in difesa degli Indiani. Bartolomeo de las Casas, Pedro de Córdoba, Antonio de Montesínos giudicano in modo molto critico i primi anni della colonizzazione; ma non arrivarono mai a metterne in discussione la legittimità. La loro era una critica etica, toccava gli abusi del sistema, non il principio dell'ordine coloniale.
La tratta degli schiavi stabilisce un legame tra l'Africa, che entra per questa strada d'orrore nella storia della colonizzazione, e l'America, alla quale era destinata la manodopera servile. Anche l'antichità aveva conosciuto i mercati di schiavi ma il fatto nuovo è la produzione della schiavitù tramite un commercio regolato, che obbedisce alla razionalità economica del tempo. Mentre secondo la legge naturale tutti gli uomini sono Liberi, la schiavitù non è contraria al diritto naturale derivato, cioè a quella versione del diritto naturale che si ricava dall'osservazione delle istituzioni politiche esistenti. Secondo San Tommaso d'Aquino, Vitoria o Suarez, la schiavitù è, come la proprietà, compatibile con il diritto naturale derivato, fino a che non sono dei cristiani ad esserne le vittime.
L'homo oeconomicus ha rotto il legame che univa le società tradizionale alla natura, e le conquiste coloniali hanno distrutto con la violenza quei legami, là dove ancora esistevano.
Ma un terzo fenomeno caratterizza la cultura dell'epoca moderna: la sua pretesa all'universalità. Questa deve essere intesa in un duplice senso: geografica innanzitutto, perché le conquiste coloniali che iniziano nel 1492 hanno condotto cinque secoli più tardi all'estensione all'universo intero, progressivamente "scoperto" dagli Europei, di un modello economico progressivamente liberato, in nome della sua stessa razionalità, dall'alibi iniziale: l'evangelizzazione degli Indiani o la cosiddetta missione di civilizzazione.
Ma l'universalità fa parte soprattutto dell'ordine del discorso: è la formulazione di regole che valgano per tutte le società umane. Alle pretese delle "religioni della salvezza " il cui messaggio si indirizzava a tutti gli esseri umani, si sostituisce un discorso autoritario che ha saputo adattare l'insegnamento di Vitoria alla nuova concezione di universo secolarizzato: libertà di commercio e sviluppo economico da. una parte, democrazia e diritti dell'uomo dall'altra.

Non è sufficiente aver constatato il peccato originale che sta all'origine del diritto internazionale, inventato per introdurre la conquista violenta dell'America nei canoni della guerra giusta. Resta da verificare, ed è il punto centrale di questa sentenza, se il diritto internazionale si sia depurato, nel corso della sua storia, dal suo vizio di origine.


È possibile acquistare il libro direttamente alla NCE o direttamente all' ASICUBA